Birra Nostra Magazine 1_2024

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N.1| FEBBRAIO 2024

BIRRA NOSTRA

MAGAZINE

NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

INCLUSIVITÀ BIRRIFICIO DON GUANELLA di Christian Schiavetti

MATERIE PRIME LA QUALITÀ IN MICROBIRRIFICIO di Flavio Boero

BIRRE E BIRRIFICI ARTIGIANALI E ICONICHE:

PIAZZA DELLE ERBE DI OFELIA di Andrea Camaschella

FOCUS I ragazzi di QuAM - Tutta colpa di Maillard di Valentina Taleb


VI ASPETTIAMO

e r a i l i m a f e Passion Importatore UNICO in Italia

BBTECH EXPO 18-20 febbraio 2024 Stand 171 Padiglione C7


EDITORIALE

IL FUTURO

in un bicchiere R

accontare la birra artigianale significa raccontare un mondo; perché dietro a quello che noi versiamo in un bicchiere, c’è davvero un universo fatto di uomini che fanno ricerca, oppure scelgono con cura le materie prime, o ancora lavorano e sperimentano nell’attesa di un assaggio che rivelerà loro la riuscita di un’alchimia. Nel bicchiere però i consumatori non verseranno solo la birra ma anche la storia e l’identità che si porta dietro. Questo primo numero del 2024 si apre all’insegna della solidarietà con un articolo di Christian Schiavetti che racconta di un birrificio sociale che nasce per fare del bene, sulla scia dell’esempio tracciato da don Guanella da cui prende anche il nome. Il Birrificio Cascina don Guanella è parte della comunità educativa ed impiega al suo interno Manolo Lia, birraio dal ricco passato. Sotto la sua attenzione si muovono e si formano sei ragazzi che lo affiancano nelle varie attività nella speranza che si possa aprire presto un canale per una formazione specifica. A questi giovani ragazzi e agli studenti del corso di laurea ad orientamento professionale in “Qualità e approvvigionamento di materie prime per l’agro-alimentare” dell’Università degli Studi di Parma, che da questo numero si alterneranno nella redazione di articoli scritti di loro pugno, è dedicato il primo numero del nuovo anno con l’augurio che il futuro trasformi in realtà i loro desideri e le loro aspirazioni. L’onore di aprire la rassegna

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che inaugura la nuova collaborazione con l’Università di Parma spetterà a Valentina Taleb, con un approfondimento sulla reazione di Maillard e il legame tra gli zuccheri e le proteine. Tra i pezzi presenti sulla scia di una sensibilizzazione sociale che serve a salvaguardare il futuro si segnala il pezzo di Eleni Pisano che si occuperà di clima e Cop 28, quello di Roberto Muzi che ha lavorato sull’accoppiata birra e cioccolato analizzando una realtà fondata da un antropologo e che coniuga ricerca e filiere di approvvigionamento realmente etiche dove i diritti dell’ambiente e dei lavoratori vengono prima degli interessi commerciali, quello di Antonio Boschi che ci racconta invece la musica delle origini bianche degli Stati Uniti mentre Vanessa Alberti e Federico Viero tornano con i loro viaggi a sfondo birrario per raccontarci un Nicaragua insolito, fuori dalle consuete mete turistiche. Non mancano i pezzi più tecnici: di Michele Matraxia sulla commistione birra e uva, di Flavio Boero con la qualità in microbirrificio, di Matteo Malacaria sulla cultura d’impresa birraria e di Andrea Camaschella che, per le birre iconiche, analizza Piazza delle Erbe del birrificio Ofelia. La prossima volta che vi versate la vostra birra preferita quindi, pensate a tutto questo e molto probabilmente vi toccherà prendere un bicchiere più capiente!

MIRKA TOLINI Professionista della scrittura e della comunicazione, collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra

Buona lettura e buona bevuta!

BIRRA NOSTRA MAGAZINE

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BIRRA NOSTRA NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

MAGAZINE

IN QUESTO NUMERO...

EDITORIALE Il futuro in un bicchiere

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di Mirka Tolini

INCLUSIVITÀ Birrificio don Guanella

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di Christian Schiavetti

ABBINAMENTI Come birra per il cioccolato

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di Roberto Muzi

RICERCA

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Quando la birra incontra l’uva

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di Michele Matraxia

I RAGAZZI DI QUAM Tutta colpa di Maillard

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di Valentina Taleb

MATERIE PRIME La qualità in microbirrificio

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di Flavio Boero

22 SEGUICI SU

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Dimmi che clima sei e ti dirò che produzione farai

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di Eleni Pisano

facebook.com/BirraNostraMagazine

BIRRA NOSTRA MAGAZINE

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MARKETING Te la dò io la cultura

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di Matteo Malacaria

Direttore Responsabile Mirka Tolini Comitato di Redazione Davide Bertinotti, Luca Grandi redazione@birranostra.it

BIRRE E BIRRIFICI Artigianali e iconiche Piazza delle Erbe di Ofelia

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di Andrea Camaschella

Will The Circle Be Unbroken

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Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 12191

Direttore Commerciale

Costantino Cialfi c.cialfi@lswr.it - tel. +39 3466705086

di Antonio Boschi

Coordinamento editoriale Chiara Scelsi c.scelsi@lswr.it

TURISMO BIRRARIO Nicaragua: terra di laghi, vulcani e birra artigianale

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di Vanessa Alberti e Federico Viero

Tra Umbria e Assisi viaggio nella natura e nella spiritualità

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di Mirka Tolini

NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO

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Hanno contribuito a questo numero Vanessa Alberti, Flavio Boero, Antonio Boschi, Andrea Camaschella, Matteo Malacaria Roberto Muzi, Christian Schiavetti, Michele Matraxia, Eleni Pisano, Valentina Taleb, Mirka Tolini, Federico Viero Quine Srl

BIRRA E MUSICA

a cura della redazione

Birra Nostra Magazine - Bimestrale Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Verona in data 22 novembre 2013 al n. 2001 del Registro della Stampa

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Impaginazione LIFE - LSWR Group Produzione Antonio Iovene Stampa Tipolitografia Pagani - Passirano (BS) Archivio immagini Shutterstock Foto di copertina di Rachele Lori Redazione

Simone Ciapparelli s.ciapparelli@lswr.it ABBONAMENTI Sara Biscaro abbonamenti@quine.it Quine srl, Via G. Spadolini, 7 20141 Milano – Italy Tel. +39 02 88184.117 www.quine.it

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BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ

Tutto il materiale pubblicato dalla rivista (articoli e loro traduzioni, nonché immagini e illustrazioni) non può essere riprodotto da terzi senza espressa autorizzazione dell’Editore. Manoscritti, testi, foto e altri materiali inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. Tutti i marchi sono registrati. INFORMATIVA AI SENSI DEL GDPR 2016/679 Si rende noto che i dati in nostro possesso liberamente ottenuti per poter effettuare i servizi relativi a spedizioni, abbonamenti e similari, sono utilizzati secondo quanto previsto dal GDPR 2016/679. Titolare del trattamento è Quine srl, via Spadolini, 7 - 20141 Milano (info@quine.it). Si comunica inoltre che i dati personali sono contenuti presso la nostra sede in apposita banca dati di cui è responsabile Quine srl e cui è possibile rivolgersi per l’eventuale esercizio dei diritti previsti dal D.Legs 196/2003. © Quine srl - Milano

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INCLUSIVITÀ

di Christian Schiavetti

BIRRIFICIO DON GUANELLA

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ascina don Guanella è una comunità educativa facente parte dell’Opera don Guanella che opera in situazioni particolarmente critiche, con minori allontanati dalle famiglie, con problemi d’identità, migranti alla ricerca di nuove prospettive di vita, nuovi sogni, o con ragazzi a rischio di esclusione sociale. Da circa un anno la comunità ha aperto un piccolo birrificio agricolo all’interno della propria struttura, chiamato appunto Birrificio Cascina don Guanella. Ubicato nel comune di Valmadrera a due passi dalla bellissima città di Lecco, incastonata tra lago e monti, all’ombra del Monte Moregallo e dei Cor-

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ni di Canzo, con il Monte Resegone e le Grigne, oltre ai piccoli, ma non per questo inferiori, Monte San Martino e Monte Barro a farle da cornice.

Facciamo un passo indietro: chi era Don Guanella, a cui è intitolata l’associazione? Luigi Guanella nacque a Fraciscio, una frazione del comune di

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INCLUSIVITÀ

Campodolcino, in Valchiavenna, in provincia di Sondrio, il 19 dicembre del 1842 per morire poi il 24 ottobre del 1915 in piena guerra. È stato un presbitero italiano e per quanto di buono fatto negli anni venne proclamato beato da Papa Paolo VI nel 1964 e Santo dal papa Benedetto XVI nel 2011. Nel 2013 Casa don Guanella, che attualmente ospita circa 30 ragazzi affidati, in forma residenziale o diurna, ha acquistato grazie a una campagna di crowdfunding e alla Fondazione Provincia di Lecco un terreno agricolo di 15 ettari in Valmadrera con una cascina da 900 mq. Viene quindi fondata nel marzo del 2014 Cascina Don Guanella che, se da un lato rappresenta un modello storico e tradizionale locale delle antiche cascine, un tempo luogo di vita e di sviluppo socio-economico a carattere familiare, oggi è invece in grado anche di fungere da efficace modello di inclusione sociale. L’obiettivo è quello di realizzare un progetto di agricoltura sociale a favore, prioritariamente, dei minori accolti presso la comunità educativa Casa don Guanella di Lecco.

scambio continuo tra chi offre e chi riceve attenzioni, permettendo anche al portatore di disagio di offrire la propria cura alle piante, agli animali, alle altre persone. Lo stile fa riferimento ai valori proposti dall’Opera don Guanella e pertanto si riferisce a un metodo educativo basato sul rispetto di ogni persona e dei suoi valori, sulla pedagogia del fare, sull’emancipazione personale, entro un contesto relazionale caldo e ricco di attenzioni. La particolarità del progetto sta nel comprendere intere filiere dalla produzione delle materie prime (ortaggi, cereali, uva da vinificazione, olive, allevamento bovino, caprino, suino, avicolo e produzione di latte, piccoli frutti, apicoltura), la trasformazione dei prodotti nei propri laboratori (pane e prodotti da forno, formaggi, vino, olio, confetture e conserve) e il servizio a tavola nel proprio agriturismo. La struttura è piuttosto agile, composta da un’assemblea

di soci e da un consiglio di amministrazione. I dipendenti sono 19 tra cui diversi neomaggiorenni che hanno avuto esperienza di accoglienza in comunità. Sono molti i volontari che partecipano alla strutturazione del progetto e alle attività quotidiane.

Una scuola di vita Cascina don Guanella si pone dunque nel solco di questa tradizione agricola e rurale, con l’intento di promuovere un’agricoltura sostenibile sotto il profilo ambientale ed economico e con una forte finalità sociale. “La filiera della vita” prende spunto dalle due caratteristiche che danno una precisa connotazione a Cascina don Guanella: da una parte l’accompagnamento alla vita adulta e alle professioni dei ragazzi e giovani a grave rischio di esclusione, una vera e propria attività pedagogica ed educativa oltre che tecnica; dall’altra la grande varietà di filiere che con-

L’agricoltura sociale Questa attività rappresenta una formidabile risposta a situazioni di disagio ed emarginazione, per una serie importante di motivi: il tipo stesso di attività, propedeutica ad altre possibili professioni, non richiede competenze complesse ma si basa sull’esperienza diretta e vissuta; favorisce lo sviluppo del lavoro di gruppo, molteplici esperienze relazionali e un traffico socio affettivo di notevole portata; genera un benessere immediato, determinato dal tipo di attività, in quanto si riproduce il senso stesso dello sviluppo della vita dal seme alla pianta, al frutto, dalla cura all’accudimento quotidiano delle piante, degli animali, di ciò che è vivo, alla soddisfazione per il raccolto, per il prodotto; incoraggia lo sviluppo di meccanismi di gestione della propria emotività, in quanto consente uno

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La struttura Don Guanella con parte delle coltivazioni realizzate

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INCLUSIVITÀ

Veniamo ora alla parte che più ci interessa, cioè il birrificio: Manolo Lia, birraio con alle spalle diversi anni in birrifici storici del panorama brassicolo nazionale, ci racconta il progetto. Manolo, quando nasce la tua passione per la birra e quale percorso hai fatto prima di diventare il birraio del Birrificio Cascina Don Guanella? Era il lontano e freddo febbraio del 1995 quando sui fornelli di casa sperimentavo la prima birra con un barattolo di mosto, già pronto da riscaldare, comprato al Consorzio Agrario: il primo barattolo è servito a realizzare una birra in stile stout, fermentata in un secchio di plastica con rubinetto e gorgogliatore, il tutto avvolto in una coperta di lana per mantenere i 20 gradi. I barattoli si moltiplicano, ma nel 1996 nasce il Birrificio Italiano e così prendo una pausa nell’attività di homebrewing e mi godo le buone birre del birrificio di Lurago. Nel 2003 sono assunto dal birrificio Vismara di Bulgarograsso e comincio la carriera da cantiniere: ritorna in me la voglia di fare la birra in casa. In zona aprono in seguito il birrificio Bidù e il Birrificio di Como e nel 2005 vado a lavorare al birrificio Doppio Malto di Erba, dove ho l’occasione di iniziare la carriera da birraio. A casa mi autocostruisco un piccolo impianto da 30 litri semiautomatico e acquisto un fermentatore in acciaio tronco coni-

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Manolo Lia (a destra), birraio di Don Guanella

ducono, dalla produzione delle materie passando per i processi di trasformazione dei prodotti, fino ai cibi presentati a tavola. La grande forza della seppur giovane esperienza agrituristica di Cascina don Guanella sta proprio nella grande varietà di competenze, tradizioni, produzioni che rappresentano una

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potenziale vetrina per eventuali “fruitori” esterni, fra cui studenti e bambini. Oggi Cascina don Guanella è una fattoria didattica accreditata da Regione Lombardia, grazie anche a Don Agostino Frasson, che negli anni ha fatto crescere, e continua a farlo, questa grande famiglia.

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INCLUSIVITÀ

co da 50 litri. Lo potete ancora trovate nel giardino di casa mia che convoglia acqua piovana. Al Doppio Malto, grazie alla disponibilità di formazione esterna che il birrificio mi mette a disposizione, divento birraio. Nel 2015 continuo la mia esperienza al birrificio Elav di Bergamo, dove rimango fino al 2022. Ora sono in forza al Birrificio Agricolo Cascina Guanella. Come e quando nasce il Birrificio all’interno della Cascina don Guanella e da dove deriva il nome, Birra Barabina? Il birrificio, o meglio un piccolo laboratorio con un impianto da 200 litri, nasce nel 2018 come uno dei progetti inclusivi dell’esperienza di Cascina don Guanella. Nel 2021, in regime di volontario, collaboro per l’acquisizione della licenza UTF e la sostituzione della cantina. Nel 2022 decido di sposare il progetto Cascina e divento il birraio del birrificio. In dialetto milanese, il Barabin è il ragazzino monello, da qui il nome Birra Barabina.

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Com’è attualmente strutturato il birrificio e quali birre produce? Nel febbraio 2023 entra in funzione la sala cottura a tre tini da 500 litri, la nuova cantina con cinque fermentatori tronco conici isobarici da 500 litri e due da 1000 litri, imbottigliatrice a sei becchi isobarica semiautomatica, lava-riempi fusti a due stazioni. Una

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produzione annua stimata (2023) di circa 300 ettolitri. Produco dodici stili di birra, due a bassa fermentazione: Agricola da 4.5° (una pale ale), Bock da 6.5 °; Blanche 5.2° con bergamotto, fiori di mandorlo e di camomilla di nostra produzione, Nera 4° (stout), Coda di Volpe 6.4° (red ipa), Lampo 6° (wei-

zen ai lamponi), Miele 6° (con miele di castagno), Belga 7.7° (strong belgian ale), Summer Ipa 3.2°, Castagna 6° (ale alle castagne di Colle Brianza), Volpe Nera 6.4° (black ipa), Barabiga 8° (Italian grape ale). LA40 è una bock per un pub di Milano, oltre a produrre per due beerfirm.

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INCLUSIVITÀ

Qual è la vostra birra più rappresentativa e quale sognate di realizzare prossimamente? Tutte le nostre birre hanno qualcosa che appartiene alla terra da noi coltivata ma se ne devo sceglierne una, sicuramente è l’Agricola, con 100% di materia prima della nostra filiera. I sogni sono tanti, il primo di poter trasferire la nostra esperienza e la nostra passione per la birra e il suo microcosmo ai ragazzi che accogliamo e poi di poter produrre birre sempre più legate al territorio e alle nostre stagioni e di essere felici.

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Un progetto di birrificio sociale, dove sei affiancato da ragazzi presenti in associazione; come avviene l’inserimento e in quali mansioni vieni aiutato? I ragazzi provengono dalla comunità educativa Casa Guanella di Lecco, in età lavorativa: alcuni di loro mi affiancano nella gestione della cantina, confezionamento, pulizia. In futuro e in considerazione delle attitudini e della volontà dei ragazzi, pensiamo di introdurre alcuni di loro alla professione di birraio, anche con il supporto di enti di formazione specifici.

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Siete un birrificio agricolo a tutti gli effetti. Produzione di orzo, luppolo, miele e frutti vari, poi impiegati nelle vostre ricette. Cosa ci racconti in merito? Chi si occupa del luppoleto, dei campi di orzo e di quanto circonda la cascina? Per le nostre birre ho a disposizione 70 quintali di orzo e 60 kg di luppolo (cascade, centennial, chinook) prodotti dalla nostra filiera agricola. Poi miele, lamponi, mosto d’uva, spezie prodotte da noi in Cascina e l’acqua del nostro pozzo, prelevata ad ottanta metri sotto il suolo. Abbiamo circa otto ettari di terreno a disposizione, non solo per orzo e birra. L’orzo viene seminato e trebbiato da un’azienda agricola partner, la cura del campo tocca a noi. Portiamo l’orzo a maltare in una malteria esterna. Il luppoleto conta circa 250 piante e viene curato e raccolto a mano direttamente da noi e pellettizzato da una azienda agricola.

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Siete molto attivi sul fronte eventi e manifestazioni. Cosa ti aspetti per il futuro, ci sono nuovi progetti in cantiere?

