SCHIOMESE n. 963

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SchioMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino anno XIV n. 130 - febbraio 2025

A San Francesco c’è un antico spartito da riscoprire - p.10 ◆ Colpo, l’uomo dalle tre vite (o forse quattro) - p.14

C’è un problema casa: pochi affitti e tanti sfitti

Pensiamoci bene prima di far tornare le auto in piazza Statuto

Aspettate, dai, a far tornare le auto in piazza Statuto

PStefano Tomasoni

iazza Statuto, dunque, è realtà. I lavori di rifacimento della pavimentazione e dei sottoservizi sono terminati prima della fine dell’anno, rispettando la tempistica che l’amministrazione si era data. Il cantiere non è ancora chiuso, ma da un paio di mesi ci si può camminare in mezzo e provare la sensazione inedita di una piazza finalmente…piazza.

L’Omo in piazza (magari al coperto)?

Resta da definire la faccenda della “pedana” centrale, destinata a ospitare un monumento o un’installazione artistica di qualche genere, con contorno di fontana e di verde. Alcuni mesi fa avevamo suggerito di pensare a un’opera di arte contemporanea di un certo impatto e dimensione, qualcosa di significativo (anche nelle dimensioni) per “aiutare” la piazza a prendere nuova vita, considerato che anche dopo il rinnovamento rimane inevitabilmente un rettangolone con scarsa personalità per via del contesto di edifici che sta intorno. Ora che quantomeno è tramontata l’ipotesi iniziale di spostare qui la statua di Alessandro Rossi che sta allo Jacquard, noi continuiamo a caldeggiare una soluzione all’insegna della modernità.

Allo stato attuale, però, l’idea più gettonata è diventata quella di trasferire in piazza la statua del Tessitore, soluzione che deve prima ottenere il “nulla osta” della Sovrintendenza ai beni architettonici. Ma c’è un dettaglio che potrebbe fugare eventuali dubbi del-

la Sovrintendenza: lo spostamento dell’Omo in Statuto potrebbe essere prodromico a una copertura della stessa statua. La Sovrintendenza, infatti, pare abbia suggerito all’amministrazione di portare l’Omo in un ambiente chiuso, per salvaguardarlo dal logorìo del tempo e delle intemperie, che potrebbero causargli in futuro danni seri, essendo già stato riassemblato anni fa, dopo che un’improvvida gru gli aveva staccato la testa. Un po’ come il David di Michelangelo il cui originale è al sicuro nella Galleria dell’Accademia, con la copia in piazza della Signoria (e che Michelangelo ci perdoni per il paragone). Non è escluso, dunque, che la soluzione finale possa essere quella di trasferire in piazza il Tessitore, ma all’interno di una qualche installazione in vetro.

La piazza libera sarebbe meglio Monumento a parte, qualsiasi sia il giudizio sull’esito dei lavori, siamo dell’idea che rifare il volto della piazza fosse necessario. Del resto, sono anni che diciamo che Schio non ha una piazza intesa come luogo di incontro e di socialità, ma anche semplicemente come spazio urbano “vuoto”, libero da funzioni prettamente utilitaristiche. Il fatto che il vero fulcro sociale della città sia piazzetta Garibaldi, che di fatto è uno slargo, spiega a sufficienza la peculiarità dell’assetto urbanistico scledense. Sono anni, poi, che si andava dicendo un po’ tutti che la pavimentazione di piazza Statuto era ormai inguardabile, con quei lastroni scassati, già in parte sostituiti una quindicina d’anni fa con una strana tecnica a rettangoloni di cemento disegnati.

Insomma, quella piazza non era davvero un bel biglietto da visita per la città. Quindi sì, era ora che ci si mettesse mano. Il punto è cosa farne adesso, quale identità dare a questo spazio rinnovato. È noto che la scelta progettuale dell’amministrazione è stata fin dall’inizio quella di non rinunciare alla funzione di parcheggio della piazza, ribadita anche di recente in consiglio comunale, quindi si può dare per assodato che alla fine le auto torneranno ad appropriarsi della parte medio-bassa del rettangolone, in una cinquantina di posti disposti grossomodo come prima: a spina di pesce ai lati e anche al centro. Così come tornerà anche il mercato.

Fosse per noi, proveremmo a far passare una scelta decisamente diversa, anzi radicale, eliminando i parcheggi tout court. Ma l’impressione è che a Schio una cosa del genere sia difficilmente digeribile: siamo tutti abituati da sempre a cercare parcheggio il più vicino possibile al posto dove dobbiamo andare, e ci sono più probabilità che lo Schio Calcio arrivi in serie B entro il 2030 piuttosto che si riesca a far passare la perdita di qualche decina di posti nel cuore della città. Già coprire a piedi in cinque minuti la distanza dal parcheggione dell’ex scalo merci al Duomo ci sembra una cosa inaccettabile, anche se poi quando siamo a Verona, a Padova o in una qualsiasi altra media città, nessuno si scandalizza se deve lasciare la macchina a un quarto d’ora dal centro.

In ogni caso, quel che ci vien da chiedere all’amministrazione comunale è di aspettare qualche tempo a far tornare le auto in piazza. Almeno qualche mese. Non serve

Supplemento mensile di Lira&Lira

Direttore

Stefano Tomasoni

Redazione

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SchioMese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

fare le cose in fretta. Prendiamoci tutti del tempo, prima di tirare le somme. Per provare il brivido di avere una piazza… vuota. Magari finisce perfino che ci abituiamo, magari ci prendiamo pure gusto, ci accorgiamo che si può fare, che si può vivere con una piazza senza auto e che non casca il mondo se parcheggiamo un pochino più distante. In fondo è quello che si è fatto per più di un anno durante i lavori, e nel frattempo nessuno è emigrato altrove perché non trovava posto in piazza Statuto. Dopodiché se invece si deciderà di proseguire sulla strada tracciata e le auto torneranno a parcheggiare in piazza, occorrerà fare bene attenzione a che non finiscano con il rovinarla entro poco tempo. Per segnare gli spazi di sosta è stata annunciata una formula a basso impatto visivo, con gli “stalli” segnati soltanto nei loro angoli in resina termoplastica, per impattare il minimo possibile con il nuovo disegno della pavimentazione, determinato dalla base in sanpietrini e dalle curvature ad arco in pietra bianca. Resta tuttavia da considerare attentamente un fatto, ovvero che, facendo parcheggiare la auto in piazza, entro qualche anno l’estetica della nuova pavimentazione risulterà alterata dalle inevi-

tabili chiazze scure di olio e di sporco che le auto depositano in terra. Basta guardare gli spazi di sosta colorati in piazza Almerico per capire l’effetto. Non è pensabile aver fatto tutto questo lavoro, tra sanpietrini e lastroni di pietra, per poi lasciare che il risultato venga compromesso alla stregua di piazza Almerico. Resta infine da considerare che, se davvero l’Omo dovesse arrivare

Di mese in mese

da queste parti, costringerlo a stare perennemente in compagnia di decine di automobili non sarebbe il modo migliore per valorizzarlo.

Insomma, magari non sarà una piazza “biglietto da visita”, ma è pur sempre molto meglio di una piazza “biglietto di sosta”. ◆

Lo Schiocco

Il cestino dimenticato

Stiamo seguendo con apprensione le vicende del cestino di rifiuti gettato sul greto del Leogra un paio di mesi fa da qualche vandalo. Il bussolotto, che stava in fondo a via Lungo Leogra nei pressi del ponte, verso inizio anno è stato sradicato dal suo supporto e scaraventato in torrente. Da allora giace lì abbandonato e lambito dalle acque. Abbiamo segnalato la cosa al Cityweb e tempo una settimana sul supporto è stato installato un nuovo cestino, ma il bussolotto originario è tuttora lì in mezzo al Leogra, triste e solitario. E così, dopo aver fatto per tanti anni il suo onesto lavoro, il povero cestino si ritrova sostituito da un collega nuovo e pimpante, messo da parte e dimenticato. Forse è per questo che siamo in apprensione per il suo destino. Perché, in fondo, somiglia molto a quello umano. [S.T.]

Copertina

In città mancano case ma più di tremila sono sfitte

A Schio c’è carenza sia di immobili in affitto sia di abitazioni economicamente accessibili per le fasce più deboli della popolazione. Per contro, negli anni è aumentato il fenomeno delle case sfitte, oggi più di 3.300. Intanto il costo degli affitti sta lievitando: bicamere di recente costruzione in zona semi-centrale arrivano a costare anche 800 euro al mese.

