PrimaVera Gioia OTT 2013 - N.13

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i siete mai chiesti se esista una formula magica per rendere l’impossibile possibile? Ultimamente le cose stanno cambiando velocemente. La scalata al successo esiste: tutti noi abbiamo la possibilità di rendere i nostri sogni realtà! Ma forse sto dimenticando una cosa importante. La famosa “raccomandazione”. Questo è l’ingrediente magico che rende possibile tutti i nostri sogni. Purtroppo pochi hanno una zia impegnata politicamente o le giuste conoscenze. Per la maggior parte di noi ragazzi non resta che studiare e ancora studiare. Magari dopo la seconda laurea prendere un master per poi continuare a studiare. Insomma, arrivi a 30 anni che stai ancora a casa dai tuoi genitori, in cerca di lavoro. In questi anni di continua “formazione” mi sono imbattuta in un interessante articolo pubblicato sulla “Stampa” (ahimè, nella vita bisogna leggere un po’ di tutto) dove veniva descritta una ricerca condotta dalla Yale University. Sintetizzando, essa sostiene che la passione politica impedisce al cervello di funzionare correttamente, tanto da far sbagliare le più semplici operazioni aritmetiche se il risultato contraddice le proprie convinzioni. Mi sono sempre chiesta perché quando si parla di politica o di calcio la gente tenda a perdere la lucidità. Per quanto riguarda il calcio, la risposta è facile: è un sistema basato sull’emotività e strutturato volutamente per produrre polemiche, gioie effimere e sentimenti di rancore. Per esempio, sono stati inventati mille metodi per ridurre la discrezionalità dell’arbitro, ma non verranno mai applicati perché l’errore del fischietto di turno fa parte del gioco. Ma la politica? Se Berlusconi annuncia la milionesima discesa in campo promettendo libertà, felicità e riduzione delle tasse, la gente continuerà a credere alle sue parole nonostante i risultati sotto gli occhi di tutti dei suoi governi precedenti. Per chi è berlusconiano le sue parole valgono più dei fatti. Idem per il fronte avverso. Non sto parlando degli allocchi, che pure ci sono, e neppure di chi ha interessi più o meno legali da difendere. Sto facendo riferi-

INDICE 3 Ouverture 4 Nomine e Spes 6 Divorzio all’italiana 8 Polo turistico integrato 10 Concrete Jungle 12 Smart City 15 Comitati di quartiere 16 Piano triennale 18 Il borgo di Federico 20 L’informazione 22 Tempi di vendemmia 23 Nuove imprese 24 Inclusione sociale 25 Isabella Capozzi 26 Diario della Biennale 26 PrimaComics

mento alla ricerca riportata dalla Stampa. L’esperimento condotto dagli scienziati americani è illuminante. Due gruppi di persone sono state messe di fronte a una facile tavola numerica. Il primo gruppo doveva interpretarla sulla base di domande a proposito di creme per la pelle, mentre l’argomento del secondo gruppo era sulla questione del porto d’armi (tematica politicamente molto sensibile negli Stati Uniti). Bene. I primi hanno azzeccato tutti i calcoli. I secondi sbagliavano inconsciamente le operazioni più banali, pur di non arrivare a conclusioni contraddittorie rispetto alle proprie idee politiche. Insomma, stando ai risultati di quella ricerca chi ha passioni politica mette in standby il cervello. Non è stupida o ignorante, ma per la nostra materia grigia la verità, la realtà, i fatti non contano quanto le opinioni, le ideologie, i pregiudizi. E così due più due può fare tranquillamente tre o cinque, pur di affermare ciò in cui si crede. Ecco forse perché i conti pubblici non tornano mai, e tra Imu, Iva e rapporto deficit/Pil i miliardi vanno e vengono come noccioline. Il problema è uno. I politici di oggi sono sempre poco formati e troppo raccomandati! PrimaVera Gioia 3


NOMINE E SPES,

male, sta facendo parlare di sé (vedesi CE.R.IN., Lama San Giorgio, Zone F…). Per quanto riguarda la Giunta, i componenti, a mo’ di pedine hanno riottenuto una nuova allocazione all’interno della scacchiera amministrativa. Nel giro di pochi mesi, l’avvocato Colapinto completa la sua scalata agli incarichi prima entrando in consiglio comunale per sostituire Erasmo Mancino, poi in assessorato con la delega allo sport (detenuta da Donvito), alle politiche giovanili, all’edilizia pubblica, al recupero e al decoro urbano, rimossi all’assessore Masi, il quale a sua volta è stato premiato con la delega alla mobilità sostenibile e alle aziende ed energia, quest’ultima appartenuta al dimissionario Ventaglini. A questo punto, il posto lasciato vuoto in consiglio comunale da Colapinto dovrebbe essere ricoperto dal primo dei non eletti dell’UDC che, dopo Colapinto, corrisponde a Dongiovanni.

ecco il quadro attuale Filippo Linzalata |

/ filippo.linzalata

L Lo scorso 1 ottobre, in seguito a convocazione straordinaria, si è tenuto il Consiglio comunale che in tanti attendevano. In primis per dare corpo a quel chiacchiericcio che i social network e le testate giornalistiche, locali e non, hanno evocato in occasione della comunicazione della nomina di Vicesindaco e poi per avere maggiori informazioni sul quinto punto all’ordine del giorno relativo al decreto legge n.95, convertito in legge, riguardante la dismissione o vendita di società partecipate pubbliche, nel caso specifico della S.P.E.S. Gioia S.P.A. Dopo la burrascosa estate politica che ha visto capitolare in un sol colpo il Vicesindaco Franco Ventaglini e il Consigliere Erasmo Mancino, entrambi appartenenti all’Unione Di Centro, torna in auge la questione nomine degli incarichi scoperti. Il ”totocandidato“ alla carica di Vicesindaco ha fatto incetta di nomi celebri, molti dei quali delusi dall’ultima tornata elettorale, creando spaccature all’interno dei partiti di maggioranza, pretendenti il ruolo di Vice Povia. Tra questi i più gettonati sono stati Dongiovanni (UDC, 212 voti) e addirittura lo stesso Ventaglini, da confermare qualora si fosse accertata la sua estraneità ai fatti di cui è indagato. Eppure a spuntarla è stato l’Assessore ai servizi sociali, comunicazione istituzionale, urp e sport, Filippo Donvito. Il futurista, che nel 2008 si era candidato nella lista civica Gioia Oggi, uscendo dalla bagarre per il posto di amministratore della città al primo turno elettorale, è stato nominato con decreto n. 7 del 24 settembre 2013, ed è considerato nell’ultimo periodo, come uno dei pochi fedelissimi di questa giunta, che, tanto e 4 PrimaVera Gioia

A seguito della comunicazione dell’insediamento del nuovo vicesindaco, tanti sono stati gli attestati di stima e gli auguri più sentiti convergenti da maggioranza e opposizione. Il presidente Bradascio si è calato addirittura in veste poetica recitando i seguenti versi, che nulla hanno da invidiare alle terzine incatenate dal Dante nazionale o al Proemio dell’Iliade: “Donati//Dotati di un//bel paio di//scarpe da ginnastica//per correre il più velocemente possibile//per correre il più assiduamente possibile”. Nonostante l’emozione della platea per la “filastrocca bradasciana”, quando tutti ormai avevano immaginato il Donvito, agghindato come un atleta di Gioia Running, andare a tagliare il traguardo con quel sottofondo musicale che fu la colonna sonora del film “Momenti di gloria”, sarebbe stato opportuno che il neo-vicesindaco al posto delle scarpe da ginnastica si fosse munito di uno scaramantico cornetto rosso da sfregare ad ogni augurio ricevuto, dato che la sua corsa è stata bruscamente arrestata ai blocchi di partenza rovinando in malo modo sul pavimento, cadendo dalla sedia di vicesindaco. La tribuna in festa fa le valutazioni del caso: “E’ stato Ventaglini!”, “No, il PD!”, “E’ già caduto?”, “Fatelo sedere, per Dio!”. Questo aneddoto ha stemperato un clima già appesantito dalle


numerose querelle che hanno preceduto la seduta in discussione, con la delibera da parte del coordinamento del circolo del Partito Democratico “Franco Giannico” comunicante l’uscita dalla maggioranza di governo e dall’attuale amministrazione, richiamando “i propri consiglieri comunali e i propri rappresentanti in giunta al consueto rispetto delle decisioni assunte” in virtù di una mancanza di “collegialità e trasparenza” nella azioni e decisioni del primo cittadino.

Stando alle carte quindi, si poteva presagire la possibilità di far cadere la giunta Povia con conseguenti assunzioni di responsabilità, come ha evidenziato il segretario provinciale del PD nonostante la piena autonomia del circolo cittadino. Evidentemente, tale autonomia, non è bastata, dato che il gruppo consiliare (Giannico, Masi, De Giorgi) assieme al capogruppo Ludovico hanno tirato fuori metaforicamente l’asso dalla manica o, per meglio dire, la letterina dalla tasca. Se questo fosse stato un film, avremmo potuto immaginare una di quelle scene tipiche, ripercorrendo la sequenza in cui il primo piano della camera cade sulla mano del protagonista che si insinua in maniera lenta e carica di pathos nell’interno della giacchetta. Lo spettatore sa già che da lì sotto spunterà un arma da fuoco, estratta dalla tasca interna, pronta a sparare il colpo. Tornando alla nostra realtà, Ludovico estrae un foglietto di carta bianca spiegazzata e spara. Spara il suo colpo. Una missiva indirizzata a Michele “ostriche e champagne” Emiliano, Sergio Blasi e Vito Antonacci, rispettivamente presidente, segretario regionale e segretario provinciale del Partito Democratico, finalizzata a chiedere alle cariche democratiche di punta della regione un netto “ce ama fa?”. La decisione del coordinamento che doveva incendiare la sala consiliare è stata, ad onor del vero, delegittimata e, a detta di altri, addirittura sbeffeggiata. Comportamento per di più giustificato dall’improvvisamente apartitico Tisci che rivela come il “fil Rouge” della vicenda sia racchiuso nell’articolo 5 del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale, che qui riportiamo: Art. 5 - Divieto di mandato imperativo

1. Ogni consigliere comunale rappresenta la comunità ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. 2. Nell’adempimento delle funzioni connesse alla carica elettiva egli ha pertanto piena libertà d’iniziativa, di opinione e di voto. Interpretando il tutto con una totale normalità nella presenza di cariche politiche rifacenti al partito di provenienza, di cui però si hanno pareri diversi. Per la serie: il parere e la linea politica di chi ci ha sostenuto può valere fuori, in consiglio comunale può andare tranquillamente andare a farsi benedire. A complicare il tutto, un altra gatta da pelare. Vi è stata la richiesta di convocazione di consiglio comunale da parte dei consiglieri di opposizione (Vasco escluso) avente come oggetto “Mozione di sfiducia nei confronti della giunta comunale ex art. 27 comma 3 e 4 dello statuto comunale” in cui avverrà l’interpello nominale dei consiglieri tutti per accertare la presenza di una maggioranza politica a sostegno dell’attuale amministrazione che, privata della fiducia dei consiglieri Ludovico e Giannico, sarebbe destinata al capolinea. A detta di Donvito si è trattato di una nomina che non è stata rivendicata né da lui ne dal partito a cui fa riferimento, Gioia Futura, accettata per una questione di onore, proponendosi come garante della cosa pubblica e smentendo definitivamente la possibilità di essere “l’uomo dei si” incondizionati nei confronti dell’amministrazione. Al tempo stesso ha denunciato una sorta di fastidio nei confronti di quanti hanno sostenuto che la scelta amministrativa della sua nomina potesse essere correlata all’uscita dalla maggioranza da parte del PD, che invece ha dichiarato la massima stima nei confronti del neo vicesindaco reclamando però la modalità inusuale con cui si era giunti alla nomina di Donvito e in quella sorta di “furbata”, poi ritirata, che vedeva il reintegro dell’indagato Ventaglini, nel “sistema” di palazzo San Domenico, con un ruolo nuovo all’interno dello “staff personale” del sindaco.

