La fattoria degli animali

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La fattoria degli animali George Orwell

L’aspra critica a tutti i regimi, in una nuova traduzione di Sabrina Rondinelli

Collana di narrativa per ragazzi

Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini

Impaginazione: Raffaella De Luca

Illustrazione di copertina: Erika De Pieri

Approfondimenti finali: Paola Valente

Schede didattiche allegate: Sabrina Rondinelli

I Edizione 2021

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George Orwell

La fattoria degli animali

Adattamento di

Prefazione

“La fattoria degli animali” è uno di quei libri che tutti dovrebbero leggere assolutamente almeno una volta nella vita. E voi, cari ragazzi, state proprio per immergervi in questa storia senza tempo…

L’autore stesso, George Orwell, racconta come nacque l’idea di questo romanzo:

“A quei tempi abitavo in un paesino. Un giorno vidi un bambino di circa dieci anni che conduceva un grosso carro trainato da un cavallo. Il sentiero era impervio e, nonostante gli sforzi della povera bestia per riuscire ad avanzare, il ragazzino continuava a frustarla. Pensai che se gli animali come quel cavallo fossero consapevoli della loro forza certamente si ribellerebbero, e allora gli uomini non avrebbero più potere su di loro. Riflettei anche sul fatto che gli uomini sfruttano gli animali in un modo molto simile a quello in cui i ricchi sfruttano i poveri.”

Ed ecco che nella fattoria del signor Jones, un giorno (o più precisamente una notte), gli animali decidono di ribellarsi. Appena il padrone si ritira nella sua camera per andare a dormire, maiali, mucche, cani, galline, capre, anatroccoli, gatti e asini si riuniscono nel grande granaio convocati dal Vecchio Maggiore, un maiale saggio e rispettato, non solo per la sua veneranda età, ma soprattutto per la sua saggezza.

Il Vecchio Maggiore pronuncia un discorso solenne per convincere i compagni che è arrivato il momento di liberarsi dell’uomo e lo conclude affermando:

“È questo il messaggio che vi lascio, compagni: rivoluzione!”

E la rivoluzione scoppia poco tempo dopo, capeggiata da due capaci maiali, Napoleone e Palla di Neve, che grazie alla loro forza e intelligenza guidano i compagni verso la vittoria.

Il signor Jones, sua moglie e i braccianti vengono cacciati a suon di calci, beccate e cornate, e i vincitori prendono finalmente possesso della fattoria.

All’inizio le cose sembrano andare per il meglio; gli animali si dividono equamente il lavoro: tutti danno il proprio contributo, ognuno secondo le proprie capacità, per far prosperare la fattoria. Ben presto, però, gli astuti maiali si lasciano trascinare dalla bramosia per il potere e dal desiderio di godere di lussi e privilegi.

Allora, ragazzi, siete curiosi di leggere come andrà a finire questa favola?

Per scriverla George Orwell si ispirò alla Rivoluzione Russa del 1917 e ai suoi sviluppi. Molti personaggi del romanzo prendono spunto da personaggi storici realmente esistiti: il signor Jones è lo zar Nicola II; il Vecchio Maggiore è Lenin, il teorico della rivoluzione che morì pochi giorni dopo aver pronunciato un importante discorso pubblico, proprio come il saggio maiale; Napoleone rappresenta Stalin, il quale nel periodo post-rivoluzionario instaurò un regime totalitario; Palla di Neve è Lev Trotsky, il più temuto

oppositore di Stalin, mandato in esilio e poi assassinato da un agente segreto; i cani allevati da Napoleone rappresentano la polizia segreta di Stalin che reprimeva le opposizioni attraverso la paura e l’intimidazione; le pecore sono il popolo facilmente manipolabile.

“La fattoria degli animali” può essere letta non soltanto come l’allegoria della Rivoluzione Russa ma di tutte quelle rivoluzioni che alla fine tradiscono il loro scopo: creare una società più giusta e libera.

Buona lettura, ragazzi!

Sabrina rondinelli Curatrice dell’adattamento

Un rigraziamento speciale alla poetessa Antonia Di Dio per la traduzione delle poesie

Capitolo 1

Il proprietario della Fattoria Padronale, il signor Jones, aveva chiuso a chiave i pollai per la notte, ma era troppo ubriaco per ricordarsi di chiudere anche le finestrelle. Reggendo una lanterna che ballonzolava da una parte all’altra, barcollò attraverso il cortile, scalciò via gli stivali sulla soglia della porta, si spillò un ultimo bicchiere di birra da un barilotto nel retrocucina e si trascinò su per le scale fino in camera da letto, dove sua moglie stava già russando. Appena la luce nella stanza si spense, tutti gli edifici della fattoria vennero animati da un gran trambusto e da uno sbatter d’ali.

Durante il giorno, infatti, si era sparsa la voce che il Vecchio Maggiore, un verro di razza premiato in diverse esposizioni, la notte precedente aveva fatto uno strano sogno che desiderava raccontare agli altri animali. Perciò era stato deciso che, quando il signor Jones si fosse addormentato, si sarebbero ritrovati tutti nel grande granaio.

Il Vecchio Maggiore (adesso lo chiamavano così, anche se in passato, alle esposizioni, era stato soprannominato “Magnificenza di Willingdon”) era talmente rispettato dagli animali della fattoria che chiunque era disposto a perdere un’ora di sonno pur di ascoltare ciò che aveva da dire.

