

Eleanor Hodgman Porter Pollyanna
Eleanor Hodgman Porter
Pollyanna

Narrazione di Alessia Racci Chini
Illustrazione di copertina
Erika De Pieri
Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini
Team grafico: Enzo Bocchini
© 2021
Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it - info@grupporaffaello.it www.ilmulinoavento.it - info@ilmulinoavento.it Printed in Italy
I Edizione 2021
Ristampa: 5 4 3 2 1 0 2025 2024 2023 2022 2021

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L’arrivo di Pollyanna
La signorina Polly Harringotn entrò in cucina con passo affrettato. Con tono severo si rivolse alla giovane domestica, a servizio da soli due mesi:
– Nancy, quando hai finito qui in cucina, devi andare a sistemare il sottotetto.
– Sì, signora – rispose la ragazza strofinando una brocca.
– Nancy, vorrei che quando ti parlo mi dedicassi più attenzione.
La ragazza ripose subito la brocca ingoiando un boccone amaro.
– Dovrai pulire bene quella stanza poiché verrà a stare da noi mia nipote Pollyanna, che ha undici anni – aggiunse severa la signorina Polly.
Nancy spalancò gli occhi.
– Una bambina? Non sapevo avesse una nipote. È una notizia bellissima!
La signorina Polly sollevò arcigna un sopracciglio.
– Una bella notizia? Ne avrei fatto anche a meno, ma non posso sottrarmi a miei doveri. Mia sorella Jennie, la madre della bimba, è morta da tempo. Adesso anche suo padre, il reverendo John Whittier, è mancato. La bambina è rimasta orfana e mi hanno scritto dalla sua parrocchia, dall’altra parte del continente, per chiedermi di farmene carico.
La signorina Polly estrasse dalla tasca la lettera con cui aveva avuto la notizia. Sapeva di dover accogliere l’orfana, ma era ancora piena di
risentimento per come la sorella Jennie, molti anni prima, avesse abbandonato la sua famiglia e seguito un giovane pastore pieno di ideali e senza un soldo, rinunciando a un matrimonio più facoltoso, come si conveniva a una signorina della famiglia Harringotn.
Nancy sgobbò a lungo per rimettere in sesto la soffitta. La sua testa era piena di domande: per quale motivo la signorina Polly aveva scelto per la nipote una sistemazione misera come l’abbaino, senza neppure un camino per l’inverno, nonostante la casa sulla collina fosse piena di stanze? Rammaricata, la ragazza scese in giardino per fare due chiacchiere con il vecchio Tom, che da molti anni lavorava nella tenuta come giardiniere.
– Mi chiedo proprio come farà a vivere la signorina Polly con una bambina per casa –disse Nancy dopo aver raccontato la grande novità.
– Be’, io invece mi chiedo cosa farà una bambina con la signorina Polly per casa – rispose Tom.
– Come se potesse esserci qualcuno capace di affezionarsi a lei! – disse Nancy.
Il vecchio Tom fece un sorriso malinconico.
Curvo sotto il peso degli anni, conosceva bene la famiglia Harrington.
– Il brutto carattere della signorina Polly dipende da un vecchio amore finito male. Da allora è molto cambiata e ha corazzato il cuore dietro il senso del dovere.
A Nancy sembrò impossibile che qualcuno avesse amato quella donna scontrosa.
– Quel tizio vive ancora in città – aggiunse
Tom, sapendo che la cosa non aiutava a guarire la ferita della signorina Polly.
Qualche giorno dopo, arrivò il telegramma che annunciava l’arrivo di Pollyanna a Beldingsville il 28 di giugno con il treno del pomeriggio.
Nancy era seduta nel calesse assieme a Timothy, il figlio del vecchio Tom, un bel ragazzo di cui era già diventata amica. Mentre percorrevano la strada verso la stazione, ripeteva tra sé: – Capelli chiari, vestito a quadretti rosso, cappello di paglia.
Aveva timore di dimenticare quei pochi indizi del telegramma che gli avrebbero permesso di riconoscere la bambina. La ragazza era furiosa:
– Io, nei panni della signorina Polly, mi vergognerei! – disse scandalizzata. – Arriva l’unica nipote e lei non si degna nemmeno di venire alla stazione. Mai sentita una roba simile.
Quando il trenò arrivò, scese una bambina esile con i capelli biondi, dall’aria smarrita. Si girava a destra e sinistra, alla ricerca di qualcuno.
Nancy la riconobbe subito.
– Tu sei la signorina Pollyanna, vero? – balbettò la domestica.
A quelle parole, Pollyanna si lanciò tra le braccia della ragazza.
– Sono tanto felice di vederti! – disse.
Nancy sentì salire l’imbarazzo, ma Pollyanna non le diede il tempo di pensarci troppo perché la invase di mille parole. Raccontò del viaggio, del padre che aveva raggiunto la madre in cielo, di come era stata accudita dalle signore della beneficienza, persino di come le avevano trovato quel vestito a quadretti, che forse era
meno indicato di un abito nero da lutto, ma di certo più bello. Caricarono il piccolo baule della bambina sul calesse e ripartirono alla volta della tenuta sulla collina. Per tutto il tempo Pollyanna parlò senza prendere fiato:
– Certo, con un vestito nero sarebbe stato più difficile essere felice oggi, ma… – disse Pollyanna per ricucire le fila del discorso.
– …Felice? – domandò Nancy sorpresa. Le sembrava impossibile che la bambina, date le cose tristi accadute negli ultimi tempi, potesse parlare di felicità.
– …Però sono sicura che tutto andrà meglio – disse Pollyanna – adesso che sono qui con te, zia Polly.
La faccia di Nancy si riempì di sbigottimento.
– Oh, no, no. Non sono tua zia, cara. Sono Nancy, la domestica – rispose con imbarazzo.
Timothy ridacchiò divertito, mentre Pollyanna spalancava gli occhi confusa. Dopo un istante di silenzio, proseguì:
– Sai una cosa? Dopotutto sono proprio felice che la zia non sia venuta a prendermi, così intanto ho potuto conoscere te.
Nancy arrossì e Timothy si voltò verso di lei con un sorriso canzonatorio.
Mancava ancora un po’ di strada per raggiungere la tenuta. D’un tratto la grande casa bianca con le persiane verdi si mostrò.
– Oh, è stupenda! – esclamò. – Come dev’essere bello vivere in una casa così. Ci sono i quadri? E i tappeti? – la bambina non riusciva a smettere di fare domande, immaginando come sarebbe stato diverso abitare in una dimora così sontuosa per lei che non aveva mai avuto nemmeno un quadro appeso in casa. –O meglio, un quadro l’abbiamo avuto – disse per correggersi. – Anzi, due. Li abbiamo ricevuti con la beneficienza, ma mio padre ha dovuto venderne uno per comprarmi le scarpe, mentre
l’altro era così malandato che appena l’abbiamo appeso si è rotto. Mamma mia, che casa bellissima! – esclamò mentre il calesse percorreva il viale di ingresso.
