Il Romoletto 4/5

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Uno dei capolista di quei Romani che ecc. ecc. Quale miglior regalo a un giovane talento in “irresistibile ascesa”, abbiamo pensato, se non quello di metterlo davanti all’artista affermato, che tanto può insegnargli sulla carrettata di trappoloni che lo attendono dietro l’angolo? Sui “sì” da custodire gelosamente, ma anche sui “no” che dovrà improrogabilmente imparare a proferire? Ora, di Costui, che già difficilmente ci perdonerà la definizione di “artista affermato”, possiamo permetterci solo un breve ritratto: non tanto perché non necessita di presentazioni, che pure è vero, ma per una ragione ben più prosaica: altrimenti s’incazza. Avvezzo alle gerarchie della ribalta, è infatti un maestro nel passo del gambero, che consiste nel lasciare sempre la scena a chi più se la merita. Giusto il tempo, allora, di spiegare perché l’accostamento è efficace, e la strana coppia regge. Valerio c’è sempre. In qualsiasi iniziativa dal basso, qualunque amico lo convochi, chiunque lo fermi per strada: lui c’è. Serbiamo con affetto quest’immagine di quando faceva Rugantino: Teatro Sistina, se non era la sera della prima era poco dopo, lo spettacolo aveva fatto venire giù il teatro e intorno ai camerini c’era tutto lo stardom capitolino: attori, impresari, fotografi, registi, giornalisti che rimbalzavano da una stanza all’altra come mosconi sul miele... Pietro Garinei, la Ferilli al culmine del suo ferino fulgore... E poi c’era Rugantino, ventisei anni, per la prima volta ammesso nel salotto buono, nascosto in un sottoscala a fumare con i vigili del fuoco discettando di Marco Delvecchio e del lungo inverno zemaniano. È un esempio, potremmo farne altri cento. Mai una pubblicità, un film di Natale, i tanti dinieghi a chi lo voleva in piazza a presentare il concertone, davanti alla macchina da presa nelle più rinomate serie in divisa, nei più dozzinali show televisivi. Uno struggente romanzo scritto a quattro mani, ma con lo pseudonimo: per non profittare della notorietà, e che scherziamo. Il cinema d’autore che paga quel che paga, eppure tutti a pensare che c’hai i milioni “ar pizzo”, mortacci tua. Poi, ma solo poi, abbiamo scoperto che i due si conoscevano già. Che sono amici, o almeno quasi (si passano più di dieci anni, ma non inferiamo). Che anzi è una storiella che siamo stati proprio noi a inoltrare all’Affabile Attore (intitolata “Pedagogia”) a provocare il primo contatto, a innescare un tweet promozionale sparato Urbi et Orbi, a posare insomma uno dei mattoncini alla base della piramide del successo del Nostro. E dunque, signore e signori, Valerio Mastandrea.

Valerio. È la maledizione dell’opera seconda. Al cinema, i registi che fanno un grande esordio aspettano sempre tanto per quello dopo: stanno lì che costruiscono la sceneggiatura, un film molto più articolato dove vogliono mettere tutto quello che hanno imparato dalla prima esperienza, passano anni, e anni, poi arriva: ed è un incubo.

3. Di Mamma Roma, balocchi studenteschi e meteore.

Zc. Sentilo il nonno, che prova a inserirsi nella discussione...

Zerocalcare marca subito male, presentandosi con un quarto d’ora di ritardo. Valerio, che è Valerio, era arrivato addirittura in anticipo. Non possono che volare ingiurie e prese per il culo, ma quando l’Attore è informato che il Genio si è ricordato il libro, e che se fa il buono ci sarà pure il disegnetto per il figlio, quando l’intervistatore scorge sotto al giubbotto la felpa con il logo dei Minor Threat, gruppo hardcore dei primissimi anni Ottanta, il clima diventa subito idilliaco, come può esserlo insomma dentro a una caserma di Casal Bertone. Si inizia dunque a parlare del libro, questo benedetto “Un polpo alla gola” che sta sulla bocca di tutti. Esordisce così, mettendo le mani avanti:

Valerio. (Si avvicina al microfono facendo una voce da vecchio.) Sì, ce l’avevo ’na cassetta dei Fugazzi, tanti ma tanti anni fa...

Zc. Però io non lo so com’è venuto ’sto libro, eh. Capace che è brutto. Mo’ ve l’ho detto.

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Zc. Di sicuro il primo libro è stato più facile da realizzare: io di mio non ho un’attitudine sperimentale, mi hanno proposto di fare questa cosa a dicembre dell’anno scorso, prima che “La profezia dell’armadillo” avesse successo, se no probabilmente sarei rimasto con le mie solite cose autobiografiche... Valerio. Che poi c’hai 28 anni, prima o poi ’ste storie autobiografiche finiranno pure... Zc. Ma che ne sai te, io c’ho ’na vita piena, sa? Fatto sta che mi sono buttato in questo esperimento, dove pure nella genesi ci sono degli spunti autobiografici, ma c’è anche un elemento di “giallo” nell’intreccio, delle parti di fiction pura... Romoletto. Andiamo con ordine, facciamo un passo indietro. Vorrei partire da un elenco di cose che vi uniscono... Valerio. Così a occhio, ne vedo pochissime. A parte il fatto che nun bevemo e nun se drogamo, questo sì. Romoletto. Mi sembra un buon punto di partenza. Peraltro abbastanza atipico per chi proviene da un mondo come il vostro. Cominciamo con chi ha la felpa dei Minor Threat... Zc. Quando avevo diciassette, diciotto anni a Roma c’era una scena Straight edge particolarmente florida, che esercitava una fortissima attrazione su di me, anche proprio dal punto di vista estetico... Lo Straight edge, per chi non lo sa, è uno stile di vita che tra le altre cose prevede la rinuncia al tabacco, all’alcool e alle droghe... Un approccio declamato per la prima volta proprio da Ian McKaye, cantante dei Minor Threat e poi dei successivi Fugazi... Valerio. Ah, i Fugazi! Ma i Fugazi li conosco, li ho sentiti, mi piacciono!

Zc. Tacci tua. Fatto sta che quando ero pischello mi piaceva, oltre che la musica, tutto il discorso che ci stava dietro, soprattutto in un ambiente, che era quello che mi vivevo e che mi vivo tuttora ogni giorno, dove invece la cultura dello sballo era ed è purtroppo sempre in voga. Non assumere sostanze che creano dipendenza, o che possono alterare la coscienza, mi sembrava invece un buon modo per affinare l’autocontrollo, la logica continuazione di una decisione presa sin dalla più tenera età, e che riporto senza vergogna alcuna: Devi essere uno Jedi nella vita, sempre. È così. Poi è chiaro che è anche un gioco, una sfida con me stesso, non certo una roba dogmatica: nel senso che non è che credo che chi beve un bicchiere di vino, oppure si fa una canna, faccia qualcosa di sbagliato...

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