Mensile Valori n. 122 2014

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Cooperativa Editoriale Etica

Anno 14 numero 122 ottobre 2014

€ 4,00

COLPO DI SCENA: LA DEREGULATION COSTA DI PIÙ

finanza

AGRICOLTURA FAMILIARE: LEGGE CERCASI

economia solidale

9 788899 095000

ISBN 978-88-99095-00-0

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR. Contiene I.R.

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

ELEZIONI DI MIDTERM: PER OBAMA NESSUN SUCCESSO DA SBANDIERARE

internazionale

Battaglia di canne

Dagli Usa si riaccende il dibattito sulle droghe leggere legali. Più i costi o i benefici?


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valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


editoriale

UN MERCATO DANNOSO di Andrea Di Stefano

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

L

o dichiaro a priori: nessuno di noi è condizionato dal mood della canna. Lo spirito che culturalmente e mediaticamente ha sempre caratterizzato la moda del fumo non ci piace. Ma ugualmente pensiamo che le battaglie ideologiche basate sulla repressione siano profondamente errate e dannose. Non c’è bisogno di essere esperti di psicologia di massa per capire che il proibizionismo ha prodotto effetti devastanti, in primis per milioni di consumatori occasionali, trasformati in soggetti devianti e sottoposti a più o meno scandalose pratiche di “riabilitazione”. Il mercato globale della foglia di cannabis è stimato a 130 miliardi di dollari, oltre la metà negli Usa. I dati sui sequestri di marijuana sono indicativi: delle 6.000 tonnellate intercettate a livello globale quasi la metà è stata scovata in Messico, e un quarto negli Usa. Le vendite al dettaglio in Europa eccedono i 25 miliardi di dollari, circa un quinto del volume d’affari globale: si noti che l’Europa sequestra meno dell’1% del volume mondiale. Il resto dei consumi (e dei sequestri) è frammentato tra Africa, Australia e America Latina. Diverso è il consumo di hashish, che trova il suo mercato principale in Europa: oltre tre quarti del fatturato globale, che sfiora i 30 miliardi di dollari. La Spagna detiene il primato nei sequestri con oltre la metà delle 1.300 tonnellate di hashish intercettate al mondo. Il resto del mercato mondiale è fratturato in percentuali modeste (5-10%) negli altri continenti. Le cifre riportate sono il risultato di una triangolazione delle informazioni disponibili: stime sulla coltivazione (via osservazioni satellitari e ispezioni sul campo), sul consumo (attraverso il numero dei consumatori, ritarato in base al volume di uso) e sui sequestri. Questi ultimi forniscono i dati più robusti statisticamente parlando e offrono una chiave di

lettura per mediare informazioni a volte assai divergenti tra i volumi di offerta e di domanda, oltre che una mappa generale circa i traffici internazionali. I dati sui sequestri indicano che le rotte della marijuana sono interregionali e valicano poche frontiere. Il perno sono gli Usa e il traffico avviene lungo il loro perimetro esterno, attraverso i confini con il Messico e il Canada. Le rotte dell’hashish tendono, al contrario, a essere intercontinentali, concentrate attraverso il Mediterraneo e lungo le coste orientali dell’Atlantico. Per ciò che concerne le droghe sintetiche, invece, il consumo continua a eccedere, in termini di numero di tossicodipendenti, quello delle droghe botaniche come cocaina e oppiacei. Il mercato mondiale, da tempo stabilizzato a circa 34 milioni di consumatori, mostra una maturazione nei Paesi industriali e una lenta ma continua crescita nel Terzo mondo. La produzione globale si aggira sulle 500 tonnellate l’anno, stabile da un decennio, con un giro di affari al dettaglio pari a circa 60-70 miliardi di dollari. La legalizzazione del consumo di stupefacenti è ormai nell’agenda di governi, organismi internazionali, esperti di salute e soprattutto di chi intende affrontare il nodo della criminalità organizzata colpendo alla radice una delle fonti principali di approvvigionamento economico-finanziario dal quale discende il potere di controllo del territorio e degli esseri umani. Abbiamo scelto di parlare della “battaglia delle canne” perché in gioco ci sono prima di tutto migliaia di persone, vittime di una vera e propria guerra di religione. Quelle vittime della repressione cieca e della criminalizzazione, ma anche le migliaia di essere umani (spesso giovanissimi) che rappresentano la manovalanza delle organizzazioni criminali che gestiscono l’attuale sistema industriale degli stupefacenti. ✱ 3


fotoracconto 02/05

Sulle leggi proibizioniste, in particolare riguardo alle droghe leggere, il dibattito è apertissimo. Mario Centorrino, già professore di Politica economica all'Università di Messina (scomparso recentemente) aveva un’idea chiara: «Mi augurerei che si potesse passare dalla lobby del cartello di Medellin a quella della Marlboro». E se all’inizio del secolo scorso a lucrare sul mercato illegale dell’alcol in America non c’erano i criminali colombiani, ma l’altrettanto sanguinaria Cosa nostra di Al Capone, la storia del 4

proibizionismo di allora ci insegna qualcosa. Il divieto di fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcol cominciò negli Usa nel 1920, con il XVIII emendamento e il Volstead Act, e generò un’impennata dei prezzi. Nato a partire da un eccessivo consumo di alcolici, con conseguenze sociali pesantissime, il Proibizionismo venne promosso da movimenti di impronta morale ed eticoreligiosa e da alcuni personaggi influenti (Henry Ford, John D. Rockfeller). Altro effetto della normativa

fu la creazione di un enorme mercato nero nei cosiddetti Speakeasy, club clandestini (decine di migliaia in tutto il Paese) dove si entrava con la parola d'ordine e si poteva bere in libertà. Nel 1933 il Proibizionismo terminò, dopo anni di tolleranza zero e decine di vittime (poliziotti, civili, criminali).

PHOTOGRAPH BY LESLIE JONES, COURTESY OF THE TRUSTEES OF THE BOSTON PUBLIC LIBRARY

Nel fotoracconto di questo numero raccontiamo l’era del proibizionismo americano, grazie agli scatti di Leslie Jones, che ci sono stati gentilmente prestati dalla Boston Public Library. valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


sommario

ottobre 2014 mensile www.valori.it anno 14 numero 122 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero: Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Luca Martino, Valentina Neri, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Leslie Jones, Courtesy of the Trustees of the Boston Public Library; Antonello Carboni; Valerie Gaino; Roberto Giomi; Paolo Andrea Montanaro; Ministerie van Buitenlandse Zaken, Pete Souza, RudolfSimon (commons.wikimedia.org) distribuzione Press Di - Segrate (Milano)

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Annuali

Euro 38 Euro 48 Euro 28 Euro 48

Biennali Euro 70 Euro 90 Euro 50 Euro 85

fotoracconto 01/05 Dalla marijuana all’alcol. Se nel dossier di questo numero parliamo della possibile legalizzazione delle droghe leggere, nel fotoracconto mostriamo le immagini di quando a essere illegale era l’alcol: il proibizionismo negli Stati Uniti.

dossier

6 Legalizzazione utile

Lasciando per un momento da parte le (seppure fondamentali) questioni etiche, ci domandiamo se la legalizzazione delle droghe leggere possa portare benefici. Un dibattito che si è acceso a livello internazionale

finanza etica

Dodd-Franck. E siamo solo a metà Senza regole la finanza è più cara e meno efficiente La grande corsa del crowdfunding

numeri della terra avvistamenti economia solidale

19 22 25 28 30

L’agricoltura familiare sbarca in Parlamento In Giappone si coltiva al chiuso. Vicino a Fukushima Boom del cacao. Un’occasione persa?

global vision internazionale

33 37 39 43

Ultimo esame per Obama Europa. Il trionfo della Supercommissione Spionaggio in rete. Berlino abbaia ma non morde

45 48 50

bancor

54

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DOSSIER

fotoracconto 03/05 Tanto fu importante lo sforzo della macchina repressiva e delle forze di polizia tanto più l’alcol illegale alimentava attività sempre più redditizie e ambiziose da parte della criminalità organizzata. Gli alcolici destinati al mercato illegale erano prodotti e distribuiti in grandi quantità, il che richiedeva mezzi di trasporto adeguati a soddisfare la domanda: qui una imbarcazione di stazza discreta sorpresa con un grosso carico di rum e confiscata. (Leslie Jones, Courtesy of the Trustees of the Boston Public Library)

8 / La rivoluzione americana 10 / Gli amici di Maria 12 / Interessi criminali 14 / Smetto quando voglio 16 / Quando il dibattito è drogato i risultati sono stupefacenti

LEGALI


PHOTOGRAPH BY LESLIE JONES, COURTESY OF THE TRUSTEES OF THE BOSTON PUBLIC LIBRARY

Dagli Stati Uniti si accende il dibattito per la legalizzazione delle droghe leggere. Anche in Italia si inizia a fare due conti Da un lato i benefici fiscali per lo Stato e il contributo alla lotta alla criminalità organizzata. Dall’altro i costi sociali e sanitari

ZZAZIONE UTILE


DOSSIER LEGALIZZAZIONE UTILE

La rivoluzione americana di Corrado Fontana

Tra costi della lotta al narcotraffico sempre meno giustificati e contrasti tra le istituzioni internazionali sulla depenalizzazione, dagli Stati Uniti si diffonde il nuovo mantra globale della legalizzazione

F

orse stiamo assistendo a una rivoluzione, dall’esito tutt’altro che scontato, nel rapporto tra le amministrazioni pubbliche e le droghe leggere, in primis cannabis e derivati. Una rivoluzione nata dalla sconfitta referendaria, che nel 2006 vide bocciato nello Stato del Colorado il cosiddetto Amendment 44, per cui si proponeva una sostanziale depenalizzazione del possesso di una quantità di marijuana (fino a un’oncia, cioè poco più di 28 grammi) per i maggiori di 21 anni. Nel Paese proibizionista per eccellenza il referendum finì con una vittoria dei “no” 60 contro 40, ma oggi mostra ricadute quasi planetarie sul piano economico, innanzitutto, e inevitabilmente etico, morale, sanitario.