A un’estremità del vasto granaio, su una specie di palco illuminato da una lanterna appesa a una trave, il Vecchio Maggiore aveva già preso posto nella sua lettiera di paglia. Aveva dodici anni ormai, e con l’avanzare dell’età aveva messo su qualche chilo, ma era ancora un magnifico esemplare di maiale, dall’espressione saggia e benevola, nonostante non gli avessero mai tagliato le zanne.

Nel giro di pochi minuti iniziarono ad arrivare gli altri animali e ognuno si accomodava secondo le abitudini della propria specie.

I tre cani, Campanula, Gelsomina e Pizzico, entrarono per primi, seguiti dai maiali che si misero in prima fila sulla paglia davanti al palco.

Le galline si appollaiarono sui davanzali delle finestre, i piccioni svolazzarono sulle travi del tetto, le pecore e le mucche si posizionarono dietro i maiali, cominciando a ruminare.

I due cavalli da tiro, Gondrano e Berta, giunsero insieme avanzando lentamente e appoggiando a terra i pesanti zoccoli pelosi con grande attenzione, per paura di pestare qualche animaletto nascosto nella paglia.

Berta era una superba, materna giumenta di mezza età, che dopo la nascita del suo quarto puledro non aveva più recuperato la linea.

Gondrano era una bestia enorme, alto diciotto palmi e tanto forte quanto due cavalli messi insieme. Una striscia bianca lungo il naso gli conferiva un’espressione un po’ ebete e, in effetti, non era esattamente un campione di intelligenza; tuttavia era ammirato per la sua determinazione e l’incredibile resistenza nel lavoro.

Dopo i cavalli si presentarono Muriel, la capra bianca, e Beniamino, l’asino. Beniamino era l’animale più vecchio della fattoria e anche il più irascibile; parlava raramente e apriva bocca solo per fare qualche commento cinico. Diceva, per esempio, che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche ma lui avrebbe fatto volentieri a meno sia della coda, sia delle mosche. Tra tutti gli animali della fattoria era l’unico che non rideva mai: se gli chiedevano perché, lui rispondeva che non c’era proprio niente di cui ridere. Eppure, senza ammetterlo apertamente, era legato a Gondrano; di solito i due trascorrevano la domenica insieme nel piccolo recinto dietro il frutteto, brucando l’erba fianco a fianco in silenzio.

I due cavalli si erano appena sdraiati, quando una covata di anatroccoli che avevano perso la loro mamma entrò in fila indiana nel granaio, pigolando debolmente e vagando in cerca di un luogo dove non rischiassero di essere calpestati. Con la sua grossa

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zampa anteriore, Berta creò una specie di barriera intorno agli anatroccoli che, sentendosi al sicuro, si addormentarono subito.

Molly, la cavallina bianca un po’ scioccherella che tirava il calesse del signor Jones, fece il suo ingresso all’ultimo momento, zampettando con grazia e masticando una zolletta di zucchero. La graziosa puledra si adagiò proprio davanti al palco e cominciò a darsi delle arie, scuotendo la criniera per attirare l’attenzione sui nastrini rossi che l’adornavano.

Per ultima arrivò la gatta. Come d’abitudine, si guardò intorno per individuare il posto più caldo, accoccolandosi alla fine tra Gondrano e Berta, e lì rimase facendo le fusa soddisfatta durante l’intero discorso del Vecchio Maggiore, senza ascoltare una sola parola di quel che diceva.

Adesso erano presenti tutti gli animali eccetto Mosè, il corvo addomesticato, che dormiva in casa sopra un trespolo vicino alla porta sul retro.

Vedendo che tutti si erano accomodati e aspettavano attenti, il Vecchio Maggiore si schiarì la gola per cominciare il suo discorso: – Compagni, sapete già dello strano sogno che ho fatto ieri notte, ma di quello vi parlerò più tardi perché prima devo dirvi qualcos’altro. Cari compagni, temo che non rimarrò tra voi per molti mesi ancora e, prima di morire, sento che è mio dovere trasmettervi quel poco di saggezza che ho acquisito con gli anni. Nel corso della mia lunga esistenza, ho avuto molto tempo per meditare mentre me ne stavo da solo nel porcile, e credo di poter affermare di aver compreso il significato della vita in questo mondo meglio di qualsiasi altro animale. Ed è proprio di questo che desidero parlarvi. Dunque, compagni, qual è il senso della nostra esistenza?

Ammettiamolo: le nostre vite sono misere, faticose e brevi. Una volta che veniamo al mondo, ci viene dato il cibo appena sufficiente per sopravvivere, e quelli di noi che sono in grado di lavorare vengono sfruttati fino all’estremo delle loro forze; poi, nel preciso istante in cui non siamo più utili, ecco che veniamo scannati con orrenda crudeltà. Non c’è animale in Inghilterra che conosca il significato di parole come felicità o riposo, dopo il primo anno di