U Una volta esaurito il punto riguardante la nomina del vicesindaco, e dopo aver assistito ai numerosi battibecchi tra cane e gatto, Povia e Vasco, la discussione, che poi non si è rivelata tale, è stata incentrata sulla situazione della S.P.E.S. a seguito della richiesta della conferenza dei capigruppo. La conversione in legge del decreto emanato dal governo n.95/2012 per la revisione della spesa pubblica, porta all’applicazione dell’art.4 “Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche” intervenendo con modalità restrittive in materia di società partecipate, direttamente e indirettamente, dalle P.A. e nel caso specifico della azienda locale responsabile del servizio di igiene urbana e dei servizi strutturali. Presente in aula il dottor Mancazzo, presidente della S.P.E.S. S.p.A., ex municipalizzata che, ricordiamo, presenta quote del 80.49% appartenenti al Comune di Gioia del Colle e del 19.51% PrimaVera Gioia 5


DIVORZIO A Dario Magistro |

/ Dario.Magistro223

Come avrebbe detto Graucho Marx, “Il matrimonio è la causa principale del divorzio!”.

appartenenti alla ACAM S.p.A di La Spezia. Il quadro fornito da Mancazzo è fatto di luci e ombre: il buco di 2MLN di euro è stato estinto in parte con 1 MLN proveniente da avanzo di amministrazione 2008; i bilanci 2010/2011 sono negativi e prevedevano un fondo di svalutazione dei crediti vantato nei confronti del Comune; per i rifiuti si è passati dal 2008 al 2012 da 48 euro a tonnellata per il conferimento in discarica a 127 euro a tonnellata; il contratto per il verde pubblico stipulato nel 2007 risultava totalmente inadeguato tanto da non riuscire neanche a coprire i costi del personale. Riguardo al passato della S.P.E.S., il presidente Mancazzo preferisce stendere un velo pietoso poiché trattasi di una conduzione fallace sotto un profilo contabile, economicofinanziario, gestionale e del personale (straordinari, assegni una tantum); una situazione al limite con la dichiarazione di fallimento come da obbligo per un organo amministrativo qualora si verificasse una situazione di insolvenza. Oggi, tutti i pagamenti vengono effettuati dopo il suo consenso, così come per le ferie e gli straordinari. Studiare i bilanci precedenti potrebbe essere addirittura pericoloso, non c’era una centrale di gestione, un budget, un centro costi e nessuno in azienda sapeva effettivamente quanto un servizio costasse, così i servizi avevano un costo e i corrispettivi riconosciuti dal comune erano meno della metà. Il controllo di verifica dei crediti nei confronti del comune ha rilevato un importo di gran lunga superiore ai 2 MLN e 47 mila euro, e gran parte di questi erano però inesistenti poiché provenivano da crediti accesi, denominati “CLIENTI FATTURE DA EMETTERE”. Pur di contenere la perdita degli esercizi 2008-2011 venivano iscritti ricavi risultati inesistenti, e da qui la necessità di rinegoziare i corrispettivi almeno fino alla copertura dei servizi effettivi. Negli anni passati, invece, la prassi era arrivare a un risultato di perdita a cui si rispondeva stanziando dei ricavi per contenere la perdita di esercizio. Attualmente la S.P.E.S., a detta del suo presidente, è una società virtuosa che merita di essere tenuta in piedi anche per garantire una continuità lavorativa ai suoi 50 dipendenti. E’ già pronto un piano industriale, e in attesa delle decisioni dell’ARO si sta pensando di fondare un consorzio assieme al comune di Acquaviva delle Fonti che sia privo di quei profili che hanno condizionato la storia della S.P.E.S. ¿ 6 PrimaVera Gioia

A tal proposito, quello celebrato tra Povia e il PD in data 5 Marzo (giorno in cui il partito ha abbandonato ufficialmente l’idea di concorrere alle primarie), aveva le sembianze di un rapporto dovuto più che realmente voluto. Se da un lato vi era imbarazzo per doversi sedere al fianco di chi, sino a pochi mesi prima, rappresentava la nemica maggioranza (Tisci, Bradascio, Antonicelli su tutti), dall’altro l’arroganza politica dei comunicati firmati “U.D.C.”, nei quali si affermava già da dicembre “la proprietà” del candidato Povia, non agevolava di certo un clima di discussione tra realtà ben distinte e definite tra loro. Ma si sa, gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore! Così tra malcelati sensi d’opportunità, all’interno del PD, la corrente dei “portatori di voto” iniziò a tracciare la linea da seguire, riassumibile in un semplicistico “Quest’anno si deve vincere…a prescindere da tutto!”. A quanto pare, a prescindere anche dalla stessa dignità. L’idea di essere dei semplici soldatini alla mercé dell’asse Povia – Ventaglini, più che non entusiasmare, disgustava i più; senza voler entrare nello specifico delle dinamiche, da qui prendevano vita sia l’uscita di Cuscito sia la formazione di un gruppo di dissidenti all’interno del quadro dirigenziale locale (mantenuto anche in quest’ultima segreteria Valletta). In questi due anni il rapporto non è mai decollato e i primi indizi di una “relazione” ormai logora si sono avuti quando la navigazione a vista (o per rotte ben tracciate secondo altri) su temi come C.E.R.I.N., di-


ALL’ITALIANA rigenze e zone F (per citare le più note), ha provocato l’uscita dalla maggioranza del consigliere Giovanni Vasco. Ad increspare ancor di più le onde di questo burrascoso rapporto, vi è stata la nota vicenda degli arresti del sopra-citato Ventaglini e di Erasmo Mancino, membri di spicco dell’attuale maggioranza. A più riprese e con numerosi documenti ufficiali, il PD ha chiesto al sindaco Povia una maggiore trasparenza negli atti e negli indirizzi, nonché il rispetto dovuto a quel partito che, con i suoi 2.593 voti, gli ha permesso di sedersi sullo scranno di Palazzo San Domenico. In tutta risposta e imitando malamente una sorta di Senato sine consilio, il Sindaco, senza interpellare il PD, ha nominato dapprima Filippo Donvito quale vicesindaco e, contestualmente anche il reintegro di Ventaglini come “Capo dello Staff personale del Sindaco”. Due situazioni del tutto intollerabili per la dirigenza locale del Partito Democratico. Il resto è storia nota. A seguito del coordinamento del 26 settembre, con un documento ufficiale, il PD esce dalla maggioranza. Tutto ciò apre molteplici scenari dinanzi ai nostri occhi; tutti, però, conseguenti alle decisioni delle “istituzioni comunali” del partito stesso. Va da sé che questi ultimi, da tesserati PD, dovrebbero seguire (magari sposare…) le decisioni del partito di appartenenza; se ciò non avvenisse, dovrebbero quantomeno prenderne le distanze o rimanere in carica a titolo personale. Ma Gioia del Colle, paese colmo di stranezze, molto probabilmente sarà protagonista di un altro scenario, una sorta di “terza via”: consiglieri ed assessori rimarranno al proprio posto, garantendo i cosiddetti “numeri” per il prosieguo del governo Povia, e allo stesso tempo, non lasciando il partito, attenderanno il prossimo congresso per compattarsi in un’unica corrente e mettere in minoranza gli attuali “dissidenti” del coordinamento (12 su 20). Se questo scenario dovesse concretizzarsi, sarebbe l’esempio di come al giorno d’oggi la politica è governata unicamente dagli interessi personali… o, per usare un termine caro a Povia, da specifici sistemi.¿

Pubblichiamo una parte del documento politico del circolo PD Franco Giannico riguardo il confronto con il Sindaco. Qui la versione completa >

“Il circolo del Pd gioiese, consapevole di avere avviato un percorso di discussione programmatica e di verifica politica, prende atto della ritrovata disponibilità mostrata dal Sindaco Povia nell’incontro bilaterale che si è tenuto giovedì 18 luglio scorso. Durante l’incontro si è apertamente argomentato sui dieci punti elencati nell’ultimo documento politico del Pd, trovando le giuste mediazioni in una lettera di risposta inviata qualche giorno dopo dallo stesso Povia. Nella lettera si esprime la volontà di avviare un confronto politico e programmatico comune “avendo come bussola il merito dei problemi da risolvere”. Ciò premesso, non possono i punti programmatici, seppure accolti, essere definiti come mera enunciazione di principio ma resta indispensabile indicare delle modalità operative e tempistiche per tramutarli in azioni politiche. Prima di tutto, si considera non più rinviabile la redistribuzione delle deleghe, nonché la nomina del vicesindaco e del posto di assessore lasciato vacante. Il partito chiede al Sindaco e alla maggioranza la nomina, entro 15 giorni, di una persona competente, di valore e qualità innegabile, condizioni indispensabili per restituire energia e il giusto ricambio dopo gli avvenimenti accaduti. Inoltre ritiene che l’assegnazione della carica di Vice Sindaco vada attribuita al PD, quale partito di maggioranza relativa. Entro la fine dell’estate è necessario avviare l’adozione del Piano Triennale Anticorruzione, attraverso un previo coinvolgimento dell’associazionismo e delle forze sindacali. Il Pd collaborerà attivamente per una proposta del Piano stesso. Nel mese di settembre occorre riprendere l’iter del PUG con la seconda conferenza territoriale di programma. In contemporanea ci sembra opportuno avviare criteri di discontinuità con l’attuale gestione dell’UTC. Nello stesso tempo si deve avviare una ricognizione puntuale della Pianta organica del Comune per operare, ove possibile, la rotazione del personale. ...” PrimaVera Gioia 7


pubblico. Le parole pronunciate recentemente da Papa Francesco a Cagliari ci si augura possano scuotere le coscienze: “Senza lavoro non c’è dignità, serve solidarietà. Non è un problema solo dell’Italia, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, che ha al centro un idolo che si chiama denaro”.

UN POLO TURISTICO INTEGRATO A GIOIA DEL COLLE PRIMA PARTE Vanni La Guardia |

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/ vanni.laguardia

Recenti dati diffusi dall’Istat sono impietosi: tra il 2010 e il 2013 un milione di giovani al di sotto dei 35 anni d’età ha perso il lavoro (nel dettaglio, gli occupati sono passati da 6,3 a 5,3 milioni). Tra i 25 e i 34 anni d’età, al Sud è occupato solo il 51% degli uomini e il 33,3% delle donne. Le motivazioni gravitano tutte intorno alla perdurante crisi economica: da una parte, la stretta all’accesso alla pensione ritarda l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, dall’altra il blocco del turn over congela le assunzioni, sia nel privato, che nel 8 PrimaVera Gioia

Sempre più spesso si sente parlare di “lavoro da inventare”, facendo rete e così determinando quella solidarietà che, rifacendoci ancora alle parole del Papa, risuona come unica vera “minaccia contro l’idolo denaro, perché lo relativizza e rifiuta la sottomissione della persona”. Assodato dunque che l’etica dovrebbe essere l’anima della dignità del lavoro dell’artista e dell’imprenditore, dell’operaio e dell’impiegato, del libero professionista e del giornalista, il concetto di rete deve necessariamente fare i conti non solo con le risorse umane che lo sostanziano, ma anche con lo spazio/tempo in cui le persone si muovono e decidono di spendere le proprie competenze. Questa piccola inchiesta nasce per essere al servizio sia degli intervistati, che dei lettori. L’idea è scaturita da una serie di feedback raccolti negli ultimi mesi e riecheggianti tra i dati sulla disoccupazione giovanile snocciolati in apertura e quelli forniti da una recente analisi della Coldiretti presentata in occasione dell’apertura della Borsa Internazionale del Turismo 2011, la quale ha innanzitutto evidenziato che la vacanza all’insegna dei sapori regionali è l’unico segmento in costante crescita nel panorama dell’offerta turistica nazionale, con il raddoppio dei viaggi nel corso del 2010. Vale cinque miliardi e si conferma il vero motore della vacanza “made in Italy”. Secondo il Presidente di Terranostra Puglia, Carlo Barnaba, “l’imprenditore agrituristico è il promotore non solo della sua attività, ma di tutto il territorio, della cultura e degli stessi prodotti locali della regione”. Molto significativo, ai fini della nostra analisi, è il dato che il successo di una vacanza oggi dipende dal cibo (35%), seguito al secondo posto proprio dalla visita a musei e mostre (29%). In Puglia sono 450.000 le presenze annue registrate nelle aziende agrituristiche, con un volume d’affari di 15 milioni di euro. Si tratta di cifre considerevoli, se si pensa che le strutture attive sono poco più di 300 (numero cresciuto in termini assoluti dello 0,8% di quelle dedite alla ristorazione, del 21,4% di quelle dedite alla degustazione e del 5,6% di quelle con alloggi). “Il turismo enogastronomico è il vero traino dell’economia turistica pugliese - commenta Pietro Salcuni, Presidente della Coldiretti Puglia - caratterizzato da 5 milioni di ulivi pluricentenari, 231 prodotti riconosciuti tradizionali dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), 8 prodotti DOP (5 oli extravergini, il Pane di Altamura, il canestrato pugliese e l’oliva Bella di Cerignola) e 29 vini DOC, oltre alle più belle masserie d’Italia. L’offerta di attività ricreative e culturali è