GLI USA, TRA FATTI E OPINIONI Dal 27 luglio il New York Times ha iniziato a esprimersi pubblicamente in favore di una legalizzazione delle droghe leggere con una serie di articoli in prima pagina. Una presa di posizione maturata e condivisa attraverso il dibattito interno, e quasi annunciata da altri segnali: secondo un sondaggio nazionale della CNN di qualche mese prima il 55% degli americani sarebbe oggi favorevole alla legalizzazione, contro il 16% di circa 25 anni fa. La notizia di questa sorta di endorsement (appoggio pubblico) del New York Times è rimbalzata in tutti gli angoli del Pianeta, giunta nel pieno di un frenetico movimento avviato a 8

livello delle amministrazioni locali a stelle e strisce (capofila il Colorado e il cosiddetto District of Columbia, cioè Washington) riguardo alle normative sul trattamento delle droghe leggere: sono oltre una ventina gli Stati americani con iter politici e burocratici in corso sia sulla legalizzazione della marijuana per fini terapeutici, che, come si dice, per usi “ludico-ricreazionali”. Così oggi cominciano ad apparire i primi studi sugli effetti in termini di entrate fiscali, occupazione e sviluppo economico: nel primo mese di vendita legale della marijuana ricreativa e medicinale il Colorado avrebbe incassato circa 3,5 milioni di dollari in tasse; ma c’è chi, sulla base di uno studio del professor Jeffrey Miron di Harvard (gettonatissimo sull’argomento) esibisce proiezioni da 15 a 20 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali se la legalizzazione fosse estesa a tutti gli Stati Uniti. Eh sì, perché per ora lo Stato federale americano mantiene la marijuana tra le sostanze di cui è illegale possesso, commercio e consumo, trovandosi persino nella situazione paradossale per cui l’agenzia nazionale FinCen, che fa capo al ministero del Tesoro, debba indicare alle banche e agli istituti finanziari quali linee di comportamento debbano tenere per non incorrere in qualche reato federale qualora offrano i propri servizi a società che operano sulle neonate piazze del commercio legale di marijuana (BSA Expectations Regarding Marijuana-Related Businesses, febbraio 2014).

NON SOLO USA Tutto ciò accade mentre si fanno i conti di decenni di guerra al narcotraffico, che annualmente costerebbe circa 100 miliardi di dollari alle nazioni coinvolte (circa la metà agli Usa) e che non ha impedito alle organizzazioni criminali di contare su un

CANADA La coltivazione e l'utilizzo di cannabis sono illegali, ma possono essere autorizzati per usi medici e industriali.

USA

MESSICO

HONDURAS

COSTA RICA Possesso e consumo di cannabis COLOMBIA non sono reati penali. Coltivazione, spaccio, trasporto ed esportazione ECUADOR sono puniti con 8-15 anni di carcere. BRASILE Depenalizzato il consumo personale.

PERÙ BOLIVIA

ARGENTINA Depenalizzato il consumo personale di droghe leggere in luoghi privati.

CILE

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LEGALIZZAZIONE UTILE DOSSIER

URUGUAY: LO STATO COLTIVATORE DIRETTO

giro d’affari globale stimato di 130 miliardi di dollari, per la sola cannabis. Poi si confrontano i discussi benefici terapeutici della marijuana con i costi sociali e i danni sanitari ad essa collegati, anch’essi controversi, ma nessuno trascurabile (tachicardia, allucinosi, psicosi schizofreniformi). E, poiché pare ormai assodato che gli effetti negativi del consumo di cannabis sulla salute umana non siano superiori a quelli (certi) provocati da alcol e tabacco, e che lo stesso valga anche sul piano dei costi sociali (è vivace il dibattito sull’aumento degli incidenti stradali, ma i dati sono tutt’altro che univoci), l’interesse va sui Paesi dove la sostanza è già stata legalizzata o depenalizzata, di fatto e di diritto, da tempo. Fanno scuola l’Olanda (dal 1970) e il Portogallo (dal 2001) dove, associando a queste politiche un deciso investimento sulla prevenzione e sulle politiche di riduzione del danno, non si assiste a un significativo aumento del consumo di droga: OLANDA La marijuana è illegale, ma può essere venduta da gestori autorizzati o essere coltivata per uso personale. Pene severe per importazione ed esportazione.

ALGERIA

AFGHANISTAN

GRECIA

EGITTO

NIGERIA

ETIOPIA

ANGOLA

URUGUAY La marijuana è legale dallo scorso dicembre.

Totalmente illegale (punito anche il possesso per uso personale con pene anche detentive)

È legale coltivare cannabis per scopi alimentari.

GIAPPONE

IRAN

SUDAN

BRASILE

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RUSSIA La Russia ha depenalizzato il possesso, il trasporto e la coltivazione della cannabis, ma è reato venderla.

ROMANIA BULGARIA

CROAZIA

ITALIA È vietata la vendita e la coltivazione, mentre l'acquisto e la detenzione per uso personale non hanno conseguenze penali: restano le sanzioni amministrative.

basso alla classifica europea per consumo. Intanto l’Uruguay avvia la sua normativa per una legalizzazione e in Spagna appaiono i cannabis club. ✱

POLONIA REP. CECA SLOVACCHIA UNGHERIA

PORTOGALLO

MAROCCO

in Portogallo, che ha depenalizzato il possesso, risulterebbe addirittura dal 2003 una riduzione del numero di adolescenti con problemi di droga e il Paese si trova in

NORVEGIA SVEZIA FINLANDIA DANIMARCA

ISLANDA NORVEGIA ESTONIA LETTONIA LITUANIA REGNO UNITO BELGIO IRLANDA GERMANIA AUSTRIALUSSEMBURGO SVIZZERA FRANCIA

SPAGNA Si può coltivare o fumare cannabis all'interno delle mura domestiche.

Alla fine del 2013 l’Uruguay ha approvato una legge che prevede un forte controllo di Stato su tutta la filiera della marijuana, dalla coltivazione alla vendita. Voluta dal presidente José (Pepe) Mujica, la legge permette ai cittadini che hanno compiuto i 18 anni di coltivare fino a sei piante, con una produzione annua massima di 480 grammi. Prevede che possa essere coltivata anche da cooperative con un numero di soci compreso tra 15 e 45, con un limite massimo di 99 piante. I cittadini maggiorenni, registrati in un apposito elenco, potranno acquistare fino a 40 grammi al mese di cannabis nelle farmacie autorizzate. Per impedire un turismo dello spinello, l’acquisto sarà permesso solo agli uruguaiani e ai residenti. Sarà possibile fumare marijuana in ogni luogo dove è permesso il tabacco e la guida sotto gli effetti dello stupefacente subirà le stesse sanzioni previste per l’alcool. Il mercato potrebbe interessare 150mila consumatori, ma non sarà stimolato dalla pubblicità; il governo ha promesso di destinare i proventi delle vendite alla prevenzione e all’agenzia di controllo che terrà il registro degli utenti delle farmacie, dove si venderanno anche cannabinoidi terapeutici. La partenza della sperimentazione, prevista per la fine del 2014, avverrà nel corso del 2015; Mujica, il cui mandato scadrà il prossimo 1° marzo, ha criticato le legalizzazioni negli Stati Uniti, che stanno procedendo con «un grado di irresponsabilità spaventoso» e ha sottolineato che l’intenzione «non è promuovere il consumo della cannabis, ma regolarizzarlo». [Pa.Bai.]

CINA

INDIA La marijuana è illegale, ma il suo consumo, traporto e vendita sono permessi in casi specifici, previa autorizzazione governativa.

BANGLADESH CAMBOGIA

ISRAELE Uno dei primi Stati ad avviare, negli anni Novanta, un avanzato progetto sperimentazione della cannabis per uso terapeutico. AUSTRALIA SUD AFRICA

Illegale ma ammesso uso personale (o punito con un’ammenda)

Legale

Legale solo per usi terapeutici (o talvolta alimentari)

NUOVA ZELANDA

9


DOSSIER LEGALIZZAZIONE UTILE

Gli amici di Maria di Corrado Fontana

Fuori da ogni considerazione etico-morale e, in parte, sanitaria, la legalizzazione della marijuana e dei suoi derivati sembra un buon affare per le casse dello Stato. E l’Europa comincia a far di conto

I

numeri sono stupefacenti: tra 5 e 8 miliardi di euro di tasse perse. «Il costo fiscale del proibizionismo delle droghe leggere in Italia per l’anno 2011 varia da 5,8 a 8,5 miliardi di euro». Sono le stime di Piero David, docente di Economia politica ed Economia applicata all’Università di Messina, che ha ipotizzato un regime fiscale paragonabile a quello in vigore per il tabacco. Cifre importanti che aggiornano i dati elaborati in un pre-

COSTO FISCALE IN MILIONI DI EURO DEL PROIBIZIONISMO (SOLO DROGHE LEGGERE). ANNO 20111 FONTE: ELABORAZIONE PIERO DAVID, UNIVERSITÀ DI MESSINA

E

Stima alta

2

T*QL3

Totale

Stima media

QUESTO PIL UN PO’ DROGATO Stima bassa

574.703.154,41

574.703.154,41

574.703.154,41

8.514.285.354,41

7.191.021.654,41

5.867.757.954,41

7.939.582.200

6.616.318.500

5.293.054.800

(¹) Ipotizzando un’aliquota simile a quella applicata per i tabacchi, circa il 75% del prezzo di vendita. (²) E = spesa sostenuta per l’applicazione della normativa proibizionista relativa ai soggetti segnalati e denunciati all’autorità giudiziaria per traffico o possesso di droghe leggere, nel 2011 il 37,3% del totale. (³) T*QL = imposte non riscosse sulle vendite.

