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ALMANACCO DEL RAMO D’ORO Almanacco del Ramo d’Oro ha due anni; cosa che vuol dire, per una rivista, che è appena nata, anche se due anni sono già molti e molte riviste sono apparse e scomparse in un arco di tempo più breve. Nasce a Trieste nel gennaio del 2003 dopo una lunga gestazione, complessa e faticosa: parte da un piccolo gruppo di persone interessate alla poesia, non particolarmente vicine sul piano delle affinità, non legate da vincoli personali di amicizia, ma disposte a mettersi in discussione in un progeto culturale di lunga durata. In realtà tutti condividiamo una concezione di poetica che fa della rivista un luogo che si lascia attraversare dalle diverse linee di tendenza poetica, non perdendo mai di vista la centralità del testo, la sua autonomia e autosufficienza. Una parte della redazione si allontana ancora prima dell’uscita del numero uno, ma dalla data di pubblicazione del primo numero la redazione si è arricchita di nuovi elementi e le collaborazioni sono aumentate. La redazione è composta da Sergio Cimarosti, direttore responsabile, Gabriella Musetti, direttore editoriale, Daria Betocchi, Roberto Dedenaro, Claudio Grisancich, Jolka Milic, Mary Barbara Tolusso. Attualmente è in uscita il numero 7 con cui si aprono due nuove redazioni: a Milano con Mario Benedetti e Mario Santagostini, a Roma con Alessio Brandolini e Biancamaria Frabotta, e con Mary Barbara Tolusso che assume il ruolo di direttore responsabile. Che cosa vuol essere questa rivista: 1) per prima cosa un “luogo”, un terreno di scambio e di passaggio dove sia possibile un confronto di culture, idee, lingue, angolature da cui si guarda la realtà. Un luogo aperto, vivo; un punto di osservazione di quanto accade nel mondo, nella realtà concreta vicina o più lontana. 2) vuole essere anche un luogo di relazioni, perché lo scambio e il confronto avvengano alla pari, senza alcuna idea di superiorità o di esclusione. Un luogo di relazioni che guarda al futuro, a un progetto di Europa ancora da costruire sotto l’aspetto del reciproco scambio di culture, di lingue, di condivisione di progetti di società. Una società non aggressiva, non prevaricante, non escludente, in grado di dialogare con altre realtà che si affacciano sul Mediterraneo o che si collocano in luoghi più lontani senza riproporre i vecchi schemi ideologici del “centro e periferia”. 3) un luogo dove il confronto sia anche acceso, problematizzato, conflittuale, ma avvenga attraverso il riconoscimento dell’altro e non la sua cancellazione. Da qui l’importanza della memoria e della storia culturale di popoli che hanno vissuto differenti e spesso radicate interconnessioni tra loro. 4) un luogo che riconosca le differenze, prima tra tutte la differenza sessuale, che sia attento al contributo attivo della produzione letteraria delle donne e ne valorizzi la presenza sul piano culturale e sociale. 5) infine un luogo di elaborazione del nuovo, che guardi all’Europa e al Mediterraneo recuperandone saperi, tradizioni culturali e relazioni che hanno storicamente segnato la vita di popoli diversi, ne hanno arricchita e resa più complessa l’esperienza del mondo, ma che sappia anche guardare oltre il Mediterraneo per allargarsi a una dimensione più ampia e planetaria. Una prospettiva che sappia attraversare culture e letterature diverse scavalcando le barriere disciplinari o ignorandone i confini spesso troppo rigidi. Una prospettiva sostanzialmente militante, se per militante si intende l’opera di impegno a sollevare o favorire dibattito, manifestazione di idee, ricerca di confronto, con una attenzione specifica a coniugare l’aspetto teorico all’aspetto “pratico” delle questioni, quello che riguarda la vita concreta delle persone, come a dire favorire cambiamenti nello schema mentale e nella politica. A partire dalla letteratura e dal suo grandioso potenziale euristico, significa interrogare diversi soggetti, riconoscere empiriche costruzioni storiche, saldare debiti di cultura, salvaguardare una trasmissione plurima, decentralizzata e plurilingue dei testi e dei prodotti culturali di diversi popoli e gruppi, con la consapevolezza che in un mondo “globalizzato” spesso negli interstizi o nei margini si trovano esperienze di trasformazione che coinvolgono forme innovative di confronto, di conflitto o di convivenza. Non a caso la rivista nasce a Trieste, perché nei suoi obiettivi fondanti vuole raccogliere, al di là della consueta semplificazione sulla multiculturalità del territorio, il senso vivo di appartenere a una terra di confine, confine inteso come passaggio e non barriera, come transito di azioni e di parole, di soggetti concreti. In questo senso rivendica una sorta di appartenenza ideale: radici e identità come misura di passaggi e di commistioni, come accade di solito nelle esperienze reali delle persone che vivono da sempre in una situazione di vicinanza con l’altro/gli altri. È un progetto ambizioso, lo sappiamo, difficile da portare avanti. Ma è un progetto che può muoversi – come accade – con la logica dei piccoli passi, con l’impegno costante e volontario di alcune persone che condividono sostanzialmente un desiderio. È uno sforzo molto grande quello che stiamo facendo. Significa, nel concreto, intrecciare relazioni con diverse realtà culturali, proporre testi e autori di diverse provenienze, tradurre, esplorare situazioni, individuare nodi e problemi mantenendo chiare le linee direttrici del progetto. Come articolazione interna della rivista abbiamo scelto la presenza di diverse Sezioni: a) una prima Sezione propone il “Tema” del numero, tema svolto attraverso interviste, brevi saggi, discussioni, testi creativi, ecc.

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