N3 | 2025

N3 | 2025
STRATEGIE
OPERATIVE
Combattere gli infestanti nel settore zootecnico
VETTORI E ZOONOSI
Rilevanza sanitaria e controllo di zecche e flebotomi
UCCELLI
Gestire le specie problematiche in contesto urbano
La storia di Copyr e del Piretro, insetticida di origine naturale, è iniziata oltre 60 anni fa. Copyr ha creduto e investito nel Piretro dal 1961 e da allora si è specializzata nella formulazione e nella distribuzione di prodotti a base di questo incredibile principio attivo. Da sempre l’obiettivo dell’azienda è stato quello di fornire soluzioni efficaci e sicure per la difesa dagli infestanti, con un’ampia gamma di prodotti destinati sia al settore professionale che a quello domestico.
L’azienda è particolarmente attenta alla sostenibilità ambientale e alla sicurezza degli utilizzatori, sempre nel rispetto delle normative vigenti. La sua mission, infatti, è quella di migliorare la qualità, la sicurezza e l’igiene dei luoghi in cui vive l’uomo per lasciare un mondo più sano e pulito alle nuove generazioni.
Il Piretro, estratto dai fiori di Chrysanthemum cinerariifolium, è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae, del tutto simile a una comune margherita. Le sue proprietà insetticide sono note da secoli: è in grado di garantire sugli insetti un effetto abbattente immediato. Grazie alla sua efficacia e alla sua degradabilità, il Piretro è oggi una delle soluzioni più utilizzate per il controllo degli insetti in ambienti domestici e professionali, specialmente in contesti dove la sicurezza e la sostenibilità sono prioritarie.
L’OFFERTA COPYR
Uno dei principali vantaggi del Piretro è la sua azione rapida e la sua scarsa persistenza nell’ambiente determinata dalla sua fotolabilità. Questo lo rende ideale per l’uso in ambienti sensibili come abitazioni, strutture ricettive, industrie alimentari e locali pubbli-
ci. L’offerta dell’a zienda si compone di diverse formu lazioni a base di Pi retro, tra cui insetticidi liquidi concentrati, pronto uso, aerosol e aerosol automatizzati, molto apprezzati dal mercato. L’offerta è ampia e garantisce soluzioni adatte alle esigenze dei diversi utilizzatori.
La sicurezza e l’uso responsabile dei prodotti sono aspetti centrali nella filosofia di Copyr. Sensibilizzare i professionisti del settore e gli utilizzatori finali sull’importanza di dosaggi corretti, modalità di applicazione adeguate e rispetto delle normative vigenti fa parte dell’offerta di valore dell’azienda. La formazione continua consente di migliorare l’efficacia degli interventi e di ridurre l’impatto ambientale, garantendo un approccio consapevole e sostenibile al controllo degli infestanti.
Copyr investe costantemente nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni che siano sempre più sostenibili e che riducano l’impatto ambientale senza compromessi per quanto riguarda l’efficacia. Per questo il Piretro rappresenta il cuore dell’offerta aziendale. Infatti, molti principi attivi hanno profili tossicologici diversi e caratterizzati da maggiore persistenza nell’ambiente e quindi un impatto ambientale diverso. La sfida della sostenibilità è importante e il Piretro, grazie alla sua origine naturale e alla sua rapida degradabilità, rappresenta una scelta consapevole per il settore dell’igiene ambientale.
RISCHIO SANITARIO
28NORME D’USO E BUONE PRATICHE
34ALLARME RATTI A NEW ORK
DISINFESTASTORIE
6STATISTICA E DISINFESTAZIONE MANAGEMENT
8I CONTRATTI TRA LEGGI E DISCIPLINARI ZOOTECNIA
10INFESTANTI E STRATEGIE DI LOTTA
20CONTROLLO DELLE ZANZARE IN ITALIA FOOD SAFETY
24LOTTA AI RODITORI NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE
UCCELLI URBANI
38LA GESTIONE DEI VOLATILI “PROBLEMATICI”
Spectre 2.0
E’ un sistema innovativo per la gestione con controllo remoto delle infestazioni da roditori. Frutto di una lunga esperienza di ricerca & sviluppo anche in campo, Spectre 2.0 consente di monitorare la presenza dei roditori in tempo reale 24/24 – 7/7, riduce gli spostamenti superflui e permette interventi tempestivi. La tecnologia in uso consente di limitare l’impiego di rodenticidi e di raccogliere dati per elaborare strategie sempre più efficaci, grazie alla piattaforma ByronWeb ed alla app dedicata.
Spectre 2.0 fa parte della famiglia dei dispositivi e sistemi Pest SKilled per una gestione sostenibile ed innovativa degli infestanti. 2.0
IN COPERTINA
Copyr, compagnia del piretro, è un’azienda globale specializzata in insetticidi, servizi ad alto valore aggiunto e prodotti per l’igiene ambientale che da 60 anni sviluppa soluzioni di derivazione naturale, efficaci e dall’alto profilo di sicurezza. Insieme a Zelnova forma uno dei principali player europei ed internazionali dell’igiene ambientale.
BLEU LINE 4, 37
COPYR I - II COPERTINA, 1 EKOMMERCE .............................. 33, 34 INDUPHARMA III COPERTINA, 56 NEWPHARM ................................. 2, 27 ORMA ....................... IV COPERTINA, 15
ANNO 34 SUPP. 1 AL N.03 | 2025 ISSN 2612-4068
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Testata Associata
Distribuzione Rivenditori, Imprese di servizi, Aziende alimentari, Sanità e RSA, Enti pubblici, Pubblici esercizi, Hotellerie, Lavanderie professionali, Disinfestazione e servizi ambientali, Grande distribuzione
Gli strumenti matematici sono utili nello studio di fenomeni legati all’entomologia ambientale.
CHIARA DASSI E GRAZIANO DASSI
Nel macrocosmo dell’ars disinfestandi, così ricco di leggi cogenti, regolamenti, circolari e norme volontarie, non dovrebbe esserci spazio per servizi inadeguati. Tuttavia, anche in una tendenza positiva, non è raro imbattersi in realtà che ci lasciano quantomeno perplessi. Perciò, ci uniamo al coro dei divulgatori con una nota che potrebbe apparire fuori tono. Se è vero che la Natura deve essere amata con il cuore, è altrettanto vero che deve essere analizzata e studiata con il cervello. Per farlo, facciamo un salto in un’aula di una scuola tedesca, presumibilmente nell’anno 1887. Il professore di matematica entra in classe, gli studenti si alzano in piedi in segno di rispetto e poi ascoltano, immaginiamo con un certo timore, il temuto annuncio: «Oggi compito in classe: dovete calcolare il totale della somma dei numeri da 1 a 100». Tutti gli scolari cominciano a scrivere: 1+2=3, 3+3=6, 6+4=10, 10+5=15, 15+6=21… quando uno di loro, dopo pochi minuti, si alza e consegna allo stupito insegnante il risultato: 5050! Lo stupore dell’insegnante è tale che chiede al piccolo Karl Friedrich Gauss (1777-1855) come diavolo ci fosse riuscito, e domanda se avesse già fatto precedentemente la sommatoria. La risposta fu un sintetico: «No, per arrivare al risultato
basta fare ciò che segue…». L’idea del giovanissimo Gauss fu semplicemente quella di rintracciare una simmetria nella somma che il maestro aveva assegnato alla classe: per sommare 1+2+3+…+98+99+100 si possono ripetere i numeri su due righe come mostrato in tabella.
Quindi basta moltiplicare 101 per 50 = 5050. Il risultato, una volta scoperto il trucco aritmetico, appare semplice come l’uovo di Colombo, ma quella mattina fu necessario l’intuito di un genio in erba. Gauss è infatti sicuramente nell’Olimpo dei più grandi scienziati della storia, avendo contribuito in modo decisivo all’evoluzione delle scienze matematiche, fisiche e naturali (analisi matematica, teoria dei numeri, statistica, calcolo numerico, geometria differenziale, geodesia, geofisica, magnetismo, elettrostatica, astronomia e ottica). Egli definì la matematica come “la regina delle scienze”. Fra questo oceano di scoperte, vedremo come la gaussiana, originariamente nata come curva degli errori o delle probabilità, possa essere applicata all’ars disinfestandi.
GAUSS E LA DISINFESTAZIONE
La Curva a campana di Gauss rappresenta la distribuzione delle probabilità del ma-
nifestarsi di qualsiasi fenomeno naturale. Sulle ordinate si indica la frequenza del fenomeno che si sta indagando, mentre sulle ascisse la misura di tale fenomeno. I tre valori più significativi che si possono desumere dalla rappresentazione grafica dell’andamento del fenomeno che si sta misurando o stimando sono: la moda, ossia il valore che si presenta con maggiore frequenza tra le misure effettuate; la media, che rappresenta il valore medio pari alla media aritmetica delle misure fatte; la mediana, ossia il valore che sta a metà strada esatta nella distribuzione delle misure fatte. Nella curva gaussiana normale la moda, la media e la mediana coincidono e si trovano esattamente al centro della curva. Senza entrare nei dettagli di un trattato di statistica, l’accenno alla gaussiana (che sia simmetrica o asimmetrica) ha principalmente due obiettivi: il primo è misurare, utilizzando numeri derivanti sia da conteggi che da stime, un determinato fenomeno. Il secondo è rendere graficamente visibile l’andamento statistico di un dato fenomeno, in modo che risulti facilmente intuibile. È importante sottolineare che la realizzazione di una curva, diagramma o istogramma deve partire da dati statisticamente rappresentativi non inficiati da errori di misurazione o di stima. In caso contrario, si corre il rischio di dare dignità matematica a degli errori o addirittura farli passare per dati scientifici. Interessante potrebbe essere immaginare di avere curve che misurano, ad esempio:
• il rischio di infestazione di un dato parassita in una determinata realtà territoriale, industriale o comunità;
• il costo della prevenzione in relazione all’età di una determinata struttura;
• la probabilità di introduzione di specie aliene;
• le percentuali di errori di monitoraggio in funzione di determinati metodi di censimento e controllo.
A nostro parere, l’ipotesi di “gemellaggio” tra la curva gaussiana e il sistema HACCP merita di essere presa in considerazione, analizzata criticamente e applicata con buon senso e professionalità.
servizi ambientali management
Per i professionisti della disinfestazione, operare in questo mondo significa realizzare servizi rispettando leggi, norme, circolari e contemporaneamente cercare di far quadrare i bilanci aziendali
Alcune considerazioni del mio vivere la professione mi hanno spinto a scrivere questa nota. La prima considerazione è che il mondo dell’Horeca ha confini vasti, variegati e dalla complessità tecnica spesso sottovalutata. La seconda è che sovente nei bar-pasticceria si ha a che fare con artigiani innamorati del proprio lavoro al punto di faticare a prenderne in esame gli aspetti corollari.
La terza, infine, nasce da un commento telefonico con un giovane e valente perito agrario in cui si confrontavano due tecniche di trattamenti alla linfa del patrimonio arboricolo in cui mi confidò che un cliente di nuova acquisizione ebbe a dire: «Ma voi fate anche queste cose? Gli altri erano molto più sbrigativi». Da quella semplice osservazione è nata una ipotesi di lavoro: cercare di redigere un contratto semplice,
ma esaustivo, corredato da un disciplinare che permettesse al cliente di confrontare consapevolmente le varie offerte.
IL NUOVO CONTRATTO
La realtà di riferimento è una caffetteria-pasticceria collocata in un centro commerciale con la peculiarità di voler selezionare una clientela non troppo frettolosa, consentendole una parentesi golosa di buon livello. La produzione dei pasticcini proviene da fornitori esterni di media-alta qualità. In effetti la gestione dei rifiuti e la valutazione delle merci in entrata non era metodologicamente dissimile da una industria alimentare sia pure su scala ridotta. Il livello di pulizia, autogestita, era ottimo. La presenza di ospiti indesiderati praticamente nulla se non per la presenza sporadica di mosche e qualche zanzara, qualche solitaria formica
e la segnalazione di qualche farfallina. Ma vale il detto: “Una rondine non fa primavera, ma una zanzara fa infestazione”, per cui il locale ha deciso di stipulare un contratto di disinfestazione realizzato da una grande azienda che si occupa dell’intera struttura. Il passaggio dall’autogestione al nuovo contratto è nato dalla visita di una funzionaria commerciale che nella trattativa ha enfatizzato che il pacchetto offerto dalla ditta che rappresenta comprendeva, oltre a un servizio di monitoraggio ben documentato, l’utilizzo di un bioluminometro e la certificazione dei livelli igienici delle procedure di pulizia, una mini dispensa di buone pratiche di DDD (Disinfestazione, Derattizzazione, Disinfezione) e un flusso programmato di aggiornamenti tecnici e assistenza a tutto tondo. Pur comportando un significativo aumen-
LA STRATEGIA
La proposta deve inserirsi in una visione più ampia, integrando marketing, organizzazione e pricing per valorizzare il servizio
CONTRATTO
Documento semplice ma esaustivo, corredato da un disciplinare tecnico che consente al cliente di confrontare le diverse offerte.
VERIFICA ECONOMICA
Assicurarsi che l’offerta al cliente sia sostenibile anche per l’azienda, evitando squilibri tra costi e ricavi
CONTRATTO. nel diritto moderno, rappresenta l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un negozio giuridico patrimoniale.
DISCIPLINARE. complesso di disposizioni che regolano l’esercizio di un’attività o le caratteristiche di un prodotto, di un servizio o di una consulenza.
all’attenzione di molte ditte con proposte di listini ad esso mirato, la strategia aziendale era di esplorare quel segmento con un pacchetto di servizi fuori dal coro. L’azienda si è data due anni, mi viene confidato, per mettere a punto un sistema integrato tra vendite-marketing-organizzazione e listino prezzi tale da giustificare l’iniziativa. Contando sul fatto che, se il mercato premierà l’iniziativa, le conseguenti economie di scala dovrebbero portare sviluppi positivi.
I PUNTI DI FORZA
ANALISI SITUAZIONE
Valutazione del livello di pulizia iniziale del locale e rilevazione della presenza (quantità e tipologia) di eventuali specie infestanti.
USO DELLA TECNOLOGIA
Prevedere l’utilizzo del bioluminometro per certificare in modo oggettivo i livelli igienici delle procedure di pulizia
to del contributo economico da parte del cliente, questo non ripagava l’azienda dei maggiori costi. Ma, mi veniva spiegato, visto che il segmento di mercato Horeca è
Il profilo caratteriale del titolare dell’azienda di disinfestazione lo spinge entusiasticamente all’innovazione tecnologica. Egli utilizzerebbe il bioluminometro in ogni dove e in ogni occasione. Alla passione per la scienza ci accomuna quella per la storia giuridica: dalla legge del taglione al Codice di Hammurabi, in cui la pena per i vari reati è identica al torto o al danno provocato, ai
paradossi giuridici dei nostri codici attuali, già segnalati dal grande matematico e giurista Leibniz che a suo tempo segnalò come potessero coesistere sentenze fra loro contrastanti pur basandosi su interpretazioni rigorose delle leggi vigenti. Ciò detto, l’obiettivo è realizzare un contratto abbinato a un disciplinare in modo che siano fra loro integrati e adatti ai vari segmenti di mercato. Accomunati da concetti di sintetica semplicità per i contratti e di esaustiva analisi per il disciplinare, in modo da semplificare i rapporti con i clienti consentendo loro una comparazione informata delle offerte proposte dalle varie aziende. La speranza è che il settore navighi concretamente verso orizzonti tesi alla difesa dai parassiti in modo sicuro, nel rispetto dell’ambiente e, aggiungo, verso un adattamento ai mutamenti che sembrano incombere dietro l’angolo. La salute, infatti, è il corollario sociale di ogni nostro contratto.
Un pest management efficace è un aspetto cruciale per garantire la salubrità dei prodotti e mantenere il benessere degli animali allevati, fattori imprescindibili per la stabilità economica dell’azienda agricola
dottori forestali esperti in gestione integrata degli infestanti
L’Italia è uno dei principali produttori agricoli in Europa e l’allevamento zootecnico gioca un ruolo fondamentale nell’economia agricola del paese. A differenza di quanto avviene in molti paesi, il settore zootecnico italiano è altamente diversificato: esso comprende l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, nonché l’avicoltura; ogni regione ha una sua specificità, con differenze nelle tipologie di allevamento e nella produzione.
La gestione degli infestanti in zootecnia diventa un aspetto di primaria importanza per garantire la salute degli animali, la produttività delle aziende agricole e la sicurezza alimentare. Il tema della biosicurezza è, dunque, strettamente legato alla diffusione degli infestanti in quanto fa riferimento all’insieme di pratiche, protocolli e strutture organizzative progettate per prevenire l’ingresso e la diffusione di malattie negli allevamenti, che comprendono, per esempio, anche l’intrusione dei roditori e la presenza dei ditteri. La biosicurezza, inoltre, include comportamenti corretti, tecniche di gestione efficaci e configurazioni organizzative e strutturali che, se applicate correttamente, contribuiscono a proteggere la salute degli animali e a salvaguardare la redditività delle aziende zootecniche. Gli infestanti - che comprendono parassiti, insetti, roditori ed altri organismi dannosi - possono avere impatti significativi sulla salute degli animali, riducendo la loro crescita, la produzione di latte, carne o uova e causando danni indiretti attraverso la trasmissione di malattie. Non da meno è l’aspetto relativo alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori del comparto e la protezione degli alimenti di origine animale che, talvolta, sono lavorati in siti
adiacenti o comunque molto prossimi alle pertinenze zootecniche propriamente dette. Pertanto, una gestione efficace è cruciale per il benessere degli animali e il successo economico dell’azienda agricola. La presenza di infestanti ha effetti diretti e indiretti sugli animali e sull’azienda zootecnica. Uno di questi è la perdita di produttività: la massiccia presenza di mosche o roditori ed in particolare gli ectoparassiti come zecche, tafani, acari ematofagi (Dermanyssus gallinae) ma anche di zanzare e pappataci, può, aumentando lo stress, ridurre l’appetito degli animali. L’impatto negativo sul benessere generale degli animali altera la loro crescita e diminuisce la produzione di latte, carne e uova. Gli animali malnutriti o stressati sono anche più vulnerabili alle malattie.
Un altro effetto è, appunto, la trasmissione di malattie: parassiti come le mosche e le zecche sono noti per essere vettori di numerose malattie infettive, come borreliosi (malattia di Lyme), West Nile disease e Leishmaniosi. Ciò può portare a gravi focolai infettivi, con impatti economici significativi. I roditori, d’altro canto, possono trasmettere malattie batteriche come la Leptospirosi, Salmonellosi e le Rickettsiosi senza considerare la Peste che, benché in regressione, è ampiamente diffusa in molte zone del mondo; malattie da protozoi come la Toxoplasmosi e importanti malattie virali come “febbre emorragica” ed encefaliti da zecche. Pur non essendo vettori diretti del virus della PSA, ratti e mosche possono contribuire indirettamente alla contaminazione dell’ambiente, sottolineando l’importanza di un controllo efficace dei parassiti negli allevamenti suinicoli. Infine, l’uso di trattamenti per il control-
Complessivamente, la zootecnia in Italia ha un’importante incidenza sull’economia agricola, contribuendo significativamente al PIL agricolo e all’export di prodotti alimentari di alta qualità. L’adozione di pratiche moderne di allevamento e l’attenzione alla sostenibilità e alla biosicurezza sono elementi chiave per il futuro di questo settore, che punta a conciliare la tradizione con le esigenze di un mercato sempre più attento alla qualità e alla sicurezza alimentare.