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Siamo una realtà giovane e non tutto il territorio ci conosce e conosce la nostra missione. Cercheremo di promuovere la nostra attività, di coinvolgere più persone che possano condividere con noi un pezzetto di strada e che possano godere di questo pezzetto di terra ai piedi del Monte Moregallo. Stalla, orto, fattoria didattica, birrificio, cantina del vino, panificio, laboratorio conserve, ristorante: già molti progetti da curare e sostenere. Abbiamo inoltre in cantiere la ristrutturazione della vecchia cascina e abbiamo pensato a un’accoglienza a 360 gradi, con un servizio agribike, un bed&breakfast, un agripub e una distilleria agricola. Un’ultima domanda, la più curiosa. Scegli una birra o un luogo che più ti sono rimasti impressi in tutti questi anni nel mondo della “bevanda di Gambrinus”. Nei miei viaggi formativi, Bamberga ha decisamente colpito per la sua bellezza, per i suoi dieci birrifici, e per la sua birra affumicata.★

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Info e contatti: www.cascinadonguanella.it

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7 - 9 MARZO BARI 2024 FIERA DEL LEVANTE

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L'APPUNTAMENTO CHE MANCAVA AL CENTRO-SUD ITALIA BEERTECH il nuovo settore della Fiera Enoliexpo dedicato alle Tecnologie per l’Industria Brassicola. Occasione per birrifici, brewpub, beerfirm e homebreweries di scoprire le ultime innovazioni e tendenze proposte dalle aziende leader produttrici di materie prime, tecnologie e impianti di trasformazione, fine linea e packaging per la produzione di Birra Artigianale.

Un settore di

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0532 909396 INFO@BEER-TECH.IT


ABBINAMENTI

di Roberto Muzi

COME BIRRA per il cioccolato I

l cioccolato, cibo amato, straordinario, unico. Che ha nel cacao - il cui nome scientifico, theobroma cacao, ossia cibo degli dei, racconta già abbastanza di questa pianta - il suo ingrediente essenziale. La poetessa e naturalista americana Diane Ackerman ha definito il cioccolato “uno stimolante tranquillante”, un vero ossimoro gastronomico, da

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sempre circondato da un’aura magica e da un affascinante senso di erotismo, caratterizzato com’è da un’allettante e suggestiva stratificazione di molecole odorose e gustative. Le migliori tavolette enumerano solo tre ingredienti di base: cacao, zucchero di canna e burro di cacao. Alcune addirittura solo i primi due; in altre ancora, come quelle coinvolte nella nostra degustazione, lo zuc-

chero viene sostituito dal fiore di cocco, che vanta maggiore sostenibilità nella coltivazione e un indice glicemico più basso.

Dallo Yucatan alla Svizzera Cacao deriva dalla parola kakawa, usata dagli Olmechi (XVI e V secolo a.C.) nell’area dell’attuale Yucatan (Messico), per definire la pianta di cacao coltivata

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ABBINAMENTI

e i semi da essa raccolti. Furono i Maya a iniziarne una coltivazione consapevole, nel V secolo d.C., considerando sacri l’albero e i suoi semi. Dopo la rottura delle fave, con l’utilizzo di pietra e un mattarello chiamato metatl, veniva consumato liquido, aromatizzato con vaniglia, peperoncini, miele o succo dolce dei gambi del mais, oppure ridotto in panetti e conservato, dopo aggiunta di farina di mais. Il termine cioccolato si diffonde in Europa durante il XVII secolo, dallo spagnolo chocolate, adattamento dell’azteco xocoatl. Inizialmente accolto con diffidenza, poiché lasciava la bocca sporca ed era amaro, senza gli effetti eccitanti di tè e caffè, ma molto nutriente. E proprio perché servito liquido era adatto per affrontare gli intervalli di astensione dal cibo. Liquidum non frangit jejunum, ossia “i liquidi rispettano il periodo di digiuno”, fu la geniale formula coniata dal Cardinale di Viterbo, Francesco Maria Brancaccio. Proprio negli ambienti ecclesiastici trovò una grande accoglienza e ciò portò a una certa specializzazione produttiva da parte dei monaci. Era un cibo costoso e perfetto per il risveglio mattutino degli oziosi aristocratici dell’Europa meridionale e cattolica, simbolo esemplare di gusto e potenza, in perfetta opposizione al magro, borghese e altero caffè delle nazioni nordiche, dinamiche e protestanti. Questa indole verrà sottolineata ancor di più dal 1725, quando si afferma la c.d. formula Cadbury, che ne prevedeva l’addolcimento con latte e zucchero: è così che il cioccolato conquista definitivamente i palati degli europei. Nel 1828 un pasticcere di Amsterdam, Casparus Von Houten, trovò il modo di estrarre il cacao con la separazione del burro; ciò permise di realizzare le prime tavolette fondenti e, successivamente, grazie alle scoperte di Henry Nestlè, al latte. Qualche anno più tardi, Rudolph Lindt introdusse la fase del concaggio utile per ottenere un cioccolato vellutato, mentre il miglioramento generale

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delle tecniche di produzione lo rendevano un cibo sempre più alla portata di tutti.

La pianta del cacao, l’importanza della fermentazione Come abbiamo visto, i suoi natali sono in Mesoamerica, ma oggi questa pianta è diffusa anche nella parte meridionale del Nuovo Mondo, in diverse aree dell’Africa e nel sud est asiatico. Il suo habitat risiede nella foresta pluviale non mon-

tagnosa e nelle aree sub-tropicali, dove la temperatura non scende mai sotto i 15 °C e dove convivono condizioni di piogge intense, ombra, temperature e umidità elevate. È una pianta delicata, che non può essere allevata in maniera intensiva. Anche se ancora si sente parlare di tripartizione, criollo, trinitario e forastero, dal 2008 un approfondito studio coordinato da Juan Carlos Motamayor, ha costruito una suddivisione più corretta in dieci gruppi, che prendono il nome

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ABBINAMENTI

tendone conservazione e trasporto. È una fase cruciale per la costituzione dei precursori aromatici, che deve essere condotta con la massima accuratezza e col giusto tempo, altrimenti il cioccolato risentirà dei difetti della sua materia prima e non disporrà del potenziale bouquet. Del resto, “la fermentazione libera strati nascosti di complessità aromatica”, come dice Sandor Katz.

Le delizie di Cacao Crudo

dalle loro origini geografiche o dalle cultivar genetiche che rappresentano: Amelonado Forestero, Criollo (che vanta numerosi cru), Nacional, Contamana, Curaray, Guiana, Iquitos, Maranon, Nanay e Purus. Generalmente sono necessari quattrocento semi (o fave), circa undici cabosse (così si chiama il frutto, una grossa noce), per ottenere una libbra di cioccolato. La cabossa è sterile finché non viene aperta. Dentro ci sono i semi e

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una polpa biancastra, grassa e zuccherosa, di cui una parte sarà utilizzata dai contadini per trarne una bevanda alcolica e l’altra sarà lasciata per attivare la fermentazione. A seconda dei caratteri specifici del cacao (varietà, stagione, condizioni ambientali), le fermentazioni, che avvengono in casse di legno o in buche coperte, durano da 3 a 8 giorni, fanno salire la temperatura a 45 °C e producono acido lattico e acetico, stabilizzando il seme e consen-

È proprio legandoci alla frase del grande fermentista americano che possiamo presentare bene la realtà artigiana con cui abbiamo collaborato per questi abbinamenti. Nata nel 2011 a Palestrina (RM), pluri-premiata e ormai affermata nel panorama italiano e internazionale, Cacao Crudo nasce dall’idea e dalla determinazione dell’antropologo Daniele Dell’Orco e riesce a coniugare competenza, ricerca costante, filiere di approvvigionamento realmente etiche e amore per le cose fatte bene. Le fave acquistate vengono coltivate da cooperative e contadini che rispettano i diritti dei lavoratori e l’ambiente e Daniele si reca personalmente più volte all’anno nelle aree di coltivazione, per rinsaldare i legami, condividere le problematiche, immaginare potenziali sviluppi. Le varietà lavorate sono antiche, pregiate e poco produttive e i processi di lavorazione rispettano la salute di chi acquista, non utilizzando carbonato di potassio, additivi, aromi artificiali, lecitina di soia, glutine, olio di palma, grassi vegetali e zuccheri raffinati, al cui posto si impiegano nettare o fiore di cocco. A tutte queste attenzioni si aggiunge la peculiarità della lavorazione “a crudo”, che dà il nome all’azienda e dona esiti originali a processo e risultato finale; durante le lavorazioni la temperatura non supera mai i 42 °C, oltre la quale alcuni nutrienti iniziano a deteriorarsi. Dunque, viene evitata la tostatura, che si effettua in condizioni termiche molto elevate, sostituita da una lenta essiccazione in atmosfera protetta. Una scelta

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ABBINAMENTI

che richiede tempi più lunghi e professionalità specifiche, ma che conferisce al prodotto finito le caratteristiche uniche, l’espressività, l’originalità organolettica e l’apporto nutrizionale completo del cioccolato.

Abbinare il cioccolato Così come il formaggio, il cioccolato, nonostante abbia un solo ingrediente come attore protagonista, è un cibo strutturato e difficile da appaiare. Risulta arbitrario dare suggerimenti sempre validi, poiché il risultato cambia in maniera sensibile se il cacao è al 50% o all’80%, se c’è presenza di burro di cacao o meno, se c’è zucchero, di quale tipologia e in che quantità, se c’è eventuale aggiunta di granella, frutta, spezie, sale e quant’altro. Certamente è necessario considerare birre con contributi maltati evidenti, con tendenze dolci o dolcezze, gradazioni alcoliche importanti e senza protagonismi dell’amaro del luppolo.

Cioccolato fondente al 77%, con scorze di arancia biologiche

Uno degli abbinamenti inossidabili nel mondo del cioccolato viene valorizzato dalla scelta di un cacao mono-origine Perù e dalla lavorazione delicata e attenta dell’agrume. È un cioccolato aromatico, che gioca con le nuance, favorito da una stimolazione alternata, il succedersi e rincorrersi dei sentori di cacao e di scorza d’arancia, suggestioni ben dosate e chiosa con note nette di cacao, una dolcezza in equilibrio con l’amaro delicato e l’elegante retrolfattiva agrumata. Per l’abbinamento abbiamo scelto la Chocolate stout di Samuel Smith. Birrificio iconico, fondato nel 1758 a Tadcaster (Yorkshire) e ancora attaccatissimo alle tradizioni produttive e di comunità: c’è ancora il bottaio interno, utilizza l’acqua del proprio pozzo, i coni di luppolo in fiore, i tini in rame e fermenta nelle stone Yorkshire squares, vasche di ardesia aperte, che permettono di recupe-

rare il lievito - lo stesso da quando sono state costruite, continuamente rimontato per favorirne ossigenazione e vivacità - e accentuano la ricchezza dei malti e la pienezza del corpo. La birra è una stout biologica, una ricetta storica della casa, con evidenti spunti tostati e cioccolatosi, che ha gusto pieno e risulta solida, aromatica, distintiva, facendo percepire tostature, gradevole morbidezza, cremosità sgrassante e piena. L’abbinamento funziona perché c’è l’agrume a rendere asimmetrici gli incontri in assaggio: con un cioccolato non aromatizzato sarebbe diventato eccessivo e monotematico il carico sullo stesso stimolo gusto olfattivo. L’accordo risulta così armonico e stimolante (sarà mica un caso che anche in pasticceria cioccolato e arancia si trovano così spesso insieme?), in grado di appagare: la birra sostiene la lunghezza del cioccolato e la accompagna con le sue morbidezze, maltate e tostate, in grado di appoggiare l’aromaticità del frutto.

Fondente 70% Uno dei cioccolati di punta della piccola impresa laziale, caratterizzato dalla voglia di lasciar spazio agli aromi del pregiato Criollo monorigine Perù utilizzato, ma allo stesso tempo non calcare troppo la mano sulle intensità e sull’amaro. Ne risulta una tavoletta gentile, ma dalla grande personalità, che riesce a tenere insieme le note tipiche della fava di cacao, quelle fruttate e floreali della cultivar, con la cremosità del burro di cacao e la lunghezza gusto-olfattiva tipica di percentuali così alte. In abbinamento, la particolarissima Beegnè, imperial pastry stout, 10%, Mister B (San Giorgio Bigarello, MN), mostra segni di partecipazione più che interessanti. È una birra non facile da bere da sola, che preferisce il sorseggio per via di questo effetto wow che invade l’aria intorno al bicchiere fin dalla prima mescita, costruito su generosi soffi

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ABBINAMENTI

majesty the coffee, torrefazione di Villasanta (MB), è un irresistibile insieme di stimolazioni: parte da note fungine, di sottobosco e arriva al caffè moka, ai pomodori secchi e al rosmarino; in bocca è cremosa, possente, lunghissima, si prende la scena con la classe dei primi attori e la signorilità di chi non ha la necessità di dimostrarlo. Magnifica, sontuosa, infinita. L’incontro genera una risultante cappuccino, effetti balsamici da liquirizia, erbe da vermouth, lasciando la bocca ricca e piena, con la mente senza immediata possibilità di decifrare cosa stia accadendo, in una sospensione affascinata.

Lampone (68%)

alcolici, caramellosi e vanigliati. Messa in coppia con il 70% funge da agent provocateur: lo seduce invitandolo a giocare, dipinge trame divertenti e sbarazzine e addiziona il suo apporto aromatico (noci pecan, vanilla, “zuccherosità”). Il nostro palato potrà godere il tempo di un ardente amore effimero, che lascia coinvolgenti ricordi di liquore al cioccolato e di babà.

Fondente 80% Il fratello maggiore del precedente: più pasta di cacao, senza le morbidezze del burro di cacao. Si caratterizza per una leggera tendenza amara, è rotondo e vanta una felice valorizzazione delle note eleganti e fruttate del Criollo peruviano. La Geisha, barley wine, 12%, firmato dallo storico Troll (Vernante, CN), è un potente e suadente “vino d’orzo”, morbido e zuccherino, indicato per godersi il silenzio e le riflessioni dopo una giornata impegnativa, ma anche per incontrare questo straordinario “signore in abito scuro”: le rotondità e la finezza

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aromatica vanno in accordo, si fanno sponda, valorizzando le tostature e le eleganti note ossidative; sul finale riemerge, perfettamente integrata, la speziatura “dolce”, segno di puro sentimento d’intesa tra due fuoriclasse.

All’avena con burro di cacao (57%) Della serie, se la cedevolezza è la mia missione! Ispirato dai ricordi dell’età infantile, epoca in cui si amava solo il cioccolato al latte, risulta convincente per chi non vuole consumare prodotti di origine animale e sorprendente per chi ama il fascino del fondente: una carezza, con l’inaspettata malleabile morbidezza, un serissimo scherzo fatto di cremose sensazioni tattili. L’abbiamo abbinato con la Coffee Brett, imperial stout, 10.5%, brassata da Birra del Carrobiolo (Monza, MB), originale interpretazione assurta a classico, che solo il talento di Pietro Fontana poteva concepire. Prodotta con l’aggiunta di Brettanomyces e utilizzo di caffè in grani Los Vascos, lavorati da His

Una tavoletta che ho provato decine di volte e che non riesce a smettere di rendermi felice. L’aroma di lampone (presente all’11.3% in peso) è integro e netto: grazie alla tecnica del freezedried si riescono a mantenere intatti colore, qualità organolettiche e i preziosi antiossidanti presenti. Il connubio gustativo col cacao criollo dà effetti superbi, con una gioia di armonie legate alla morbidezza, alle note acidule e alla lieve mineralità. L’abbiamo abbinata alla Blackheart, robust porter sui generis, 8.6%, Birra dell’Aspide (Roccadaspide, SA), ennesima perla di Vincenzo Serra, birraio sempre troppo poco celebrato. La ricetta prevede aggiunta di grano saragolla (non maltato e tostato in birrificio) e di melassa di fichi del Cilento, provenienti direttamente dai campi adiacenti l’impianto. Con schiuma pannosa e grana fine, offre al naso frutta secca (fichi e datteri), nocciole, castagne arrostite e cacao, mentre in bocca i due ingredienti “terzi” conferiscono setosità. È grazie a queste componenti morbide che la birra è in grado di incontrare le fragranze fruttate e la lieve acidità del cioccolato, chiudendo l’assaggio con un finale terroso, floreale e speziato. Che, con un sorriso, ci fa pensare al bis. ★

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RICERCA

di Michele Matraxia

NOVITÀ DALLA RICERCA:

quando la birra incontra l’uva

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a sempre la comunità scientifica del settore agroalimentare ha indirizzato i propri sforzi e le proprie ricerche per migliorare qualitativamente le produzioni di cibi e bevande. Lo dimostrano i numerosi studi scientifici pubblicati negli ultimi anni, mirati al raggiungimento di obiettivi come il miglioramento dei processi produttivi, della sostenibilità economica e ambientale, il recupero di sottoprodotti, lo studio di nuovi ingredienti e di nuove tecnologie. In questo articolo tratteremo nel dettaglio i progressi e gli studi fatti sulla birra relativamente alla commistione con il mondo enologico. Seppur questi due mondi siano formalmente e concettualmente diversi, sono accomunati da diversi fattori e il lievito appare forse quello più evidente e importante. La ben nota apertura ad altri settori del mondo brassicolo ha visto l’introduzione nell’elenco stili birrari BJCP del 2015 delle cosiddette Italian Grape Ale, stile purtroppo recentemente “denazionalizzato” in Grape Ale. Nonostante ciò, l’Italia ha contribuito alla diffusione e al successo di queste particolari birre, ormai prodotte a livello globale, sfruttando le tipicità territoriali legate al mondo del vino. Nei prossimi paragrafi sarà approfondito uno studio condotto sull’impiego di ingredienti vitivinicoli (polpa, mosto e vinacce d’uva) nella produzione di birra. L’attuale mercato della birra offre un’ampia varietà di diversi stili ed è soggetto a continui cambiamenti dinamici. I consumatori sono sempre più orientati a favore del consumo di birre dal gusto e dall’aroma caratteristici. Non sono po-

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polari solo le classiche birre, ma anche quelle che contengono ingredienti insoliti. L’uso di ingredienti particolari o di lieviti non convenzionali nel processo di produzione spesso migliora il gusto e la qualità, arricchendo il valore nutrizionale del prodotto. La crescente domanda di birre con tali caratteristiche provoca una costante competizione tra i produttori per la realizzazione di prodotti innovativi. Un’idea nata dalla collaborazione tra appassionati di birra e vino è la produzione di birre con l’aggiunta di uva o mosto d’uva. Questa produzione è finalizzata a combinare i vantaggi di entrambe le bevande. Vista la diffusione capillare di aziende vitivinicole sul territorio nazionale, un ingrediente potenzialmente impiegabile nella produzione di birra sono le vinacce (Figura 1), un sottoprodotto dell’industria enologica.

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La vinaccia comprende la buccia dell’uva, le cellule danneggiate della polpa e i semi. Viene utilizzata per produrre bioetanolo, alcol per applicazioni cosmetiche e farmaceutiche o come additivo per mangimi. La sua aggiunta può arricchire la birra con tannini, fibre alimentari, polisaccaridi, coloranti e composti organici aromatici, offrendo inoltre la possibilità di reimpiegare e valorizzare un prodotto di scarto proveniente da un’altra filiera.