Schio mancano case. Mancano nonostante il decremento demografico che ha contratto il numero dei residenti e nonostante le oltre 3 mila abitazioni disabitate e sfitte che costellano tutti i quartieri della città. Mancano tanto gli immobili in affitto quanto le abitazioni economicamente accessibili per le fasce più deboli della popolazione. Per molti abitare a Schio sta diventando sempre più complicato. A riportare questo problema sotto i riflettori è stato in queste settimane il Partito Democratico scledense. Una questione, tuttavia, che trova spazio anche tra le preoccupazioni dell’amministrazione comunale guidata da Cristina Marigo.

Oltre 3 mila le case disabitate “Nel 2011 il Comune di Schio, rispondendo all’appello del Forum nazionale ‘Salviamo il paesaggio’, aveva censito le case: erano 18.793, di cui 2.499 non occupate - spiega Giulia Andrian, vicecapogruppo del Partito Democratico in consiglio comunale, che sta seguendo la questione -. Già allo -

ra quest’ultimo era apparso un numero enorme, ma purtroppo il dato è salito ulteriormente in questo decennio, ora siamo a 3360 case sfitte e il dato stride ancora di più perchè nel frattempo l’emergenza casa si è aggravata. I contratti agevolati depositati in Comune in tutto il 2023, che prevedono quindi un canone di locazione calmierato rispetto al libero mercato immobiliare, sono stati in totale 374, coinvolgendo poco più del 10% delle proprietà sfitte”, “Il tema ci preoccupa molto: quello che emerge è che sembra che improvvisamen-

te non ci siano più spazi per nuovi contratti di locazione - dichiara la sindaca Cristina Marigo -. Il problema è complesso e presenta numerose sfaccettature. Il mercato privato ha vissuto una battuta d’arresto, dovuta a più fattori, ma credo che abbia molto pesato il fatto che i proprietari degli immobili durante il periodo Covid abbiano subito il blocco delle esecuzioni e perciò, a fronte di un inquilino moroso, non siano riusciti a rientrare in possesso del proprio bene, dovendo in molti casi sostenere spese, non da ultime quelle legali. Questo ha creato un clima di diffidenza e la conseguente difficoltà di tornare a locare accettando il rischio di tempi e costi di un’eventuale procedura esecutiva, senza contare i possibili danni all’alloggio con costi di ripristino difficilmente recuperabili. Inoltre c’è chi ha approfittato del Superbonus 110% decidendo di riqualificare le abitazioni di proprietà e di affittarle solo a fronte di referenze certe, oppure di conservarle per l’utilizzo futuro di figli o nipoti”.

Le criticità dell’edilizia pubblica

“In mancanza di politiche nazionali per la casa, il problema dovrebbe essere gestito a livello regionale – osserva Giulia Andrian -, ma in Veneto l’ATER, l’Azienda territoriale di edilizia residenziale, possiede solo 36 mila alloggi, di cui più del 18% sfitti, mentre in Emilia Romagna, per fare un paragone con una realtà socio-economica simile, l’ATER possiede più di 54 mila alloggi di cui solo il 7% sfitti. Data la latitanza della Regione, molti Comuni, in sinergia con

enti del Terzo settore, hanno avviato una serie di azioni politiche per rispondere ai bisogni dei cittadini. Anche il Comune di Schio ha un proprio patrimonio destinato all’edilizia residenziale pubblica gestito direttamente dal Servizio Casa e ha avviato alcune azioni, ma a nostro avviso le risposte non sono sufficienti. All’ultimo bando per l’assegnazione di una residenza popolare hanno fatto richiesta di alloggio più di 200 famiglie, ma sono stati assegnati solo 60 immobili, lasciando per strada 140 nuclei. Dato che il Comune è proprietario di 72 alloggi, ma 12 sono in manutenzione straordinaria, il minimo che pretendiamo come minoranza è che siano riattati gli alloggi comunali ora inagibili. Per questo abbiamo presentato un emendamento al bilancio per la sistemazione di almeno 4-5 appartamenti”.

“Dei 72 alloggi di proprietà comunale, 60 sono locati, 3 verranno prossimamente sistemati e 9 necessitano di una manutenzione straordinaria – specifica dal canto suo la sindaca Marigo -. Negli anni siamo arrivati a dedicare 7 immobili alle situazioni di emergenza abitativa per rispondere a bisogni contingibili e urgenti (immobili che quindi non possono essere assegnati per lunghi periodi, ndr ). Il numero delle domande raccolte con il Bando ERP per l’anno 2024 sono state 250. Il Servizio Casa dedica tutto il periodo del bando all’assistenza di chi volesse fare domanda, accompagnando i cittadini nella preparazione e nella presentazione della documentazione necessaria. Dal 2015 a oggi sono stati assegnati 165 alloggi, 22 di proprietà comunale e 143 di proprietà ATER, che sul territorio comunale ne possiede in tutto circa 400”.

Le ripercussioni sul territorio

“La realtà dei fatti – riprende la consigliera del Pd Andrian - è che l’impossibilità di trovare casa da parte dei cittadini porta con sé una serie di conseguenze negative non solo per le persone coinvolte, ma per l’intera collettività: causa marginalità e accentua il disagio sociale, depaupera il tessuto imprenditoriale in quanto vengono a mancare alle aziende locali potenziali dipendenti e va a incidere negativamente sull’attrattività del territorio, aggravando il declino demografico in atto. Ovviamente il problema della mancanza di case colpisce in particolare le fasce di popolazione più deboli dal punto di vista economico ed emergono anche casi di discriminazione, poiché in un contesto di difficoltà nel reperire gli alloggi sono ancor più penalizzati gli stranieri, le famiglie monoreddito e le famiglie monoparentali in cui spesso il genitore

è una donna. Diventa poi praticamente impossibile realizzare i percorsi di autonomia per le persone inizialmente accolte in emergenza abitativa a Casa Bakhita o nelle case rifugio per donne vittima di violenza, che faticano ad uscire e avviare un percorso abitativo autonomo”.

Sul mercato il costo degli affitti sta lievitando: bicamere di recente costruzione in zona semi-centrale arrivano a costare anche 800 euro al mese.

“Ci sono pochi appartamenti messi a disposizione in affitto – conferma Andrian -. Di sicuro i proprietari voglio essere tutelati, e ne hanno giustamente il diritto, ma serve sbloccare situazioni di appartamenti tolti dal mercato perché questa è una delle cause che alimenta il problema”.

Le possibili soluzioni

“Il Comune di Schio ha promosso e favorito l’Accordo territoriale alla locazione 2019 per definire i contratti concordati/agevolati di 3 anni più 2 – chiosa Cristna Marigo -. Non solo: ha sempre cofinanziato il Fondo di sostegno alla locazione, che però negli ultimi due anni non è più stato rimpinguato dallo Stato. Nel 2022, quando il cofinanziamento era ancora attivo, a fronte di una quota del Comune pari a 30 mila euro abbiamo portato a casa risorse per oltre 283 mila euro, interamente fruite dai cittadini che hanno fatto richiesta. Proprio a fronte di queste difficoltà, riteniamo fondamentale avviare un dialogo costruttivo tra le diverse realtà coinvolte, tra cui le associazioni degli inquilini e dei proprietari - firmatari dell’Ac-

Copertina

cordo territoriale sulle locazioni del 2019 - e le agenzie immobiliari presenti sul territorio comunale. L’obiettivo dell’incontro, programmato già in queste settimane, è quello di esplorare insieme le cause di questa crisi e di individuare eventuali soluzioni praticabili per affrontare la tematica, anche in collaborazione con le associazioni di categoria. Non solo, ma a fronte di nuovi piani di urbanizzazione puntiamo a monetizzare quanto sarebbe necessario per realizzare l’edilizia convenzionata, facendolo confluire in un fondo che possa essere messo a disposizione dei proprietari degli immobili che vogliano ristrutturare, a patto che poi rimettano nel mercato gli alloggi a titolo di locazione.”.

