L'isola del Tesoro

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Robert Louis Stevenson
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Raccontato da Paola Valente

Raffaello i Classici

Coordinamento redazionale: Emanuele Ramini

Adattamento: Paola Valente

Coordinamento grafico: Mauro Aquilanti

Team grafico: Raffaella De Luca

Illustrazioni: Erika De Pieri

Ia Edizione 2023

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L'isola del Tesoro

Adattato da Paola Valente

Illustrazioni di Erika De Pieri

Robert Louis Stevenson

La partenza

Parte Prima

Un

avventuroso lupo di mare

In un anno imprecisato del XVIII secolo

Mio padre era il padrone della locanda chiamata

Ammiraglio Benbow e una sera, ricordo come fosse ieri, arrivò un vecchio marinaio dal viso abbronzato nel nostro albergo. Avanzò strascicando il passo verso l’ingresso.

Era un uomo alto e robusto, con una guancia attraversata da una cicatrice. Aveva con sé una cassetta chiusa a chiave e intonava un’antica canzone:

Quindici uomini sulla cassa del morto io–oh–oh e una bottiglia di rum!

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Ordinò una bottiglia di rum e disse:

– Questa baia mi piace e la posizione della vostra locanda è ottima. Avete molti clienti?

Mio padre rispose che purtroppo i clienti erano davvero pochi. Lui fu soddisfatto dell’informazione e rispose:

– Allora questo posto fa per me. Mi bastano rum, uova e pancetta.

Gettò sul bancone tre o quattro monete d’oro.

– Mi direte quando ve ne dovrò dare ancora. D’ora in poi chiamatemi Capitano.

Il nostro ospite era un uomo silenzioso. Si aggirava tutto il giorno lungo la baia con un cannocchiale di ottone sotto braccio e, quando tornava, ci chiedeva se per caso fosse passato qualche marinaio per la strada. Poi si sedeva accanto al fuoco a bere il suo rum.

Un giorno mi prese in disparte e mi sussurrò:

– Ascoltami con attenzione, ragazzino. Devi tenere gli occhi ben aperti e avvisarmi nel caso arrivasse un marinaio con una gamba sola. In cambio, al principio di ogni mese, ti darò quattro penny d’argento.

Da quel momento, il misterioso uomo senza una gamba popolò i miei incubi notturni: sognavo che mi inseguiva saltellando e che era una mostruosa creatura dalle mille diaboliche espressioni.

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Con quelle orribili fantasie, pagavo a caro prezzo i quattro penny mensili.

Certe sere il Capitano beveva più del solito. Allora cantava quell’antica canzone marinara e pretendeva che gli altri avventori sedessero al suo tavolo e cantassero insieme a lui. Tutti invece erano spaventati da quell’uomo feroce e prepotente, dai suoi racconti di storie terrificanti di impiccagioni e di torture inflitte dai pirati ai prigionieri. Doveva aver vissuto tra la gente più perversa a cui Dio avesse concesso di navigare sui mari, e il linguaggio con cui raccontava le sue orrende storie faceva inorridire la buona gente di campagna che frequentava la locanda. Mio padre temeva che avrebbe fatto fuggire tutti i clienti, ma c’erano pure dei giovanotti che ammiravano e ascoltavano volentieri quell’avventuroso lupo di mare.

Il Capitano si trattenne per alcuni mesi finché il denaro che ci aveva dato in anticipo si esaurì. Mio padre tentò invano di chiedergliene dell’altro, ma lui lo guardò furiosamente e soffiò dalle narici come se ruggisse, così da costringerlo a lasciare la stanza.

Non riceveva mai posta, non si comprava mai nuovi vestiti e rappezzava quelli vecchi da solo. Nessuno vide mai aperta la cassetta che custodiva gelosamente nella sua camera.

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Un brutto giorno, mio padre si ammalò e fu costretto a letto: iniziò così il declino che lo avrebbe portato nella tomba. Il dottor Livesey veniva spesso a visitarlo, poi consumava una cena preparata da mia madre. Una volta andò a fumare la pipa seduto a un tavolo della locanda; la sua figura spiccava fra quelle dei rozzi campagnoli e, con il suo aspetto pulito e curato, la parrucca candida, i modi gentili, faceva un certo contrasto con quella del pirata.

Anche quella sera il Capitano era ubriaco di rum e sedeva in un angolo come un sudicio, bieco spaventapasseri.