Mosto d’uva, polpa d’uva e vinacce nella produzione di birra L’obiettivo del lavoro condotto da Cioch‑Skoneczny et al., (2023)1 è stato quello di valutare il potenziale impiego di polpa, vinacce e mosto d’uva nel processo di produzione della birra. Lo studio in oggetto ha previsto l’impiego

di vinacce, mosto e polpa pastorizzati provenienti da uve di varietà Leon Millot, aggiunti in misura del 20% e del 40% in volume. I diversi mosti così realizzati sono stati fermentati con diversi ceppi di lieviti, commerciali e non, fra cui Dekkera bruxellensis ceppo 3429, Metschnikowia pulcherrima ceppo MG970690 e Saccharomyces cerevisiae Safale US05 usato come controllo commerciale. Sono stati infine analizzati i seguenti parametri chimico-fisici: estratto reale, contenuto alcolico, contenuto di aminoacidi liberi (FAN), acidità titolabile, pH, colore, profilo degli acidi organici e contenuto di zuccheri. I risultati ottenuti dal presente studio si sono rivelati molto interessanti in quanto le diverse aggiunte, in combinazione con i tre diversi lieviti, hanno prodotto risultati molto differenti fra le sperimentazioni.

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rallentamento fermentativo rispetto alla tesi di mosto-malto senza aggiunte. I valori dell’acidità titolabile dei campioni sono aumentati con l’aggiunta di vinaccia, mosto e polpa. Il mosto conteneva 107 mg/L di azoto amminico libero, rientrando nell’intervallo della quantità raccomandata di FAN, ovvero 100-140 mg/L necessari per la corretta crescita e lo sviluppo del lievito durante la fase fermentativa. Anche il colore ovviamente ha subito delle variazioni, divenendo più scuro dopo l’aggiunta delle vinacce e della polpa. Questo fenomeno avviene a causa delle numerose sostanze coloranti presenti nella buccia, principalmente antociani e tannini.

Figura 1 - Vinacce, sottoprodotto ottenuto dalla pressatura dell’uva

Parametri chimico-fisici di base

I principali parametri chimico-fisici dei mosti sono riportati nella tabella 1. Il mosto di birra prodotto aveva un pH di 5,89. L’introduzione di vinacce e mosto d’uva nel mosto ha causato una maggior diminuzione del pH rispetto all’aggiunta di polpa. Il pH delle tesi in cui

sono stati aggiunti mosto o vinacce ha fatto registrare valori di pH compresi tra 3,5 e 4 in maniera proporzionale al quantitativo aggiunto. Le tesi che hanno previsto l’aggiunta di polpa si sono attestate a valori di pH di circa 4,7. Nonostante questi valori di pH così bassi l’adattamento dei lieviti all’ambiente non ha fatto registrare alcun arresto o

Cinetica di fermentazione, zuccheri e alcool

Per quanto riguarda l’analisi della cinetica di fermentazione, risulta fondamentale la capacità del lievito di utilizzare gli zuccheri, influenzando sia la velocità di fermentazione che la qualità finale della birra prodotta. L’efficienza del processo dipende, tra l’altro, dal contenuto di substrati nel mosto di birra necessari per la corretta crescita del lievito. Questi

Tabella 1 - Composizione iniziale del mosto ottenuto con le diverse aggiunte di mosto, polpa e vinacce d’uva CAMPIONE

pH

FAN (mg/L)

MALTOSIO (g/L)

GLUCOSIO (g/L)

FRUTTOSIO (g/L)

ACIDO TARTARICO (g/L)

ACIDO MALICO (g/L)

COLORE (EBC)

Mosto

5,9

107

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11

5

0

2,2

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Mosto + 20% di mosto d’uva

3,9

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2,2

3,6

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Mosto + 40% di mosto d’uva

3,5

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46

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3,8

5,1

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Mosto + 20% di vinacce

4,0

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20

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3,9

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Mosto + 40% di vinacce

3,6

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43

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3,4

6,2

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Mosto + 20% di polpa d’uva

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2,2

3,8

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Mosto + 40% di polpa d’uva

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6,2

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includono elementi come l’azoto amminico libero, il fosforo, il potassio e il magnesio in forma assorbibile. Anche il pH e la temperatura del processo sono altrettanto importanti. S. cerevisiae US-05 e D. bruxellensis sono stati caratterizzati dai tempi di adattamento più brevi e simili, mentre M. pulcherrima ha avuto bisogno di un tempo maggiore per adattarsi. Nel caso di aggiunte di mosto, polpa e vinacce d’uva, dato il loro elevato contenuto in monosaccaridi, l’utilizzo del glucosio come fonte di carbonio, la crescita del lievito e la produzione di alcol sono state più rapide rispetto all’uso di maltosio, il principale disaccaride contenuto nel mosto di birra. La maggiore quantità di questi composti potrebbe contribuire all’anticipo del processo di fermentazione. I lieviti non appartenenti al genere Saccharomyces potrebbero impiegare più tempo, come avvenuto nel caso del ceppo di M. pulcherrima. L’alcool, prodotto principale della fermentazione alcolica insieme all’anidride carbonica, è uno dei composti più importanti che definisce la birra. Esso infatti influenza la texture della birra, ne

migliora la viscosità e rende più stabile la schiuma. Inoltre, l’etanolo, il principale alcool prodotto durante il processo fermentativo, contribuisce a creare il gusto della bevanda ed è anche un precursore di alcuni esteri. L’aggiunta di vinacce, polpa e mosto hanno contribuito all’aumento di questo parametro, certamente grazie all’introduzione di una maggiore quantità di zuccheri che il lievito ha potuto metabolizzare durante il processo di fermentazione. L’aumento del contenuto alcolico della birra prodotta con materie prime enologiche aggiunte in percentuale del 20% e 40% ha fatto registrare un aumento variabile dall’1% al 2,5% (v/v). Tutte e tre le specie di lievito impiegate hanno fatto registrare valori comparabili.

Acidi organici

L’acidità della birra è legata alla presenza di ioni idrogeno, CO2, e acidi. Questi ultimi sono considerati i principali responsabili degli aromi che si sviluppano nelle bevande fermentate, conferendo leggerezza e freschezza a birra e vino. Sono classificati come acidi organici e inorganici e derivano, in misura variabile, dalle materie prime utilizzate, dai composti

prodotti nel processo di fermentazione e dalle sostanze rilasciate dopo l’autolisi del lievito. Anche nell’uva gli acidi organici sono abbondanti e comprendono principalmente gli acidi tartarico, malico e citrico. L’acido tartarico è solitamente presente nell’uva in concentrazioni di 5-10 g/L, mentre il contenuto di acido Lmalico nella frutta matura è solitamente compreso tra 2 e 6,5 g/L. Valori particolarmente elevati (oltre 20 g/L) possono verificarsi in uve raccolte in climi freddi dell’Europa continentale, poiché le basse temperature rallentano il processo di processo di respirazione degli acidi. Tali acidi organici includono anche gli acidi lattico, succinico e acetico, che si formano durante la fermentazione alcolica del mosto d’uva. Il contenuto di acidi organici determina l’acidità del prodotto finito. L’aggiunta di polpa, mosto e vinacce d’uva nelle birre ha determinato un aumento dell’acidità titolabile. Ciò può suggerire che tali aggiunte apportano acidi organici presenti in natura, oltre a fornire ai lieviti un maggior quantitativo di substrati utili alla loro crescita. Per quanto riguarda il tenore in acido malico nel mosto, nonostante lo studio

Quale uva impiegare? Nella progettazione di una Grape Ale è possibile attingere a innumerevoli tipologie di uva e mosti disponibili sul mercato. Una prima ed evidente classificazione delle uve viene eseguita, in base al loro colore, in uve a bacca bianca e uve a bacca nera. All’interno di questi due gruppi, possiamo fare un’altra classificazione sulla base dell’aromaticità primaria varietale, direttamente correlata al contenuto in composti terpenici; distinguiamo infatti le varietà aromatiche come Moscato, Gewurztraminer e Pinot Nero da quelle neutre come Trebbiano, Barbera e Sangiovese. C’è poi un ultimo parametro, fortemente influen-

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Figura 2 - Curva di maturazione dell’uva

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zante le caratteristiche del mosto, ovvero il grado di maturazione a cui viene raccolta l’uva. L’evoluzione temporale nella curva di maturazione dell’uva prevede un incremento del grado zuccherino, a scapito degli acidi organici contenuti in essa. Una rappresentazione grafica di questa evoluzione è riportata in figura 2, ove si può osservare l’andamento di zuccheri, acidi e pH su uva di cv Petit Verdot coltivata in Sicilia durante i mesi di agosto e settembre. Essendo l’uva un frutto aclimaterico (in estrema sintesi, la maturazione non procede dopo il distacco del frutto dalla pianta), risulta fondamentale valutare con attenzione il momento della raccolta, che influenzerà inevitabilmente la composizione chimico-fisica del mosto. Esiste infine una tipologia di fruttificazione tardiva, tipica di alcune varietà d’uva, ossia i ra-

cemi (Figura 3). Sono dei piccoli grappoli che originano da germogli secondari, le femminelle, e rappresentano un prodotto di scarto del settore vitivinicolo, sia perché la loro maturazione è tardiva, sia per il loro basso grado zuccherino. L’impiego di questi sottoprodotti pertanto può rappresentare un potenziale nuovo ingrediente per la produzione di birre dal buon tenore di acidi organici, come l’acido malico e tartarico.

Colore Il colore della birra dipende principalmente dalla selezione e dalla proporzione del grist di malti utilizzato per la produzione del mosto. Maggiori saranno i malti scuri, più scuro diventa il colore della birra. Il colore della birra è determinato anche dalle reazioni che avvengono durante il processo di

maltazione. I composti coloranti si formano come risultato della reazione di imbrunimento di Maillard e, in alcuni casi, della caramellizzazione e della pirolisi. Questi processi dipendono dalla temperatura, dagli amminoacidi e dal contenuto di zucchero dei grani utilizzati. I lieviti influiscono indirettamente sul colore della birra. Essi mostrano la capacità di adsorbire composti colorati sulla superficie delle loro cellule. Modifiche sul colore della birra derivano anche dall’ossidazione dei polifenoli contenuti nel malto e nel luppolo. Il colore dell’uva è influenzato dalla composizione fenolica, in particolare dal livello di antociani, dai loro derivati e dai tannini. L’aggiunta di vinacce, polpa e mosto d’uva ha contribuito a un aumento significativo del colore nei campioni analizzati.

in oggetto indichi la sua presenza nel mosto di birra, altri studi ne escludono la presenza in questa matrice.

Conclusioni Lo studio analizzato in questo articolo ha messo in evidenza come l’impiego di ingredienti alternativi nella produzione brassicola possa influenzare innumerevoli parametri analitici della birra. Anche lo sfruttamento di risorse biologiche come i lieviti non convenzionali rappresenta una strategia di diversificazione delle produzioni. Infine il ricorso a ingredienti che rappresentano uno scarto proveniente da altre filiere, come le vinacce o i racemi, può dare origine a un’opportunità sostenibile di valorizzazione delle tipicità territoriali. ★

Riferimenti 1

Cioch-Skoneczny, M., Sral, A., Cempa, A., Rzadkowska, J., Satora, P., & Skoneczny, S. (2023). Use of red grape pulp, marc and must in

Figura 3 - Racemi, grappoli secondari caratterizzati da un’elevata acidità.

the production of beer. European Food Research and Technology, 249(4), 1059-1072.

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SALONE INTERNAZIONALE MACCHINE PER ENOLOGIA E IMBOTTIGLIAMENTO

12-15 Novembre 2024 Fiera Milano (Rho) In mostra la migliore tecnologia, le macchine e le attrezzature più innovative. Incontri, workshop e convegni. GLI STATI GENERALI DELLA BIRRA

Unica protagonista: la birra

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BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ


I RAGAZZI DI QUAM

di Valentina Taleb

TUTTA COLPA

DI MAILLARD

Rassegna di articoli a cura degli studenti del corso di Laurea ad orientamento professionale in “Qualità e approvvigionamento di materie prime per l’agro-alimentare” (QuAM) dell’Università degli Studi di Parma.

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opo secoli di tradizione e innovazione, la birra può essere definita come una popolare bevanda

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alcolica prodotta da quattro ingredienti principali: malto, luppolo, acqua e lievito. Oltre all’acqua, il malto è la materia prima principale e può essere prodotto da vari cereali, come orzo, grano, mais, segale, sorgo e molti altri. Storicamente, l’orzo è stato utilizzato come principale cereale da malto per diverse ragioni, che vanno da quelle culturali ed economiche alle sue proprietà biochimiche e fisiologiche (per esempio presenza di una ottimale quantità di carboidrati e proteine).

Il processo di maltazione trasforma la cariosside d’orzo. Questa si arricchisce di enzimi i quali hanno il compito di scomporre le molecole ad alto peso molecolare, ad esempio l’amido e le proteine insolubili, in componenti a basso peso molecolare, facilmente accessibili dagli enzimi e utilizzabili come substrato per la successiva fermentazione. Il processo di maltazione può essere modificato per la produzione dei cosiddetti “malti speciali”. La maggior parte dei malti d’orzo speciali essiccati sono prodotti dopo aver aumentato le temperature finali e applicato un livello di umidità significativo, fornendo le condizioni necessarie per le reazioni di imbrunimento non enzimatiche, ad esempio caramellizzazione e reazioni di Maillard. A causa della loro intensa esposizione a temperature più elevate, il contenuto di nutrienti e l’attività enzimatica diminuiscono gradualmente durante il processo. I malti speciali vengono anche utilizzati come quantità più piccola in combinazione con i malti base con l’obiettivo di aggiungere colore e sapore distinti al mosto.

Influenza della maltazione sullo sviluppo del sapore Seguendo la linea di produzione, il grado di umidità dei malti chiari va mantenuto tra il 42% e il 44%, limitando le reazioni responsabili della trasformazione delle cariossidi e riducendo le perdite durante la germinazione dovute alla formazione di radichette. Al contrario, i malti speciali potrebbe-

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ro richiedere un grado di umidità più elevato, arrivando fino al 47%. Questa condizione fornirebbe acqua sufficiente per migliorare l’azione degli enzimi germinativi e, quindi, la germinazione delle cariossidi e di conseguenza delle sue attività metaboliche. Il malto Munich viene solitamente prodotto dopo una germinazione con temperatura compresa tra 22-25 °C, invece dei soliti 17 -18 °C utilizzata per la produzione di malto chiaro base. Queste condizioni sono responsabili dell’aumento delle reazioni di Maillard e quindi della formazione di colore e sapore. Anche se l’umidità e la germinazione sono importanti nella produzione del malto (responsabili del sapore), è la fase di essiccazione, e di eventuale tostatura, che rappresenta il passaggio cruciale per la maggior parte dei malti speciali. Questo passaggio infatti permette la formazione della maggior parte delle sostanze volatili, responsabili del sapore, e dei pigmenti, responsabili del colore. Questi composti sono generati principalmente tramite reazioni di imbrunimento non enzimatiche, tra cui pirolisi, caramellizzazione e reazioni di Maillard. La pirolisi è la rottura delle molecole di zucchero, in cui i legami carbonio-carbonio vengono rotti a causa delle temperature elevate (>200 °C). A temperature più basse (>120 °C), la caramellizzazione è responsabile della conversione delle molecole di zucchero, presenti soprattutto nell’endosperma del cereale. Mentre la pirolisi è indotta dall’energia termica per generare prodotti dal forte sapore di bruciato, la caramellizzazione avviene a temperature più basse, essendo catalizzata da condizioni acide e alcaline, generando composti aromatici desiderati. Infine, le reazioni di Maillard sono una serie di complesse reazioni che coinvolgono zuccheri riducenti e composti amminici. Comprendono le reazioni più importanti tra quelle di imbrunimento non enzimatiche nella formazione dell’aroma del malto speciale e avvengono già a temperature di 50 °C.

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Il processo di essiccazione è caratterizzato da una fase di aumento graduale della temperatura a partire da 50 °C per consentire l’integrità degli enzimi. Solo successivamente il malto acquisisce l’aroma e il colore caratteristici, soprattutto quando la temperatura sale oltre gli 85 °C. Altri processi meno popolari sono l’affumicatura e l’acidificazione. Il malto affumicato è un prodotto molto popolare nella regione della Franconia, in Germania. Il malto affumicato tradizionale viene prodotto sottoponendo il malto essiccato a un sistema di affumicatura, in cui vengono bruciati substrati specifici per produrre un fumo aromatico, il quale viene confinato nella stessa camera del malto, consentendo alle sostanze volatili di impregnare le cariossidi di malto. In questo caso, i composti aromatici responsabili dell’emanazione dell’odore di affumicato sono per lo più fenoli, come il guaiacolo (note aromatiche affumicate) e l’eugenolo (aroma di chiodi di garofano).

Reazione di Maillard e sviluppo del colore Anche se l’aroma e il sapore sono gli obiettivi primari quando si producono

malti speciali, il colore denota un parametro analitico cruciale per distinguere i diversi prodotti. Il grado di colore è una proprietà fisica che riflette l’intensità del processo termico applicato, dove le cariossidi più scure indicano un livello più elevato di essiccazione o tostatura. I prodotti della reazione di Maillard, compresi i composti a basso e alto peso molecolare, sono responsabili della pigmentazione dei prodotti finali a base di malto. Le specie a basso peso molecolare, chiamate anche cromofori, svolgono un ruolo limitato ma significativo nella formazione del colore. Per quanto riguarda i prodotti Maillard ad alto peso molecolare, le melanoidine sono responsabili del maggiore impatto sulla pigmentazione. Si tratta di polimeri a base di carboidrati e molecole di azoto formate dalla condensazione degli zuccheri riducenti con amminoacidi e proteine. Oggi si sa che le melanoidine presentano diversi effetti benefici agendo come agenti antiossidanti, antimicrobici, antiallergenici e antimutageni. Queste molecole sono anche responsabili dell’aumento della shelf-life degli alimenti e di alcuni effetti benefici per l’essere umano (per es. protezione dallo stress ossidativo). ★

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MATERIE PRIME

di Flavio Boero

LA QUALITÀ IN MICROBIRRIFICIO Quarta puntata: il controllo microbiologico

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ontrollare microbiologicamente la birra non significa azzerare completamente la carica microbica. Infatti, in ogni fase del processo di produzione e conservazione del prodotto esistono esigenze diverse in cui biso-

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gna privilegiare la crescita di alcuni microrganismi a scapito di altri. Il controllo microbiologico si complica ancora di più quando i classici lieviti di coltura sono affiancati o addirittura sostituiti da microrganismi non canonici come

lieviti selvaggi e batteri lattici. Escludiamo per il momento le birre con altri microrganismi e prendiamo in considerazione le birre che coinvolgono solo lieviti di coltura sia di alta che di bassa fermentazione. La necessità di attuare

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MATERIE PRIME

il controllo microbiologico inizia quando il mosto viene raffreddato, perché durante tutti i processi che avvengono a caldo a temperature superiori a 60°C non vi possono essere contaminazioni. Dal momento in cui il mosto è raffreddato alla temperatura di fermentazione possono entrare in campo diverse sorgenti di contaminazione. Comunque, non tutti i microrganismi si comportano allo stesso modo: alcune categorie di microrganismi non riescono a proliferare a causa dell’ambiente ostile creato dalla fermentazione; per questo motivo è molto importante classificare i microrganismi in base alle loro caratteristiche peculiari.

