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ANDARE VIA

Io, via da Nava, non ci sarei mai voluto andare

Il mio paese era fatto benissimo. Non era tecnologico, non c’era energia elettrica. Per fare luce usavamo le lampade a petrolio. Ma c’erano le mele. Io vedevo la frutta che nasceva: i fiori sbocciavano davanti ai miei occhi e diventavano frutta; anche qui i fiori diventano frutta, ma non si vede. Le stelle. Tantissime. La luna. Ricordo che, per risparmiare petrolio, certe notti mangiavamo all’aperto sotto la luna. La mia casa era fatta così: una stanza per tutti, dove si dormiva, una stanza per gli ospiti, e un angolo per fare il fuoco e cucinare, che era più basso del pavimento, in modo tale che d’inverno il calore del fuoco lo scaldasse grazie a un sistema di condotte. Al secondo piano c’era un magazzino per il cibo degli animali. Fuori, una seconda cucina, perché d’estate la casa non diventasse ancora più calda di quanto già era, e un cortile grandissimo con meli, ciliegi, melograni, peschi, albicocchi e gelsi. I muri erano spessi, molto spessi, più di un metro, di fango. Mangiavamo lo yogurt fatto da noi, tipo lo yogurt greco, ma molto, molto più buono. Avevamo una mucca e due pecore, e i campi dove coltivavamo il grano, che poi portavamo a macinare al mulino.

Questa era Nava, e non avrei mai voluto andare via.

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