Quando Nancy e Pollyanna apparvero nella porta del salotto, la signorina Polly sollevò appena gli occhi dal libro.
La bambina le si gettò fra le braccia e la signorina Polly, scandalizzata, restò rigida come una statua di pietra. Si tolse di dosso le braccia della nipote, l’osservò e disse:
– Pollyanna, cerca di stare composta come si conviene. Avrai un baule, immagino.
Pollyanna indietreggiò subito.
– Oh, sì, zia Polly. Ma non c’è granché. Ci sono i libri di mio padre e…
– Pollyanna! – l’interruppe la signorina Polly.
– Mettiamo subito in chiaro una cosa: non voglio che parli di tuo padre. Andiamo di sopra, ti mostro la tua stanza. Il baule sarà già lì, immagino.
Senza dire una parola, la bambina seguì la donna. Aveva le labbra tremanti e sentiva il cuore invaso di pensieri: ‘Dopotutto sono felice che la zia non voglia che parli di mio padre. Sono certa che è per il mio bene’, pensò. Si asciugò una lacrima segreta e tornò a osservare ogni cosa con entusiasmo. Lungo il corridoio, scrutò tra le porte socchiuse i mobili eleganti, i drappeggi delle tende e i tappeti.
– Oh, zia Polly, com’è bello qui! Devi essere felice di essere così ricca.
La signorina Polly si voltò di scatto.
– Pollyanna! – esclamò furente. – Come ti permetti di farmi un discorso del genere?
Pollyanna l’osservò con aria smarrita, incapace di capire cosa avesse detto di sbagliato.
– Perché, zia Polly, non sei felice? – domandò con la bocca a penzoloni.
– Certo che no, Pollyanna. Sarebbe un peccato di orgoglio gioire della ricchezza concessa
dal Signore. Che venalità!
La signorina Polly, di fronte all’evidente vanità della nipote, si convinse di aver fatto bene a scegliere per lei la misera stanza nel sottotetto. Così avrebbe imparato la lezione! Ma Pollyanna, mentre percorreva i corridoi, continuava a domandarsi dietro quale porta incantata si trovasse la sua nuova stanza.
La signorina Polly aprì una porta dalla quale risaliva un’angusta scala di servizio. In cima, nella semi oscurità, vi erano ammassati bauli e scatole. Più in là, si apriva un’altra porta.
– Ecco, Pollyanna, quella sarà la tua stanza. Il baule di certo è già stato portato su.
La bambina entrò nella stanzetta con gli occhi sbarrati: non era buia, ma con le finestre chiuse faceva un caldo soffocante. Oltre al letto, vi erano solo due sedie, una cassettiera senza specchio, un tavolo e un catino per lavarsi.
– Puoi darti da fare per sistemare i bagagli, Pollyanna – disse la signorina Polly. – La cena verrà servita alle sei in punto.
Si chiuse la porta alle spalle e lasciò la bambina da sola.
Pollyanna sentì affiorare le lacrime. Si guardò attorno per cercare a tutti i costi qualcosa di cui essere felice, ma non era facile.
– Allora… – disse dopo un po’, tirando su col naso, – posso essere felice perché senza specchio non sarò costretta a vedere le mie lentiggini.
Andò verso la finestra e d’improvviso sentì il cuore farsi più leggero: lì fuori c’era il panorama più bello che avesse mai visto, meglio di qualsiasi quadro.
Sentì la tristezza scivolare via: quello sì che era qualcosa di cui essere felice!
Corse verso l’altro lato della stanza, dove si apriva una seconda finestra sfiorata dalle fronde di un albero.
– Penso proprio di farcela – ridacchiò. Salì nel davanzale e un attimo dopo era già tra i rami. Era abituata a quel gioco. Raggiunse agile il ramo più basso, si dondolò sulle braccia e con il fiato sospeso atterrò nel giardino. Si guardò attorno, vide un vecchio ricurvo che lavorava l’orto e, in lontananza, un pino solitario sulla cima di una collina, con accanto una curiosa roccia.
Per Pollyanna sembrò esserci un solo posto al mondo dove valesse la pena di andare: la cima di quella roccia. Oltrepassò il vecchio e si fece strada verso la collina.
Quindici minuti più tardi, l’orologio a pendolo in casa Harrington scoccò le sei.
Trascorsero uno, due, tre minuti. La signorina Polly corrugò la fronte impaziente.
– Nancy! Avevo chiesto a Pollyanna la massima puntualità. Vai a chiamarla e dille che al posto della cena le verrà servito pane e latte in cucina! Così imparerà le maniere!
Nancy salì fino all’abbaino, dov’era certa di trovare Pollyanna addormentata, stremata dal viaggio e dalle lacrime. Ma un attimo dopo, emise un grido di spavento. Corse giù per le scale, fino al giardino, chiamando a gran voce il vecchio Tom.
– Se n’è andata! È sparita!
Il vecchio Tom si guardò attorno.
– È andata nel posto più vicino al cielo – disse osservando Pollyanna in cima alla roccia.
Nancy strinse la testa fra le mani e corse nel sentiero verso la collina.
Più tardi, nella cucina, Pollyanna era seduta di fronte al tavolo con la tazza di pane e latte.
– Santo cielo, che paura signorina mi hai fatto prendere – non faceva che ripetere la domestica. – Mi spiace tu sia costretta a mangiare pane e latte.
– Io invece sono molto felice! Mi piacciono il pane e il latte e sono contenta di stare qui con te.
– Ma come fai, signorina Pollyanna, a essere sempre felice di tutto?
– Il merito è di un gioco che mi ha insegnato mio padre quando ero molto piccola. Si chiama Gioco della felicità.
Nancy ascoltava curiosa poiché non s’intendeva granché di giochi. Allora Pollyanna le spiegò per bene:
– È cominciato una volta che nel pacco di beneficienza ho ricevuto delle stampelle al posto di una bambola. Ero molto triste, allora mio padre mi ha detto: ‘Prova a trovare un motivo per essere felice lo stesso’. E alla fine l’abbiamo trovato.
Nancy alzò gli occhi al cielo, incredula che ci potesse essere qualcosa di cui essere felice se al posto di una bambola ricevi delle stampelle.
– E quale sarebbe la cosa di cui gioire? – domandò perplessa.
– È semplice. Puoi essere felice perché non devi usare le stampelle! – rispose Pollyanna ridendo. – Non è bello? Da quel giorno non ho mai smesso di giocare.
‘Che bambina sorprendente’ pensò Nancy poco più tardi, mentre lavava i piatti.
La conosceva da poche ore e già le voleva bene. Anzi, di più: desiderava essere per lei un rifugio, una consolazione. “Se proprio occorre giocare a questo Gioco della felicità per riuscire a esserlo” disse tra sé la domestica, “allora ho proprio l’intenzione di giocare”.