vita. Nessun animale in Inghilterra è libero. La vita degli animali è fatta di sofferenza e schiavitù: ecco la cruda verità. Ma è questa una semplice legge della natura? Forse la nostra terra è tanto povera da non poter garantire una vita dignitosa ai suoi abitanti? No, compagni, mille volte no! Il suolo dell’Inghilterra è fertile, il clima è ottimo: potrebbe fornire cibo in abbondanza a un numero di animali decisamente maggiore di quello attuale. Questa fattoria potrebbe provvedere da sola ai bisogni di una dozzina di cavalli, una ventina di mucche e centinaia di pecore, assicurando a tutti condizioni di agiatezza e dignità che vanno oltre la nostra immaginazione. E allora per quale motivo continuiamo a vivere in questo stato di povertà? Perché quasi tutti i prodotti del nostro lavoro ci vengono rubati dagli esseri umani. Ecco la spiegazione di tutti i nostri problemi, cari compagni. Potremmo riassumerla in una parola soltanto: uomo. L’uomo è il nostro unico, vero nemico. Se eliminassimo l’uomo dalla scena, avremmo eliminato per sempre alla radice la causa della fame e del lavoro eccessivo. L’uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Non dà latte né uova, è troppo debole per tirare l’aratro e non corre abbastanza velocemente per catturare conigli. Eppure è il padrone di tutti gli animali: sfrutta il loro lavoro, li ricambia con il minimo indispensabile per non lasciarli morire di fame e tiene il resto per sé. Il nostro lavoro dissoda la terra, il nostro letame la rende fertile, tuttavia non uno di noi possiede altro che la propria pelle. Voi mucche, che siete qui davanti a me, quante migliaia di litri di latte avete prodotto nell’ultimo anno? E che fine ha fatto il latte che avrebbe dovuto nutrire i vostri vitelli, donando loro forza e vigore? Ogni goccia è andata giù per le gole dei nostri nemici. E voi, galline, quante uova avete deposto in un anno e da quante di queste è nato un pulcino? Tutte le altre sono state vendute al mercato per arricchire Jones e i suoi uomini. E in quanto a te, Berta, sai dirmi dove sono i quattro puledri che hai partorito e che avrebbero dovuto essere il sostegno e la consolazione della tua vecchiaia? Sono stati venduti all’età di un anno, e tu non li rivedrai mai più. E che cosa hai avuto in cambio dei tuoi quattro parti e di tutto il lavoro nei campi, oltre a

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delle scarse razioni di cibo e un box dentro la stalla? E non ci viene concesso nemmeno di arrivare alla fine naturale delle nostre miserabili vite. Io non posso lamentarmi, perché sono uno dei pochi fortunati. Ho vissuto dodici anni e ho avuto più di quattrocento figli, com’è naturale per un maiale. Ma alla fine nessun animale può sfuggire all’atroce coltello. Nel giro di un anno, ognuno di voi, seduti davanti a me, morirà sul ceppo tra atroci urla di sofferenza.

Tutti faremo questa fine: mucche, maiali, galline, pecore, nessuno escluso. Neppure i cavalli e i cani andranno incontro a un destino migliore. Tu, Gondrano, il giorno stesso in cui i tuoi muscoli poderosi perderanno la loro forza, sarai venduto da Jones al macellaio che ti taglierà la gola e bollirà le tue carni per darle in pasto ai cani da caccia. E quando i cani diventano vecchi, Jones lega loro un mattone al collo e li annega nello stagno più vicino. Allora, compagni, non è chiaro come il sole che tutti i mali della nostra vita sono causati dalla tirannia degli esseri umani? Soltanto quando ci sbarazzeremo dell’uomo, il frutto del nostro lavoro ci apparterrà interamente. Potremmo diventare ricchi e liberi dall’oggi al domani. E che cosa dovremmo fare per raggiungere questo obiettivo? Ebbene, impegnarci giorno e notte, anima e corpo, per annientare la razza umana. È questo il messaggio che vi lascio: rivoluzione! Io non so dirvi quando arriverà il momento, potrebbe essere tra una settimana o un secolo, ma vi assicuro, con la stessa certezza con cui vedo questa paglia sotto i miei piedi, che presto o tardi sarà fatta giustizia. Compagni, rimanete concentrati su questo obiettivo per il poco che vi resta da vivere. E soprattutto tramandate il messaggio a quelli che verranno dopo di voi, così che le future generazioni possano proseguire la lotta fino alla vittoria. E ricordatevi, compagni: la vostra determinazione non dovrà mai vacillare. Non lasciatevi sviare da futili argomenti. Non fatevi ingannare da chi vi dice che l’uomo e gli animali hanno degli interessi comuni, e che la prosperità dell’uomo coincide con quella degli animali: sono tutte bugie. L’uomo cura soltanto i propri interessi. Dobbiamo rimanere uniti e solidali in questa lotta. Tutti gli uomini sono nemici. Tutti gli animali sono compagni.

In quel momento ci fu un gran scompiglio. Mentre il Vecchio Maggiore parlava, infatti, quattro grossi topi erano sbucati dalla tana e si erano seduti sulle zampette posteriori ad ascoltarlo. I cani li avevano notati subito, e solo grazie a una pronta ritirata nella tana, i topolini era riusciti a salvarsi la pelle.

Il Vecchio Maggiore alzò una zampa per chiedere silenzio. – Compagni – disse, – ecco un problema che deve essere risolto. Le creature selvatiche, come i topi o le lepri, sono amici o nemici per noi? Facciamo una votazione. Propongo la seguente domanda all’assemblea qui riunita: i topi sono nostri compagni?

Si votò subito e, a larga maggioranza, fu deciso che i topi erano compagni. Ci furono solo quattro contrari: i tre cani e la gatta, ma quest’ultima, come si scoprì in seguito, aveva votato sia a favore, sia contro.