aumentata nel corso degli ultimi anni, rispettivamente del 26,5 e del 22,4%”. Restringendo la nostra analisi dal piano regionale a quello locale, ci si chiede: sarà mai possibile costituire a Gioia del Colle, cittadina strategicamente situata tra le Province di Bari, Taranto e Matera, un polo turistico integrato che faccia rete tra persone (associazioni che operano nel territorio, da un lato; strutture ricettive/ristoratrici e agenzie di viaggio, dall’altro), aziende del prodotto enogastronomico tipico (dal vino primitivo, ai prodotti caseari, senza dimenticare olio e pasta d’eccellenza) e luoghi di interesse archeologico/ambientale (dal Castello normanno-svevo, alla Chiesa Madre, dalla zona archeologica di Monte Sannace, alla Grotta dei Coralli, dagli incantevoli Archi del centro storico, al Teatro Rossini, dalle splendide Masserie della nostra Murgia venata di muretti a secco, ai boschi Romanazzi, per non parlare della vicenda del Sergente Romano e della leggenda di Bianca Lancia)? Abbiamo raccolto il punto di vista della Pro Loco di Gioia del Colle, del GAL (Gruppo d’ Azione Locale) “Terra dei Trulli e di Barsento”, dell’associazione Ombre e delle associazioni WWF Gioia-Acquaviva-Santeramo, Petali di Pietra, Meridiana, Collettivo Culturale, Officine Fotografiche (queste ultime cinque già artefici di un importante lavoro di coordinamento che ha generato il portale turistico visitgioia.it). Considerata la mole del materiale raccolto, in base alle battute assegnate, siamo stati costretti a “spezzettare” questa inchiesta in 3 parti, che verranno pubblicate rispettivamente nei numeri di ottobre, novembre, dicembre. Iniziamo col riportare il contributo di Stefano Genco, Presidente del GAL “Terra dei Trulli e di Barsento”. Quali sono le criticità e punti di forza dell’ambiente in cui operate? Le criticità del territorio in cui opera il GAL sono determinate dalla difficoltà di concretizzare sinergie fra i diversi soggetti che operano (imprese, associazioni, amministrazioni). E’ noto che coordinare i diversi soggetti (soprattutto imprese) e costituire imprese associate, rappresenta uno dei nodi da sciogliere per affrontare con maggiore forza il mercato e per incrementare il valore aggiunto alla produzione. Le difficoltà finanziarie attuali acuiscono queste criticità e influiscono negativamente anche sulla disponibilità di risorse finanziarie per investimenti finalizzati alla ristrutturazione di beni e all’innovazione tecnologica. Si rileva che nei Comuni del territorio del GAL (Alberobello, Castellana Grotte, Gioia del Colle, Noci, Putignano, Sammichele di Bari, Turi) per quanto riguarda la ricettività, vi sono territori ben dotati (per es. Alberobello) e territori sottodotati (per es. Putignano, Turi e Sammichele di Bari); mentre in altri Comuni si stanno determinando interessanti condizioni di crescita (per es. Gioia del Colle). La difficoltà di aggregazione fra imprese frena anche le potenzialità (quindi i punti di forza) connesse alla valorizzazione della tipicità di alcuni prodotti agroalimentari (vedi Treccia della Murgia ed altri prodotti lattiero – caseari, zampina di Sammichele

di Bari, vino DOC di Gioia del Colle, olio extra vergine di oliva DOP, dolci tipici come la Faldacchea di Turi, ecc…) e alla fruizione di beni storici, artistici e culturali. Quali sono le criticità e i punti di forza del GAL? Le criticità del GAL sono legate soprattutto alla risposta di cui alla precedente domanda. Gli sforzi che si compiono quotidianamente per cercare di aggregare i soggetti che operano sul territorio sono scarsamente ripagati e, in alcuni casi, si è anche determinata una limitata partecipazione alle iniziative poste in essere per mettere a disposizione risorse finanziarie pubbliche per investimenti da parte di imprese artigiane, commerciali e sociali. Qualche spiraglio si avverte con l’attuazione di progetti di cooperazione interterritoriale e transnazionale, che prevedono aggregazione e condivisione di obiettivi fra GAL nazionali ed europei e con la realizzazione di progetti di coordinamento fra diversi GAL, come è avvenuto in attuazione del progetto “ciliegia di terra di Bari”, che ha visto una positiva collaborazione fra quattro GAL e una interessante ricaduta sulle imprese (con incremento del valore aggiunto alla produzione) e sui consumatori (che hanno usufruito di un prezzo di acquisto più basso). Quali proposte e quali progetti avanzate per il futuro, alla luce di un’ipotetica rete? Il GAL sta completando progetti finalizzati ad incrementare il turismo rurale, che prevedono l’ individuazione e la fruizione di piste ciclabili, di ippovie e di percorsi di trekking fuori dagli abitati, il coinvolgimento di agriturismi, di masserie didattiche, di b&b, di masserie disponibili a realizzare show room per mettere in vetrina i prodotti tipici artigianali ed enogastronomici del territorio e per offrire ospitalità ai cicloturisti. Inoltre, in partenariato con i Comuni di Gioia del Colle (capofila), Sammichele di Bari, Turi, Casamassima ed Acquaviva delle Fonti, si sta completando l’iter per l’attuazione del progetto relativo al Sistema Ambientale e Culturale (SAC), finanziato con fondi del Programma Operativo della Regione Puglia, denominato “Ecomuseo di Peucetia”. Il progetto prevede attività di accompagnamento in visita di alunni e di turisti a beni storici del territorio e di realizzazione di laboratori didattici. Inoltre, il GAL ha attivato la formazione di un’Associazione Temporanea di Scopo tramite la quale, d’intesa con produttori di latte e di titolari di imprese casearie che hanno aderito alla costituzione dell’ATS, ha presentato al Ministero delle Politiche Agricole e alla Regione, la domanda per il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta della “Treccia della Murgia”. Infine, il GAL ha attivato iniziative per l’adesione di produttori di ciliegie ad un’Organizzazione di Produttori Ortofrutticoli, per il conferimento del prodotto, superando alcune fasi di intermediazione, con un consequenziale incremento del valore aggiunto alla produzione e un impatto positivo a favore del consumatore, in termini di prezzo e di qualità del prodotto. ¿ PrimaVera Gioia 9


Antonio Losito

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n anno fa eravamo qui a raccontarvi delle condizioni di disagio igienico-sanitario, strutturale e sociale in cui riversavano le vite dei condomini di alcuni alloggi di edilizia residenziale pubblica del nostro territorio comunale, in particolare all’indirizzo di via della Fiera. A chi ricorderà le parole del signor Franco, inquilino da noi intervistato in quell’occasione, o a chi andrà a rileggerle nell’uscita numero 01 del nostro giornale (Agosto 2012), diamo il suggerimento di mettersi l’anima in pace, una volta presa coscienza dello stato attuale della zona. Di ritorno dal nostro nuovo sopralluogo, in compagnia dello stesso disponibile cicerone, ci sarebbe piaciuto documentare una situazione almeno un po’ migliorata, al contrario: non si può affatto dire che le blatte e i topi, l’incuria, le lunghe e profonde crepe in certi appartamenti, gli allagamenti, la deficienza di impianti di illuminazione notturna, o i rimpalli tra enti sulle responsabilità di manutenzione e di monitoraggio son cose del passato. Chi, vincendo la propria diffidenza, ci avesse seguito nella perlustrazione dell’area residenziale, avrebbe notato le due mani di colore fatte dare qualche anno fa sullo stabile come parvenza di decoro, ma che non certo possono essere spacciate per ristrutturazione; guardando a terra, avrebbe misurato il livello di danneggiamento della carreggiata ai piedi della palazzina, sporca e piena di buche, adornata qua e là da trappole senza esca fatte per topi con la febbre del rischio. Non avrebbe trovato traccia di un tombino sprofondato proprio nel mezzo del tragitto, solo perché la nostra guida poteva ostentare di essersi prodigata a ripararlo a spese del condominio, sborsando in prima persona una quota più che 10 PrimaVera Gioia

maggioritaria per compensare la mancata partecipazione di chi se ne è disinteressato. Chi avesse proseguito il cammino, avrebbe trovato altri tombini sconnessi, erbacce ovunque, recinzioni ossidate e a dir poco precarie, per non parlare di ferri di cantiere lasciati a mezz’aria in un stato di totale pericolosità. Girando attorno all’edificio, avrebbe incontrato un terreno dall’erba alta e con qualche albero piantato per beneplacito di una vecchia amministrazione comunale, un potenziale giardino cui manca la praticabilità oltre a un benché minimo arredo urbano, un possibile angolo di serenità che rappresenterebbe ad oggi l’unico luogo di aggregazione per gli abitanti della zona. Un po’ più in là avrebbe notato un dislivello, raggiungibile da una scaletta arrugginita, il cui accesso è occluso da un paio di sedie a gambe in su, poste da qualche anima scrupolosa per evitare pericoli ai bambini che vi si aggirino nei pressi; a poca distanza avrebbe ammirato baracche di amianto ancora in piedi ed altri ruderi demoliti, dai quali sembrerebbe siano fuggiti gruppi di ratti per trasmigrare in nascondigli ora più sicuri addirittura per loro (ahinoi!). Chi avesse voluto, invece, non avrebbe potuto verificare, a causa della difficoltà di accedervi da strette bocche di lupo o botole e della sporcizia e del fetore da esso proveniente, la situazione del piano seminterrato, che ci dicono presenti pilastri portanti in condizioni strutturali al limite. E pensare che, al di là delle inefficienze dell’ente proprietario, lo IACP, nel garantire un livello minimo di vivibilità; a parte le mancanze del Comune, che nei limiti delle proprie


competenze potrebbe e dovrebbe vigilare, ed eventualmente intervenire, pur di evitare l’insorgenza e la permanenza di certi disagi; e pensare, a prescindere da tutto ciò, che l’occasione per dar respiro a questo soffocamento sociale c’era stata, e si trattava di quel PRU (Programma di Recupero Urbano) il cui iter cominciò nel lontano 1999 e che avrebbe avuto tra i suoi obiettivi la realizzazione e l’ammodernamento di urbanizzazioni primarie e secondarie, l’integrazione di complessi urbanistici, la ristrutturazione degli edifici esistenti (stando alla definizione tecnico-giuridica): chissà in quale punto procedurale, se sin dalla sua formulazione, o durante la sua attuazione, o nel mentre di una delle numerose vicissitudini fatte di lunghe soste e ridimensionamenti; insomma, viene da domandarsi: chissà quando e come è stato possibile non pensare di approfittare di questo strumento urbanistico per migliorare le condizioni delle case popolari e dei loro abitanti.

che crede ancora al digiuno, a colui che gode dei frutti delle fatiche di una vita riconoscendo in questo anche il favore della sorte, e non solo superbamente la propria solerzia. Ci rivolgiamo a chi non crede che le condizioni di difficoltà economica discendano necessariamente da colpe, ed anche quando è così, non crede che la possibilità concessa ai rei di riscattarsi dai loro errori debba essere percepita come lesione del proprio diritto. Ci rivolgiamo a chi crede che fra quei colpevoli esiste sempre qualcuno, cento, dieci o anche uno solo, che ha come unico peccato quello di non avere mai avuto una chance, e nonostante questo, ogni giorno, oltre al lavoro precario e sottopagato o la ricerca di un’occupazione “purché sia”, affronta anche una convivenza difficile, un muro di rassegnazione fra sé e i suoi coinquilini, un ostacolo di indifferenza o diffidenza fra sé e i suoi concittadini, che tenta di scalfire rivendicando solo un po’ di dignità nell’abitare. ¿

Per concludere, è importante aggiungere che proprio recentemente sono stati aperti o addirittura ultimati cantieri di nuova edilizia specialistica pubblica e residenziale convenzionata, dando priorità ancora una volta alla edificazione ex novo anziché al recupero, senza garantire l’impegno a sanare le ferite ancora aperte. Con in pugno questa testimonianza, non perdiamo la speranza che ci ascoltino dalla cima di alte torri d’avorio, da cui provengono sirene poco prima di un suffragio, solo allora intense e numerose come stelle cadenti in una notte d’estate. Ci rivolgiamo soprattutto alla coscienza civica di chi ha ancora orecchie per sentire e gote da arrossire di vergogna per quel che finora ha evitato con lo sguardo. Al sazio PrimaVera Gioia 11