Lieviti, muffe e batteri La prima suddivisione distingue i lieviti e muffe dai batteri. Le muffe non trovano terreno fertile in birra: alcol, pH, mancanza di ossigeno non ne consentono lo sviluppo. I lieviti hanno sia attività respiratoria che fermentativa, quindi una volta che entrano in azione, in modo particolare i Saccharomyces, le muffe non trovano ambiente adatto alla proliferazione. Quindi anche se le muffe sono in grado di produrre spore che resistono alla bollitura, non riescono poi a riprodursi nella birra. I lieviti a loro volta si distinguono in Saccharomyces e non Saccharomyces. I primi a loro volta possono essere di coltura o selvatici. I lieviti di coltura sono suddivisi in alta e bassa fermentazione. Questa suddivisione era dovuta al fatto che durante il processo di fermentazione quelli di “alta” venivano temporaneamente a galla sospinti dalle bollicine di CO2 che agivano sulle loro cellule ramificate. Mentre quelli di “bassa” precipitavano quasi immediatamente alla fine del processo. La separazione dipendeva dalla tecnica di crop (raccolta del lievito da parte del birraio). La bassa temperatura di fermentazione delle birre lager unita alla raccolta dal basso favoriva la separazione e raccolta dei lieviti di bassa, mentre la temperatura

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più elevata e la raccolta superficiale del lievito favoriva la separazione e la raccolta dei lieviti di alta. Questo fino a quando Emil Hansen riuscì ad isolare una unica cellula di lievito e ad avviare la coltura di varietà pure. La coltivazione dei Saccharomyces attraverso la riproduzione asessuata ha fatto sì che i lieviti di coltura perdessero la capacità di riprodursi sessualmente. Caratteristica mantenuta invece integralmente dai Saccharomyces selvatici. Questa differenza ha permesso all’analista, attraverso l’evidenziazione degli aschi (sacche) che contengono le spore, di distinguere i lieviti di coltura da quelli selvatici. Oggi attraverso la PCR (polimerasi chain reaction) è possibile riconoscere da singoli frammenti di DNA genere e specie dei microrganismi. Gli altri lieviti selvatici e principalmente quelli appartenenti al genere dekkera come i Brettanomyces sono considerati come contaminanti delle classiche birre di alta e bassa fermentazione, ma sono tollerati o addirittura ricercati nelle fermentazioni spontanee o miste.

Non per questo, però, devono essere lasciati agire indisturbati. La loro azione, anche in queste birre particolari, deve essere tenuta sotto controllo. Il Saccharomyces diastaticus ed eventuali suoi ibridi possono essere un grave problema per il birraio perché sono in grado di proseguire la fermentazione anche dopo che la birra è stata confezionata. L’eccesso di CO2 formata causa problemi di gushing, mentre il prolungamento della fermentazione altera il rapporto alcol/destrine rendendo le birre più secche e meno corpose. Veniamo ora ai batteri: rispetto ai lieviti hanno cellule più primordiali. Mentre i lieviti, che appartengono al regno dei funghi, come anche le muffe, hanno il loro materiale genetico (16 cromosomi) raccolto nel nucleo e per questo le cellule che li compongono sono definite eucariote, i batteri sono privi di nucleo e hanno il materiale genetico formato da un unico cromosoma disperso nel citoplasma delle loro cellule; per questo sono definiti procarioti. Pur essendo unicellulari, i lieviti, dal punto di

Batteri lattici (forma a bastoncino) e pediococchi (sferici)

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MATERIE PRIME

vista della complessità genetica, sono organismi molto più evoluti dei batteri, per cui sia dal punto di vista del processo di produzione, sia dal punto di vista analitico devono essere considerati in modo distinto. Il metabolismo dei lieviti è molto più affine a quello di esseri superiori: in molti casi i lieviti riescono a metabolizzare ulteriormente i loro “avanzi” ricavandone energia e consegnando un prodotto più “pulito”. Due esempi esplicativi delle differenze tra lieviti e batteri: i lieviti sono in grado di ridurre l’eccesso di acetolattato e diacetile che hanno prodotto durante la fermentazione, mentre i batteri lattici e pediococchi non ne sono in grado. I Brettanomyces sono poi in grado di metabolizzare i polisaccaridi che intorbidiscono le fermentazioni spontanee ricavando energia per loro e donandoci ancora una volta un prodotto ripulito dalle imperfezioni.

Suddivisione dei batteri I batteri dal punto di vista analitico possono essere classificati in gruppi che ne rivelano le principali caratteristiche. Distinguerli ci aiuta a capire quanto e quando possano essere utili,

inutili o addirittura dannosi. Il primo passo per la classificazione è distinguerli tra Gram positivi e Gram negativi. L’analisi fa uso di una soluzione colorante a base di violetto di genziana che colora di viola i Gram+ mentre i Gram- sono decolorati e diventano rosa. Tra i batteri Gram- ritroviamo molti germi patogeni e altri che non lo sono; in linea di massima i batteri Gram- non rappresentano un problema per la birra perché non riescono a svilupparsi in questo ambiente: quelli aerobici sono inibiti dall’abbassamento di pH e dall’alcol, mentre gli anaerobici sono inibiti dalla privazione di ossigeno causato dalla fermentazione. Ecco i motivi per cui i germi patogeni per l’uomo, non si sviluppano in birra. Tuttavia, esiste una piccola possibilità per alcuni batteri anaerobici stretti come megasfera e Pectinatus che pur in assoluta assenza di ossigeno possono crescere nella birra e rilasciare solfuri (uova marce) e acidi grassi (formaggio andato a male). Fortunatamente il peggior nemico di questi batteri è proprio l’ossigeno che per loro risulta un potentissimo veleno, anche se presente in proporzioni minime.

Cat+,OssidasiObesumbacteri

Cat+Ossidasi + Pseudomona, flavobatteri

NO ACETICI AEROBICI ACETICI Gluconobatteri

Catalase + aerobico facoltativo Zimomona

GRAM-

ANAEROBICI stretti

COCCHI

MEGASFERA

BACILLI

PECTINATUS

Batteri Gram-: in rosso, quelli potenzialmente problematici per il birraio

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I batteri Gram-aerobici possono essere un problema per il mosto, ma sono soppressi dalla fermentazione che già dopo poche ore sottrae la maggior parte dell’ossigeno. Così Gluconobacter e Acetobacter responsabili di formazione di acido acetico possono essere evitati facendo partire immediatamente la fermentazione. Tra i batteri Gram- non acetici dobbiamo considerare l’Obesumbacterium proteus che normalmente dovrebbe essere “neutro”, ma che in caso di una forte contaminazione e forte presenza di precursore potrebbe generare DMS (dimetilsolfuro, aroma di mais cotto): in un articolo del Journal of General Microbiology si afferma che attraverso la simulazione di una fermentazione birraria la crescita di Obesumbacterium proteus si protrae per le prime 40 ore, per decrescere poi rapidamente. La spiegazione probabilmente è dovuta all’abbassamento di pH e allo sviluppo di alcol. Sempre nel gruppo dei batteri Gram+ aerobici dobbiamo tenere in considerazione lo Zymomonas. Fortunatamente questo batterio fermenta bene solo glucosio e fruttosio mentre è refrattario al maltosio, per questo motivo le contaminazioni da Zymomonas non trovano terreno fertile nel mosto di birra. L’unico rischio riguarda la fase di priming: l’uso di glucosio o saccarosio potrebbe favorire la crescita di questo microrganismo. Una contaminazione in tale fase può essere evitata con il controllo igienico del processo di priming e successiva rifermentazione. Veniamo ora all’altro grande gruppo di batteri: i Gram positivi. Per distinguere i batteri dannosi da quelli che non lo sono è necessario un test ulteriore, il test della catalase. La catalase è un enzima che scinde l’acqua ossigenata ed è presente nei batteri gram+ aerobici che però non possono sopravvivere in birra, dunque non possono alterarla. Anche se i batteri catalase positivi sono in gran parte sporigeni, le loro spore trovano in birra un ambiente ostile

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che non ne consente la germinazione. L’analisi della catalase consente di occuparsi di quei batteri che non la posseggono e che di conseguenza possono sopravvivere e anzi moltiplicarsi in un ambiente povero di ossigeno e di alterare la birra. Fortunatamente questi batteri non sono in grado di produrre spore per cui il mosto caldo inattiva i batteri provenienti dalle materie prime, ma nelle fasi di processo successive fermentazione e soprattutto maturazione, i batteri catalase- trovano un terreno favorevole in birra, anzi alcuni di essi possono integrarsi con i lieviti sotto forma di simbionti rendendo ancora più problematico eradicare le loro contaminazioni dal birrificio. I batteri catalase- in questione sono i batteri lattici e i pediococchi. Entrambi sono in grado di sviluppare acido lattico, e alcuni ceppi anche diacetile, senza passare da acetolattato come suo precursore. I batteri lattici hanno forma di bastoncino, mentre i pediococchi hanno forma di piccole sfere spesso aggregate a 2 o a 4 (diplococchi o tetradi). I pediococchi, in modo particolare, sono inibiti dagli alfa acidi del luppolo, ma possono ereditare i plasmidi da eventuali batteri lattici resistenti agli alfa acidi e con il tempo sviluppare anche loro resistenza temporanea all’azione antibatterica del luppolo.

Aerobico CATALASE +

Micrococco Staffilococco Inibiti da CO2 Micrococcus Kristiniae

COCCHI CATALASE -

Pediococchi Tetradi Diploccocchi Catene Lactococco Leuconostocco

GRAM + CATALASE + BACILLI

CATALASE -

Bacilli sporigeni Lattobacilli Non sporigeni

Batteri Gram+: in rosso, quelli potenzialmente problematici per il birraio

prelievo. In questo caso le attività di prelievo devono essere integrate e descritte nei minimi particolari nel protocollo di analisi. Il primo punto da prendere in considerazione è il punto di prelievo: nei birrifici moderni tutti i contenitori sono chiu-

si e provvisti di rubinetto ed esistono tre differenti tipologie di rubinetto di prelievo: il rubinetto conico, quello a diaframma e di tipo keofitt. Il rubinetto conico è ovviamente il meno adatto perché difficile da igienizzare e sterilizzare. Il rubinetto a diaframma è costitu-

Buone pratiche in birrificio Vediamo quali sono le pratiche microbiologiche di base che devono essere messe in atto in un birrificio. Il primo e fondamentale punto è il campionamento. Rispetto agli altri sistemi di analisi, il campionamento microbiologico deve essere messo in atto da personale qualificato e addestrato allo scopo: infatti, i prelievi microbiologici possono decisamente influenzare l’esito finale dell’analisi microbiologica. Nel momento del campionamento possono verificarsi delle contaminazioni crociate causate da un’attrezzatura non sterile o da azioni inappropriate di chi sta effettuando il

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Una valvola di campionamento: la sua perfetta sanitizzazione è fondamentale per l’ottenimento di analisi attendibili

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ito da una membrana in silicone da cui eseguire il prelievo con un ago sterilizzato direttamente dal serbatoio o dalla tubazione e questo sistema offre maggiori garanzie limitando la possibilità di contaminazione secondaria. Infine, i rubinetti tipo keofitt che consentono la sterilizzazione con vapore o con soluzioni disinfettanti di ogni singola parte del rubinetto sono sicuramente la soluzione migliore, anche se costosa. Eseguita con cura ogni fase del prelievo sterile, si passa alla fase di arricchimento della soluzione prelevata. Se è possibile si esegue una filtrazione su membrana, altrimenti uno striscio su un terreno adatto alla crescita totale o specifica per un determinato gruppo di batteri. Lo striscio è necessario quando la birra non è limpida, ed è presente una notevole quantità di lievito di coltura come ad esempio a fine fermentazione. Esistono due tipi di terreno: i terreni solidi e quelli liquidi. I terreni liquidi permettono una determinazione qualitativa del tipo on/off. Mentre con i terreni

solidi è possibile anche una determinazione quantitativa: ogni microrganismo presente nell’aliquota analizzata forma una colonia e contando le colonie si esprime il risultato in UFC (Unità Formanti Colonia). Ovviamente si possono preparare terreni specifici inserendo sostanze che inibiscono alcune categorie di microrganismi e inserendo nutrienti che favoriscono la crescita di altre. Per proseguire nell’identificazione di lieviti e batteri è necessario essere provvisti di un microscopio con almeno 600 ingrandimenti. L’utilizzo della PCR (dall’inglese polymerase chain reaction, una tecnica di biologia molecolare che consente la moltiplicazione di frammenti di acidi nucleici dei quali si conoscono le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali) oggi permette di accorciare notevolmente i tempi di accrescimento per una rapida e sicura identificazione della specie del contaminante, rispetto a 3-7 giorni necessari alle metodologie precedenti.

Le piastre di Petri sono utili per la crescita di colonie di eventuali contaminanti

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Una pratica molto importante per chi riutilizza il lievito di generazioni successive o derivato da propagazione propria, consiste nella conta e nella vitalità del lievito. Il metodo più antico fa uso dell’ematimetro e di un microscopio, in seguito sostituito dai “coulter counter”, utilizzati negli ospedali per la conta dei globuli del sangue. La vitalità invece si misura in percentuale contando le cellule colorate da una soluzione di blu di metilene o rese fluorescenti da un reattivo specifico e illuminate da luce ultravioletta. I conta-cellule attuali consentono di misurare la concentrazione di cellule di lievito e contemporaneamente di misurare la percentuale delle vive. Ma per un piccolo birrificio l’ematimetro e il microscopio unito all’uso di blu di metilene quale colorante e investendo un po’ più di tempo per l’analisi, può tuttavia essere sufficiente allo scopo. Infine, occorre tenere in considerazione la sanificazione di serbatoi e tubazioni. Periodicamente è necessario controllare che le ultime acque di risciacquo siano esenti da contaminazioni. Nell’acqua di rete occorre controllare la presenza di cloro che deve essere presente in tracce a garanzia di potabilità ma non deve essere organoletticamente percettibile. Se è presente un filtro a carbone per la declorazione o un’osmosi è molto importante effettuare una conta totale sull’acqua in uscita per tenere sotto controllo eventuali contaminazioni. Abbiamo visto in modo non sicuramente esauriente molte opportunità per effettuare un serio controllo microbiologico in un birrificio, ma ogni birrificio ha peculiarità che possono essere molto differenti: ogni caso è a sé stante e un laboratorio di analisi va strutturato in base alle esigenze, alle possibilità e alle opportunità. In molti casi non è necessario avere un laboratorio pienamente strutturato, ma avere in birrificio un angolo da attrezzare con il minimo indispensabile, da implementare nel corso del tempo, rappresenta un buon inizio. ★

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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

Un riferimento al Centro-Sud per il mondo brassicolo

B

eerTech, Tecnologie per la Produzione di Birra Artigianale è il nuovo settore all’interno della fiera Enoliexpo, in programma dal 7 al 9 Marzo 2024. BeerTech 2024 - prima edizione - sarà il primo evento fieristico dedicato alle tecnologie brassicole che si terrà nel Sud d’Italia, all’interno di Enoliexpo. La sede della manifestazione sarà la Fiera del Levante a Bari, considerata da produttori e operatori un ambito ideale per una promozione efficace e professionale. BeerTech risponderà così alla numerosa presenza di birrifici artigianali e homebrewers che da anni operano nel Centro-Sud, arricchendo un settore che dal 2010 ha avuto una esponenziale crescita e pertanto necessitava di un evento di riferimento dedicato alle tecnologie. Oltre al settore espositivo, dedicato a

più settori merceologici della filiera produttiva brassicola, l’organizzazione di BeerTech proporrà un interessante Programma scientifico e divulgativo aperto ad operatori, birrai e homebrewers e che vedrà coinvolti ricercatori, docenti universitari e mastri birrai. Di seguito un’anticipazione del programma: ❱ “Il Progetto LOB.IT per una luppolicoltura italiana tra innovazione e sostenibilità”. Relatore D.ssa Katya Carbone, ricercatrice presso il CREA di Roma; ❱ “La maturazione del cono e la qualità del luppolo”. Relatore Prof. Tommaso Ganino, Dipartimento Scienze Alimentari e del Farmaco, Università di Parma; ❱ “Gli orzi non sono tutti uguali. Che cosa deve avere un orzo per produr-

re birra”. Relatore Dr. Luigi Cattivelli, Direttore del Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA di Fiorenzuola d’Arda; “Esplorazione dei lieviti e delle loro attività: effetti sul profilo aromatico e sensoriale della birra”. Relatrice D.ssa Antonella Costantini, ricercatrice presso il CREA di Asti; “Il luppolo in Italia oggi”. Dialogo con il Prof. Tommaso Ganino, del Dipartimento di Scienza dell’Alimentazione e del Farmaco, Università di Parma. Conduce Luca Grandi; “Laboratorio per homebrewings. Fare la birra in casa: from grain to glass”, a cura di Angelo Ruggero, mastro birraio della Lieviteria di Castellana Grotte (Bari). Sarà presente lo staff di FOSS Italia per l’analisi di qualità delle birre in degustazione; “Talk Show. Dal collezionismo al birrificio: il percorso di un homebrewer”. Con Donato di Palma (Birrificio Birranova), Vito Lisco (Birreria Lo Svevo), Raffaele Longo (Birrificio B94), Angelo Ruggero (La Lieviteria), Michele Solimando (Birrificio Rebeers). Conduce Luca Grandi; Laboratorio/degustazione con Michele Solimando, mastro birraio del Birrificio Rebeers di Foggia. Sarà presente lo staff di FOSS Italia per l’analisi di qualità delle birre in degustazione; Segui tutti gli aggiornamenti su www.enoliexpo.com

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di Eleni Pisano

DIMMI CHE CLIMA SEI

e ti dirò che produzione farai “Siete rimasti senza scuse e noi siamo rimasti senza tempo”

Greta Thunberg

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a ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite sui temi dei cambiamenti climatici aperta a Dubai il 30 novembre 2023 si è conclusa il 12 dicembre con la parte-

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cipazione di più di 200 paesi da tutto il mondo. Complessivamente 285 conferenze stampa, 366 eventi collaterali, 195 mostre: numeri molto importanti che spesso però non coincidono con

un reale cambio di rotta sui temi della sostenibilità ambientale. Sono molti gli studi che oramai sostengono, con dati alla mano, che la situazione è grave ma i concreti cambi e le nuove politiche di-

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chiarate da molti paesi sono lente ad entrare in azione, inadeguate o diverse rispetto agli obiettivi previsti.