“Va assolutamente creato un dialogo tra amministrazione e associazioni dei proprietari e degli inquilini per siglare nuovi accordi per sbloccare la situazione corrente - concorda Andrian -. Noi riteniamo che tutto ciò si possa concretizzare attraverso la creazione di un patto territoriale sugli immobili sfitti. Vanno mappati gli edifici non locati presenti in città e va fatta una analisi dettagliata su tipologia di immobile, posizione, ricerca dei motivi per i quali è sfitto, così da poter intervenire per mitigare gli elementi negativi. Vanno prese come esempio buone pratiche già attive in altri territori, portate avanti in sinergia tra istituzioni e associazioni del Terzo settore”. ◆

Foto Moreno Eberle

Attualità

Da più di 40 anni Il Centro di Aiuto alla Vita di Schio offre ascolto e aiuto concreto a donne in difficoltà ad accogliere la vita del figlio in tutto il territorio dell’Alto Vicentino. Grazie all’attività dei volontari nel 2024 sono nati 48 bambini, 17 hanno frequentato la custodia bimbi “il Fiordaliso”, servizio pensato per consentire alle mamme sole assistite dal centro di lavorare lasciando i neonati in uno spazio protetto senza sobbarcarsi il costo spesso proibitivo di un asilo nido. In tutto, nel territorio, sono state aiutate 179 famiglie. Risultati resi noti in occasione della Giornata per la Vita indetta nel 1978 da papa Paolo VI, in cui si è svolta l’annuale campagna “Una primula per la vita”.

Un aiuto alla vita

Nel 2024 nell’Alto Vicentino sono nati 48 bambini anche grazie all’attività del Centro Aiuto alla Vita di Schio, presente sul territorio da più di 40 anni.

“Ciò che spinge le madri a rivolgersi al nostro Centro - ha spiegato la socia fondatrice Gabriella Toso – sono soprattutto problemi economici. Famiglie, nella stragrande maggioranza straniere e quindi prive delle reti familiari e sociali di sostegno, che non hanno la possibilità di far fronte alle cospicue spese connesse all’alimentazione, all’igiene alla salute e al benessere di un nuovo nato, ma che da noi trovano sostegno attraverso la fornitura di indumenti, attrezzature, pannolini, alimenti specifici e poi anche con la custodia dei bimbi presso i locali dell’ex asilo nido comunale di via Rompato. Nei casi più gravi forniamo anche dei buoni spesa per consentire alla madre di acquistare beni di prima necessità”. Il Centro di Aiuto alla Vita ha sede nella Casa della Salute “de Lellis”, presso l’ex pronto soccorso. È possibile incontrare i volontari lune-

VISTO DAL CASTELLO /20

dì e giovedì dalle 16.30 alle 18.30, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 11, previo appuntamento telefonico allo 0445/528777. L’associazione vive grazie alle donazioni piccole e grandi dei benefattori di Schio e degli altri paesi limitrofi. Tutti possono donare indumenti e attrezzature usate ma in buono stato. “Come nutrire speranza di fronte a tanti bambini che muoiono nelle migrazioni, che sono vittime delle malattie, della fame e quelli a cui è impedito di nascere?”, è il messaggio del Centro di Aiuto alla Vita in occasione della Giornata per la Vita. “Quale futuro c’è per una società in cui nascono sempre meno bambini? La trasmissione della vita è segno di speranza. Incoraggiamo perciò le giovani coppie a non aver timore di mettere al mondo dei figli, un atto che assicura il futuro a ogni società e genera speranza”. ◆ [E.C.]

“Dove

Axe che el metarìe l’Omo lu?”

metà degli anni Sessanta sono stato assunto al Gazzettino come corrispondente da Schio (25.000 lire al mese. Non era neanche malissimo a quel tempo). Aurelio Piva, redattore di Vicenza del giornale, per prima cosa mi disse: “Castelo, lu bisogna che el fassa interviste a quei de Schio. El ghe domanda dove che i portaria la statua de l’Omo. Ghe metemo anca la fotografia a quei che ghe risponde”. La collocazione dell’Omo (monumento al tessitore) era una vexata quaestio fin da quando i partigiani dall’area della barricata della Lanerossi l’avevano portato sotto il duomo in segno di vittoria dopo il 25 aprile del ’45. Ma non c’è chi non veda che questo poro omo, bianco che el sia, sparisce, avendo come sfondo quella muraglia bianca che è il basamento della chiesa. Ora, almeno a quanto si dice sul G.d.V. del 31 gennaio scorso, a Palazzo Garbin avrebbero fatto l’ipotesi di traslarlo in piazza Statuto. Idea tutt’altro che peregrina, mi sembra. Quando ho letto di questa possibilità, mi sono ricordato delle interviste

che avevo fatto sessant’anni fa. A quel tempo fermavo la gente per strada e senza tanti preamboli domandavo: ”Dove xe che el metarie l’Omo lu?” “Mi?” diceva qualcuno “parché vorli tirarlo via? No ‘l stà mia ben dove che ‘l xe desso?”

“Alora scrivemo che lu el la lassaria là. Galo na fotografia da darme che la metemo nel giornale?” “No no , Maria Santissima, ma xelo mato, che dopo tuti me fa de deo”.

Un giorno Aurelio Piva mi ha telefonato per darmi altre disposizioni: “Castelo, el vada nela portineria dela Lanerossi, quando che xe le do, che alora el ciapa quei del primo turno che i vien fora e el ghe domanda anca a luri dove che i metaria l’Omo”.

“Mi me pare che sta question qua de l’Omo la sia drio a diventare un stufesso” mi sono azzardato a dire. “Ma schèrselo? El varda ca ghemo aumentà le vendite co l’Omo”. E allora, senza tanta voglia, sono andato anche in portineria, con la mia macchinetta comperata a rate da Codiferro e tac: intervista di due righe con foto. “Quando xe che la vien fora la fotografia?” La gente in un attimo si era abituata ed era contenta a venir fuori nel gior-

nale. C’era chi a casa aveva solo la foto della prima comunione e di quando si era sposato. Qualcuno anche la foto da coscritto e basta. Un mio amico una volta mi ha detto: “Se ghe xe na statua che meritaria un bel posto, quela la xe l’Omo, che el gh’in ha passà de tuti i colori, puareto”. Ne parlava come se fosse stato un cristian per da bon, no un omo di piera.All’ultima che gli è capitata ero per caso presente anch’io: stavano pavimentando p.zza Rossi, quando una pesantissima pietra che dindolava su una gru come su un scarezo, ha oscillato troppo proprio quando è passata vicinissima alla statua, finendo sui denti dell’omo: ferumine! Della parte più alta è rimasto ferumine. Non so cosa abbiano ricostruito e cosa rifatto. Comunque quello che abbiamo adesso è la copia esatta di quello che c’era prima e va bene così.

Se la statua dell’omo venisse trasferita in piazza Statuto, ne sarei felice, nella falsa ma consolatoria convinzione che le sgangherate interviste che ho fatto negli anni giovanili abbiano aperto la strada a questo trasferimento, che sarebbe sicuramente foriero di nuove sorti gloriose e progressive. ◆

Attualità

urante il quotidiano circolare per Schio a chi non è mai capitatonell’intitolazione di una via o di un altro spazio pubblico, nella denominazione di un edificio o in una lapide commemorativa - di trovarsi di fronte a un nome entrato nella memoria collettiva, pur senza conoscere, nello specifico, la parte avuta dal suo portatore nelle vicende cittadine e non solo? Nel suo secolare svilupparsi come centro economico dell’Alto Vicentino, in effetti, Schio può annoverare tra i propri cittadini eccellenze nei più svariati settori: tecnico, scientifico, artistico, politico, sociale… Uomini e donne i cui meriti, spesso ampiamente riconosciuti dai loro contemporanei, oggi risultano in molti casi offuscati dalla patina del tempo.

Un utilissimo strumento per tutti coloro che vogliano riscoprire questa eredità culturale è la recente pubblicazione del prof. Edoardo Ghiotto, “Illustri Scledensi. Dai registri anagrafici del Duomo di Schio” (483 pagine, 22 euro), edito nella collana “I Quaderni dell’Accademia Olimpica”, che riassume le vite di molti concittadini insigni e di altre figure legate a Schio, a volte veramente sorprendenti.