6 MILIONI DI CAPI BOVINI, di cui una parte significativa è dedicata alla produzione di latte, con marchi di eccellenza come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Gorgonzola, ecc. L’allevamento da carne è concentrato soprattutto nel Nord Italia, mentre quello da latte si distribuisce principalmente nelle regioni settentrionali e del Centro.
9 MILIONI DI CAPI SUINI. La produzione di carne suina è tra le più alte d’Europa. I salumi, come il prosciutto di Parma, di San Daniele e il salame, sono un fiore all’occhiello del Made in Italy.
8 MILIONI DI PECORE E 2 MILIONI DI CAPRE. Questo tipo di allevamento è particolarmente rilevante nelle regioni meridionali e nelle isole, dove la produzione di formaggi tipici come il Pecorino Romano ha una lunga tradizione.
13 MILIONI DI TONNELLATE DI CARNE DI POLLO E 7 MILIARDI DI UOVA
L’allevamento di polli e tacchini è diffuso su tutto il territorio nazionale, con particolare concentrazione nelle regioni del Nord e del Centro.
lo degli infestanti comporta un notevole impegno economico. Se non gestiti correttamente, gli infestanti possono anche danneggiare le strutture agricole e compromettere la qualità dei prodotti, con ripercussioni sul reddito dell’azienda.
Una strategia efficace di lotta agli infestanti in zootecnia si basa su un approccio integrato, che combina diverse azioni, per minimizzare i rischi e gli impatti economici. Tra le principali tecniche utilizzate troviamo:
• Monitoraggio regolare: il continuo monitoraggio delle strutture e degli animali
è fondamentale per rilevare tempestivamente la presenza di infestanti. L’uso di trappole per insetti e per roditori, l’ispezione visiva e la raccolta di campioni sono strumenti utili per valutare la situazione.
• Controllo biologico: l’introduzione di predatori naturali, come insetti che si nutrono di parassiti, può ridurre la necessità di interventi chimici. Un esempio di controllo biologico è l’utilizzo di nematodi entomopatogeni o imenotteri parassitoidi, per combattere le larve delle mosche.
• Trattamenti chimici: l’uso di prodotti chimici (insetticidi, rodenticidi) è spes-
SUGLI ANIMALI E SULL’AZIENDA
ZOOTECNICA.
so necessario per eliminare infestanti particolarmente dannosi. Tuttavia, è importante applicare questi trattamenti con moderazione e seguendo linee guida ed etichette per evitare resistenze o contaminazioni nei prodotti animali.
• Igiene e pulizia: mantenere un ambiente pulito è essenziale per prevenire l’insorgenza di infestazioni. Una buona gestione del letame, una pulizia regolare delle stalle e un’adeguata gestione dei rifiuti possono ridurre significativamente la presenza di parassiti e roditori.
• Pratiche di rotazione e diversificazione: la rotazione delle colture e la diversificazione del pascolo possono aiutare a ridurre la proliferazione di erbe infestanti e parassiti legati a determinate colture.
• Alimentazione e nutrizione ottimale: fornire agli animali una dieta equilibrata e ricca di nutrienti, aumentare il loro benessere e diminuire lo stress, favorisce la loro resistenza ai parassiti e rinforza il loro sistema immunitario. Animali in salute sono meno vulnerabili agli infestanti.
È noto che la presenza e la popolazione di un qualsiasi animale - sia esso un parassita o meno - è determinata dalla capacità portante dell’ambiente stesso e della dinamica di popolazione: la capacità portante di un ambiente, dal punto di vista ecologico, è il numero medio di individui di una specie che un ecosistema può sostenere a lungo termine senza subire danni. Questo concetto è fondamentale e va necessariamente considerato quando decidiamo di impostare un piano di lotta agli infestanti. Essa rappresenta il risultato di vari fattori, tra i quali annoveriamo: la quantità di cibo, acqua, spazio e riparo a disposizione per una popolazione. La competizione intra e interspecifica per le risorse, che può limitare la crescita di una popolazione. La presenza di predatori, che può influenzare il numero di prede che un ambiente può sostenere. Le condizioni ambientali, fattori abiotici come temperatura, umidità e disponibilità di luce. Le malattie e le infestazioni, che possono limitare la crescita della popolazione. Infine, la dinamica di popolazione: una popolazione, nel caso specifico di infestanti,
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è funzione di due processi che ne fanno incrementare il numero, la natalità e l’immigrazione, e due processi che ne fanno ridurre il numero, la mortalità e l’emigrazione. L’equilibrio tra questi quattro fattori determina l’andamento di una popolazione. Se il numero di individui è più basso della capacità portante dell’ambiente, il tasso di natalità e di immigrazione può superare il tasso di mortalità ed emigrazione, portando ad un aumento della popolazione. Al contrario, se il numero di individui è più alto della capacità portante dell’ambiente, il tasso di mortalità ed emigrazione può essere più elevato, determinandone una riduzione.
Nei piani di gestione degli infestanti, troppo spesso l’attenzione è rivolta quasi esclusivamente alle fasi di lotta attiva. L’errore sorge dal pensare che un aumento di mortalità degli individui comporterà automaticamente una diminuzione della popolazione. Questo, in molti casi, sarà vero solo nel brevissimo periodo; cosa succederà nel medio-lungo periodo?
Un aumento di mortalità porterà ad una maggior quantità di risorse disponibili
per gli individui presenti e, quindi, ad una maggior prolificità degli stessi - aumento della natalità - e a fenomeni immigratori; il risultato sarà che, in breve tempo, il numero degli infestanti presenti tornerà uguale a quello delle fasi pre-intervento.
Se, invece, concomitante all’intervento di lotta attiva, si effettuano azioni di modifica ambientale che diminuiscono in maniera sensibile la capacità portante di quell’ambiente si otterranno risultati più veloci e duraturi nel tempo e contemporaneamente gli interventi di lotta attiva risulteranno più efficaci.
Esaminiamo, quindi, nel dettaglio due dei principali infestanti da considerare nelle aziende zootecniche: roditori e mosche.
Roditori. Le tre specie cosmopolite - diffuse in tutto il mondo - di importanza rilevante negli allevamenti zootecnici sono: il topo domestico (Mus domesticus), il ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus) e il ratto dei tetti (Rattus rattus). Tali specie, sebbene vivano in ambienti e si nutrano di cose diverse tra loro, possono in egual misura colonizzare e infestare le aziende zootecniche. È pertanto fondamentale saper riconoscere la specie, per meglio direzionare i successivi interventi di lotta e controllo.
Preliminarmente, è opportuno studiare bene l’ambiente in cui ci si trova; individuare le aree infestate, le zone “a rischio”, quelle di approvvigionamento trofico e i punti di accesso, tanto al fine di decidere dove e come intervenire per abbassare la capacità portante.
Una corretta gestione degli spazi e del verde, finalizzata all’eliminazione di luoghi “sicuri” dove nidificare, la chiusura degli accessi e, se possibile, la limitazione della quantità di cibo e acqua disponibile, andrà a rendere l’ambiente inospitale e più difficile. Spesso non è necessario agire a 360 gradi ma risulta parimenti efficace individuare un solo fattore limitante: disponibilità di spazi, acqua o cibo, per ottenere la diminuzione della capacità portante desiderata.
GLI INSETTICIDI ADULTICIDI
SONO DA UTILIZZARE COME TRATTAMENTO STRAORDINARIO DA EFFETTUARSI
SOLO QUANDO
GLI ALTRI SISTEMI
SONO RISULTATI
POCO EFFICACI
Contestualmente, può essere utile, agendo nelle zone infestate, utilizzare sistemi di lotta attiva come trappole a singola cattura o multicattura ed erogatori di esca; tali sistemi consentono una veloce diminuzione della popolazione ed evitano pericolosi fenomeni migratori. La disponibilità nel mercato di trappole per la cattura con sistemi digitali di alert e di rilevamento rappresenta ad oggi un fattore migliorativo dell’attività di “rodent management”. Mosche. In generale, in ambienti dove vi è presenza di animali, letame e mangimi, vi è naturalmente presenza di mosche. Grandi
quantità di cibo, acqua e spazi, e un’elevata capacità portante dell’ambiente portano inevitabilmente ad un alto numero di utilizzatori.
Storicamente le stesse mosche venivano gestite con l’utilizzo di insetticidi liquidi erogati, a volte anche giornalmente. Essendo ormai scomparsi tutti i prodotti adulticidi registrati per uso in presenza di animali, risulta necessario attuare strategie di lotta integrata che considerino tutte le metodologie di gestione ad oggi disponibili, a cominciare dalla migliore gestione del letame, della lettiera e della concimaia, per estendersi poi a diverse altre come l’utilizzo di trappole a cattura massale, le note trappole ad acqua, posizionate lungo i confini, con lo scopo di intercettare e bloccare le mosche che si spostano dall’interno verso l’esterno o anche dall’esterno verso l’interno. Le trappole ad acqua attivate da attrattivo proteico tendono ad essere particolarmente efficaci sulle femmine fecondate che ricercano un luogo dove deporre le uova e far sviluppare la propria prole. È possibile anche optare per l’impiego di prodotti in esca che, funzionando per ingestione, attivati da attrattivo zuccherino, attirano le mosche in cerca di zuccheri. Questi prodotti risultano particolarmente efficaci. Vengono distribuiti su superfici non porose, individuate tra quelle che, per motivi
naturali quali esposizione, temperatura, umidità, vicinanza con zone di approvvigionamento trofico sono naturalmente predilette dalle mosche come punto di riposo e stallo.
Un’altra opzione è l’uso di prodotti antilarvali liquidi o granulari, i quali, distribuiti nei luoghi dove si accumulano liquami, consentono di bloccare lo sviluppo di un certo numero di larve non facendole sfarfallare. I prodotti antilarvali contro le mosche oggi sono solo IGR (Insect Grow Regulator), ossia molecole paraormonali di tipo Chitino-inibitori o Iuvenoidi che influiscono sul normale sviluppo delle larve. Infine, è possibile utilizzare insetti parassitoidi, spesso imenotteri, che se lanciati costantemente parassitizzano i pupari delle mosche. Aumentare il quantitativo dei “predatori” consente di diminuire la capacità portante dell’ambiente per le mosche.
PRODOTTI ADULTICIDI
Quest’ultima soluzione va considerata come extrema ratio, come trattamento straordinario da effettuarsi solo quando non si è riusciti ad ottenere il risultato sperato attraverso gli altri sistemi. Sarebbe opportuno che l’utilizzo di insetticidi adulticidi venga effettuato solo a seguito di un’attenta valutazione, come azione correttiva di una “non conformità”.
A seguito di ogni trattamento adulticida, bisognerebbe verificare di nuovo il piano di gestione infestanti e, in maniera puntuale, individuare quali sono le migliorie da attuare. Lo scopo è quello di poter gestire le mosche e gli infestanti in generale in maniera efficace, senza l’utilizzo di insetticidi adulticidi o altri prodotti chimici. La lotta agli infestanti non deve mai ritenersi conclusa o definitiva ma è sempre soggetta a lavoro, modifiche, ispezioni e valutazioni perché sempre mutevoli sono le situazioni, le possibilità di sviluppo e le condizioni (trofiche, di umidità, di temperatura) specialmente negli stabilimenti alimentari.
Mosquito Trap è la nuova tecnologia che rivoluziona il tradizionale sistema di disinfestazione, offrendo una soluzione efficace per il controllo delle zanzare. Ideale per ambienti pubblici, hotel, ristoranti e qualsiasi luogo in cui la prevenzione sia fondamentale per il benessere degli ospiti, questa innovativa trappola garantisce protezione continua senza rilasciare sostanze nocive nell’ambiente.
Mosquito Trap è una trappola semplicissima da utilizzare, realizzata per avere una diretta azione larvicida, con riflesso anche sulle zanzare adulte, e senza rilascio di sostanze nell’ambiente. Sicura quindi per l’uomo, per l’ambiente e per gli eventuali altri animali in esso presenti, garantisce tre mesi di azione diretta e continuativa.
COME FUNZIONA
Mosquito Trap è una trappola dalla forma particolare, ricca di scanalature sulle pareti interne, che, riempita d’acqua, ricrea l’habitat ideale in cui le femmine si fermano per deporre le uova. Per la sua conformazione e progettazione, funziona prima come attrattivo, e poi come abbattente. Infatti, le zanzare sono attirate dalla forma, dal colore e dall’odore della trappola, che diventa per loro l’ambiente ideale per la deposizione delle uova, rivelandosi, però, allo stesso tempo letale per le future larve.
Mosquito Trap è semplicissima da utilizzare e può essere posizionata praticamente ovunque. Leggera e maneggevole, la trappola presenta uno speciale polimero al suo interno, che si attiva, una volta che la trappola viene riempita con acqua, e rilascia microdosi
di insetticida dal primo riempimento al momento dell’attivazione e per i 90 giorni successivi. Ancora, sempre al suo interno, una bustina di materiale organico ne potenzia l’attrattività e consente parallelamente di creare acqua stagnante, ambiente attivamente ricercato dalle zanzare in deposizione. Pressochè priva di manutenzione, non richiede nessun particolare sforzo di gestione o controllo durante i mesi di copertura.
Due trappole garantiscono la copertura di 200 mq per 90 giorni. Inoltre, per la sua conformazione e leggerezza, può essere posizionata a terra in qualsiasi angolo o luogo ma anche appesa ad alberi o ad altri supporti, così da non risultare visivamente invasiva nei luoghi in cui, come in alberghi o ristoranti, è importante proteggere i propri clienti cercando però di rimanere il più invisibili possibile.
Scegliere Mosquito Trap significa dotarsi di un nuovo strumento di gestione e controllo zanzare capace di potenziare l’efficacia dei trattamenti adulticidi, ridurre il numero di interventi stagionali e garantire una protezione più duratura. Sicura per l’uomo, gli animali e l’ambiente, rappresenta una soluzione eco-compatibile che innalza gli standard di gestione delle zanzare, offrendo tranquillità e sicurezza a chiunque desideri proteggere i propri spazi in modo discreto ed efficace.
Una panoramica sulla biologia delle principali specie di zanzare che infestano il nostro territorio, analizzando come la loro diffusione e le strategie di controllo siano cambiate nel tempo
GIORGIO CHIARANZ
consigliere nazionale AIDPI
L’Italia è un Paese dalle caratteristiche geografiche e climatiche particolarmente favorevoli alla proliferazione di zanzare, che si sono adattate e moltiplicate in un’ampia varietà di ambienti. Questi insetti, da sempre una fonte di fastidio per la popolazione, sono anche responsabili della trasmissione di malattie virali note come arbovirosi (acronimo di ARthropod-BOrne Viruses), causate da virus trasmessi da artropodi. In questo articolo esploreremo non solo la biologia delle principali specie di zanzare che infestano il nostro territorio, ma anche il modo in cui la loro diffusione e il rischio di malattie siano cambiati nel tempo. Analizzeremo, in particolare, come la regione Emilia-Romagna abbia gestito il primo caso di arbovirosi esotica in Europa, avvenuto circa vent’anni fa, un episodio che ha avuto un forte impatto sul sistema sanitario e sulle politiche di prevenzione nazionali. La lotta contro le zanzare è un problema che coinvolge vari livelli istituzionali e la società, in quanto si tratta di un fenomeno che colpisce direttamente la Salute pubblica, rientrando a pieno titolo in quello che viene chiamato modello “One Health”, ossia un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse. Appartenenti alla famiglia Culicidae, le zanzare sono insetti che giocano un ruolo fondamentale negli ecosistemi naturali come prede per diversi predatori. Tuttavia, le loro abitudini ematofaghe e la capacità di trasmettere patogeni le rendono una minaccia per la salute umana. Vediamo quali sono le specie più diffuse nel nostro Paese.
Culex pipiens
La zanzara comune è probabilmente la specie più conosciuta e diffusa in Italia. Questo insetto è prevalentemente notturno e si sviluppa principalmente in ambienti urbani e suburbani. Culex pipiens è nota per la sua capacità di trasmettere il virus del West Nile, una malattia che può avere conseguenze anche gravi, soprattutto se colpisce persone anziane o con sistema immunitario compromesso. È anche il principale vettore della Filaria nei cani. La proliferazione di questa zanzara è favorita dalla presenza di acque stagnanti, come quelle che si accumulano in caditoie, fosse e vasche di giardini non curati. Il suo ciclo di vita è breve, con le femmine che depongono le uova sulla superficie dell’acqua, dove le larve si sviluppano e si trasformano rapidamente in adulti.
Aedes albopictus
Originaria del Sud-est asiatico, Aedes albopictus (zanzara tigre) è stata introdotta in Europa e in Italia negli anni ‘90, probabilmente attraverso il
commercio internazionale di pneumatici usati, che fornivano ambienti ideali per lo sviluppo delle sue uova. La sua capacità di adattarsi a diversi ambienti urbani ha facilitato la sua rapida diffusione, diventando una delle specie più invasive. Aedes albopictus è attiva principalmente di giorno risultando particolarmente aggressiva. Questa zanzara è anche un vettore noto di virus come Chikungunya, Dengue e Zika, il che la rende un pericolo per la salute pubblica. Nonostante le origini tropicali le sue uova sono in grado di superare l’inverno, il che le permette di sopravvivere in climi più freddi. Il suo impatto nella vita quotidiana delle persone è notevole, poiché è in grado di infestare giardini, cortili e altre aree residenziali.
A. koreicus/A. japonicus
Queste specie, originarie rispettivamente di Corea e Giappone, sono diventate oggetto di preoccupazione in Italia a causa della loro resistenza al freddo. Sebbene Aedes albopictus abbia dominato la scena, la presenza di Aedes
koreicus, rilevata per la prima volta in provincia di Belluno nel 2011, ha segnato un punto di attenzione. Questa specie è particolarmente pericolosa perché, essendo più resistente a temperature più basse, può diffondersi in regioni dove la zanzara tigre non riesce a sopravvivere. Aedes japonicus, invece, è stata identificata in Italia nel 2015 e ha avuto una diffusione più lenta ma comunque significativa. Entrambe le specie possono fungere da vettori per arbovirus, ma anche se i dati sulla loro capacità di trasmettere malattie in Italia sono ancora incompleti, gli esperti temono che possano diventare una minaccia in futuro.
Aedes aegypti
Anche se non ancora diffusissima in Italia, Aedes aegypti è una delle zanzare più pericolose al mondo. Conosciuta per essere il principale vettore dei virus Dengue, Zika e Chikungunya, la sua presenza in Europa è stata limitata per lungo tempo, ma con il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature medie, potrebbero
L’Italia ha vissuto diverse epidemie di arbovirosi nel corso degli anni, la prima delle quali risale al 2007, quando un focolaio di Chikungunya ha colpito la provincia di Ravenna. Questo episodio ha segnato un punto di svolta nella gestione delle malattie trasmesse da zanzare, poiché ha portato alla consapevolezza di quanto le zanzare invasive potessero rappresentare una mi-
esserci nuove opportunità per questa specie di estendersi. Gli individui di Aedes aegypti sono piccoli, di un colore nero con macchie bianche sulle zampe e sulla testa, e sono molto aggressive. Si riproducono preferibilmente in piccoli contenitori d’acqua stagnante, come vasi di fiori, bottiglie o secchi, spesso nelle vicinanze delle abitazioni umane, facilitando la loro diffusione nelle aree urbane.