Cosa sono le COP? COP, o Conferenza delle Parti, è il principale organo decisionale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ed è stata adottata durante la Earth Summit (Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo) a Rio de Janeiro nel 1992. La Convenzione è entrata in vigore il 21 marzo 1994. La prima COP si è svolta nel 1995 a Berlino. Da allora, le conferenze si tengono annualmente e sono numerate in ordine cronologico. Attualmente ci sono 197 parti contraenti della Convenzione, che includono 196 paesi e l’Unione Europea. L’incontro annuale vede riunirsi i rappresentanti dei paesi membri per discutere e negoziare azioni globali al fine di trovare strategie e identificare strumenti per affrontare il cambiamento climatico. I limitati risultati delle ultime COP hanno fatto emergere diverse critiche sulla reale volontà, pragmatica e applicativa, di molti paesi di adottare norme che cerchino di contenere e riconvertire i danni ambientali che per loro stessa natura sono direttamente collegati poi a problemi politici, sociali ed economici.

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Cambiare approccio nei confronti del clima significa, prima di tutto, rivedere il proprio modello di sviluppo, la velocità con cui si produce e si utilizzano le risorse naturali del Pianeta. Il problema, spesso bypassato o messo in secondo piano, è che i danni ambientali non sempre sono reversibili e comunque richiedono molto tempo, denaro e un cambio di politiche per poter essere applicati e riassestati. Secondo un recente report del WMO (l’autorità internazionale per la meteorologia) il 2024 sarà l’anno in

cui verranno frantumati i record climatici più recenti, che sono stati accompagnati da condizioni meteorologiche estreme e devastanti. La conferenza di Dubai ha evidenziato che molti fondi a sostegno di azioni pro-clima sono gestiti e sostenuti da grandi compagnie petrolifere (tra cui la stessa COP28): l’approvvigionamento energetico rappresenta una delle prime cause dei danni ambientali.

In Italia Lo scorso 29 maggio 2023 l’Istat ha presentato il Rapporto sulle “Preoccupazioni ambientali e comportamenti ecocompatibili”, nel contesto dell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”. Le informazioni statistiche raccolte, integrate con quelle desumibili da fonti amministrative e dalle imprese, contribuiscono a determinare la base informativa del quadro sociale del Paese. L’indagine è eseguita su un campione di circa 25mila famiglie distribuite in circa 800 comuni italiani di diversa ampiezza demografica. In questa edizione di indagine hanno risposto 19.829 famiglie e oltre 45.000 individui. Tra i molti aspetti analizzati, in riferimento all’analisi del mercato è importante sottolineare quali

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sono le percezioni di questo tema sulle diverse classi d’età. I giovani fino a 24 anni sono più sensibili delle persone più adulte per quanto riguarda la perdita della biodiversità (il 31,1% tra i 14 e i 24 anni contro il 19,4% degli over 55), la distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e l’esaurimento delle risorse naturali (30,3% contro 22,6%). Gli ultracinquantacinquenni si dichiarano invece più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (25,8% contro 16,6% degli under 25) e l’inquinamento del suolo (22,4% contro 18,7%). La quota di cittadini che esprime preoccupazione per lo stato dell’ambiente cresce all’aumentare del titolo di studio, con differenziali relativi particolarmente elevati rispetto ai cambiamenti climatici (63,9% tra chi ha la laurea rispetto al 52,2% tra chi ha al massimo la licenza media), alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (48,8% rispetto al 35,2%) e all’inquinamento delle acque (41,7% contro 35,1%).

Agricoltura, danni ambientali e birra In Italia, la filiera della birra artigianale, dal campo alla tavola, offre lavoro a circa 93.000 addetti e i consumi di birra sfiorano i 38 litri pro capite per un valo-

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re di 9,5 miliardi di euro. Più in generale il 2023 “si classifica come l’anno nero dell’agricoltura italiana con danni che superano i 6 miliardi di euro”: secondo gli ultimi dati forniti dallo studio della Coldiretti e del Consorzio birra italiana si stima un calo del 20% nel 2023 per la produzione di luppolo in Italia, un crollo causato da eventi meteo estremi come nubifragi e alluvioni e temperature record. Il luppolo è un componente fondamentale della birra, con Cascade, Chinook e Comet come varietà più diffuse in Italia; i circa cento ettari coltivati nel Paese sono concentrati in particolare in Piemonte, Emilia-Romagna, Friuli, Veneto, Lombardia, Umbria e Abruzzo, ma con campi sperimentali anche in Sicilia e Sardegna, con l’aumento del 64% delle superfici coltivate negli ultimi cinque anni. Oltre al luppolo, l’orzo, dal quale si ottiene il malto di cui l’Italia produce appena il 40% del proprio fabbisogno, impiega 24 mila ettari a livello nazionale e anche in questo caso la resa è stata in calo del 4% nel 2023 a causa della crisi climatica: Tra il 2022 e il 2023 la siccità ha tagliato del 20% il raccolto (dati Crea). Il primo semestre 2023 si configura come l’anno più caldo di sempre con +0,76 °C rispetto alla media storica: lungo la penisola

le precipitazioni si sono praticamente dimezzate (-45%). “Il cambiamento climatico - evidenziano Coldiretti e il Consorzio - minaccia la produzione di birra in tutta Europa perché a causa del cambiamento climatico entro il 2050 si prevede un significativo calo della quantità e della qualità del luppolo usato per aromatizzare la bevanda, secondo uno studio pubblicato su Nature Communications da un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall’Accademia delle scienze della Repubblica Ceca. I ricercatori hanno calcolato che entro il 2050 la produzione di luppolo calerà tra il 4 e il 18%, mentre il suo contenuto di alfa acidi si ridurrà del 20-31%”.

Cosa fare: una sintesi propositiva Cosa possono fare i microbirrifici che già ogni giorno devono combattere con aumenti di tassazione, accise in primis, del costo delle materie prime e, in generale, con l’aumento del costo della vita e la riduzione del potere di acquisto della propria clientela? Non esiste una risposta semplice e soprattutto non significa necessariamente fare investimenti in termini economici bensì di approccio, di visione e di contesto.

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La prima azione necessaria sarebbe quella di adeguare le tassazioni relative al comparto della produzione brassicola artigianale che oggi è costretta a sopravvivere a troppe norme e balzelli. La seconda azione è quella di provare ad innescare un cambiamento, non facile a livello imprenditoriale, nella direzione di collaborazioni e provare a unire le forze dei vari birrifici con le aziende del territorio: il dialogo con la comunità locale. La terza azione consiste nel comunicare. Il ruolo dei birrifici artigianali in Italia non è solo molto importante dal punto di vista della crescita e della qualità ma, anche, per il grande appeal comunicativo che i birrifici possono avere nel proprio territorio di appartenenza e a livello nazionale. Evidenziare come siano possibili piccole azioni quotidiane per un atteggiamento più sostenibile e consapevole, è possibile. Uno dei

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più recenti eventi realizzati con un ottimo riscontro è quello della tre giorni dei birrifici aperti nelle Marche.

La produzione brassicola, per sua stessa impostazione, richiede un importante sforzo energetico e di risorse naturali

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ma ci sono molte accortezze che si possono adottare, ovviamente in relazione al proprio budget e in ottica step by step. La sfida è quella di continuare ad essere un comparto dinamico, creativo, professionale e che tende ad innovare ma facendo più attenzione non tanto a ricette

sensazionali e autocelebrazioni ma a realizzare prodotti di qualità nel miglior modo possibile nel rispetto di chi vive su questo Pianeta. Non basta fermarsi alla parola artigianale ma si deve cercare di rendere ampio il suo significato sia nella modalità produttiva (in cui ci sono mol-

te accortezze pro-ambiente) sia in quella della selezione materie prime e infine, ma non ultima, la capacità e occasione di comunicare con moltissime persone e target diversi. Perché, come qualcuno diceva, alla fine siamo tutti sulla stessa barca. ★

Decalogo per una produzione pro-clima 1. Sourcing sostenibile degli ingredienti: (punto tra i più difficili, causa costi) ❱ Acquistare ingredienti da fornitori locali e sostenibili. ❱ Preferire orzo e luppolo provenienti da coltivazioni biologiche o certificate. 2. Efficienza energetica (servono sostegni reali delle politiche nazionali) ❱ Implementare tecnologie e processi più efficienti dal punto di vista energetico. ❱ Investire in fonti di energia rinnovabile, come pannelli solari o energia eolica, per alimentare le operazioni. 3. Gestione responsabile dell’acqua ❱ Ottimizzare l’uso dell’acqua durante il processo di produzione. ❱ Considerare l’utilizzo di tecnologie di riciclaggio e trattamento delle acque reflue. 4. Imballaggi sostenibili (può diventare un elemento di brand reputation) ❱ Utilizzare materiali di imballaggio riciclabili o compostabili. ❱ Ridurre l’uso di imballaggi superflui e implementare pratiche di riduzione dei rifiuti. 5. Riciclaggio dei sottoprodotti (molti i progetti in corso e nuovo avvio) ❱ Trovare modi per riutilizzare o riciclare sottoprodotti della produzione, come il residuo di orzo. ❱ Collaborare con agricoltori locali per utilizzare residui organici come fertilizzanti. 6. Mobilità sostenibile (piccolo intervento e grande effetto) ❱ Ottimizzare le operazioni di trasporto per ridurre le emissioni di gas serra. ❱ Considerare l’uso di veicoli elettrici o veicoli a basse emissioni per la distribuzione. 7. Coinvolgimento comunitario (in accordo con lo spirito della birra) ❱ Coinvolgere la comunità locale nelle iniziative sostenibili. ❱ Collaborare con organizzazioni ambientali o partecipare a progetti di riforestazione o di conservazione dell’ambiente. 8. Trasparenza e comunicazione (si scrive così e si dice coerenza) ❱ Comunicare in modo trasparente le pratiche sostenibili adottate. ❱ Coinvolgere i clienti nell’educazione sulla sostenibilità e sensibilizzarli sui prodotti a basso impatto ambientale. 9. Certificazioni ambientali (onerose le tradizionali ma esistono alternative di livello e contenuti) ❱ Ottenere certificazioni riconosciute a livello internazionale per dimostrare l’impegno verso la sostenibilità. 10. Innovazione continua (anche in modo consortile e di gruppo) ❱ Investire in ricerca e sviluppo per scoprire nuove tecnologie e pratiche sostenibili nel settore della produzione di birra.

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BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA DI QUALITÀ


MARKETING

di Matteo Malacaria

TE LA DÒ IO LA CULTURA

Quando l’impresa vale tanto quanto la birra (se non di più)

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ell’ultimo numero di Birra Nostra Magazine (n. 6/2023, ndr) avevo promesso di riprendere con dovizia di dettagli il discorso rela-

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tivo all’imprenditorialità birraria e al focus sul prodotto. Oggi sono qui per mantenere la promessa, partendo dal concetto di impresa, dalla definizione

di imprenditorialità e da come la cultura birraria sia un bene ma quella d’impresa sia anche meglio. Impresa dunque, questa sconosciuta. Premetto che quello dell’impresa è un dilemma che spazia ben oltre l’ecosistema birrario, in quanto affligge l’intero tessuto della piccola e media impresa italiana, ovvero la maggioranza delle imprese nostrane. Nonostante lo Stato italiano faccia di tutto per scoraggiare l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali (IVA al 22%, regime fiscale, cuneo fiscale a scapito delle nuove assunzioni e chi più ne ha più ne metta), c’è ancora chi ha il coraggio di investire soldi in un’attività commerciale. Bene, benissimo: questi personaggi hanno il mio fragoroso applauso. Se però si affronta lo scenario micro e macroeconomico solo con la spavalderia di chi crede nei propri sogni ma non conosce i fondamentali, beh, allora gli stessi personaggi perdono tutto il mio rispetto. Iniziamo ordunque a vedere quali sono questi fondamentali e come si declinano nell’universo birrario. Tutto nasce dall’idea, l’idea imprenditoriale, il sogno che l’imprenditore desidera trasformare in realtà. Detto così sembra tutto tanto romantico quanto campato per aria, soprattutto coi tempi duri che corrono: abbiamo imparato a nostre spese che i sogni sono roba per bambini - e per gli adulti sufficientemente ricchi da avere qualsiasi mezzo per realizzarli. Tuttavia l’idea imprenditoriale

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va meglio interpretata come un’ambizione, concreta e plausibile, di trasformare le scarse risorse di cui si dispone in un business di successo. Navigando sui social capita di imbattersi in meme e storie motivazionali che hanno per oggetto grandi uomini d’affari partiti da uno sgabuzzino o un garage con nient’altro che un computer e poco altro, derisi da chi sottovalutava quella che era appunto soltanto un’idea. A differenza di un sognatore, però, l’imprenditore dovrebbe essere abbastanza razionale da sapere che la propria idea non può essere raffazzonata, e che per realizzarla deve essere equipaggiata con tutti gli strumenti nel caso. Tuttavia è proprio sull’idea che le persone scommettono, imprenditori e investitori, e lo vediamo tutti i giorni quando assistiamo a round di finanziamenti in cui l’idea viene “venduta” in cambio di quote societarie; diffuse sono anche le iniziative di crowdfunding che consentono a chi ha tante idee ma pochi capitali di trovare le risorse necessarie a finanziare la creazione e lo sviluppo della propria impresa. Ed è sempre l’idea a fare grande un imprenditore e a unire le persone attorno a un ideale comune, una visione, siano esse collaboratori oppure clienti.

Le idee non bastano Per molti imprenditori, purtroppo, l’idea è destinata a rimanere un sogno: tanto l’imprenditore quanto l’investitore sa che l’impresa ha un grado implicito di rischio e che pertanto il capitale investito potrebbe andare perduto. Oggi si parla tanto di startup, neologismo di origine inglese utilizzato per dare un tono all’impresa moderna, spesso con un atteggiamento innovatore. Bene, le statistiche sono lapidarie: 9 startup su 10 falliscono e il 95% dei nuovi prodotti immessi sul mercato sono destinati all’oblio. A nulla vale l’idea illuminata nata da un bisogno insoddisfatto dei consumatori: purtroppo l’idea da sola non basta. Occorre carisma per attirare risorse, saper circondarsi delle giuste persone e dotarsi dei

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mezzi necessari a perseguire i propri obiettivi. In questo senso l’imprenditore è un rivoluzionario, un sovversivo al quale la realtà sta stretta e vuole creare un futuro diverso. Quanti birrai possono dire di avere veramente rivoluzionato il settore? Piuttosto mi fa piacere vedere che molti imprenditori decidono di investire nel settore birrario nella sua più ampia accezione, confermando la bontà di questo mercato e la possibilità di innovare anche con riferimento a un prodotto molto tradizionale. Ed è per questo che la figura dell’imprenditore ha tutta la mia reverenza. Nel mondo della birra l’idea è stata, perlomeno per i pionieri del 1996 e anni immediatamente successivi, mettere in piedi un birrificio. Sembrava perfettamente razionale fare birra in un Paese che aveva perso la capillarità della birra a causa delle concentrazioni industriali, quantomeno era una strada che valeva la pena esplorare. Purtroppo il mercato era impreparato a quella novità e alcuni birrifici sono scomparsi poco dopo: il timing, ovvero il tempo di realizzazione,

è un’altra variabile fondamentale per il successo dell’impresa, peccato che non sempre è controllata dall’imprenditore. Quelli che sono riusciti a resistere alle difficoltà iniziali hanno iniziato a esplorare un mondo nuovo, trovando terreno fertile. Alcuni di questi birrifici continuano a macinare ettolitri e sono ancora là, a baluardo della birra artigianale italiana e testimoni che anche in Italia fare birra può essere un mestiere redditizio. Gli anni passano e oggi aprire un birrificio non è più una novità, è consuetudine, per cui l’idea imprenditoriale si è spostata dal “tema” al modello imprenditoriale o alla filosofia produttiva. Il modello imprenditoriale è la strategia con cui si intende concretizzare l’idea: operando congiuntamente su canali analogici e digitali per massimizzare visibilità e remunerazione; garantendosi l’esclusiva commerciale, evitando di rivolgersi ad intermediari; oppure ancora ideando un modello standardizzato e replicabile, praticamente un franchising. Il mondo è bello perché vario e ciascuno decide come declinare la propria

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idea. La filosofia produttiva è semplicemente il come e il cosa si realizza. In un birrificio serve a dare un’identità, una riconoscibilità alle proprie produzioni, scegliendo per esempio di specializzarsi nelle basse fermentazioni oppure di strizzare l’occhio sulle birre luppolate tanto di moda. Significa, ritornando a un altro argomento da me affrontato in precedenza, scegliersi un target, una nicchia di mercato da soddisfare. Occhio però, perché molti birrai fanno confusione tra produzione e impresa: se il birrificio produce birra, l’impresa si occupa di venderla. Ecco perché l’idea imprenditoriale deve essere non solo originale e concreta ma anche - termine piuttosto abusato - sostenibile, ossia in grado di generare incassi maggiori delle uscite nel lungo termine. Concentrarsi a testa bassa su quanto accade tra le mura del birrificio è importante, ma non è sufficiente. Che si tratti di birraio oppure di imprenditore, infatti è imprescindibile una buona dose di fiuto per gli affari. Il birraio deve conoscere le basi d’impresa e frequentare i luoghi in cui si respira imprenditorialità, deve guardare lontano e prevenire le sfide del futuro, deve anticipare i bisogni dei propri clienti. E se proprio non ne è in grado deve esserne consapevole e farsi affiancare da qualcuno che lo faccia per lui.

Dettare il trend I giorni bui della pandemia sono ancora una ferita aperta: alcuni sono stati bravi ad adottare prontamente una soluzione, inizialmente improvvisata e poi successivamente perfezionata - nel caso dei birrifici quasi tutti si sono dotati di una piattaforma di commercio elettronico, sebbene nella maggior parte dei casi fosse semplicemente vetrina per la raccolta degli ordini; altri hanno assistito passivamente al fenomeno, convinti che fosse passeggero. Purtroppo viviamo tempi difficili: siamo in un’economia globalizzata e fortemente specializzata dove vige il perpetuo cambiamento. Adottare una struttura d’impresa carat-

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terizzata da ingenti costi fissi e indossando un vestito ingessato è follia. Snello è l’aggettivo dominante, la rapidità d’intervento è diventata parte integrante dell’essere impresa, nell’esecuzione e anche nella capacità di rispondere tempestivamente a imprevisti ed emergenze. L’imprenditore deve quindi essere in grado di affrontare le novità, comprenderle e saperle sfruttare al meglio per il proprio business, con rapidità. Così il birraio, che non dovrebbe limitarsi a cavalcare un trend ma dovrebbe dettarlo, trattasi esso di una ricetta, di una tecnica produttiva, di una genialata di marketing oppure di un nuovo canale di commercializzazione.

L’importanza del business plan Veniamo adesso alla concretizzazione dell’idea, al business plan, uno strumento estremamente utile eppure sconosciuto oppure sottovalutato. È come un manifesto aziendale, ma molto più concreto. È un documento in cui si esplica, prima in maniera generale e poi con precisione crescente, il progetto imprenditoriale. Creare un business plan significa avere un biglietto da visita con cui presentarsi a un potenziale investitore. Serve per dare credibilità al progetto, rendendolo tangibile. Significa altresì creare cultura d’impresa, giacché il business plan aiuta l’imprenditore a focalizzarsi sulle azioni da intraprendere e aiuta anche i collaboratori e i partner a comprendere il proprio ruolo nel funzionamento del complesso sistema chiamato impresa, focalizzando gli obiettivi e aumentando lo sforzo discrezionale. Per un imprenditore creare un business plan equivale al percorso per raggiungere la pienezza mentale. È difficile, estremamente difficile prendere piena consapevolezza di se stessi e del proprio ruolo nel mondo, ed è altrettanto difficile per un’impresa individuare le proprie risorse chiave e capire come creare valore aggiunto, rendendo la propria attività migliore della concorrenza.