Il Vecchio Maggiore riprese il suo discorso:

– Non ho ancora molto da aggiungere, ma ricordatevi sempre che è vostro dovere essere nemici dell’uomo e delle sue abitudini. Tutto ciò che cammina su due gambe è un nemico. Tutto ciò che cammina su quattro gambe, o possiede ali, è un amico. Ma nel combattere il nemico, ricordiamoci che non dovremo mai assomigliargli. Perfino quando avrete annientato l’uomo, guardatevi dal prendere i suoi vizi. Nessun animale dovrà mai vivere in una casa, o dormire in un letto, o indossare vestiti, o bere alcolici, o fumare tabacco, o maneggiare denaro, o esercitare il commercio. Tutte le abitudini dell’uomo sono malvagie. E, soprattutto, nessun animale dovrà mai tiranneggiare un proprio simile. Deboli o forti, intelligenti o stupidi, siamo tutti fratelli. Nessun animale dovrà mai uccidere un altro animale. Tutti gli animali sono uguali. E adesso, compagni, vi racconterò il sogno che ho fatto ieri notte. Non riesco a descriverlo nei particolari: è stata una visione di come sarà la Terra quando la razza umana finalmente sarà scomparsa. Tuttavia ha fatto riaffiorare un ricordo d’infanzia che avevo ormai dimenticato. Tanti anni fa, quando ero un porcellino da latte, mia madre e le altre scrofe cantavano spesso una vecchia canzone di cui sapevano soltanto la melodia e le prime tre parole. Anch’io da

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piccolo la conoscevo, ma mi era passata di mente da tantissimo tempo. L’altra notte, però, è tornata in sogno insieme alle parole (parole, ne sono sicuro, che gli animali cantavano anticamente e di cui si era persa la memoria da generazioni). Ora ve la canterò, compagni. Sono vecchio, la mia voce è roca, ma quando vi avrò insegnato la melodia potrete cantarla meglio voi stessi. È intitolata Animali d’Inghilterra.

Il Vecchio Maggiore si schiarì la gola e iniziò a cantare; come aveva detto, la sua voce era roca, tuttavia cantò piuttosto bene: la melodia era entusiasmante, una via di mezzo tra Clementina e La Cucaracha. Le parole dicevano:

Udite udite animali d’Irlanda e d’ogni contea che Inghilterra comanda! Parole liete a voi sto per dire: ricco e dorato sarà l’avvenire.

Il tempo passa ma sorgerà il giorno in cui faremo sparire d’intorno l’uomo padrone che al fango daremo e rifiorire ogni campo vedremo.

Al nostro naso non più quell’anello sul vostro dorso mai più quel fardello. Mucche, galline presto a lottare!

E tu pulcino non ti scordare: la libertà sarà nostra meta, morir per essa è cosa ben lieta!

Udite udite animali d’Irlanda e d’ogni contea che Inghilterra comanda! Presto verrà l’età dell’oro, su, tutti insieme, facciamo un bel coro!

Capitolo 2

Tre notti dopo, il Vecchio Maggiore morì serenamente nel sonno. Il suo corpo fu seppellito in fondo al frutteto. Questo accadeva nei primi giorni di marzo. Durante i tre mesi successivi, si svolse un’intensa attività clandestina.

Il discorso del Vecchio Maggiore aveva illuminato gli animali più intelligenti, aprendo loro una visione della vita completamente nuova. Non sapevano quando sarebbe scoppiata la rivoluzione annunciata dal Vecchio Maggiore, forse non sarebbe avvenuta neanche durante la loro vita, ma sentivano chiaramente che era loro dovere prepararla.

Il lavoro di propaganda e di organizzazione fu preso in carico dai maiali, dato che erano considerati gli animali più intelligenti. Fra questi i più autorevoli erano Palla di Neve e Napoleone, due giovani porci che il signor Jones stava allevando per la vendita. Napoleone, un imponente verro dall’aspetto piuttosto feroce, era l’unico Berkshire della fattoria; non era molto comunicativo, ma sapeva bene quel che voleva. Palla di Neve era più vivace, eloquente e inventivo di Napoleone, ma non aveva la stessa profondità di carattere.

Tutti gli altri maiali maschi della fattoria erano destinati al macello. Il più conosciuto era un porcello bene in carne chiamato Squillo, con le guance piene e gli occhi vivi, agile nei movimenti e dalla voce stridula. Provvisto di parlantina brillante, quando affrontava un argomento delicato saltellava da una zampa all’altra, dimenando il codino in un modo che lo rendeva molto convincente. Gli altri dicevano di Squillo che era capace di far passare il bianco per il nero.

A partire dagli insegnamenti del Vecchio Maggiore, questi tre maiali – Napoleone, Palla di Neve e Squillo – avevano elaborato un compiuto sistema filosofico a cui avevano dato il nome di Animalismo.

Diverse notti alla settimana, dopo che il signor Jones si era addormentato, organizzavano riunioni segrete nel granaio, durante le quali esponevano i principi dell’Animalismo agli altri animali.

All’inizio i maiali si scontrarono con l’apatia e la stupidità dei compagni. Alcuni invocavano il dovere di fedeltà al signor Jones, che chiamavano “padrone”, o sollevavano obiezioni elementari, come:

– Il signor Jones ci dà da mangiare: senza di lui ci toccherebbe morire di fame.

Altri facevano domande come:

– Perché dovremmo preoccuparci di quello che accadrà dopo la nostra morte?

Oppure:

– Se questa rivoluzione scoppierà comunque, che importa se ci impegniamo oppure no?

E i maiali avevano grosse difficoltà a spiegare ai compagni che le loro obiezioni erano contrarie allo spirito dell’Animalismo.

Le domande più stupide erano quelle di Molly, la cavallina bianca.

La prima domanda che pose a Palla di Neve fu:

– Ci sarà ancora zucchero dopo la rivoluzione?