Non solo pionieri industriali e politici –primi fra tutti il senatore Alessandro Rossi e il conte Almerico da Schio -, protagonisti del Risorgimento come i fratelli Pasini o Arnaldo Fusinato, educatori esemplari quali Giambattista Cipani e altre persona-

Centoventi scledensi illustri

Il prof. Edoardo Ghiotto ha realizzato, per la collana “I Quaderni dell’Accademia Olimpica”, un volume che riassume le vite di 120 scledensi e di altre figure legate a Schio, a volte veramente sorprendenti.

lità radicate nella memoria degli scledensi come la poetessa Romana Rompato. Tra le vite tratteggiate nel volume ce ne sono tante altre forse meno note, ma sempre meritevoli di essere conosciute. Figure benemerite come quelle di Carlo Fantinelli, industrioso mercante del Settecento che col suo lascito salvò dal dissesto finanziario l’ospedale “Baratto”. O animi inquieti, come Antonio Maria Canella, rampollo scledense che nei tumultuosi primi decenni dell’Ottocento visse tra campi di battaglia, monasteri, fughe rocambolesche, avventure galanti, per morire a Costantinopoli poco più che trentenne. O ancora vicende che, a loro modo, precorrono i tempi, come quella delle piccole Kera e Baath, bambine africane di 5 e 7 anni, accolte nella Pia Scuola Femminile cittadina nel 1855 dopo essere state affrancate dalla schiavitù cui erano sottoposte nel loro continente, precedendo di una trentina d’anni l’arrivo di quella “Madre Moretta che sarebbe stata riconosciuta come santa e compatrona della città.

Tra coloro che con dedizione hanno contribuito a studiare, conservare e divulgare queste memorie, il professor Ghiotto ha avuto e ha un ruolo di primo piano, non fosse altro per la continuità del suo impegno: da oltre 45 anni, infatti, si dedica alla

compilazione di “note d’archivio” pubblicate sulle pagine del Bollettino di San Pietro. Schede biografiche tratte dall’archivio del Duomo e da tante altre fonti documentali di varia natura, in cui l’autore, senza rinunciare al pregio della concisione, riesce con spiccata sensibilità storica a far emergere l’umanità delle figure di volta in volta prese in esame e la vivace trama di connessioni che, passando per Schio, uniscono persone, luoghi, ed epoche diverse.

“Illustri Scledensi” raccoglie 120 di queste schede, redatte e pubblicate sul Bollettino tra il 1979 e il 2022, e si presenta dunque come testo utile per una consultazione mirata, ma anche, nella sua interezza, come un’inedita forma di rappresentazione - non lineare, corale, esperienziale, memorialistica - che ripercorre quattro secoli di storia scledense lasciando intravvedere a ogni spirito curioso le unità costitutive delle fondamenta su cui poggia il nostro presente.

“Le fini annotazioni di Ghiotto, i suggerimenti per ulteriori ricerche e gli stimoli che provengono dalle informazioni contenute in molte schede - ricorda nell’introduzione all’opera il presidente dell’Accademia Olimpica, Giovanni Luigi Fontana - costituiscono un indubbio plus di questo lavoro di autentico servizio alla ricerca storica, non solo di carattere locale”. ◆

Urgono marciapiedi nuovi in via Fusinieri

Via Fusinieri, asse portante e colonna vertebrale del Quartiere Operaio, sta rinascendo grazie a tutta una serie di ristrutturazioni edilizie davvero lodevoli. Tanto più a ragione di ciò, però, adesso urge intervenire per rifare da cima a fondo i marciapiedi della via, che giacciono quasi ovunque in condizioni indecorose. A dissestarli, a dirla tutta, hanno contribuito in più punti anche gli stessi lavori edili sulle case, visto che un cantiere fronte strada finisce per semidistruggere inevitabilmente il tratto di marciapiede che sta davanti. Sia come sia, è davvero tempo di rifare ex novo i marciapiedi su via Fusinieri. Per motivi di decoro, ma anche - o soprattutto - per mettere in sicurezza i pedoni, ora in costante pericolo di inciampo e, se anziani, di pericolosa caduta. [S.T.]

Attualità

gni prima domenica del mese, la chiesa di San Francesco è aperta al pubblico nel pomeriggio, dalle 15 alle 18, con visita guidata gratuita alle 16. Si sa che questo tempio, di proprietà comunale, è uno dei biglietti da visita della città, anche perché contiene la pregevole Pala del Verla, con l’unica rappresentazione iconografica di quello che doveva essere il Castello della nostra città. A San Francesco sono stati a suo tempo ritrovati gli splendidi codici miniati ora conservati alla biblioteca civica “Bortoli”, parecchie tele di valore e, di recente, statue del presepio che veniva allestito in chiesa cent’anni fa. Il coro è di ottima fattura, le pietre sepolcrali alquanto interessanti… e di certo stiamo dimenticando di citare altro.

Di recente pure noi abbiamo accompagnato amici “foresti” in visita, ci siamo accodati ad altri e il gruppo che si è formato, ben seguito dalla guida di turno, era piuttosto nutrito e composto non solo da scledensi. Anni or sono avevamo suggerito all’assessorato competente, dopo essere stati a S. Francesco con più classi scolastiche, che giusto dietro l’altare uno spartito a note quadre, incorniciato con listelli di legno, avrebbe meritato una collocazione migliore per essere ben valorizzato. Siamo stati ringraziati per la segnalazione, ma, rivedendolo poche settimane fa tale e quale, relegato e impolverato, abbiamo amaramente constatato che non se n’è fatto nulla.

L’antico spartito che sta dietro l’altare della chiesa, documento che merita di essere meglio valorizzato

A San Francesco c’è uno spartito da riscoprire

Dietro l’altare della chiesa è esposto in modo anonimo e precario uno spartito a note quadre che, secondo gli esperti da noi interpellati, appare essere una “cartagloria” risalente alla fine del Seicento-inizio Settecento. Un documento che merita una collocazione migliore per essere ben valorizzato.

Abbiamo provato a consultare alcuni esperti locali (Giorgio Zacchello, Alberto Zanotelli) per avere qualche ragguaglio: è emerso che si tratta con tutta probabilità di una cartagloria risalente alla fine del Seicento-inizio del Settecento, utilizzata dai monaci che stavano nel coro per i canti liturgici. Anche nel corso della nostra visita ci era stato detto che lo spartito risale a quel periodo; non ci sembra proprio più il caso di tenerlo lì o, almeno, non così com’è attualmente sistemato. È una tristezza, poi, osservare il chiostro, con erbacce alte un metro: possibile che

Concerto per Bakhita

Ultimi appuntamenti del programma del “mese di Bakhita”, organizzato anche quest’anno dall’Associazione Bakhita Schio-Sudan e dalle madri dell’Istituto Canossiano, improntato al Giubileo 2025, per il quale il santuario canossiano scledense è inserito tra le chiese giubilari vicentine. Domenica 23, nella chiesa del Sacro Cuore alle 17.30, è in programma il “Concerto per Bakhita”, con la partecipazione del coro GES di Schio diretto dal maestro Marco Manzardo, del coro Voci della Ferrata di Verona diretto dal maestro Raffaello Benetti e del coro Croda Rossa di Mirano diretto dal maestro Gianni Ancilotto.

non si riesca a reperire un giardiniere (ma sarebbe sufficiente anche un operaio qualificato) in grado di dare una sistemata? Anche la statua della Madonna, che osserva dall’alto la situazione, pare alquanto sconsolata…

Nel corso della visita qualcuno, offrendosi come volontario per dare una tagliata qua e là, ha borbottato contro l’incuria e di certo, finché lasciamo le cose così, di bel biglietto non possiamo affatto parlare. Rimediamo, ci vuole veramente poco per esibire dignitosamente una perla della città. ◆

Venerdì 28, infine, a palazzo Toaldi Capra alle 20.30 sarà presentato il libro “Mentre vaso. Diario di incontri”, di Lucio Simonato, che dialogherà con Frà Lino Breda.

