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Controllo microbiologico delle superfici: dove, come e quando monitorare

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SOLUZIONI

SOLUZIONI

Controllo microbiologico delle superfici: dove, come e quando

monitorare

Le superfici di un ambiente confinato e in particolare le superfici di lavoro e quelle di impianti, attrezzature e utensili sono soggette a contaminazione microbica originata da più fonti e a sua volta trasferibile ad altri oggetti.

Se consideriamo un’azienda alimentare, le superfici presenti nei locali di produzione sono estremamente varie, in quanto comprendono le superfici delle strutture, come pavimenti, pareti, soffitti; quelle di lavoro vere e proprie fra cui piani di tavoli e banconi; quelle di impianti, attrezzature e utensili che vengono a contatto diretto con le produzioni.

Le superfici a contatto con gli alimenti sono una fonte facilmente identificabile di contaminazione dei prodotti: questi infatti rilasciano spesso residui sui quali i microrganismi trovano substrato per moltiplicarsi. Le superfici non a contatto con gli alimenti, come soffitti, pareti, pavimenti, costituiscono comunque una fonte di contaminazione indiretta che può essere trasferita, ad esempio, tramite il bioaerosol. A seconda della destinazione d’uso dei locali, il livello di tolleranza della contaminazione microbica delle superfici varia: può essere necessario operare una vera e propria sterilizzazione (settore ospedaliero, camere bianche), ma nel settore alimentare normalmente è sufficiente ridurla a valori “accettabili”, che significa non pericolosi per le produzioni con cui vengono a contatto.

Le superfici a contatto con gli alimenti sono una fonte facilmente identificabile di contaminazione dei prodotti

a cura della Redazione

Perché effettuare il monitoraggio

Sporcizia e residui alimentari consentono lo sviluppo di microrganismi sulle superfici e questo porta alla formazione di biofilm microbici: un insieme di cellule batteriche adese alle superfici e inglobate in una matrice polisaccaridica secreta dalle cellule stesse. Ogni superficie che combini umidità e nutrienti è suscettibile a formazione di biofilm, se sono presenti microrganismi vivi. I biofilm consentono ai batteri di sopravvivere in ambienti sfavorevoli e a stress ambientali quali variazioni di temperatura, essiccamento, raggi ultravioletti, interventi di sanificazione e ciò ancor più se le superfici non sono lisce e integre, ma porose, rugose e con fessure, abrasioni e corrosioni, che costituiscono “nicchie” di protezione delle cellule. Infatti, come già previsto dalla direttiva europea del 2006 (“Direttiva macchine”), tutte le superfici a contatto con i prodotti alimentari, cosmetici o farmaceutici devono essere lisce e prive di rugosità o spazi in cui possano fermarsi materie organiche, essere progettate e costruite in modo da ridurre al minimo le sporgenze, i bordi e gli angoli e devono poter essere pulite e disinfettate facilmente, dopo aver asportato le parti smontabili. Molti microrganismi presenti nel settore alimentare hanno caratteri di adesività e sono in grado di aderire alle superfici e produrre biofilm; tra di essi anche patogeni quali Salmonella spp., E.coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Staphylococcus spp. e Campylobacter spp.

Punti di prelievo

Negli ambienti di produzione alimentare le superfici da campionare sono molteplici e di norma sono tutte quelle che vengono direttamente a contatto con materie prime, semilavorati e prodotti: piani di lavoro, attrezzature, apparecchiature, utensili, contenitori, materiali e macchine per confezionamento, in quanto la loro contaminazione può influire direttamente sulla carica microbica del prodotto finito. A questi punti va aggiunto anche il monitoraggio di pareti, soffitti, porte e superfici interne o ripiani di armadi (ad es. armadietti del personale e ripostigli per prodotti e materiali per le pulizie), canaline di drenaggio dei liquidi, allo scopo di valutare il livello igienico ambientale globale e l’efficacia delle procedure di pulizia e sanificazione. Alcuni criteri di base su dove eseguire i controlli delle superfici sono i seguenti: monitorare in parallelo più superfici adibite alle stesse funzioni, superfici a monte e a valle di un processo produttivo, superfici simili sottoposte a diverso trattamento di sanificazione.