– No – rispose con fermezza Palla di Neve. – Non abbiamo i mezzi per produrre lo zucchero in questa fattoria. E comunque lo zucchero non è un bene necessario. In compenso avrai tutta l’avena e il fieno che vorrai.

– E potrò ancora portare i nastrini nella criniera? – chiese Molly.

– Compagna – replicò Palla di Neve, – quei nastri a cui tieni tanto sono il simbolo della schiavitù. Ma non capisci che la libertà vale più di un pezzo di stoffa?

Molly annuì, anche se non sembrava molto convinta.

La fattoria degli animali

I maiali sostennero una battaglia ancora più dura per contrastare le bugie che raccontava Mosè, il corvo addomesticato. L’animale prediletto del signor Jones era uno spione maldicente dalla parlantina sciolta. Secondo lui, esisteva un luogo misterioso, il Monte di Zucchero Candito, dove andavano tutti gli animali dopo la morte. Si trovava da qualche parte, lassù nel cielo, poco più in là delle nuvole, diceva Mosè. Sul Monte di Zucchero Candito era domenica sette giorni alla settimana, il trifoglio era rigoglioso tutto l’anno e sulle siepi crescevano zollette di zucchero e dolcetti di semi di lino.

Gli animali odiavano Mosè perché parlava un sacco e non lavorava per niente. Qualcuno, però, credeva davvero nell’esistenza del Monte di Zucchero Candito, e i maiali dovevano discutere animatamente per convincerli che quello era un posto inventato.

I seguaci più fedeli dei maiali erano i due cavalli da tiro: Gondrano e Berta. Sebbene avessero qualche difficoltà a pensare con la propria testa, essi assorbivano umilmente gli insegnamenti dei maestri, per poi trasmetterli agli altri animali con oneste e semplici argomentazioni. Non mancavano mai alle riunioni segrete nel granaio ed erano loro a dirigere il coro della canzone Animali d’Inghilterra con cui ogni volta si concludevano le adunate.

La rivoluzione scoppiò molto prima e molto più facilmente di quanto gli animali si aspettassero.

Negli anni passati il signor Jones, pur essendo un padrone severo, era stato un abile agricoltore ma ultimamente stava attraversando un periodo difficile. Dopo aver perso una grossa somma di denaro in una causa legale, si era demoralizzato a tal punto che aveva iniziato ad alzare il gomito. Trascorreva giornate intere nella poltrona in cucina a leggere i giornali e sbevazzare, dando di tanto in tanto a Mosè una crosta di pane inzuppata nella birra. I suoi braccianti erano pigri e disonesti, i campi pieni di erbacce, gli animali malnutriti; le siepi venivano trascurate, i tetti degli edifici avevano urgente bisogno di essere riparati.

Arrivò giugno, e il fieno era quasi pronto per essere tagliato.

Alla vigilia della festa di San Giovanni, che cadeva di sabato,

il signor Jones andò a Willingdon e si prese una sbronza così solenne all’osteria del Leone Rosso che non fu in grado di rincasare prima di domenica a mezzogiorno. I suoi uomini avevano munto le mucche di buon’ora e poi se n’erano andati a caccia di conigli, dimenticandosi di dare da mangiare agli animali.

Tornato a casa, il signor Jones si era coperto la faccia con il giornale e si era addormentato immediatamente sul divano in salotto. E così, al calar della sera, gli animali erano ancora digiuni.

Alla fine non riuscirono più a resistere. Con una formidabile cornata, una mucca sfondò la porta del magazzino e gli animali iniziarono a servirsi da soli dai recipienti delle provviste.

Fu proprio allora che il signor Jones si svegliò.

L’istante dopo, insieme ai suoi quattro uomini, si precipitò nel magazzino a menare colpi di frusta in tutte le direzioni.

Era più di quanto quelle povere bestie affamate potessero sopportare. Come se si fossero messe d’accordo, sebbene non lo avessero pianificato prima, si scagliarono addosso ai loro aguzzini. Nel giro di pochi secondi, John e i suoi furono circondati e presi a calci e cornate da ogni lato.

La situazione era totalmente fuori controllo.

Gli uomini non avevano mai visto gli animali comportarsi così, e quell’improvvisa rivolta di creature che erano sempre stati abituati a maltrattare li spaventò a morte. Presto rinunciarono a difendersi e si diedero alla fuga. Un minuto dopo, tutti e cinque scappavano a gambe levate lungo il sentiero carraio che portava alla strada principale, con gli animali trionfanti alle calcagna.

La signora Jones si affacciò alla finestra della camera da letto e, nel vedere quel che stava succedendo, buttò in valigia le sue cose e se la svignò da un’uscita secondaria. Mosè abbandonò il trespolo e, gracchiando a più non posso, le svolazzò dietro.

Nel frattempo, gli animali avevano respinto Jones e i suoi fino alla strada e poi avevano sprangato il cancello alle loro spalle.

Così, ancora prima di rendersene conto, la rivoluzione si era conclusa vittoriosamente: Jones era stato cacciato e la fattoria era stata conquistata.

La fattoria degli animali

All’inizio gli animali non riuscivano quasi a crederci. La loro prima reazione fu di galoppare tutti insieme lungo i confini per controllare che nessun essere umano si fosse nascosto da qualche parte. Poi tornarono agli edifici per cancellare ogni traccia dell’odiato regime di Jones. La porta della selleria in fondo alle stalle fu sfondata; i morsi, gli anelli da naso, le catene per i cani, i coltelli crudeli con cui Jones castrava maiali e agnelli, tutto venne buttato in fondo al pozzo. Le redini, le cavezze, i paraocchi, le umilianti mangiatoie a tasca andarono a finire nel grande falò di rifiuti che ardeva in mezzo al cortile. Le fruste fecero la stessa fine e, nel vederle scomparire in mezzo alle fiamme, gli animali fecero i salti di gioia.