Il chiostro interno della chiesa di San Francesco, con l’erba incolta a mortificarlo

ÈIl personaggio

Stefano Tomasoni

stato bocciato in prima elementare, e poi anche in quinta, per il carattere difficile da arginare. Ha attraversato il periodo delle lotte sindacali e dei picchetti fuori dalle fabbriche. Ha lavorato nella Libia di Gheddafi, in Congo ha visto la morte in faccia per via della malaria, ha vissuto e lavorato per anni nella Russia di Eltsin, del primo Putin e degli oligarchi. Ne ha viste (e ne ha fatte) di tutti i colori, nella sua vita, Attilio Colpo. Ma alla fine di ogni avventura, di vita e di lavoro, è sempre tornato alle radici, a Schio. E adesso, a 76 anni e dunque in un’età in cui i bilanci è anche giusto cominciare a farli, ha pensato bene (cogliendo un consiglio ricevuto da Giovanni Luigi Fontana) di rimettere in ordine questa “vita matrioska” - che ne ha dentro altre tre o quattro - e di farlo con un libro. E siccome non è uno che tra il dire e il fare ci fa passare in mezzo il mare, lo ha scritto e lo ha pubblicato, trovando pure gli sponsor per coprire in parte le spese. “Una vita vissuta così”, si intitola il volume. 350 pagine zeppe di fotografie, introduzione dallo stesso Fontana, l’amico prof che gli ha dato lo spunto per partire. Un pozzo di San Patrizio di ricordi personali dagli anni Cinquanta a oggi, con frequenti digressioni tra i maggiori fatti di cronaca e di politica nazionale e mondiale, ovviamente “mettendo in conto – lo sottolinea in apertura Fontana – la visione politica del narratore”. Colpo, perché a 76 anni le è venuta voglia di scrivere un libro di memorie?

L’uomo dalle tre vite (o forse quattro)

Ha attraversato il periodo delle lotte sindacali e dei picchetti fuori dalle fabbriche. Ha lavorato nella Libia di Gheddafi, in Congo ha visto la morte in faccia per via della malaria, ha vissuto e lavorato per anni nella Russia di Eltsin, del primo Putin e degli oligarchi. Ne ha viste tante, Attilio Colpo. E adesso le ha messe tutte in un libro.

“Perché mi sono reso conto che tutta la nostra storia, la storia di una generazione che anche qui da noi ha fatto le sue battaglie per le conquiste sociali e ha vissuto le sue avventure, rischia di andare perduta se nessuno la racconta. Così mi è venuta la voglia di scrivere questa storia attraverso la mia. Attraverso le esperienze che ho maturato nella mia vita”.

Una vita che ne contiene almeno tre o quattro. E che comincia a essere particolare fin da bambino, visto che si è fatto bocciare in prima elementare e poi anche in quinta, per irrequietezza indomita. Un ribelle per natura?

“Più che altro avevo uno spirito libertario, difficile da gestire. Hanno provato in tutti i modi, l’unico che ha capito la mia indole è stato don Armando Stocco, ai Salesiani, una figura importante per me. Alla fine della quinta mi ha preso e mi ha detto una frase che non ho mai dimenticato: Attilio, fai della battaglia per la tua vita quella degli altri. Quella notte ho sognato che diventavo Papa e non sapevo decidere il nome da prendere, mi sono svegliato di soprassalto”.

A vent’anni la si trova già nel cuore delle lotte sindacali, che a quel tempo volevano dire spesso scioperi e picchetti aziendali duri e puri, mica pizza e fichi…

“Avevo da poco cominciato a lavorare alla Zanon. A ottobre ‘69, per proteggermi da rischi di un possibile licenziamento per dei fatti che erano successi in un’altra azienda, mi hanno catapultato a fare il rappresentante sindacale per la Fiom-Cgil. Qualche tempo dopo sono andato a costituire i consigli di fabbrica per i metalmeccanici nella zona di Thiene. Dopo un anno, finito questo lavoro sindacale, sono rientrato alla Zanon”.

A un certo punto però succede che decide di andarsene da Schio, dopo la faccenda dei picchetti che avevano bloccato per quasi un mese la produzione della Zanon. E comincia la sua seconda vita. Com’è andata?

“Racconto tutto nel libro, ma per farla breve a un certo punto mi sono licenziato: ero esasperato, in azienda mi trovavo in una situazione ormai insostenibile. Dovevo cercare un’alternativa, ma qui non ne avevo più, mi avevano fatto terra bruciata nelle imprese della zona. Ho vissuto periodi davvero difficili e precari. Finché a settembre del ’78 un amico mi ha avvisato che una ditta di Brendola cercava saldatori anche per l’estero. Mi sono precipitato e ho cominciato a lavorare lì. A un certo punto dalla ditta arriva l’avviso che il giorno do -

Attilio Colpo oggi, nella sua abitazione a Santa Croce

po bisognava partire per la Libia. Così, di punto in bianco. Okay, siamo partiti. La prima volta sono rimasto due mesi e mezzo, ma in seguito, avendo visto le potenzialità del mercato, ho messo insieme una piccola squadra di 6 persone e mi sono presentato alla Sadi, un’importante azienda di Altavilla, e ho chiesto se ci passavano dei lavori; mi hanno messo in contatto con una ditta di Bologna che in Libia aveva necessità di una squadra di montatori. Va bene, ho detto, impariamo anche a fare i montatori, non c’è problema. Una volta lì però sono sorti problemi di approvvigionamento dei materiali, le autorità ci hanno ritirato i passaporti e alla fine siamo riusciti a tornare in Italia in modo rocambolesco. Più avanti sono tornato di nuovo in Libia e ci sono rimasto quattro anni, lavorando per la Garzotto Impianti”.

Insomma, partito come saldatore è tornato montatore…

“Così è la vita. Mi sono trovato a imparare a fare il montatore di pareti di cartongesso e controsoffitti, abbiamo lavorato anche in un palazzina per ufficiali all’interno della caserma di Gheddafi a Bab al Aziziya”. Dopo la Libia, lo racconta nel libro, arriva un altro cambio di registro. L’Africa…

“Dopo il rientro in Italia, siamo nell’83, ho fatto vari lavoretti. Arriviamo all’88, quando delle persone che conoscevo nel Bassanese mi dicono: c’è una grossa commessa che abbiamo acquisito in Congo, che prevede anche 6 mila metri quadrati di controsoffitti per una palazzina all’Agip Ricerche, a Pointe-Noire. Va bene, andiamo. E lì a un certo punto ho preso la malaria, mi sono salvato per puro caso, mi hanno curato con non so cosa, fatto sta che quella volta mi sono sentito davvero la morte dentro: avere 41 di febbre e sentire le ossa gelate, un gelo di morte nel corpo è una sensazione

indescrivibile. E non potevo abbandonare il cantiere, perché dovevo coordinare il lavoro, mi portavano sul posto sdraiato su un materasso e da lì davo indicazioni sulle cose da fare. Sono rimasto in Congo sei mesi”. Da lì di nuovo a Schio per la terza svolta, per poi andare a lavorare in Russia. E qui le cose si fanno serie…

“Tornato a Schio ho cominciato a interessarmi alla fotografia, e anche al recupero del Civico, promuovendo nel ’90 la nascita di un’associazione che in quel periodo ha fatto un lavoro di sensibilizzazione per il recupero del teatro, prima che arrivassero i progetti del Comune e la Fondazione. Finché sono stato ricontattato dal titolare della Garzotto e mi sono ritrovato in Russia. Sono arrivato a Vladivostok il 20 ottobre del ’93, venti giorni prima a Mosca c’era stato l’assalto dell’esercito al Parlamento ordinato dal presidente Eltsin, che in precedenza proprio dal Parlamento era stato dichiarato destituito”.

Un clima non proprio tranquillo.

“Fatto sta che a Vladivostok, dove poi ho conosciuto mia moglie, abbiamo lavorato per realizzare un ristorante a 5 stelle. Poi siamo andati a Mosca a fare dei lavori per la Most Bank, una delle prime banche private nate in Russia, in mano all’oligarca Vladimir Gusinsky, uno che aveva banche, reti televisive… una potenza. Alla fine è “saltato” ed è dovuto riparare a Londra. In seguito si è presentata l’occasione di lavorare per posare pavimenti alla mensa della Yukos, la compagnia petrolifera, poi ancora per la dacia della famiglia del presidente della Yukos. Nel ’96 sono tornato a Schio e ho comprato casa ai Reghellini. In Russia ci sono tornato nel 2003-2004 per seguire, come responsabile della logistica, i lavori in un grande cantiere per un interporto doganale a Vladimir, a 200 chilometri da Mosca,

un progetto che doveva durare 7 anni. Mi sono trasferito con tutta la famiglia, sennonché nel cominciare a scavare per fare le fondamenta si è trovata acqua dappertutto, il progetto si è arenato e nel 2006 siamo definitivamente rientrati a Schio. Ho ripreso a fare l’artigiano, ma mica poteva essere facile: tempo un paio d’anni ed è arrivata la crisi economica”.