La vita in casa Harrington
Il mattino seguente, Pollyanna si svegliò alle
sette, corse giù per le scale dell’attico lasciando aperte tutte le porte e raggiunse la signorina
Polly in giardino. La donna stava parlando con il vecchio Tom di un cespuglio di rose, quando Pollyanna le si lanciò alle spalle per abbracciarla.
– Oh, zia Polly, sono così felice di essere qui con te!
– Pollyanna! Ti sembra questo il modo di dare il buongiorno? – rispose severamente la donna.
– Ti ho vista dalla finestra, zia. Ho avuto voglia di correre da te che sei la mia vera zia, invece che una signora della beneficienza.
La donna finì di impartire gli ordini al giardiniere, poi si avviò verso la casa. Poco più tardi, lei e Pollyanna si ritrovarono per la colazione.
– Nancy, da dove sono entrate quelle mosche? – domandò con la bocca corrugata la signorina Polly.
– Non saprei, signora. Non ce n’era nemmeno una in cucina.
– Credo siano le mie mosche, zia Polly – osservò Pollyanna. – Sono entrate di sicuro dalla finestra della mia camera e sono scese giù passando dalle porte aperte.
Il volto della signorina Polly divenne paonazzo di rabbia. Prese un grande respiro e disse:
– Pollyanna, pensando al tuo arrivo, ho ordinato delle persiane per le finestre dell’abbaino.
Fintanto che non verranno consegnate, ti prego di fare il tuo dovere: tieni chiuse le finestre! – E perché dovrei tenere chiuse le finestre in estate? – È ovvio! Per impedire alle mosche di entrare – rispose la signorina Polly, e per essere certa che la nipote imparasse la lezione, dopo la colazione le ordinò di andare in camera sua a leggere un libretto sui microbi nelle zampette delle mosche. Quando la signorina Polly raggiunse la bambina, la trovò distesa sul letto, piena di entusiasmo.
– Zia Polly, non ho mai letto nulla di così interessante. Non sapevo quante cose portassero le mosche con le loro zampine. Sono proprio felice che tu mi abbia dato questo libretto. Mi
dispiace essermi dimenticata del mio dovere, non aprirò più la finestra.
La signorina Polly osservò la bambina con sorpresa.
– Pollyanna, è mio dovere prendermi cura di te – disse sottolineando la parola ‘dovere’. – In autunno comincerai la scuola, nel frattempo ho programmato le tue attività settimanali: ogni mattina leggerai ad alta voce per mezz’ora, ma prima avrai messo a posto la tua stanza. Il mercoledì e il giovedì starai in cucina con Nancy, mentre gli altri giorni seguirai le lezioni di cucito con me. Così il pomeriggio avrai il tempo per studiare la musica.
– Oh, zia Polly, ma così non avrò tempo per vivere!
– Vivere, bambina mia? – domandò sorpresa la donna. – Continuerai a vivere per tutto il tempo.
– Ma no, zia Polly – rispose Pollyanna amareggiata, – non potrò giocare o andare a esplorare le colline. Mi resterà solo il tempo di respirare, ma respirare non è vivere!
– Pollyanna, tu sei una bambina molto strana. Come io sono disposta a fare il mio dovere dandoti una buona istruzione, mi aspetto che anche tu faccia il tuo dovere con lo studio e la riconoscenza. Chiaro?
La bambina osservò attonita la donna avanzare verso la porta. Prima di uscire, la donna posò uno sguardo disgustato sugli abiti in fondo al letto.
– Oggi pomeriggio andremo in città per fare acquisti. Sarei molto lontana dal fare il mio dovere se ti mandassi in giro vestita in quel modo.
Rimasta sola nel suo abbaino, Pollyanna pensò che senza ombra di dubbio, la zia Polly amava la parola ‘dovere’ più di ogni altra.
Nel giro di pochi giorni, la vita a casa Harrington prese il suo ritmo, tra lezioni, lettura e momenti di gioco. Tutti i giorni, dalle due alle sei, Pollyanna trascorreva il suo tempo a ‘vivere’, come chiamava lei il tempo speso a fare le cose che più amava, e tutti i domestici si domandavano se la signorina Polly avesse concesso quel tempo libero come un sollievo per Pollyanna, oppure come un sollievo per se stessa.
Tra le cose che Pollyanna amava fare, c’erano alcune commissioni perché poteva conoscere nuove persone.
Così, Nancy, con il permesso della signorina Polly, fu ben felice di mandare Pollyanna a casa della signora Snow.
La signora Snow, costretta a letto da una malattia, era semplicemente detestabile: scorbutica e sempre scontenta di tutto.
– Stai certa che se le porti la gelatina di vitello, lei vuole il brodo di agnello – l’avvertì Nancy.
– E se le porti il brodo d’agnello, vuole il pollo arrosto.
– Ho un’idea, Nancy! – esclamò allora Pollyanna. – Perché non prepariamo tutte e tre le pietanze, così facciamo scegliere a lei?
Il piano sembrava perfetto, così Pollyanna si recò dalla signora Snow con la cesta piena di leccornie.
Quando bussò, una ragazza dal volto stanco le aprì la porta.
– Buongiorno, mi farebbe piacere vedere la signora Snow – disse gentile Pollyanna.
La ragazza la guardò, poi rispose:
– Bene, se è vero quello che dici, saresti la prima persona felice di vedere mia madre – e l’accompagnò fino alla camera. Dentro, nella penombra, s’intravedeva la sagoma di una donna seduta su un letto con la schiena appoggiata ai cuscini.
– Come sta, signora Snow? – domandò Pollyanna. – Mia zia Polly le manda della gelatina di vitello fresca.
– Oh, povera me! – rispose una voce irritata.
– Le sono molto grata, ma speravo ci fosse del brodo di agnello.
– Brodo di agnello? Anche quello ce l’ho! –esclamò trionfante Pollyanna.
– Ma stavo dicendo che quello non lo volevo – sospirò la malata. – Avrei voglia di pollo arrosto.
– Ce l’ho – ridacchiò la bambina. Tirò fuori dalla cesta le pietanze e le sistemò nel tavolo accanto alla donna.
La malata si tirò su nel letto. Era confusa.
– Be’, sei una bambina davvero strana. Potresti andare alla finestra e tirare su le tende? Vorrei sapere che aspetto hai, nella penombra non ti vedo bene.
Pollyanna fu ben felice di eseguire la richiesta e quando tornò verso il letto, disse: – Sono proprio felice di vederla bene anche io, adesso. Non mi ero accorta quanto fosse carina.
– Carina? – domandò la donna sbigottita. Nessuno glielo diceva da molti, moltissimi anni.
– Sì, ha dei bei capelli neri e sarei felice di poterglieli pettinare un po’. Posso?
La signora Snow, frastornata, pur corrugando la fronte, lasciò fare. Poco dopo, si accorse di provare una sensazione bizzarra, qualcosa di simile al divertimento. Per cinque minuti la bambina lavorò lesta le ciocche, dando forma ai riccioli ribelli. Quando ebbe finito, prese dal vaso un garofano rosa e glielo infilò nell’acconciatura.