In che modo operare

Per la valutazione della contaminazione delle superfici di facile accesso si possono utilizzare diverse tecniche: tamponi, spugne sterili, piastre Petri di tipo “contact” e “slides”. Il metodo classico del “tampone” utilizza generalmente un’asticciola in plastica con un’estremità in ovatta, inserita in una provetta con un terreno di trasporto (o di mantenimento o di arricchimento). La punta del tampone viene inumidita nella soluzione contenuta nella provetta, quindi si effettua il campionamento strisciandola sulla superficie in esame per almeno 30”, facendola ruotare a ogni cambio di direzione, per assicurare un migliore recupero di microrganismi; il tampone viene poi inserito nella provetta scartando la parte che è stata toccata dall’operatore. Analogo è l’utilizzo delle “spugnette” (“Sponge bag”) disidratate che vengono reidratate al momento dell’esecuzione dell’analisi con soluzione fisiologica o con terreni di prearricchimento specifici per i microrganismi che si desidera ricercare. La spugna umidificata viene strisciata da entrambi i lati sulla superficie in esame,

Salmonella spp., E.coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Staphylococcus spp. e Campylobacter spp. sono patogeni, presenti nel settore alimentare, in grado di aderire alle superifici e produrre biofilm

quindi reintrodotta asetticamente nel suo contenitore e trasportata in laboratorio per l’analisi microbiologica. Questo metodo è consigliato per il monitoraggio di superfici ampie, disomogenee e irregolari, poiché la spugna è morbida e pieghevole. Con entrambi i metodi, tampone e spugna, per standardizzare la zona di prelievo e riferire i risultati a una superficie nota, può essere utilizzato un delimitatore di area. Si tratta di una cornice in materiale monouso o riutilizzabile che circoscrive un’area di dimensioni note, di solito un quadrato di 10 x 10 cm (= 100 cm2), all’interno della quale strisciare tampone o spugna e alla cui area fare riferimento per i risultati. Il metodo classico più utilizzato di valutazione delle condizioni igieniche di una superficie è però rappresentato dalle piastre “a contatto” contenenti terreno agarizzato, di diverso tipo a seconda della ricerca che si vuole effettuare. Le piastre a contatto consentono di determinare il valore di UFC riferito all’area di contatto della piastra con la superficie interessata dal prelievo. Il campionamento delle superfici viene eseguito mediante l’applicazione delle piastre a contatto (con la superficie del terreno appoggiata sulla superficie da monitorare), riempite di idoneo terreno di coltura, esercitando una lieve pressione della piastra sulla superficie. Si raccomanda l’utilizzo di un applicatore temporizzato a peso standardizzato secondo le norme ISO piuttosto che l’effettuazione manuale dell’applicazione, per rendere il campionamento riproducibile e indipendente dall’operatore e fornire risultati comparabili. La durata standard dell’applicazione è di 10”. Nel caso in cui i monitoraggi si effettuino su superfici sulle quali si è fatto uso di sanificanti, è opportuno utilizzare terreni contenenti sostanze inattivanti dei sanificanti. In particolari situazioni, per esempio nel caso in cui le superfici da monitorare siano bagnate, curve o non facilmente accessibili, è consigliabile l’utilizzo di tamponi o di spugne, anziché di piastre. In linea generale, però, l’utilizzo dei tamponi deve essere limitato, perché difficilmente standardizzabile e poco confrontabile con i risultati ottenuti con le piastre a contatto. Ultimato il campionamento si trasferiscono le piastre in termostato dove rimangono alle temperature e tempi specifici per il gruppo microbico che si intende ricercare. Al termine dell’incubazione si contano le colonie cresciute (UFC) e il numero viene riferito o alla superficie di una singola piastra (pari, ad esempio, a 24 cm2) o rapportato a 100 cm2. L’impiego delle piastre a contatto permette di ottenere l’impronta diretta della superficie sul terreno di coltura; consente inoltre di effettuare isolamenti delle colonie cresciute, per eventuali identificazioni. Una variante delle piastre a contatto sono le “Slides”, lastrine flessibili in plastica da appoggiare sulle superfici o immergere in liquidi. Di forma rettangolare, presentano due facce con differenti terreni di coltura agarizzati. La parte della slide con il terreno viene messa a contatto con la superficie da testare, di cui prende una “impronta”. Segue quindi incubazione e conta delle colonie cresciute; i risultati possono essere riferiti all’area della slide, ma meglio se riportati a 100 cm2 . Per avere un dato attendibile e rappresentativo dell’effettiva situazione è necessario campionare la stessa superficie in più punti significativi (almeno tre) per ottenere una valutazione media del livello di contaminazione. La ridotta superficie delle piastre “a contatto” consente una conta attendibile delle colonie solo se queste sono ben distanziate fra loro (di solito < 200), ma con crescita microbica superiore e confluente oppure nulla, la piastra va scartata: ecco la necessità di più repliche. I metodi microbiologici tradizionali che si basano sulla moltiplicazione dei microrganismi e conta delle colonie sui terreni colturali forniscono risultati in tempi relativamente lunghi, necessari al microrganismo per moltiplicarsi e formare una