Palla di Neve gettò nel fuoco anche i nastri con cui la signora Jones adornava le code e le criniere dei cavalli nei giorni di mercato.

– I nastri – dichiarò – devono essere considerati come i vestiti, che sono il segno distintivo dell’essere umano. Tutti gli animali devono rimanere nudi.

Appena sentì queste parole, Gondrano andò a prendere il cappellino di paglia che metteva d’estate per proteggere le orecchie dalle mosche e lo scagliò nel fuoco insieme al resto.

In poco tempo gli animali avevano distrutto tutto ciò che ricordava loro il signor Jones. Allora Napoleone li riportò al magazzino delle provviste, dove distribuì una doppia razione di grano a tutti, più due biscotti per ogni cane. Quindi cantarono Animali d’Inghilterra dall’inizio alla fine sette volte di seguito, dopodiché si sistemarono per la notte e dormirono come mai avevano dormito prima.

Ma, come d’abitudine, si svegliarono all’alba, e ricordando improvvisamente le gloriose vicende accadute il giorno prima, si precipitarono tutti insieme al pascolo.

Poco oltre sorgeva una collinetta da cui si poteva vedere gran parte della fattoria.

Gli animali raggiunsero la cima e si guardarono intorno nella luce tersa del mattino.

Sì, era tutto loro, adesso: ogni cosa che avevano sotto gli occhi apparteneva a loro!

Esaltati da quel pensiero, non riuscirono più a contenersi e si misero a fare capriole e a saltare di gioia. Si rotolavano nella rugiada, si riempivano la bocca della dolce erbetta estiva, sollevavano zolle di terra bruna e ne aspiravano l’intenso profumo.

Poi fecero un giro di ispezione dell’intera fattoria, osservando ammirati le terre arate, il campo di foraggio, il frutteto, lo stagno, il boschetto.

Era come se vedessero quelle cose per la prima volta, e ancora non riuscivano a credere che quei beni preziosi fossero di loro proprietà.

Tornati agli edifici in fila indiana, si fermarono in silenzio davanti alla porta della casa colonica. Apparteneva a loro anche quella, però avevano paura di entrare.

Dopo qualche istante, comunque, Palla di Neve e Napoleone buttarono giù la porta a forza di spallate e gli animali entrarono uno alla volta, avanzando con la massima cautela per evitare di urtare qualcosa.

Passarono di stanza in stanza in punta di piedi, osando appena bisbigliare, sopraffatti dallo stupore davanti a quel lusso incredibile: i letti con i materassi di piume, gli specchi lucenti, il divano imbottito di crine, il tappeto di Bruxelles, il quadro della regina Vittoria appeso sopra la mensola del camino in salotto.

Mentre scendevano le scale, si accorsero che Molly era sparita. Tornati indietro, la trovarono nella camera da letto più bella: aveva preso un nastro blu dalla toilette della signora Jones, se l’era messo sulla spalla e si stava ammirando allo specchio con mossette da stupidina.

Gli altri animali la rimproverarono duramente e uscirono; quindi tirarono giù alcuni prosciutti appesi in cucina per dar loro sepoltura e Gondrano sfondò con un calcio un barile di birra nella dispensa; nient’altro in casa venne toccato.

Lì per lì fu presa l’unanime decisione di conservare la casa colonica come un museo: nessuno sarebbe mai andato ad abitarci.

La fattoria degli animali

Gli animali fecero colazione, poi Palla di Neve e Napoleone li chiamarono di nuovo a raccolta.

– Compagni – disse Palla di Neve, – sono le sei e mezzo e ci aspetta una lunga giornata. Oggi cominceremo subito la raccolta del fieno. Ma prima c’è un’altra questione da risolvere.

I maiali rivelarono che, durante gli ultimi tre mesi, avevano imparato a leggere e scrivere su un vecchio abecedario appartenuto ai figli del signor Jones che avevano recuperato dalla spazzatura.

Napoleone ordinò di portare dei barattoli di vernice bianca e nera e guidò gli altri fino al cancello che dava sulla via principale.

Poi Palla di Neve – che aveva una calligrafia migliore del compagno – prese un pennello, cancellò la scritta FATTORIA PADRONALE dalla sbarra superiore del cancello e al suo posto scrisse: FATTORIA DEGLI ANIMALI. D’ora in avanti, quello sarebbe stato il nuovo nome della fattoria.

Tornati agli edifici, Palla di Neve e Napoleone mandarono a prendere una scala a pioli che venne appoggiata contro la parete in fondo al grande granaio. I maiali spiegarono che, grazie agli studi compiuti negli ultimi tre mesi, erano riusciti a riassumere i principi dell’Animalismo in Sette Comandamenti. Era arrivato il momento di scrivere sul muro queste regole che avrebbero costituito una legge inalterabile per tutte le bestie della fattoria.

Con qualche difficoltà – perché non è facile per un maiale mantenersi in equilibrio su una scala a pioli – Palla di Neve arrivò in cima e si mise al lavoro, aiutato da Squillo che gli reggeva il barattolo pochi gradini più in basso.

I comandamenti furono scritti sulla parete incatramata, a grandi lettere bianche che spiccavano sul nero, leggibili a una distanza di trenta metri.