– Ecco fatto. Guardi! – disse Pollyanna porgendole uno specchio.
– Mah – borbottò la malata osservando l’immagine. – I garofani rosa non mi piacciono. Preferisco quelli rossi. E comunque presto saranno appassiti.
– Penso che dovrebbe essere felice che appassiscano – ridacchio Pollyanna, – così ogni giorno può metterne uno fresco del colore che preferisce. Vede che non è difficile?
– Difficile cosa? – domandò irritata la signora Snow.
– Essere contenti delle cose. È un gioco, glielo insegno.
Pollyanna s’intrattenne ancora a lungo dalla donna e quando se ne andò salutò allegramente
anche la figlia Milly, la ragazza col viso stanco che le aveva aperto la porta. Quando Milly raggiunse la camera della madre, per poco non svenne osservando le tende sollevate e il fiore tra i capelli.
– Be’, che c’è di male? – disse bruscamente la donna. – Non devo mica starmene al buio per tutta la vita! Tu, piuttosto – aggiunse indicando la ragazza – sarebbe bene se mi dessi una camicia da letto nuova!
Milly ansimò e corse verso la cassettiera dove c’erano due camicie nuove che la madre non aveva mai voluto indossare.
Una mattina, Pollyanna ebbe il permesso di accompagnare Nancy per una commissione.
Incontrarono un uomo dall’aria burbera, che indossava una lunga giacca nera e un cappello di seta, ai cui lati spuntavano i capelli brizzolati.
– Buon pomeriggio! – esclamò Pollyanna, e l’uomo rispose: – Buon pomeriggio a te.
Nancy rimase di stucco.
– Santo cielo, Pollyanna. Davvero l’uomo ti ha rivolto la parola? – domandò sottolineando la parola ‘l’uomo’. Era così che tutti in città chiamavano quel signore ombroso.
– Ma certo, lo fa sempre, ora – rispose la bambina. – Ho dovuto faticare un po’ perché all’inizio sembrava non volesse rivolgermi nemmeno lo sguardo. Adesso però ci salutiamo sempre.
Nancy sgranò gli occhi.
– L’uomo non parla con anima viva, Pollyanna. Mai! Vive tutto solo in una grande casa e non vuole nessuno tra i piedi, nemmeno un cuoco. Per mangiare va all’albergo e la ragazza che gli serve in tavola deve indovinare cosa portargli perché non parla nemmeno con lei. Ormai però ha imparato che preferisce le cose poco care, come fagioli e polpette di pesce.
– Perché? È povero? – domandò Pollyanna.
– Oh, no! Ha un sacco di soldi il signor John Pendleton. Non c’è nessuno più ricco di lui in città. Vive in una dimora splendida, piena di belle cose, dicono. Alcuni pensano sia pazzo, altri solo di cattivo umore. In alcuni periodi è sempre in viaggio, Egitto, Asia… Di certo è una persona molto misteriosa!
Pollyanna pensò al curioso signore e alla sua stranezza.
– Sai Nancy che ti dico? Allora sono ancora
più felice che mi parli – sospirò soddisfatta.
Un agosto movimentato
Arrivò il mese di agosto portando con sé molte sorprese.
Prima ci fu il gattino, un batuffolo grigio e pieno di pulci che Pollyanna portò a casa come fosse la cosa più naturale del mondo.
Poi fu la volta di un cane randagio. La zia Polly, com’era successo per il gattino, non trovò la forza di opporsi nonostante l’idea di avere degli animali per casa la facesse rabbrividire. Il fatto era che la bambina suscitava nella donna una sensazione di impotenza che la lasciava spesso ammutolita.
Tuttavia, la sua pazienza venne meno quando Pollyanna portò a casa un orfanello, convinta
che quella zia ‘tanto buona e gentile’, come la definiva lei, accogliesse anche lui: Jimmy Bean.
– Basta così, Pollyanna! – esclamò severa la signorina Polly nel salotto dove avevano fatto irruzione la bambina e il nuovo amico. – Come se non bastassero i gatti e i cani randagi, mi porti in casa anche un mendicante cencioso raccolto per strada e…
A quelle parole, il bambino avanzò verso la donna con gli occhi fiammeggianti.
– Io non sono un mendicante, signora, e non sto chiedendo la carità! Cercavo una casa dove lavorare per pagarmi vitto e alloggio dato che giù all’orfanotrofio a nessuno importa di me –disse affrontando la signorina Polly. Uscì impettito dalla stanza con una dignità capace di far
compassione. Pollyanna gli corse alle calcagna e quando lo raggiunse sul vialetto di casa, gli disse:
– Mi spiace Jimmy. Ma so già cosa farò. Oggi pomeriggio andrò alla riunione delle signore della beneficienza per parlare del tuo caso. Vedrai che una di loro sarà felice di averti in casa.
Dopo pranzo, Pollyanna raggiunse la cappella dove si teneva l’incontro. Vi prendeva parte anche la signorina Polly di solito, ma non quel giorno per via del mal di testa. In cuor suo, Pollyanna era felice che non ci fosse la zia, dato che aveva già detto no al povero Jimmy. Calma e piena di coraggio, nonostante sentisse le gambe tremare dall’emozione, si presentò alle signore come la nipote della signorina Polly e
illustrò per filo e per segno la storia di Jimmy Bean, specificando bene che quel bambino intendeva lavorare, come si era raccomandato lui.
Un acceso mormorio si sentì nella stanza, ma Pollyanna fece fatica a comprendere il senso delle parole. Le signore della beneficienza sembravano molto preoccupate di trovarsi al primo posto di un certo elenco di associazioni caritatevoli. Le sentì persino dire che, per mantenere alto il prestigio della loro, non avrebbero potuto togliere nemmeno un soldo da quelli inviati
ogni anno alle missioni per i bambini dell’India, perché quel tipo di beneficienza dava molti punti.
Così, Pollyanna capì di dover dire a Jimmy
Bean che le signore della beneficienza avevano
preferito mandare tutto il denaro raccolto dalla beneficienza a dei bambini lontani, invece che metterne un poco da parte per un bambino della loro città.
– È così che funziona? – si domandò Pollyanna. – Si pensa di fare del bene migliore a chi sta lontano, invece che a quelli che stanno vicino?
Era così amareggiata che decise di concedersi una lunga passeggiata prima di tornare a casa.
Fu così che imboccò il sentiero verso i Boschi di Pendleton. Nulla l’avrebbe fatta star meglio del verde e della quiete.
Improvvisamente Pollyanna vide venirgli incontro il cane di John Pendleton: ‘l’uomo’.
La bestiolina si comportava in modo strano.
Lanciava latrati acuti e correva avanti e indietro
per il sentiero. Pollyanna capì che voleva farsi
seguire e ben presto comprese la ragione: a pochi metri dal viottolo, in fondo a una roccia a strapiombo, il signor Pendleton giaceva a terra col il viso segnato da una smorfia di dolore. La bambina si precipitò al suo fianco.