Aedes caspius
La si trova soprattutto in aree costiere o vicino a zone umide. Questa zanzara è particolarmente attiva al tramonto e all’alba e ha una forte capacità di spostarsi su lunghe distanze. Il suo habitat ideale è rappresentato da acque temporanee, come quelle che si formano a seguito di piogge o di maree. La sua invasività e aggressività possono risultare così forti da determinare enormi disagi, come accaduto durante il concerto di Frank Zappa avvenuto alle porte di Milano nel 1982 e testimoniato nella copertina di un suo album successivo a quell’evento.
naccia per la salute pubblica. Chikungunya è un virus che provoca febbre, forti dolori articolari e altri sintomi debilitanti, ma nella maggior parte dei casi non è letale. Il focolaio ha anche portato all’introduzione di piani di sorveglianza e di gestione delle epidemie a livello nazionale, con particolare attenzione alla prevenzione della diffusione di altre malattie come Dengue, Zika e West Nile. Negli anni successivi,
L’ALTERAZIONE
DEGLI HABITAT CAUSATA
DAL CAMBIAMENTO
CLIMATICO STA
ESTENDENDO L’AREALE
DELLE ZANZARE, RENDENDONE
PIÙ DIFFICILE
IL CONTROLLO
la diffusione di Aedes albopictus ha continuato a preoccupare le autorità sanitarie, con focolai sporadici di altre arbovirosi che hanno continuato a emergere.
La proiezione futura è tutt’altro che rassicurante: il cambiamento climatico sta alterando gli habitat naturali di molte specie di zanzare, estendendo il loro range a nuove aree. L’aumento delle temperature, le piogge irregolari e l’intensificarsi degli
eventi climatici estremi potrebbero rendere ancora più difficile il controllo delle zanzare in Italia. Inoltre, la globalizzazione e l’aumento dei viaggi internazionali stanno favorendo la diffusione di arbovirosi da paesi lontani, come quelli tropicali. Le zanzare non conoscono confini e, con l’aumento dei flussi migratori, il rischio di nuovi focolai è più alto che mai.
STRATEGIE DI CONTENIMENTO
Sono principalmente tre le strategie impiegate per il controllo delle zanzare. I trattamenti antilarvali prevedono l’uso di prodotti biologici che eliminano le larve di zanzara senza danneggiare l’ambiente circostante. Essi sono fondamentali per ridurre la popolazione di zanzare adulte. I trattamenti adulticidi consistono nell’applicazione di insetticidi per abbattere le zanzare adulte consente di ridurre la diffusione delle malattie. La terza strategia consiste nella rimozione dei siti di riproduzione: eliminare ogni forma di acqua stagnante, dai bidoni alle caditoie, permette infatti di limitare la proliferazione delle larve.
GESTIRE LE ARBOVIROSI
Le malattie trasmesse da vettori costituiscono un importante problema di sanità
pubblica: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ogni anno esse causino oltre 1 miliardo di casi umani ed 1 milione di morti, rappresentando circa il 17% dei casi totali di malattie trasmissibili al mondo. Nel 2017, l’Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato la nuova strategia globale dell’OMS 2017-2030 contro i vettori. In Italia è stato elaborato il Piano Nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi 2020-2025 (di seguito PNA), che si articola su un orizzonte temporale di sei anni, per permettere azioni strategiche mirate.
Gestire i casi di arbovirosi richiede un approccio strategico e coordinato. La prevenzione è la chiave, ma anche una risposta rapida e mirata in caso di focolai è fondamentale. Un altro aspetto importante riguarda la comunicazione tra le autorità sanitarie e la popolazione, in modo da garantire che le persone siano consapevoli dei rischi e delle misure da adottare.
Alcune Regioni in Italia, quali Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Liguria, si sono dotate di Piani Regionali specifici, basandosi sul PNA, ma altre no… Quindi, che fare? Un ottimo modo per iniziare è considerare alcuni principi. Innanzitutto, spruzzare insetticida dappertutto non rappresenta una soluzione. Solo attraverso l’azione congiunta data dalla rimozione dei siti di riproduzione, da interventi antilarvali e adulticidi quale soluzione emergenziale è possibile ottenere i risultati sperati.
Per fugare ogni dubbio, è importante attenersi all’Allegato 8 del PNA se si tratta di Culex sp. e all’Allegato 10 del PNA se si tratta di Aedes albopictus.
Infine, se la propria Regione ha sviluppato un Piano Regionale Arbovirosi, conviene studiarlo bene prima di affrontare un caso. La lotta contro le zanzare e le arbovirosi rappresenta una sfida sempre più complessa per l’Italia e il mondo intero. Con il cambiamento climatico, l’evoluzione delle specie di zanzare e l’intensificarsi dei viaggi internazionali, le malattie trasmesse da questi insetti sono destinate a rimanere una minaccia costante. Tuttavia, attraverso strategie di contenimento, sorveglianza e collaborazione tra enti pubblici e privati, è possibile proteggere la salute pubblica e ridurre al minimo il rischio.
1
MONITORAGGI
Invernali ed estivi, per individuare la presenza di Aedes albopictus, effettuati tramite posa di ovitrappole.
2
TRATTAMENTI
ANTILARVALI
Almeno 5 cicli di interventi, da effettuare nelle tombinature pubbliche.
3
CONTROLLI QUALITÀ
Valutazione dell’efficacia dei trattamenti larvicidi nella tombinatura. La tolleranza massima di caditoie infestate è del 5% rispetto ai tombini controllati.
4
LIMITAZIONE LOTTA ADULTICIDA
A causa del forte impatto ambientale, viene autorizzata solo in caso di emergenza e non metodo di lotta di tipo ordinario.
Dalla prima epidemia da arbovirosi in Italia ad oggi, si analizza l’evoluzione dei piani di lotta alle zanzare potenziali vettori di malattie tropicali, considerando anche gli effetti del cambiamento climatico
CARLA GASPARINI
consigliera nazionale AIDPI
In virtù della mia esperienza come Responsabile del Servizio Disinfestazione, posso testimoniare che l’Azienda Municipalizzata di Ravenna per la quale lavoravo era sia per vocazione che per necessità, in considerazione del territorio caratterizzato da estese zone umide, un’eccellenza riconosciuta a livello nazionale nelle metodologie e nell’impegno nella lotta alle zanzare. Già
dagli anni ’70, infatti, veniva privilegiata la lotta antilarvale zanzaricida mentre la lotta adulticida veniva eseguita solo in caso di necessità nelle zone turistiche e solo in seguito a sciamature intense di zanzare aedesine. Fino al 2007, la lotta alle zanzare comprendeva quindi i trattamenti antilarvali nelle zone umide naturali e agricole irrigue, con Bacillus Thuringiensis israelen-
sis, soprattutto a seguito di eventi piovosi o irrigazioni, per combattere le zanzare aedesine e anofeline. Questi interventi vengono tuttora eseguiti nel Parco del Delta del Po, finanziati dalla Legge Regionale 15/1991. Venivano inoltre eseguiti trattamenti antilarvali a cadenza settimanale su fossi e canali per contenere Culex pipiens (la zanzara comune). Il trattamento antilarvale su pozzetti e caditoie stradali per contenere Culex pipiens e, dal suo arrivo in zona, anche Aedes albopictus (zanzara tigre) venivano eseguiti su turnazioni mensili da giugno a settembre. La zanzara tigre, sempre più presente a partire dalla fine degli anni ’90, veniva considerata quale solo presenza fastidiosa, localizzata perlopiù nei giardini privati, senza valutarne la potenzialità vettoriale di malattie tropicali.
PRIMA EPIDEMIA DA ARBOVIROSI
Nel mese di agosto del 2007 si verificò una “strana” epidemia che determinava fortissimi dolori articolari nelle persone colpite nelle due località tra loro adiacenti di Castiglione di Cervia e Castiglione di Ravenna. In una prima fase venne stimata come una forte influenza estiva dal medico che
seguiva le due frazioni. Ma, a seguito di una telefonata da parte di un residente al Servizio Igiene Pubblica, l’evidenza che ci si trovasse di fronte ad un evento del tutto anomalo determinò la creazione di una task force per fronteggiare quella che si rivelò essere la prima epidemia da malattia tropicale nella fascia temperata del pianeta. Il virologo Gianni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità identificò il virus responsabile dell’epidemia come Chikungunya, un arbovirus trasmesso dalle punture di zanzare di origine tropicale, principalmente Aedes aegypti e Aedes albopictus (zanzara tigre). Venne individuato il paziente zero che aveva dato origine all’epidemia a seguito di un viaggio nel territorio indiano del Kerala, dove era stato punto da una zanzara infetta. Le conseguenze di questo evento si concretizzarono in 205 persone colpite tra luglio e settembre 2007, momento in cui si interruppe l’epidemia in seguito alla massiccia campagna di disinfestazione messa in atto in tutto il territorio colpito, unitamente alla consapevolezza che la zanzara tigre non poteva più essere considerata solo una presenza fastidiosa, ma che era necessario mettere in atto strategie di prevenzione e
contenimento per scongiurare il più possibile che si verificassero nuovamente eventi simili. Nel tempo si sono verificate altre situazioni simili sul territorio italiano (Anzio e Roma nel 2017 per giungere a quella più recente accaduta a Fano nel 2024).
La regione Emilia-Romagna, a seguito di quell’evento, ha sviluppato strategie volte alla riduzione di questi rischi, ad iniziare dall’emanazione di Ordinanze sindacali di obbligo di esecuzione di trattamenti antilarvali a carico dei privati, monitoraggio delle zanzare vettrici di arbovirosi, Piani di lotta su suolo pubblico, controlli di qualità nell’esecuzione dei trattamenti antilarvali, monitoraggi sulla presenza delle zanzare adulte. I Piani Regionali già presenti si sono quindi perfettamente integrati nel Piano Nazionale di Sorveglianza e Controllo delle Arbovirosi (PNA) emanato nel 2019. Il Piano Regionale della Regione Emilia-Romagna prevede diverse tipologie di azioni. Innanzitutto, i monitoraggi invernali ed estivi sulla presenza di Aedes albopictus (zanzara tigre), effettuati tramite posa di ovitrappole che sfruttano la predilezione di queste zanzare a deporre le uova all’interno di contenitori scuri, che in qualche modo risultano essere simili ai loro focolai elettivi nei luoghi d’origine del sud-est asiatico; da circa metà ottobre fino al mese di maggio viene attivato il monitoraggio invernale tramite la posa di 110 ovitrappole in 10 comuni. I dati che ne sono tratti permettono di verificare sia il termine di attività delle zanzare adulte,
DEGLI INTERVENTI
LARVICIDI MITIGA
IL RISCHIO
DI DILAVAMENTO DEI
TRATTAMENTI CAUSATO
DALLE PIOGGE INTENSE
sia il loro inizio di attività in primavera, e la conseguente durata del periodo di assenza invernale della zanzara tigre, provando che questo intervallo invernale, a causa dei cambiamenti climatici, ha di anno in anno sempre minore durata. Da maggio a settembre vengono posate 755 ovitrappole in tutti i capoluoghi di provincia della regione. I dati raccolti permettono di valutare la densità delle zanzare adulte sul territorio e, in caso sia necessario, danno il via ad altre azioni di monitoraggio e controllo. Sono poi previsti trattamenti antilarvali nelle tombinature pubbliche: il Piano in Emilia-Romagna indica di eseguire almeno 5 cicli di interventi. Il Comune di Ravenna ne esegue 8 da aprile ad ottobre. Il prodotto antilarvale utilizzato nel territorio ravennate è a base di PDMS, olio siliconico, che viene erogato con speciali attrezzature in grado di essere associate a sistemi di geolocalizzazione di ogni singola erogazione eseguita e di tarare con la massima precisione il prodotto erogato. La geolocalizzazione delle e rogazioni, espressamente richiesta dal Piano Regionale, permette verifiche della copertura dei territori in tempo reale. Il Piano prescrive poi dei controlli di qualità e verifica di efficacia dei trattamenti larvicidi nella tombinatura pubblica: essi
vengono eseguiti dal Centro Agricoltura e Ambiente Nicoli di Crevalcore che redige report dei risultati dei controlli. La tolleranza massima di caditoie infestate è del 5% rispetto ai tombini controllati.
La lotta adulticida, a causa del forte impatto ambientale, viene configurata dal Piano Regionale quale sola misura emergenziale e non metodo di lotta di tipo ordinario. L’efficacia di questi trattamenti è, comunque, di brevissima durata in caso non vi sia un contenimento larvale. La lotta adulticida viene quindi autorizzata solo nei seguenti casi: quando esistono comprovati motivi di ordine sanitario, cioè, conferma di casi di arbovirosi o emergenze da West Nile Virus (si sono resi necessari anche a seguito degli straordinari fenomeni alluvionali del 2023); nelle località costiere in prossimità di zone umide qualora le trappole di monitoraggio delle zanzare adulte mostrino superamenti della soglia di tolleranza; in ambito privato a seguito di invio di comunicazione preventiva agli enti preposti e solo da parte di privati che eseguano correttamente i protocolli antilarvali.
La richiesta può stimolare verifiche da parte degli organi di controllo: l’uso di impianti automatici deve essere denunciato preventivamente agli enti e la regione
esprime con chiarezza quali prodotti non possono essere utilizzati in questi impianti.
CONSEGUENZE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Lo studio pubblicato nel 2020 Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia, pubblicato dal Centro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, ipotizza due diversi scenari futuri, a seconda del livello di emissioni stimate, sia per quanto riguarda l’aumento delle temperature che per l’aumento delle precipitazioni massime giornaliere nel nostro Paese nei prossimi 30 anni. In entrambi gli scenari vi saranno comunque effetti importanti riguardo gli aumenti della temperatura e il verificarsi di piogge intense. Entrambi questi fenomeni possono favorire lo sviluppo delle zanzare, rendendo il loro habitat più favorevole. Inoltre, le piogge intense causano l’aumento delle superfici dei focolai larvali e dilavamento dei trattamenti antilarvali, con conseguente riduzione della loro efficacia. L’unica misura di mitigazione di questo rischio, almeno per quanto riguarda focolai come i pozzetti stradali, risulta essere l’aumento della frequenza degli interventi larvicidi. Questo ridurrebbe l’incidenza di rischio causato dalle bombe d’acqua.
SPECIE
NOME VOLGARE
Zanzara comune
INQUADRAMENTO
SISTEMATICO
Classe Insecta
Ordine Diptera
Sottordine Nematocera
Famiglia Culicidae
Sottofamiglia Culicinae
Larva
4 - 5 mm; con sifone, inclinata rispetto al pelo dell’acqua in posizione di riposo
Adulto
5 - 6 mm; in posizione di riposo, il corpo risulta parallelo rispetto al piano di appoggio
CICLO BIOLOGICO
UOVO – LARVA – PUPA MOBILE - ADULTO
Durata ciclo 8 - 16 gg in condizioni ottimali N° generazioni/anno da 8 a 12 in funzione della temperatura N° uova/femmina circa 300, a gruppi sulla superficie dell’acqua
Svernamento femmina adulta fecondata, in luoghi riparati (edifici, scantinati, ecc.)
CARATTERISTICHE E DIFFUSIONE
Larva con torace largo e sifone respiratorio; pupa dotata di cornetti respiratori allungati e stretti; adulto caratterizzato dalla presenza di unghie con pulvilli e senza denticolatura. Cosmopolita e molto diffusa.
HABITAT
Larva e pupa: acque dolci e stagnanti inquinate da materiale organico (fogne, tombini, caditoie, corsi d’acqua, contenitori per la raccolta dell’acqua piovana, recipienti abbandonati,
discariche, fontane, vasche, vasche di sollevamento, ecc., ovunque vi sia ristagno d’acqua).
La temperatura massima per lo sviluppo delle larve è di 38 °C.
Adulto: all’aperto e nelle abitazioni.
ABITUDINI ALIMENTARI
Larva: materiale organico, alghe e microrganismi.
Adulto: la femmina è ematofaga, il maschio si nutre di succhi vegetali sostanze zuccherine, talvolta di deiezioni e liquidi organici.
DANNI
Fastidio causato da ronzio e punture; irritazioni cutanee locali, possibili reazioni allergiche. Possibile trasmissione di patologie quali: filariosi, febbre maltese, arbovirus, virus della Rift Valley (meningoencefalite), ecc. Danni economici nelle zone turistiche ma anche in zootecnia (allevamenti di maiali, compromette l’aspetto dei prosciutti).
Fonte: Banca dati GEAM
Le tecniche di controllo impiegate in questo settore devono essere integrate e gestite nel rispetto di normative stringenti, volte a tutelare sia il consumatore sia l’ambiente
GIACOMO TORRENZI
L’industria alimentare, settore strategico per la sicurezza alimentare mondiale, si trova quotidianamente a dover fronteggiare numerose sfide che minacciano la qualità e la quantità delle derrate prodotte. Tra queste, la presenza di roditori rappresenta uno dei problemi più insidiosi e diffusi. La lotta ai roditori, infatti, non solo preserva la qualità degli alimenti ma è altresì fondamentale per il mantenimento della produzione mondiale di derrate alimentari come grano e riso, prodotti essenziali per la dieta globale. Andiamo ad analizzare in questo articolo le problematiche connesse alla presenza dei roditori, le tecniche più efficaci impiegate per contrastarne l’insediamento e i regolamenti da rispettare durante l’attuazione di trattamenti di disinfestazione nell’ambito dell’industria alimentare.
I roditori, grazie alla loro elevata capacità riproduttiva e all’adattabilità a diversi ambienti, possono insediarsi rapidamente in aree di stoccaggio e produzione alimentare. La loro presenza, oltre a causare danni strutturali alle infrastrutture, comporta una serie di rischi.
Uno è rappresentato dalla contaminazione degli alimenti: gli escrementi, l’urina e i peli dei roditori possono contaminare le derrate alimentari, rendendole inadatte al consumo umano e causando perdite economiche significative.
Un altro rischio di grande rilevanza è rappresentato dalla diffusione di malattie. I roditori sono vettori di numerosi patogeni, capaci di provocare epidemie e gravi problemi di salute pubblica.
Infine, da segnalare l’impatto economico negativo delle azioni dei roditori. La presenza incontrollata di questi infestanti comporta costi aggiuntivi dovuti a danni alle strutture, alla necessità di interventi di pest control e alla perdita di prodotto durante le fasi di stoccaggio e distribuzione.
L’importanza di una corretta gestione dei roditori si manifesta, dunque, non solo nel proteggere la salute dei consumatori, ma anche nel salvaguardare un’intera filiera produttiva che parte dalla coltivazione primaria del grano e del riso fino alla trasformazione e distribuzione dei prodotti finiti. In un contesto globale in cui la sicurezza alimentare è divenuta una priorità assoluta, il contrasto ai roditori è considerato un pilastro imprescindibile per la stabilità economica e la sicurezza dei sistemi di approvvigionamento.
Le strategie di controllo e prevenzione dei roditori si basano su un approccio integrato che combina misure preventive, interventi chimici e tecniche di monitoraggio continuo. Tra le tecniche più diffuse ed efficaci troviamo:
Misure preventive . La progettazione degli impianti e la manutenzione periodica degli edifici sono fondamentali per impedire l’ingresso dei roditori. Ciò include la sigillatura di fessure, il controllo degli accessi e l’adozione di pratiche igieniche rigorose, che riducono le fonti di cibo e di rifugio per questi animali. Trappolaggio e cattura. L’uso di trappole meccaniche rappresenta una tecnica tradizionale e ancora molto efficace per il controllo locale dei roditori. Le trappole, sia quelle a scatto che quelle elettroniche, permettono di monitorare e ridurre le popolazioni in maniera mirata, con il vantaggio di ridurre l’uso di sostanze chimiche.