SMARTCI mantra dell amministrazione“moderna” Giuseppe Resta |

@GiuseppeStei

L’inizio del XXI Secolo passerà alla storia come quello della IT revolution: L’Information Technology cambia prepotentemente il nostro stile di vita e la durata della produzione economica. Dalla città industriale si passa a quella informatica, in cui la rete ha preso il posto della catena di montaggio. Ogni rivoluzione porta con sé ispiratori, cospiratori, bibliografie, nostalgici e vocaboli nuovi di zecca. Quelli dell’IT revolution sono rigorosamente anglofoni, perché la globalizzazione non riguarda solo i prodotti e le merci, ma anche la semantica. La ricaduta di questo cambiamento, nel contesto reale, consisterebbe nella proiezione della città costruita intorno all’automobile in una che preveda le reti immateriali e le infrastrutture che le reggono: quella che si chiama smart city. L’aggettivo “smart” (tradotto “intelligente”) ha inserito “digitale” nel paradigma della sostenibilità, bandiera sventolata con più o meno coscienza da costruttori e politici. L’intelligenza a cui fa riferimento la smart city è un’intelligenza distribuita, condivisa, orizzontale, sociale. Si favorisce la partecipazione dei cittadini e l’organizzazione della città in un’ottica di ottimizzazione delle risorse e dei risultati: riguarda le risorse energetiche, la dotazione economica degli enti, ma anche il tempo delle persone. Si può rendere semplice (user friendly) l’accesso ai servizi, l’organizzazione degli spazi urbani per favorire la mobilità. La connettività delle cose permette agli oggetti di diventare “intelligenti” e riconoscibili, comunicando dati e consentendo l’accesso a informazioni aggregate. Con questa evoluzione dell’utilizzo della Rete, gli oggetti che si trovano in città (arredi urbani, edifici pubblici, monumenti) possono acquisire un ruolo attivo e diventare collettori e distributori di informazioni sulla mobilità, il consumo energetico, i servizi e l’assistenza al cittadino, l’offerta culturale e turistica e molto altro. Nella nostra periferia metropolitana e culturale gioiese, questa visione ha appena preso piede e debutta con quello che dovrebbe essere un ciclo di conferenze sul tema. Lo scorso 11 Settembre si è tenuto nel chiostro di palazzo S. Domenico la conferenza cittadina intitolata “Gioia del Co2lle 2020: un approccio alla mobilità smart”. Al tavolo dei relatori la squadra formata dall’ingegner Antonio Nicastri (referente istituzionale del progetto); il sindaco Sergio Povia; l’assessore all’ambiente, politiche giovanili e rigenerazione urbana Giuseppe Masi; l’assessore all’ufficio traffico Mariantonietta Taranto. 12 PrimaVera Gioia

Il nostro Comune, con la delibera 10 del 12 Luglio 2012, ha firmato il “patto dei sindaci” al quale hanno aderito quasi cinquemila comuni europei (concentrati in gran parte tra Italia e Spagna poiché nei paesi nordici si sono raggiunti gli standard richiesti già da tempo). Questo patto vede il 2020 quale meta temporale per raggiungere una riduzione delle emissioni di CO2 del 20%. L’azione si struttura in tre fasi. La prima riguarda la firma del patto stesso e la redazione di un inventario base delle emissioni (quanto “inquina” la nostra Città) corredato dal PAES (Piano di Azione per l’Energia Sostenibile), un documento strategicoprogrammatico che contiene le azioni concrete che l’ente dovrà sostenere per raggiungere il traguardo prefissato. Una seconda fase prevede l’attuazione del Piano e il monitoraggio del suo avanzamento. Infine, in una terza fase, verranno presentati periodicamente i rapporti di attuazione per acquisire i feedback. Il Comune di Gioia del Colle, al momento, è fermo alla prima fase di raccolta dati. Se davvero si mira ad un piano condiviso ed efficace, questo stadio dovrebbe essere partecipato e rigoroso quanto più possibile. Qui però sorgono le prime perplessità: si sono utilizzate fonti dirette (fatture) e indirette (libri di spesa) per la stima dei consumi della sfera pubblica. La stima delle emissioni che riguarda il privato, invece, è indiretta, basata sui dati Istat e quelli del Bilancio Energetico Regionale del 2008. Per determinale il modello di comportamento dei cittadini gioiesi e definire le scelte strategiche del Piano, si è pubblicato un questionario che può essere compilato online oppure richiesto in formato cartaceo, presso l’Ufficio relazioni con il Pubblico del Palazzo Municipale. Durante la conferenza si è scoperto che i questionari compilati sono 120 (centoventi!). Ovviamente tali dati non posso costituire una base statisticamente attendibile per la redazione di un Piano che possa seriamente rispondere alle esigenze dei cittadini. Si invitano i lettori a raggiungere il sito web del Comune, nella sezione Patto dei Sindaci, per provare ad aumentare la massa critica di informazioni necessarie. Infine si sottolinea l’inesistente campagna informativa (limitata ad alcuni post su Facebook e le solite conferenze per pochi eletti) che dovrebbe essere alla base di


ITYSMAR Il link al questionario del Comune

piani strategici così importanti. Il paradosso di dover raggiungere un ufficio al primo piano del Palazzo Municipale, per compilare un questionario che dovrebbe auspicare una città intelligente, fatta di reti immateriali, massima efficienza e facilità di accesso alle informazioni, è tutto da esplorare. Si ricorda che il questionario sarà attivo solo fino al 18 Ottobre 2013, i tempi sono esigui, anche se il patto è stato firmato 463 giorni fa e si cercherà di redigere il PAES entro il 12 Aprile del prossimo anno (già prorogato). Dalla conferenza sembra emergere che le soluzioni siano limitate alle “giornate ecologiche” (con relative polemiche), ai parcheggi a pagamento e alle rastrelliere per le bici (le attuali, come ha fatto notare Antonio Montenegro di Gioia in bici, sono inutili perché non permettono di assicurare il telaio ma solo la ruota, che può essere facilmente smontata), e alle piste ciclabili (per le quali siamo ormai famosi). Sul piano della comunicazione, la conferenza è stata infarcita di slogan, dai quali ogni amministratore dovrebbe rifuggire per evitare che, termini quali “Smart city” e “mobilità sostenibile”, perdano il loro significato, fino a diventare massimi sistemi in cui tutto quanto può essere detto e fatto. Lo dimostra il fatto che numerosi interventi di associazioni e rappresentanti politici abbiano richiesto di visualizzare progetti, idee e previsioni per cominciare a parlare concretamente. Probabilmente quello della Smart City è uno standard così elevato e distante dalle condizioni attuali della città che sembra fumo negli occhi a buon mercato. Dobbiamo ricordare che il concetto di sostenibilità ambientale non è prerogativa di questo decennio, ma viene da lontano. Esiste persino una ecologia ante litteram: Platone ne La Repubblica descrive la città come un pascolo: se la formazione e la deontologia non si rivelano sufficienti ad evitare che lo spazio del bene comune cada in cattivo stato, diceva, è necessario che intervenga l’ambito politico. Tematica quanto mai attuale. Anche Ippocrate (il medico-filosofo di Kos) diceva che “per lo più alla

natura dei luoghi si improntano sia l’aspetto, sia le caratteristiche degli uomini”. In altre parole, l’ambiente di vita determina il nostro modo d’essere e non dobbiamo illuderci di essere totalmente dominanti rispetto ad esso. In una qualche misura siamo dominati dal contesto in cui viviamo, siamo in una relazione biunivoca di scambio. In questo momento storico è necessario rispondere ad una domanda di relazione sostenibile, seguendo il paradigma entropico dell’economista rumeno GeorgescuRoegen, per cui ogni processo economico aumenta l’entropia del sistema-Terra: tanta più energia si trasforma in uno stato indisponibile, tanto più sarà sottratta alle generazioni future e tanto più disordine sarà riversato nell’ambiente. La soluzione dovrebbe essere quella proposta da Nicola Emery nel libro Progettare, costruire, curare in cui si invita i progettisti e gli amministratori a muovere da una visione olistica, attenta al tutto e poi alla parte. Per dare vita ad una vera smart city, è necessario capire che la città è diventata policentrica e caratterizzata da nodi di luoghi e di flusso (materiale e immateriale). Si è parte di una rete di tipo distribuito; se non si è necessariamente punto focale, conviene avvantaggiarsi dei flussi che si riescono ad intercettare (si veda Bari-Taranto). Per una vera smart city è necessario che la nostra amministrazione sia dinamica, informatizzata e al passo con i mutamenti che la tecnologia impone ai modi di gestione della vita pubblica. E’ necessario coinvolgere massicciamente la popolazione perché il termine “diffuso” non sia soltanto uno slogan. Senza andare troppo lontani, Bari sta investendo con decisione nello svecchiamento delle infrastrutture burocratiche (immateriali) e fisiche (materiali): l’iniziativa valore assoluto, il concorso internazionale di progettazione Baricentrale, la redazione in tempi non sospetti del PAES (2011), l’istituzione di un’associazione che possa far entrare i baresi nel ciclo decisionale del progetto Bari Smart City, Res Novae (un sistema per la gestione in ambito urbano dei flussi energetici integrante autoproduzione da fonti rinnovabili e dispositivi di accumulo in bassa tensione, con soluzioni informatiche di controllo e in rete wireless). Senza citare l’esperienza di Freiburg (Germania), vincitrice di numerosi premi, che dovrebbe essere meta ricorrente degli amministratori. Non è necessario competere con queste realtà ma fare rete, mettersi a sistema con i “nodi” che funzionano e attraggono i flussi ammettendo un proprio deficit iniziale. Copiare, questo dobbiamo fare. Come scrive Lautréamont “Il plagio è necessario. Lo richiede il progresso. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea sbagliata, la sostituisce con quella giusta.” ¿ PrimaVera Gioia 13



COMITATI DI QUARTIERE: COME VIVERE “IL PAESE” Pasquale Paradiso |

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Le leggi vigenti sulla partecipazione e la trasparenza consentono ai gruppi organizzati di muoversi con piena legittimazione. Un esempio di gruppo organizzato è il “Comitato di quartiere”. Ne parliamo con i sigg.ri Gianni Fraccalvieri e Carlo Resta, da anni interessati alla suindicata tematica. Cosa significa partecipare ad un comitato di quartiere? G. F.: Partecipare ad un comitato di quartiere è un’occasione sia per conoscere approfonditamente il territorio di residenza, le potenzialità e le risorse; sia per contribuire al suo sviluppo, in termini di vivibilità dello stesso. Allo stesso modo è un’opportunità per rendere viva una propria “identità”. La partecipazione all’indicato organismo è necessaria per contribuire democraticamente al bene del proprio territorio e della propria città. La tanto propagandata “democrazia partecipata” diventa così una realtà. L’art. 63 peraltro del nostro Statuto Comunale prevede che “Il Comune promuove organismi di partecipazione dei cittadini all’Amministrazione locale, anche su base di quartiere o rione, in collaborazione con comitati ove costituiti” . Ciò garantisce la legittimità della costituzione del comitato di quartiere, ma anche la grande portata giuridico-amministrativa dello stesso. Può un Comitato di quartiere dare impulso ad una migliore gestione della città? G. F.: Sì. Se la nostra Città fosse composta da tanti comitati di quartiere, i referenti politici potrebbero più celermente analizzare le problematiche descritte dai comitati nelle istanze presentate e provvedere alla risoluzione delle stesse, con l’abbattimento di sprechi di gestione e maggiore prontezza nel soddisfare le richieste della popolazione. Quale ruolo potrebbero avere i giovani all’interno del Comitato di quartiere?