– Signor Pendleton! Si è fatto male?
– Male? No, stavo solo facendo un riposino –rispose l’uomo con tono di scherno. Era evidente si fosse fatto molto male. – Ascoltami bene, bambina – riprese il signor Pendleton guardando Pollyanna negli occhi, – prendi questa chiave, corri a casa mia e raggiungi la stanza in fondo al corridoio. Lì, troverai un telefono con accanto una rubrica. Cerca il nome del dottor
Chilton e digli di venire subito qui, sotto la Roc-
cia della Piccola Aquila, con due uomini e una barella.
Pollyanna annuì a ogni parola e, correndo veloce come non mai, in cinque minuti raggiunse la tenuta del signor Pendleton. Percorse il corridoio socchiudendo gli occhi, tanto le sembrava scuro e misterioso. Compiuta la missione, tornò alla svelta dal signor Pendleton e aspettò accanto a lui finché non vide comparire il dottor Chilton con i soccorsi.
Tornò a casa ben oltre le sei, l’ora della cena.
Era certa di buscarsi una bella sgridata dalla zia, ma vide Nancy corrergli incontro con una notizia: la signorina Polly aveva ricevuto un telegramma ed era dovuta partire all’improvviso per via di una parente gravemente malata.
Quando tre giorni dopo tornò la signorina
Polly, Pollyanna le chiese il permesso di portare la gelatina di vitello, oltre che alla signora Snow, di cui era diventata amica, anche al signore che aveva soccorso sotto la roccia.
– Si è rotto la gamba, zia Polly – disse Pollyanna, raccontando tutta la vicenda.
– Sì, va bene – acconsentì la signorina Polly, – ma chi sarebbe quest’uomo?
– Il signor Pendleton, zia Polly. Quello che abita nella casa grande.
La signorina Polly ebbe un violento sussulto, come di fronte a una rivelazione sconvolgente.
– Pollyanna, ho cambiato idea – disse un istante dopo con tono severo. – Preferisco non far avere al signor Pendleton la gelatina.
Per lunghissimi istanti non ci fu verso di capire perché avesse cambiato idea. Ma alla fine Pollyanna riuscì a trovare un compromesso.
– Mi raccomando, porterai la gelatina al signor Pendleton come dono personale – disse la signorina Polly scandendo ogni parola. – E accertati che non pensi che gliel’ho mandata io. Chiaro?
– Sissignora! Grazie, zia Polly.
La grande casa in pietra grigia del signor Pendleton era davvero bella. Probabilmente aveva risparmiato molto denaro a forza di mangiare fagioli e polpette di pesce. Perlomeno era quello che aveva raccontato Nancy sui pasti all’albergo.
– E chi sarebbe questa Nancy? – domando il signor Pendleton, mentre Pollyanna se ne stava seduta accanto al letto durante la visita per portare la gelatina.
– È la domestica di mia zia, Polly Harrington.
Di fronte al quel nome, l’uomo ebbe un sussulto.
– Vuoi dirmi che tu sei la nipote di… Polly Harringotn? – domandò con la faccia pallida. Poi, con un sorriso malinconico aggiunse: – Immagino non sia stata la signorina Harrington a mandarmi la gelatina, vero?
– No, signore. Non è stata lei! – rispose prontamente Pollyanna. – Anzi, la zia mi ha detto che doveva essere molto chiaro che non era lei a mandarla.
– L’avevo immaginato – ammise l’uomo.
– Adesso capisco perché mi ricordi così tanto qualcuno che volevo dimenticare.
Pollyanna non riuscì a comprendere da dove fosse scappata fuori quella sconfinata tristezza sul viso di John Pendleton.
Più tardi, a casa Harringotn, la signorina Polly domandò a Pollyanna se avesse consegnato la gelatina. In realtà, le premeva sapere un’altra cosa:
– Il signor Pendleton non ha pensato che gliela mandassi io, vero? – domandò con voce ambigua.
– Oh, no, zia Polly. Gliel’ho detto chiaro e tondo che non gliela mandavi tu.
La signorina Polly arrossì. Poi, nascondendo il viso tra le mani dalla vergogna, disse:
– Pollyanna, io ti ho detto che doveva essere
chiaro che fosse un tuo dono personale. Il che è molto diverso da andare a spifferargli che io non volevo mandargliela!
Per Pollyanna fu chiaro che quei due si conoscevano e, sotto sotto, c’era qualcosa di strano.
Dovettero passare alcuni giorni perché le cose cominciassero a farsi più chiare.
Durante un giorno molto piovoso, la signorina Polly tornò a casa dall’incontro con le si -
gnore della beneficienza. Aveva i capelli umidi e scomposti, con le forcine allentate, come
Pollyanna non l’aveva mai vista. Scorgere per la prima volta i riccioli della zia fu una specie di illuminazione.
– Zia Polly, sei bellissima così! – disse Pollyanna correndole incontro. – Ti prego, posso pettinarti? Su, ti prego!
La donna provò uno strano palpito di gioia alle parole della bambina, ma allo stesso tempo sentì crescere il solito imbarazzo. Stava per dare una bella risposta severa, quando venne trascinata per le mani da Pollyanna fino alla camera.
Stupita e impotente, si ritrovò seduta di fronte alla toeletta con i capelli già sciolti sulle spalle e dieci piccole dita che trafficavano impazienti tra i suoi ricci.
– Zia Polly, aspettami un attimo, torno subito! –esclamò Pollyanna correndo fuori dalla stanza. Un attimo dopo era già di ritorno con uno scialle bianco e una rosa raccolta in giardino.
Cinse le spalle della zia con l’elegante drappo di pizzo e infilò il fiore tra le ciocche nere, dietro l’orecchio.
Quando la signorina Polly ebbe il permesso di guardarsi allo specchio, arrossì dallo stupore. Si voltò a destra e sinistra per guardarsi meglio, assaporando un’insolita sensazione. Non fece in tempo a soppesare la questione che, voltandosi verso la finestra, vide giù in strada il calesse del dottor Chilton. L’uomo che passava da quelle parti la stava guardando.
La signorina Polly non riuscì a tollerare l’imbarazzo. Con dita tremanti, si liberò dello scialle e disfece l’acconciatura. – Pollyanna! Come hai potuto farmi questo? –gridò infine disperata.
Quella sera, Pollyanna raccontò a Nancy ogni cosa. Aveva bisogno di un consiglio per capire cosa a volte passasse nella testa degli adulti.
Nancy era così eccitata! Le sembrava di raccogliere indizi per risolvere un giallo. Ad un tratto, la domestica balzò in piedi battendo le mani.
– Pollyanna, sono certa di aver capito tutto! Ascoltami e rispondi chiaro e tondo, va bene?
Polyanna annuì.
– La signorina Polly non voleva mandare la gelatina al signor Pendelton, giusto?
– Giusto.
– E il signor Pendleton, dopo aver scoperto
chi era tua zia, ha cominciato a comportarsi in modo strano, dicendo che gli ricordavi qualcuno che avrebbe voluto dimenticare. Giusto?
