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Marina Carini

Marina Carini

Prorettore con delega alla Terza Missione, Attività Culturali e Impatto Sociale dell'Università degli Studi di Milano

Quale doverosa premessa, è opportuno ricordare che l’Università degli Studi di Milano, a forte connotazione multidisciplinare, racchiude in sé tutte le competenze che possono supportare adeguatamente, in qualità di partner, il progetto “Cities Changing Diabetes”, progetto che, superfluo sottolinearlo, ha enorme importanza nell’ambito del prorettorato alla Terza Missione, Attività Culturali e Impatto Sociale, che sempre più valenza sta assumendo in ambito universitario. Il tema è infatti di crescente rilevanza a livello accademico, ma finora poco studiato sistematicamente, specie nel nostro Paese, dove il concetto di Terza Missione è arrivato molto tardi, complice probabilmente una difficoltà di tipo culturale ma anche normativo. Forse si può affermare che, almeno in Italia, e mediamente tra tutti gli Atenei (ci sono alcuni, pochi, casi virtuosi) ci si è finora scarsamente interrogati sul contributo che gli accademici e le università possono dare ai processi di innovazione economica e sociale. Tuttavia, da sempre gli accademici italiani hanno influito in misura significativa sull’assetto della società in cui sono inseriti, attraverso il loro impegno sia nella didattica che nella ricerca, e negli ultimi decenni sono cresciute le aspettative di un coinvolgimento più sistematico, e quindi maggiormente istituzionalizzato degli Atenei nei processi di innovazione economica e sociale. Questo ha chiaramente portato a delineare una Terza Missione specifica dell’Università, da affiancare all’attività formativa e alla ricerca scientifica: si viene così a consolidare l’ipotesi che il rapporto triangolare tra insegnamento, ricerca e Terza Missione rinforzi le dinamiche di ciascuna componente, attraverso dei meccanismi di supporto reciproco. Ad esempio, un fattore che incide in misura significativa nel favorire le funzioni di valorizzazione e formazione delle risorse umane al di fuori dell’Università, attraverso un processo di socializzazione della conoscenza, deriva proprio dal tipo e dall’intensità della ricerca che viene condotta, e l’impegno verso l’esterno tende a crescere in stretta relazione alla numerosità dei collaboratori di ricerca, siano essi borsisti, dottorandi o assegnisti di ricerca. Se in una prima fase la nozione di Terza Missione è nata e si è inizialmente affermata sul terreno economico, con riferimento ai rapporti più stretti degli accademici italiani con il mondo delle imprese, e ad un collegamento più dinamico con gli attori chiave dell’economia (in particolare nei territori), la fase più avanzata e recente si caratterizza per un ampliamento del contenuto semantico dell’espressione Terza Missione. La valorizzazione economica della conoscenza è andata sempre più ad includere altre attività degli accademici che anche in questo caso non sono nuove, ma è la loro forma e il loro grado di istituzionalizzazione e consapevolezza che cambia: queste attività vengono riconosciute, e incluse in tutto ciò che si pensa debba essere parte del compito istituzionale del docente universitario. E’ in questo contesto che prende forma il concetto di “impegno pubblico” o “impegno sociale” o “responsabilità sociale” come ulteriore dimensione da includere nell’accezione sempre più ampia di Terza Missione.

E’ quindi importante sottolineare e testimoniare l’interesse e il coinvolgimento della nostra Università nel progetto “Cities Changing Diabetes”, che, rappresentando un ponte reale tra Università e Territorio, consente all’Ateneo di esprimere la volontà di dialogare con il territorio e di coinvolgere la società, nelle sue varie articolazioni, mettendo a disposizione prima e valorizzando poi i risultati delle ricerche e delle azioni originali che si generano all’interno delle sue strutture. Il progetto, ponendosi l’obiettivo di portare all’attenzione delle comunità il problema di come prevenire, combattere e risolvere il dilagare dei

fenomeni patologici e non (con chiaro riferimento a tutti i determinanti sociali e culturali) che portano allo sviluppo del diabete, dell’obesità e di molte altre patologie croniche non trasmissibili, è perfettamente in linea con gli obiettivi sociali del prorettorato alla Terza Missione che si occupa, tra le altre cose, proprio della valorizzazione sociale e culturale delle azioni innovative che si generano all’interno dell’Ateneo. In questo contesto, la ricchezza multidisciplinare dell’Ateneo e i suoi docenti stanno assolvendo nella “società della conoscenza” al proprio compito di valorizzare le sue competenze multidisciplinari ponendosi quale motore culturale per il territorio e per la propria comunità di riferimento perché sta promuovendo il dialogo e l’interazione con i cittadini, e le istituzioni pubbliche e private.