Veramente tutti i birrai hanno un solido business plan tra le mani? Ne ho girati diversi di birrifici e non mi pare che là fuori sia pieno di venture capital e business angel che investono in microbirrifici italiani. Certo, l’Italia non è il Paese più virtuoso in termini di investimenti finanziari eppure ci sarà pur qualcuno, incuriosito dalla birra artigianale, con le tasche piene di soldi da investire in un progetto fruttifero. E ribadisco: in questo contesto mi è utile per esplicitare il concetto, tuttavia i microbirrifici rappresentano solo una delle possibili declinazioni d’impresa birraria. Eppure i corsi di formazione di cui sono a conoscenza non partecipano alla formazione di una nuova generazione di birrai-imprendito-

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MARKETING

ficilmente potrà stupirsi dei suoi scarsi risultati. Analisi dei numeri, pianificazione e messa a terra della strategia aziendale, programmazione delle attività finalizzate a migliorare la percezione del marchio da parte del pubblico e aumentarne la visibilità. Non si tratta di teorie campate per aria, si tratta della contestualizzazione di teorie consolidate da anni. Il che sarà anche poco romantico per chi è abituato a sporcarsi le mani spalando trebbie e gettando luppolo nel bollitore, tuttavia è ora di smettere di sognare e tornare coi piedi per terra, ricordando che birraio e imprenditore devono convivere nella stessa impresa-birrificio: il primo si occupa di mandare avanti la baracca, il secondo dà quel piglio romantico che non guasta, aggiungendo un pizzico di creatività. Possono entrambe le anime convivere nella stessa persona? Sì, possono, anzi addirittura devono. Perché altrimenti fare birra è rimane una bella poesia, ascoltata e compresa da pochi e destinata, alla lunga, a essere dimenticata.

Nessun uomo è un’isola

ri. Si limitano a fornire gli strumenti per fare la birra, come se venderla non fosse importante per la sopravvivenza del birrificio stesso. Inoltre si ragiona sempre e solo sul prodotto, senza guardare al contesto. Produrre e commercializzare materie prime è un esempio di impresa birraria, così come lo è quella specializzata nel supporto chimico e microbiologico. Là fuori è pieno di opportunità che aspettano solo una mente lungimirante in grado di coglierle. Sarebbe già un’ottima cosa se, una volta superata la fase di avviamento, il birraioimprenditore iniziasse ad alzare la testa dall’impianto e a guardarsi intorno. Va bene fare buona birra, ma come qualsiasi prodotto commerciale per essere vera-

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mente “buona” deve essere anche appetibile dal punto di vista commerciale. Ragion per cui la ricetta, parametrata sul fronte materie prime, impianto e tempi di gestione, può essere anche impeccabile ma non può esimersi dall’approvazione del pubblico. Lancio una provocazione: ha maggior successo un birrificio che fa birre mostruosamente saporite ma è sempre con l’acqua alla gola, oppure uno che fa birre mediocri ma che ha saputo creare un ecosistema in grado di farle conoscere e apprezzare al grande pubblico? Trascorrere l’intera giornata in birrificio rischia di causare miopia. Il birraio sarà anche cintura nera di birrificazione, ma se rimane incapace di analizzare il mercato o, ancora meglio, di prevederlo, dif-

Ok, mi si potrebbe contestare che il tempo non basta a fare bene un mestiere, figurarsi due. È vero, inutile negarlo. Tuttavia hai mai sentito parlare di delega? Delegare è un atto d’amore verso la propria impresa da parte di un imprenditore consapevole di non essere un’isola e del fatto che esistono collaboratori validi da cui farsi affiancare, in qualità di soci oppure di dipendenti, ciascuno dei quali rappresenta un’eccellente freccia al proprio arco. Del resto un precetto economico, propedeutico al successo d’impresa, è che le aziende di maggiore successo sono quelle che considerano i propri dipendenti come i primi e loro più importanti clienti: correttamente coinvolti e ingaggiati saranno testimoni e ambasciatori autentici, più convincenti di qualsiasi grande influencer. Senza contare, appunto, il beneficio pratico. La definizione di impresa è quella di aggregazione di risorse, anche umane, coinvolte e coordinate

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MARKETING

nella creazione di valore. L’imprenditore è bravo, ma non può fare tutto. E più si ostina a centralizzare le attività, meno tempo avrà da dedicare alle funzioni veramente importanti, perdendo di vista la strategia e depauperando le energie nella pratica quotidiana. Ricordo un coraggioso birraio-imprenditore di Calabria, proprietario di un impianto da 3 hl. Tralasciando che questi volumi produttivi sono praticamente fuori da ogni logica di sostenibilità economica, vorrei sottolineare che il suddetto birraio ricopriva (e ricopre tutt’ora, con qualche piccola differenza) le vesti di responsabile marketing, addetto alla logistica e funzionario amministrativo. In soldoni la sua giornata, quando non assorbito dalla cotta, è un continuo andirivieni tra procacciarsi clienti, consegnare ordini e gestire le fatture. Potrai immaginare quanto sia poco incisivo in ciascuna di queste sue attività. Questo significa che non sia felice? Tutt’altro,

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sta concretizzando il suo sogno di fare birra e questo gli fornisce le energie necessarie ad andare avanti. Per questo merita tutto il rispetto possibile: il mio, il tuo e quello di chiunque altro, soprattutto dei consumatori. Nel tempo ho imparato a scendere dall’altare delle intoccabili giurie, cercando di valutare la birra andando oltre i suoi parametri stilistici, perlomeno nei concorsi per birrai professionisti. Rimane il fatto che il birraio in questione non può definirsi un imprenditore, perlomeno sotto l’accezione di successo, e la sua impresa non è efficace e men che meno efficiente. Non è neanche detto che stia veramente generando ricchezza. Perché, sempre per scomodare la teoria, fare impresa significa remunerare tutti i fattori produttivi, anche le risorse umane. Molti birrai accampano la scusante per cui, trattandosi della propria impresa, possono permettersi di dedicare al lavoro tutto il tempo di cui dispongono,

convinti che risparmiarsi un’assunzione sia la soluzione migliore possibile. Così si innesca il circolo vizioso in cui il tempo perde valore, mentre rimane la risorsa più preziosa a nostra disposizione. In un’organizzazione in cui l’utile di impresa non conteggia il tempo impiegato dall’imprenditore siamo al cospetto di una contabilità falsata. E quello che a fine anno pare un utile forse non è reale ricchezza. E l’imprenditore, che dovrebbe essere l’emblema della libertà, forse è piuttosto schiavo della sua stessa impresa, giacché appena molla un metro rischia di far crollare il debole castello di carta con cui sta giocando. Perché mettere in piedi un’impresa senza grandi ambizioni o senza la pretesa di conquistare il mercato mi pare veramente tutto un gioco, un hobby. Un po’ di cultura d’impresa gioverebbe assai: del resto, come si è sempre detto, conoscere migliora il gusto, non solo della birra. ★

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BIRRE E BIRRIFICI

di Andrea Camaschella

Birre artigianali iconiche: PIAZZA DELLE ERBE DI OFELIA

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iazza delle Erbe è, o meglio era, il cuore pulsante e popolare della città di Vicenza, sede del mercato della frutta e della verdura ma anche dei fiori e delle spezie. Si trova all’om-

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bra della Basilica Palladiana, il meraviglioso edificio civile che orna anche la bellissima piazza dei Signori, una delle più suggestive d’Italia, raggiungibile salendo una scalinata e attraversando

la Basilica verso nord. Oggi piazza delle Erbe è ancora affascinante, soprattutto per la movida vicentina e qui si affaccia anche uno dei locali birrari per eccellenza, il Refe (refettorio birrario) e a po-

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BIRRE E BIRRIFICI

chi minuti a piedi dalla piazza, in corso Fogazzaro, si trova Ofelia Beerstrot il locale cittadino del birrificio. Piazza delle Erbe, ancora prima della nascita dei due locali, è il nome di una delle birre più suggestive ed evocative del Birrificio Artigianale Ofelia, nonché una delle loro primissime referenze. Il nome in realtà vuole evocare il tempo della Repubblica di Venezia, dei suoi commerci di spezie - e non solo - e in generale le piazze delle erbe presenti in ogni città sotto il controllo di Venezia a quell’epoca. Lisa Freschi e Andrea Signorini sono i protagonisti di questa realtà nata nel 2012 a Sovizzo, piccolo comune a circa un quarto d’ora di auto da Piazza delle Erbe, per restare in tema. Lisa, dopo una laurea in marketing del turismo conseguita a Ca’ Foscari, si dedica dapprima alla promozione del territorio vicentino che conosce in modo intimo e profondo per poi prendere in gestione una trattoria - un circolo SOMS a essere precisi - dove può dare sfogo alle sue passioni, con eccellenti risultati. Andrea si laurea in economia e commercio per arrivare poi ad aprire uno studio da commercialista e nel frattempo intraprendere anche gli studi da sommelier: la sua conoscenza dei vini veneti è tuttora fonte di grandi bevute per il sottoscritto. Lisa e Andrea hanno comune una passione per i viaggi e per le cose buone. Da ogni viaggio portano qualcosa, a livello di esperienza e conoscenza che, prima o poi, verrà buono per il birrificio, per la Tap room o per il bistrot, anzi il Beerstrot. In Ofelia è Andrea a occuparsi della parte produttiva mentre Lisa segue più marketing e vendite, entrambi però mettono del loro nella stesura delle ricette. In casa cucinano a turno (a dirla tutta, ma non ditelo ad Andrea, preferisco la mano di Lisa): se non si era capito, sono soci in affari e una coppia molto affiatata nella vita, più timida lei, più estroverso lui; si completano naturalmente. L’estrosità del birrificio che produce birre di ispirazione belga, inglese, tedesca

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e nordamericana oltre ad alcune birre molto personali è effettivamente frutto dei viaggi, in loco, ad assaggiare anzitutto le birre originali, nei posti dove sono state pensate e create. A volte la cifra stilistica è rappresentata in pieno, altre volte - ed è il caso della Piazza delle Erbe - le ricette sono riviste, personalizzate e rese uniche da spezie, erbe, frutta o altro che hanno incontrato durante i loro viaggi o nel vicentino.

Si parte in piccolo Gli inizi sono stati faticosi, accennavo poco sopra alle doppie o triple cotte. In un piccolo capannone e con una dota-

zione minimale era impossibile riuscire a creare nuove ricette, a volte a causa della mancanza di spazio, altre per via dell’assenza della tecnologia necessaria. È stata però una palestra (in tutti i sensi vista anche la fatica fisica che richiedeva) per capire a fondo le dinamiche di un birrificio. La crescita del birrificio è cominciata con il cambio di sede, coincisa con l’acquisto di un nuovo e più performante impianto, a cui è seguita l’implementazione di un piccolo laboratorio per le analisi che permette di controllare meglio ogni birra e migliorare piccoli aspetti di lotto in lotto. Anche l’imbottigliatrice semiauto-

Andrea Signorini e Lisa Freschi, anime di Ofelia

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BIRRE E BIRRIFICI

matica e la riempitrice di lattine hanno permesso un ulteriore salto in avanti in qualità, con l’aggiunta dell’ossimetro per controllare ancora meglio la tenuta, nel tempo, di ogni referenza. Nella nuova sede ha trovato spazio anche una piccola quanto accogliente (e molto frequentata) tap room e da un anno circa è stato aperto il Beerstrot, in centro a Vicenza, al civico 135 della via dedicata a un famoso scrittore vicentino: Antonio Fogazzaro. Dal 2016, l’anno del trasferimento, cambia la sinfonia in birrificio: aumentano i volumi, aumentano i clienti, ma soprattutto aumentano le referenze. Finalmente si possono concedere un po’ di licenze e anche di sano divertimento, senza mai perdere di vista il risultato finale. L’esperienza accumulata e le amicizie con altri birrai portano Ofelia

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a creare da un lato nuove etichette, stagionali e non, da affiancare alle cinque iniziali ma anche di uscire dagli schemi con le birre one-shot o con collaborazioni in cui mettersi a confronto con altre realtà, provare metodologie differenti, ingredienti particolari. Ultimo esempio di collaborazione, sul mercato dai primi di gennaio, una birra belga con l’aggiunta delle pastiglie Leone alla violetta prodotta a Torino con Loris Landi, il birraio di EDIT. Di solito i nomi per queste birre sono a rischio di denuncia per violazione del copyright: Creamy Mamy con Birranova, per esempio, con tanto di personaggio del cartone animato disegnato in etichetta, credo finì prima che potessero insorgere grane legali… per essere Creamy la birra era Creamy visto che lo stile indicato era Blueberry Milkshake IPA.

Fortunatamente - per me e non solo - è rimasta in linea la collaborazione con lo chef Lorenzo Cogo, la Ride Coq Chili Peppers, con lemongrass e Carolina Reaper (all’epoca il peperoncino più piccante del mondo) in cui il concetto di “less is more” fu evidente da subito portando a una birra con un lieve e piacevole sentore piccante arrotondato e al tempo stesso limitato dalle note citriche del lemongrass. Sul fronte dei luppoli si aggiungono alcune digressioni di IPA, tra double e session, cold (a bassa fermentazione) e l’uso dell’ossimetro e il confezionamento in lattina (senza rifermentazione) fanno la differenza. Con il nuovo impianto finalmente Andrea può usare anche lieviti a bassa fermentazione e alla Cancelliera si affianca una centratissima Italian Pils che da Magnagatti ha cambiato nome in Micentina ma non il carattere né il bouquet delicato quanto ampio, fresco e complesso. Completano la linea le birre stagionali e le invernali e la Winston, una birra di stampo inglese da 7,7 gradi alcolici a metà strada tra un Barley Wine e una Old Ale, perfetta da meditazione, eccellente a fine pasto su formaggi complessi, erborinati, stagionati.

Identikit della Piazza delle Erbe L’ispirazione è tratta dal mondo belga, dalle Saison di stampo moderno, e non è un caso visto che il colpo di fulmine definitivo, quello che li porterà all’apertura del birrificio in meno di cinque anni, di Lisa e Andrea per la birra scocca a Dottignies, chiacchierando con Nino Bacelle e Guido De Vos, i due soci fondatori di De Ranke, e assaggiando le loro birre. In realtà le Saison che li hanno portati a crearne la loro versione sono la Saison Dupont e la Saison d’Erpe-Mere di De Glazen Toren. Giusto l’idea di partenza perché la Piazza delle Erbe è decisamente personale e a sé stante. Oggi la Piazza è una birra con “solo” cinque spezie ma quando è nata ne contava anche fino a dieci.

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BIRRE E BIRRIFICI

La filosofia del “less is more” è alla base del lavoro del birraio sin dall’apertura del birrificio, passando da birre casalinghe a birre ben fatte, bilanciate, precise, semplici da bere qualsiasi tipologia si abbia nel boccale, appaganti, in grado di viaggiare. È stata una delle prime cinque birre, la terza referenza in ordine cronologico, che hanno creato la base di Ofelia nei primi tempi. Le altre sono la Cancelliera (oggi una german pils ma allora ad alta fermentazione, una german ale), la Amitabh, la Uill iu bai (una American Pale Ale) e la Diversamente bionda (una stout). Nel bicchiere la mano di Andrea si avverte, i profumi sono accattivanti, intriganti: dove non arriva il lievito arrivano le spezie, con anice stellato e menta a contenere il cardamomo ed esaltare anche sentori floreali, erbacei e fruttati. Al palato entra sul dolce dei malti e vira su un finale secco che chiude e bi-

lancia alla perfezione i sapori, svelando anche una lievissima nota sapida, per poi aprire al retrolfatto che riporta alle note percepite al naso. Finale persistente il giusto e mai invadente che prepara al sorso successivo. È anche bella e invitante a vedersi con il suo colore dorato, una lievissima opalescenza tipica dello stile, la schiuma ben presente e persistente, di grana fine. A tavola è ancor più poliedrica di una classica Saison, dall’aperitivo a piatti esotici, a base di riso o altri cereali, con i formaggi stagionati o erborinati, con salumi semplici o speziati e stagionati si accompagna sempre alla perfezione. Ovviamente anche da sola si comporta benissimo. Il miracolo sta nell’uso del cardamomo che risulta integrato nei profumi, dosato alla perfezione, anche nelle sensazioni retrolfattive. È una spezia pericolosa perché è appunto difficile da dosare e il rischio di avere una balsamica che più che un profumo ricorda una nota di… cimice (schiacciata) è purtroppo una costante: prima della Piazza delle Erbe non ho mai trovato una birra accettabile con questa spezia che per altro è ingrediente tipico in molti piatti indiani: loro la sanno usare da generazioni, come se l’avessero oramai nel DNA. Anche questo credo sia merito dei viaggi, anche in India, di Lisa e Andrea: oltre al nome della loro IPA tradizionale inglese, la Amitabh, hanno portato a casa la sapienza della cucina indiana e l’hanno trasferita al loro panorama brassicolo. Ed era così anche agli inizi, anzi, è proprio la birra che mi ha fatto capire le potenzialità di Ofelia. Andrea e Lisa hanno scelto di caratterizzare la Piazza attraverso l’uso di spezie e quindi di far lavorare il Belle Saison, un lievito diastatico, a temperature relativamente basse. Ciò permette di ridurre, se non azzerare, la spinta dei fenolici (chiodo di garofano, pepe, anice) e degli esteri (banana) ma porta a

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BIRRE E BIRRIFICI

una attenuazione estrema. In un certo senso è una birra ecologica visto che per raggiungere il suo grado alcolico (4,9% Vol. alc.) bastano 10,5 gradi Plato, ergo un minor quantitativo di cereali; per contro richiede un periodo di lavorazione piuttosto lungo: il lievito rallenta il suo lavoro, sembra quasi fermarsi e termina effettivamente la fermentazione dopo quasi 20 giorni.

Il futuro più prossimo sarà senz’altro faticoso ma ricco di opportunità: a breve entrerà in funzione il nuovo (il terzo) impianto nella storia di Ofelia. Servirà a migliorare ancora: produrre di più con maggior controllo grazie a implementazioni software (e hardware). Più automazione vuol anche dire più tempo per controllare ogni micro aspetto del processo, più tempo per la cantina, più attenzione ai dettagli. ★

Produrre Piazza delle Erbe a casa propria Ricetta per 23 litri Malto Pilsner

4 kg

Munich

0.37 kg

Malto di Frumento

0.65 kg

Lievito: Belle Saison Temperatura fermentazione: 1 giorno a 19 °C, dal terzo giorno a 23 °C.

