

CHI VA



David Conati Elisa Cordioli

piano ...
Per una corretta Educazione stradale





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David Conati Elisa Cordioli
chi va piano...
Per una corretta Educazione stradale
Illustrazioni di Camilla Garofano

Introduzione
oggi faccio lezione io!
Oggi sono proprio emozionata! Dopo tanti anni rimetterò piede nella mia vecchia scuola. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno sarei ritornata qui, non come alunna, ma come “esperta esterna”? Sì, come una delle persone che vengono invitate dagli insegnanti per parlare agli alunni di un argomento specifico.
Quindi, anche se non faccio la maestra, oggi terrò lezione io!
Proprio io, Giovanna Spillari, non certo la più brava della classe da piccola e, se proprio vogliamo essere pignoli, neppure un esempio di buon comportamento.
Anzi, a dirla tutta, fuori dalla scuola, ero una tra le più spericolate, una specie di Pippi Calzelunghe della situazione.
In un film di animazione una vecchia tartaruga ha detto che “il caso non esiste” e quindi il fatto che sia proprio io a spiegare ai bambini le regole da seguire in strada, non è proprio un caso.
Tutto è cominciato con una mail che le maestre hanno inviato al mio capoufficio. OGGETTO: Incontri sull’Educazione Stradale a scuola.
Lei allora, perché il mio capo è una lei, ha convocato me e i miei colleghi e ha annunciato:
– Dalla scuola primaria chiedono se siamo disponibili a tenere un ciclo di incontri nelle classi sull’Educazione Stradale.
Noi siamo rimasti impassibili, soprattutto io perché non avrei mai immaginato che mi sarei trovata, proprio io, in una situazione simile. In fondo sono l’ultima arrivata, sicuramente tra noi ci sono persone con più esperienza che potrebbero fare meglio di me. Invece il capo ha passato in rassegna tutti e poi ha puntato gli occhi su di me.
– Giovanna, ci andrai tu.
– Io?! – ho ribattuto incredula. – Perché?!
– Perché sei la più giovane e spigliata e saprai catturare meglio l’attenzione dei bambini.
Poi, quando tutti sono usciti dalla stanza, mi si è avvicinata e ha bisbigliato:
– Ti sei dimenticata di quella volta al semaforo che mi hai tirato la manica della giacca?
– Certo che me lo ricordo, ero ancora una bambina, ma è stato un momento molto importante per me.
– Vedi? Questo dimostra che sei vuoi che la gente impari a comportarsi bene per strada, è necessario insegnarlo ai bambini! Sono loro quelli che rischiano di più!
Per preparare l’incontro di stamattina ho lavorato una settimana. Ho preparato cartelli, slide, un filmato e, per far colpo sui bambini, mi sono persino imparata a memoria una poesia di Gianni Rodari. Che buffo! Quando andavo a scuola, odiavo dal più profondo del cuore imparare a memoria le poesie, invece stavolta ho deciso di farlo, senza che nessuno mi costringesse.
E, ancora più buffo, mi sono pure divertita!
Da quando è suonata la sveglia continuo a ripensare che avrei avuto bisogno di qualche giorno in più per preparare meglio quest’incontro, però l’appuntamento è tra poco e quel che è fatto è fatto.
Appena varco l’ingresso, il cuore mi batte a mille. L’atrio e il corridoio me li ricordo bene, solo che allora mi sembravano più grandi, sicuramente perché ero più piccola io: la memoria e i ricordi a volte creano confusione.
A parte questo, anche se sono passati vari anni, la scuola non è cambiata per niente.
La maestra che mi accoglie si chiama Angelica, ha più o meno la mia età e questo mi rassicura. È una ragazza allegra e sorridente, sprizza serenità ed entusiasmo e sa trasmetterlo.
– Buongiorno, ben arrivata! – dice venendomi incontro. – Gli alunni la stanno aspettando. Sono emozionati e hanno preparato tante domande.
– Davvero? – esclamo preoccupata. – Confesso che sono agitatissima… Non so se sarò in grado di rispondere a tutto, non sono abituata a parlare in pubblico, a dei bambini soprattutto…
La maestra Angelica sorride e mi rassicura:
– Non si preoccupi, vedrà che andrà tutto bene.
Apre la porta dell’aula, stranamente silenziosa, e appena mi vedono apparire, scoppia un fragoroso applauso.
– Bambini! Lei è Giovanna – mi presenta l’insegnante. – E sapete già perché è qui, vero?
Un coro di voci cinguetta all’unisono:
– Per parlarci di Educazione Stradale!
– Sì… sì – balbetto io. Ho la lingua paralizzata e non riesco ad aggiungere altro. Accidenti all’emozione!
– Come richiesto abbiamo preparato anche la LIM – dice la maestra.
Mentre frugo nella borsa alla ricerca della chiavetta sulla quale ho memorizzato il video e le slide per animare l’incontro, un’alunna dalla terza fila alza la mano per farsi notare.
– Calma Caterina – interviene la maestra.
– Dopo potrai fare tutte le domande che vuoi.
– Ma io questa cosa voglio saperla subito! –insiste la ragazzina.
La maestra sospira e mi guarda comprensiva:
– Deve sapere che Caterina è una bambina gentile, ma quando va per strada in bicicletta si trasforma e non guarda in faccia a nessuno. Diventa spericolata, si diverte a sfidare le regole e ignora la prudenza…
Sorrido.
– Davvero? – commento. – Mi ricorda qualcuno…
Cercando di nascondere l’emozione, inspiro profondamente e comincio la mia “lezione animata”.
Recito la filastrocca di Rodari con notevole successo, i bambini applaudono e la maestra dice che la farà imparare anche a loro. Poi mostro alcuni filmati che illustrano comportamenti sbagliati che si possono tenere per strada e i conseguenti pericoli ai quali vanno incontro pedoni e ciclisti.
Alla fine dell’incontro, Caterina può finalmente
formulare la sua domanda:
– Ma lei riusciva a stare così attenta alle regole della strada anche quando era piccola?
Guardo l’alunna che mi ha appena interrogata e ripenso a quando avevo la sua età. – Io… veramente… da bambina… ero…