Interventi chimici. I rodenticidi, somministrati attraverso esche appositamente formulate, sono impiegati per abbattere le popolazioni di roditori in aree dove l’intervento meccanico risulta insufficiente. È fondamentale che questi prodotti siano utilizzati seguendo rigorosamente le indicazioni per evitare conta-
minazioni accidentali e per minimizzare l’impatto ambientale.
Tecnologie innovative . Negli ultimi anni, sono state introdotte soluzioni tecnologiche che prevedono l’uso di sensori e sistemi di monitoraggio digitale. Questi dispositivi permettono una rilevazione tempestiva dell’attività rodentaria e l’adozione di misure preventive in tempo reale, migliorando l’efficacia complessiva degli interventi.
L’integrazione di tutte queste tecniche consente di sviluppare un piano di controllo globale, che tenga conto delle specificità strutturali degli impianti produttivi e delle diverse condizioni ambientali. L’obiettivo è quello di garantire un ambiente sicuro e igienicamente controllato, riducendo al minimo il rischio di contaminazioni e di interruzioni nella filiera produttiva.
La gestione dei trattamenti anti-roditori all’interno dell’industria alimentare è soggetta a regolamenti stringenti, che variano a seconda delle normative nazionali e internazionali. Tali regolamenti hanno lo scopo di assicurare che gli interventi siano effettuati in maniera sicura e responsabile, proteggendo sia i consumatori che l’ambiente. Tra gli aspetti regolatori fondamentali troviamo innanzitutto le norme di sicurezza e igiene: le strutture che operano nel settore alimentare devono rispettare norme igienico-sanitarie molto rigorose, che prevedono la realizzazione di piani di autocontrollo basati su HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points). In questo quadro, il controllo dei roditori rappresenta un elemento chiave per garantire la conformità degli impianti alle normative in materia di sicurezza alimentare.
Un secondo aspetto è quello relativo all’uso dei prodotti chimici. L’impiego di rodenticidi è regolamentato da normative
che ne limitano la concentrazione e l’uso in prossimità delle derrate alimentari. Le agenzie di controllo, come l’EFSA (European Food Safety Authority) in Europa, stabiliscono limiti e condizioni d’impiego per evitare residui tossici nei prodotti destinati al consumo umano.
È inoltre obbligatorio mantenere una documentazione dettagliata degli interventi effettuati, che comprenda il monitoraggio periodico, le tecniche impiegate e le eventuali anomalie riscontrate. Questa tracciabilità permette alle autorità competenti di verificare la corretta applicazione delle misure di controllo e di intervenire prontamente in caso di criticità.
Un ulteriore aspetto normativo riguarda la formazione del personale addetto alla disinfestazione. Gli operatori devono essere adeguatamente istruiti non solo sulle tecniche di intervento, ma anche sulle procedure di sicurezza da adottare, per minimizzare i rischi di esposizione a sostanze potenzialmente pericolose.
Queste normative, rigorosamente applicate, contribuiscono a creare un ambiente sicuro lungo l’intera filiera produttiva, dalla fase di coltivazione alla distribuzione finale dei prodotti alimentari. Il rispetto delle regolamentazioni rappresenta, dunque, una componente imprescindibile per la tutela della salute pubblica e per la salvaguardia degli standard qualitativi dei prodotti.
SFIDE
Nonostante le innovazioni tecnologiche e l’adozione di pratiche sempre più sofisticate, la lotta contro i roditori continua a presentare sfide significative. L’evoluzione delle abitudini alimentari e l’intensificarsi della globalizzazione dei mercati comportano una crescente richiesta di standard di qualità sempre più elevati. Di conseguenza, il settore alimentare è chiamato a innovare costantemente le proprie strategie di prevenzione e controllo, integrando nuovi strumenti e metodologie.
Tra le prospettive future, emerge l’importanza della ricerca e dello sviluppo di soluzioni sostenibili, capaci di coniugare effica-
CHE NE LIMITANO
DELLE DERRATE
ALIMENTARI
cia e rispetto per l’ambiente. Le tecnologie emergenti, come l’utilizzo di agenti biologici e sistemi di intelligenza artificiale per il monitoraggio ambientale, offrono spunti interessanti per un controllo più mirato e meno invasivo dei roditori. Inoltre, la collaborazione internazionale e la condivisione di buone pratiche rappresentano elementi chiave per affrontare in maniera coordinata una problematica che, per sua natura, travalica i confini nazionali.
La lotta ai roditori nel settore dell’industria alimentare si configura come una componente essenziale per garantire la sicurezza degli alimenti e la continuità produttiva su scala globale. La contaminazione e la diffusione di malattie, associate alla presenza di questi animali, comportano rischi significativi per la salute pubblica e per l’economia, soprattutto in relazione alla produzione di derrate di fondamentale importanza come grano e riso. Le tecniche di controllo, che spaziano dalle misure preventive al ricorso a soluzioni tecnologiche avanzate, devono essere integrate e gestite nel rispetto di normative stringenti, volte a tutelare sia il consumatore sia l’ambiente. In definitiva, l’adozione di strategie di disinfestazione efficaci e conformi alle regolamentazioni rappresenta un investimento imprescindibile per il futuro della sicurezza alimentare. La continua evoluzione delle tecnologie e l’attenzione crescente alle tematiche ambientali promettono di rafforzare ulteriormente la capacità dell’industria alimentare di fronteggiare questa problematica, garantendo al contempo un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle derrate alimentari in tutto il mondo.
I roditori rappresentano una delle sfide più impegnative per i professionisti della disinfestazione. La loro elevata capacità di adattamento, la prolificità e la diffidenza verso nuovi elementi negli ambienti rendono il loro controllo un’operazione complessa che richiede soluzioni all’avanguardia. Per rispondere a queste esigenze, Newpharm® propone RattiPro e Ratti Mix Cereali, entrambi caratterizzati da un’elevata efficacia e sicurezza d’uso.
ALFACLORALOSIO: AZIONE RAPIDA
Negli ultimi anni, il panorama dei rodenticidi si è evoluto con l’introduzione di nuove sostanze attive non anticoagulanti. Tra queste, l’Alfacloralosio si distingue per il suo meccanismo d’azione rapido ed efficace. Questa molecola agisce portando alla depressione del sistema nervoso centrale dei roditori, che culmina nella morte per insufficienza respiratoria e ipotermia. Grazie a questa caratteristica, l’Alfacloralosio consente di eliminare rapidamente infestazioni in ambienti interni senza il rischio dell’insorgenza di fenomeni di resistenza, un problema sempre più diffuso con l’uso prolungato di anticoagulanti. Inoltre, la sostanza degrada spontaneamente entro 24 ore dall’assunzione, riducendo i rischi di bioaccumulo nella catena alimentare.
RattiPro, formulato a base di Alfacloralosio, è un’esca rodenticida pronta all’uso ad altissima efficacia che agisce come depressore del sistema nervoso e convulsivo dei roditori. È adatto alla lotta al Mus musculus estensibile ad altre specie purché in ambiti circoscritti e non esposti a alte temperature. Si presenta in pratiche cartucce da 300 g.
BROMADIOLONE: CONTROLLO DI LUNGO TERMINE
Accanto alle nuove tecnologie rodenticide, i principi attivi anticoagulanti rimangono fondamentali per la gestione delle infestazioni di ratti e topi su larga scala.
Il Bromadiolone è una delle sostanze più utilizzate in questo ambito, grazie alla sua comprovata efficacia nel controllo di roditori resistenti ad altri anticoagulanti. Questa molecola interferisce con la coagulazione del sangue, causando la morte dei roditori entro pochi giorni dall’ingestione dell’esca.
Ratti Mix Cereali, a base di Bromadiolone, è stato sviluppato per garantire un’attrattività eccezionale grazie alla combinazione di grani e cereali selezionati, altamente appetibili per topi (Mus musculus) e ratti (Rattus norvegicus). Questo lo rende una soluzione particolarmente efficace in contesti zootecnici. Il prodotto non desta allarme né insospettisce gli altri membri della popolazione di roditori.
La scelta tra RattiPro e Ratti Mix Cereali dipende dalle specifiche esigenze dell’intervento di disinfestazione.
Per azioni rapide in ambienti interni, RattiPro offre una soluzione innovativa basata sull’Alfacloralosio, mentre Ratti Mix Cereali, grazie alla sua formulazione con Bromadiolone, è perfetto per interventi di lungo termine in ambienti esterni e contesti industriali.
servizi ambientali
Un’adeguata formazione è necessaria per garantire un utilizzo corretto e sicuro dei rodenticidi anticoagulanti, così come il rispetto di precise pratiche di intervento
a cura di GIACOMO TORRENZI conto delle questioni di tutela ambientale e di gestione della resistenza, è stato convenuto che il “baiting” permanente per le zone sensibili, quali l’industria alimentare, può essere soggetto a determinate condizioni. Nel frattempo, sono state sviluppate delle regole che attualmente sono oggetto di revisione legale e che, qualora confermate, saranno attuate per tutte le autorizzazioni relative.
In passato, era pratica comune applicare in modo permanente le esche rodenticide anticoagulanti e di controllarle solo ad intervalli di tempo che arrivavano fino a 3 mesi. Tale pratica comportava un rischio considerevole e inaccettabile per l’ambiente e contribuisce al rischio di sviluppo e diffusione della resistenza. Oggi, sono presenti sul mercato sufficienti alternative biocide-free e numerose innovazioni tecniche per il monitoraggio completo dei roditori. Questo è il motivo per il cui l’utilizzo di esche permanenti è stato vietato come trat-
tamento di routine per prevenire le infestazioni di roditori o per monitorare l’attività dei roditori stessi.
Il divieto generale di utilizzo di esche permanenti è stato contestato da diverse parti interessate. La questione è riferita principalmente alla prevenzione delle infestazioni da roditori tramite “baiting” permanente in aree particolarmente sensibili, come ad esempio l’industria alimentare. Pertanto, esperti e associazioni sono stati chiamati in causa al fine di trovare soluzioni tecniche per il controllo di aree sensibili. Tenendo
In caso di infestazioni continue di roditori (per esempio a causa di un continuo ingresso di roditori in uno stabilimento dall’e-
ESCHE SEMPRE
IN STAZIONI PROTETTE
È vietato posizionare esche direttamente sul terreno.
Eccezioni solo per tane o tubazioni, inaccessibili agli organismi non bersaglio e al personale non formato.
NIENTE ESCHE
NEI LOCALI ALIMENTARI
Dove sono presenti alimenti, si utilizzano esclusivamente trappole o sistemi di monitoraggio. Le esche rodenticide non devono mai essere impiegate.
NO ALL’USO PREVENTIVO
PERMANENTE
Le esche non possono essere impiegate in modo continuativo per prevenzione. Sono ammesse solo per infestazioni persistenti e ben documentate.
OBBLIGO DI SEGNALAZIONE
VISIBILE
Ogni punto esca accessibile deve essere indicato con cartelli leggibili, ben posizionati e con informazioni sui rischi per persone, animali e ambiente.
OGNI EROGATORE DEVE ESSERE TRACCIATO
Tutti i punti esca devono essere numerati, datati e registrati su apposite schede, per garantire il controllo e la tracciabilità di ogni intervento.
SOLO PERSONALE QUALIFICATO O FORMATO
L’uso dei rodenticidi è riservato a operatori esperti. I dipendenti dell’azienda possono collaborare solo se adeguatamente formati e autorizzati.
LE ESCHE NON CONSUMATE VANNO RIMOSSE
Quando un’esca non viene assunta dai roditori, va rimossa per evitare sprechi, contaminazioni e impatti ambientali inutili o dannosi.
PREFERIRE SOLUZIONI ALTERNATIVE E PULITE
Dove possibile, è consigliato l’uso di trappole smart, tecnologie biocide-free e sistemi digitali per ridurre l’uso di sostanze chimiche nocive.
sterno), la misura di controllo può essere effettuata anche per un periodo prolungato, superiore a un mese (controllo a lungo termine) in caso di infestazioni di roditori persistenti. Pertanto, l’uso di rodenticidi anticoagulanti in questi casi non rientra tra le norme che ne vietano l’uso in maniera permanente o per fini di controllo. Inoltre, qualsiasi posizionamento senza stazioni esca è vietato, in linea di principio. Tuttavia, gli utenti qualificati per il controllo degli infestanti sono autorizzati ad inserire esche senza stazioni nelle fogne e nelle
aree protette inaccessibili per gli organismi non bersaglio. Tali aree includono, tra gli altri, le tane dei roditori, percorsi cavi chiusi e tubazioni, costruzioni secondarie, come ad esempio cabine elettriche di trasformazione, cabine ad alta tensione, cavità nei muri e pannellature. Diversi prodotti sono stati identificati come un rischio per gli organismi del suolo nel contesto della valutazione del rischio ambientale. Come misura di mitigazione del rischio, il posizionamento di esche nel terreno, senza stazioni esca (es. nelle tane dei roditori) è
stato quindi vietato per i prodotti interessati.
I punti esca devono essere controllati ogni 2-3 giorni all’inizio delle operazioni di controllo, ma non oltre il quinto giorno, e successivamente ad intervalli settimanali. Questo è importante in casi di infestazioni acute di roditori, al fine di verificare quante esche sono state ingerite, per ricostituire i punti esca, se necessario, o scegliere i siti più adatti, se le esche non sono state prese dai roditori. Tale approccio serve a garantire un controllo mirato, rapido ed efficiente.
ISPEZIONE
Consiste nell’identificazione dei segni chiave dell’attività dei roditori.
PIANO DI LOTTA
Solitamente è costituito da interventi a livello manutentivo-preventivo come l’eliminazione delle aree di rifugio per i roditori e l’installazione di reti.
POSIZIONAMENTO DELLE ESCHE
Dopo aver creato le premesse per il posizionamento dei punti esca, è necessario stabilirne il numero e la posizione.
MONITORAGGIO
Comprende la verifica critica dei trattamenti effettuati e pianificare il calendario degli interventi con l’obiettivo di mantenere i risultati ottenuti, migliorandoli nel tempo.
USO IN FOGNATURA E IN AZIENDA
L’utilizzo di rodenticidi anticoagulanti nelle fogne è limitato agli utenti professionisti. Ci sono delle differenze essenziali nella procedura di derattizzazione rispetto, ad esempio, all’utilizzo dei rodenticidi intorno agli edifici o in aree aperte. Le esche sono poste nei pozzetti in una posizione sospesa e quindi la stazione esca non è necessaria. Un’altra differenza è che è necessario il controllo dei punti di adescamento per la prima volta dopo 2 settimane e, successivamente, ad intervalli di 2-3 settimane. La ragione principale di questo è l’assenza di animali non bersaglio nelle fognature. Anche se i sistemi di fognatura possono costituire habitat molto complessi per l’infestazione, è possibile effettuare operazioni di controllo mirate in modo da trovare tracce di attività dei ratti (escrementi, impronte) durante il posizionamento delle esche. Una documentazione delle attività dei ratti
può contribuire a trovare punti focali di infestazione in modo da agire nella maniera più mirata possibile. Se l’esca non viene presa dal ratto, essa può essere rimossa. Tale approccio consente di risparmiare tempo (azione su pozzetti selezionati) e risorse economiche (meno esche, meno manodopera) e, inoltre, è vantaggioso per l’ambiente (minore utilizzo di biocidi). Nel caso di utilizzo delle esche nelle aziende, al fine di ridurre le spese in termini di tempo e costi sia per l’operatore di controllo delle infestazioni che per l’azienda cliente, è raccomandata la collaborazione tra questa prima figura professionale e un dipendente adeguatamente qualificato della società.
Se è prevista una collaborazione dell’operatore di controllo con i dipendenti della società cliente per la gestione dei rodenticidi, questi utenti necessitano di una formazione adeguata. Tuttavia, le misure di accompagnamento delle operazioni di disinfestazione/derattizzazione (ad esempio, ricerca e smaltimento dei roditori morti, controllo di trappole e monitoraggio, misure organizzative ecc.) possono essere effettuate anche da personale non qualificato in collaborazione con l’operatore deputato al controllo delle infestazioni.
In linea di principio, le avvertenze devono essere apposte in qualsiasi luogo in cui vengono applicate esche a base di rodenticidi anticoagulanti. Tuttavia, la pubblicazione di avvertenze non è richiesta se le esche sono state applicate in luoghi inaccessibili al pubblico. In questi casi è sufficiente informare chiunque possa venire a contatto con l’esca nel contesto della propria occupazione (es. durante la pulizia o manutenzione). In linea di principio, l’avviso dovrebbe essere indirizzato a chiunque abbia accesso ai punti di posizionamento delle esche.
Al contrario, non è necessario mettere in
guardia le persone che non hanno accesso ai punti esca.
Nella scelta dei siti dove ubicare le avvertenze e del numero di tali cartelli di avvertimento, si deve tener conto delle condizioni locali delle operazioni di controllo delle infestazioni (numero di punti esca e dimensioni della zona trattata). Le avvertenze devono opportunamente informare le persone nelle immediate vicinanze dei punti esca in merito ai rischi per gli esseri umani, gli animali e l’ambiente che derivano dall’impiego del prodotto biocida in questione. Le dimensioni delle avvertenze dovrebbero essere adeguate all’inserimento di qualsiasi informazione necessaria al raggiungimento di tale scopo. Inoltre, tutte le informazioni devono essere chiaramente leggibili. Le avvertenze devono essere chiaramente identificabili come tali (es. scegliendo un colore di sfondo) e montate all’altezza degli occhi. L’avviso dovrebbe includere almeno
le seguenti informazioni: “Warning” (es. “Pericolo - Veleno per ratti”), sostanza/e attiva/e, l’antidoto e l’istruzione “Tenere lontani i bambini e gli animali domestici”.
Le fasi fondamentali per il controllo dei roditori tramite utilizzo degli anticoagulanti sono quattro: l’ispezione, la stesura del piano di lotta, il posizionamento delle esche e il monitoraggio dei risultati.
La prima fase ispettiva consente di determinare l’entità del problema, le specie infestanti e le condizioni che contribuiscono all’infestazione. L’ispezione consiste nell’identificazione dei segni chiave dell’attività dei roditori: animali vivi o morti, rumori caratteristici, escrementi, tracce e camminamenti, nidi e tane, danni da rosicchiamento, macchie e odore di urina. Dopo un attento esame all’esterno del fabbricato alla ricerca di possibili accessi e di condizioni che incoraggino l’attività dei roditori, si passa all’interno con una sistematica visita a tutto l’edificio. In questa fase è opportuno dedicare particolare attenzione, oltre che ai segni evidenti di infestazione, anche a tutti quei materiali che possono venire contaminati o danneggiati dai roditori.
Una volta monitorata l’area di intervento, viene identificato il piano di lotta più adatto, che generalmente è costituito da interventi a livello manutentivo-preventivo: sigillare i passaggi, mettere in opera reti e sbarramenti ed eliminare allo stesso tempo aree di rifugio per i roditori. Questa fase può essere preliminare oppure successiva al collocamento delle esche.
Dopo aver creato le premesse per il posizionamento dei punti esca, è necessario stabilirne il numero e la posizione. Ogni punto esca così individuato deve essere definito nel tipo di esca (base alimentare e principio attivo), quantità di esca e tipo di protezione
più idoneo. In alcuni casi di particolare difficoltà può essere utile effettuare un trattamento di pasturazione (“pre-baiting”) con l’uso di placebo (esca non attivata con nessun principio attivo); tale operazione viene effettuata con l’intento di valutare l’entità dell’infestazione, le abitudini alimentari e/o indurre abitudine all’esca che si intenderà utilizzare.
