Il Piccolo Giornale di Cremona

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Cronaca

Venerdì 12 Dicembre 2008

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Il Tar di Brescia accoglie parte del ricorso delle associazioni ambientaliste e richiede la Via

Ampliamento Arvedi: documenti da rifare

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occia fredda per l'Acciaieria Arvedi, dopo lo stop del Tar di Brescia che ha accolto parte del ricorso contro la decisione della Regione di escludere il raddoppio della acciaieria dalla Valutazione di impatto ambientale (la cosiddetta Via). Una decisione che suscita clamore a Cremona. Ma la reazione della Società è ferma e tranquilla: impugnerà la

comitati ambientalisti annullando così i decreti n.5155/2006 e 14.12.2007 n.15880 della Regione Lombardia sotto il profilo della carenza o insufficienza della motivazione là ove hanno escluso la necessità di Verifica dell’Impatto Ambientale (Via) per il progetto di ampliamento di un impianto per la produzione e la lavorazione dell’acciaio nei Comuni di Cremona e Spinadesco» fa sapere lo studio legale di Arvedi.

L'acciaieria Arvedi

sentenza e chiederà alla Regione di rimediare alla carenza istruttoria. «Abbiamo avuto notizia che il Tar di Brescia ha accolto parzialmente, decidendo sui ricorsi riuniti di cui la stampa ha dato a suo tempo notizia, il ricorso n.1425/06 dei

«Al di là che la società si riserva di effettuare una immediata impugnazione della sentenza, si tratta comunque di una carenza di istruttoria al quale la Regione Lombardia rimedierà confidiamo al più presto. Il Tar ha respinto invece tutti gli altri numerosi mo-

tivi su cui si fondavano i ricorsi riuniti». Il raddoppio dell'acciaieria coinvolge in parte il territorio di Cremona e in parte il comune di Spinadesco. L'intervento prevede la costruzione di nuovi fabbricati adiacenti agli esistenti, la demolizione di un altro vecchio fabbricato, l'installazione di un nuovo forno fusorio, l'installazione di due forni per leghe di ferro, la realizzazione di un nuovo laminatorio, l'installazione di un nuovo impianto di abbattimento polveri per i nuovi forni, il miglioramento dell'impianto abbattimento fumi già esistente e l'integrazione con il nuovo, il rifacimento dell'impianto di trattamento delle acque di processo, la realizzazione di una vasca di raccolta acque (con impianto di trattamento delle stesse), la riorganizzazione della viabilità si stabilimento, la realizzazione di un deposito temporaneo di rifiuti e la realizzazione di un bosco filtro verso Spinadesco. In questo modo la capacità produttiva dell'azienda passerebbe da 900mila a 2 milioni e 400mila tonnellate annue. Un lavoro notevole, per il quale la Regione ha deciso di escludere la necessità del Via. Ed è su questo che è partito il primo ricorso, a cui ne sono seguiti altri, tra cui quello relativo ai permessi di costruire rilasciati dal comune di Cremona. Ciò perché tali per-

messi sarebbero stati illegittimi per derivazione, mancando appunto il Via. Ed è questo un altro dei punti che infatti il Tar ha accolto. Secondo il Tar: «Il cittadino residente nelle vicinanze del luogo nel quale deve sorgere una data opera ha interesse, in quanto titolare di una posizione giuridica differenziata rispetto alla collettività di appartenenza, ad impugnare la delibera di approvazione del relativo progetto». Per quanto riguarda la questione della Via, secondo il Tar è necessaria perché le documentazioni prodotte non sono sufficienti, e «non si dice cosa accadrà dei livelli di emissioni e di consumi attuali, dato che la tecnologia meno inquinante è utilizzata sì, ma per aumentare la produzione complessiva». Il Tar si chiede inoltre quale impatto avrebbe questo intervento sull'area del Parco del PoMorbasco e al reticolo delle acque. Altra cosa che non viene specificata, secondo il Tar, è l'impatto sul traffico automobilistico delle zone di residenza adiacenti l'acciaieria. Infine il Tar si chiede perché l'ampliamento di uno stabilimento che sorge in una zona di elevato rischio di incidente industriale, a causa della presenza di determinati impianti «non comporterebbe alcun significativo aumento del rischio ambientale derivato da tali impianti».

Omicidio all'edicola, ancora un rinvio per la sentenza

Avrebbe dovuto essere pronunciata giovedì la sentenza nei confronti di Fabio Montagna, 50 anni, l'edicolante di via Ghinaglia accusato di omicidio colposo, ma dopo aver sentito un testimone, il giudice per l'udienza preliminare Marco Cucchetto ha rinviato le conclusioni del processo, celebrato con il rito abbreviato, al 29 gennaio prossimo. Il teste sentito era uno dei poliziotti della Questura intervenuto immediatamente dopo i fatti, l'unico ad aver maneggiato l'arma dopo che aveva sparato. Montagna è accusato di aver ucciso accidentalmente il suo clienteamico Napoleone Borroni, 70 anni. Il colpo di pistola era stato esploso la mattina di venerdì 15 febbraio. Borroni, residente in via Ghinaglia 37, come tutte le mattine, dopo una sosta al bar, aveva raggiunto il suo amico edicolante per fare quattro chiacchiere. Montagna aveva mostrato all'amico la sua pistola. Improvvisamente era partito il colpo che aveva prima ferito e poi ucciso il 70enne alla testa. L'edicolante aveva la detenzione regolare dell'arma circoscritta solo all'interno