uffa, le regole! Qualche anno prima...
– Giovanna... Giovanna… Giovannaaa! Scendi subito da lì! Guarda che lo dico alla mamma! –mi urla Orietta, l’amica di mia madre, affacciata alla finestra.
– Dai, non sto facendo niente di male – provo a giustificarmi, mentre mi mantengo in equilibrio sul guardrail al limite del parcheggio.
– Scendi subito da lì! – insiste Orietta. – È pericoloso!
– Non ti preoccupare, non cado: l’ho fatto milioni di volte, sto facendo una sfida con Kevin.
– Vuoi scendere sì o no?
– Uffa! Ma perché?
– Basta, chiamo la tua mamma! – conclude lei e scompare dentro casa.
– Accidenti, proprio ora che ero arrivata quasi alla fine – commento .
Kevin mi guarda e ride:
– Hai perso anche questa volta.
– Non ho perso! – protesto. – La gara è stata sospesa. Dobbiamo provare un’altra sfida.
In un attimo inforchiamo le biciclette e ci spostiamo verso la ferrovia.
La strada periferica corre al limite della campagna. Ci mettiamo a pedalare con impegno perché c’è da percorrere una leggera salita per superare un cavalcavia che passa sopra all’autostrada.
Io mi piazzo davanti perché sono più forte e Kevin fatica a starmi dietro. Ogni tanto sento che sbuffa. Oggi fa proprio caldo e in un attimo sono completamente sudata.
Per fortuna oltre il cavalcavia c’è la discesa. Mi abbasso sulla bici per essere più veloce.
Yeeeeee!
Vediamo fin dove riesco ad arrivare senza spingere sui pedali.
Appena Kevin mi raggiunge borbotto:
– Certo cha la signora Orietta è proprio paurosa. La mamma dice che mentre prendeva la patente ha fatto un incidente e da allora ha paura di tutto.
– Quale incidente?
– Boh, però deve essere stato un brutto incidente. Da allora si spaventa per un nonnulla.
– Va beh, ma non cambiamo discorso… adesso come facciamo a stabilire chi è il più coraggioso tra noi due?
Bel problema. Percorrere il guardrail in equilibrio senza cadere mi sembrava una bella sfida.
– Lo sai che io non sarei caduta, vero? – puntualizzo mentre cerchiamo di farci venire una nuova idea. – E comunque anche se fossi caduta, su un lato c’era il parcheggio, dall’altro la scarpata erbosa che scende verso la strada statale. Non potevo farmi male. Al massimo sarei scivolata giù fino all’asfalto ma non mi sarei fatta nulla. Hai visto come sono scesa veloce dal cavalcavia senza toccare i freni e i pedali?
– Giovanna Spillari – ribatte Kevin scandendo il mio nome, – sei la solita bugiarda. Ti vanti di saper fare cose che invece non ti riescono.
– Io non sono bugiarda! – protesto. – E poi sai che non devi chiamarmi Giovanna, io sono Giò. Giò e basta.