Una volta collocati i punti esca essi devono essere ripristinati e man mano adattati alle esigenze che si vengono a creare. La scelta degli strumenti e dei metodi di lotta deve essere adeguata al tipo di roditore presente e all’ambiente nel quale si deve operare. La scelta del tipo e del modo in cui posizionarle può condizionare fortemente il risultato del lavoro.
Le esche non devono essere poste nei locali ove sono presenti alimenti; in questi locali dovrebbero essere impiegati esclusivamente sistemi di monitoraggio o trappole a cattura. Le esche devono essere disposte solo nei luoghi in cui i roditori si riproducono e in cui sono attivi: nei condotti, nelle tubature, nelle canaline elettriche, nelle centraline e nelle giunzioni delle pareti. Le esche non devono essere disposte nelle zone esposte dove possono venire spostate o aperte con la diffusione nell’ambiente del contenuto. Ogni erogatore deve essere numerato e la data di introduzione dell’esca deve essere registrata. Il numero degli erogatori di esca permanenti deve essere riportato in una scheda di controllo. Esche rodenticide permanenti contenute in erogatori resistenti e chiusi non devono essere sistemate all’interno dello stabilimento.
Terminata la fase di bonifica è spesso utile effettuare la verifica critica dei trattamenti effettuati. Ciò fatto non resta che pianificare il calendario degli interventi con l’obiettivo di mantenere i risultati ottenuti, migliorandoli nel tempo, e consolidare contemporaneamente la prevenzione del
rischio di re-infestazione: con interventi anti-invasione, con attenti monitoraggi ispettivi, con la valutazione dei fornitori e con il miglioramento delle conoscenze e competenze nella spesso trascurata materia dell’igiene ambientale. Ciò vale anche nel caso l’intervento sia mirato alla valutazione di un servizio appaltato. A livello professionale il tutto deve essere documentato su moduli che consentano di valutare i risultati lungo tutte le fasi d’intervento e per tutto il periodo di tempo in cui il calendario si concretizza.
È buona norma attenersi all’obiettivo di eliminare il problema nel più breve tempo possibile; tuttavia, non è razionale ridurre l’infestazione senza mai arrivare a risolvere il problema in termini quanto più definitivi possibile. Ciò comporta in genere un intervento massiccio realizzato in 2-3 fasi. Particolarmente delicata risulta la fase finale del mantenimento dei risultati, in quanto, cessata l’emergenza, si tende a diminuire l’attenzione al problema. Inoltre i pochi esemplari eventualmente rimasti tendono a sfuggire ai monitoraggi abituali, richiedendo infatti un maggior impegno ispettivo. Per quanto riguarda il controllo non professionale dei roditori, esistono alcune norme basate sui recenti orientamenti comunitari in materia. In particolar modo, le esche devono essere usate in contenitori a prova di manomissione e fornite in confezioni interne, costituite da sacchetti di grani/granuli/ pellet da aprire e svuotare interamente nella stazione esca, blocchi paraffinati o pasta in carta alimentare da utilizzare tal quale; le esche devono essere fornite in una confezione, contenente più unità interne, in quantità non superiore a 500 g di prodotto.
Fonte: Cabella R, Bellomo G, Rubbiani M. Uso di rodenticidi anticoagulanti in Italia: misure di mitigazione del rischio e norme di buona prassi. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2015. (Rapporti ISTISAN 15/40)
Oggi, pensare a nuovi progetti senza fondarli sui criteri di sostenibilità e impegno ambientale sarebbe anacronistico. Ekommerce, impegnata sin dai suoi esordi nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni ecologiche, ha abbracciato con forza questa filosofia facendosi promotrice della disinfestazione responsabile a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Le linee prodotte da Ekommerce sono completamente prive di sostanze tossiche. Questa scelta, non sempre facile da portare avanti, soprattutto in alcuni periodi storici, ha reso Ekommerce, almeno nel panorama del mercato Italia, protagonista
nel percorso di transizione verso una gestione degli infestanti sempre più sostenibile. Quando ancora l’emergenza ambientale era un tema poco sentito, Ekommerce, con il lancio di Ekomille ha proposto al mercato del Pest Management un’alternativa alle metodiche di derattizzazione tradizionali introducendo per la prima volta il concetto di derattizzazione ecologica. Unico nel suo genere, questo dispositivo per la cattura continua di roditori sinantropici, espleta la propria funzione senza l’impiego di veleni. Utilizzando come attrattivi sostanze alimentari naturali e trattenendo le carcasse nel serbatoio, garantisce una derattizzazione ecologica al 100%.
L’innovazione non si è fermata qui. La gamma Ekomille si è evoluta con lo sviluppo di dispositivi avanzati come Ekomille RC, dotato di un sistema di controllo da remoto per ottimizzare la gestione degli interventi, e Ekomille CO2 e Ekomille Z, entrambi integrati di un sistema di soppressione animal friendly. La capacità di Ekomille di attrarre e catturare i roditori verte su due aspetti fondamentali: l’adescamento alimentare e quello strutturale Il dispositivo possiede 16 vani esca che rendono possibile l’impiego di una gamma molto ampia di sostanze alimentari naturali. Questo conferisce al dispositivo una capacità attrattiva sempre molto alta anche in condizioni di forte competizione alimentare. La struttura della parte superiore di Ekomille, inoltre, simile alla tana del roditore, consente agli infestanti di superare la neofobia che li contraddistingue. Queste caratteristiche, legate a doppio filo all’uso accorto e sapiente del professionista, permettono di gestire intere colonie di topi e ratti in qualsiasi ambiente. Ekomille, grazie al mancato utilizzo di sostanze tossiche e la mancata dispersione delle carcasse infette nell’ambiente, è impiegabile con assoluta sicurezza, sia in ambienti interni che in ambienti esterni. È particolarmente indicato per la derattizzazione nelle aziende agro-alimentari e zootecniche, nel canale Horeca, nelle strutture turistiche, nelle abitazioni private e nei luoghi pubblici in generale.
Grazie a questa tecnologia, la derattizzazione diventa più efficace, sicura ed ecologica, rispondendo alle esigenze di un mondo sempre più attento alla sostenibilità.
Non sono molte le città a poter competere con la Grande Mela per quanto riguarda la densità abitativa e la vastità della rete fognaria e dei rifiuti prodotti. Questo rende la lotta ai roditori una attività particolarmente complessa
GRAZIANO DASSI
A volte c’è un po’ di verità nei proverbi, per l’allarme ratti vale: “Mal comune mezzo gaudio!” O se preferite: “commune naufragium omnibus solacium”. Se tutti naufragano, c’è una sorta di sollievo collettivo.
In entrambe le locuzioni il concetto è che le sofferenze sembrano meno gravi quando sono divise con altri. In effetti non si tratta tanto di uno stato di sofferenza quanto il non sentirmi solo di fronte a risultati parziali nella lotta ai roditori sinantropi in ambito cittadino.
Le mie esperienze hanno radici lontane, partono da città siciliane di media dimensione per arrivare ad alcuni capoluoghi di regione e parecchie cittadine balneari. In tutte queste occasioni mi sono trovato a dovermi confrontare con oggettive difficoltà ambientali (una gestione dei rifiuti disordinata), limiti economici inadeguati, oggettive difficoltà organizzative, in alcuni casi una certa confusione fra le competenze sul campo e, quasi sempre, un mix delle variabili elencate.
Ragione per la quale leggere di un allarme roditori nella megalopoli statunitense di New York mi ha fatto sentire in buona compagnia.
Cerchiamo di riassumere i dati salienti di una certa utilità, per evidenziare le linee guida per un progetto di disinfestazione recentemente attuato nella Grande Mela: New York City ha
una estensione complessiva di circa 784 km² che sommati ai circa 430 km² di acque danno un totale di 1.214 km² in un mix di terraferma, isole e coste. Per avere un termine di paragone il territorio comunale di Milano è 181,8 km², mentre Venezia è più del doppio (414,6 km²) e Roma arriva a 1.285 km², ben 71 km² in più della città del Nord America. Non c’è paragone invece per quanto riguarda il numero di abitanti: Roma ne conta quasi 3 milioni, New York invece circa 8,258.
La città statunitense si affaccia sull’Oceano Atlantico, è attraversata dal fiume Hudson ed è suddivisa in distretti: la penisola di Manhattan, le isole di Brooklyn, Queens, Staten Island e il Bronx che invece è su terraferma. Credo che poche città possano vantare tante tipologie ambientali quante ne ha New York e una densità abitativa così elevata. Le sue fogne si estendono per centinaia di km, la quantità di cibo per l’approvvigionamento alimentare è inimmaginabile e ancor più difficoltosa è la gestione dei rifiuti. Essendo alla stessa latitudine di Napoli, il clima di questa città è caldo d’estate e più freddo della città campana per l’influenza dell’oceano.
STRATEGIA DI GESTIONE
Il progetto di gestione roditori da poco messo in pratica a New York è stato attuato in ragione dell’impennata di segnalazioni di presenza di ratti da parte dei cittadini newyorkesi che, secondo recenti statistiche fornite dal governo, dal 2020 sono aumentate del 71%. Gli scienziati sostengono che l’aumento dei topi sia generalizzato a tutte le grandi città, e che una delle cause principali sia il cambiamento climatico, in grado, per mezzo dell’aumento delle temperature, di prolungare i periodi di attività stagionale dei ratti, consentendo loro di rimanere attivi più a lungo durante l’inverno e di iniziare prima a cercare cibo in superficie in pri-
71% L’aumento delle segnalazioni di presenza di ratti a partire dal 2020
1.214 L’estensione totale in km2 della città di New York
6.377
La cifra in dollari stanziata per realizzare la prima fase del progetto per km2
15%
Il calo di segnalazioni a pochi mesi dalla partenza del progetto
gli orari in cui è consentito mettere i sacchi dell’immondizia sui marciapiedi e introdurre bidoni per i rifiuti a prova di ratto. Anche i semplici cestini sono stati sostituiti con nuovi modelli il cui coperchio diviso funziona come una cerniera per l’apertura e l’estrazione del sacco, mantenendo i rifiuti all’interno ed evitando l’ingresso di materiali ingombranti e, soprattutto, elimina le aperture laterali che attirano i ratti e che risultano problematiche in caso di nevicate. Inoltre, gli autori del progetto hanno deciso di adottare una trappola prodotta da un’azienda italiana e noleggiata dall’azienda Rat Trap Distribution, l’unica che la distribuisce negli Stati Uniti.
mavera. Oltre a questa ipotesi, sicuramente condivisibile, la città di New York è affetta da due problematiche in particolare, che sono state esposte durante la presentazione del progetto ai media:
• la gestione dei sacchi della spazzatura, che i cittadini potevano lasciare sui marciapiedi e dove sostavano per alcune ore, prima che avvenisse il ritiro. Come osservato dal sindaco della Grande Mela, bisognava evitare che i sacchi della spazzatura rimanessero in strada per un periodo di tempo così lungo, perché attirano i roditori rappresentando una fonte di nutrimento. Inoltre, i sacchi fungono da rifugio nel quale i ratti possono nascondersi.
• l’abitudine dei ristoratori di mettere i tavolini all’aperto, iniziata durante il periodo della pandemia (con autorizzazione del governo, che non ha però tenuto conto del rapporto causa-effetto). Dall’inizio della pandemia al relativo cessato allarme, quindi, il problema ratti è letteralmente esploso.
Le prime iniziative che sono state prese sono consistite nel cambiare e accorciare
La trappola agisce senza l’utilizzo di veleni. Essa è infatti dotata di un dispositivo che fa cadere gli animali in una vasca sottostante, dove vengono storditi e uccisi da uno speciale liquido che riduce gli odori e rallenta la putrefazione delle carcasse.
La copertura finanziaria per mettere in atto il progetto è stata stimata in 5 milioni di dollari, pari a circa 6.377 $/km². Altro parametro utilizzabile per quantificare la spesa è la cifra ripartita per il numero di abitanti, il che porterebbe l’ammontare a poco più di mezzo dollaro pro capite. Forse chi si lamenta della cifra a disposizione del servizio non ha torto, ma in Italia circolano cifre ancora più modeste.
Da sempre sono un sostenitore della derattizzazione razionalmente collocata e spero che l’approccio newyorchese si basi su tale criterio. I primi risultati si sono dimostrati incoraggianti, registrando un calo delle segnalazioni da parte della popolazione pari al 15%. Naturalmente, in attesa di dati supportati da monitoraggi e stime della popolazione razionalmente realizzate, una domanda mi si affaccia alla mente: ma a New York saranno applicate le norme della mitigazione del rischio o l’emergenza consentirà delle deroghe?
NOME VOLGARE
Ratto di fogna/ratto grigio/ ratto delle chiaviche/ surmolotto
CARATTERISTICHE E DIFFUSIONE
Di forma tozza, con coda glabra, grossa e più corta del corpo compresa la testa; ha orecchie piccole che non sporgono dal profilo e muso arrotondato. Il mantello è grigio-bruno con ventre biancastro. Cosmopolita ed estremamente diffuso, è sia cittadino che campagnolo. Non va in letargo. Conduce vita prevalentemente sotterranea scavando gallerie e predilige i terreni argillosi (ricchi di humus e compatti). È curioso e vagabondo ed ama esplorare integralmente la zona della sua tana; è prudente ma spericolato, infatti esce anche di giorno per la ricerca di cibo. È in grado di arrampicarsi su piante e
INQUADRAMENTO SISTEMATICO
Phylum Vertebrati
Classe Mammiferi
Ordine Roditori
Famiglia Muridi
CICLO BIOLOGICO
Durata della gestazione 22-24 gg
N parti/anno 3-7
DIMENSIONI ADULTO
Lunghezza corpo + testa
200-270 mm
Lunghezza coda
170-230 mm
Peso
250-600 g
N nati/parto 5-12, i cuccioli nascono glabri e ciechi
Peso alla nascita 5-6 g
Maturità sessuale a 60-90 gg dalla nascita
Vita media 1 - 1,5 anni allo stato libero, fino ad oltre 3 in stabulario
pareti anche verticali, ma non quanto il ratto nero.
HABITAT
Vive in colonie spesso numerose e costruisce tane sotterranee preferendo ambienti umidi, tollerando anche climi freddi. Scava lunghe gallerie fornite di numerose ramificazioni con camere per la raccolta del cibo ed altre per la cura della prole. Abile nuotatore. È attivo durante tutto il giorno, ma soprattutto all’alba e al crepuscolo.
Si ritrova in ambienti quali: discariche, fogne, macelli, allevamenti e lungo i corsi d’acqua: vive dovunque, basta che non gli manchi l’acqua. È facile trovarlo
anche nei parchi cittadini nelle vicinanze di laghetti o corsi d’acqua, sempre alla ricerca del cibo.
ABITUDINI ALIMENTARI
Assai vorace ed aggressivo, ha un regime dietetico onnivoro pur prediligendo cibi di origine animale. Può assalire persino pulcini e coniglietti. Non disprezza però piccoli insettivori, quali talpe e toporagni. Negli allevamenti di suini o di altre specie di maggiori dimensioni è facile trovare sul corpo degli animali le sue morsicature e rosicchiature. Può devastare anche coltivazioni erbacee, ad esempio un campo di mais.
Spectre 2.0 è un sistema innovativo per la gestione con controllo remoto delle infestazioni da roditori, sviluppato grazie a un’approfondita ricerca sul campo. Garantisce il controllo in tempo reale, attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, permettendo di rilevare tempestivamente la presenza di roditori, ridurre gli spostamenti inutili e intervenire rapidamente. Grazie a una tecnologia avanzata, consente di limitare l’uso di rodenticidi e raccogliere dati preziosi per strategie di controllo sempre più efficaci, il tutto integrato con la piattaforma ByronWeb e un’app dedicata. Il cuore del sistema è una centralina dotata di un processore ESP32-WROOM-32 e di un modulo GSM per la connessione web, assicurando una trasmissione dati stabile ed efficiente. La presenza di un modulo LoRa permette una comunicazione wireless a lungo raggio, consentendo alla centralina di ricevere informazioni in tempo reale da un numero illimitato di sensori, anche a grandi distanze. Tra questi, un sensore di cattura PIR, installabile in erogatori o punti strategici dell’ambiente, rileva i movimenti dei roditori ed è alimentato da una batteria al litio ricaricabile. Un altro sensore, integrato in una trappola a scatto per ratti e topi, monitora costantemente lo stato della trappola, segnalando quando è armata, disarmata o ha catturato un roditore. Questo sistema permette di individuare un’infestazione prima del successivo controllo programmato, garantendo interventi tempestivi e riducendo al minimo gli spostamenti superflui. Gli operatori
possono così dedicarsi ad attività di verifica e gestione delle raccomandazioni, ottimizzando il tempo e migliorando le strategie di Integrated Pest Management (IPM).
L’integrazione con la piattaforma in-cloud PCO ByronWeb, certificata ISO 27001, consente di gestire in modo sicuro e centralizzato i dati raccolti sul campo, offrendo un controllo costante ed efficiente.
L’uso di un sistema digitale di monitoraggio come Spectre 2.0 rappresenta un progresso significativo nella gestione delle infestazioni da roditori. Permette un monitoraggio continuo e preciso, evitando falsi allarmi e garantendo interventi mirati. Inoltre, contribuisce alla sostenibilità ambientale riducendo l’impiego di rodenticidi e migliorando l’efficienza operativa attraverso notifiche e report dettagliati accessibili da remoto. Infine, l’adozione di questa tecnologia aiuta le aziende a rispettare normative sempre più rigorose in materia di sicurezza alimentare e ambientale, assicurando un approccio innovativo, efficace e responsabile nella gestione delle infestazioni.
servizi ambientali
uccelli urbani
Esistono alcuni principi basilari che vanno opportunamente considerati quando si affronta il tema della gestione degli uccelli opportunisti di città, in quanto si deve agire in un contesto integrato
MARCO DINETTI
responsabile ecologia urbana Lipu
Le città sono ambienti complessi e variegati: seppur dominate dalla presenza di esseri umani e costruzioni (edifici, strade, manufatti vari) ospitano frammenti degli habitat che erano presenti prima che avvenisse l’urbanizzazione del territorio. Ad esempio, relitti di campi coltivati, terreni incolti, siepi e boschetti, soprattutto nelle zone periferiche.
Nelle aree urbane ci sono anche altre componenti semi-naturali, rappresentate dal verde pubblico e da quello privato. Parliamo di parchi, ville storiche, giardini di varie dimensioni, aiuole, tetti verdi e pareti vegetate, in altre parole tutto ciò che oggigiorno viene ricondotto al sistema della rete ecologica, o infrastruttura verde.
Alcune città sono attraversate da fiumi anche di notevole importanza, mentre altre si affacciano sul mare o su un lago: tutte componenti ambientali che ne diversificano la struttura, arricchendole di habitat e di biodiversità. La consapevolezza che la città è un ecosistema, dove le relazioni ecologiche al suo interno sono complesse (i rapporti che avvengono sia tra gli esseri viventi che con l’ambiente che li supporta), interagendo pure con il territorio circostante, è basilare quando si affronta il tema delle cosiddette specie “problematiche” (termine che tra l’altro potrebbe essere sostituito con “opportuniste”). In questo articolo ci concentreremo appunto su questa tipologia di uccelli, partendo dal presupposto che
questa categoria rappresenta soltanto una piccola parte dell’avifauna. Tradotto in numeri, parliamo di una decina di entità, vale a dire meno del 3% delle specie di uccelli che frequentano le aree urbane, in maniera più o meno stabile.