Nonostante tutte queste esperienze in Libia, in Congo e in Russia, a ogni ritorno a Schio lei non ha mai perso l’aggancio con il territorio e la voglia di fare qualcosa di concreto anche qui, basti ricordare appunto la battaglia per il recupero del Civico. Come mai, essendo così proiettato nel mondo, è rimasto legato alle vicende cittadine?

“Mah, penso che le origini non si dimentichino mai. Io sto bene qua, ho le mie radici, le mie conoscenze, le mie amicizie. Sono tornato e credo che creperò qua, cosa vuole che faccia? Certo ho una grande nostalgia della Russia, quello sì”.

E adesso, a 76 anni, come si sente? Pacificato con la vita?

“Assolutamente no, la vita è una continua battaglia. Mi sento ancora un ribelle. In questi ultimi anni mi sono dedicato alla storia della Grande guerra, che mi ha sempre affascinato: sono riuscito a mettere insieme 21 amministrazioni comunali per portarle a deliberare a favore della proposta di legge per la riabilitazione dei soldati fucilati per decimazione durante il conflitto, questa per me è stata una grande vittoria. E sono riuscito a convincere tutti i sindaci della val Leogra a realizzare al passo di Campogrosso un monumento in onore di quei poveri ragazzi”.

Ma in definitiva, dopo tutte queste vite, chi è Attilio Colpo?

“Diciamo un laureato in esperienze della vita”. ◆

Attilio Colpo a Mosca. In Russia, per lavoro, ha trascorso vari anni e ha anche trovato moglie
Colpo (primo a sinistra) in Congo, a Pointe-Noire, dove lavorò per alcuni mesi superando anche la malaria

o scorso 30 dicembre è mancato Pino Guzzonato, artista maranese apprezzato in varie parti del mondo, sperimentatore di eccezionale creatività. Della sua morte, avvenuta per le conseguenze di una caduta accidentale nel suo atelier in località Acquasaliente, hanno parlato giornali e telegiornali; qui vogliamo ricordarlo a livello personale, dato che abbiamo avuto il piacere di seguirlo nella sua attività e di incontrarlo più volte, anche per il nostro mensile. Pino era geniale perché aveva saputo rimanere bambino, con un’inesauribile, gioioso desiderio di vedere cosa poteva uscire dalla carta, dalla pietra, dall’acciaio, dal legno, dalla cera, dall’argento; incideva, disegnava, scolpiva, dipingeva, fondeva in quel suo “buen retiro” nella zona collinare del Tretto, dove incontrava il contadino e Mario Rigoni Stern, il muratore ed Erman-

Si è spento il genio di Guzzonato

A fine anno è mancato Pino Guzzonato, artista maranese sperimentatore di eccezionale creatività, con un’inesauribile desiderio di vedere cosa poteva uscire dalla carta, dalla pietra, dall’acciaio, dal legno, dalla cera, dall’argento.

no Olmi, il boscaiolo e Fernando Bandini, Andrea Zanzotto, Carlo Mazzacurati, Ilvo Diamanti, Marco Paolini, Telmo Pievani… Parlando con semplicità disarmante e con un linguaggio comprensibile a tutti. “Mi piacciono i materiali ma anche gli esseri umani – ha dichiarato in una bella intervista rilasciata lo scorso anno per l’Università di Padova. - Sono convinto che chi, per così dire, non ha storia, in realtà ne ha più di tanti altri, magari famosi”.

All’Acquasaliente sono passate sia persone semplici che di grande cultura, accolte tra opere originalissime; Pino spesso le invitava a fermarsi, magari per un pranzo, una cena, uno spuntino. Sapeva maneggiare benissimo anche gli alimenti, e lo faceva volentieri con la moglie Maria, suo alter ego, che lo ha sempre seguito ovunque e che, unitamente a figli e nipoti, saprà conservarne e valorizzarne l’opera e la memoria. A fine ottobre del 2023, alla Fondazione Be-

netton di Treviso, l’artista aveva realizzato la sua ultima personale di grande successo, esponendo varie tipologie di opere e proponendo per la prima volta i Bioesseri in argento e pietre: un inno alla diversità. Li aveva pensati durante il Covid e, accogliendoci nella sua casa di Marano, ce ne aveva mostrato qualcuno in anteprima, stupendoci ancora una volta. Poi, osservandoli nel contesto esclusivo di Ca’ Scarpa, ne siamo rimasti affascinati: a nostro avviso, i Bioesseri sono la summa del suo modo di fare arte e di essere artista. Ha usato di tutto per creare, ma la carta e l’argento hanno un ruolo privilegiato fra i materiali che ha utilizzato.

Carta e argento che, mirabilmente manipolati dalle sue grandi mani sapienti, sono diventati poesie senza parole. Le leggeremo ancora per molto tempo: un grande artista non muore mai, vive per sempre in ciò che ha saputo produrre. ◆

Mettiamo fine alla guerra dei botti di fine anno

Ibotti di fine anno sono stati troppi e in più articoli della stampa locale si è parlato di persone finite in pronto soccorso, fra cui un paio di quattordicenni miracolosamente salvati da un vigile del fuoco. I nostri amici a quattro zampe, purtroppo, fanno notizia molto meno degli esseri umani che assurgono agli onori di cronaca per la loro stupida imprudenza. Cani, gatti e altri animali, domestici o selvatici, soffrono moltissimo per questi scoppi improvvisi che li terrorizzano e a volte li fanno morire d’infarto o fuggire all’impazzata. “Noi dell’Enpa – dice la presidente, Federica De Pretto – da anni chiediamo ai Comuni di emettere ordinanze che vietino i fuochi artificiali: qualcuno lo fa, altri no. Sconforta constatare che, con la mancanza di senso civico dilagante, le ordinanze stesse diven-

tano lettera morta, ma riteniamo comunque che possano fungere da deterrente”. Sui botti si sorvola: la festa è festa, specie se rumorosa. Forse però, con un’ordinanza che li vieta, basterebbe qualche ronda di polizia locale in più per far desistere i dinamitardi. Abolire in toto quelli dei privati prevedendo multe molto salate e optare per quelli silenziosi alla festa del patrono è un provvedimento impopolare? Non lo crediamo affatto. Il nostro Comune non ha emanato un’ordinanza ad hoc, cosa che altrove, non sempre con successo per la verità, è stata fatta. Quest’anno a Schio la situazione è peggiorata, lasciando oltretutto evidenti e poco ecologiche tracce. Noi, la sera del 31 dicembre, abbiamo scarrozzato il cane verso il Tretto: alle 23.30 già erano troppi gli scoppi e il suo cuore fibril-

lava. Dall’alto, la città sembrava sotto bombardamento: ci stiamo forse allenando in vista di tempi peggiori? Al rientro, inoltre, abbiamo notato intere vie immerse in una coltre grigia e puzzolente, di certo non benefica per la qualità dell’aria. Non ci siamo affatto stupiti, un paio di giorni dopo, leggendo che un incendio era scoppiato “per cause da accertare” proprio sopra l’abitato di Poleo: è facile immaginare che qualcuno a corto di botti possa essersi dilettato ad appiccare il fuoco alle sterpaglie, ma la nostra rimane solo un’ipotesi. Concludendo, queste righe sono un invito pressante a emanare ordinanze severe, a multare in modo esemplare chi gioca col fuoco e a pensare a botti silenziosi, a basso impatto acustico, per il prossimo 29 giugno. ◆ [M.D.Z.]

Attualità

roprio in chiusura d’anno se n’è andato Giuseppe Losavio, per tutti Beppino. Aveva 93 anni. Era nato nel 1931 in terra veneziana, giungendo a Schio quando la famiglia si era trasferita qui negli anni della guerra. La professione della sua vita è stata quella del commerciante, avendo gestito per quasi trent’anni (da inizio anni Settanta fino all’ultimo giorno del ‘99) la fornitissima cartolibreria “La Tecnica”, in piazza Almerico, dove lo si trovava con la moglie (poi anche con la figlia Lucia e con il genero Giuseppe Pierantoni) sempre pronto a rispondere con un sorriso alle richieste dei clienti. La passione della vita, invece, è stata la cultura popolare veneta, che ha onorato, valorizzato e diffuso non soltanto attraverso la sua ricca e variegata produzione poetica dialettale, ma anche attraverso lo studio e la divulgazione del linguaggio vernacolare. Sotto questo profilo, lascia un’eredità linguistica e culturale preziosa per le generazioni attuali e future.