Eccoli:

I SETTE COMANDAMENTI

1. Tutti quelli che vanno su due gambe sono nostri nemici.

2. Tutti quello che vanno su quattro gambe, o possiedono ali, sono nostri amici.

3. Nessun animale indosserà vestiti.

4. Nessun animale dormirà in un letto.

5. Nessun animale berrà alcolici.

6. Nessun animale ucciderà un altro animale.

7. Tutti gli animali sono uguali.

Palla di Neve aveva scritto con cura e ordine, e anche l’ortografia era corretta – a parte una S scritta al contrario e un paio di accenti mancanti. Il maiale declamò ad alta voce i Sette Comandamenti a beneficio degli altri che non sapevano leggere.

Gli animali annuirono convinti, e i più intelligenti iniziarono subito a studiarli a memoria.

– E ora, compagni – gridò Palla di Neve, mettendo giù il pennello, – tutti al campo! Sarà un punto d’onore per noi finire il raccolto più velocemente di quanto avrebbero fatto Jones e i suoi uomini.

Ma in quel momento le tre mucche, che sembravano inquiete già da un po’, emisero un lungo muggito. Non erano state munte da ventiquattro ore e avevano le mammelle piene da scoppiare.

Dopo una breve riflessione, i maiali ordinarono di prendere dei secchi e, visto che le loro zampe si adattavano bene allo scopo, munsero le mucche con successo.

Presto furono riempiti cinque secchi di cremoso latte spumeggiante che molti animali guardavano con vivo interesse.

– Che ne facciano di tutto questo latte? – chiese qualcuno.

– Jones qualche volta lo aggiungeva al nostro pastone – disse una gallina.

– Lasciate perdere il latte, compagni! – gridò Napoleone, piazzandosi davanti ai secchi. – Ce ne occuperemo dopo. Adesso è più importante il raccolto. Il compagno Palla di Neve vi guiderà. Io vi seguirò tra pochi minuti. Forza, compagni, il fieno vi aspetta!

E gli animali marciarono verso il campo per iniziare la falciatura. Ma quando tornarono, la sera, scoprirono che il latte era misteriosamente scomparso.

Capitolo 3

Quanta fatica e quanto sudore per falciare e portare dentro il fieno! Ma gli sforzi degli animali vennero ricompensati perché il raccolto fu più abbondante di quanto avessero sperato.

A volte il lavoro era duro; gli attrezzi agrari erano stati costruiti per gli esseri umani e non per gli animali, ed era un grande svantaggio che nessuno fosse in grado di utilizzare strumenti che richiedevano una posizione eretta. Però i maiali erano talmente astuti che trovavano sempre un modo per aggirare le difficoltà.

I cavalli, dal canto loro, conoscevano il campo palmo a palmo e si intendevano di rastrellatura e falciatura molto meglio di Jones e dei suoi braccianti.

A dire il vero, i maiali non lavoravano, ma controllavano e dirigevano gli altri: e visto e considerato che possedevano una cultura superiore, era naturale che assumessero il comando.

Gondrano e Berta si attaccavano da soli alla falciatrice o al grande rastrello (ovviamente morso e redini non erano più necessari, ormai) e si trascinavano in lungo e in largo attraverso il campo, seguiti da un maiale che li esortava con grida come: “Avanti, compagni!” oppure “Indietro, compagni!” a seconda del caso.

E ogni animale, anche il più umile, contribuiva al lavoro collettivo, rivoltando e raccogliendo il fieno. Perfino le anatre e le galline si affannavano avanti e indietro tutto il giorno sotto il sole, portando nel becco minuscoli fili di fieno.

Alla fine gli animali terminarono il raccolto con due giorni di anticipo rispetto a quanto impiegavano solitamente Jones e i suoi uomini. Era inoltre il raccolto più abbondante nella storia della fattoria. Nulla andò sprecato: le galline e le anatre, grazie alla loro

vista acuta, avevano raccolto fino all’ultimo filo. E nessun animale della fattoria aveva rubato un solo boccone.

Per tutta l’estate il lavoro si svolse con la regolarità di un orologio.

Gli animali non erano mai stati così felici. Ogni boccone di cibo era un vero, intenso piacere perché non lo avevano elemosinato da un padrone avaro, ma era stato prodotto da loro e per loro.

Adesso che si erano liberati degli uomini parassiti e buoni a nulla, le razioni di cibo erano abbondanti per tutti. E avevano anche più tempo libero per riposarsi, nonostante la loro inesperienza.

Non mancavano certo le difficoltà. Per esempio, verso la fine dell’anno, quando arrivò il momento della mietitura, dovettero calpestare il frumento come si faceva una volta e soffiar via la pula con il fiato, dato che non possedevano una trebbiatrice. Nonostante ciò i maiali con la loro intelligenza, così come Gondrano con i suoi muscoli possenti, riuscivano a risolvere ogni problema.

Gondrano suscitava l’ammirazione generale. Era riconosciuto come un gran lavoratore già ai tempi di Jones, ma ora lavorava con la forza di tre cavalli messi insieme. In certi giorni tutta l’attività della fattoria sembrava pesare sulle sue poderose spalle. Spingeva e tirava dalla mattina alla sera, sempre presente dove c’era bisogno di fare i lavori più faticosi. Si era messo d’accordo con un galletto affinché lo svegliasse mezz’ora prima di tutti gli altri per svolgere volontariamente le mansioni più urgenti prima che iniziasse la regolare giornata lavorativa. La sua risposta a qualsiasi problema, qualsiasi ostacolo, era:

– Lavorerò di più.

Questa frase era diventata il suo motto.