– Giusto.
Nancy tirò un lungo sospiro.
– Allora ci sono! – disse con aria di importanza. – Il signor Pendleton era l’innamorato della signorina Polly.
– L’innamorato di mia zia? – domandò incredula Pollyanna.
– Sì, me ne ha parlato il vecchio Tom poco prima del tuo arrivo.
– Ma Nancy, non può essere! – esclamò Pollyanna. – Alla zia Polly lui non piace per niente.
– Sciocchina – rispose Nancy ridacchiando.
– Fanno così solo perché hanno litigato. Oh, soli per tutto questo tempo. Che colpaccio sarebbe se tu riuscissi a fargli fare pace!
Giochi di luce e giochi d'ombra
Le calde giornate d’agosto erano ormai alle porte e molte cose erano successe nella vita di Pollyanna, a partire dalla camera nell’abbaino.
La signorina Polly aveva fatto sistemare la nipote al piano di sotto, in una bella stanza con i quadri, le tende e lo stesso panorama tanto amato. Non solo, da lì a poco avrebbe cominciato ad andare a scuola e avrebbe finalmente conosciuto altri bambini.
Nel frattempo, Pollyanna era diventata amica di molte persone in città e non mancava mai di fare visita sia alla signora Snow, che al signor Pendleton, ancora in convalescenza per la frattura alla gamba.
Spesso, sulla via del ritorno, incontrava il dottor Chilton. Allora lui la accompagnava in calesse e la bambina era ben felice di fare quattro chiacchiere con quell’uomo alto, con le spalle larghe. Aveva potuto conoscerlo meglio e, dopo aver scoperto che anche il dottore era molto sofferente per via ‘della mano e del cuore di una donna che aveva perduto molti anni prima’, le piaceva ancora di più.
Tra tutte le visite, Pollyanna amava andare dal signor Pendleton perché le mostrava tanti oggetti curiosi riportati dai lunghi viaggi. Insieme avevano anche scoperto il gioco dell’arcobaleno.
Una mattina, Pollyanna notò sul cuscino del signor Pendleton tanti riverberi colorati. Era la luce del sole che, attraverso il vetro della fine -
stra, veniva scomposta in mille sprazzi di colore.
Allora il signor Pendleton staccò da un vecchio candelabro tutti i pendagli di vetro a forma di prisma e li fece appendere a uno spago teso da un lato all’altro della finestra. La sala si riempì di mille luci, come nel paese delle fate. Sembrava che tutti gli arcobaleni del mondo si fossero dati convegno proprio lì. A Pollyanna piacque così
tanto quel gioco che il signor Pendleton le regalò i pendagli e lei volle portarne un po’ nella sua camera e altri dalla signora Snow.
Fu proprio durante una delle visite al signor
Pendleton che Pollyanna apprese che l’uomo non era mai stato l’innamorato della signorina Polly. Lei e Nancy avevano decisamente preso un granchio.
– È vero Pollyanna, molti anni fa ho amato
una donna – ammise il signor Pendleton, – speravo di portarla a vivere qui, ma le cose non andarono così. Da allora, questa grande casa di pietra grigia è triste e vuota perché ci vogliono la mano e il cuore di una donna o la presenza di un bambino per fare di una casa, una vera casa.
L’uomo parlava con voce triste, come se il suo cuore fosse ancora pieno di un antico dolore.
Per Pollyanna però il vero sconvolgimento arrivò quando apprese che la donna che aveva tanto amato il signor Pendleton era sua madre Jennie, prima che lei lo rifiutasse per seguire il pastore Whittier.
– Per molti anni sono stato un uomo scorbutico, bisbetico, amato da nessuno – proseguì il signor Pendleton, – ma poi sei arrivata tu, Pollyanna, come un arcobaleno danzante nella mia vita. Ho pensato di non vederti più perché mi ricordavi tua madre, ma adesso mi sono così affezionato a te che vorrei…
Le parole dell’uomo s’interruppero. Era chiaro che stava per chiedere alla bambina una cosa enorme.
– Vorrei adottarti, Pollyanna. Verresti ad abitare in questa casa?
Pollyanna trasalì.
– Ma signor Pendleton, zia Polly non me lo permetterebbe mai – rispose. – Io adesso appartengo a lei.
– Prima di appartenere a tua zia, appartenevi a tua madre. Puoi immaginare cosa significhi per me adottare la figlia della donna che amavo?
Pollyanna poteva comprendere. Ma non avrebbe mai voluto dare quel dispiacere alla zia Polly. Proprio adesso, poi, che la donna la guardava con occhi diversi, meno severi, se non addirittura più dolci. Era dispiaciuta per la vita
solitaria del signor Pendleton, ma cosa avrebbe potuto fare? Lei desiderava davvero restare con la zia. Fu in quel momento che l’idea le balenò nella testa e dovette alzarsi in piedi dalla gioia:
– Signor Pendleton! Ha detto che solo la presenza di una donna o di un bambino fanno di una casa una vera casa, giusto? Allora, potrebbe accogliere in casa Jimmy Bean!
– Prendere… chi? – domandò esterrefatto il signor Pendleton. E la bambina, come un fiume in piena, gli raccontò tutta la storia dell’amico orfano.
Fu l’ultimo giorno di ottobre che accadde l’incidente. Pollyanna tornava da scuola e venne investita da un’auto. Nel corri corri generale venne portata a casa, messa a letto e subito visitata dal dottore Warren, il medico della famiglia Harrington. La signorina Polly appariva pallida come non mai e bastava guardarla in viso per comprendere che la sua preoccupazione non dipendeva solo dal senso del dovere, ma da un sentimento vero che aveva iniziato a provare per la bambina.
Non c’erano ossa rotte e non era il piccolo taglio in testa, né la febbre a preoccupare.
Semmai il fatto che la bambina non riuscisse a muovere le gambe. Ma il dottor Warren era stato lapidario: bisognava aspettare.
Dovette passare un’altra settimana perché
Pollyanna iniziasse a comprendere qualcosa.
– Dunque sono ferita, e non malata? – domandò. Stesa sul letto, osservava la danza di luci sul soffitto provenire da uno dei prismi alla finestra e, anche in quella occasione, poté trovare dei motivi per cui essere felice. – Sono contenta che non sia tosse convulsa perché l’ho avuta ed è terribile – disse, mentre la signorina Polly, seduta accanto al letto, la guardava con tenerezza. – Sono anche contenta che non
sia morbillo, perché è contagioso e non ti lascerebbero stare qui. Mentre io adoro stare con te.
In quei giorni, a casa Harrington ci fu un gran via vai di persone. Persino il signor Pendleton non mancò di far visita. Quando Nancy andò ad aprire la porta, per poco non svenne. Provò anche un grande imbarazzo per aver pensato che fosse lui l’innamorato della signorina Polly.
La domestica decise allora di andare nell’orto per interrogare il vecchio Tom: desiderava tanto capirci qualcosa in più.