Giusto cinquant’anni fa, nel 1974, fu tra gli animatori de “La Panocia”, gruppo di poeti dialettali scledensi ideato e fondato da Gerardo Perandini e Gianmaria Grandesso, e poi arricchitosi con molte presenze di valore tra cui quelle di Giovanni “Megio” Meneghini, Mario Meneghini, Enrica Gorgeri, Danilo Tonini e molti altri.

Profondamente legato a questa sua terra valleogrina, aveva anche contribuito alla nascita della cooperativa Oberslait al Tretto. Losavio sapeva accompagnare un repertorio poetico leggero e canzonatorio, se necessario anche d’occasione (vedi la sua memorabile presenza fissa alle rassegne enogastronomiche dei ristoratori scledensi “Metti una sera a cena con…” negli anni 80, in cui intratteneva i commensali con i suoi versi più arguti e satirici), con una produzione molto più profonda e alta. Un passaggio della poesia “Celo” aiuta a cogliere il valore letterario di Losavio: “Usmo i prà de stele bele, ‘leganti, s-ciantisanti; e za se smorsa el

Addio a Losavio, artista della parola in dialetto

Se n’è andato a 93 anni Beppino Losavio. La passione della vita è stata la cultura popolare veneta, che ha valorizzato e diffuso non soltanto attraverso la sua ricca produzione poetica dialettale, ma anche attraverso lo studio e la divulgazione del linguaggio vernacolare.

me bronsaro de dolori in sti colori, e amaro pì no vedo de tuti i dì el strussiare su sta tera nera de guera, e odio, e sbari, e pianti”. Questo cenno al valore letterario di Losavio ci permette anche di dire che, per quanto sia nota soprattutto la sua produzione di poesia vernacolare popolare, il Beppino è stato in realtà assai di più. È stato un fine cultore e conoscitore del dialetto nella sua accezione più alta, come lingua e come cultura. E vien da credere che se avesse deciso di dedicarsi con altrettanta passione all’espressione poetica in italiano avrebbe raggiunto riconoscimenti più consistenti di quelli ottenuti nel corso della sua lunga vita. Un riconoscimento ora potrebbe darglielo l’amministrazione comunale, organizzando un qualche evento che lo ricordi, ad esempio un reading di poesie dialettali al Civico, con più autori locali che leggono sia i versi di Losavio sia i propri.

Quegli alberi tagliati

Accanto al Losavio intimo e profondo, s’è detto, ha sempre convissuto perfettamente un secondo Losavio scherzoso e caustico, graffiante e ironico, quasi in una sorta di costante e necessaria compensazione. Forse non è un caso se la sua ultima pubblicazione, alcuni anni fa, è stata una raccolta di barzellette di varia provenienza, che intitolò “L’ultima?”.

Ed è come se anche al momento dell’addio il buon Beppino abbia voluto lasciare l’impronta di questa sua inconfondibile indole scanzonata: se n’è andato il 30 dicembre e le esequie si sono celebrate a Sant’Antonio il 2 gennaio. Conoscendo la sua verve dissacratoria, non è da escludere che adesso stia davvero raccontando la sua “ultima” agli amici della Panocia che lo hanno preceduto: “La sapete quella di quel tale a cui hanno fatto il funerale l’anno dopo che era morto?”. ◆

Spendiamo due parole su un fatto che sul finire dell’anno ha colpito molti cittadini e ha portato anche al nostro giornale alcune lamentele: il taglio del filare di piante che correva lungo la pista ciclopedonabile sopra l’attuale “Molo 531”, per capirsi, a Magrè. Tempo fa era già stata tagliata la fila di alberi lato torrente, adesso è stata abbattuta tutta intera anche quella lato strada. È stato spiegato che gli alberi erano malati e poteva esserci il rischio che, causa qualche ondata di maltempo e vento forte sempre più frequente, qualche loro parte crollasse e provocasse danni a cose e persone. Risulta però oggettivamente poco comprensibile, a un occhio non esperto qual è quello del cittadino medio, che un filare di una trentina di piante possa essere tutto interamente malato al punto da non consentire un taglio selettivo. Per questo ci pare che il problema, al di là del taglio del filare, sia anche un altro: abbiamo già avuto modo in passato di notare che, secondo noi, quando si tratta di intervenire in modo importante sul patrimonio verde cittadino occorrerebbe dare al cittadino un’informazione preventiva convincente e fondata su evidenze comprovabili. Se si taglia un filare di trenta piante, non è sufficiente dire che erano malate e pensare che questa affermazione venga digerita senza il minimo dubbio e senza storcere il naso. Sarebbe opportuno, ad esempio, rendere disponibile un minimo di analisi botanica che certifichi la malattia e la necessità del taglio. E non basta nemmeno assicurare che le piante verranno sostituite appena ci sarà disponibilità di spesa in bilancio: qualche soldo per ripiantare trenta alberelli lo si dovrebbe trovare senza dover aspettare chissà quanto. [S.T.]

Luca Saccoia in “Natale

DSpettacoli

ebora Villa, comicità e terapia

Il primo spettacolo teatrale dopo la pausa delle festività è stato “Tilt, Esaurimento Globale”, di e con Debora Villa, che lo ha scritto a quattro mani con Carlo Gabardini. Proposto fuori abbonamento dalla Fondazione, ha fatto registrare il quasi esaurito all’Astra, anche perché la Villa è nota grazie alle sue partecipazioni a Zelig, Camera Café, Le Iene, Pechino Express. Appartiene al gruppo ormai numeroso di cabarettisti in grado di stare soli sul palco per un’ora e mezza-due, a raccontarsi e raccontare. Lei è un’ottima improvvisatrice, in grado di raccogliere la palla del pubblico, che le suggerisce gli argomenti, e di restituirla con dritti e rovesci che vanno a segno: l’interazione con gli spettatori, parte integrante di uno spettacolo che si trasforma ogni sera a seconda degli interessi del pubblico, è l’arma vincente di un lavoro in cui la comicità diventa una terapia efficace, che permette un viaggio all’interno di noi stessi e ci fa sorridere delle nostre disgrazie. Nato da una profonda crisi durante la pandemia, “Tilt” parla di tutto un po’: complottismo e discriminazione femminile, precarietà del lavoro e guerre, catastrofi naturali e omofobia… Vengono pure cantate, ‘ste disgrazie, grazie a un bel pezzo free style scritto appositamente da Shade e Jaro. Piacevole serata, si esce da teatro con un sorriso che permette di sperare.

Un “Oreste” da…Casadio Il secondo appuntamento di “Schio Tempo Presente”, breve rassegna riservata alla drammaturgia sociale contemporanea, è stato al Civico con “L’Oreste – quando i morti uccidono i vivi”, ben diretto da Giuseppe Marini, che ha scelto un testo di Francesco Niccolini per puntare l’attenzione su un argomento delicato come la malattia mentale. Magistrale l’interpretazione di Claudio Casadio, che per questo lavoro ha ottenuto un primo premio nazionale come miglior attore: lui è il tenero, ma anche violento Oreste, internato in un manicomio a Imola, che vive tra i suoi fantasmi con leggerezza e tanta nostalgia. Casadio sa essere poetico e delicato, raccontando di delitti e di abbandoni, di amore negato e speranze di fuga; alla fine fugge dalla sua vita, facendo chiaramente capire quanto male si può fare ai più deboli, a chi non ha né voce né forza per far fronte alla realtà e trova la pace nell’unico modo con cui gli è possibile trovarla.

Quando il teatro ne ha davvero per tutti

I più recenti spettacoli della stagione della Fondazione hanno offerto la comicità con Debora Villa, il dramma contemporaneo con Claudio Casadio, un classico “Malato immaginario” rivisitato in modo ardito, un Eduardo De Filippo genialmente reinterpretato da Luca Saccoia.

Originale l’interazione tra prosa e fumetto animato (in collaborazione con Lucca Comics): non disturba proprio che i personaggi non siano sul palco, anzi, il fumetto valorizza ancor più il protagonista. Lunghi e meritati applausi alla fine.