della propria abitazione, non poteva quindi portarla in edicola o altrove. Il poliziotto, con in mano il 357 Magnum di Montagna, ha mostrato in aula il funzionamento della pistola, suscitando perplessità nella difesa, rappresentata dall'avvocato Luca Curatti. «Abbiamo preso atto delle dichiarazioni del testimone, ma, a parte questo, in mano non abbiamo altri riscontri, ci è stata negata dal giudice la richiesta di effettuare una perizia balistica e ancora non si è capito la presenza di quel famoso proiettile ritrovato all'esterno del'edicola». La moglie e la figlia della vittima, presenti in Tribunale, si sono costituite parte civile. Anche Montagna era presente, ma non ha reso dichiarazioni spontanee. «Non era il giorno giusto», ha detto Curatti. «Il mio cliente era molto provato, soprattutto dopo aver rivisto la sua pistola e aver rivissuto quei momenti terribili». Ora Montagna sta usufruendo della misura dell'obbligo di dimora. «Durante il giorno», ha concluso l'avvocato, «lavora in edicola ed aiuta la moglie; la sera, invece ha un vincolo di orario per cui deve rimanere in casa». sp

Indiano ucciso, parla la moglie dell'imputato: «Non avevo una relazione con la vittima» Ha negato fermamente di avere avuto una relazione sentimentale con la vittima, dicendosi anche seccata per le falsità dette su di lei. E' quanto affermato in aula di tribunale da Kaur, moglie dell'imputato e testimone chiave del processo sul delitto di Olmeneta celebrato nell'aula della corte d'assise del Tribunale di Cremona. Balwinder Singh, 38 anni, è accusato di aver assassinato e fatto a pezzi il fratello Sukhwinder, 29 anni, i cui resti furono trovati il 18 luglio del 2006 nell'ex casello ferroviario di Olmeneta. Davanti alla corte, presieduta da Carlo Grillo, tra i testimoni, c'era anche lei, la moglie di Balwinder, che, aiutata dall'interprete indiano, ha risposto alle domande dell'accusa, rappresentata dal pm Cinzia Piccioni, e degli avvocati

della difesa Simona Bracchi e Marco Gamba. Kaur ha detto di essersi sposata in India nel 1997 e di aver conosciuto solo in quell'occasione il cognato. Nel 1998, poi, l'arrivo in Italia e la nascita dei suoi due figli. «Non ho mai avuto una relazione con Sukhwinder», ha spiegato la donna. «Lui voleva sposarsi con mia sorella, ma io non volevo perché era sempre ubriaco». Per un periodo la vittima aveva vissuto in casa con il fratello e la cognata, poi aveva deciso di andare a vivere da solo. Per l'accusa, invece, la presunta relazione sentimentale tra i due indiani avrebbe scatenato l'odio del'imputato verso il fratello e il desiderio di vendetta culminato con la sua uccisione. Sia l'accusa che la difesa hanno anche

cercato di far luce sulle usanze indiane in fatto di adulterio, ma tra i testimoni è emersa una certa tolleranza. Giovedì è stato sentito come teste anche uno dei tre ragazzi che scoprirono i resti. «Abbiamo visto un cunicolo con l'erba alta e con un tratto di erba abbassata, come se ci fosse stato qualcuno», ha detto il giovane, 22 anni, di Olmeneta. «Le ossa erano tutte ammucchiate all'interno del casolare, nel sottoscala. Il mio amico si è tolto la canottiera e ha spostato i cocci, mentre noi facevamo luce con il cellulare. Eravamo molto spaventati». Furono i ragazzi a chiamare i carabinieri. A domanda, il testimone ha negato di avere fatto delle fotografie ai resti. L'indagine dei carabinieri di Cremona e dei Ris di Parma aveva permesso

L'imputato viene portato in aula

di acquisire nuovi elementi nei confronti dell'indiano che fu nuovamente arrestato e condotto in carcere dove si trova attualmente rinchiuso. Nel baga-

gliaio della Brava grigio scura di Balwinder, che ha sempre negato ogni responsabilità, furono rinvenute tracce di sangue del fratello riconducibili all'omicidio. Ma l'arma del delitto non fu mai trovata. Per gli avvocati Simona Bracchi e Marco Gamba, difensori dell'imputato, sempre presente in aula, si sarebbe invece trattato di un regolamento di conti all'interno della comunità indiana. «Può anche darsi che la macchina sia stata veramente usata per il trasporto del cadavere» ha detto la Bracchi, «ma bisogna anche tenere presente che Balwinder era solito lasciare le chiavi all'interno. E' quindi possibile che qualcun altro possa averla utilizzata». La prossima udienza è stata fissata a giovedì prossimo. sp


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