IL MODELLO LOGICO ELABORATO DELLO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI MESSINA CHE IPOTIZZA LA LEGALIZZAZIONE DEL MERCATO DELLE DROGHE LEGGERE, AUSPICANDO UN BILANCIO ECONOMICO FINALE POSITIVO PER LO STATO ITALIANO

INTERVENTI NORMATIVI

Rimozioni, sanzioni e pene per la produzione, vendita e possesso droghe leggere Regolazione del mercato legale delle droghe leggere

cedente studio de La Sapienza di Roma (Il costo fiscale del proibizionismo: una simulazione contabile, 2009), secondo cui la normativa proibizionista sulle droghe (tutte) sarebbe costata allo Stato dal 2000 al 2005 «quasi 60 miliardi di euro, in media 10 miliardi all’anno, di cui quasi 8 all’anno d’imposte non riscosse». E quasi due terzi dei 60 totali sarebbero da attribuire alla «proibizione della cannabis (circa 38 miliardi)».

Su questi danari da settembre scorso l’Europa ha cominciato a fare qualche conto. Da che tutti i Paesi membri (come già facevano Slovenia, Austria, Svezia e Finlandia) hanno accettato di inserire nel proprio Pil le stime dell’economia criminale: prostituzione, contrabbando e traffico di stupefacenti (decisione che fatto meritare all’Italia l’IgNobel, un riconoscimento umoristico internazionale per l’assurdità in campo scientifico). Obiettivo? ArmonizEFFETTI

Aumento costi sanitari

Costi regolamentazione

RISULTATI

COSTI

Riduzione spese repressione (G)

IMPATTO NETTO

(forze dell’ordine, magistratura, carceri)

Maggiore gettito fiscale (T) Emersione economia illegale (Y)

BENEFICI

Benefici indiretti 10

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LEGALIZZAZIONE UTILE DOSSIER

zare col resto della Ue i metodi di computazione. E se «la media in Europa del contributo di (tutte, ndr) queste attività al Pil rimane compresa tra 1 e 2% – spiega Giuseppe Vittucci Marzetti, ricercatore di Politica economica all’Università di Milano-Bicocca – e l’Italia, secondo le analisi preliminari Istat, non dovrebbe superare l’1,5%», significa che nel Pil 2015 potremo registrare una cifra intorno ai 20 miliardi di euro in più, capaci di tradursi in un vantaggio contabile rispetto ai rapporti debito/Pil, deficit/Pil e al saldo strutturale, liberando risorse per altri impieghi. Parlando però del solo contributo delle droghe nel loro complesso l’apporto dovrebbe attestarsi a una percentuale tra 0,4 e 0,7%, precisa Vittucci, la metà della quale sarebbe rappresentata dalle droghe leggere, il cui fatturato – secondo le stime di Piero David – equivale circa alla metà del mercato attuale degli stupefacenti in Italia.

NON TUTTI I CONTI SONO UGUALI Certo il semplice calcolo del contributo del mercato degli stupefacenti al Pil attualmente non prelude ad alcuna ipotesi di legalizzazione (per non parlare di liberalizzazione) del settore, almeno in Italia – sebbene la marijuana terapeutica si somministri già in diverse regioni e un accordo recente ne preveda la coltivazione e produzione in uno stabilimento chimico dell’esercito – ma sapere quanto varrebbe un mercato legale delle droghe leggere è preliminare ad

Tra legalizzare e tassare c’è di mezzo il mare?

«Per quel che riguarda la componente puramente fiscale, il gettito stimato è elevato, ma abbastanza credibile. Considerando che il Pil illegale è pari a circa il 10% di quello legale, è plausibile che quello delle droghe leggere valga tra uno e due punti. Tuttavia la stima che l’Istat sta per rilasciare, e che include per la prima volta anche il Pil illegale, sarà presumibilmente molto più bassa. Sempre dal punto di vista fiscale, andrebbero però considerati ulteriori aspetti. […] è possibile immaginare che, una volta legalizzata, la marijuana sia vendibile attraverso procedure finalizzate a diminuire la tassazione (come succede per il poker on line, ndr). Ad esempio, per corrispondenza dopo un ordine effettuato su Internet. Più in generale la legalizzazione di una transazione non comporta necessariamente l’emersione del suo consumo, altrimenti l’Iva non sarebbe evasa nelle proporzioni enormi in cui lo è attualmente. C’è poi da considerare, sempre limitandosi al solo aspetto fiscale, l’effetto di sostituzione: parte del consumo attuale potrebbe diminuire a seguito dell’aumento del prezzo conseguente alla tassazione, il che, a sua volta, alimenterebbe il mercato nero». Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze all’Università di Milano Bicocca

ogni ragionamento serio. «Si possono considerare i sequestri attuati ogni anno dalle forze dell’ordine – conclude Piero David – Poiché si stima che essi corrispondano a circa il 10% della droga complessiva presente nel Paese, basta moltiplicare l’ammontare dei sequestri per 10. Un secondo metodo di computazione, forse più attendibile, considera invece la persistenza delle tracce delle droghe nelle acque fognarie e dei depuratori. A seconda delle diverse metodologie il fatturato del mercato della droga può variare dai 60 miliardi annui valutati da Sos Impresa ai circa 11 stimati dal rapporto Transcrime (L’espansione e il peso dell’economia criminale), ai quasi 25 miliardi di altri studi (Il mercato delle droghe - Dimensione, protagonisti, politiche, Marsilio)». ✱

PERSA LA GUERRA. E ORA? di Corrado Fontana

Legalizzare, depenalizzare. Dopo il rapporto della Global Commission on Drug Policy il dibattito non può più essere eluso. Neppure in Italia «La guerra globale alla droga ha fallito, con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo». Così, senza dubbio ad effetto, esordiva a giugno 2011 il report della Commissione globale sulle politiche in materia di droga (Global Commission on Drug Policy), di cui facevano parte, tra gli altri, intellettuali come Carlos Fuentes e Mario Vargas Llosa, figure politiche di spicco come Kofi Annan o Javier Solana, personalità del mondo finanziario come Paul Volcker. valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

Da allora il dibattito internazionale sembra riacceso, con la partecipazione di istituzioni internazionali o territoriali, scientifiche e politiche. L’Organizzazione mondiale della sanità in un documento di luglio scorso suggerisce di sperimentare (anche) forme di depenalizzazione in funzione sanitaria, come strumento per ridurre i rischi di contagio da HIV. Il professor Mario Centorrino, docente di Economia politica all’Università di Messina, pur precisando che le stime vanno prese con cautela, sottolineava (da noi intervistato a luglio, prima della sua prematura scomparsa ad agosto): «Bisogna essere realisti nel comprendere che il mercato di queste droghe non è più qualcosa di sommerso e nascosto dal momento che viene computato nel Pil. Una volta che venisse legalizzato si avrebbero dei ricavi legali da poter scrivere a bilancio e dei proventi fiscali

Vogliamo esprimere le nostre condoglianze alla famiglia e ai collaboratori del professor Mario Centorrino, da noi intervistato a luglio per gli articoli in queste pagine, e scomparso lo scorso agosto.

che tali introiti porterebbero alle casse del fisco. Il bilancio non potrà che risultare positivo». Una prospettiva sulla quale a marzo scorso, in una relazione alle Nazioni Unite, si esprimeva invece negativamente Raymond Yans, allora presidente dell’International Narcotics Control Board (il comitato europeo per il controllo della diffusione degli stupefacenti), stigmatizzando particolarmente le recenti iniziative americane e uruguaiane. E anche il nostro Dipartimento politiche antidroga manifesta scetticismo e contrarietà nella sua ultima relazione annuale al Parlamento, ricordando anche il rischio del consumo di più sostanze stupefacenti da parte di uno stesso individuo, e come questo si associ pericolosamente alla pratica del gioco d’azzardo, con annessi rischi di ludopatia. Ci sorge spontanea una domanda: stanti le informazioni accertate sui danni sanitari e i costi sociali associati a certe pratiche e sostanze, ma perché alcol, tabacco e gioco d’azzardo sì? 11


DOSSIER LEGALIZZAZIONE UTILE

Interessi criminali di Valentina Neri

Scriveva Roberto Saviano: «Legalizzare le droghe leggere è l’unico modo per sottrarre mercato ai narcotrafficanti. Un male minore ma necessario»

«I

l mercato delle droghe leggere è talmente fiorente che se fossero legalizzate si darebbe un duro colpo all’economia delle organizzazioni criminali». Anche se espresse a titolo personale, hanno fatto discutere queste dichiarazioni rilasciate a gennaio, alla conferenza stampa sull’operazione antidroga “Horus”, del procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, che coordina le indagini su Matteo Messina Denaro. Poco prima, su La Repubblica, Roberto Saviano scriveva: «Tre sono le forze proibizioniste più forti, e sono camorra, ’ndrangheta e Cosa nostra […]. La legalizzazione non è un inno al consumo, anzi, è l’unico modo per sottrarre mercato ai narcotrafficanti che, da sempre, sostengono il proibizionismo. D’altronde, è grazie ai divieti che guidano l’azienda più florida al mondo». Considerato, continua Saviano, che parliamo dell’unica merce che non resta invenduta, la legalizzazione «forse sarà un male minore, ma necessario».