Quindi sotto il profilo comunicativo, è erroneo parlare in maniera generica di uccelli in città che costituiscono una presenza problematica. Piuttosto è vero il contrario: la maggior parte delle specie sono “utili” (ad esempio per la dieta insettivora, o come predatori di topi e ratti), altre non hanno interazioni significative con gli interessi degli esseri umani, e soltanto una piccolissima parte causa i cosiddetti problemi di convivenza.
Alcune interferenze si possono verificare nell’ambito delle aree urbane, mentre altre negli ambienti circostanti, soprattutto se di tipo rurale. Riguardano il consumo o il deterioramento di prodotti in ambito agricolo (sementi, raccolti) o zootecnico (mangimi), oppure il rischio di birdstrike nei sedimi aeroportuali, vale a dire la possibilità di collisione tra uccelli e velivoli.
Nelle città i problemi derivano soprattutto dall’accumulo del guano sulle varie superfici (sporcizia, aspetti igienico-sanitari) tra cui veicoli, monumenti, panchine, marciapiedi, e dai danni che si possono verificare ai tetti o altri manufatti. Vi sono poi le interazioni sanitarie, che meritano attenzio-
ne soprattutto rispetto a quelle specie che frequentano le discariche o gli accumuli di rifiuti, sebbene sia da rilevare che i dati scientifici ed epidemiologici disponibili non impongono di elevare questa problematica al livello di allarme generalizzato, come invece tendono spesso a fare alcuni media, in maniera impropria.
Cerchiamo di dare un nome e cognome a questi uccelli. Innanzitutto, hanno delle caratteristiche in comune: di solito la taglia è medio-grande e le abitudini sono sedentarie (vale a dire quasi tutte queste specie non sono migratrici). Sono pure animali gregari e sociali, molto adattabili e intelligenti, e
servizi ambientali uccelli urbani
L’OBIETTIVO PRIMARIO È RIDURRE LE RISORSE
CHE DETERMINANO LA PRESENZA DELLA SPECIE IN OGGETTO, RISORSE COSTITUITE SOPRATTUTTO
DAL CIBO E DAI SITI DI NIDIFICAZIONE
questo riguarda anche la dieta che di solito è onnivora oppure a base di sostanze vegetali. Per la nidificazione utilizzano esclusivamente - o in larga parte - edifici e manufatti di vario tipo.
Partiamo dal piccione, chiamato anche colombo (Columba livia forma domestica). Oltre ad essere la specie “problematica” per eccellenza, ha una storia e una serie di aspetti singolari. Le popolazioni presenti attualmente nelle nostre città (piccioni di città) vivono in uno stato di “randagismo”, essendosi formate a partire da individui scappati o liberati volontariamente da una condizione di cattività, che era prevalente fino a circa un secolo fa (piccioni domesti-
ci). A sua volta, il piccione è stato addomesticato tra 5 e 10mila anni fa dal piccione selvatico ( Columba livia ), che tuttora è presente in natura, sebbene molto rarefatto. Lo storno (Sturnus vulgaris) è una specie parzialmente migratrice, che negli ultimi decenni è diventata maggiormente sedentaria, nonché regolarmente presente nelle aree urbane. Soprattutto al di fuori della stagione riproduttiva si aggrega in gruppi che possono essere decisamente numerosi, e quando sceglie di passare le notti in ambiti molto frequentati - quali possono essere gli alberi di una piazza pubblica o di un viale - si verifica un accumulo di guano che imbratta e degrada gli spazi sottostanti al dormitorio, rendendo scivolose le pavimentazioni.
Da pochi decenni si parla del gabbiano reale (Larus michahellis) come specie “emergente”. Il gabbiano reale sta colonizzando progressivamente le città (non solo costiere, ma anche dell’interno) come habitat di nidificazione, cosa che avviene su tetti di qualsiasi tipo e su altre strutture, causando disagi di vario tipo (accumulo di guano, disturbo, interazioni con le persone).
Vi sono poi alcune specie della famiglia dei corvidi, in particolare la gazza (Pica pica) e la cornacchia (Corvus corone), che oltre a provocare interferenze in ambito agricolo, concorrono ai rischi di birdstrike e ad altre problematiche. Negli ultimi anni si stan-
no evidenziando problemi a infissi e altre strutture in legno, ma anche ai cappotti di coibentazione degli edifici, forati da alcuni picchi, soprattutto picchio verde (Picus viridis) e Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), sebbene in questi casi non si possa parlare di specie “problematiche” in senso stretto. Infine, sono da ricordare alcune specie aliene, quali i parrocchetti, responsabili di danni in ambito agricolo (frutteti) e di possibili rischi sanitari.
STRATEGIE DI GESTIONE
Esistono alcuni principi basilari che vanno opportunamente considerati quando si affronta il tema della gestione di questi animali. Si deve agire prima di tutto in un contesto integrato, e ciò riguarda sia le azioni da mettere in campo, che i soggetti coinvolti (enti pubblici, operatori, cittadini, ricercatori, associazioni, ecc.). Nella gran parte dei casi è infatti illusorio pensare di trovare il “rimedio magico”. Occorre invece agire su più fronti e in modo coordinato. È altresì importante considerare una dinamica di medio-lungo termine, con l’obiettivo primario di ridurre la capacità portante dell’ambiente, vale a dire le risorse che determinano la presenza della specie in oggetto (che può essere numerosa). Risorse che sono costituite soprattutto dal cibo e dai siti utilizzati per la nidificazione. Ciò significa che occorre concentrarsi sulle
cause (azioni indirette) piuttosto che sugli effetti (azioni dirette), anche se a prima vista potrebbe sembrare più rapido e sbrigativo procedere all’eliminazione cruenta degli uccelli indesiderati. Al contrario, gli studi scientifici e le evidenze dirette hanno mostrato che così facendo non si ottengono risultati significativi e duraturi, per l’elevato potenziale riproduttivo e la mobilità delle specie con cui ci confrontiamo. Inoltre, nel contesto sono da considerare gli aspetti sociali, considerando che tra le persone vi sono anche quelle con indole zoofila, che mettono al centro dell’attenzione il benessere degli animali e la tutela della biodiversità, e intervengono nel discorso anche organizzandosi in associazioni animaliste e ambientaliste.
Un secondo step riguarda l’individuazione del contesto e dei soggetti interessati: si tratta di un ambito più o meno limitato (spesso privato) quale può essere un appartamento, un edificio, un’azienda agricola, un impianto industriale o commerciale, oppure chi deve coordinare la strategia è un ente pubblico ed ha come riferimento un territorio ampio quale può essere un comune o una provincia? Di volta in volta cambiano o si modificano le azioni che si possono intraprendere. Parlando di area vasta, gli enti territoriali dovrebbero considerare, in prima battuta, i censimenti che costituiscono la fase conoscitiva e propedeutica
per definire e poi monitorare la strategia. Vi sono quindi le modifiche ambientali, gli interventi per limitare la disponibilità di cibo (ordinanze, mangiatoie gestite, campagne informative e di sensibilizzazione), così come i provvedimenti amministrativi da inserire nei regolamenti edilizi, le colombaie gestite, l’incremento dei predatori (tramite installazione di idonei modelli di nido artificiale).
La fase della progettazione di un edificio o di un altro manufatto è strategica nel determinare quelle che saranno le relazioni con gli animali che vivono in quel contesto. Quindi anche della severità con cui si potranno manifestare le interferenze. Il discorso può riguardare opere rilevanti come la costruzione, appunto, di un edificio, di un intero quartiere, di un ponte o una strada, ma anche elementi più modesti quali possono essere un lampione, un palo o un tetto. In merito assistiamo a una notevole carenza di consapevolezza sul tema della biodiversità (in senso esteso) da parte degli addetti ai lavori, quali progettisti, architetti, ingegneri, geometri, ma anche da parte delle ditte edili e degli amministratori di condominio. Si tratta quindi di disporre e divulgare quelle nozioni tecniche che rendono i manufatti meno appetibili per la colonizzazione da parte delle specie indesiderate, prevenendo alla base i problemi ed evitando così i successivi interventi correttivi. Dove non è avvenuta una progettazione e una edilizia accorta, occorre intervenire a posteriori con delle tecniche che mirano all’esclusione degli uccelli indesiderati, che si devono configurare come “difese passive e preventive” a carattere incruento. Tecnicamente si parla di dissuasori di appoggio di vari modelli, utili soprattutto per superfici strette e lineari, di reti antintrusione per gli spazi ampi, di prodotti innovativi in pasta di origine vegetale. Importante è che questi sistemi vengano installati correttamente e ben mantenuti. Prima del posizionamento occorre verificare che non ci siano nidificazioni in corso. Per quanto riguarda le cavità (ad esempio le buche pontaie) è opportuno procedere a
un restringimento parziale e selettivo degli accessi, così da precludere l’ingresso ai piccioni, senza interferire con altre specie non-target quali rondoni, passeri, codirossi, pipistrelli e altri piccoli animali.
L’uso dei deterrenti ad azione ottica, acustica o integrata è molto frequente, in vari ambiti. L’efficacia dipende dalla specie con cui di volta in volta ci si confronta, dall’ambiente in cui viene utilizzato il sistema, e dal periodo dell’anno (e quindi dalla fase biologica della specie). Inoltre, i risultati dipendono in larga parte dalla correttezza di impiego, considerando che il limite principale dei deterrenti è l’assuefazione che si può determinare negli uccelli, in tempi che possono anche essere rapidi, e questo porta alla sua inefficacia. Quindi la regola generale è di usare i deterrenti per brevi periodi, a intermittenza, con procedure il più possibile casuali, per massimizzare l’effetto “sorpresa”.
TECNICHE SCONSIGLIATE
Come già ricordato, le azioni dirette quali l’abbattimento (con gabbie-trappola nelle aree urbane, o con l’uso di arma da fuoco nelle campagne circostanti) sono destinate ad avere effetti del tutto transitori (nella migliore delle ipotesi). Il problema, quindi, non viene quindi risolto e si hanno comunque dei costi e degli adempimenti, senza contare gli aspetti etici che entrano
in campo e che coinvolgono una parte della società civile. Anche la cattura e conseguente trasferimento di individui comporta analoghi insuccessi, sotto il profilo tecnico. Quale alternativa sono stati proposti gli antifecondativi (in particolare per i piccioni) ma le sostanze attualmente impiegate (nicarbazina) hanno mostrato una serie di problematiche che vanno dalla complessità di utilizzo ai costi, dal breve periodo di controllo della fertilità (circa una settimana) a non risolti problemi di coinvolgimento di specie non-target (predatori e commensali), tanto che lo studio più approfondito - realizzato a Barcellona - ha rivelato una assenza di effetti degli antifecondativi sulla consistenza della popolazione dei colombi. Tra i sistemi deterrenti compare anche l’uso della falconeria. Oltre al fatto che oggigiorno può essere comodamente sostituita da approcci moderni (falco-robot) o da cani addestrati per quanto riguarda gli aeroporti, è del tutto illusorio e contrario alle evidenze scientifiche ritenere che la presenza del predatore allontani in maniera definitiva quella delle potenziali prede.
Anche i dissuasori magnetici, recentemente proposti sul mercato, che agiscono sui campi elettromagnetici, al momento hanno mostrato risultati contraddittori sia in termini di efficacia che di ripercussioni negative (anche sulle specie non-target), per cui in attesa di ulteriori evidenze scientifiche non se ne raccomanda l’utilizzo, ricordando il principio di precauzione.
servizi ambientali scheda bio-etologica
NOME VOLGARE
Gabbiano reale mediterraneo
CARATTERISTICHE E DIFFUSIONE
Testa e corpo bianchi, dorso e ali grigie con punte nere, zampe gialle, becco giallo con una macchia rossa. Maschio e femmina non sono distinguibili. I giovani presentano una colorazione marrone striata di bianco, becco scuro e zampe rosate; impiegano quattro anni per assumere il piumaggio definitivo dell’adulto. Il Gabbiano reale mediterraneo è una specie endemica diffusa attraverso l’intero bacino, da Gibilterra alla Turchia; alcune coppie si sono recentemente riprodotte anche in Nord Europa; presente anche sulle coste atlantiche del Marocco e, con la sottospecie atlantis, si trova anche nelle isole Canarie e Azzorre; in Italia nidifica diffusamente sulla costa e all’interno nei suoi habitat variati, comprese le città in cui sceglie tetti e terrazzi non frequentati. Negli ultimi trent’anni è stata registrata una forte esplosione demografica in Europa e in Nord America per l’aumento delle risorse alimentari e disponibilità di siti idonei alla riproduzione. È in grado di volare fino a 50 km al giorno per raggiungere i siti di alimentazione.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO
Classe Aves
Ordine Charadriiformes
Famiglia Laridae
La vita media di un gabbiano reale è di 10-15 anni, ma può arrivare fino a 30.
RIPRODUZIONE
Da aprile a luglio il gabbiano depone 2-3 uova. L’incubazione dura 28-30 giorni, l’involo avviene dopo 35-40 giorni dalla schiusa. Costruiscono un nido costituito da un ammasso disordinato di vegetali su una superficie piana. Negli ultimi anni i gabbiani reali hanno cominciato a nidificare nei centri abitati. È questo il motivo del loro successo riproduttivo; in città, infatti, trovano luoghi ideali per nidificare, grandi quantità di cibo e assenza di predatori.
DANNI
Le principali criticità che si rilevano nei contesti urbani riguardano: il prelievo degli scarti alimentari da cestini e cassonetti dei rifiuti e loro dispersione in ambiente; l’imbrattamento e danni agli edifici a causa della costruzione del nido e del camminamento degli individui sui tetti; il disturbo acustico, che è particolarmente intenso durante la stagione riproduttiva ed in particolare a partire dal mese di febbraio fino all’involo
DIMENSIONI ADULTO
Lunghezza
60 cm circa Apertura alare
130-150 cm
dei nidiacei; il furto degli alimenti dai tavoli dei ristoranti o direttamente dalle mani dell’uomo; la manifestazione di atteggiamenti aggressivi soprattutto durante lo svezzamento dei pulcini.
PREVENZIONE
L’eliminazione e una corretta politica di gestione dei rifiuti nelle aree urbane sono di estrema importanza. Tali interventi, tuttavia, risultano davvero efficaci solo in assenza di risorse alimentari alternative entro una distanza adeguata. Per ostacolare il loro avvicinamento e sosta si possono usare dei dissuasori metallici, da collocare su balconi, cornicioni, grondaie, mentre per impedire l’accesso a sottotetti, finestre e zone riparate di un edificio una valida soluzione è data dalle reti. Sistemi antigabbiani elettrificati, dissuasori sonori o repellenti sono delle valide strategie per allontanare i volatili senza nuocere alla loro salute.I dispositivi utilizzati per la dispersione delle specie ornitiche problematiche sono generalmente basati su sistemi ottici e acustici, più raramente sui sensi tattili e olfattivi, utilizzati dagli uccelli in misura minore.
Questi organismi presentano notevoli differenze tra loro, ma condividono alcuni tratti fondamentali: trasmettono malattie potenzialmente gravi e il loro controllo risulta estremamente difficile
GRADONI, LIDIA IUSTINA DANCA
Laboratorio Entomologia Sanitaria e patogeni trasmessi da vettoriIstituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Zecche e flebotomi sono artropodi conosciuti da tutti, sia da chi si occupa di disinfestazione sia da persone che hanno sfortunatamente avuto a che fare con essi. Si tratta di organismi molto diversi tra loro; le zecche appartengono alla stessa classe di ragni e scorpioni (Arachnida), mentre i flebotomi o pappataci sono insetti (Insecta) imparentati con le zanzare (Diptera). Tuttavia, condividono alcuni aspetti di grande rilevanza: sono vettori di patogeni che possono causare malattie anche gravi per gli animali e l’uomo e il loro controllo è molto difficile, a volte impossibile. Di seguito riportiamo alcuni caratteri distintivi di zecche e flebotomi, come le loro caratteristiche biologiche, la loro rilevanza dal punto di vista della sicurezza sanitaria, le possibili strategie di prevenzione e controllo.
ZECCHE MOLLI
Le zecche appartengono al Phylum degli Artropodi ed allo stesso gruppo tassonomico degli acari (Ordine Acarina). Le dimensioni variano da qualche millimetro a pochi centimetri, a seconda dello stadio e della specie. Ci sono circa 900 specie conosciute divise in due grandi famiglie: Argasidae (zecche molli), e Ixodidiae (zecche dure).
In Italia sono presenti 40 specie (7 appartenenti ad Argasidae e 33 ad Ixodidae), di cui almeno 30 sono state ritrovate sull’uomo. Il ciclo biologico delle zecche passa attraverso quattro stadi di sviluppo: uovo, larva, ninfa e adulto. Dopo la schiusa, il passag-
gio da uno stadio al successivo avviene attraverso una muta, per la quale la zecca deve aver necessariamente aver compiuto un pasto di sangue. Le zecche della famiglia Argasidi sono comunemente conosciute come zecche degli uccelli poiché i loro ospiti d’elezione sono appunto i volatili. Le Argasidi non presentano uno scudo dorsale chitinoso, motivo per cui vengono anche definite “zecche molli”. A questa famiglia appartengono due generi presenti in Italia, Argas e Ornithodoros Il ciclo biologico passa attraverso due stadi ninfali. La femmina può compiere diversi cicli di deposizione deponendo poche centinaia di uova per volta e non muore dopo la deposizione. Il ciclo biologico è molto rapido ed in condizioni ottimali può completarsi in circa 40 giorni. La specie più comune è Argas reflexus, nota come zecca del piccione. Originariamente associata al piccione selvatico, parassita comunemente il piccione domestico; per questo motivo è presente in tutti i luoghi frequentati da questo volatile. Durante il giorno si nasconde negli anfratti dei muri o del legno rimanendo nelle vicinanze dei nidi degli uccelli; di notte ricerca attivamente gli ospiti seguendo l’anidride carbonica da essi emessa. Il pasto di sangue è breve e dura pochi minuti, dopo di che torna a rifugiarsi negli anfratti. Il loro ritrovamento sugli animali è raro; è invece molto comune trovarli nei pressi di piccionaie o nei sottotetti.
IN ITALIA SONO PRESENTI 40 SPECIE DI ZECCHE (7 DI FAMIGLIA ARGASIDAE E 33 IXODIDIAE), DI CUI ALMENO 30 SONO STATE RITROVATE SULL’UOMO. SONO VETTORI DI PATOGENI CHE POSSONO CAUSARE MALATTIE ANCHE GRAVI
In caso di infestazioni massicce e/o di mancanza dell’ospite preferito (gli uccelli), gli argasidi possono infestare intere abitazioni, soprattutto nei periodi in cui le case sono riscaldate artificialmente. Le segnalazioni di punture all’uomo da parte di A. reflexus sono piuttosto comuni in Italia ed altri paesi europei. L’importanza sanitaria delle zecche molli è minore rispetto a quelle delle zecche dure. Nonostante ciò, è comunque importante ricordare che queste zecche possono causare dei rash cutanei importanti. Per quanto riguarda la prevenzione è importante agire in prima istanza nell’allon-
A LIVELLO MONDIALE
ESISTONO PIÙ DI MILLE
SPECIE DI FLEBOTOMI, MENTRE IN ITALIA SONO
STATE RIPORTATE OTTO
SPECIE APPARTENENTI
A DUE DIVERSI GENERI: PHLEBOTOMUS E SERGENTOMYIA. LA PIÙ DIFFUSA È LA P. PERNICIOSUS
tanamento degli ospiti (uccelli) e poi agire con il trattamento di pesticidi negli ambienti infestati in cui gli ospiti erano presenti.