Analisi & Rapporti Analisi & Rapporti

Cella est Cella est

al

Analisi grafica

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Data logger 1 (°C) Data logger 2 (°C) Data logger 3 (°C)

Tabella

Allarmi

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Temperatura e umidità Temperatura e umidità sempre sotto controllo. sempre sotto controllo.

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colonia visibile a occhio nudo; tempi che vanno da un minimo di 24 ore a qualche giorno, in media 48-72 ore. La necessità di avere a volte risultati in tempi più brevi ha portato all’introduzione di metodi “rapidi” – anche se spesso meno precisi – anche nella valutazione igienica delle superfici: uno è l’analisi dei residui proteici, l’altro il metodo bioluminometrico. Il primo valuta il grado igienico di una superficie misurando la quantità di residui proteici presenti, partendo dal presupposto che una superficie correttamente pulita dovrebbe presentare tali residui in minima quantità. La correlazione si basa sul fatto che più residui alimentari rimangono, più elevata è la possibilità di moltiplicazione microbica. Il test si basa su una reazione chimica che (in 10’) comporta un viraggio di colore in presenza di quantità variabili di proteine. Il secondo metodo, il test bioluminometrico, misura la quantità residua sulla superficie di ATP, molecola presente in tutti gli organismi viventi, quindi anche nelle cellule animali, vegetali e microbiche. La reazione biochimica tra l’ATP prelevato dalle superfici in esame e un opportuno reagente dà origine a un’emissione luminosa quantitativamente proporzionale che viene misurata da uno strumento (bioluminometro) in pochi minuti. Anche in questo caso elevate quantità di ATP possono essere correlate alla presenza di residui e probabili contaminanti. Il metodo, rilevando tutto l’ATP presente e non solo quello microbico, sovrastima l’effettivo grado di contaminazione; tuttavia costituisce una buona misura della “sporcizia” globale e trova spesso impiego come verifica rapida dell’efficacia degli interventi di sanificazione.

Quante e quali analisi

Anche nel caso del monitoraggio della contaminazione aeroportata, la scelta delle analisi da eseguire per verifica dell’idoneità del piano di autocontrollo aziendale deve considerare diversi aspetti, di cui uno riguarda la tipologia dei campionamenti da effettuare. Più gruppi microbici vengono ricercati, più completo potrebbe essere il quadro igienico che se ne ricava, ma è necessario tenere conto anche degli aspetti economici. Le analisi per il monitoraggio routinario della contaminazione ambientale devono prefiggersi dunque questi obiettivi: il numero e la loro frequenza devono essere commisurati alle effettive necessità dell’azienda e al grado di pericolo che il tipo di produzione presenta; è necessario quindi che siano valutati caso per caso dal responsabile. Una periodicità trimestrale è in genere una frequenza “standard” per avere un buon controllo della situazione. La tipologia dei microrganismi da ricercare è anch’essa variabile a seconda dell’ambiente e delle produzioni. La carica totale di batteri, muffe e lieviti fornisce un’attendibile indicazione del grado di contaminazione generica, tenendo conto che non essendoci limiti di legge a cui fare riferimento, ogni azienda deve predisporre un proprio limite di accettabilità interno.

Il livello di contaminazione delle superfici dipende, oltre che dalle caratteristiche strutturali, dal grado di manutenzione e dalle modalità delle operazioni di pulizia e sanificazione di locali e impianti

In assenza di limiti… cosa fare?

Come nel caso della contaminazione aeroportata, anche per quella delle superfici di lavoro a contatto con prodotti alimentari, non esistono limiti di legge a cui fare riferimento, ma solo linee guida pubblicate da Enti nazionali o regionali oppure internazionali quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) o l’American Public Health Association (APHA). Le indicazioni fornite possono essere utilizzate come supporto, ma è necessario che ogni struttura disponga di Standard interni aziendali a cui fare riferimento. A titolo di esempio: uno standard interno per una superficie può essere messo a punto facendo almeno 10 campionamenti in condizioni ottimali; la media dei risultati può essere considerata un buon livello “base”.

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