Per riprendere efficacemente i temi fondamentali dell’Urban Diabetes Declaration, documento sottoscritto non solo dalle città aderenti al progetto Cities Changing Diabetes (il sindaco di Milano Giuseppe Sala è stato il primo firmatario) che si impegnano a guidare le azioni poste in essere per rispondere alla sfida del diabete, è opportuno soffermarsi sui singoli principi ispiratori e cercare di capire come muoversi per trasferire e implementare sul territorio questi principi ispiratori. E’ quindi questa un’occasione per delineare, anche se molto sommariamente, quale possa essere il contributo in questo contesto di un Ateneo multidisciplinare come l’Università Statale di Milano, contributo che dovrà ovviamente essere posto in compartecipazione con tutti gli attori del territorio affinchè si possa realizzare un network veramente operativo ed efficace.

Come già sottolineato, l’Università degli Studi di Milano racchiude in sé tutte le competenze che possono essere messe in campo per supportare adeguatamente azioni nell’ambito dei 5 principi ispiratori dell’Urban Diabetes Declaration. In primo luogo è opportuno ricordare il contributo fondamentale di docenti dell’Ateneo di area medica sia nell’ideazione che nella realizzazione del progetto, e la presenza sia di Michele Carruba quale Presidente del Comitato Esecutivo di Milano Cities Changing Diabetes nonché di Livio Luzi, Presidente del Comitato Scientifico e Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università degli Studi di Milano ne sono una chiara testimonianza. Non bisogna poi dimenticare che in Ateneo esiste un Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità il cui Presidente è sempre il professor Michele Carruba, centro che recentemente ha promosso la sottoscrizione della Carta di Milano sull’Obesità (Urban Obesity). L’iniziativa, che si è concretizzata nel mese di maggio, prevede la sottoscrizione di un patto tra Università, amministrazione, esperti, cittadini che diano origine a processi capaci di affrontare e vincere le grandi sfide legate all’obesità, sempre più presente nei contesti di elevato impatto socio-demografico e nelle grandi aree urbane e metropolitane. Solo con il contributo sinergico di molte figure con competenze diversificate si possono generare nuove idee ed azioni utili al contenimento di un fenomeno, l’obesità, anticamera del diabete, fenomeno sicuramente in crescita soprattutto nei bambini, e che vede attualmente interessato il 10 per cento circa della popolazione.

Nell’ambito dei diversi principi ispiratori dell’Urban Diabetes Declaration, l’Ateneo può svolgere un ruolo educativo determinante (e già credo che lo stia svolgendo) nell’impostare interventi mirati di formazione nelle scuole di diverso ordine e grado, stimolando programmi dedicati all’informazione su salute e benessere. In questo contesto diventa a mio avviso importante anche promuovere l’interpretazione critica dei media e in particolare del sistema pubblicitario, che non sempre veicola messaggi su stili di vita alimentari sani. In pratica occorre insegnare ai piu’ giovani a decodificare le pubblicita’: sviluppare la capacita’ di accedere, analizzare, valutare i messaggi dei media in tutte le loro componenti. In stretta connessione con il territorio, l’Ateneo deve in prima istanza procedere ad una mappatura dei determinanti modificabili e quindi promuovere interventi mirati sugli stili di vita e sugli stili alimentari attraverso un percorso educativo e informativo massiccio non più sulle scuole, ma sulla popolazione tutta. Se facciamo riferimento specifico al terzo principio ispiratore, e alla necessità di “Integrare la salute in tutte le politiche”, l’Ateneo può giocare un ruolo determinante se si fa promotore delle necessarie istanze presso la parte politica e portavoce della sensibilizzazione creata a livello territoriale. Non va dimenticato che i docenti che gravitano nell’area delle scienze sociali, dell’alimentazione e della medicina sono già fortemente impegnati in attività di formazione presso enti esterni. Per queste discipline si tratta in parte di una tradizione ormai consolidata: basti pensare ad esempio al coinvolgimento dei sociologi economici e dell’organizzazione nella consulenza e formazione aziendale o ai medici/nutrizionisti, sempre più impegnati in interventi formativi nelle aziende, oggi più di ieri orientate ai temi della salute e del benessere nell’ambiente di