A questo gruppo appartengono le specie più conosciute e di maggior importanza sanitaria. La caratteristica principale degli ixodidi è la presenza di uno scudo dorsale che copre in parte o totalmente il dorso della zecca; da qui il nome di “zecche dure”. In base alla specie, possono deporre un numero di uova variabile da qualche centinaio fino ad alcune migliaia e dopo la deposizione la femmina muore. Le larve cercano l’ospite sul quale effettuare il primo pasto di sangue, dopo di che, nella maggior parte delle specie, si staccano per tornare nell’ambiente e mutare in ninfa. Il ciclo si ripete (pasto di sangue, ritorno all’ambiente, muta e ricerca di un nuovo ospite) anche per le ninfe, mentre la femmina, dopo l’accoppiamento, cade a terra, depone le uova e muore. La durata di un intero ciclo può essere di alcune settimane fino a due anni o più, a seconda delle condizioni climatiche, della specie e della facilità di reperimento
degli ospiti. Vediamo ora quali specie di zecche dure sono più diffuse in Italia. Ixodes ricinus (zecca dei boschi). È senza dubbio la specie più diffusa e di maggior importanza sanitaria per il gran numero di patogeni trasmissibili agli animali ed all’uomo. Vive in ambienti ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva, con microclima fresco e umido. È diffusa soprattutto nelle regioni del nord Italia, in particolare nella fascia collinare e pedemontana. È attiva da marzo fino a ottobre-novembre con un picco di densità verso maggio-giugno. Può attaccare diverse specie di uccelli, mammiferi e persino rettili.
Le larve e le ninfe parassitano piccoli mammiferi e uccelli, mentre gli adulti preferiscono mammiferi di taglia maggiore.
La sua presenza e abbondanza è determinata principalmente dalla diffusione e densità di ospiti come roditori ed ungulati selvatici. I patogeni più comuni trasmessi da questa specie sono batteri del genere Borreliae (morbo di Lyme), Rickettsia, Anaplasma e Babesia, e virus come l’Encefalite trasmessa da zecche (in sigla TBE dall’inglese tick-borne encephalitis).
Rhipicephalus sanguineus (zecca del cane). È una specie di particolare interesse poiché è diffusa su tutto il territorio nazionale e perché il suo habitat è diventato l’ambiente urbanizzato. È presente in tutti gli ambienti frequentati dai cani, che è il suo ospite d’elezione. In alcune situazioni, per esempio nei canili, può raggiungere densità molto elevate creando seri problemi di salute agli animali. Si ritrova spesso, oltre che nei ricoveri dei cani, nei parchi, orti, capannoni e serre. Trova rifugio nelle crepe e fessure delle strutture e qui può sopravvivere anche per diversi mesi senza nutrirsi. È più resistente di altre specie alle basse temperature e umidità, per cui in alcuni luoghi è possibile trovarla attiva quasi tutto l’anno; inoltre, le cucce ed i rifugi del cane offrono delle condizioni microclimatiche che ne favoriscono lo sviluppo. Il ciclo di sviluppo in condizioni ottimali può durare 4-5 mesi. Anche se il cane è l’ospite elettivo può parassitare altri mammiferi, tra cui l’uomo. I patogeni trasmessi da questa specie sono Rickettsia, Anaplasma, Babesia e Ehrlichia
Dermacentor marginatus. È una specie diffusa su tutto il territorio nazionale ed è presente nelle aree arbustive, radure e pascoli a media e alta quota. Gli adulti si rinvengono su grossi erbivori e carnivori. Parassita frequentemente i cinghiali ed i canidi. Il ciclo dura in media 5-6 mesi. I patogeni trasmessi da questa specie sono batteri come Borreliae (morbo di Lyme), Rickettsia, Anaplasma e Babesia. Hyalomma marginatum. Questa specie presenta caratteristiche biologiche ed ecologiche simili e riferibili a quelle descrit-
te per D. marginatus; come quest’ultima, essa viene spesso rinvenuta sui cinghiali. È diffusa soprattutto nelle regioni meridionali. Il patogeno più importante che viene trasmesso da questa specie è il virus che causa la febbre emorragica di Congo-Crimea (in sigla CCHF).
RILEVANZA SANITARIA E PREVENZIONE
Le conseguenze più gravi legate all’infestazione da zecche sono la possibilità di acquisire un’infezione di patogeni. Nel caso di soggetti che hanno abitudini a rischio (frequentazione di ambienti esterni, passeggiate nei boschi, nei parchi, ecc.) e considerando l’impossibilità di eradicare le zecche dagli ambienti naturali, le armi a disposizione per il controllo delle infestazioni sono quelle di evitare il contatto con questi artropodi. Per questo si consiglia di camminare lungo sentieri con erba bassa indossando un abbigliamento adatto (senza lasciare parti del corpo scoperte) e soprattutto utilizzando repellenti a base di DEET o Icaridina sulla pelle, abiti e scarpe. L’etichetta del prodotto utilizzato deve riportare la scritta: “Efficace contro le zecche”. Per quanto riguarda gli animali domestici è possibile utilizzare antiparassitari specifici come collari, spray e spot-on. Dopo un’escursione in zone a rischio è opportuno controllare accuratamente gli abiti e tutte le parti del corpo, compreso quello del proprio animale e lavare quello che è possibile a 60 °C. Nel caso si trovi una zecca sul proprio corpo o sull’animale, bisogna rimuoverla il prima possibile tramite l’uso di una pinzetta o strumento specifico, disinfettare dopo l’estrazione e controllare eventuali arrossamenti dopo la rimozione della zecca. Per quanto riguarda invece infestazioni da R. sanguineus, in particolar modo nei cani e nei gatti, è importante trovare la fonte dell’infestazione per poi eliminarla, in quanto potrebbe essere rappresentata dagli ambienti normalmente frequentati dagli animali (ad es. cuccia o recinto del
Sopra, Argas Reflexus o zecca del piccione. Sotto, Rhipicephalus sanguineus o zecca del cane
cane, garage). Un sopralluogo nei luoghi sospettati di aver originato l’infestazione è sempre consigliabile, seguito da una pulizia accurata ed eventuale trattamento con prodotti disinfettanti o con specifiche formulazioni acaricide ad uso ambientale.
FLEBOTOMI
Essi sono ditteri ematofagi, (Famiglia Psychodidae) imparentati con le zanzare. A livello mondiale esistono più di 1000 specie mentre in Italia sono state riportate otto specie appartenenti a due diversi generi: Phlebotomus e Sergentomyia. Il primo genere e costituito da sette specie (P. perniciosus, P. perfiliewi, P. neglectus, P. ariasi, P. papatasi, P. sergenti e P. mascittii) mentre il genere Sergentomyia è rappresentato da una sola specie (S. minuta).
La specie più diffusa e più abbondante è indubbiamente P. perniciosus, la quale riveste un notevole interesse epidemiologico, essendo vettore accertato di leishmaniosi viscerale sia nell’uomo che nel cane. È sta-
to segnalato in 18 delle 20 Regioni italiane, con densità più elevate nelle zone costiere del Tirreno, Ionio e nelle isole. I flebotomi sono insetti simili alle zanzare, ma con dimensioni molto ridotte di circa 2-3 mm. Sono caratterizzati da una colorazione giallo tenue simile al colore della sabbia, da cui deriva il termine inglese sand fly. Il corpo, comprese le ali, è completamente rivestito da una sottile peluria grazie alla quale possono compiere un volo silenzioso per nutrirsi sull’ospite senza essere scoperti. La puntura è molto fastidiosa e causa prurito con ponfo edematoso. Sono generalmente attivi durante le ore crepuscolari e notturne, mentre durante il giorno sfuggono la luce solare nascondendosi in stalle, pollai, cantine, abitazioni, fessure di muri, di roccia e del suolo. Amano gli ambienti freschi con alta umidità, pertanto sono maggiormente diffusi in zone costiere, tuttavia si possono trovare anche in zone collinari.
Il ciclo vitale è costituito da quattro stadi: uovo, larva, pupa e adulto. Esso dura circa 45-60 giorni con almeno due cicli di sviluppo completi per stagione riproduttiva (giugno-settembre) a temperature ideali intorno a 24-30 °C. Lo sviluppo dei flebotomi è fortemente rallentato in inverno e le larve di quarto stadio superano il freddo in diapausa infossate nel suolo.
La diapausa invernale può avvenire anche allo stadio di uovo nei climi temperati. Le larve sono terricole e si sviluppano in completa oscurità su terreni ricchi di materiale organico in decomposizione. Arrivati allo stadio adulto, solo le femmine sono ematofaghe e non hanno preferenza d’ospite; solo la specie Sergentomyia si nutre prevalentemente sui rettili. La femmina può produrre da 50 a 100 uova alla volta.
L’importanza sanitaria dei flebotomi è
associata soprattutto alla loro capacità di trasmettere diverse specie di Leishmania. Tuttavia, alcune specie di flebotomi sono anche vettori di arbovirosi, infezioni diffuse in varie aree del mondo, Italia inclusa. Quelle maggiormente diffuse nel Mediterraneo appartengono al genere Phlebovirus (Famiglia Bunyaviridae ); in Italia i più diffusi sono Toscana virus, Sicilia virus e Napoli virus. Nella maggior parte dei casi sono asintomatiche o causano sintomi simil-influenzali (“febbre da pappataci” o “dei tre giorni”), ma a volte possono dare origine a infezioni acute del sistema nervoso centrale. Al momento non è chiaro quale ruolo possano svolgere gli animali nell’epidemiologia di queste arbovirosi. Sembra che gli stessi flebotomi siano in grado di mantenere per periodi limitati l’infezione tramite trasmissione transovarica (da madre alla progenie) e venerea (tra femmina e maschio durante l’accoppiamento), ma è stato ipotizzato che altri animali, uomo compreso, possano fungere da serbatoio del virus.
Il controllo dei flebotomi è fondamentale per diminuire la diffusione dei patogeni da loro trasmessi. La lotta diretta al vettore è un’operazione piuttosto complessa e raramente ha dato buoni risultati.
Il controllo delle larve è scarsamente realizzabile, poiché, essendo terricole e non avendo fasi acquatiche, non sono facilmente aggredibili tramite azioni di bonifica ambientale. Inoltre, i siti di riproduzione non sono facilmente identificabili e la rimozione di singoli focolai larvali è probabilmente inutile, se altri siti nelle vicinanze rimangono produttivi.
La lotta agli adulti, se effettuata con l’utilizzo di insetticidi ad azione residuale, può essere uno strumento efficace, ma non è possibile pensare a trattamenti ambientali su larga scala perché questi comporterebbero elevati costi economici e grandi svantaggi ambientali, oltre al rischio di insorgenza di resistenza agli insetticidi. I trattamenti all’interno delle abitazioni o dei
Ixodes ricinus o zecca dei boschi
tomi. Si può ottenere questo risultato usando prodotti insetticidi ad uso topico (collari o spot-on) con effetto anti-feeding.
FAMIGLIA ARGASIDAE
E 33 IXODIDIAE),
DI CUI ALMENO 30
SONO STATE RITROVATE
SULL’UOMO. LA ZECCA
DEI BOSCHI È LA SPECIE
DI MAGGIORE RILEVANZA
SANITARIA.
VE IN AMBIENTI RICCHI
DI VEGETAZIONE ERBOSA
E ARBUSTIVA, CON MICROCLIMA
FRESCO E UMIDO
ricoveri per animali e l’utilizzo di repellenti su tende o zanzariere sono invece efficaci e al tempo stesso sostenibili dal punto di vista economico e ambientale. Gli animali, ed in particolare il cane, possono essere protetti prevenendo il contatto con i flebo-
L’IMPORTANZA
DELLA PREVENZIONE
Zecche e pappataci sono quindi organismi che meritano molta attenzione in quanto vettori di patogeni. Dato ancor più importante è l’evidenza che alcuni patogeni, come la TBE trasmessa da zecche o Toscana virus trasmesso da flebotomi, si stanno diffondendo sempre di più, anche in zone finora indenni. Questo è dovuto proprio alla conseguente diffusione dei vettori in nuove zone, sia in termini latitudinali (es. i flebotomi stanno aumentando in densità nelle regioni del Nord Italia), che altitudinali (es. le zecche sono ora presenti fino a 2000 m s.l.m.).
Ricordiamo che i trattamenti ambientali contro questi vettori sono molto difficili se non impossibili; quindi, l’unico modo per evitare le malattie da loro trasmesse è mettere in atto comportamenti idonei e misure di prevenzione che evitino il contatto tra il vettore, gli animali e l’uomo.
Bibliografia
Traversa D, Vengo L. Parassitologia clinica del cane e del gatto. 2018 pag. 283-313
servizi ambientali scheda bio-etologica
SPECIE
NOME VOLGARE
Zecca dei boschi
CARATTERISTICHE E DIFFUSIONE
Dorso di aspetto cuoioso, provvisto di placche chitinose. Il corpo, piatto quando l’animale è a digiuno, può ingrandirsi notevolmente in seguito all’alimentazione, grazie all’elasticità dei tegumenti. Molto comune.
Le abitudini alimentare sono ematofaghe, con specificità parassitaria abbastanza bassa. Larva e ninfa resistono al digiuno per alcuni mesi, l’adulto per oltre un anno.
HABITAT
Sugli ospiti, soprattutto cane e gatto, ma anche volatili e mammiferi domestici e selvatici (in alcuni casi anche esseri umani); nei prati, negli incolti, nelle cucce, nei ricoveri e negli anfratti dei muri.
Larva: sull’ospite per nutrirsi e nel terreno per compiere la muta.
Ninfa: sull’ospite per nutrirsi e nel terreno per compiere la muta.
Adulto: sale sull’ospite per accoppiarsi; la femmina adulta vi rimane per 8-15 giorni, periodo necessario a compiere il pasto di
INQUADRAMENTO SISTEMATICO
Classe Arachnida
Sottoclasse Acari
Ordine Parasitiformes
Sottordine Metastigmata
Famiglia Ixodidae
CICLO BIOLOGICO
UOVO-LARVA-NINFA-ADULTO
DIMENSIONI ADULTO
Maschio
2,5 mm
Femmina 10 mm dopo il pasto
Durata ciclo 18 mesi (nelle zone alpine 3-4 anni)
N. Uova 3000-5000 deposte tra l’erba; dopo l’unica deposizione la femmina muore
sangue. Discesa al suolo, muore subito dopo la deposizione delle uova.
DANNI
Diretti sull’ospite: forti infestazioni possono provocare anemia, dermatosi, ipercheratosi, prurito, stati di stress, dimagrimento. L’uomo può essere occasionalmente punto. Potenziale vettore di numerose affezioni: piroplasmosi, rickettsiosi (febbre bottonosa), babesiosi, arbovirosi, ecc..
DIFESA
Prevenzione: controllo del randagismo. Impiego di collari antiparassitari per cani e gatti domestici. Pulizia, riordino, lavaggio di locali a rischio di infestazione.
Calendario dei trattamenti: intervenire secondo necessità, soprattutto in primavera-estate. Prodotti (attenersi attentamente a quanto riportato in etichetta): piretroidi residuali.
Tecnica del trattamento: trattare gli ambienti e i ricoveri avendo cura di
bagnare bene.Si possono utilizzare anche prodotti polverulenti.
Effettuare anche interventi diretti sul corpo degli animali con specifici shampoo o polveri antiparassitarie.
Si sconsiglia lo schiacciamento delle zecche eseguito con le dita, per la possibilità di contrarre malattie e per il fatto che l’apparato boccale del parassita, rimanendo infisso, può causare infezione.
E’ possibile staccare la zecca usando delle pinzette, estraendo il parassita con una rapida e decisa rotazione. Se la zecca è piccola (come di solito sono i maschi) e molto approfondita nella cute è meglio affidarsi a un medico veterinario. Alcuni consigliano di applicare alcune gocce di cloroformio, etere o un idoneo prodotto che le induca a ritrarre le appendici boccali (pratica da altri sconsigliata).
Le informazioni riportate hanno carattere indicativo e non esaustivo, ogni caso deve essere trattato in modo specifico.
Fonte: Banca dati GEAM
Il Rhynchophorus ferrugineus è un coleottero curculionide e una specie altamente invasiva nei confronti delle palme che può avere un impatto economico, ambientale e sociale significativo quando viene introdotto in nuove aree geografiche. È il più importante parassita della palma da dattero (Phoenix dactylifera) nel mondo e un grave parassita del cocco (Cocos nucifera). Questa specie è originaria dell’Asia meridionale e della Melanesia e dagli anni ‘80 ha rapidamente ampliato il suo areale geografico verso ovest. Da allora si è diffuso ampiamente nella regione mediterranea, dove le due principali specie di palme la cui sicurezza desta preoccupazione sono la palma da dattero e la palma da dattero delle Canarie (Phoenix canariensis), la principale specie da coltivazione e ornamentale. Il punteruolo ha devastato le palme ornamentali in molte aree del Mediterraneo, modificando il paesaggio. La prima segnalazione in Italia è del 2004, dal 2005 è stato rinvenuto in Sicilia, Campania, Lazio, Puglia e negli anni seguenti ha progressivamente aumentato il suo areale di azione. L’insetto è in grado di svilupparsi a spese di numerose specie di Arecaceae tra cui le più colpite sono Phoenix canariensis,
Oggi presente in tutte le regioni dell’Italia centromeridionale, è estremamente pericoloso per diverse specie di palma, in particolare per il genere Phoenix
Phoenix dactilifera, Phoenix robeleinii. La specie è stata segnalata anche su Cocos nucifera, Trachycarpus fortunei, Washingtonia sp. e numerose altre palme meno diffuse in Italia.
L’adulto, di colore variabile dal ruggine al marrone-rossastro, presenta alcune macchioline nere nella parte superiore del torace. La lunghezza è compresa tra 19 e 45 mm mentre la larghezza varia da 11,50 a 15,50 mm. L’adulto è caratterizzato dalla presenza di un lungo rostro ricurvo, che nel maschio è più accentuato e coperto da una peluria brunastra, alla base del quale si inseriscono le antenne. Le elitre sono striate e sono di colore leggermente più scuro.
L’uovo misura da 2,5 a 3,9 mm di lunghezza ed è di forma ovale, allungato, generalmente più largo alla base; il colore può variare dal bianco giallastro al marrone. La larva, apoda, è lunga da 35 a 50 mm, il colore è bian-
castro con un capo fortemente sclerificato ed arrotondato di colore marrone. La pupa, che misura da 35 a 50 mm, è inizialmente di colore bianco crema che col tempo vira al marrone. In genere questo stadio è protetto all’interno di un pupario costruito dalla larva con le fibre della pianta; all’interno tali fibre risultano molto serrate e rivestite da uno strato liscio impermeabile. Il bozzolo misura circa 80 x 35 mm è di forma ovale leggermente allungata.