Prese il discorso alla larga, ma poi preferì andare dritta al sodo:
– Stammi a sentire Tom, se il signor Pendleton non era l’innamorato della signorina Polly, ma della sorella di lei, per quale motivo quei
due non si parlano da anni e sembra che lei ce l’abbia tanto con lui?
L’anziano uomo, curvo sulle piante, si raddrizzò.
– Per colpa dei pettegolezzi. Dopo che la signorina Jennie lasciò il signor Pendleton, la signorina Pollly ne fu molto dispiaciuta. Così cercò di essere gentile con lui, ma le malelingue dissero che lei gli correva dietro. Nessuna ragazza sopporterebbe una cosa simile. Figuriamoci una orgogliosa come la signorina Polly! Nello stesso periodo avvenne il litigio con quel suo innamorato. Allora lei si chiuse come un’ostrica e non volle più avere a che fare con nessuno.
– Per questo sono quasi svenuta quando ho visto il signor Pendleton sulla porta! – esclamò
Nancy. – Quei due non si parlano da anni.
– Uhm, e lei che cosa ha detto? – domandò il vecchio Tom.
– All’inizio nulla, sembrava una statua di cera.
Poi ha detto di farlo entrare e che sarebbe scesa subito da lui.
Nello stesso momento, nel salotto di casa
Harrington, la signorina Polly e il signor Pendleton, dopo molti anni, erano l’uno di fronte all’al-
tra. L’uomo volle sapere come stesse Pollyanna e spese parole colme di tenerezza per la bambina:
– Voglio molto bene a Pollyanna – disse l’uomo. – Le voglio bene sia per se stessa, che per sua madre ed ero pronto ad accoglierla come una figlia per donarle tutto l’amore che ho tenuto chiuso dentro di me per molti anni.
‘Amore’: era dunque questa la chiave di tutto?
La signorina Polly ripensò al senso del dovere con cui aveva accolto la bambina. Un dovere senza amore, all’inizio. Ma si accorse di come le cose fossero cambiate. Con un tuffo al cuore, comprese come la sua vita sarebbe stata triste senza Pollyanna.
Nei giorni seguenti, venne fatto arrivare da New Yok un luminare. Quando a Pollyanna venne detto che un altro dottore sarebbe arrivato, un lampo di felicità le illuminò il viso.
– È il dottor Chilton! Oh zia Polly, vorrei tanto che venisse il dottor Chilton. Lo volevo fin dall’inizio, ma avevo paura che tu non fossi d’accordo a causa di quel giorno che ti ha visto dalla
finestra con lo scialle e la rosa nei capelli. Ti sei arrabbiata così tanto!
Il volto della zia diventò prima paonazzo, poi pallido.
– No cara, non mi riferivo al dottor Chilton. Ma a un medico famoso che verrà apposta per te.
Pollyanna insistette a lungo, ma la zia fu irremovibile, come ci fossero ragioni misteriose per cui era tassativamente proibito chiamare il dottor Chilton.
Arrivò il giorno della visita del famoso luminare e il responso fu il più terribile: Pollyanna non avrebbe più potuto camminare. Fu così che, per la prima volta, la bambina non riuscì a giocare al Gioco della felicità.
Tra le lacrime, si diceva come fosse stato facile per lei spiegare a un invalido come essere felice, ma che non era la stessa cosa se l’invalido eri
tu. Non c’era nulla fare: trovare un solo motivo per cui essere felice era impossibile.
Come avviene in tutte le piccole città, non passò molto tempo che l’intera Beldingsville venne a conoscenza della notizia. Mai, prima di allora, la cittadina era stata così in subbuglio.
La gente ormai conosceva quella bimbetta vivace col viso costellato di lentiggini e, soprattutto, quasi ognuno di loro conosceva il gioco con cui Pollyanna aveva tentato di rischiarare le loro vite.
Ogni giorno, qualcuno bussava a casa Harringotn per portare un saluto. Anche se la signorina Polly ancora non concedeva visite alla bambina, era ben felice di riferirle i messaggi.
Fu davvero sorpresa di vedere come ciascuno dei visitatori ringraziasse Pollyanna per il gioco che aveva loro insegnato.
– E mi raccomando, signorina Harrington, dica alla bambina che adesso sono molto felice!
Questo dicevano tutti: ‘sono contento’. O ’sono felice’. O ancora, ’ho trovato una gran gioia’.
La signorina Polly comprese che Pollyanna aveva trasmesso a tutte quelle persone un gioco speciale che lei, Polly Harringotn, ignorava.
Fu Nancy a spiegarglielo. La domestica le disse anche che Pollyanna avrebbe tanto voluto
parlargliene, ma poiché le era stato proibito di parlare del padre, e quel gioco glielo aveva insegnato proprio il pastore Whittier, non lo aveva fatto per non mancare alla parola data.
La signorina Polly ne restò commossa. A passo lesto andò nella camera della bambina per dirle che adesso lo conosceva anche lei quel gioco.
– Pollyanna, penso sia un gioco bellissimo e voglio giocarlo con te!
– Oh zia Polly, come sono felice. Ho sempre desiderato fare il Gioco della felicità con te, più di chiunque altro.
La signorina Polly aveva il cuore gonfio di una sensazione che, finalmente, sentiva di non dover scacciare via. Soprattutto, aveva ancora una grande notizia da comunicare alla bambina.
– Pollyanna, ho un messaggio per te dal signor Pendleton – disse la donna. – Si è raccomandato di dirti che ha finalmente visto Jimmy Bean e che, se tutto andrà bene, lo adotterà. Hai capito, Pollyanna? Sarà il suo bambino!
Il viso della bambina s’illuminò di una luce meravigliosa.
– Zia Polly, ho trovato finalmente un motivo per cui essere contenta. Posso esserlo perché grazie alle mie gambe ho potuto fare tutto questo.
Jimmy e la finestra socchiusa
Anche l’inverno passò. A Pollyanna le giornate non erano mai sembrate così lunghe. Per fortuna la zia Polly era diventata bravissima con il Gioco della felicità e riusciva sempre a trovare cose semplici di cui essere contenti.
Gli abitanti di Beldingsville seguivano ansiosamente le condizioni della bambina, tra chi veniva per un saluto, e chi portava una leccornia, ma tutti notarono ben pochi progressi. Sembravano esserci tutte le ragioni per credere che Pollyanna non avrebbe mai più potuto camminare.
Tra tutti, c’era una persona che viveva la situazione con uno strazio particolare, perché
aggravata da un conflitto che si trascinava dietro da molti anni: il dottor Thomas Chilton.
La sua determinazione ebbe la meglio e una mattina si recò dal signor Pendleton, di cui era amico oltre che medico personale, per affrontare la questione.
– Pendleton – esordì il dottore. – Tu, meglio di chiunque altro, conosci i miei rapporti personali con la signorina Polly, anche se ti ho fatto divieto di tirare fuori l’argomento.