lavoro (stili di vita, comportamenti alimentari). Inoltre, mi preme ricordare che alcuni docenti dell’Ateneo fanno parte di comitati tecnico-scientifici che supportano la definizione di nuove norme a livello regionale e nazionale che impattano anche sulla salute pubblica. Attualmente si stanno mappando tutte queste competenze di Ateneo in modo da avere un quadro generale e spendibile a livello territoriale. Sarebbe comunque auspicabile inserire nei diversi tavoli di lavoro un esperto di tutela della salute affinche’ nelle scelte politiche di ambiti diversi (trasporti, economia, finanza, agricoltura, istruzione, universita’ etc.) siano sempre tenuti in considerazione anche gli aspetti legati alla salute del cittadino.

Il quarto e il quinto principio ispiratore si intersecano a vicenda perché soluzioni sostenibili per la salute si possono individuare laddove si trovano soluzioni trasversali, multidisciplinari e multisettoriali. Si deve innanzitutto potenziare la sensibilizzazione dei medici di base e l’Ateneo può promuovere il dialogo e la collaborazione tra medici di base e farmacisti. Medici di base e farmacisti territoriali sono i primi attori nella gestione e promozione della salute in un contesto di formazione piu’ ampio e diversificato rispetto a quello destinato alle scuole (target adulto). La farmacia territoriale è un crocevia importante non solo nell’intercettazione dei bisogni del cittadino, ma anche nei processi di sensibilizzazione e di formazione dello stesso (la farmacia dei servizi). Il continuo confronto tra cittadino e medici/farmacisti dovrebbe poi essere allargato all’interazione con i professionisti appartenenti ai settori sociali, affinchè si possano sviluppare insieme strategie di prevenzione efficaci. Infine Non va poi dimenticato il volontariato, che costituisce un tessuto indiscutibilmente importante a livello cittadino. E’ opportuno sapere che in Ateneo è stato recentemente creato un ufficio (nell’ambito della Direzione che sovraintende alla Terza Missione), che promuove e valorizza le attività sulla tutela della salute e del benessere in un’ottica inclusiva e di invecchiamento della popolazione, valorizzando e diffondendo l’importanza dell’impegno sociale e il valore della solidarietà civile in ambito scientifico e culturale.

Ritengo poi necessario intrecciare il tema sulla salute con quello più ampio riguardante i diritti umani: in pratica occorre coniugare la salute ai diritti umani e questa coniugazione è possibile considerate le competenze (molte) dei giuristi della Statale, che possono giocare un ruolo proattivo e determinante. Occorre riflettere su questioni particolarmente attuali in questo difficile periodo, come la solidarietà globale, la lotta contro le disuguaglianze e la ricostruzione di un mondo che comprenda la tutela della salute e la protezione di altri diritti fondamentali, come quelli economici, culturali e sociali. Dal momento poi che in Ateneo esiste una forte competenza in ambito ICT (si pensi a tutto il dipartimento di Informatica), è auspicabile lo sviluppo di queste tecnologie per la sanità decentralizzata (home-care e gestione del malato cronico), per l’educazione sanitaria e il coinvolgimento di cittadini e pazienti. Grazie ad un’accresciuta capacita’ di raggiungere i cittadini con modelli di comunicazione più efficaci e capillari, sarà possibile il mantenimento di stili di vita salutari e maggiore adesione agli screening di prevenzione. In altre parole, un punto su cui insistere nell’immediato futuro è lo sviluppo sul territorio e l’implementazione della Telemedicina. Si può prendere spunto e iniziare da quanto la Facoltà di Medicina della Statale sta attuando ora sul territorio di Milano. A Milano infatti la Telemedicina, anche se parziale, è già realtà nella ASST che riunisce gli ospedali Sacco, Buzzi, Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. Il progetto, che implica visite a distanza, grazie a 36 ambulatori virtuali e più quasi 200 specialisti disponibili, nasce per il paziente COVID ma è ovviamente estensibile nell’immediato futuro a qualsiasi altra patologia. In pratica è l’ospedale che va sul territorio attraverso i suoi specialisti e non viceversa. Questo approccio rappresenta un primo passo per rilanciare la sanità territoriale e la Telemedicina, in tutte le sue articolazioni, universalmente riconosciuta come una opportunità non solo per ottimizzare il percorso di cura di pazienti affetti da patologie croniche come il diabete, ma anche per responsabilizzare e coinvolgere il paziente in una collaborazione continua con il medico di base e/o lo specialista.

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