Rapporto acqua/malto 3:1 pH: 5,3/5,4 Mash in

52 °C

10 min

Beta amilasi

63 °C

30 min

Amilasi

67 °C

20 min

Alfa amilasi

72 °C

30 min

Mash out

75 °C

Una volta terminata la fermentazione primaria, raffreddare a +2 °C e attendere almeno 15 giorni, nel frattempo spurgare il lievito e/o travasare la birra.

Sparge Luppoli e spezie - Bollitura 90 minuti Styrian Goldings

27 g

6 AA

60 min

Styrian Goldings

7g

6 AA

5 min

Cardamomo

4g

10 min

Arancia Amara

4g

10 min

Coriandolo

4g

10 min

Anice stellato

2g

10 min

Menta

2g

10 min

Correggere pH a fine bollitura a circa 5,2

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IBU:

21

Colore:

10 EBC

OG:

11,5 °P (1.046)

FG:

0 °P (1.000)

Grado alcolico:

4,9

Bicchiere consigliato:

tulipano

Temperatura di 7 °C servizio consigliata:

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BIRRA E MUSICA

di Antonio Boschi

Will The Circle BE UNBROKEN L’album che fece conoscere agli italiani la musica delle origini bianche USA

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uante volte ci è capitato di vedere, leggere o immaginare una bucolica scena agreste con un contadino che, dopo aver finito il duro lavoro negli sterminati campi, si siede

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su una scricchiolante seggiola a dondolo nel front porch ad ammirare il tramonto con una birra in mano. Il più delle volte la musica che fa da colonna sonora a questo scenario è quel-

la delle tradizioni statunitensi, ovvero blues se il mezzadro è un afroamericano, country se un colono di origini europee. Forse è solo una bella immagine, di quelle che ci fanno fantasticare su una

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BIRRA E MUSICA

realtà americana che non è proprio sempre come ce la vogliono vendere, ma è inevitabile affermare che ci piace pensare che possa essere così. Se del blues in Italia conosciamo un po’ di storia, molto meno possiamo dirlo di quella che viene definita country music, termine dietro il quale c’è veramente ancora oggi parecchia confusione. La musica delle origini bianche negli USA ha avuto nelle sue tante evoluzioni un grande successo soprattutto commerciale, arricchendo un mercato enorme che gravita attorno alla città di Nashville ma tutte le luci e lustrini nascondono ed offuscano da sempre la vera musica delle tradizioni che, al contrario, meriterebbe un maggior risalto entro e fuori dai confini statali. Anche

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nella nostra bella Italia la confusione è ancora forte, nonostante il lavoro e la promozione di quei giornalisti o scrittori di musica che hanno cercato negli anni di colmare una grandissima lacuna culturale, regalandoci la possibilità, perlomeno, di poter fare una certa chiarezza almeno tra gli appassionati. Ma come siamo arrivati all’oggi? C’è voluto un album triplo, dalla copertina che più intrigante non si può, di una bellezza ancora oggi cristallina per sparigliare le carte in quell’Italia musicale che credeva ancora che album come “Harvest” di Neil Young rappresentassero la musica country.

Un passo indietro nel tempo Era il lontano 1972, mezzo secolo fa, ma sembra ieri quando un po’ in tutta

Europa (ma credo anche in buona parte degli USA) si iniziava a capire cos’era effettivamente la musica tradizionale americana di matrice bianca, visto che qualche nozione di blues - per fortuna - era già arrivata. È difficile ancora oggi far chiarezza sul concetto di country music e farne capire determinanti differenze da quello che rappresenta il suono commerciale di una città come Nashville, capitale del Tennessee e vera e propria fabbrica di soldi. Per capire meglio dobbiamo tornare un po’ indietro nel tempo, ancora prima che fonografi e radio arrivassero a portare la musica nelle case dei tanti americani. Dobbiamo anche arrampicarci sulle pendici dei Monti Appalachi, la lunghissima catena montuosa che scorre

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BIRRA E MUSICA

La genesi del disco

Tra queste formazioni di country rock c’era la Nitty Gritty Dirt Band, cinque ragazzi californiani con già all’attivo una mezza dozzina di album, tra cui il bellissimo “Uncle Charlie & His Dog Teddy” che li rese famosi per la loro versione del brano di Jerry Jeff Walker “Mr. Bojangles” e che conteneva - al proprio interno - il seme che avrebbe portato alla creazione di uno dei progetti più intelligenti di tutta la discografia statunitense. L’idea di John McEuen, Jimmy Ibbotson, Jeff Hanna, Jimmy Fadden e Les Thompson fu quella di farsi aiutare da una nutrita schiera tra i migliori esponenti della musica tradizionale americana, pressoché sconosciuti al pubblico europeo. Fu come un fulmine

Il musicologo Cecil Sharpe

da Nord a Sud pressappoco parallelamente alla costa atlantica orientale, quasi a voler proteggere tutta quella zona dall’arrivo dell’era moderna. Inoltriamoci verso le Blue Ridge Mountain, a ridosso di Stati quali le due Caroline, la Virginia, Kentucky e Tennessee. Zone altamente rurali oppure minerarie, dove il tempo pare essersi fermato ai giorni dei primi insediamenti delle popolazioni europee, britannici, olandesi e tedeschi su tutti. A conferma di ciò basti pensare come Cecil Sharpe, fondamentale etno-musicologo inglese, si recò proprio in quelle aree per recuperare le canzoni delle tradizioni anglo-scoto-irlandesi totalmente anda-

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te perse in patria ma ancora ben salde nella memoria e nelle esibizioni musicali in territorio americano. Da qui prese il via tutto quello che possiamo definire la musica folkloristica americana, che comprendeva anche (ed ovviamente) l’Old-Time Music e il Bluegrass che, per il fatto di avere al loro interno un banjo, un mandolino o un violino è stata subito erroneamente catalogata come country music. A partire dalla metà degli anni Sessanta, sulla scia di formazioni quali Dillards, The Band, Flying Burrito Brothers, Byrds ed altre si iniziò ad andare alla ricerca di quei suoni perduti tra le boschive vallate appalachiane.

Doc Watson

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BIRRA E MUSICA

a ciel sereno che ci regalò una delle più belle ed importanti testimonianze di grande musica e, soprattutto, di come fu facile e possibile poter mettere sullo stesso palco (o studio di registrazione) esponenti della musica così differenti tra loro, da una parte spesso anziani tradizionalisti e, dall’altra, la “nuova leva” della musica americana. Una netta differenza culturale, sociale e, spesso, politica che veniva totalmente annullata dalla potenza dei suoni delle tradizioni. Il risultato, per nulla scontato, è ancora oggi una delle pietre miliari della musica popolare, che ha dato l’ispirazione ad una serie di progetti e formazioni che arriveranno a fare la storia della musica dello scorso secolo. Il triplo vinile portava il titolo “Will The Circle be Unbroken”, titolo che, se qui in Italia era pressoché indecifrabile, in quell’area degli States aveva una valenza enorme in quanto popolarissimo inno cristiano dei primissimi anni del Novecento, poi divenuto uno dei brani maggiormente popolari della Carter Family, formazione determinante per l’evoluzione della musica americana. Mother Maybelle Carter - nota anche per essere stata la suocera di Johnny Cash - è una delle più importanti ospiti dell’album della NGDB che ci ha dato la possibilità di conoscere personaggi incredibili che hanno fatto la storia di questo genere musicale, come Doc Watson - forse il miglior chitarrista acustico di popular music mai esistito Merle Travis, cantautore dal particolare stile fingerpicking sulla sua chitarra, e Jimmy Martin, considerato uno dei re del bluegrass. Ma, anche, il fiddler Vassar Clements, sicuramente uno dei più abili violinisti che gli USA abbiamo avuto, così come Earl Scruggs lo possiamo considerare uno dei padri del five string banjo, lo strumento che, forse, viene meglio identificato con la musica popolare bianca (forse l’unico strumento americano anche se di origine africana).

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John McEuen della Nitty Gritty Dirt Band

Abbiamo scoperto il Dobro, lo strumento che vagamente può ricordare la chitarra hawaiana qui nelle mani di Pete “Oswald” Kirby o nuove leve della musica folk come il chitarrista Norman Blake che saprà farsi apprezzare come uno dei più abili ed intelligenti nella sua lunga carriera. La voce di Roy Acuff ci ha insegnato come si canta l’old-time e il bluegrass, che non è roba per tutti, e che - come il blues - è la musica che esprime e rappresenta una certa popolazione ed il suo territorio. Musiche - di origine bianca e afro-americana, nel caso del blues - che non vanno considerate in modo separato, anzi proprio la loro commistione è quella che ha generato prima il Rock’n’Roll per arrivare ben presto al

rock vero e proprio e ad una buona parte della musica di oggi. Will The Circle Be Unbroken è quindi un disco fondamentale, patrimonio dell’umanità e considerato, ancora oggi, uno dei capisaldi assoluti della musica tradizionale americana, che ha dato il via ad una serie di progetti e collaborazioni fino ad allora insperate. Partire da questo album, ancora reperibile in vinile (per i veri appassionati) o in CD potrebbe essere considerato un viaggio alla scoperta di un nuovo mondo musicale, dove la strumentazione acustica e gli intrecci vocali sanno regalare emozioni enormi e con un disco come questo sorseggiare una birra artigianale di qualità è un vero regalo piovuto dal cielo. ★

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TURISMO BIRRARIO

di Vanessa Alberti e Federico Viero

NICARAGUA:

terra di laghi, vulcani e birra artigianale I

l Nicaragua è uno straordinario paese ricco di vulcani, architetture coloniali, laghi e foreste incontaminate e spiagge meravigliose non ancora intaccate dal turismo di massa, un luogo diverso dell’America Latina che abbiamo visitato nei nostri ultimi viaggi. La storia del paese è stata dominata dalla presenza degli Stati Uniti e dalla lotta rivoluzionaria del

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Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSNL) e ancora oggi si coglie l’animo ribelle che contraddistingue il popolo nica. Nel 2018 ci furono proteste e atti violenti in diverse città per alcune riforme attuate dal governo con conseguente blocco del turismo, ma ora la situazione è tranquilla e non abbiamo avuto nessun problema. La storia e i luoghi del paese

sono affascinanti ma vogliamo conoscere anche il lato brassicolo del Nicaragua che cresce anno dopo anno. Esistono testimonianze storiche del XIX secolo sulla presenza della birra nella costa caraibica del Nicaragua che era allora un protettorato dell’impero britannico: la bevanda veniva importata con navi provenienti dai porti inglesi di Manche-

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TURISMO BIRRARIO

ster e Liverpool. Nel 1926 venne fondata la Compañía Cervecera de Nicaragua (CCN) che produsse come prima birra la Cerveza Xolotlán, il cui logo venne scelto con una consultazione pubblica sui giornali dell’epoca. Dopo che la produzione di Cerveza Xolotlán fu temporaneamente sospesa a causa delle restrizioni sulle importazioni di materie prime dovute alla Seconda Guerra Mondiale, i produttori locali misero in commercio nel 1943 la Cerveza Victoria. Nel 1975 si presentò sul mercato la Industrial Cervecera S.A. (ICSA), che entrò in concorrenza diretta con la CCN lanciando il marchio Cerveza Toña. Negli anni della rivoluzione sandinista la CCN si vide confiscare le quote degli azionisti di maggioranza ma nel 1993 venne privatizzata con nuovi azionisti nei ruoli chiave della compagnia. I due colossi CCN e ICSA iniziarono il processo di fusione nel 1995 prendendo il nome di Consorcio Cervecero Centroamericano (COCECA). Oggi questo consorzio vede la partecipazione di aziende produttrici di birra di diversi paesi centroamericani come la Cervecería Centroamericana del Guatemala e FIFCO (Florida Ice & Farm Co.) del Costa Rica. Fin dal loro ingresso sul mercato, le birre Victoria e Toña hanno avuto un grande successo tra i consumatori e ancora oggi sono le birre industriali più bevute in Nicaragua. La scena craft è abbastanza recente considerando che il primo birrificio artigianale è stato fondato nel 2012. Da allora ne sono nati molti altri dislocati su tutto il territorio ma non è semplice reperire informazioni sia sui birrifici che sulle materie prime come luppolo o malto utilizzati nella produzione. Gli stili proposti sono abbastanza classici: tedeschi e belgi, ma non mancano pale ale, IPA e Stout. La maggior parte delle birre artigianali sono in bottiglia e solo alcuni locali hanno le spine.

Managua Arriviamo nella capitale Managua in serata e, dopo avere lasciato i bagagli in albergo nel quartiere di Las Robles, ci

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Granada

dirigiamo a “La Estacion Central” che si rivela il miglior posto dove bere visto che offre praticamente tutti i birrifici principali del Nicaragua. Il primo incontro con la birra artigianale nicaraguense è con la Cerveceria Artesanal Moropotente, nata nel 2012 e primo birrificio artigianale del Nicaragua. Il birrificio nasce dalla passione di un microbiologo della cittadina di Dolores, nel dipartimento di Carazo, che dopo un viaggio negli Stati Uniti decise di produrre birra artigianale nel proprio paese. La sua passione si è trasformata in lavoro e si è passati dalle mura domestiche a un impianto dove si producono diversi stili di birra. Scegliamo la 19 Dias che è il loro cavallo di battaglia, una blonde ale da 5,7% che deve il suo nome alla

canzone “19 días y 500 noches” del cantante spagnolo Joaquín Sabina. Birra godibile con un inizio di frutta gialla e note di malto sul finale. In lista anche Falk Erdmann’s, microbirrificio di Managua che ha iniziato la sua produzione con stili classici tedeschi come Kölsch e Altbier per poi ampliare la sua offerta e oggi propone circa quindici birre diverse. La Ometepe è una Kölsch da 5,0% discretamente eseguita e senza fronzoli. Il lungo volo e il fuso orario si fanno sentire e andiamo a dormire soddisfatti dalle prime bevute e pronti per iniziare la nostra avventura.

Granada La mattina presto ci spostiamo a Granada che raggiungiamo in circa un’ora

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TURISMO BIRRARIO

Le birre di Falk Erdmann’s

e mezza. Fondata nel 1524, è considerata una delle più antiche città coloniali dell’emisfero occidentale. Disseminata di chiese dalle cui torri campanarie si gode un bellissimo panorama sulla città e sul vicino Vulcan Mombacho, essa è una città piacevole in cui passeggiare lasciandosi trasportare dal fascino antico delle colorate case coloniali. Ci dirigiamo a piedi verso le sponde del lago Nicaragua, il secondo lago più grande nell’intera America Latina, surclassato solo dal Lago Titicaca in Bolivia. Il viale che percorriamo è costeggiato di alberi di mango, presenti in tutto il paese, dai cui rami cadono frutti maturi che si possono raccogliere e mangiare liberamente. Qui per caso incontriamo il Los Mangos Food Park, un piacevole spazio all’aperto con chioschi che offrono diversi tipi di cibo e un bancone centrale che espone in bella vista delle bottiglie di birra artigianale. La prima birra scelta è di Falk Erdmann’s, la Muy Muy, una IPA da 6,5% americaneggiante il giusto, tropicale e leggermente maltata. Con-

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tinuiamo con il birrificio Belga Tropical che si trova nella città di León. Di ispirazione belga, ha solo tre birre all’attivo: beviamo la Turtle, una pale ale da 6,7%, classica e forse un po’ anonima ma senza difetti. Tucan è una saison da 6,3% con un aroma speziato-mielato che mi ha stupito come pulizia. Vista la proposta di birre craft proviamo anche il birrificio Volcánika situato nella cittadina di Masaya, alle pendici dell’omonimo vulcano. La Cacao, una dark ale da 7%, con note tostate di caffè e un amaro molto leggero. Torniamo in città per il pranzo e poi andiamo da Eco, locale in una casa coloniale con un bel giardino. Troviamo le birre del birrificio Tabù, gestito tutto al femminile e situato nella capitale. Sia la Morena, una stout da 5,5%, che la Pelliroja, una red ale anch’essa da 5,5%, non erano molto in forma e non ci hanno regalato una buona bevuta e di conseguenza passiamo ai cocktail. La giornata volge al termine in un’atmosfera di festa, prima assistiamo a una corsa di tori stile Pamplona e poi a balli

Morena di Tabù

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Isola di Ometepe

Partiamo da Granada e raggiungiamo il molo di San Jorge dove un traghetto ci porta sulla bellissima isola di Ometepe dalla caratteristica forma a otto dovuta alla presenza di due vulcani, Concepcion e Maderas, uniti da una sottile striscia di terra. Il nome Ometepe significa infatti due montagne e fu dato

dall’isola dalla popolazione Nauhuatl che ha lasciato molte importanti testimonianze precolombiane ancora visibili nella zona nord dell’isola. Il nostro alloggio è in mezzo alla natura con una stupenda vista sul vulcano Concepcion, il più grande e attivo dell’isola. Trascorriamo qualche giorno svegliandoci con i suoni della natura, tra scimmie urlatri-

Muy Muy di Falk Erdmann’s

e canti da cui ci facciamo coinvolgere fino a tarda ora, festeggiamenti che si concluderanno a ferragosto con una grande fiera di cavalli. Il giorno successivo lo dedichiamo alla visita delle zone intorno a Granada. Passiamo la mattina alla Laguna de Apoyo dove è d’obbligo rilassarsi al sole facendo un bagno nelle acque cristalline della laguna di origine vulcanica e nel pomeriggio ci spostiamo verso il parco nazionale del vulcano Masaya, uno dei più attivi in Nicaragua. Il vulcano dà il suo massimo splendore al calar del sole quando la lava illumina il cratere, uno spettacolo naturale davvero suggestivo. Torniamo in città al tramonto e dopo avere cenato facciamo un salto all’Am/Pm, una catena di mini-market aperti 24/7 che vende anche qualche birra artigianale. Compriamo la Lado Oscuro, stout da 7,8% del birrificio Moropotente che deve il suo nome alla canzone “El lado oscuro” di Jarabe de Palo. Una birra con note tostate e di cioccolato, leggermente amara, piacevole.

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Isola di Ometepe

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ci, uccelli e farfalle dai colori sgargianti andando alla scoperta delle meraviglie di quest’isola. Meritano sicuramente di essere visitati Ojo de Agua con le vasche di acqua sorgiva immerse nella natura, Playa Mango dove rilassarsi al

sole e fare il bagno nel lago e la cascata di El Ramon. Molto bella anche la gita in kayak sul fiume Istián dove si avvistano caimani, tartarughe e tanti uccelli. L’isola però non offre molto per quanto riguarda la birra artigianale e ci con-

soliamo con le birre di Falk Erdmann’s disponibili presso il nostro alloggio. La Concha è una sour ale da 4,3% con aggiunta di pitahaya (dragon fruit) perfetta per la calura, con la giusta acidità e senza difetti.