Ad un tratto, intonò la sua canzone:

Quindici uomini sulla cassa del morto io–ho–ho e una bottiglia di rum!

Il bere e il demonio hanno pensato al resto io–ho–ho e una bottiglia di rum!

Il dottor Livesey stava parlando con un anziano giardiniere e sollevò seccato lo sguardo, quindi il Capitano alzò il tono di voce e batté il pugno sul tavolo per intimare il silenzio.

– Vi riferite forse a me, signore? – chiese il dottor Livesey.

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Il Capitano rispose con una bestemmia, ma il dottore non si mostrò intimorito e ribatté:

– Se continuerete a bere rum, il mondo sarà molto presto liberato da un lurido furfante.

Il Capitano si infuriò. Si levò in piedi e minacciò il dottore con un coltello da marinaio. Ma Livesey mantenne la calma e, con un tono appena un po’ più alto del normale, disse con fermezza:

– Se non mettete subito via quel coltello, vi assicuro che vi farò impiccare. Sono un medico, ma anche un magistrato. Se riceverò anche una sola piccola lagnanza contro di voi, vi farò cacciare dal paese.

Da quella sera, il Capitano si comportò bene, finché un giorno…

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Cane Nero

Arrivò l’inverno con lunghe, violente tempeste. Mio padre stava sempre peggio e la locanda era tutta sulle spalle mie e di mia madre. Una mattina gelida, in cui la baia era bianca di brina e il sole appena sorto riluceva sul mare, il Capitano si era alzato di buon’ora e si era diretto alla spiaggia con il coltellaccio appeso alla cintura e il cannocchiale di ottone sotto braccio. Io stavo preparando la tavola della colazione, quando la porta si aprì ed entrò uno sconosciuto: era pallido, prudente, sembrava un marinaio. Mi domandò di portargli del rum e sedette a un tavolo. Poi mi chiese:

– È qui che si siede il mio amico Bill?

– Non conosco il signor Bill. A questo tavolo siede una persona che alloggia qui e che si fa chiamare Capitano.

– Bill ha una cicatrice sulla guancia destra e ha dei modi molto gradevoli, specialmente dopo aver bevuto. Dove sta?

Risposi che era fuori e che sarebbe tornato presto.

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L’uomo aveva una faccia poco rassicurante, ma non erano affari miei. Rimase lì, seduto vicino all’entrata, a sorvegliare l’ingresso come il gatto sulla tana di un topo. La paura mi accrebbe quando vidi che aveva tolto dal fodero un lungo coltello con cui si era messo a giocare. Nel frattempo, continuava a inghiottire saliva come avesse un nodo alla gola.

Finalmente il Capitano entrò. Si diresse verso la tavola pronta per la colazione.

Lo sconosciuto allora gridò:

– Bill!

Il Capitano si girò e impallidì, come avesse visto uno spettro o qualcosa di peggio.

– Cane Nero! – esclamò boccheggiando.

– In persona! – rispose l’uomo e alzò la mano destra mutilata di due dita.

– Mi hai trovato, dunque. Che cosa vuoi?

– Siediti. Questo bravo ragazzo ci porterà del rum e noi parleremo come vecchi compagni.

Quando tornai con i bicchieri e la bottiglia, i due erano seduti uno di fronte all’altro. Cane Nero stava vicino all’entrata per tenere d’occhio il Capitano e, se necessario, per poter fuggire facilmente.

Mi ritirai nel bar e riuscii a udire solo qualche parola sommessa della loro conversazione.

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All’improvviso il Capitano esplose in una raffica di bestemmie e sentii chiaramente:

– No! Basta così! Se deve essere forca, sarà forca per tutti! Mi sono spiegato?

Poi ci fu il fracasso del tavolo e delle sedie rovesciate, un rumore di acciaio, un urlo di dolore…

Cane Nero fuggì a gambe levate, con la spalla sinistra insanguinata, mentre il Capitano lo rincorreva con il coltello in mano.

Arrivato in strada, Cane Nero sparì in un attimo oltre la collina. Il Capitano rimase a fissare l’insegna della locanda come confuso, si strofinò gli occhi e rientrò.

– Jim! Portami il rum! – ordinò vacillando.

– Siete ferito?

Mentre ubbidivo, udii un tonfo, accorsi e lo trovai disteso per terra. Mia madre venne ad aiutarmi. Gli sollevammo la testa. Il Capitano respirava a fatica. Cercai di fargli inghiottire un po’ di liquore, ma le sue mascelle erano irrigidite e serrate.