G. F.: I giovani, fin dalla nascita del comitato, dovrebbero avere un ruolo determinante. Essi potrebbero essere utili per l’elaborazione delle proposte al fine di migliorare le condizioni di vita del quartiere. Inoltre avrebbero un peso umano notevole in alcuni quartieri di recente edificazione in quanto “userebbero” il quartiere più degli adulti e quindi sarebbero tenuti ad assumere responsabilmente l’onere della partecipazione. Cosa servirebbe per rendere funzionale, nella pratica, un comitato di quartiere? C. R.: Un comitato di quartiere per essere funzionante dovrebbe osservare tre principi: rispettare il regolamento del comitato e quello che riconosce il rapporto fra amministrazione comunale e comitato una volta costituito; rendere attiva la partecipazione dei cittadini residenti nel quartiere alla vita del comitato, alle riunioni dei rappresentanti dello stesso e alle attività del comitato; armarsi di spirito di collaborazione con l’Ente pubblico per la soluzione dei problemi della comunità. Quali caratteristiche devono essere presenti in coloro che costituiscono il Comitato di quartiere? C. R.: I rappresentanti dei comitati di quartiere, una volta eletti, devono avere ben saldi i tre suddetti principi. Lo strumento civico del comitato di quartiere va utilizzato con equità. I rappresentanti devono essere in grado di inquadrare un problema e di trovare un’idonea soluzione. Invito pertanto gli interessati a rivolgersi al Centro Studi Erasmo Onlus, di cui faccio parte, per aderire ad un corso di scuola politica. Si stanno costituendo a Gioia del colle dei comitati di quartiere? C. R. : A Gioia del Colle non esistono comitati di quartiere. Il primo è quello che sta nascendo nella zona 167. Promotore dell’iniziativa è il movimento civico di cui faccio parte.¿ PrimaVera Gioia 15


BREVE STORIA DELLA

ITALIANA

da l d i r i g i s m o all a p ro gra m m a z i o n e n eg oz i ata Emanuele Donvito |

/ emanuele.donvito.7

I

l 25 giugno scorso, il consiglio comunale di Gioia del Colle ha approvato il Piano Triennale delle Opere Pubbliche e il relativo aggiornamento annuale dei Lavori Pubblici. Secondo quanto disposto dal D. Lgs 163/2006, la programmazione di detti interventi pubblici è il metodo da adottare sistematicamente per uniformare l’azione delle pubbliche amministrazioni al criterio di razionalità, seguendo i principi della trasparenza e del buon andamento degli enti pubblici. Prendendo spunto da questo documento di recente utilizzo, si spera di aiutare i lettori a comprendere quali sono stati i cambiamenti che hanno coinvolto la pubblica amministrazione italiana, e per quali ragioni sono state introdotte alcune modifiche nel modo di procedere delle P.A. Il primo vero tentativo di pianificazione territoriale attuato in Italia è stato l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno (da ora in avanti CASMEZ), durante il Secondo Dopoguerra italiano, la quale avrebbe dovuto colmare il vuoto infrastrutturale che esisteva nelle regioni del sud Italia. In questo periodo la politica economica italiana era caratterizzata da un dirigismo interno e da un liberismo al di là delle frontiere nazionali, in quanto era necessario guidare il processo di ricostruzione interno del paese, dopo lo sfacelo portato dalle vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale. La CASMEZ, dopo il primo decennio caratterizzato da risultati più che soddisfacenti, intraprende la fase calante, dovuta, in linea generale, alla graduale “politicizzazione” dell’Ente, avvenuta in seguito ad alcune riforme e alla progressiva perdita dell’impronta prettamente tecnica che Donato Menichella aveva dato alla CASMEZ nel 1950. Principalmente, la CASMEZ finanziava i singoli progetti valutati 16 PrimaVera Gioia

dai tecnici che operavano sul territorio ma, dagli anni ’60 in poi, si verificò l’esigenza di attuare una nuova strategia di politica economica che si adattasse meglio agli schemi organizzativi della Comunità Europea la quale operava, e opera tuttora, tramite obiettivi di medio/lungo termine. Pertanto, secondo lo schema della Comunità Europea (adesso , Unione Europea), i progetti divengono rilevanti e finanziabili nel momento in cui soddisfano i criteri dei piani e dei programmi i quali sono vere e proprie politiche attuative. Vari furono i tentativi in tema di pianificazione. Ad esempio, dalla redazione dello Schema Vanoni e del Piano ’80 non furono tratte significative indicazioni strategiche ma fu individuato lo strumento programmatico più consono a tale modus operandi, ossia il bilancio degli enti pubblici o meglio i bilanci di previsione. Nel frattempo, la nostra nazione affrontava seri problemi legati ai numerosi dissesti idrogeologici (si ricordi la alluvione di Firenze e la frana di Agrigento nella seconda metà degli anni ’60) ed emergeva così, in maniera prepotente, il bisogno a livello locale di una migliore sistemazione urbana che rispettasse l’ambiente circostante e, allo stesso tempo, non esasperasse le relazioni umane ed economiche. La politica dirigista dello Stato Centrale cominciava ad essere troppo ingombrante e non era più in grado di soddisfare le esigenze locali in ogni angolo del territorio italiano. Intanto, quella che fino agli anni sessanta era solo un’esigenza, ossia l’attuazione di politiche che avessero un punto di partenza più vicino ai cittadini, dagli anni settanta comincia a prendere forma attraverso il processo di riforma degli enti locali, finendo il suo corso solo nel 2001

con la riforma del Titolo V della Costituzione. La stessa riforma non solo garantisce la formazione di Regioni, Province e Comuni cosiddetti Politici, estendendo quindi a tutti i livelli amministrativi l’elezione dei consigli (organi collegiali) e del Governatore della regione e così via, ma anche l’inizio della Pianificazione Territoriale (in coincidenza con la fine dell’esperienza della Cassa del Mezzogiorno). In questa sede non andremo ad analizzare tutte le componenti tecniche della Pianificazione Territoriale, ossia gli strumenti contrattuali collocati in seno alle pubbliche amministrazioni e il processo di formazione dei budget della P.A., partendo dall’Unione Europea e finendo ai comuni. Ciò che ci preme sottolineare è l’importanza che le riforme accennate sopra, hanno dato innanzitutto al concetto di democrazia partecipata, che sfocia inevitabilmente nella condivisione degli obiettivi di mandato di un qualsiasi candidato sindaco ad esempio, i quali sono messi per iscritto e successivamente votati dal consiglio comunale (in questo caso). Quindi, a differenza di ciò che avveniva nei decenni passati, il programma elettorale che un candidato usa diffondere attraverso i microfoni sui tristi palchi di paese, montati nelle piazze, diventa documento ufficiale in camera di consiglio e quindi vincolo, nei confronti di chi appassionatamente o distrattamente o ancora, per niente, ha ascoltato i comizi in campagna elettorale. Allo stesso tempo, anche i cittadini hanno il dovere morale di monitorare l’operato della Pubblica Amministrazione e anche di contestarlo in maniera diretta o per il tramite dei rappresentanti della comunità locale, poiché probabilmente non è sempre e solo la mancanza di trasparenza della P.A. a creare disastri ma soprattutto la negligenza e il disinteresse comune. ¿


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Pag. 5 del Piano Triennale 2013-2015 approvato dal Comune di Gioia del Colle il 25/06/2013


Il Borgo di Federico La seconda edizione delle Porte dell’Imperatore

Antonio Losito Emma Lomonte |

L

’estetica è un terreno sempre scivoloso sul quale non ci arrischieremo /emma.lomonte incautamente, lasciando che i nostri lettori siano trasportati dalla propria passione o dalle proprie conoscenze nel campo delle arti applicate quando ammireranno ed esprimeranno pareri sulle dame e i cavalieri, gli stendardi, le spade e i motivi ornamentali raffigurati sugli infissi in legno o metallo di abitazioni e botteghe del nostro centro storico, lavori realizzati nell’ambito della manifestazione culturale “Le Porte dell’Imperatore”. L’evento, giunto alla sua seconda edizione e tenutosi il 31 Agosto e l’1 Settembre scorso, aveva come leitmotiv la rievocazione della storia di Federico II e della Gioia medievale e uno dei suoi scopi è stato certamente quello di mettere in mostra le capacità di esponenti della pittura locale ma non solo. Anzi, per essere precisi, gli autori sono stati selezionati, a differenza di quanto avvenuto lo scorso anno, da una giuria, tramite il vaglio dei bozzetti da tradurre in forma pittorica, presentati nell’ambito di un bando che, nonostante l’impossibilità economica di giovarsi di adeguata promozione, si prefiggeva di avere un respiro nazionale.

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Oltre quelli appena enunciati, esistono certamente risvolti meno evidenti ma forse più significativi della manifestazione. Questi aspetti riguardano il rapporto con il contesto. Per comprenderli non si possono eludere alcune premesse: è necessario innanzitutto chiederci se noi cittadini siamo in grado di riconoscere ancora la città come un’opera d’arte, certamente sui generis, fatta dal pubblico per il pubblico; se siamo capaci di individuare nei borghi antichi quel qualcosa in più che li contraddistingue dal resto della città, quella patina più spessa e ricca, fatta di pathos oltre che di materia, cagione spesso del proprio fascino ma anche della propria condanna alla cristallizzazione e all’oblio; dobbiamo domandarci se sappiamo ammettere che alla base di tale fenomeno di negligenza collettiva, che non riguarda i centri storici di tutte le città ma del nostro paese senz’altro sì, vi è un fraintendimento sul succitato significato di città come opera d’arte, intesa purtroppo come un insieme di singoli fatti artistici, e non, come dovrebbe essere, al pari di un manufatto la cui artisticità consiste nella sua esperienza concreta, la sua esperienza vissuta. Solo rispondendo con onestà a tali interrogativi potremo capire e condividere l’intento di fondo dell’even-


to culturale delle Porte: richiamare l’attenzione della comunità su uno dei beni più cospicui in suo possesso, ma nonostante ciò trascurato. La possibilità concessa al pubblico di assistere in tempo reale all’esecuzione dei lavori pittorici - fatto che solitamente di per sé non aggiunge valore al risultato finale, salvo riconoscere nella performance stessa il nucleo fondante dell’opera -, in questo caso è da leggere come un contributo in più alla causa, in quanto fattore di spettacolarizzazione ed elemento calamitante dell’attenzione del fruitore sul luogo in cui la creazione si svolge. Il rischio, ci sembra, è che iniziative come questa, se fatte a macchia di leopardo, senza una visione ampia e condivisa, senza un forte impulso di sensibilizzazione culturale, finiscano per essere vane operazioni di facciata, dietro cui restano profonde lacune nella società, sul fronte tanto della sensibilità e della curiosità della gente verso l’arte, tanto della cura verso il proprio patrimonio materiale e spirituale, pubblico prima che privato. E in questo, tutti noi ignavi, abbiamo le nostre piccole o grandi colpe, in proporzione alle capacità tecniche ed economiche, al nostro ruolo nella dinamica comunitaria e al nostro potere decisionale.¿


...PER CHI VIAGGIA IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA! Laura Castellaneta |

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I

nformazione: un termine abusato, violentato, manipolato, ma quasi mai identificativo del suo significato reale. Parliamo di uno scambio di sapere, di conoscenza, di esperienza, radicato in tempi antichissimi, parallelamente all’esigenza primordiale dell’essere umano di comunicare, di mettersi in contatto con l’altro codificando dei segni in un linguaggio intelligibile comune. Così come la specie, anche la modalità di interazione è mutata e si è sviluppata, fino a diventare il centro nevralgico della società moderna, con una diffusione tale da essere etichettati come la “Società dell’Informazione”. E’ un bene o no? L’informazione oggi, non risponde più all’esigenza di “formare la mente”, ma è costituita da un’enorme ondata di dati, di idee, di opinioni diversificate, che raggiungono contemporaneamente la mente di ogni individuo, che a sua volta registra il tutto senza essere più in grado di assimilare coscientemente questi input esterni. La buona informazione deve essere edificata partendo dalle fondamenta del senso critico, un caposaldo indispensabile, che nella fattispecie ingloba il reperimento di fonti, il ragionamento e l’attendibilità. Il giornale, cartaceo e non, ha puntati su di se gli occhi di chi ha voglia di sapere, di chi vuole trovare conferme o essere contraddetto rispetto al proprio pensiero credendo di avvicinarsi ad una fonte oggettiva, di chi si interessa e di chi vuole “perdere” del tempo. Attualmente, il mezzo di comunicazione in questione, vive nell’era della sfiducia generalizzata verso qualsiasi tipo di sapere e in molti sono stanchi di sentirsi schiacciati dal peso di un’informazione che comunica allo stesso tempo “tutto” e il “contrario di tutto”, banalizzando e smaterializzando la percezione del vero. L’adeguamento della stampa al regresso sociale lascia che la voce critica dei pochi

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venga assorbita dalle chiacchiere dozzinali dei tanti, e la mancanza di verità palpabili spingerà l’opinione pubblica a viaggiare “in direzione ostinata e contraria”. Il populismo neutralizza l’autenticità della notizia, seducendo la massa demagogicamente e la mancanza di veridicità nega l’integrità dell’informazione, dando spazio ad un pluralismo dispersivo. Quale dovrebbe essere il valore sociale e culturale del lavoro giornalistico? In un contesto di importante impoverimento culturale, il tentativo di alcuni di cambiare registro, puntando alla qualità e alla creazione di una vera e propria alternativa sociale, viene minato dallo stereotipo diffuso di chi strumentalizza il mezzo stampa, ma anche dal lettore passivo che assorbe l’oggetto di lettura senza l’utilizzo di filtri. Un buon utilizzo della penna e di una comunicazione virtuosa, consentirebbe al lettore di rivendicare il proprio spirito critico, senza sottostare alla paralisi delle menti sopraffatte. La cattiva informazione si fa spazio inesorabilmente, dimostrando quanto possa diventare uno sforzo sovraumano fermarsi a riflettere sulla veridicità delle tesi sostenute: l’importante è scrivere, denunciare, giudicare e insinuare. La droga del “fare notizia”, priva lo scopo informativo del suo stesso esistere, da un lato puntando agli escamotage volti all’aumento delle vendite (o del traffico di rete nel caso delle testate online), dall’ altro fuorviando il destinatario della lettura, che tuttavia risulta una delle vittime dello pseudo-giornalismo. Tra le altre vittime, figura in primo piano chi, in maniera diretta o indiretta, è coinvolto nella vicenda narrata. In una realtà di 30000 anime, anche un suicidio può diventare appetibile per chi è assetato di scoop, ma l’etica professionale dove si colloca? «E’ diritto insopprimibile dei giornalisti


nell’indecisione tra la consolazione e l’insinuazione, tra le condoglianze di “non so chi” di tanto vicino a “qualcuno” che sceglie “il mezzo” come tramite per essere vicini nel dolore, fanno capolino foto discutibili, al limite della legalità.

