Nel labirinto della storia perduta

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Più concause determinarono l’accelerazione della crisi. Anzitutto gli industriali lanieri erano stati abituati, sotto la dominazione borbonica, ad una forte politica protezionistica e doganale e non ressero nel passaggio al liberismo, nella nuova situazione di competitività e concorrenza con le altre aziende del giovane Regno. Venne poi meno la garanzia della grande quantità di commesse pubbliche dell’esercito borbonico, nel mentre il nuovo Regno decise di approvvigionarsi, in larghissima misura, dalle industrie francesi, inglesi, piemontesi. Gli industriali lanieri inoltre non investirono i profitti in precedenza accumulati puntando su un’ulteriore crescita di qualità. Progressivamente, nel procedere della crisi, si determinò un’impoverimento della manodopera più qualificata. Molti lavoratori, alquanto professionalizzati con quell’esperienza lavorativa, a fronte dell’incertezza che iniziava a regnare sovrana, decisero di trovare reimpiego presso altre aziende piemontesi e del Nord. Una decadenza, progressiva e grave, che per la prima volta nella storia degli insediamenti produttivi lanieri diede vita a manifestazioni operaie di protesta. Scelte politiche ed opzioni forti a vantaggio delle imprese del Nord furono in sostanza le cause essenziali della progressiva ma inesorabile scomparsa di una grande esperienza industriale, sociale e produttiva. Le pubbliche amministrazioni locali e le classi politiche del territorio non si mostrarono neanche lontanamente all’altezza della sfida, nè riuscirono a svolgere alcuna valida funzione di contrasto alle tendenze in atto, non salvaguardarono nè difesero la storia, la tradizione, il lavoro. L’ipotesi del parlamentare R. Conforti, eletto nel Collegio di San Severino e Ministro di grazia e giustizia nel 1862, di creare un unico, potente polo laniero, accorpando tutti gli opifici ammodernati in una sola grande impresa integrata, non fu presa in considerazione con l’attenzione che avrebbe invece meritato ed il progetto fallì. A quel punto la fisionomia della Valle dell’Irno mutò sensibilmente. Molti lavoratori lanieri emigrarono verso altre industrie cotoniere, altri tentarono di riconvertirsi avviando in proprio attività artigianali, tanti altri scelsero la strada dell’America. Dopo le numerose crisi superate, di volta in volta dovute a fortissime imposizioni feudali fiscali, all’epidemia di peste del 1656, alla svalutazione monetaria del 1693, alla carestia del 1764, ed alle epidemie di colera del 1837 e del 1884, si arrivò alla fine dell’industria della lana. Sopravvissero soltanto pochissimi degli antichi lanifici. Lo storico lanificio “ Napoli”, pressochè esclusiva eccezione, ha protratto la propria attività fino al 1967. A ricordo dell’antica arte della lana sono sopravvissute soltanto piccole attività artigianali. 29

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Di notevole interesse, al proposito, l’opera di Giuseppe Rescigno, “ Itinerari ambientali e culturali a Mercato S. Severino”, in specie il terzo tomo dell’opera:” Arti e Mestieri tra passato e presente”. Per la nostra trattazione i capitoli : “ Dal Medioevo all’età moderna”, con il paragrafo su “ tessitori, canapari, capisciolari”pp. 29-35 e quello sul Settecento: “ Arte della lana, seta, canapa”pp. 56-77. Vi si riscontra una circostanziata ricostruzione dei primordi dell’arte della lana a Mercato S. Severino e nella Valle dell’Irno, ma anche dell’arte della seta e della canapa. 41


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