LE ROTTE DEL BUSINESS Ma partiamo dall’inizio: le droghe leggere contano davvero così tanto per la criminalità organizzata? Non è facile ottenere dati univoci: tanto più perché, ricorda la Relazione annuale 2013 della Direzione Centrale per i servizi antidroga, parliamo di una droga prodotta e consumata pressoché ovunque. Se, in-

RAND corporation

Il think tank RAND Corporation (abbreviazione di Research and Development) nasce nel 1946 con il supporto del dipartimento alla Difesa statunitense, che tuttora figura tra i principali finanziatori, insieme al dipartimento per la Salute e i Servizi umani, alle forze armate, a diverse università e fondazioni e (in minima parte) a privati. Dal 1992 è attivo anche nel nostro Continente tramite la controllata RAND 12

Europe. Impiega complessivamente 1.700 ricercatori in otto sedi, chiamati a produrre analisi scientifiche per conto di governi, organizzazioni internazionali e per il settore privato. A livello scientifico, come confermano a Valori i ricercatori di Transcrime, è accreditato come una fonte autorevole. Vista la sua stretta vicinanza alle autorità americane, non possiamo comunque ritenerlo pienamente indipendente. [V.N.]

fatti, le coltivazioni di cannabis più vaste sono in Marocco, Afghanistan e Messico e la produzione di hashish è concentrata nei Paesi d’origine, in Europa la marijuana prodotta in loco si sta diffondendo a tal punto da far calare la domanda transfrontaliera. Le rotte, quindi, sono molteplici e intricate: solo nel Vecchio Continente, i produttori della regione balcanica approvvigionano l’Europa centrale, orientale e sudorientale, mentre la Repubblica Ceca rifornisce l’Europa centro-occidentale e la Lettonia i Paesi scandinavi, oltre alle vicine Estonia e Lituania. I gruppi criminali – continua la relazione – gestiscono tanto le vaste piantagioni quanto le colture più piccole, diffuse e difficili da scoprire. «Scarsi rischi ed elevati profitti»: è per questo che negli ultimi anni la cannabis fa gola anche più di eroina e cocaina, arrivando (secondo alcune stime) a valere 130 miliardi di dollari su scala globale. Inevitabilmente nel nostro Paese si stringono collaborazioni con le mafie: con la cannabis lavora soprattutto «la criminalità laziale, pugliese e siciliana, insieme a gruppi magrebini, spagnoli e albanesi».

QUALE RISPOSTA DALLE MAFIE? Inevitabile chiedersi cosa ne sarebbe di tali organizzazioni se fosse lo Stato a controllare le droghe leggere. Per ora si possono solo fare ipotesi: gli esempi di legalizzazione sono ancora troppo pochi e recenti per trarne un bilancio. Nel 2010 il think tank RAND Corporation si è chiesto se una vittoria del “sì” al vicino referendum per la legalizzazione in California potesse contrastare l’escalation delle violenze legate alla droga in Messico. Lo studio arriva a dire che gli introiti per i narcotrafficanti messicani (stimati, per le droghe leggere, in 1,5 miliardi di dollari l’anno) verrebbero pressoché azzerati. Non solo perché il consumo in California diverrebbe legale, ma anche e soprattutto perché la marijuana legale avrebbe un prezzo per unità di THC più basso e dunque inonderebbe i mercati degli altri Stati Usa, tranne Texas e valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


LEGALIZZAZIONE UTILE DOSSIER

New Mexico. Il rapporto Si los vecinos legalizan del 2012 giunge alle stesse conclusioni: le droghe leggere prodotte (legalmente) in uno Stato americano finirebbero per rimpiazzare (illegalmente) quelle messicane negli Stati vicini. Così, la legalizzazione nello Stato di Washington farebbe perdere 1,3 miliardi di dollari ai cartelli messicani; una cifra che sale a 1,4 miliardi per il Colorado e a 1,8 per l’Oregon. Un tema da non sottovalutare, conferma Ernesto Savona, direttore di Transcrime, il Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica e dell’Università di Trento: «La legalizzazione va pensata almeno su scala regionale. Se ad esempio l’Italia legalizzasse le droghe leggere senza un’analoga manovra comunitaria, diverrebbe il centro del traffico internazionale». Sull’opportunità di intraprendere questa strada, però, il professor Savona è scettico: «I gruppi criminali gestiscono un portafoglio in cui le droghe leggere sono solo una componente: in assenza di queste ultime, sono capacissimi di riorganizzarsi e puntare su altri rami di business. Immaginiamo che una ca-

Quanto valgono le droghe?

La domanda forse sorgerà spontanea, ma non è banale: qual è il giro d’affari delle droghe più diffuse? Stando ai ricercatori di Transcrime, le stime più attendibili (anche se un po’ datate) sono quelle di A Report on Global Illicit Drug Markets 1998-2007, scritto da Trimbos Institute e RAND Europe su incarico della Commissione europea. Vi si legge che il mercato globale della cannabis vale dai

tena di supermercati tolga le mozzarelle dagli scaffali: ne risentirebbero i produttori di mozzarelle, ma i negozi resterebbero aperti. Allo stesso modo, se venisse a mancare la cannabis, lo spacciatore e l’importatore continuerebbero indisturbati a smerciare altre sostanze e le conseguenze più pesanti sarebbero per i contadini. Insomma, gli interessi delle mafie verrebbero toccati solo marginalmente: il detto per cui legalizzando la marijuana scompaiono le organizzazioni criminali è una grande falsità». ✱

L’USO POLITICO DELLE DROGHE di Paola Baiocchi

L’oppio è servito per mettere in ginocchio la Cina e per arricchire i banchieri del Regno Unito. L’Lsd ha psichedelizzato la sinistra radicale statunitense trasformandola nei “figli dei fiori” Tra umani e droghe la storia parte da lontano: il riferimento più antico all’uso dell’oppio è nelle tavolette sumere del III millennio a.C. Nel tempo cambia soprattutto la modalità di consumo: se nel passato è stato legato a rituali collettivi di carattere magico, religioso, terapeutico, culturalmente approvati e rispettati, il capitalismo scopre fin dalle sue origini che il traffico delle sostanze stupefacenti offre enormi possibilità di accumulo di capitali e di distruzione delle forze migliori dei Paesi. Scrive Francesca Coin ne Il produttore consumato: «Per secoli, l’Occidente ha drogato interi continenti per sminarne la resistenza al proprio saccheggio, espropriarne le ricchezze, mettervalori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

40 ai 120 miliardi di euro l’anno e la stima più attendibile è pari a circa 70. Per contro, il valore dell’export di cocaina dalla Colombia a Europa e Nord America è calcolato in 6-9 miliardi di euro, cifra che (considerando solo Europa occidentale, Canada e Usa) sale a oltre 40 miliardi per la vendita al dettaglio. Il valore del traffico internazionale di eroina è stimato in circa 20 miliardi.

ne sotto torchio (anche schiavistico) la manodopera». È quanto successo in Cina, che prima della rivoluzione maoista contava 49 milioni di tossicodipendenti, invasa dall’oppio indiano commerciato dagli inglesi. Mentre alcuni banchieri, come i Sassoon e i Rothschild, hanno costruito la loro fortuna su quel traffico mortale. L’Occidente conosce l’alcolismo e l’uso dell’oppio per sopravvivere ai ritmi durissimi di vita e di lavoro della rivoluzione industriale, ma il fenomeno del consumo di massa delle droghe debutta a partire dagli anni ’70 del Novecento, per proseguire a ritmo crescente negli anni successivi. Eroina, cocaina, crack, hashish, ecstasy e altre sostanze psicotrope, in gran parte esistenti da quasi un secolo, invadono i mercati. I servizi segreti statunitensi hanno avuto un ruolo centrale nell’organizzazione del narcotraffico nella seconda metà del XX secolo, che non è stato una deviazione istituzionale, secondo McCoy (autore di The politics of heroin: Cia complicity in the global drug trade), ma un’arma per reprimere le lotte anticolonialiste e anticapitaliste dal Sudest asiatico, al Sudamerica. È servito agli Usa per finan-

ziare gli antisandinisti in Nicaragua, a sostenere la guerra in Afghanistan, a destabilizzare la Jugoslavia e a “psichedelizzare” il movimento di protesta giovanile in casa propria. La storia dell’Lsd è veramente esemplare: testata dalla Cia nell’ambito del progetto MK Ultra, prodotta industrialmente nel 1954 dalla Eli Lilly, viene introdotta a fiumi a partire dal 1967 (Timothy Leary ne distribuì 300mila dosi in 48 ore) ai giovani che manifestavano contro la guerra del Vietnam, nell’Università di Berkeley e nella Bay Area di San Francisco. Si può dire che, mentre una branca dell’amministrazione statunitense conduceva la “guerra alla droga” (quella che ora dicono è fallita), l’altra la utilizzava in modo funzionale alla politica di controllo dello status quo. Sarebbe bello poter considerare archiviato nel passato l’uso politico delle droghe, purtroppo non è così: il magistrato e saggista francese Jean de Maillard ha spiegato che il «lancio di una nuova sostanza necessita di cospicui investimenti, scarsamente redditizi fino a quando non si giunge a una quota di mercato sufficientemente ampia». Investimenti che prevedono anche un livello di azione nella società che la criminalità da sola non è in grado di organizzare, ma per la quale ha bisogno che vengano attuate scelte recessive di politica sociale. 13


DOSSIER LEGALIZZAZIONE UTILE

Smetto quando voglio di Paola Baiocchi

La cannabis è la sostanza psicoattiva più usata al mondo e tra i giovani italiani (15-19 anni). E crescono i consumi delle nuove droghe sintetiche, sfornate a ritmi industriali, rendendone più difficile l’individuazione

I

dati della relazione 2014 al Parlamento del Dipartimento per le politiche antidroga (Dpa) confermano la tendenza alla diminuzione del consumo degli stupefacenti in Italia degli ultimi 11 anni, anche se con minore intensità rispetto al periodo tra il 2008 e il 2010. Registrano anche una tendenza alla crescita nel consumo della cannabis nella fascia d’età tra i 15 e i 19 anni. Sono diminuite in tutto il mondo, Europa e Italia compresa, le morti per droga, le infezioni correlate e le incarcerazioni, tanto che il Dpa ha invitato a non considerare la legalizzazione una soluzione, tra l’altro non prevista né dall’Onu, né dalla Ue e non attuata nella stragrande maggioranza dei Paesi. Anzi il Dpa ha ricordato che «le sostanze tossiche e in grado di dare una forte dipendenza più utilizzate al mondo e che generano il maggior contributo in termini di mortalità e morbilità so-