Arrivati al passaggio a livello troviamo le sbarre abbassate. Passiamo vicino alle auto incolonnate e raggiungiamo l’inizio della fila.
– Allora, quando la sbarra si alza, scattiamo e vediamo chi arriva per primo dall’altra parte –propongo io.
Le auto in fila borbottano impazienti, fino a quando il campanello del passaggio a livello annuncia che la sbarra sta per alzarsi. In una frazione di secondo spingo sui pedali e stacco Kevin, che ce la mette tutta ma non riesce a superarmi. Quattro pedalate e sono dall’altra parte.
– Ho vinto! Ho vinto io!
La felicità dura appena un attimo, sento una voce che mi chiama: è quella del nonno che mi incrocia con il suo motorino. È un omone alto e robusto, che viaggia sempre in sella a un vecchio ciclomotore color caffelatte dal nome buffo.
Sì perché sembra salutarti ogni volta che passa, infatti si chiama “Ciao!”
E questo motorino è talmente esile che sembra possa finire schiacciato da un momento all’altro sotto il peso del nonno.
Quando lo incrocio per strada lo riconosco subito.
È impossibile sbagliarsi perché in paese è l’unico che ha un motorino così vecchio che, secondo me, starebbe meglio in un museo.
Una volta mi ha detto che quando lui era giovane, quello era un veicolo alla moda e in giro ce n’erano tantissimi, di tanti colori diversi.
Come se non bastasse il motorino color caffelatte, il nonno indossa sempre un vecchio casco che sembra l’elmetto di un soldato.
Si ferma vicino a me e mi domanda severo:
– Cosa ci fate in giro per il paese in bicicletta? Dove state andando?
– Sto accompagnando Kevin a casa – improvviso io, mentendo.
– E perché non siete passati per la pista ciclabile? Non sapete che per la strada è pericoloso? –insiste lui.
– Sì, nonno, lo so, ma siamo grandi. Non ti preoccupare.
– E la mamma lo sa che siete in giro?
Veramente le avevo detto che non mi sarei allontanata dal cortile, però è meglio che lui non lo sappia.
Poi il nonno mi osserva serio e mi scruta.
– Cosa c’è? – domando allarmata.
– Il tuo caschetto… – dichiara lui.
– Cos’ha che non va? – ribatto.
– Perché non è allacciato?
Uffa, ma oggi ce l’hanno tutti con me?
– Perché mi stringe troppo. Con il casco allacciato non riesco a respirare.
– Ma pensa un po’ – commenta ironico il nonno.
– Di tutte le scuse che ho sentito, questa è la più stramba.
– È vero! – insisto. – E poi mi fa male perché mi preme sui capelli.
– Pure! – ridacchia lui. – Allora come dispositivo di sicurezza è proprio opprimente! Chi l’ha inventato voleva far male.
– Certo! – rispondo sicura. – Fa male, stringe e non mi fa respirare.
Il nonno scende dal motorino, si avvicina serio e dice:
– Fammi vedere…
Gli passo il caschetto.
Lo esamina attentamente e poi allenta un po’ la cinghietta. Quindi me lo rimette sulla testa.
Io grido:
– Ahia! Mi preme ancora sulla testa!
Con pazienza lui sposta più in basso l’elastico che blocca i capelli raccolti nella coda, non si scompone affatto.
– Ma così si slega la coda! – protesto.
– No, se tieni il caschetto in testa – risponde pacato. – E non scherzare con la sicurezza. Vedi che io, anche se sono più grande di te, il casco lo porto sempre?
Mi riposiziona il caschetto in testa e lo blocca sotto il mento.
– Ora come va?
– Meglio… Grazie.

Appena il nonno riparte, slaccio il caschetto ed esorto Kevin:
– Andiamo!
– Dove? – domanda lui.
– Al parco – grido spingendo sui pedali.
Sfrecciamo tra le vie interne, su e giù dal marciapiede, svoltiamo a destra, poi a sinistra, io sto davanti e pedalo con tutta la forza che ho.
– Frena! Il semaforo è rosso! – grida Kevin.
Io rallento, guardo a destra e poi a sinistra e quindi passo decisa.
– Non c’è nessuno. Dai, sbrigati! – gli dico sfrecciando via veloce oltre l’incrocio.
– Aspettami! – urla lui, immobile davanti al semaforo rosso.
Ecco, ora mi tocca pure fermarmi e attendere.
– Ma dai, passa! – lo incito. – Vedi che non arriva nessuno?