Per fortuna, entrò il dottor Livesey, arrivato per visitare mio padre.

– Dottore! Il Capitano è ferito.

– Ferito? Sciocchezze. Gli è venuto un colpo come avevo predetto. Jim, portami un catino.

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Arrotolò una manica della giacca del Capitano e scoprì un braccio muscoloso, interamente coperto di tatuaggi. In uno c’era la scritta “Bill Bones se ne infischia”, in un altro c’era il disegno di una forca con appeso un impiccato.

– Jim, hai paura del sangue? – mi chiese il dottore.

– No, signore.

– Bene, allora procediamo.

Con un bisturi, il medico aprì una vena del Capitano e gli prelevò una grande quantità di sangue che schizzò nel catino.

Quando il Capitano si riprese, il dottore gli disse:

– Signor Bill Bones, vi ho salvato la vita contro la mia volontà perché è il mio dovere. Devo però avvisarvi: un bicchiere di rum non vi farà morire, ma se continuerete a ubriacarvi non durerete molto.

– Dov’è Cane Nero? – balbettò a fatica il Capitano.

– Non c’è nessun cane qui. Jim, aiutami a metterlo a letto. Gli ho estratto tanto sangue che per un po’ starà buono.

Trascinammo il Capitano in camera sua, poi il dottore andò a visitare mio padre.

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La macchia nera

Verso mezzogiorno, andai nella camera del Capitano a portagli le medicine. Era molto debole.

– Jim, sono sempre stato gentile con te. Portami un bicchiere di rum.

– Ma il dottore ha detto…

– Al diavolo il dottore! Che ne sa lui della gente di mare? Sono stato in luoghi maledetti, dove la febbre gialla faceva cadere gli uomini come mosche e io vivevo di rum. Il rum mi ha salvato la vita tante volte. Un bicchiere non mi farà male, ti darò due ghinee se me ne porti uno.

– Non voglio i vostri soldi, piuttosto pagate quanto dovete a mio padre. Vi porterò un bicchiere solo.

Così feci e lui bevve il rum tutto d’un fiato.

– Aha! Adesso va meglio però mi sento ancora debole. Quanto dovrò rimanere a letto? – Almeno una settimana. Così ha detto il dottore.

– Maledizione, una settimana! E mi stanno dando la caccia. Hai visto quel marinaio?

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– Cane Nero?

– Un brutto tipo. E ne arriveranno di peggiori. Stanno cercando la mia cassetta. Sai, ero il secondo del vecchio capitano Flint.

– Il famoso pirata Flint?

– Sì, il pirata. Io sono il solo a conoscere il suo segreto. La sua ciurma di tagliagole mi sta cercando. Mi vogliono dare la macchia nera.

– Che cos’è?

– Un avvertimento. Se terrai gli occhi aperti, dividerò a metà con te parecchio denaro. Te lo prometto –disse con una voce sempre più fievole. Poi cadde in un sonno pesante.

Se le cose fossero andate diversamente, avrei raccontato tutto al dottore. Invece, quella stessa notte il mio povero papà morì e non ebbi più tempo per pensare al Capitano. Fra l’organizzazione del funerale e le visite degli amici e dei parenti, fui molto indaffarato.

La mia povera mamma soffriva e io cercavo di aiutarla il più possibile.

Il giorno successivo al funerale, uscii dalla porta di casa. Faceva freddo e il vento soffiava con violenza. Mi sentivo triste e pensavo a mio padre, quando vidi sulla strada qualcuno avvicinarsi.

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R.L.Stevenson L’isoladelTesoro ISBN978-88-472-4082-7

o

Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio.

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi

Ritrovata una vecchia mappa in una locanda, una ciurma di marinai salpa alla ricerca di un favoloso tesoro nascosto. Raggiungono l’Isola dello Scheletro, un luogo malsano, paludoso, divorato dalle onde del mare e dalla paura dei pirati. Una storia di avventure, di viaggi, di esplorazioni: uno dei più celebri romanzi per ragazzi di tutti i tempi.

Robert Louis Stevenson è stato uno scrittore scozzese vissuto nel XIX secolo.

Paola Valente vive a Vicenza. Per Raffaello ha scritto tanti racconti e romanzi di successo.

Il libro continua online su daileggiamo.it

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