INCOSTITUZIONALE LA LEGGE GIOVANARDI-FINI

A febbraio la Corte costituzionale ha bocciato la legge Giovanardi-Fini che equiparava le droghe leggere e quelle pesanti. Però, la violazione dell’art. 77 della Carta riguardava il modo in cui è stato modificato il Testo unico sugli stupefacenti: in pratica nel 2006 la riforma del Testo unico sugli stupefacenti era stata attuata inserendo in un decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino norme che il Parlamento stava esaminando da tempo, ma che non avevano la minima coe14

no proprio le due sostanze più legalizzate, cioè l’alcol e il tabacco». Ma come sono percepite le droghe dai giovani? Ne abbiamo parlato con Sabrina Molinaro, epidemiologa che per il Cnr segue Espad, la ricerca internazionale sui comportamenti d’uso di alcol, tabacco e sostanze illegali tra gli studenti delle scuole medie superiori. «“Le canne non fanno male”, “la cannabis è una sostanza naturale”, “nessuno è mai morto per una canna”, sono alcune delle opinioni più comuni tra i giovani sulla cannabis, che è la sostanza psicoattiva più utilizzata al mondo, sia nella popolazione generale, che in quella scolare. La maggioranza dei giovani, e anche degli adulti, pensa che il consumo di cannabis sia poco rischioso e accettabile. Dei 580mila studenti italiani che hanno utilizzato cannabis durante l’anno, poco più di 132mila hanno un consumo problematico (il 23%, cioè il 5,6% degli studenti)».

renza con l’oggetto del provvedimento. Insomma i provvedimenti sulle droghe voluti dal governo Berlusconi non avevano il carattere d’urgenza previsto per i decreti. Tornata in vigore la legge Jervolino-Vassalli del 1990, le tabelle che raggruppano le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte al controllo e vigilanza del ministero della Salute e i medicinali a base di quelle sostanze, sono state aggiornate alle più recenti normative e convenzioni internazionali in materia di droghe. Le principali novità sono: pene più basse per spaccio di lieve entità; inserimento tra le droghe leggere di tutte le cannabis; inserimento

di tutte le droghe sintetiche riconducibili al THC nella tabella I delle droghe pesanti; possibilità per il giudice di applicare la pena del lavoro di pubblica utilità, al posto della detenzione, nel caso di piccolo spaccio o altri reati minori commessi da un tossicodipendente. Il problema resta per chi è in carcere con pene comminate con la vecchia normativa (circa il 13% dei detenuti) che dovrebbero preparare a loro spese i ricorsi per chiedere il ricalcolo della durata della condanna. Per questo, e per evitare il sovraccarico dei tribunali, le associazioni che tutelano i diritti dei detenuti chiedono che il governo intervenga con un decreto. [Pa.Bai.] valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


SE LA DROGA ALL’ITALIA COSTA UN PO’ MENO

Nella Relazione Annuale al Parlamento 2014 prodotta dal nostro Dipartimento Politiche Antidroga (DPA) i costi sociali stimati per il 2012 (i più recenti) sono calcolati con un nuovo metodo, integrando «i dati provenienti dagli studi epidemiologici sulla popolazione generale e studentesca, con altre informazioni sul consumo problematico di sostanze, derivanti da flussi informativi del Ministero della Salute e del Ministero dell’Interno». Il confronto tra le stime per gli anni 2009, 2010, 2011 (ricalcolate) e 2012 evidenzia un progressivo calo dei costi: decisamente significativo riguardo la voce di acquisto delle sostanze stupefacenti (dai 12,73 miliardi di euro del 2009 agli 8,81 del 2012) e quella di applicazione della legge (che comprende le attività di contrasto), che passa da 1,8 a 1,3 miliardi. Complessivamente l’Italia avrebbe visto un risparmio sui costi sociali legati al consumo di droga di ben 5 miliardi di euro in quattro anni. Il DPA ricorda che la contrazione della spesa per l’acquisto di sostanze stupefacenti «riflette la riduzione dei consumatori occasionali di sostanze, rilevata nella popolazione generale e in quella scolastica nel periodo 2009-2012, e dei consumatori problematici di oppiacei, cocaina e cannabis», mentre quella per l’applicazione della legge sarebbe «imputabile alla riduzione delle persone detenute per reati legati alla violazione del DPR 309/90 o con problemi droga-correlati».

Su questo inseguimento tra inventori di nuove molecole, che modificano di poco la struttura di sostanze esistenti, e la loro classificazione come sostanze illegali, è stato fatto il film “Smetto quando voglio”. Per facilitare la lotta a queste nuove droghe sintetiche nelle Tabelle delle sostanze stupefacenti sono state inserite non solo le singole molecole, ma anche i loro analoghi strutturali.

SE FUMI LA TUA GIORNATA È PIÙ CORTA

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

DISTRIBUZIONE DEI COSTI SOCIALI RELATIVI ALL’USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI PER MACROCATEGORIA DI COSTO. ANNO 2012 FONTE: DIPARTIMENTO POLITICHE ANTIDROGA

Applicazione della legge 8,4% Perdita della capacità lavorativa 26,0%

Consumo individuale di sostanze illecite 55,7%

Assistenza socio-sanitaria 9,8%

CONSUMO DI SOSTANZE STUPEFACENTI NELLA POPOLAZIONE GENERALE 15-64 ANNI. ANNI 2001-2012 FONTE: ELABORAZIONE SU DATI IPSAD ITALIA 2001-2008, DATI GPS-DPA 2010-2012

Uso di sostanze almeno una volta negli ultimi 12 mesi

15,0% 12,0% Prevalenza % consumatori

Il problema è come parlare ai più giovani che sono i più a rischio dal punto di vista della salute e del rendimento. Per Sabrina Molinaro, si devono attivare politiche educative che sappiano parlare ai più giovani: «Funzionano molto bene i programmi educativi, che raggiungono i ragazzi a scuola con argomenti immediati. Per loro la minaccia che la droga danneggia il cervello è remota, mentre è efficace prospettargli che se fuma la sua giornata è più breve, perché non riesce o non ha voglia di fare le cose». Anche perché spesso in associazione alla marijuana si trovano altri consumi come, alcol, tabacco e gioco d’azzardo. Esistono validi programmi di educazione precoce dai 6 agli 8 anni: peccato che i tagli alla spesa pubblica infieriscano sugli investimenti regionali nella prevenzione selettiva, calati nel 2012 del 33,1%, mentre i benefici derivanti dall’azione socio-sanitaria si possono calcolare in 7 miliardi a fronte di ogni miliardo investito. Oltre alla cannabis, le droghe “emergenti” sono quelle sintetiche e tra questi anche i cannabinoidi di sintesi, sostanze monitorate dal Sistema nazionale di allerta precoce e riscontrate nei rilevamenti che l’Istituto Mario Negri di Milano esegue da anni sulle acque reflue a monte dei depuratori cittadini. Come ci spiega Ettore Zuccato, coordinatore del progetto: «Nel corso di quest’anno abbiamo visto un 30% in più di THC; mentre tra il 2008 e il 2009 abbiamo visto quasi un dimezzamento dell’uso di cocaina, arrivata ora a sei dosi ogni 1.000 persone, forse in relazione alla crisi economica, mentre negli ultimi tre anni è rimasta stabile l’eroina. Ma a fronte della diminuzione di sostanze come l’ecstasy c’è da chiedersi con che cosa è stata sostituita: per questo stiamo eseguendo gli screening su centinaia di nuove sostanze, di cui non si conoscono gli effetti sulla salute, che vengono immesse magari variando di poco la formula di una droga già classificata illegale». ✱

FONTE: RELAZIONE ANNUALE AL PARLAMENTO 2014 - USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI E TOSSICODIPENDENZE IN ITALIA - DATI RELATIVI ALL’ANNO 2013 E PRIMO SEMESTRE 2014 - ELABORAZIONI 2014, DIPARTIMENTO POLITICHE ANTIDROGA

LEGALIZZAZIONE UTILE DOSSIER

9,0% 6,0%

Eroina

Cocaina

Allucinogeni

Stimolanti

Cannabis

2008

2010

2,0% 1,5% 1,0% 0,5% 0,0%

2001

2003

2005

2012 15


DOSSIER LEGALIZZAZIONE UTILE

Quando il dibattito è drogato i risultati sono stupefacenti di Paola Baiocchi

L’informazione sulle droghe è così abbondante da generare “infossicazione”. Individualizza un problema sociale senza rispondere alle domande di base: perché questa società crea le dipendenze?