la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori.» (art. 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963). La carta dei doveri del giornalista, documento CNOG-FNSI approvato l’8 luglio 1993, nacque in seguito agli eccessi giornalistici in occasione di Tangentopoli, sia per monitorare il flusso di informazioni, sia per evidenziare le responsabilità professionali del giornalista stesso. Quest’ultimo “deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile” ed “ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e il suo diritto alla riservatezza”. I suddetti principi sono venuti a mancare in riferimento ai più recenti fatti di cronaca, nel momento in cui sono state elargite insinuazioni su presunte “liti familiari”, fantomatica causa del gesto estremo di Pietro De Marco: “Il commento e l’opinione appartengono al diritto di parola e di critica e pertanto devono essere assolutamente liberi da qualsiasi vincolo, che non sia quello posto dalla legge per l’offesa e la diffamazione delle persone.”. “Il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibilità e per controllare l’origine di quanto viene diffuso all’opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti.” , ma soprattutto, prima di divulgare la notizia, deve accertarsi che i diretti interessati ne siano a conoscenza, senza far correre il rischio di apprendere una notizia così drammatica, durante una tratta in treno, attraverso terzi. Nel mondo nostrano del “giornalismo fraterno” mi sembra di assistere alla trasformazione della carta stampata in bacheca per annunci di carattere personale. Ma, l’aspetto ancora più sorprendente, è che il legame amichevole tra la testata e colui che pubblica viene sottolineato a caratteri cubitali, come nel caso dell’avvocato del Sig. Colapietro che si rivolge alla “testata del cuore” per esprimere il suo punto di vista. Di chi? Di un uomo che rivendica la propria innocenza per un’accusa mai palesata da nessun mezzo di comunicazione se non con riferimenti generici su delle costruzioni periferiche, che avrebbero potuto essere anche di altre imprese.

Nel clima soft di questo rapporto informazione-disinformazione, nell’indecisione tra la consolazione e l’insinuazione, tra le condoglianze di “non so chi” di tanto vicino a “qualcuno” che sceglie “il mezzo” come tramite per essere vicini nel dolore, fanno capolino foto discutibili sotto tanti aspetti, al limite della legalità e della decenza umana, per le quali però non è stato riservato alcun trattamento di favore sulle note della tanto propinata sensibilità. È uno di quei casi in cui si può dire che “per un giornalista un essere umano è un oggetto avvolto nella pelle.” (Fred Allen) Questi retroscena probabilmente sono di poca importanza, ma servono a far comprendere quanto la cattiva informazione possa provocare danni a tutti i livelli e che c’è sempre qualcuno che non paga per i propri errori, mentre qualcuno ne subisce le conseguenze. Nella nostra democrazia il primo, il secondo e il terzo potere sono rispettivamente quello legislativo, esecutivo e giudiziario, ma a sorvegliare questa triade subentra il cosiddetto Quarto Potere: La Stampa. Dall’alto della sua collocazione, essa gode di diritti imprescindibili, alla base della libertà civile, ma parlando di “potere” è necessario maneggiarlo con accortezza, per evitare che si scalfisca l’integrità che lo dovrebbe contraddistinguere. Il tempo ci ha insegnato che, per chi ricopre una posizione di potere, il miglior modo per tacitare ogni tentativo di “invasione” nel suo territorio, è l’evasività. Questo è un altro aspetto contro cui il giornalista deve scontrarsi continuamente: il diritto negato. È paradossale constatare quanto una piccola realtà come Gioia del Colle, si opponga al sapere. Andare a fondo in una questione, soprattutto se riguarda i vertici del nostro sistema locale, diventa una corsa infinita: hai il capolinea davanti ai tuoi occhi, ma ad ogni battito di ciglia si sposta un metro più avanti. Certo, anche qui il “giornalismo fraterno” ci mette il suo zampino, rivendicando anteprime promesse sulla parola, ma sospese per maternità. La linea editoriale definisce e fortifica l’identità di una testata giornalistica, e il mercato della “notiziabilità” deve rimanere vincolato al vantaggio formativo della notizia stessa. Potrebbe non risultare un’utopia credere nella funzione esclusivamente informativa dei mezzi di comunicazione, laddove il giornalismo non si colorasse di politica, non si vendesse per la distorsione della verità, ma osservasse l’informazione come un bene comune, lontano dalla strumentalizzazione sensazionalista stereotipata. Il diritto della libertà di comunicare porta con sé tutte le negatività e le positività del caso, ma l’espressione libera e responsabile di un pensiero, supera il lato abietto che talvolta prevale, dando spazio ad una delle conquiste più grandi di sempre. ¿ PrimaVera Gioia 21


TEMPI DI VENDEMMIA Fabio D’ Aprile

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a produzione media di uva da tavola (di pima scelta) disponibile per la commercializzazione in Italia è di 1.400.000 t, di cui la solo la Puglia ne produce 980.000 (circa il 70%). Ora, la domanda è: come mai vista la percentuale così rilevante, il settore è totalmente in crisi? Per crisi intendo mercato completamente statico, con tutte le conseguenze che ne possono derivare, partendo dalla manodopera (salari bassi) e interessando altri settori che sono di supporto alla commercializzazione del prodotto uva. Per poter rispondere alla domanda, bisogna addentrarci nell’ analisi della situazione odierna. Credo sia noto a tutti che le leggi del mercato alimentare sono dettate dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Marchi come Coop, Esselunga, Lidl, Auchan, Carrefour, Tesco, rappre-sentano l’unico canale di sbocco sui mercati mondiali per i produttori pugliesi di uva. Passeggiando tra i banchi del reparto frutta di uno di questi ipermercati leggo: “offerta Uva Italia € 0.99 al Kg”. Per capire se si tratti di un prezzo congruo, proviamo a fare una distinta base del costo sostenuto per far arrivare un kg d’uva su quel banco frigo. La prima voce di costo che viene in mente è la manodopera: due donne in campagna che hanno una retribuzione netta giornaliera, volendo essere ottimisti, di € 35,00 (per 7 ore di lavoro) in un’ora riescono a tagliare e imballare 150 kg di uva (70 kg a testa per un costo al kg di € 0.07). Altra voce di costo è l’imballaggio: una scatola in cartone (il materiale più usato) che contiene circa 7 kg di uva, costa € 0,60 (quindi l’incidenza su un kg di uva sarebbe di € 0.08. Questo dato lo si aumenta di 0.02 per considerare tutti gli altri elementi a corredo dell’imballaggio prin-

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cipale: spugnetta, tappetini conservanti, pallet per stoccaggio). Vi è poi il trasporto: l’uva era confezionata in vaschette trasparenti da 1 kg, in una scatola di “Orchidea Frutta”, un’azienda produttrice di uva che ha i suoi magazzini a Rutigliano, quindi l’incidenza del trasporto si annulla, ma, volendo essere scrupolosi, gli si può attribuire un costo pari a € 0,02 per kg di uva. Non ho ritenuto opportuno inserire tra i costi quello della conservazione perché, essendo questo il periodo dell’uva, sarebbe assurdo vendere in mercati italiani uva conservata per più di 2/3 giorni. Infine c’è la manutenzione del vigneto (aratura, potatura, tutti i vari trattamenti, ecc…) a cui, volendo sempre essere molto scrupolosi, attribuiamo un costo pari a 0,08 per kg. Sommando il tutto per un kg di uva da tavola di qualità “Uva Italia” si sostiene un costo me-dio di 0.27 €. La differenza rispetto al prezzo in offerta (0.99 €) è di 0.72 €. Quanto è destinato alla catena di distribuzione e quanto al produttore di turno che, ricordiamolo, non è il piccolo contadino, ma il proprietario di imperi di vigneti (basti pensare a “Giuliano Puglia Fruit” per accorgersi di circa 100.000 ettari di vigneti di uva da tavola posseduti da questa azienda) non ve lo so dire, però è faci-le calcolare che su un kg di uva da tavola c’è un guadagno di 0.72 € che, moltiplicato per 600.000.000 kg (produzione di “Uva Italia” in Puglia), diventa di 432.000.000 €. Numeri immensi che andrebbero ad aumentare a discapito del mercato pugliese e italiano, rendendolo statico (rispondendo alla domanda di partenza) qualora la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) preferisse portare sui mercati mondiali, a costi minori, uve di scarsa qualità raccolte in paesi come Grecia, Cina, Turchia o addirittura America latina.¿


Luna Donvito, 31 anni, Storica dell’arte contemporanea Valerio de Palma, 29 anni, Export Manager Arianna Capozzi, 34 anni, lingua cinese www.apuliaexpo.com info@apuliaexpo.com

LA SIGNORELLA Guest House Laura Castellaneta |

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“La Signorella” Guest House si qualifica come una realtà innovativa e di apertura a possibili scenari finalizzati alla valorizzazione del nostro territorio. Come nasce? Nel 2012 abbiamo creato “Apulia Expo”, una società che si occupa di “Export” di prodotti tipici pugliesi di altissima qualità che ricerchiamo personalmente, ed “Exposition”, per raccontare il territorio sotto diverse sfumature, dall’arte all’enogastronomia, attraverso “prodotti” che definiscono le nostre radici. L’idea de “La Signorella” è nata quasi per caso. Eravamo alla ricerca di una sede per la nostra società, però c’era sempre in noi la voglia di trovare un posto dove poter ospitare chi fosse venuto in visita in Puglia, e così abbiamo scoperto questa splendida masseria del 700. Quindi, da novembre 2012 fino a maggio 2013 l’abbiamo rimessa in sesto con le nostre forze, riportandola a quello che noi pensiamo fosse il suo antico splendore.

biamo già realizzato due banchetti. Non riceviamo alcun tipo di finanziamento, quindi spendiamo moltissime energie. In passato abbiamo fatto molte richieste per ricevere appoggi istituzionali, ma è un mondo piuttosto infognato e i tempi sono lunghissimi. Noi tutti avevamo lasciato delle realtà lavorative importanti, investendo tutto su questo progetto, quindi abbiamo deciso di partire con i nostri sacrifici. Tutte le manifestazioni culturali che realizziamo, esclusi i grandi concerti a pagamento, sono sempre in forma gratuita, sia per il visitatore che per l’espositore, per dare spazio ad artisti, soprattutto emergenti, ai quali solitamente vengono chieste cifre astronomiche, e la nostra apertura deriva proprio da questa constatazione.

Come è stato il debutto della vostra attività, traendo le somme della prima stagione estiva? Il nostro ingresso in scena è stato avventato, ma fortunato! Terminati i lavori a maggio, non pensavamo di fare da subito grandi eventi. Invece, grazie alla collaborazione del “Ueffilo”, a giugno abbiamo avuto in anteprima assoluta Sergio Rubini e successivamente Nicky Nicolai. Abbiamo partecipato a “barsento mediascape”, un progetto regionale sovvenzionato dal GAL Terra dei Trulli e di Barsento, ospitando otto artisti europei che hanno registrato i suoni della Puglia, e luglio abbiamo inaugurato la mostra “Profeti in Patria”, una collettiva dove hanno esposto Gino Donvito, Chiara Tocci, Mario Pugliese, Ninnì Rizzi e Valerio Pastore.

