Polizia Penitenziaria - Giugno 2015 - n. 229

Page 29

crimini e criminali qualunque e “normale” che lavora come archivista all’Ufficio d’Igiene del Comune di Firenze. A seguito di perquisizione domiciliare nell’appartamento della Cecchin, all’interno della lavatrice è ritrovata l’arma del delitto, un coltello Opinel con una lama lunga 30 centimetri. Daniela Cecchin era nata nel novembre del 1956, a Montebello, in provincia di Vicenza. Il papà è un ingegnere delle Ferrovie dello Stato; la madre, laureata in matematica, dava lezioni private in casa, per occuparsi dei quattro figli. La famiglia, per ragioni di lavoro del padre, si trasferisce a Firenze. Daniela è una bambina tranquilla, forse un po’ introversa e timida, con una grande passione per la religione, ma sostanzialmente nella norma per una bambina della sua età. Nei primi anni 70, Daniela si iscrive al liceo classico Michelangelo di Firenze. Uno strano mutismo e un atteggiamento di chiusura fanno si che la ragazza è isolata e, a volte, derisa dai compagni di classe, soprattutto per la sua manifesta osservanza della fede. Il disagio sociale ed esistenziale che vive contribuisce ad una serie di fallimenti che aumentano la sua insicurezza e che rappresentano i sintomi di sentimenti di rancore e rabbia verso il mondo. Nell’estate del 1975 consegue il diploma, con la votazione di 42/60, con il seguente giudizio: «Tranquilla, comportamento diligente, più portata alle materie tecnico-scientifiche. Un po’ introversa e silenziosa, molto attenta alla religione». L’implosione arriva l’anno successivo, dopo l’iscrizione alla facoltà di Farmacia, presso l’Università di Firenze, probabilmente per una frustrazione amorosa o un esame andato male. Fatto sta che la ragazza lascia gli studi e si chiude in casa. Trascorre le giornate al buio, leggendo il Vangelo e libri gialli, ascoltando musica sacra e guardando e riguardando film horror di Hitchcock. Che cosa è scattato nella mente di Daniela? E soprattutto perché decide di uccidere? Tre anni prima del delitto, per caso, aveva incrociato per strada a Firenze un suo vecchio compagno di facoltà, Paolo Botteri. Paolo, ai tempi dell’università, era stato l’unico ragazzo ad invitarla ad uscire ed era stato sempre gentile con lei. Lei, peraltro, aveva rifiutato l’invito e Paolo non aveva

insistito più di tanto. Decide di seguirlo, anche nei giorni seguenti, per scoprire dove abita e dove lavora. Paolo, a sua differenza, ha terminato gli studi ed ha aperto una farmacia nel centro di Firenze, ha una moglie, Rossana D’Aniello, e due bambine. La scoperta del contesto familiare e della realizzazione professionale di Paolo Botteri incide grandemente sulle precarie condizioni psichiche della donna. Pensò che forse una vita così sarebbe potuta capitare anche a lei: la felicità, una famiglia, un uomo gentile che non la deridesse. Inizia così a maturare un’invidia verso la vittima, tanto da pedinarla e spiarla al fine di ricostruirne i movimenti e poterla coglierla di sorpresa. L’8 novembre, l’ira e il desiderio di vendetta raggiungono l’apice. Suona alla porta di Rossana D’Aniello, fingendo di dover consegnare un pacco e, quando la donna apre, l’accoltella senza pietà, spingendola all’interno e continuando sino a sgozzarla. Il movente del suo omicidio: “Invidiavo la sua felicità”. Nel dicembre del 2004 la condanna, con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione. Nell’aprile del 2006 la sentenza d’appello conferma la condanna inflitta dal GUP, ritenendo l’imputata pienamente in grado di intendere e di volere quando commise l’omicidio. La prima sezione della Corte di Cassazione, nel gennaio del 2007, ne dispone l’annullamento, con rinvio della sentenza di secondo grado, ritenendo le motivazioni prive di «serietà scientifica» sia riguardo il movente dell’omicidio sia riguardo l’asserita mancanza «di segni di un difetto della capacità di intendere e volere» da parte dell’ imputata. Il 30 gennaio del 2008, la Corte d’Assise d’Appello di Firenze, giudicando in sede di rinvio e accogliendo la richiesta di patteggiamento, in base all’accordo tra le parti, ha ridotto a 20 anni di reclusione la pena, giungendo alla seguente conclusione: «Al momento della commissione del reato, Daniela Cecchin era (ed è tuttora) affetta dalla seguente severa infermità: disturbo della personalità paranoide» cosa che ha «grandemente scemato la sua capacità di intendere e di volere». Il Disturbo Paranoide di Personalità, come riportato dalla Direzione degli Psicologi Italia (www.psicologi-italia.it), è

caratterizzato dalla tendenza persistente ad interpretare i comportamenti, le intenzioni e le azioni degli altri come malvagie con la paura ingiustificata di essere attaccati in ogni momento, senza alcuna ragione, finendo per assumere comportamenti sospettosi e ostili. Gli individui che presentano questa patologia vivono in un continuo stato di pericolo e si sentono vittime di complotti in presenza di qualunque gesto o parola che per loro assume un significato di minaccia. Tale comportamento definisce col tempo una chiusura in se stessi e comporta grosse difficoltà ad intraprendere e mantenere relazioni con gli altri. Nel disturbo paranoide di personalità non è la realtà ad essere distorta (come avviene in altre patologie) ma l’interpretazione di essa. Criteri diagnostici Secondo il DSM IV, del Disturbo Paranoide di Personalità sono: • sospetta, senza una base sufficiente, di essere sfruttato, danneggiato o ingannato; • dubita senza giustificazione della lealtà o affidabilità di amici o colleghi; è riluttante a confidarsi con gli altri a causa di un timore ingiustificato che le informazioni possano essere usate contro di lui; • scorge significati nascosti umilianti o minacciosi in rimproveri o altri eventi benevoli; • porta costantemente rancore, cioè, non perdona gli insulti, le ingiurie o le offese; • percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri, ed è pronto a reagire con rabbia o contrattaccare; • sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge o del partner sessuale. Ci sono volute ben tre perizie psichiatriche, nell’arco di cinque anni di processi, per “comprendere” la personalità di una donna che, come tante, quotidianamente incrociamo sul nostro cammino. Una donna dallo sguardo glaciale, impenetrabile, che vestiva come una suora laica, che non disdegnava la musica heavy metal e che non aveva esitato a farsi un doppio intervento al seno: per tenerlo su e per tirare fuori il capezzolo. Daniela Cecchin sta scontando la sua pena nel carcere fiorentino di Sollicciano. Alla prossima... H

29

Polizia Penitenziaria n.229 giugno 2015


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.