S

i parla sempre più spesso di droghe, ma il confronto sull’uso delle sostanze stupefacenti e sulla loro legalizzazione, che dovrebbe informare sui danni o sui possibili vantaggi per tutta la società, è talmente scomposto e sovrabbondante da generare “un’infossicazione”, come Ramón Reig definisce, unendo informazione e intossicazione, l’impossibilità di leggere la realtà di fronte a una mole di informazioni praticamente infinita. L’effetto intossicante è tale da autorizzarci a dire che sulle droghe esiste un falso dibattito, drogato ad arte per alimentare la confusione e formare delle tifoserie contrapposte. Non dovrebbe stupire, vista l’attuale conformazione dell’informazione, in cui i padroni del mondo sono anche i padroni dei media, ma dovrebbe comunicarci la misura degli interessi che si muovono dietro al fenomeno e a chi può giovare una popolazione diso-

rientata. Ora, se il tifo deve essere “in modica quantità” quando si parla di sport, non dovrebbe proprio esistere quando si affronta una questione che è fatta di persone e di qualità della vita, non solo di chi consuma sostanze illegali o è finito in carcere per pochi grammi di cannabis per uso personale, ma di tutta la società che si trova a fare i conti quotidianamente con le droghe senza farne uso, perché magari è parente di un tossicodipendente oppure è uscito malconcio da un incidente stradale con qualcuno che aveva appena assunto sostanze psicotrope. Il primo danno collaterale delle droghe, insomma, è la disinformazione dei cittadini, che devono da soli capire quali sono le differenze tra legalizzazione di una sostanza, che riguarda il suo uso medico o “ricreativo”; capire cosa si intende con liberalizzazione, un termine che fa immagi-

LA CANNABIS TERAPEUTICA PASSA PER LE REGIONI di Paola Baiocchi

Le cure mediche, la coltivazione e la produzione di farmaci a base di stupefacenti sono già possibili per legge. Manca invece l’agenzia che deve coordinare il settore, come previsto da un accordo internazionale firmato da 150 Paesi 16

Anche se può sembrare strano, la legge in Italia già prevede l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, e anche la coltivazione e la commercializzazione sono previste nel Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti (DPR 390/90). Dal 2007 il principio attivo della cannabis, il tetra-idrocannabinolo (THC), è stato inserito nelle tabelle del ministero della Sanità e già alcune Regioni hanno varato leggi ad hoc: la prima è stata la Toscana nel 2012, poi nel 2013 la Liguria, le Marche (ma solo “in

assenza di valide alternative terapeutiche”), il Friuli Venezia Giulia, la Puglia, il Veneto, l’Abruzzo e l’Emilia Romagna quest’anno. Lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze ha ricevuto, proprio mentre stavamo scrivendo questo dossier, l’autorizzazione alla produzione di farmaci a base di cannabis. Questo via libera ha rimosso una parte delle incongruenze che rendono difficoltose e antieconomiche queste terapie. Solo una parte, però, ci spiega Giampaolo Grassi, primo ricercatore del Cra, il Centro di valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


LEGALIZZAZIONE UTILE DOSSIER

nare la vendita anche nei supermercati di qualsiasi stupefacente, e la depenalizzazione del reato che riguarda la non perseguibilità dei consumatori, da non equiparare agli spacciatori. Sta di fatto che l’atteggiamento sociale verso le droghe sta virando dalla disapprovazione alla tolleranza, anche attraverso la proposta dell’uso terapeutico: un passaggio comune con altre sostanze che danno dipendenza, entrate a far parte della nostra cultura. In Europa si fuma tabacco dal 1500, quando è stato importato dalle Americhe: un costume contrastato da papi e regnanti e “sdoganato” per uso medico da Caterina de’ Medici. Si è dovuti arrivare al 1964 perché il pubblico conoscesse gli studi sui rischi del fumo di tabacco che le industrie produttrici avevano occultato per molto tempo e il 1986 perché l’Oms dichiarasse che la «sigaretta è uno strumento di morte verso cui la neutralità non è possibile». C’è da notare che si conoscono fin dagli anni ’70 i progetti di immissione di sigarette alla marijuana da parte di Big Tobacco, che continuano a negare il loro interesse (in Italia c’è anche un’informativa dei servizi sui rapporti tra il Partito radicale, da sempre favorevole alla liberalizzazione, e Philip Morris). «Nell’attuale società – spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto a Roma, con una profonda conoscenza del narcotraffico – sono approvati e presi a modello personaggi che fanno notoriamente uso di stupefacenti, dall’attore, al cantante, al calciatore. Mentre sono molto meno apprezzati soggetti positivi, del mondo della ricerca o della cultura».

MARKETING VIRALE La cannabis è lo stupefacente più utilizzato nel mondo e in Italia. La Relazione 2013 sulle tossicoricerche in agricoltura di Rovigo (il Cnr delle piante) dove si coltiva e si studia la cannabis: «È vero che per legge sono previste la coltivazione delle piante e la preparazione dei derivati, ma per rendere operativa tutta la filiera manca l’agenzia che deve sovraintendere e coordinare il settore. Fino a quando non ci sarà questa agenzia, prevista da un accordo sottoscritto da 150 Paesi e che potrebbe essere composta da poche persone, non si potrà operare». Questo vuol dire, per esempio, che il Cra può fornire all’Uruguay le piante di cui hanno bisogno per cominciare la loro sperimentazione di somministrazione statale (vedi BOX a pag. 9). Ma deve ogni anno bruvalori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

LA LOBBY DELLA MARIJUANA CHIEDE UDIENZA AL CONGRESSO USA

Pare che Michael Correia abbia usato questo capolavoro di eufemismo per spiegare ai genitori il suo nuovo impiego: «Sono stato assunto da un’associazione che cura gli interessi di alcune piccole imprese». Solo una settimana dopo ha specificato che si tratta della National Cannabis Industry Association (Ncia), la lobby che rappresenta gli interessi dell’industria della cannabis al Congresso degli Stati Uniti. A marzo, una folta delegazione dotata di spillette con il sole che sorge su vibranti campi di marijuana, è stata ricevuta a Capitol Hill. Sostenuti da una raffica di decisioni statali che hanno esteso l’uso legale della cannabis, e portando argomenti come gli effetti positivi della tassazione dell’erba, sono andati a chiedere al Congresso di eliminare una serie di ostacoli che si frappongono alla nascente attività: modifiche fiscali per detrarre le spese e altri cambiamenti che potrebbero incoraggiare le banche a finanziare le imprese della cannabis legale (l’uso terapeutico della marijuana è ormai una realtà in 20 Stati statunitensi e nel Distretto di Columbia).

dipendenze al Parlamento del Dipartimento per le politiche antidroga (Dpa) segnala che nel corso dell’anno sono stati individuati più di 800mila tra siti, shop online, pagine dei social network, favorevoli alla legalizzazione o che promuovono la vendita di prodotti per il consumo e la sua produzione (perfino in franchising), ma che il dato è sicuramente sottostimato. Una massiccia campagna promozionale destinata ai più giovani – utenti di internet e social media – che dal 2008 ha quadruplicato la sua offerta. Spesso questi siti offrono anche oppiacei, cocaina, cannabinoidi sintetici e droghe sintetiche come il mefedrone. Gli effetti si vedono sui consumi della popolazione di 15-19 anni, dice la relazione del Dpa, notando che «all’aumento della pressione del marketing è corrisposto, con un tempo di latenza dai 14 ai 24 mesi, un aumento dei consumi di cannabis nelle fasce giovanili, invertendo una tendenza alla diminuzione che si osservava dal 2008 e creando dal 2011 un incremento di circa 3 punti percentuali». ✱

ciare i suoi raccolti (statali). Al momento, quindi, per la materia prima si ricorre all’Olanda con costi elevati, anche per le spedizioni assicurate: 1.000 euro per ogni pacchetto in arrivo. Come ci spiega Loredano Giorni, dirigente del settore politiche del farmaco, innovazione e appropriatezza per la Regione Toscana, che ha sostenuto l’accordo con l’officina farmaceutica militare di Firenze e ora l’eliminazione dei blocchi burocratici per la coltivazione in Italia: «La terapia è a carico del Servizio sanitario regionale (Ssr), ma finché a livello nazionale non ci saranno gli adeguamenti, dovremo approvvigionarci dei fiori della marijuana dall’Olanda, con costi esosi».

Per ricevere le cure bisogna essere residenti in Toscana: 48 i pazienti che ne hanno usufruito nel 2013 presso le aziende ospedaliere toscane, che hanno distribuito bustine da infusione, preparate dall’officina galenica di Santa Maria Nuova. Il Consiglio sanitario regionale ha indicato l’uso della cannabis per spasticità secondaria a sclerosi multipla o altre malattie neurologiche; per il trattamento del dolore oncologico refrattario alla morfina; per il dolore cronico di origine neurologica resistente sia ai farmaci del dolore neuropatico che agli oppiacei; per attenuare la sintomatologia della sindrome di Gilles de la Tourette. 17



fInAnzA etIcA

dodd-frAnk e SIAmo Solo A metà

A

di Matteo Cavallito

la legge di regolamentazione dei mercati finanziari usa è in vigore da quattro anni. ma ad oggi solo la metà dei regolamenti attuativi è stata approvata. dai derivati al rating, cosa (non) è cambiato per Wall Street valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

sei anni di distanza dal collasso Lehman e a quattro anni dall’approvazione del Dodd-Frank Act, la maxi legge di riforma finanziaria made in Usa, il processo di regolamentazione delle attività di Wall Street è giunto appena a metà del suo percorso. Lo certificano i numeri diffusi dalla società legale di New York, Davis Polk & Wardwell, che da anni monitora lo stato di avanzamento della legge. La normativa è stata approvata nel 2010, ma è tuttora priva di molti regolamenti attuativi. Norme specifiche affidate alle singole agenzie – come SEC, Commodity Futures Trading Commission, Consumer Financial Protection Bureau e Dipartimento del Tesoro – senza le quali la riforma resta tale, di fatto, solo sulla carta.

I numerI del rItArdo Nel dettaglio, riferisce il report di Davis Polk, il Dodd-Frank prevede l’approvazione di 398 norme attuative, 280 delle quali caratterizzate da una

La facciata di Wall Street a New York 19


finanza etica riforma in stand-by USA: LA SPESA DELLA LOBBY FINANZIARIA 2000-2014

FONTE: CENTER FOR RESPONSIVE POLITICS - OPENSECRETS (WWW.OPENSECRETS.ORG), LUGLIO 2014. SPESA EFFETTUATA DA BANCHE, ASSICURAZIONI E OPERATORI IMMOBILIARI. DATI IN DOLLARI USA. * DATO AL 28 LUGLIO 2014.