Quali sono gli utilizzi e i progetti de “La Signorella” anche in rapporto alla vostra società? Facciamo piccoli ricevimenti in stile “Shabby Chic”, una tendenza ricercata che ricorda i banchetti nuziali del passato; abbiamo avviato il B&B che sfruttiamo principalmente per offrire ai Buyers che vengono dall’estero un servizio concreto, dagli spostamenti al contatto diretto con le piccole realtà locali che mantengono forte la tradizione e la qualità; e organizziamo percorsi guidati e visite in posti che rappresentano davvero il territorio. Il 20 ottobre abbiamo un pranzo di presentazione del vino “Tufara Donvito”, che Apulia Expo distribuisce avendo l’esclusiva, e lo stiamo promuovendo in tutta Europa, in collaborazione con Gnammo. Uno dei nostri obiettivi, essendo anche una masseria didattica, è quello di collaborare con le scuole, e in programma c’è anche la realizzazione di un “orto condiviso” in un contesto lontano dal centro cittadino, per quanti vorrebbero ritagliarsi un “fazzoletto di terra felice” a costi irrisori. La prossima missione del nostro staff sarà quella di riportare in auge le cantine della nostra struttura, e utilizzarle per i vini che rappresentiamo all’estero, ma anche per i concerti, in quanto hanno un riverbero naturale fantastico e un’acustica straordinaria. ¿

Come gestite l’aspetto comunicativo “Export-Exposition” di una attività così poliedrica? Vi avvalete di finanziamenti esterni? C’è una corposa attività di telemarketing internazionale, dove vengono contattate altre realtà all’estero, spediamo loro la campionatura e li invitiamo a venir qui per valutare di persona i prodotti. Utilizziamo molto il web, e per gli eventi enogastronomici, ci avvaliamo della collaborazione di “Gnammo”, un eating social network che ruota intorno al cibo e alla condivisione, con cui ab-

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Quando il futuro parte dall’inclusione sociale. Gianluca Martucci

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e da una parte potrebbe sembrare scontato persistere nell’affrontare i temi economico-politici che in questo periodo attanagliano la vita di tutti i giorni, dall’altra potrebbe essere del tutto vantaggioso approfondire quelli che forse sono gli aspetti più trascurati della società. E’ questo ciò che 19 ragazzi e 4 educatori del Centro Giovanile della Parrocchia di S.Vito hanno potuto toccare con mano: uno scambio concretizzatosi, dal 27 agosto al 5 settembre, grazie al contributo dell’Unione Europea, che rientra nella rete dei progetti “Youth in Action”. L’esperienza, condivisa con il gruppo maltese dell’ Azione Cattolica di Siggiewi, è partita l’anno scorso, quando gli ospiti sono stati accolti qui a Gioia. In quell’occasione l’argomento trattato è stato lo sport inteso come strumento educativo. Quest’anno l’Exchange è stato denominato “Connect” e durante la permanenza dei gioiesi a Malta, i riflettori sono stati puntati sul tema dell’inclusione sociale. In particolare, i primi giorni sono stati dedicati alla questione riguardante l’inserimento in società degli extracomunitari o dei rifugiati politici. Non è assolutamente irrilevante la problematica che si manifesta nel momento in cui uno straniero cerca di inserirsi in una nuova realtà. La maggior parte di loro ha lasciato il proprio paese con il sogno comune di cambiare la propria condizione sociale, ed è per questo motivo che accoglierlo significherebbe farlo sentire parte integrante di una comunità. Il lavoro stesso è un fattore determinante sotto questo punto di vista, è l’unico strumento attraverso il quale un uomo può avere una dignità ed essere capace di inserirsi in un contesto sociale, contribuendo a migliorarlo grazie alla sua professione. L’esperienza è stata un’occasione per parlare anche di diritti umani e per approfondire l’importanza della loro salvaguardia.

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La scarsa osservanza di queste risorse fondamentali per l’uomo provoca uno stato di discriminazione sociale, nonostante egli stesso abbia il diritto di essere introdotto nella società. Non indifferente è stato l’insegnamento che i ragazzi hanno potuto cogliere trascorrendo l’intera mattinata presso il centro di accoglienza disabili “DAR IL CAPTAN”, dove è stato possibile comprendere, innanzitutto l’importanza di accettare se stessi, ma soprattutto la necessità di evitare che questi cittadini possano essere emarginati e quindi sentirsi soli. Proprio per questo, la nostra società è chiamata ad un cambio di rotta che possa superare gli individualismi e gli egoismi, generando uno stile più teso all’ascolto del prossimo. Solo attraverso la tolleranza e il rispetto per culture e situazioni sociali differenti è possibile sperare in un futuro dagli orizzonti più aperti. Di grande importanza per i 32 partecipanti al progetto è stato il confronto sulle opportunità lavorative che sono offerte loro nei rispettivi paesi, e capire come lo Stato possa essere un elemento determinante per i giovani, affinché essi possano sentirsi cittadini attivi. Proprio per questa ragione, anche l’Unione Europea gioca un ruolo centrale in quanto offre al giovane maggiori possibilità di realizzare le proprie ambizioni grazie all’abbattimento delle frontiere, come previsto dagli accordi tra le nazioni appartenenti all’UE. L’avventura si è rivelata fruttuosa, e sono esperienze come queste che possono ampliare gli orizzonti verso una società che riesamini i valori della collettività, della tolleranza e dell’altruismo, e sarebbe un beneficio per le future generazioni, meritevoli di apprezzare degli aspetti spesso trascurati fino ad ora. Le questioni economico–sociali avranno il loro tempo e poggeranno su questi importanti capisaldi.¿


Autori

sullo sfondo: ISABELLA CAPOZZI

Lyuba Centrone |

/ lyuba.centrone

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iao Isabella, è buffo trovarci qui nei ruoli di giornalista e di intervistata, siamo amiche da tempo! “Restituiscimi la saliva dei tuoi baci”, lo trovo uno dei tuoi versi migliori. Raccontami un po’ la tua arte… Si sveglia quasi sempre di notte, bussa nella testa e si concretizza il giorno dopo nelle mani. Sputa inchiostro soprattutto quando non esce la sera, spesso scrive senza cambiare una virgola, mentre, quando è insicura fa il punto della situazione, rivoluzionando l’intero pensiero. E’ autobiografica, biografica ed ha una lingua ‘’androgina’’: si esprime anche al maschile, con un ingannevole senno femminile. La sua fonte è l’incubo e il sogno, la delicatezza amorosa e la passione suicida; è il bacio sulla ferita, l’urgenza di stabilità, la precarietà italiana. E’ un’arte fatta di versi sussurrati e un attimo dopo gridati al megafono del cuore; predilige la sostanza e, libera, si spoglia della forma, per lasciarsi toccare. Attraversarla è comprendere l’armonia degli opposti. Guardandola allo specchio, posso affermare che è l’impronta imperfetta della mia esistenza. Tempo fa ragionavamo su quello che il mercato produce a catena di montaggio e quello che invece i sobborghi metropolitani nascondono “ai più distratti”. La tua poesia potrebbe benissimo accattivare le masse, e allo stesso tempo affascinare i più attenti… chi vorresti raggiungere? Credo che scrittori e lettori si scelgano vicendevolmente. Non punto la penna come un Kalashnikov su nessuno, non c’è una fetta particolare di società che m’interessa raggiungere. Semplicemente, dubito che chi sia attratto dalla cultura (mi costa usare nella specie questo termine) di massa o da fenomeni da baraccone, possa trovare realmente interessanti i miei versi, al punto da lasciarsi sedurre dagli stessi. Stravolgerei la tua domanda, se mi permetti, e la trasformerei in un consiglio, rivolto anche ‘’ai più attenti’’: prestate orecchio, disponibilità e ancora più attenzione a quello che si muove sullo sfondo. E’ lì, spesso, la qualità.

versi di una poesia di Neruda. Ironia pungente…E’ un po’ questo il tuo mondo, un mondo divertente, ma a tratti tragico. In prosa, come lo racconteresti il tuo mondo? Avrebbe la stessa sostanza: sempre un po’ triste, sempre un po’ allegro. Cambierebbe solo la forma: mascara su rami di ciglia, fiumi di rossetto, cascate di maglie, una bella cinta per equatore, tante gonne fiorate, montagne di tacchi e camminata ambigua e sfuggente. Sarebbe un mondo più ricco di parole, con pagine di vita più lunghe, ma identico nell’essenza. Avverto l’esigenza di semplificare e accorciare un’interiorità di per sé già complessa.

“Nuda sei semplice, ma vestita stai meglio”. Giochi con i

Baci spaziali ¿

Riprendo un altro tema che vien fuori da una delle nostre serate fra amiche: Fabio Volo e Alberto Moravia. Continua tu… Non ci può essere differenza, lì dove non è possibile neppure paragone. Con Moravia mi costringi ad un comizio di bellezza, con Fabio Volo mi condanni alla peggiore declinazione del silenzio. Il primo è l’interprete e lo scrittore dei sentimenti, il secondo è la banalità dell’amore e della vita: un commerciante di parole a buon mercato. Conosco Moravia e mi innamoro della sua mente, dopo aver ascoltato una sua affermazione, nel film-documentario ‘’Comizi d’amore’’ di Pier Paolo Pasolini: ‘’Gli uomini veramente di profondo senso religioso non si scandalizzano mai. Insomma, non credo che Cristo si scandalizzasse mai... [...] Anzi non si è mai scandalizzato. Si scandalizzavano i farisei”. S’illuminano di ‘’scandalo’’ e di batticuore anche le catechiste innanzi a questo concetto! Per quanto riguarda Fabio, prenderei un caffè al volo con lui, soltanto per chiedergli:’’Come l’hanno presa i tuoi?’’ Finiamo con una domanda aperta. Prendi le redini del gioco e fai di queste ultime righe quello che vuoi… Chiudo questa domanda aperta con una citazione: ‘’Mi contraddico? E va be’...mi contraddico; Io sono vasto...contengo moltitudini’’. Walt Whitman.

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Cinema

Diario della Biennale quattro giorni di cinema visto dalla laguna Maria Castellano |

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a città lagunare ci accoglie in tutto il suo splendore il 27 agosto. Venezia, città sospesa negli spazi e nei tempi. Ha i suoi di tempi, ai quali il turista si deve ben presto e dolcemente adattare. Niente auto, strette calle, solo vaporetti che ti trasportano mollemente sulle acque alla scoperta di tante meraviglie. Molti pensieri fluttuano nella mia testa. Da una parte la sua bellezza, l’arte che ammiri in ogni angolo, e la constatazione di quanto di positivo l’essere umano possa realizzare, solo se lo vuole. Dall’altro, tutto ciò si va a scontrare con le tristi notizie di cronaca: l’incidente su Canal Grande, costato la vita ad un turista tedesco, e subentra tristezza. Immobilità, astrazione, sospensione, che appartengono a Venezia come città, ma anche come Biennale di cinema. La Mostra si inaugura infatti con “Gravity” di Alfonso Cuaròn. Film dallo spazio astratto, impalpabile, vuoto...inevitabile a questo punto una riflessione sul nostro di cinema. Piombano così interrogativi leciti: in che direzione va la settima arte oggi? Quale strada ha scelto di percorrere? Quali ostacoli incontra? La grande macchina del cinema, che è allo stesso tempo e imprescindibilmente arte e industria, in quali tempi e in quali modi si sta muovendo? Quest’anno la Mostra del Cinema a Venezia ha festeggiato la sua 70sima edizione. La prima immediata impressione è la volontà di distinguersi per qualità, coerenza di iniziative e coraggio di scelte. L’attrezzatura tecnologica delle sale è portata ai massimi livelli grazie al contributo del comune di Venezia, che ha stanziato 6 milioni di euro per riqualificarle. Il risultato è davvero tangibile: ottimo suono e ottima visione. Il red carpet, che segna l’ufficiale e “mondano” inizio della Mostra, mi appare da subito come un bizzarro e variegato mosaico di personaggi. A tratti sembra il set di un film di Garrone, un’eleganza spesso ai limiti del trash, tipicamente italiano. Gli ospiti piu’ attesi dal gossip sono senza dubbio l’inossidabile Clooney e la bella Bullock. Forse proprio il recente ritorno a single di George spinge un gruppo di cinquantenni in un delirio di tipo adolescenziale ad intermittenza ridicolo, alcune sono addirittura colte da malore. Sorrido...