CICLO BIOLOGICO E DANNI
L’insetto vive all’interno della palma, dove compie tutto il suo ciclo vitale. Gli adulti, che vivono fino a 6 mesi, sono in grado di compiere voli lunghi fino a un chilometro. Le femmine, poligame, depongono in media 200 uova (max 700) in piccole cavità del tronco o in corrispondenza delle superfici di taglio delle foglie. Dopo 2-5 giorni dalla ovideposizione nascono le larve che si introducono nella palma e si cibano dei tessuti
della stessa. Le larve si muovono all’interno della pianta, scavando gallerie e ampie cavità che offrono condizioni ideali per lo sviluppo dell’insetto. Esse possono essere trovate attive in ogni parte della palma, fino al colletto. Il periodo larvale, che varia da uno a tre mesi in base alla stagione, culmina con la formazione del bozzolo: un involucro cilindrico costituito da strati fibrosi, solitamente situato nelle zone più esterne del fusto e del rachide. Dopo circa 20-30 giorni, l’insetto adulto è completamente sviluppato, anche se rimane nella palma per ulteriori giorni prima di lasciarla per infestare nuove piante. L’intero ciclo di vita dura intorno ai 4 mesi, con più generazioni che possono coesistere sulla stessa pianta fino alla sua distruzione. È importante sottolineare che questa specie possiede un notevole potenziale biotico, in quanto è in grado di deporre un numero elevato di uova.
I danni causati dalle larve diventano evidenti solo nelle fasi più avanzate dell’infestazione. I segni esterni dell’attacco del curculionide includono un portamento anomalo della chioma, che perde la sua normale simmetria verticale per assumere un aspetto completamente divaricato, simile a un ombrello aperto. Negli stadi terminali, la chioma della palma appare “capitozzata” e finisce per collassare; in questa fase, gli adulti, concentrati all’interno dello stipite, migrano in massa alla ricerca di un nuovo esemplare di palma da infestare. Nella maggior parte dei casi, l’attacco a Phoenix e ad altre palme porta alla morte degli alberi, indipendentemente dalle loro dimensioni. Sebbene l’esame visivo consenta di rilevare i sintomi, esso non permette di determinare la presenza di larve e adulti all’interno del tronco. Per individuare questo parassita, è possibile utilizzare trappole a feromoni oppure sistemi di rilevamento acustico o a infrarossi.
METODI DI LOTTA
La tecnica più comune per proteggersi dagli attacchi di questo insetto è l’impiego di
trattamenti chimici. Tali trattamenti possono essere eseguiti tramite irrorazioni esterne, mirate all’apice vegetativo delle piante infestate, oppure con interventi endoterapici. Questi ultimi prevedono l’iniezione diretta di soluzioni insetticide nel tronco, poco al di sotto della chioma, utilizzando apparecchiature specifiche. Questo metodo permette alla miscela di distribuirsi in tutti gli organi vegetativi della palma, intervenendo efficacemente contro le larve nidificate nelle gallerie, aree difficilmente raggiungibili con i trattamenti tradizionali. Il trattamento insetticida deve essere applicato sia sulla pianta colpita che su tutte le altre palme entro un raggio di circa 1.000 metri dal punto in cui è stata rilevata la presenza dell’insetto. In alternativa o in comple-
mento alla lotta chimica, è possibile adottare tecniche meccaniche, come la dendrochirurgia. Tale metodo prevede la rimozione progressiva dei tessuti infestati, con l’obiettivo di eliminare completamente tutte le forme vitali dell’insetto (adulti, larve, pupe e uova), senza però compromettere l’apice vegetativo, fondamentale per il rigermoglio della pianta. È importante sottolineare che queste operazioni devono essere eseguite esclusivamente da personale specializzato, seguendo le direttive ufficiali e sotto il controllo diretto del Servizio Fitosanitario.
Attualmente sono in corso sperimentazioni e validazioni di tecniche per la cattura massale degli adulti, che impiegano anche metodi biologici. Tra questi, si utilizzano trappole attivate da feromoni e sostanze zuccherine, l’impiego di microonde, funghi entomopatogeni e nematodi entomoparassiti del genere Steinernema. Questi ultimi hanno dato risultati promettenti, poiché sono in grado di penetrare nelle gallerie e raggiungere le larve, permettendo così un intervento anche in sede curativa. Il metodo più sicuro per prevenire la diffusione di R. ferrugineus consiste nella distruzione delle parti attaccate, delle piante secche o di quelle gravemente compromesse.
servizi ambientali insetti utili
Helophilus
Negli ultimi trent’anni i Sirfidi sono stati oggetto di molte attenzioni, in quanto monitorando questi insetti nei loro ambienti è possibile ottenere indicazioni attendibili sullo stato di salute di un ecosistema
a cura di
I Sirfidi sono una famiglia di Ditteri Brachiceri che a livello mondiale presenta più di 6.000 specie, di cui 887 in Europa e 536 in Italia. Questi insetti hanno la caratteristica di rispondere agli stress ambientali - spesso di origine antropicain modo differenziato e specifico. In altre parole, monitorando i Sirfidi nei loro ambienti è possibile capire abbastanza precisamente le condizioni in cui versa un particolare ecosistema.
MORFOLOGIA
Come per tutti gli insetti, anche nel caso dei Sirfidi adulti il corpo è formato da tre parti anatomiche: capo, torace e addome. Queste tre parti assumono diverse forme secondo il tipo di adattamento o strategia che le specie adot-
tano per sopravvivere in un determinato habitat. Generalmente il capo possiede la stessa larghezza del torace con grossi occhi composti da centinaia di singole unità od ommatidi. Gli occhi sono di colore rosso o marrone, glabri o coperti da una peluria più o meno fitta. Anche solo osservando la testa di un adulto si riesce spesso a determinarne il sesso, infatti le femmine hanno occhi dicoptici (separati all’altezza della fronte) mentre i maschi li hanno oloptici (uniti per un tratto). Questo elemento distintivo tra i due sessi però non è sempre valido; infatti, ci sono delle eccezioni come nei generi Helophilus, Microdon e Neoascia, i cui maschi hanno occhi separati tra loro. L’apparato boccale è del tipo lambente-succhiante, di lunghezza variabile. Nella sua struttura semplificata ha la forma di una proboscide configurata a ventosa, dalla quale sono secreti enzimi che dissolvono le sostanze zuccherine, successivamente aspirate. Le ali sono robuste e hanno buoni caratteri diagnostici per il riconoscimento dei generi e delle specie. Sono costituite da venature che si dipartono dalla base dell’ala e ne raggiungono l’estremità. Il torace, visto
dall’alto, termina posteriormente con una struttura semicircolare detta scutello. Il margine dello scutello può presentare delle spine come in Microdon, dove sono due e ben evidenti, o in alcuni Paragus, dove sono numerose e corte.
L’addome è costituito da diversi segmenti che fino al 4° o 5° sono ben sviluppati e visibili, mentre tutti gli altri sono ridotti a formare gli uriti genitali. Ogni urite è suddiviso in due unità: i tergiti dorsali e gli sterniti ventrali. I tergiti, soprattutto nella tribù Syrphini, hanno macchie di forme e colori diversi e questo rappresenta un carattere diagnostico fondamentale per l’individuazione di molte specie; va tuttavia tenuto presente che la colorazione dell’addome dipende da fattori ambientali, come per esempio la temperatura di sviluppo delle larve, e pertanto può variare sensibilmente all’interno della stessa specie. Alcuni Sirfidi non hanno macchie sui tergiti e sono ricoperti da una fitta peluria, come nel caso delle specie dei generi Callicera, Criorhina e Merodon. L’addome nella maggior parte dei casi è sub-rettangolare allungato, ma vi sono delle eccezioni. Per esempio, alcuni generi pre-
sentano addome ristretto alla base, simile a quello di molti imenotteri come vespe e api.
CICLO BIOLOGICO
La femmina, dopo l’accoppiamento, si alimenta di polline che è fondamentale per lo sviluppo degli ovarioli. Al momento dell’ovideposizione la femmina sceglie, a seconda della specie, il substrato idoneo, che varia in funzione del regime alimentare della larva.
Il ciclo biologico può compiersi una, due o più volte all’anno, e viene rispettivamente definito ciclo univoltino, bivoltino o polivoltino. Le specie polivoltine sono spesso migratrici e le larve o le pupe riescono a sopravvivere all’inverno. Spesso anche le femmine superano l’inverno in luoghi riparati. Le specie univoltine, con una generazione a primavera, sono quelle più strettamente legate al territorio.
Queste specie hanno larve che entrano in una lunga diapausa che inizia in estate e si protrae fino alla primavera dell’anno successivo. Il fatto di essere legate così strettamente all’ambiente le espone a stress ambientali, sottoponendole al rischio di
estinzione, almeno locale. Le specie bivoltine, a seconda della longitudine, hanno una generazione in tarda primavera od inizio estate, e la seconda a fine estate-inizio autunno.
Il numero di uova deposte da una femmina può variare da un minimo di 100 per alcune specie del genere Melanostoma alle oltre 4500 di Episyrphus balteatus. Le specie con larve predatrici depongono poche uova alla volta su di uno stesso substrato per evitare che le larve entrino in competizione per il cibo. Generalmente le uova delle specie afidifaghe si schiudono dopo circa 5 giorni in relazione alle condizioni atmosferiche, e in funzione di temperatura e umidità: più questi due parametri sono alti, minore sarà il tempo d’incubazione. Va sottolineato che per molte specie di Sirfidi le conoscenze relative al comportamento di ovideposizione e di sviluppo larvale sono ancora molto lacunose.
Le larve afidifaghe di molte specie di Sirfidi sono attive protagoniste della lotta biologica.
Le larve, a seconda del regime alimentare e degli habitat in cui vivono, hanno sviluppato un gran numero di varietà di forme e di adattamenti morfologici. Questa specializzazione si riassume in 4 categorie trofiche: larve fitofaghe, larve predatrici, larve saprofaghe e larve micetofaghe. Le larve predatrici cacciano principalmente afidi e solo poche specie si cibano di bruchi di Lepidotteri o larve di Coleotteri. Queste larve sono generalmente più mobili ed agili perché devono procurarsi il cibo cacciando attivamente. La forma, il comportamento e la colorazione sono assai variabili: la maggior parte ha forma allungata cilindrica ma alcune larve possono essere schiacciate dorso-ventralmente, di colore verde che ben le mimetizza sulle foglie delle piante; altre larve possono presentare un disegno dorsale che ricorda le deiezioni degli uccelli, caratteristica che le rende poco appetibili a potenziali predatori. La maggior parte delle larve predatrici è afidifaga e specializzata su determinati strati della vegetazione. Ci sono quelle arboricole, come Melangyna e Didea, e quelle che vivono al suolo tra la vegetazione
bassa come Melanostoma e Sphaerophoria. Le larve afidifaghe hanno generalmente più generazioni annuali e annoverano specie molto comuni, per esempio Episyrphus balteatus ed Eupeodes corollae. Un discorso a parte meritano le larve del genere Microdon che vivono all’interno dei nidi di formiche, nutrendosi delle loro larve e/o pupe. La forma di queste larve è curiosa e ricorda quella di un mollusco, tanto che nell’Ottocento venivano appunto classificate nel phylum dei Molluschi.
SIRFIDI IN CITTÀ
È molto facile scorgere Sirfidi adulti volare lungo le vie cittadine, ma sono pochi gli studi approfonditi che si sono occupati della biodiversità di questi insetti nelle aree urbane. Gli ambienti urbani sono in ogni caso colonizzabili da larve di alcune specie di Sirfidi, alimentando così popolazioni locali che si auto mantengono. Altre specie, caratterizzate da elevata mobilità ed elevato potere di reimmigrazione, possono provenire da ambienti periurbani e dalla campagna circostante.
Più recentemente è stato studiato il popolamento di Sirfidi nella città di Ferrara, campionando diversi punti del comune tramite le trappole Malaise. Lo studio è durato 3
Ogni larva può predare decine di afidi al giorno, agendo su differenti strati della vegetazione: dal suolo (Melanostoma, Sphaerophoria) alla chioma arborea (Melangyna, Didea). Specie come Episyrphus balteatus ed Eupeodes corollae sono comuni, mobili e polivoltine: caratteristiche ideali per strategie di controllo biologico conservativo in contesti agricoli e periurbani.
anni e complessivamente sono state raccolte 64 specie. Questo risultato è considerevole se si tiene conto che la fauna di Sirfidi a oggi nota per la pianura Padana orientale è di 120 specie. La presenza di alcune aree “naturali” nella periferia della città ha permesso di riscontrare specie rare nel paesaggio fortemente antropizzato della pianura Padana, come per esempio Brachyopa insensilis e Brachypalpus valgus. Questi ambienti possono quindi rappresentare dei potenziali serbatoi di biodiversità.
Simili risultati sono stati ottenuti anche in altre città europee, dove la presenza di parchi urbani ha permesso di riscontrare un numero elevato di specie di Sirfidi, in alcuni casi caratterizzate da elevate esigenze ambientali.
Le città sembrano quindi ambienti in grado
di supportare una fauna di Sirfidi di rilievo, purché siano presenti nel tessuto urbano aree dotate di elementi naturali. Un problema è sicuramente rappresentato dall’isolamento di questi elementi e quindi dalla difficoltà di essere colonizzati dai Sirfidi, così come da altri organismi.
LOTTA BIOLOGICA CONSERVATIVA
La lotta contro gli insetti nocivi, nell’ambito delle agricolture sostenibili, si basa sulla valorizzazione e conservazione della biodiversità funzionale (intesa come l’insieme delle relazioni multitrofiche che si instaurano tra piante, fitofagi ed entomofagi), allo scopo di contribuire a contenere le popolazioni di fitofagi al di sotto della soglia di danno. Ne deriva che la gestione delle aree non coltivate volta a potenziare l’azione e la moltiplicazione degli insetti utili è considerata una vera e propria “tecnica” di lotta biologica conservativa (secondo il concetto anglosassone di conservation biological control) e ha sempre fatto parte, come filosofia di base, anche della nostra cosiddetta “lotta naturale” contro gli artropodi dannosi.
I SIRFIDI COME BIOINDICATORI
Esistono molte definizioni di bioindicatore; una delle più precise lo considera come un organismo le cui caratteristiche (presenza o assenza, densità di popolazione, dispersione, successo riproduttivo) sono utilizzate quali indici di attributi di altre specie o di condizioni ambientali di interesse che sono troppo difficili, non convenienti o costose da misurare. In pratica, quindi, un bioindicatore è qualsiasi organismo o gruppo di organismi che permette di ottenere informazioni su un altro elemento dell’ecosistema. La definizione sopra riportata mette in luce due aspetti importanti: il primo, è la stretta correlazione che deve esistere tra il bioindicatore utilizzato ed il parametro che si vuole misurare; la seconda, sottolinea come l’utilizzo di un bioindicatore abbia senso quando la misurazione del parametro che interessa non è possibile o comunque poco conveniente. Non va infatti dimen-
ticato che il ricorso ad un bioindicatore comporta di fatto una misurazione indiretta con un conseguente incremento nell’incertezza.
L’utilizzo di organismi come indicatori della qualità ambientale di un ecosistema rappresenta una pratica assai diffusa e conveniente. La “salute” di un ecosistema è infatti un parametro molto difficile da misurare direttamente, in quanto sarebbe necessario prendere in considerazione tutta la componente biotica, il che è impossibile da realizzare. In questo caso il gruppo di organismi preso come indicatore deve non solo essere in grado di rispondere a specifiche alterazioni ambientali, ma la sua risposta deve essere sintomatica di almeno una parte della componente biotica.
I Sirfidi sono un gruppo di insetti spesso utilizzati come bioindicatori in quanto possiedono caratteristiche che sono considerate basilari. In primo luogo, il numero di specie elevato e con adattamenti assai differenziati, soprattutto nella fase larvale, permette a questo taxon di rispondere in modo differente a vari stimoli ambientali. Inoltre, i Sirfidi sono presenti con popolazioni ben caratterizzate nella maggior par-
te degli ecosistemi terrestri, e sono quindi utilizzabili per la valutazione ambientale in una gamma molto vasta di habitat, mentre altri gruppi di insetti possono fornire informazioni utili per alcuni habitat ma non per altri. È questo, per esempio, il caso delle libellule (tutte con larve acquatiche), molto utili nella valutazione di ambienti umidi, ma del tutto inefficaci in ambienti xerici. Vi è poi tutta una serie di peculiarità che si potrebbero definire logistiche, ossia tali da rendere lo studio dei Sirfidi più facile rispetto a quello di altri gruppi. La sistematica del nostro gruppo è abbastanza stabile e quindi non vi sono frequenti cambiamenti di nomenclatura, che rendono difficili le interpretazioni. Il riconoscimento delle specie è abbastanza agevole, almeno nella maggior parte dei casi, soprattutto nel Nord Europa dove esistono molti manuali di riconoscimento. Inoltre, i Sirfidi si possono raccogliere con relativa facilità mediante diverse tecniche che permettono di avere un quadro abbastanza preciso del popolamento. Tra queste meritano una menzione le trappole Malaise, il cui utilizzo è molto facile e la cui gestione può essere effettuata anche da non specialisti.
Va tuttavia sottolineato che usando queste trappole spesso alcune specie risultano sottostimate e pertanto è sempre auspicabile abbinare più sistemi di raccolta.
Infine, la disponibilità di checklist molto dettagliate, se non addirittura di mappe di distribuzione, per molte aree europee permette di conoscere, con sufficiente precisione, gli areali delle singole specie.
È quindi possibile capire se la mancanza di un taxon da una zona è dovuta a stress ambientali o più semplicemente al fatto che il taxon non rientra nell’areale di distribuzione.
Esistono in letteratura molti esempi dell’utilizzo dei Sirfidi come bioindicatori, seppure con modalità e metodologie differenti. In diversi casi questi insetti sono stati utilizzati come specie guida, concetto che indica come la presenza di alcune specie molto esigenti venga considerata un’indicazione del particolare pregio di un ecosistema.
Durante i mesi primaverili ed estivi due animali acquisiscono una rilevanza sanitaria sempre più evidente. Al primo posto troviamo le zanzare, seguite a breve distanza dalle zecche. Il controllo delle loro popolazioni è fondamentale per prevenire la diffusione delle malattie di cui sono vettori, la cui presenza sta diventando sempre più comune sia sul territorio italiano che nei notiziari.
Le zanzare possono riprodursi rapidamente dando luogo a vere e proprie infestazioni che in caso di circolazione virale possono generare una crisi sanitaria. In occorrenza di focolai epidemici di Dengue, Zika o Chikungunya è fondamentale procedere con una rapida disinfestazione delle aree urbane colpite in modo da contenere la diffusione della malattia e prevenire un ulteriore aumento dei casi. Adottando metodi efficaci e mirati, è possibile ridurre significativamente i rischi legati alla proliferazione delle zanzare e alle malattie che esse possono trasmettere.
Allo stesso modo, anche il contenimento delle zecche è indispensabile per ridurre i rischi legati alle malattie che questi parassiti possono trasmettere e per proteggere la salute di persone e animali domestici, soprattutto in zone rurali, boschive, giardini
e parchi urbani. Infatti, in queste aree la presenza di zecche può mettere a rischio le persone che praticano attività all’aperto (escursionisti, corridori, ciclisti), i bambini che giocano nei giardini e gli animali domestici, come cani e gatti, ai quali possono provocare gravi problemi. I trattamenti ambientali di disinfestazione sono quindi fondamentali per la loro salute e benessere. Avere un prodotto efficace contro zanzare e zecche è molto utile, specialmente per intervenire in aree dove entrambe queste specie sono comuni. Power ME di INDIA, è stato progettato per avere un’azione potente che lo rende un rimedio sicuro, rapido e affidabile. Si distingue per la sua formulazione innovativa e per l’azione sinergica dei suoi principi attivi, offrendo una soluzione professionale per il controllo di questi infestanti grazie alla combinazione di due piretroidi: 1R-trans fenotrina e Pralletrina
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