600000.000

[in dollari Usa]

500000.000

U sa

400000.000 300000.000 200000.000

AgenzIe dI rAtIng

Superare l’implicito conflitto di interesse

100000.000 0.000

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014*

Per ora sono state approvate 208 norme del dodd-frank su 398. Si procede, ma lentamente. I regolatori sono rimasti indietro in una serie di aree chiave alla base della crisi finanziaria precisa scadenza temporale che, nel 45% dei casi, non è stata rispettata. A conti fatti, spiega ancora il rapporto, i regolatori hanno approvato 208 norme definitive, il 52,3% del totale previsto. Le regole proposte, ma non ancora approvate, sono 94. Quelle tuttora prive di un’ipotesi regolamentare sono 96. I progressi ovviamente ci sono – nel luglio 2011 il tasso di approvazione era pari al 13%, poi salito al 30,9% (luglio 2012) e al 39,7% (luglio 2013) – ma è un dato di fatto che le operazioni stiano procedendo troppo lentamente. Alle volte prevalgono i rinvii. E le discussioni, che coinvolgono gli stessi attori del mercato, si trascinano da tempo. In altri casi le regole esistono già, ma gli effetti rilevati non sono incoraggianti. Lo evidenzia, tra gli altri, il complicatissimo capitolo derivati. In ossequio alla Volcker Rule (vedi TABELLA ), ad esempio, le banche avrebbero dovuto completare il trasferimento ad entità separate di swap e titoli strutturati in genere già nel 2013. Ma ad oggi godono di una proroga di due anni. L’istituzione delle clearing houses come strumento di garanzia sulle transazioni in derivati, al tempo stesso, è già 20

LO STATO DELLE RIFORME FINANZIARIE

realtà. Ma la normativa, che impone di fatto costi significativi per il comparto, sembra aver escluso molti piccoli operatori dal mercato. Con un conseguente aumento della concentrazione.

Il fAttore lobbISmo Gli esempi potrebbero continuare, come dimostrano i casi relativi ad agenzie di rating, governance aziendale, requisiti di capitale e sicurezza in generale. Il risultato, ha sintetizzato in estate CNN Money, è che «i regolatori sono rimasti indietro in una serie di aree chiave che sono state al cuore della crisi finanziaria come asset-backed securities (i prodotti della cartolarizzazione immobiliare, ndr), agenzie di rating, derivati e riforma del mercato dei mutui». Un ritardo che, probabilmente, evidenzia anche i limiti dello stesso processo decisionale. «Una volta scritte le regole, i regolatori devono offrire al pubblico la possibilità di commentare le proposte. Questi commenti, spesso ad opera di lobbisti che rappresentano l’industria finanziaria, possono tradursi in cambiamenti alle norme proposte che, a volte, ne escono indebolite». Nel corso del 2013, ha riferito il Center for Responsive Politics, un think tank di Washington specializzato nel monitoraggio delle attività di lobbying, banche e operatori finanziari hanno speso a questo scopo quasi mezzo miliardo di dollari. Un risultato in linea con gli anni precedenti che conferma il significativo aumento della spesa evidenziatosi dopo lo scoppio della crisi (vedi GRAFICO ). ✱

PROBLEMA / Le agenzie di rating si propongono di dare giudizi sulla rischiosità di un titolo finanziario attraverso un lavoro di valutazione che viene commissionato dagli stessi soggetti che emettono il prodotto finanziario in questione. Tale situazione crea un implicito conflitto di interesse gettando ombre sull’affidabilità della valutazione stessa.

STATO DELLA RIFORMA / Nella versione iniziale del Dodd-Frank, un emendamento promosso dai senatori Al Franken (DEM, Minnesota) e Roger Wicker (REP, Mississippi) imponeva alla SEC di assegnare in modo casuale i titoli alle diverse agenzie accreditate negli Usa. Quanto più precise si fossero rivelate le valutazioni tanto maggiore sarebbe stato in seguito l’ammontare dei titoli assegnati a ciascuna agenzia (con conseguenti maggiori guadagni per gli esaminatori migliori). La versione finale della legge ha però escluso tale emendamento. Alla SEC, ha ricordato di recente il magazine Usa New Republic, è stato chiesto unicamente di produrre un’indagine sul tema del conflitto di interesse. L’ente di vigilanza ha pubblicato lo studio definitivo dopo due anni e mezzo di lavoro. Il modello operativo proposto da Franken e Wicker è stato definitivamente abbandonato.

derIvAtI /1 bIlAncI

Separare le attività nei libri contabili (vedi VOLCKER RULE )

PROBLEMA / In ossequio ai principi della Volcker, le banche sono chiamate a spostare alcune attività rischiose presenti nei libri contabili delle istituzioni che raccolgono i depositi della clientela in altre entità ad hoc.

STATO DELLA RIFORMA / Il definitivo adeguamento alla cosiddetta “push-out rule” che impone il trasferimento di swap e prodotti strutturati in genere, ricorda la rivista di settore American Banker, avrebbe dovuto essere garantito dalle banche già nel 2013. In seguito, tuttavia, gli istituti hanno ottenuto una proroga di due anni. valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


riforma in stand-by finanza etica

Divieto di proprietary trading; proteggere i risparmiatori; separare le attività delle banche d’affari da quelle commerciali

PROBLEMA / La cosiddetta “Volcker Rule” rappresenta forse la norma più celebre all’interno del Dodd-Frank. La regola proibisce il proprietary trading, ovvero l’utilizzo dei fondi della della clientela (i depositi), per investimenti realizzati allo scopo di conseguire un profitto unicamente per la banca stessa. Tale attività mette implicitamente a rischio la solvibilità della banca nei confronti dei clienti.

STATO DELLA RIFORMA / Gli istituti più grandi (che gestiscono assets per un ammontare superiore ai 50 miliardi di dollari) hanno tempo fino al 21 luglio 2015 per incorporare un programma avanzato idoneo a mettersi in regola con la nuova normativa, ricordava di recente American Banker. Per le banche più piccole la scadenza è fissata invece per il 2016.

derIvAtI /2 commodItIeS

Limitare la speculazione

PROBLEMA / Nel corso degli anni, gli operatori finanziari hanno acquisito posizioni particolarmente rilevanti nei mercati della materie prime sfruttando e alimentando la proliferazione di titoli derivati come i contratti futures e forward. Tale fenomeno ha favorito le speculazioni e la volatilità di prezzo delle commodities stesse.

STATO DELLA RIFORMA / Secondo quanto previsto dalla sezione 737 del Dodd-Frank, la U.S. Commodity Trading Futures Commission (CFTC), il principale organo di vigilanza comparto, dovrebbe imporre un limite alle posizioni assunte dagli operatori su 28 contratti che hanno come sottostante le materie prime (e relativi prodotti derivati swap che hanno come sottostante i contratti stessi). Gli operatori contestano la regola affermando che il calcolo dei limiti sarebbe basato su dati vecchi e non più indicativi. Sempre secondo gli operatori, le regole rischierebbero di determinare una pericolosa riduzione della liquidità circolante nei mercati. Una prima regolamentazione, ricorda il portale specializzato Law360.com, è stata già bocciata da una sentenza di una corte federale Usa che ha definito le norme troppo poco chiare. La CFTC non ha fatto ricorso in appello ma ha suggerito una regolamentazione differente che comprenderebbe maggiori esenzioni invitando gli operatori a inviare commenti e proposte. Il periodo dedicato a tale scopo è scaduto ad agosto. valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

derIvAtI /3 cleArIng houSeS

Garantire un controllo più efficace delle transazioni; ridurre la concentrazione

PROBLEMA / Molte operazioni sui titoli derivati avvengono nel cosiddetto mercato Over-thecounter, ovvero al di fuori dei circuiti borsistici tradizionali. Una situazione che rende complicato il monitoraggio delle operazioni.

STATO DELLA RIFORMA / Il Dodd-Frank ha imposto standard più severi nella gestione delle operazioni tentando di stimolare la diffusione delle clearing houses, gli organismi di garanzia in caso di default. Ma gli elevati costi associati a questo business, notava di recente l’International Financial Law Review, continuano a rappresentare una forte barriera all’ingresso per i nuovi operatori. Oggi, i primi cinque player globali – Goldman Sachs, Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e JP Morgan – controllano circa il 65% del mercato. Il 10% in più rispetto al 2012.

lIvIng WIllS

Garantire la presenza di strategie di risposta alle crisi e di default “a costo zero” per le casse pubbliche

PROBLEMA / Come reagire in caso di crisi? Quali piani di emergenza le banche intendono mettere in pratica per evitare il default? In caso di bancarotta è possibile per le banche fallire senza danni per il sistema? Se lo chiedono le autorità Usa che hanno chiesto agli istituti di progettare le proprie strategie di emergenza, i cosiddetti “Living wills”.

STATO DELLA RIFORMA / Il piano, pensato per gli 11 istituti più grandi del Paese (con asset gestiti per oltre 250 miliardi di dollari), è già attivo, ma le banche non sembrano preparate. «Nonostante le migliaia di pagine sottoposte, i piani non prevedono percorsi chiari e credibili da seguire in caso di default che non prevedano supporto pubblico diretto o indiretto», ha dichiarato il numero due della Federal Deposit Insurance Corp., Thomas Hoenig, ripreso dal Wall Street Journal. Nel luglio 2015, ricorda la rivista American Banker, gli istituti dovranno sottoporre nuovamente i piani aggiornati all’attenzione della Fed e della Federal Deposit Insurance Corp., l’ente che garantisce i depositi della clientela. Rispetto al 2013 i parametri sono diventati più stringenti e gli istituti in caso di inadempienza rischiano sanzioni. La normativa interessa Bank of America, Bank of New York Mellon, Citigroup, Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley e le sussidiarie Usa di Barclays, Credit Suisse, Deutsche Bank e UBS.

reQuISItI dI cAPItAle

Garantire la solidità del sistema bancario Usa

PROBLEMA / Un improvviso deprezzamento degli asset in portafoglio, fenomeno tipico che si accompagna alla scoppio di una bolla speculativa, può produrre effetti devastanti sugli istituti bancari determinandone, nei casi più gravi, il fallimento tecnico. Per le banche di importanza sistemica, le cosiddette “Too-big-to-fail”, il default comporta il salvataggio pubblico i cui costi sono implicitamente scaricati sui contribuenti.