Il signor Pendleton sussultò.
– Sì, Thomas – rispose, sforzandosi di non mostrarsi troppo curioso, né preoccupato.
– Tu sai che molto tempo fa sono stato fidanzato con la signorina Polly e che, da allora, non posso recarmi a casa sua perché, se Polly
mi avesse invitato, voleva dire che mi chiedeva scusa e che mi avrebbe sposato – proseguì il dottore. Il signor Pendleton annuì.
– Ebbene, devo assolutamente andare a visitare Pollyanna perché ci sono buone possibilità che la bambina possa guarire!
Il signor Pendleton spalancò gli occhi dallo stupore. Il dottore spiegò allora che un suo vecchio amico dell’università, con il quale era rimasto in contatto, stava sperimentando terapie innovative in una clinica, ma era necessario che lui visitasse la bambina per valutare la questione.
– Pendleton, devo vedere quella bambina! –concluse risoluto.
– Ma non potresti presentarti a casa Harrington senza invito? – domandò l’amico.
Il dottor Chilton pronunciò un energico ‘no!’.
Poi, infilò una dietro l’altra, in lungo discorso, le parole ‘orgoglio’, ‘etica professionale’, ‘litigio’ e ‘questione di vita e di morte’.
Perlomeno queste furono le parole che poté udire Jimmy Bean, intento a ripulire un’aiuola sotto la finestra socchiusa dello studio del signor Pendleton. Ma nel cuore del ragazzo, il
discorso fu chiaro: Pollyanna poteva tornare a camminare, forse. Occorreva solo che il dottor
Chilton potesse visitarla, nonostante l’impedimento di una certa questione irrisolta tra lui e la signorina Polly.
Jimmy corse più velocemente che poteva per arrivare a casa Harrington e Nancy, con un filo di stupore, lo annunciò alla padrona.
– Sei sicura che non voglia vedere Pollyanna? –domandò la signorina Polly.
– Sissignora, gliel’ho detto. Vuole parlare con lei, subito!
In salotto, la signorina Polly trovò un bambino rosso in viso che, non appena la vide, attaccò a parlare:
– Signorina, immagino che sarà un duro colpo quello che sto per dirle – esordì Jimmy con il cappello in mano, – ma lo faccio per Pollyanna. Farei di tutto per lei, tanto è stata buona con me. E so che anche lei farebbe di tutto per sua nipote se ci fosse una possibilità di farla camminare di nuovo. Sono certo che farebbe venire qui persino il dottor Chilton se solo…
Nel viso della signorina Polly comparve un’e -
spressione indignata, ma Jimmy non le lasciò il tempo di dire una parola, che subito le spiegò per filo e per segno l’intera questione. Il viso della signorina Polly era esterrefatto, frastornato.
– Jimmy, puoi spiegarti meglio? – domandò, certa di non aver capito.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
– Il dottor Chilton conosce un certo medico che potrebbe curare Pollyanna, ma non può esserne sicuro finché non la vede. E vorrebbe tanto venire a vederla, ma ha detto che lei per qualche ragione non glielo permetterà mai. Allora sono venuto a chiederglielo io!
La signorina Polly tartassò il ragazzo di domande, ma tutto ciò che poteva rispondere Jimmy era solo che il dottor Chilton doveva vederla.
– Signorina Polly, basterebbe solo il suo permesso! – supplicò il ragazzo.
La signorina Polly girò la testa di qua e di là, ansimando. Poi, con voce tremante, disse:
– Sì, darò il permesso al dottor Chilton di visitarla.
Quando il dottor Chilton comparve accanto al letto di Pollyanna, alla bambina si riempirono gli occhi di lacrime.
– Oh, dottor Chilton, come sono felice di vederla! – non finiva di ripetere. Spostava gli occhi
tra lui e la zia Polly, per capire se andasse tutto bene o la zia fosse ancora arrabbiata come ogni volta che usciva fuori il nome del dottore, ma la signorina Polly la tranquillizzò:
– Va tutto bene, cara. Non ti preoccupare.
– Gliel’hai chiesto tu di venire?
– Sì, cara, gliel’ho chiesto io.
La visita fu molto approfondita. Il dottore spiegò che il suo collega lavorava in una clinica dove erano stati curati con successo casi simili a quello di Pollyanna. Prima di salutarla, il dottore promise alla bambina che avrebbero fatto tutto il possibile, e ancor di più.
Ma il dottor Chilton non lasciò subito casa Harrington. Di sotto, nel salotto degli ospiti, parlò a lungo con la signorina Polly e i due riuscirono finalmente a dirsi tutto ciò che si erano taciuti negli anni. Non fu affatto difficile comprendere che tra loro c’era ancora un grande amore che solo l’orgoglio e l’ostinazione avevano ostacolato.
Al tramonto, la signorina Polly tornò su da Pollyanna. Doveva dirle una cosa importante. Sedette ai bordi del letto e strinse la mano della bambina nella sua.
– Pollyanna, mia cara, un giorno il dottor Chilton diverrà tuo zio. Ed è tutto per merito tuo. Sono così felice!
Pollyanna batté le mani dall’emozione e dalla felicità.
– Zia Polly! Allora eri tu ‘la mano e il cuore di una donna’ che lui aveva perduto e desiderava ancora tanto? Ma certo che eri tu! Sono così contenta, zia Polly, che quasi non m’importa delle gambe.
La signorina Polly le poggiò un dito sulle labbra.
– La prossima settimana ti porteremo su un bel lettino comodo fino a una grande casa di cura fatta apposta per le persone come te. E
forse un giorno, bambina mia…
La lettera da Pollyanna
Cara zia Polly e caro zio Thomas, oggi finalmente dopo dieci mesi nella clinica sono riuscita a camminare!
Ho fatto solo sei passi, il tragitto dal letto alla finestra, ma com’è bello reggersi di nuovo sulle gambe!
Tutti i dottori erano attorno a me e le infermiere si sono commosse.
Volevo piangere e cantare dalla gioia. Posso camminare!
Adesso non mi dispiace più essere qui da così tanto tempo, lontano da voi. Almeno non mi sono persa il matrimonio. Grazie zia Polly per esserti venuta a sposare proprio qui, accanto al mio letto, perché potessi vedervi. Tu pensi sempre alle cose che mi fanno felice.
I dottori dicono che presto potrò tornare a casa. Vorrei poter fare tutta la strada a piedi, tanto sono felice di poter usare di nuovo le gambe.
Oggi sei passi, domani ne farò otto.
Vi mando tanti baci.
Pollyanna
Una bambina senza genitori affronta le sue giornate con spirito positivo. Gentilezza e allegria sono i tratti del suo carattere, che la fanno benvolere da tutti. Neppure un brutto incidente la priva del coraggio di reagire. Aiutata da una grande forza d’animo e dall’amore di zia Polly, ritrova la salute e la felicità. Una storia che insegna quanto è bella la vita.
Allegato omaggio a Finalmente in Vacanza! 2a Non vendibile separatamente