San Juan del Sur e la costa pacifica

Passiamo qualche giorno oziando sulle spiagge intorno a San Juan del Sur, piccola cittadina sulla costa pacifica. La baia di San Juan del Sur è un gioiello dalla caratteristica forma a mezzaluna con la statua del Cristo della Misericordia che la osserva dall’alto della collina. Regno di surfer che affrontano le onde nelle diverse baie in tutti i periodi dell’anno, è luogo ancora vivibile con un ritmo della vita tranquillo. La costa è puntellata di piccole spiagge come Playa Maderas e Playa Hermosa, piacevoli per trascorrere qualche ora di relax tra un bagno e l’altro. La cittadina di mare è il luogo scelto da Cervecería San Juan del Sur per l’apertura del primo brew-pub del Nicaragua avvenuta nel 2014. Questo è stato il miglior locale visitato durante la vacanza, ampio con molti tavoli e un bancone con le spine e l’impianto da cinquecento litri al piano superiore. Siamo tornati più volte in questo pub e abbiamo avuto modo di provare le birre presenti, poche ma buone. La Maderas, una West Coast pale ale 5,6%, è la birra che si avvicina di più ai canoni americani, fresca e abbastanza luppolata per essere in Nicaragua, è stata la compagna di bellissime giornate. La Rubia, blonde ale da 4,8%, purtroppo presentava qualche difetto (diacetile). Buona la Mango Mosaico, pale ale da 5%, con note di frutta tropicale rinfrescanti.

León

Brewpub di Cervecería a San Juan del Sur

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Lasciamo le paradisiache spiagge di San Juan del Sur per León, la città coloniale che si contende con Granada lo scettro di città più bella del paese. Anima rivoluzionaria del Nicaragua, è il

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TURISMO BIRRARIO

passione, è una birra tropicale dall’acido bilanciato che si fa bere volentieri. Stesso giudizio per la Cerro Negro, una oatmeal stout da 6,5%, con note di cacao e un morbido finale. La visita più toccante della nostra permanenza a León è stata quella al Museo della Revolucion che si trova nell’ex palazzo delle telecomunicazioni, conquistato dai ribelli sandinisti durante la rivoluzione. Ha un fascino decadente che ci ha conquistato con i suoi muri scrostati, i buchi delle pallottole sulle pareti e un tetto in

lamiera un po’ traballante su cui si può comunque camminare per godere di una bellissima vista sulla cattedrale e sulle montagne circostanti. I vari documenti, cimeli e foto presenti nel museo sono stati raccontati da un veterano che ha reso l’esperienza davvero unica. Visitiamo anche il Museo de Arte Fundación Ortiz-Guardián, il più bel museo di arte contemporanea del Centro America situato all’interno di due splendide case coloniali, pieno di opere immerse in un ambiente di giardini e fontane.

Interni del Museo della Revolucion

luogo dove i movimenti politici e culturali sono stati e sono tuttora i più attivi del Paese. La perla della città è la cattedrale dove è sepolto il poeta nazionale Ruben Dario, dipinta completamente di un bianco accecante e cosparsa di cupole. Facciamo un giro tra i diversi quartieri per vedere i molti murales presenti per poi partire alla volta del vulcano Cerro Negro, il più giovane vulcano del Nicaragua, alto solamente 798 metri, dalla cui cima si possono ammirare spettacolari panorami con contrasti tra il verde delle vegetazione e il nero della lava ormai estinta. Ritorniamo in città e decidiamo di brindare al Beers & Pallets, brewpub della Cerro Negro Brewing Company. Il birrificio è stato fondato nel 2014 da un giovane ragazzo dopo avere frequentato un corso postlaurea in Spagna che lo fece innamorare della birra artigianale. La proposta è di otto birre, tra cui scegliamo la Poneloya, una Maracuya Gose da 5,7% che deve il suo nome alla spiaggia vicina alla città. Dal forte aroma di frutto della

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Bancone del Beers & Pallets nella città di León

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valle del Michiguiste, posizionato nella zona sud del centro ma purtroppo non abbiamo avuto modo di visitarlo perché chiuso. L’amore per la birra e per gli stili tedeschi del popolo nica viene onorato con il Festival della birra Selva Negra, una versione nicaraguense dell’Oktoberfest tedesco che si tiene ogni anno a ottobre nella cittadina di Matagalpa a qualche ora di bus da Estelì. Tisey Brewing Company si trova a La Tejera, cittadina a sud di Estelì lungo la strada per la capitale. Il birrificio è vicino alla riserva naturale di El Tisey da cui prende il nome; dalle foto sembra un bel posto immerso nella natura, con una terrazza dove godere delle loro birre, peccato che anche questo locale sia chiuso e decidiamo quindi di ripartire verso Managua per passare il nostro ultimo pomeriggio. Non c’è molto da vedere a Managua tranne la piazza principale dove sono sepolti rappresentanti illustri della rivoluzione sandinista, la cattedrale e un lungomare senza grande attrattiva. Ci salva la Estacion Central dove era iniziata la nostra vacanza e dove ora termina. I paesaggi, le città coloniali dal fascino antico, i vulcani e il popolo Nica vi regaleranno grandi emozioni che potrete accompagnare con birre artigianali ovunque sarete nel paese. Buen viaje y salud! ★

Murales a Estrelì

Estelì e il confine con l’Honduras

Lasciamo León per visitare la zona nord del Nicaragua vicino il confine con l’Honduras, una perla ancora non toccata dal turismo dove ci si può immergere nel vero stile di vita nicaraguense. Quest’area è prettamente rurale e le pendici delle montagne sono coltivate con tabacco e caffè e dove teoricamente si possono trovare alcuni birrifici. Teoricamente, perché in realtà i loro prodotti sono difficili da reperire. Facciamo tappa nella piccola città di Estelì nota per la sua anima ribelle e per i murales a tema che adornano i muri cittadini. La Cervecería Bruja Estelí è un nanobirrificio il cui nome deriva dai primi coloni della città, gli stregoni della

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Insegna de La Estación Central a Managua

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Le guide

LE TUE BIRRE FATTE IN CASA Ricette per tutti gli stili - Seconda edizione di Davide Bertinotti, Massimo Faraggi Davide Bertinotti e Massimo Faraggi, tra i massimi esperti italiani di birra fatta in casa e artigianale, in questo libro hanno selezionato oltre 90 ricette per realizzare nella propria cucina i più diversi e apprezzati stili birrari, dalle Lager alle Ale inglesi, dalle IPA ai Lambic. Tutte le ricette sono state premiate in concorsi birrari e includono sia birre strettamente aderenti allo stile presentato sia “interpretazioni” più libere, comunque testate e approvate da esperti giudici degustatori. Per ogni stile è presente la descrizione completa tratta dalla revisione 2021 del BJCP (Beer Judge Certification Program), ossia il disciplinare che descrive e definisce ogni stile birrario in termini tecnici e organolettici, e che è alla base delle più importanti competizioni amatoriali e commerciali in tutto il mondo. ISBN 9788868959470 Pagine 368 | Colori Prezzo 22,90 euro

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TURISMO BIRRARIO

di Mirka Tolini

TRA UMBRIA E ASSISI,

viaggio nella natura e nella spiritualità

L’

Umbria è posta nel cuore dell’Italia; un territorio verde dove la cultura si respira insieme all’odore di terra. Il breve percorso che segue e che ci porta alla scoperta dei birrifici umbri si snoda proprio attraverso un paesaggio nel quale si fondono basiliche, campi, parchi e dove i colori ricordano Giotto, Cimabue e Perugino. L’itinerario che vi presento è inserito nel volume dedicato all’Italia centrale di Turismo birrario - Guida per viaggiatori

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sicale con l’Umbria Jazz Festival che, lo scorso anno è arrivato alla cinquantesima edizione. Girare per il centro permette di percepire l’anima millenaria con la Fontana Maggiore, realizzata da Nicola e Giovanni Pisano o il Palazzo dei Priori e la cattedrale di San Lorenzo e la Galleria Nazionale dell’Umbria e il Nobile Collegio del Cambio. Lasciata alle spalle la città ci si può dirigere verso Torgiano, uno tra “I borghi più belli d’Italia” dove rimangono le vestigia della Torre di Giano a testimoniare il passato medievale e la cinta muraria che serviva a proteggere la città. In corso Vittorio Emanuele è possibile entrare nella chiesa di San Bartolomeo, al cui interno è possibile ammirare la “Deposizione” di Felice Pellegrini mentre di fronte si trova Palazzo Manganelli, il Palazzetto delle Manifatture Stocchi, l’antica dimora della Famiglia Falcinelli e Palazzo Graziani-Baglioni al cui interno è possibile visitare il Museo del Vino. in fermento curato da Luca Grandi con il contributo di Giulia Vinci e Matteo Ferrigni e pubblicato, poco prima dell’estate, da Edizioni LSWR.

Da Perugia a Torgiano La partenza è dolce e Perugia è la città dolce per eccellenza! Una città dalle molte anime, quella imprenditoriale che ha fatto del bacio al cioccolato un simbolo conosciuto in tutto il mondo ma anche quella storico culturale e mu-

Foligno Il piccolo centro di Foligno è visitabile in qualche ora ma lascia impresso nei visitatori il peso di un passato che lo ha visto anche municipio dell’Impero Romano tanto che lungo le vie è possibile vedere la pittoresca scritta S.P.Q.F ossia Senatus PopulusQue Fulginei ovvero “Il Senato e il Popolo di Foligno”. Da visitare anche il Museo della Stampa, all’interno di Palazzo Orfini, dove sono conservati macchinari antichi e matrici

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TURISMO BIRRARIO

di stampa. Qui, l’11 aprile del 1472 venne stampata la prima copia della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Assisi

Superato il borgo di Spello il viaggio prosegue, lungo via Pasciana, verso Assisi. Attraverso un percorso dove si alternano residenze imperiali, templi pagani e basiliche cristiane si giunge nella meravigliosa città di San Francesco. Il Comune di Assisi è stato dichiarato Patrimonio mondiale UNESCO nel 2000; alle spalle della città il Parco del Monte Subasio con il vicino Santuario dell’Eremo delle Carceri immerso in un bosco di lecci secolari e custodito dai Frati Minori della Provincia Serafica di San Francesco. In questo luogo solitario Francesco si recava a pregare.

Fabbrica della Birra Perugia Birra dell’Eremo Due sono i birrifici che meritano una sosta. Il primo, la Fabbrica della Birra Perugia, si trova a Torgiano ed è stato fondato nel 1875 e chiuso poi nel 1927. Recuperato nel 2013 si è imposto nel panorama brassicolo italiano grazie al talento della birraia Luana di Meola e Luca Mestrini,

coadiuvati da Antonio Boco e Matteo Mataloni. Tra le linee produttive si distingue la Classica, la Creativa e Lab, una palestra dove la sperimentazione è la parola d’ordine. Per le degustazioni la Tap Room è a disposizione di tutti i visitatori. Ad Assisi invece il birrificio Birra dell’Eremo fondato da Enrico Ciani e Ger-

trude Salvatori Franchi, compagni in birrificio e nella vita. Oltre ai locali dedicati al birrificio, nella bella stagione è aperto un beer garden mentre, per chi è alla ricerca di un ricordo, è possibile fare spesa nel piccolo shop che offre una selezione di birre per conoscere l’estro creativo di un birrificio che si caratterizza anche per l’uso di lieviti non convenzionali.

Fabbrica della Birra Perugia via Bufaloro, 23 06089 Torgiano (PG) www.birraperugia.it Birrificio Birra dell’Eremo via Monte Peglia, 5 06081 Assisi (PG) www.birradelleremo.it L’itinerario completo lo trovate su Turismo birrario - Guida per viaggiatori in fermento. Centro di Giulia Vinci e Matteo Ferrigni, a cura di Luca Grandi. Pubblicato da Edizioni LSWR. ★

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NOVITÀ DAL MONDO BIRRARIO

a cura della redazione

I DANESI DI ROYAL UNIBREW ARRIVANO IN ITALIA

L’

Italia è terra di conquista birraria: sin dagli anni ˈ70 i maggiori marchi industriali nazionali sono stati oggetto di acquisizioni da parte delle multinazionali del settore. Sino a ora, solamente il gruppo Forst/Menabrea e l’azienda Theresianer/Hausbrandt, tra i marchi tradizionali, resistono alle sirene straniere. Apparentemente, almeno in epoca recente, l’unico fattore che ha rimescolato le carte circa la proprietà dei gruppi birrari italiani è stato l’intervento delle autorità antitrust: noto, ad esempio, è il passaggio nel 2016 del gruppo Peroni da ABInBev ai giapponesi di Asa-

hi a causa dell’acquisizione di SABMiller (proprietaria di Peroni). Stesse motivazioni di potenziale abuso di “posizione dominante” sul mercato sono state alla base delle cessioni da parte di Heineken nel 1997 dello stabilimento Moretti di S. Giorgio di Nogaro (UD) e nel 1999 quello di Balvano (PZ). Nel primo caso, un nuovo gruppo imprenditoriale italiano denominato Birra Castello rilevò l’ex stabilimento Moretti (e successivamente acquisì anche lo stabilimento Pedavena). Nei giorni scorsi quello stesso stabilimento, con capacità produttiva di un milione di hl/anno, è passato nelle

mani del gruppo Royal Unibrew (Ceres, Faxe…) con la formula dell’ “acquisto di ramo d’azienda”, certificando l’ingresso diretto nel nostro paese di una nuova multinazionale birraria. (d.b.)

CONSUMI IN FRENATA

I

consumi di birra in Italia sono da molti anni in fase ascendente, con una lieve flessione, subito recuperata, in occasione della pandemia Covid del 2020. Nell’ultimo report (2022) di Assobirra il consumo pro capite ha raggiunto il massimo storico di quasi 38 litri. Tuttavia, lo scorso ottobre la stessa Assobirra ha emesso un comunicato stampa dai toni molto preoccupati indicando che, secondo i dati dell’associazione di categoria degli industriali della birra, le vendite dei primi otto mesi del 2023 sarebbero “calate del 6,6% rispetto allo stesso periodo del 2022 (da 11.478.966 hl a 10.728.522 hl), di pari passo con una decrescita pari al 7,40% dell’export nel primo semestre 2023 contro i primi sei mesi dell’anno precedente (da 1.865.640 hl a 1.727.522 hl)”. Il presidente di Asso-

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birra, Alfredo Pratolongo, indica nell’aumento generale dei prezzi la causa della forte contrazione, in particolare di materie prime, vetro e alluminio e si appella al governo affinché metta in campo aiuti al settore, in particolare relativamente alle accise gravanti sulla birra. Nei prossimi mesi potremo capire se la “frenata” ha coinvolto solamente il segmento industriale della birra o se anche il mondo craft abbia subito conseguenze. (d.b.)

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Le guide

IL MANUALE DEL BIRRAIO Il testo più completo e autorevole a livello mondiale sulla scienza e la pratica della birrificazione, riferimento indispensabile per tutti i birrai e per gli studiosi della materia. Illustra nel dettaglio i principi alla base del processo di produzione della birra, dalla maltazione all’ammostamento, all’utilizzo del luppolo e del lievito. Il volume approfondisce inoltre le fasi della fermentazione, i pericoli di contaminazione, la maturazione, l’imbottigliamento e le diverse influenze sul gusto finale della birra. Particolare attenzione è dedicata anche agli aspetti ingegneristici e tecnologici, per offrire soluzioni teoriche e pratiche all’azienda birraria di grandi e piccole dimensioni.

ISBN 978-88-6895-767-4 Pagine 392 | 2 Colori Prezzo 59,90 euro

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NEWS

HANNO SCRITTO PER NOI Flavio Boero Flavio Boero

Antonio Boschi

Perito chimico, ho iniziato a lavorare nel 1973, in qualità di tecnico di Laboratorio, alla Poretti S.p.A. di Induno Olona e quando l’azienda è acquisita da Carlsberg sono diventato responsabile qualità fino al pensionamento. Fin dal sorgere dei primi microbirrifici mi sono appassionato alla birra artigianale collaborando attivamente ai corsi di formazione per birrai e beer-sommelier. Partecipo, in qualità di giudice, ai concorsi birrari in Italia e all’estero.

Antonio Boschi

Andrea Camaschella

Rachele Lori

Grafico di professione e grande appassionato di musica e di arte. Titolare dell’agenzia WIT Grafica & Comunicazione, ho all’attivo l’ideazione e l’organizzazione di alcuni festival, tra cui il Rootsway premiato nel 2009 come migliore a livello europeo. Redattore della rivista Il Blues, da anni collaboro con Visit USA Italy oltre ad essere uno dei soci fondatori della società A-Z Blues. Autore del libro Blues Pills e altre storie.

Andrea Camaschella

Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’Atlante dei Birrifici Italiani, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi.

Rachele Lori

Appassionata di fotografia, entusiasta e creativa. Con l’obiettivo sempre puntato sull’eccellenza visiva cerco di catturare l’essenza di ogni storia attraverso le lenti della mia macchina fotografica, cogliendo momenti unici per trasformarli in immagini coinvolgenti.

Matteo Malacaria Matteo Malacaria

Michele Matraxia

Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro Viaggio al centro della birra. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birrogastronomico e sono docente presso la NAD di Verona.

Michele Matraxia

Ex PhD Student presso il Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali (SAAF) dell’Università degli Studi di Palermo, docente di scienze agrarie e homebrewer. Mi occupo di selezione e screening tecnologici su lieviti non-convenzionali per le produzioni di birre e idromeli. Ho da poco discusso la mia tesi di dottorato dal titolo “Innovazioni biotecnologiche nei processi fermentativi delle birre e di bevande fermentate a base di miele”.

Roberto Muzi

Roberto Muzi

Eleni Pisano

Formatore, sommelier, assaggiatore ONAF e consulente di settore. Laureato in Scienze Politiche, sono stato responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore dal 2014 al 2021 e giurato in diversi concorsi birrari nazionali.

Eleni Pisano

Scrivo, fotografo, insegno e racconto di cibo. Esperta di turismo esperienziale in ambito brassicolo, beerchef, food stylist e beernauta in cerca di eccellenze in ambito brassicolo. Ho lavorato per grandi marchi del mondo birrario italiano e poi mi sono avvicinata al mondo brassicolo artigianale. Lavoro come consulente e beerchef in diversi locali tra Milano e Monza. Collaborazione su beer pairing.

Christian Schiavetti

Christian Schiavetti

Mirka Tolini

Appassionato alla birra con le prime bottiglie collezionate e i primi sottobicchieri. Dal 2010 ho iniziato a viaggiare in Belgio e in Franconia ma non solo. Diversi corsi targati MoBI, anche da homebrewer e Good Beer, mi hanno portato ad aprire il blog Birre Bevute 365 e collaborare tra altri con Giornale della Birra e Guida alle birre D’Italia. Amo viaggiare e in particolare amo le birre tedesche.

Mirka Tolini

Professionista della scrittura, sono arrivata alla birra artigianale per amicizia. In dieci anni entrambi i legami sono fermentati!

Federico Viero e Vanessa Alberti

Coppia di chimici industriali appassionati di birra artigianale da diversi anni. Essendo dei giramondo abbiamo unito la nostra passione brassicola con quella dei viaggi andando a scovare birrifici anche nei posti più remoti del pianeta.

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