Comunque tutti gli animali si davano da fare e ognuno lavorava secondo le proprie capacità. Le galline e le anatre, per esempio, durante la mietitura avevano recuperato cinque misure di grano raccogliendo i chicchi caduti qua e là.

Nessuno rubava, nessuno si lamentava della propria razione di cibo: le invidie, i morsi e i litigi quotidiani dei vecchi tempi erano quasi scomparsi.

La fattoria degli animali

Nessuno batteva la fiacca, cioè, quasi nessuno. Molly non si alzava volentieri al mattino presto, a dire il vero, ed era incline a lasciare il lavoro in anticipo con il pretesto che un sassolino le era entrato nello zoccolo. E anche il comportamento della gatta era piuttosto singolare. Gli altri animali non tardarono ad accorgersi che era introvabile quando c’era qualcosa da fare. Spariva per ore intere e poi riappariva all’ora dei pasti, oppure la sera, dopo che il lavoro era stato ultimato, come se niente fosse. Ma ogni volta trovava delle scuse talmente convincenti e faceva le fusa in modo così affettuoso che era impossibile mettere in dubbio le sue buone intenzioni.

Quanto a Beniamino, il vecchio asino, non era cambiato affatto dopo la rivoluzione. Faceva il proprio dovere come ai tempi di Jones, nello stesso modo lento e ostinato e senza tirarsi indietro, ma non si offriva certo di fare del lavoro straordinario. Sulla rivoluzione e sulle sue conseguenze non si pronunciava. Quando qualcuno gli chiedeva se fosse più felice ora che Jones era stato cacciato, diceva soltanto:

– Gli asini vivono a lungo. Nessuno di voi ha mai visto un asino morto.

E gli altri dovevano accontentarsi di questa enigmatica risposta.

La domenica non si lavorava. Gli animali facevano colazione un’ora più tardi e poi aveva luogo una cerimonia che si ripeteva tutte le settimane, senza eccezioni.

Innanzitutto veniva issata la bandiera. Nella selleria, Palla di Neve aveva recuperato una vecchia tovaglia verde della signora Jones sulla quale aveva dipinto in bianco un corno e uno zoccolo di cavallo.

Ogni domenica mattina, nel giardino della casa colonica, questa “bandiera” veniva innalzata sul pennone. Palla di Neve spiegò che il verde rappresentava i campi di Inghilterra, mentre il corno e lo zoccolo simboleggiavano la futura Repubblica degli Animali, che sarebbe stata proclamata a seguito della distruzione definitiva della razza umana.

Dopo l’alzabandiera, gli animali marciavano verso il grande granaio; là si teneva una riunione generale chiamata il Consiglio, in cui si stabiliva il piano di lavoro della settimana successiva e venivano presentate e discusse le varie proposte. Erano sempre i maiali a esporre i progetti. Gli altri animali avevano capito come dovevano votare, ma non erano in grado di esprimere alcuna proposta.

Palla di Neve e Napoleone erano sicuramente i più attivi durante i dibattiti. Peccato che non fossero mai d’accordo: qualunque cosa proponesse uno, c’era da scommettere che l’altro si sarebbe opposto.

Anche quando fu deciso di destinare il piccolo recinto dietro il frutteto a luogo di riposo per gli animali non più idonei al lavoro – scelta al di sopra di ogni obiezione – tra i due scoppiò una violenta discussione sui limiti d’età di pensionamento per ogni specie.

Il Consiglio terminava sempre con il canto di Animali d’Inghilterra e il pomeriggio veniva dedicato allo svago.

I maiali si erano riservati la selleria come quartier generale. Qui, la sera, con l’aiuto dei libri che avevano preso dalla casa colonica studiavano le arti e i mestieri utili al buon andamento della fattoria: le tecniche del maniscalco, per esempio, o quelle di falegnameria.

Palla di Neve era anche molto impegnato a organizzare gli animali in comitati, in questo era instancabile.

Costituì per le galline il Comitato Produzione Uova e per le mucche la Lega Code Pulite; allo scopo di addomesticare topi e conigli formò il Comitato Rieducazione Animali Selvatici; creò il Movimento Lana Immacolata per le pecore e altri ancora, oltre all’istituzione di classi di lettura e scrittura.

In generale, questi progetti risultarono fallimentari. Il tentativo di addomesticare le bestie selvatiche, per esempio, fu interrotto quasi subito, dato che continuavano a comportarsi esattamente come prima, anzi approfittavano del modo generoso in cui venivano trattate.

La fattoria degli animali

La favola senza tempo, feroce critica a tutte le dittature.

In una fattoria d’Inghilterra circondata dai verdi prati, gli animali lavorano senza sosta, soggiogati da un padrone avido e sfruttatore. Fino al giorno in cui decidono di fare la rivoluzione. Per scrivere La fattoria degli animali, George Orwell si ispirò alla Rivoluzione Russa del 1917 e ai suoi sviluppi. Molti protagonisti del romanzo prendono spunto da personaggi storici realmente esistiti: il signor Jones è lo zar Nicola II, il Vecchio Maggiore è Lenin, Napoleone ritrae Stalin, i cani allevati da Napoleone rappresentano la polizia segreta di Stalin, le pecore sono il popolo facilmente manipolabile.

La fattoria degli animali è un capolavoro che può essere letto come l’allegoria di tutte quelle rivoluzioni che alla fine tradiscono il proprio scopo: abbattere le dittature e creare una società più giusta e libera.

Il libro continua online su daileggiamo.it

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La fattoria degli animali by Gruppo Editoriale Raffaello - Issuu