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Marina Ripa di Meana, invece, procede malinconica, ingabbiata dal suo abito e dal suo personaggio, schernita da fischi e commenti del tipo”largo ai giovani” o “datti all’ippica”. Sorrido ancora, questa volta amaramente. Indimenticabile per me la fierezza di Bertolucci e l’ipnotica energia di William Friedkin e del suo cinema visionario. Il giorno dopo riceverà un meritatissimo ed emozionante Leone d’oro alla Carriera. Standing ovation per Eva Riccobono, bella, ma molto gattopardiana nel suo abbigliamento. La mattina del 29 agosto sono due le Sicilie presentate alla Mostra: “Summer 82, when Zappa came to Sicily”, un originale ed inedito ritratto di un grande del rock, e “Via Castellana Bandiera” definito da alcuni un “western al femminile”, ma di cui mi ha personalmente convinto solo la straordinaria interpretazione di Elena Cotta nel ruolo di Samira. La vera sorpresa di questi primi 4 giorni di Mostra è stato un film d’animazione, fuori concorso, evento speciale d’apertura, di Alessandro Rak: “L’Arte della Felicità”. A realizzarlo un gruppo di giovani fumettisti, disegnatori e musicisti partenopei. E’ un film spirituale, che mette in luce la sensibilità di Napoli, considerata spesso solo nel suo ineluttabile degrado. Tutto, in questo film, è una metafora esistenziale, i disegni sono estremamente ingegnosi e creativi, le musiche curate. Mi convinco di appartenere alla schiera delle cosiddette cinefile “integraliste”, insomma, una stakanov della pellicola. Infatti in questi giorni varco l’ingresso del cinema alle ore 9 e ne esco fresca e soddisfatta alle 00:30, giusto in tempo per prendere l’ultima navetta che mi riporta nel pieno della notte, in piazza S.Marco. Ma l’emozione è grande e si porta nel cuore.¿


Garibaldi Reloaded distribuito in tutta la regione. Di Filippo Linzalata

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l 24 settembre scorso si è svolta nella cornice del Palazzo Barone Ferrara, in pieno borgo Murattiano presso il centralissimo Corso Vittorio Emanuele di Bari, l’evento di chiusura del programma di iniziative celebranti i 150 anni dell’unità d’Italia. In una gremita sala congressi offerta gentilmente dall’ Apulia Banca, la presidentessa del comitato pugliese per il 150° anniversario dell’unità nazionale, Bianca Tragni, ha ripercorso le tappe che hanno segnato lo svolgersi degli eventi commemorativi partendo dalla nascita del comitato fino ad arrivare ai giorni nostri. Il tutto è ampiamente documentato all’interno dell’opera Puglia, Italia, Europa. Dall’unità alla comunità con Mazzini a cura di Bea-

trice Leddomade e Bianca Tragni, un tomo di oltre 200 pagine ricche di testimonianze relative agli eventi svolti divisi fra relazioni di base e interventi settoriali convergenti in campo culturale, sociale e artistico. In quest’ultima sezione è dedicato ampio spazio al compianto concittadino Vito Osvaldo Angelillo, socio del comitato. Il regista, sceneggiatore e attore poliedrico, prematuramente scomparso a luglio scorso, è l’artefice del lungometraggio Garibaldi Reloaded che è stato allegato al tomo sopracitato contestualmente distribuito in tutte le biblioteche della Regione. Un piccolo risultato, seppur forse giunto in ritardo, che fa onore al lavoro del regista gioiese e alle tante persone che hanno creduto e sostenuto il suo estro che lo ha portato

a divenire una delle colonne portanti della cultura gioiese.¿

Via Dante, 80 PrimaVera Gioia 27



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MinuicchiO


Tu vuò fa ‘o renziano... q

Rosario Milano

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opo la crisi di governo, arriva anche la mozione di sfiducia in Consiglio: di crisi in crisi avanziamo verso un futuro avaro di speranze. Abbiamo avuto il peggiore Partito Socialista d’Europa ma, una volta creato un vero partito riformista, siamo stati in grado di trasformarlo in un coacervo di feudi e roccaforti di potere, perché la maledizione della sinistra italiana è quella di rimanere vittima degli stessi uomini di sinistra. L’approdo naturale del vendolismo avrebbe dovuto essere l’adesione al Partito Democratico, la formazione di un’egemonia a sinistra, costruita intorno ai valori della sinistra, ma utilizzando il linguaggio politico che appartiene a questa epoca. L’approdo al riformismo di Vendola è però fallito, o rimandato, e non solo per sue responsabilità. Ora, il popolo della sinistra, proverà con un nuovo leader presunto carismatico (probabilmente uno carino con il risvolto ai pantaloni), che aspira a governare il paese contro la crisi, almeno così si spera. Anche sul piano locale è arrivato il momento dei “renziani”, una corrente che dovrà costituire un’anima attiva del Partito Democratico, auspicando che non si traduca tutto nella solita lotta congressuale per la supremazia all’interno del partito. L’epifora della speranza costituisce un esercizio che tende ad esorcizzare la paura che si tratti del solito “fuoco fatuo”, che non ci sia nulla di nuovo sotto al cielo, perché tra i rottamatori di oggi ci sono anche i rottamabili di ieri, perché questo “nuovo che avanza” non sembra così vergine come vorrebbe farci credere. Certo, le generalizzazioni, soprattutto quando sono banali, possono essere facilmente smentite. Giulio, però, sosteneva che “a pensare male spesso ci si azzecca”, e in questo caso molti di quelli che oggi si ritagliano la patente del “nuovo che avanza”, sostenendo di non aver visto, di non aver saputo, declinando ogni responsabilità e fingendo di non aver beneficiato delle esternalità del sistema, non sono assolutamente credibili. Il paese pullula di vergini diversamente violate, che si annidano ovunque e che rivendicano la propria purezza, almeno finché non arriva la 30 PrimaVera Gioia

Finanza. Lo spettacolo onirico, dal quale siamo ormai assuefatti, si articola senza soluzioni di continuità tra il piano politico locale e quello nazionale: il comune denominatore è costituito dalla distanza abissale tra il paese reale e il mondo percepito dalla classe politica del paese tutto, uno iato incolmabile che interessa anche la compagine consigliare di Gioia del Colle. Il Consiglio comunale di questo paese di provincia, è lo specchio fedele del disagio che ha condotto Beppe Grillo, un comico, a rappresentare per molti degli avventori elettorali una credibile soluzione. Il Consiglio, l’organo rappresentativo del nostro paese, alla prima convocazione settembrina, dopo due mesi di meritate vacanze, offre il solito decadente spettacolo. Esclusi quattro o cinque consiglieri degni di questo titolo, il resto sembra capitare lì per caso, distratti dal telefono (non è raro che il Presidente del Consiglio debba attendere che si chiudano le conversazioni telefoniche private per poter procedere con i lavori consigliari), ossessionati dal “dio tabacco”, impegnati nell’adempimento delle funzioni di “mammasantissima”. Il problema è che l’uomo qualunque non osserva il lavoro importante e meticoloso dei pochi, ma inevitabilmente osserva soltanto quanto di eclatante e imbarazzante viene prodotto dall’altra parte. Certo si obbietterà che i Consiglieri, infondo, sono dei professionisti oberati da altri impegni, ed è per questo che appaiono distratti, assenti, inadatti alle circostanze. Ognuno può immaginare la risposta migliore, ma resta il fatto che questa classe politica presta troppo facilmente il fianco alla semplicistica soluzione dettata dal motto “tutti a casa”. Basterebbe solo un po’ più di protocollo, un clima meno similare alla “gita di terza media” e un po’ più di rispetto istituzionale, per placare la facile indignazione di un paese che, nel frattempo, è piegato su se stesso. Ciò che atterrisce l’osservatore è proprio questo contrasto, oltre all’immobilismo di un paese destinato a non prendere decisioni. Non chiederemo certo ai nostri con-


siglieri di reintrodurre la scala mobile, di alleggerire la pressione fiscale, di adoperarsi per una politica sociale, non gli chiederemo di risolvere problemi che non possono affrontare. Vorremo solo che fossero un po’ più consapevoli che, mentre giocano a fare i consiglieri e i politici da un euro, attorno a loro cresce una certa aridità: perché a bene osservarli, sembrano quelli che durante i funerali ridacchiano in disparte. La crisi uccide, qualcuno ha iniziato a capirlo anche a Noia del Colle. Nessuno può conoscere le ragioni di un gesto estremo, possiamo produrre soltanto speculazioni e congetture che rischiano di offendere la memoria e la dignità dell’uomo. Ci limiteremo pertanto a notare che la gente muore, la gente scappa, la gente si isola ma nessuno sembra accorgersene. Solo a posteriori, quando i cosiddetti costi sociali della crisi sono ormai sotto gli occhi di tutti, è possibile incontrare il cordoglio di ognuno, anche del politico locale che se la prende con lo Stato, con la crisi, mentre omette di considerare che il silenzio sarebbe a volte più opportuno, che forse dietro la regia tra la vita e la morte si potrebbero celare alcuni tetri “signorotti del luogo” molto più vicini a noi rispetto allo Stato, intoccabili e portatori di voti. Come Studio Aperto ci insegna, un po’ di immagini rilassanti servono a cancellare l’amara realtà. Per scacciare i cattivi pensieri, non ricorreremo tuttavia a procaci donne ignude, ma a qualcosa di più divertente: io non so cosa passi per la testa del consigliere Antonicelli quando canta l’inno di Mameli, ma di certo la trance emotiva che coglie quest’uomo è ammirevole; sembra quasi che ci creda. Di fatto, l’inno, questo esercizio patriottico che si ripete prima di ogni consiglio comunale, e che dovrebbe in verità essere seguito dall’esecuzione dell’inno europeo, la Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven, l’ “inno alla gioia”, costituisce una simpatica manifestazione di folclore, che almeno mette di buon umore prima del rabberciato spettacolo successivo. Il problema è il seguente: quando gioca la nazionale e canta l’inno, al massimo possiamo perdere una partita, con quest’altra gente invece, abbiamo già perso in partenza. Massimo D’Azeglio, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e il Conte Camillo Benso si trovano in verità un po’ a disagio su quella parete nella Sala delle Adunanze. Ogni tanto, se li osservi bene, sembrano supplicare una grazia, implorano il ricollocamento nel magazzino, al secondo piano tra gli arguti “ingegneri” dell’UTC, oppure dai Vigili, dove Mazzini e Garibaldi, tra il lustro delle divise potrebbero ritrovare un po’ di arditismo e quel fervore risorgimentale ormai perduto nell’ovattata Sala delle Adunanze. Nelle pause dei lavori, l’ultimo arrivato in Consiglio, un pittoresco concentrato d’amenità, dopo aver saltato tutte le votazioni di giornata, dà sfoggio di sé, posando sorridente per le foto sullo scranno più alto del Consiglio. Magari anche lui un giorno farà parte della coraggiosa esperienza denominata “Adesso Gioia” - un motto che un po’ riecheggia ¡Ya Basta!, l’urlo di dolore degli zapatisti guidati dal Subcomandante Marcos in Chiapas - o resterà più comodamente adagiato sulle tranquille sponde dell’UDC. Già,

Il paese pullula di vergini diversamente violate, che si annidano ovunque e che rivendicano la propria purezza, almeno finché non arriva la Finanza.

proprio l’UDC ha offerto all’avvocato Colapinto la possibilità di intraprendere un viaggio verticale dalle sabbie della sconfitta per una manciata di voti, all’ebrezza di una manciata di deleghe e di un posto da Assessore comunale. Come si direbbe al bar, senza saper leggere né scrivere, dopo aver palesemente costruito il proprio consenso elettorale sull’elargizione di benefici diffusi a favore del popolo porco e affamato (anche assetato di campari, a dire il vero) si ritrova a fare parte del nostro governo. Non possiamo giudicarne l’operato, ovviamente, ma ci limiteremo ad osservare come la sua scalata al potere sia figlia di meccanismi perversi e antichissimi di costruzione del consenso interno ad una coalizione. Quando il sostegno di un partito è messo in discussione, la coalizione dominante deve rafforzare la parte che resta ancora fedele alle virtù del sovrano. Del resto, non c’è da meravigliarsi, è ancora la Democrazia Cristiana che domina, e questi movimenti verticali di riassetto (elevazione di un consigliere al rango di assessore per liberare il posto a Dongiovanni, un altro dei transfughi e traditori del povero “pierolone”, al secolo Pietro Longo) sono tipici della storia della “balena bianca”. Rileggere le cronache dei congressi della DC, l’elaborazione dei compromessi taciti, le nomine incrociazone d’ombra te, Domus Mariae, la lotta per il potere, la borghesia di Stato, etc., è un esercizio educativo utile a meglio comprendere le logiche che hanno condotto un giovane avvocato, che di politica non ha mai saputo e capito niente (eccetto il troppo scontato disprezzo per i “cheguevari”) al governo di questo già malandato paese. Se da un lato l’Italia ha avuto un partito socialdemocratico non all’altezza del suo ruolo, l’origine della tragedia italiana è da ricercare nel concetto di democrazia bloccata, nel fatto che lo stesso partito, al di là dei risultati elettorali, sia rimasto al governo per più di un quarantennio, l’unico caso dell’Europa occidentale libera, un’egemonia che per longevità risulta simile a quella dei partiti comunisti dell’Europa non-libera, un’egemonia culturale che non tramonterà mai. Vorremo tutti che il “nuovo che avanza” costituisca una vera svolta per questo paese, che potrebbe in questo modo ricacciare nelle tenebre quanto di brutto conosciamo. Le speranze sono residuali perché, a guardare bene, non basta abbassare l’età anagrafica, non è sufficiente affermare che sia finito il tempo per le alchimie, l’ostruzionismo personalistico, i giri di poltrone, etc.. In fondo, in politica non è come nella vita, ci sono sempre tante occasioni per rifarsi e riciclarsi. Al di fuori del loro video game, nella vita reale, invece, basta un momento, basta un attimo di sconforto per rinunciare a tutto, anche alla propria esistenza, un’esistenza che rimane unica e non si può né rottamare e né riciclare.



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