Un Molière rivisitato, ma interessante

Chi si aspettava un Molière classico, con “Il malato immaginario” al Civico, probabilmente è rimasto deluso. Chi invece apprezza le rivisitazioni ardite, è stato accontentato. Solitamente, per una sorta di rispetto verso i classici, optiamo per le vie di mezzo, per cui ci hanno abbastanza convinto i protagonisti (bravo Tindaro Granata-Argante, un tantino isterica Lucia Lavia-Tonina), l’incipit da cabaret proposto all’inizio e alla fine, i tocchi scenici come la vasca dove Argante entrava nudo per fingere alla fine una morte alla Marat, il wc troneggiante lì ad accogliere vari umori, il lampadario con le siringhe sotto il quale soccombe l’ipocondriaco Argante: trovate scenico-registiche apprezzabili, senza dubbio, ma che non ci hanno fatto pensare a chissà che novità. Comunque sia, il regista Andrea Chiodi ha messo insieme un buon cast ed è riuscito a strappare riflessioni sull’ipocondria e sorrisi su ammiccamenti, movenze e battute. Sfronderemmo qualche passaggio, però, accorciando ad esempio il balletto, che potrebbe introdurre e chiudere più velo -

cemente, senza apparire tanto slegato dal contesto: due ore e dieci minuti di rappresentazione senza alcun intervallo sono troppe, anche se l’attenzione riesce a restare viva fino alla fine.

Eduardo e il genio di Saccoia

Quando il teatro diventa pura poesia. Si potrebbe riassumere così il “Natale in casa Cupiello” del grande Eduardo visto al Civico: un solo attore recitante, Luca Saccoia, a dar voce a ben otto personaggi. Un’idea geniale, quella dello stesso Saccoia che, con Vincenzo Ambrosino, ha voluto elaborare il testo di Eduardo in assoluta fedeltà, ma con l’aiuto di pupazzi animati sapientemente da ben sei manovratori, in uno spazio scenico onirico, alla Chagall, dove il regista Lello Serao ha mosso un lavoro a orologeria, preciso preciso, ma al contempo poetico e trasognato. Saccoia, nell’incredibile modulazione della voce, ha dimostrato grandi doti di attore, trasformista, burattinaio, muovendosi all’interno dello spazio scenico come se lì ci fosse sempre stato, universalizzando la sua napoletanità. Qualche battuta qui al nord forse si perde, ma gestualità e musicalità risultano essere talmente evocative che il linguaggio, a tratti, può passare in secondo piano. Premio Nazionale Critici di Teatro, premio per i migliori costumi UBU 2023, Premio Nazionale Hystrio-Twister 2024: meritatissimi! ◆

a casa Cupiello”, andato in scena a inizio febbraio al Civico

Spettacoli

Tra fine anno e metà febbraio abbiamo selezionato tre spettacoli musicali su cui merita spendere alcune parole di commento.

Concerto di Capodanno al top

Il Concerto di Capodanno con l’Orchestra Giovanile Regionale Filarmonia Veneta, a fine 2024, è stato proposto per la prima volta al Civico in doppia replica, con la consueta direzione del maestro Giovanni Costantini. “Imprese e Cultura” ha potuto garantire le due esibizioni, permettendo a un numero doppio di cittadini di godere di buona musica. Costantini, oltre a essere un apprezzato direttore, è un ottimo comunicatore, in grado di far interagire il pubblico e di valorizzare musicisti e cantanti: la soprano Cecilia Rizzetto e il tenore Matteo Mezzaro sono stati molto apprezzati e si sono prestati volentieri a tessere una storia comico-romantica simpatica e godibile. Il direttore d’orchestra, auspicando meno spese militari e maggiori investimenti in cultura, si è fatto utopico portavoce dei fiori nei cannoni, ma al contempo è riuscito a strappare all’assessore alla cultura l’impegno di invitare l’Orchestra a Schio non solo a Capodanno, dando così a tanta brava e bella gioventù un’occasione ulteriore per esprimersi e mostrare le sue grandi capacità.

Gli anni dei Rockets

Un’iniezione di space rock quella offerta da Scoppiospettacoli, all’Astra, con la seconda data italiana dei Rockets, gruppo molto

Detto tra noi

L’Orchestra, i Rockets e il jazz di Rea

Il Concerto di Capodanno si è confermato appuntamento di grande qualità, i Rockets sono tornati con il loro “space rock” anni Ottanta e Danilo Rea con il suo grande repertorio jazz.

seguito negli anni Ottanta e che ora, dopo la pubblicazione del nuovo album, “The Final Frontier”, è in tourné con l’omonimo spettacolo che richiama tanti fans, soprattutto dai 50 anni in su. All’Astra i Rockets sono stati accolti da un pubblico abbastanza numeroso, giocoforza un po’ datato ma entusiasta e partecipe, pronto ad applaudire brani spesso sconfinanti nel progressive, ambientati in una scena spettacolare ricca di effetti speciali, fumi, fasci di luce, immagini. Del gruppo originale, nato in Francia alla metà degli anni settanta, è rimasto solo il tastierista, Fabrice Quagliotti, artefice di un ritorno in grande stile, votato allo space rock e pronto a mettersi in gioco con tutti gli altri della band in undici concerti programmati in Italia fra gennaio e febbraio.

È stata una serata alternativa, per estimatori nostalgici ma anche per giovani (pochi) pronti a scoprire l’innovazione in qualche buon brano che la critica, concorde, non rilevava da tempo. I Rockets sembrano tornati con la loro astronave, per proiettare ancora i fans in galassie sconosciute.

Il grande jazz di Danilo Rea

Non poteva iniziare meglio la rassegna di “Schio Musica”. Danilo Rea, fra i migliori pianisti europei, grande jazzista e improvvisatore, ha entusiasmato il pubblico al Civico con “La Grande Opera in jazz”, uno spettacolo molto originale in cui Rea, che solitamente accompagna noti cantanti contemporanei come Mina, Gino Paoli, Riccardo Cocciante, Renato Zero, Fiorella Mannoia, ha realizzato il sogno di accompagnare anche i grandi del passato; le voci di Caruso, di Del Monaco, della Callas, di Gigli e di altri sono arrivate al pubblico pulite pulite, grazie all’opera del sound engineer Andrea Proietti. A Rea è “bastato” mettersi al piano, improvvisare e gestire le entrate di soprani e tenori con un pulsante; meraviglie della tecnica e del talento umano hanno permesso al pubblico di viaggiare in uno spazio temporale e artistico che non potrà mai andarsene. Mentre il pianista suonava nell’oceano dei ricordi, venivano proiettate su uno schermo immagini storiche in bianco e nero, unite a originali e colorate opere di arte contemporanea. Una serata perfetta, di gran classe sotto ogni aspetto. ◆ [M.D.Z.]

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Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza: testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.

Sorpresa, l’abbonamento per parcheggiare in centro con auto ibrida è più che raddoppiato

Da quando ho acquistato un’auto ibrida, ho fatto richiesta al Comune prima e ad Abaco poi, di usufruire dell’abbonamento annuale per gli stalli blu senza il pagamento immediato del parcheggio ad inizio sosta. L’ho considerata una cosa positiva visto, tra l’altro, che io uso spesso l’auto in centro e quindi ho anche necessità di parcheggiare. Il costo mi è sempre sembrato, tutto sommato, congruo, nel senso che pagare dieci euro per un anno con sosta fino a due ore al giorno, esclusi naturalmente

i giorni considerati festivi, mi sembrava più che accettabile, anche conveniente, soprattutto tenuto conto del mio uso dell’auto di cui sopra. Anche quest’anno mi sono recato presso gli uffici Abaco di via Pasini per confermare l’abbonamento del 2025 e qui la sorpresa. La gentile, incolpevole impiegata porgendomi il modulo, si premurava anticipatamente di coprire con il correttore bianco l’importo pre-stampato di € 10,00 correggendolo in € 25,00. Altro che inflazione! O che sia per recuperare un po’

di costi per la “nuova” piazza Statuto che in parte dovrebbe essere adibita a parcheggio?!

“Possedere un’auto elettrica o ibrida, premia perché si partecipa alla riduzione dell’inquinamento. A Thiene (omissis) il servizio è gratuito“ (da www.comune. thiene.vi.it). E dovrebbe essere così, anche se in verità per una zona più ristretta, ma Thiene è anche meno estesa di Schio. Si parla tanto di ridurre l’inquinamento soprattutto in centro ed ecco “il premio”: a Schio il costo più che raddoppiato, altro che gratis! Non ho parole.

Ottorino Orizzonte

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