salgo prima io!
Sono iniziate le vacanze estive e per strada c’è poco traffico, così arriviamo abbastanza velocemente al parco giochi.
Io sono più veloce e entro nell’ingresso schivando un paio di signore che stanno passeggiando.
– Che modi!
– Fai attenzione! – mi dicono.
Nei pressi dell’area giochi lascio cadere la bici. Ci sono altri bambini piccoli che si accalcano attorno al castello con lo scivolo, una struttura composta da due torrette di legno tenute insieme da un ponte tibetano di corda intrecciata con la base di assicelle di legno. Nella prima struttura ci sono le scale per salire, su un lato c’è una parete attrezzata per arrampicarsi fino in cima.
Nella seconda torre c’è lo scivolo e, di lato, è fissato un tubo di ferro per calarsi giù dritti, come fanno i Vigili del Fuoco nei film.
Il quarto lato di tutte e due le torrette è chiuso e c’è solo una finestrella per guardare fuori.
Quando ci troviamo con gli amici al castello del parco giochiamo alla Principessa e il Drago. Funziona così: uno fa il drago e deve acchiappare gli altri partecipanti che scappano. Quello che fa il drago vince se riesce a catturare tutti.
Se uno viene preso deve mettersi nella seconda torre, quella che sta oltre il ponte tibetano, dove c’è lo scivolo. Chi non è stato preso può liberare quelli che sono prigionieri. Per farlo deve toccarli salendo, ma se sale dalle scale è preso anche lui. Il bambino o la bambina che fa il drago non può salire sulla torretta, ma può girare attorno al castello cercando di prendere tutti quelli che gli capitano a tiro.
È un gioco emozionante, soprattutto quando stai per salire e riesci a scampare per un pelo al drago che cerca di prenderti.
A giocare alla Principessa e il Drago ci divertiamo tantissimo e non è un gioco pericoloso, però c’è sempre qualche genitore dei bimbi piccoli che protesta quando risaliamo lo scivolo dal basso contromano per andare a liberare i nostri amici. Oppure si lamenta perché affolliamo troppo il castello e i bambini più piccoli non riescono a giocare.
Uffa!
– Non si sale contromano! – ci richiama una mamma che sta cercando di far scendere un piccolino mentre noi risaliamo per la via più breve.
Ci spostiamo e lo lasciamo passare, ma poco dopo riprendiamo il nostro gioco esattamente come prima.
Quando le mamme non guardano, passiamo davanti ai bimbi più piccoli che sono in fila per scendere e, prima che si lamentino, siamo già in fondo allo scivolo.
Anche in quel caso c’è qualche adulto che si lamenta e dice che dobbiamo rispettare la precedenza.
Io e Kevin giriamo per un po’ su e giù e poi, visto che l’altalena è libera, propongo:
– Facciamo una gara a chi arriva più in alto?
– D’accordo – risponde Kevin.
Per essere più leggera lancio via anche il casco, imitata immediatamente dal mio amico.
Io spingo con la schiena e, siccome sono più forte, riesco ad andare più veloce e più in alto di Kevin.
– Sei un pappamolla! – grido dondolando avanti e indietro. – Guarda, io sto volando!
– Ora ti raggiungo – urla lui e spinge la sua altalena al massimo.
Per un po’ ci divertiamo così, ma appena il gioco non si fa più emozionante, Kevin dice che è ora di tornare a casa.
– Adesso? – domando.
– Tanto ci vediamo domani – dice prima di andarsene. – Si sta facendo tardi…
– Va beh. Passi a chiamarmi tu?
– D’accordo – risponde e se ne va scampanellando.
Torno a casa e per un tratto provo a procedere senza mani: lascio il manubrio, spingo sui pedali, barcollo, riprendo subito il manubrio, riprovo di nuovo. È divertente e sto diventando brava.
Dalla parte opposta della careggiata una macchina frena bruscamente.

– Giovanna! – la voce della zia mi fa quasi cadere. – Cosa fai in bici senza le mani sul manubrio?!
La zia parla sporgendosi dal finestrino della macchina. Ma possibile che oggi incrocio tutti quelli che mi conoscono?
– Non stavo guidando senza le mani – ribatto subito.
– Non dire bugie – mi ammonisce lei. – Ti stavo guardando. E hai pure il casco slacciato.
Ma i miei parenti oggi non hanno altro da fare che controllare quello che faccio io?
– È che mi stringe troppo… – protesto.
– Però così se cadi ti vola via – ribatte lei.
– Ma io non cado – rispondo sicura.
– Dove stai andando? – domanda ancora.
– A casa.
Mentre parliamo per fortuna le squilla il telefono, così mi saluta velocemente e mi lascia andare.
– Brava, però tieni le mani sul manubrio e allacciati il casco.
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