STATO DELLA RIFORMA / I regolatori statunitensi hanno imposto nuovi standard di liquidità alle banche con l’obiettivo di permettere loro un’efficace ammortizzazione delle perdite che ne scongiuri il collasso nei momenti di crisi. Le banche hanno tempo fino al gennaio 2016 per adeguarsi in via definitiva ai parametri di stabilità.

StIPendI deI mAnAger

Limitare i bonus; disincentivare i comportamenti rischiosi; garantire maggiore controllo da parte degli azionisti

PROBLEMA / I bonus elevati associati alle retribuzioni dei manager erogati sulla base di risultati di breve periodo, insieme alla sostanziale impossibilità degli azionisti di influire sulle decisioni relative agli stipendi, avrebbero spinto i manager a un’eccessiva assunzione di rischio.

STATO DELLA RIFORMA / Nel 2011 era stato previsto un rinvio per l’erogazione dei bonus. A luglio 2014 tale richiesta non era ancora entrata in vigore. La regola proposta dalla Fed e dal Dipartimento del Tesoro prevede anche l’attribuzione di un potere decisionale ai Cda in merito alla struttura degli incentivi per i trader. Il policy director dell’organizzazione Americans for Financial Reform, Marcus Stanley, ha parlato di “regola molto debole”. Nel 2013 l’ammontare totale dei bonus erogati a Wall Street ha raggiunto i 26,7 miliardi (+5% su base annuale). L’ammontare medio per manager ha superato i 164mila dollari, il livello più alto dal 2008 (terzo più elevato di sempre). Il Dodd-Frank prevede inoltre l’introduzione del voto degli azionisti sulle scelte retributive delle aziende, il principio del “Say on Pay”. Alcune grandi compagnie, rilevava ad agosto il Wall Street Journal, hanno recepito le indicazioni degli azionisti. Altre no. 21

FONTI: AMERICAN BANKER (HTTPS://SECURE.AMERICANBANKER.COM), 14 AGOSTO 2014; BLOOMBERG (WWW.BLOOMBERG.COM), 3 LUGLIO 2014; COMMODITY FUTURES TRADING COMMISSION (WWW.CFTC.GOV), 27 GIUGNO 2014 E 5 NOVEMBRE 2013; FUTURES INDUSTRY ASSOCIATION (WWW.FUTURESINDUSTRY.ORG), 31 LUGLIO 2014; INTERNATIONAL FINANCIAL LAW REVIEW (WWW.IFLR.COM), 20 AGOSTO 2014; LAW360 (WWW.LAW360.COM), 4 AGOSTO 2014; NEW REPUBLIC (WWW.NEWREPUBLIC.COM), 28 AGOSTO 2014; WALL STREET JOURNAL (HTTP://ONLINE.WSJ.COM), 26 AGOSTO 2014 E 5 AGOSTO 2014.

volcker rule


finanza etica deregulation

Senza regole la finanza è più cara e meno efficiente di Andrea Barolini

un mercato che si autoregola è più efficiente. falso. la deregulation esplosa della finanza dagli anni ottanta ha fatto aumentare i costi, invece di ridurli. colpa di derivati e cartolarizzazioni

S

ne, è chiaro che la bulimia e le mire megalomani dell’alta finanza hanno contribuito in modo determinante a generare le bolle speculative che ci hanno fatti sprofondare nel baratro. Il tutto proprio grazie agli scarsi controlli, alle poche regole, ai numerosi governi compiacenti. «Ma dimenticate i benefici! L’efficienza finanziaria che ne è derivata!», replicherebbero gli artefici della deregolamentazione. Già, perché una delle argomentazioni principali dei Greenspan, delle Thatcher e dei Reagan è stata proprio questa: i mercati auto-disciplinati sono sempre più in grado di rispondere alle esigenze dei consumatori e dell’economia, garantendo costi via via più ridotti, fluidificando gli scambi di capitale e fornendo così benzina all’economia reale. In sostanza, secondo la dottrina liberista, il costo dei servizi di intermediazione finanziaria (vedi BOX ) avrebbe dovuto scendere proprio grazie all’ef-

e liberi di agire, i mercati sono per definizione in grado di massimizzare la propria efficienza. Al bando quindi regole e controlli troppo severi: evviva la finanza autogestita, che aiuta l’economia e crea benessere. È stato questo, a partire dagli anni Ottanta, il mantra ripetuto (e imposto) in tutto il mondo occidentale, dall’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, alla premier inglese, Margareth Thatcher, passando per il presidente americano, Ronald Reagan. È quella che è passata alla storia come l’epoca della deregulation. A cui si è accompagnata una vera campagna espansionistica: banche, fondi di investimento e compagnie d’assicurazione sono diventati sempre più grandi, i loro business sempre più complessi e le loro ramificazioni sempre più articolate. Oggi, a sette anni dall’esplosione della peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande DepressioANDAMENTO DEI LIVELLI DI COMPETENZE E SALARI NEL SETTORE FINANZIARIO

STIPENDI NEL SETTORE FINANZIARIO RISPETTO ALLA MEDIA DEI COMPARTI NON AGRICOLI 1.7 1.6

.18

1.5

4

FONTE: T. PHILIPPON E A. RESHEF: “WAGES AND HUMAN CAPITAL IN THE US FINANCIAL INDUSTRY: 1906-2006”, QUARTERLY JOURNAL OF ECONOMICS, VOL. 127 (2012)

3

.2

Salario relativo

1.4

.16

1.3

2

Deregulation

FONTE: “INVESTING NOT BETTING”, FINANCE WATCH (2012)

1.2

.14

1

1.1 .12

1 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010

Indice della “deregolamentazione” della finanza 22

Salari medi dei dipendenti della finanza

1930

1940

1950

Settore del credito

1960

1970

1980

Comparto assicurativo

1990

2000

2010

Altre società finanziarie

valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


deregulation finanza etica

ficienza raggiunta, di pari passo con la crescita del settore finanziario e in modo inversamente proporzionale al grado di regolamentazione. Ebbene, uno studio dell’Institut des Politiques Publiques di Parigi, realizzato su richiesta della Ong Finance Watch e pubblicato nello scorso mese di giugno, non soltanto dimostra che ciò non è mai avvenuto, ma sottolinea come sia addirittura vero il contrario.

PeSo PIù che trIPlIcAto L’analisi, intitolata La Finance est-elle devenue trop chère? (La finanza è diventata troppo cara?), analizza innanzitutto il peso che il comparto finanziario ha assunto nel corso del tempo rispetto al Prodotto interno lordo. Evidenziando una crescita enorme. Se, infatti, nel 1951 il settore rappresentava il 2,3% del Pil dei Paesi europei, oggi il valore è tre volte e mezzo più grande: nel 2007, anno precedente al terremoto finanziario internazionale, aveva raggiunto l’8,2%. Rispetto al processo di deregolamentazione, inoltre, è evidente come il volume dei servizi finanziari prodotti nel Vecchio Continente non sia variato significativamente fino agli anni Ottanta, per poi esplodere proprio in seguito all’abbassamento della guardia da parte dei regolatori: tra il 1990 e il 2007 è passato dal 213 al 343% del Pil europeo. Ebbene, secondo la teoria liberista, tale incremento avrebbe dovuto comportare un miglioramento dei meccanismi finanziari, capace di generare un calo dei costi dell’intermediazione. Al contrario, il costo necessario per la creazione (ad esempio attraverso la concessione di un prestito o di un mutuo) o per la gestione (ad esempio un investimento in un fondo comune) di un capitale, per un periodo di tempo di un anno, è aumentato del 35% tra il 1967 e il 2007. La finanza, insomma, benché abbia goduto di poche costrizioni, ha sì aumentato enormemente i suoi giri d’affari, ma non ha migliorato la sua efficienza, ed è anche diventata più cara per chi deve utilizzarne i servizi.

la deregolamentazione ha generato la finanza creativa, fatta di speculazione e di operazioni ad alto rischio, che ha annullato i benefici del libero mercato della finanza derivata e delle cartolarizzazioni, ovvero della trasformazione dei crediti esigibili da parte di banche e istituti finanziari in titoli scambiabili sul mercato dei capitali. Ciò – si legge nel rapporto – ha portato allo sviluppo di «una politica di gestione dei portafogli-titoli a spese della gestione dei prestiti. Il calo dei ricavi seguito al ribasso dei tassi di interesse negli anni Novanta è stato compensato da nuovi introiti realizzati proprio sul mercato dei capitali». In altre parole, la deregolamentazione ha consentito di generare talmente tanta finanza “creativa” – fatta di operazioni speculative spericolate, di derivati ad alto rischio e altre amenità – da annullare completamente gli eventuali benefici ottenuti dalla finanza tradizionale. «Benché non esistano prove inconfutabili – spiega Greg Ford, membro di Finance Watch – questo rapporto ci fornisce una serie di indicazioni che ci inducono a ritenere che l’abuso dei mercati, l’incremento drammatico dell’investment banking, l’innalzamento della leva finanziaria e l’aumento esponenziale della complessità dei servizi offerti abbiano reso la finanza meno efficiente». Banche e fondi, insomma, si sono gettati a piene mani sui nuovi business speculativi: «Ciò che appare chiaro – prosegue Ford – è che, ammesso che un ammorbidimento della regolamentazione consenta di generare competizione nel settore, e portare di conseguenza maggiore efficienza, troppa libertà è invece pericolosa, perché induce all’assunzione di rischi eccessivi. Le cui conseguenze possono non essere prevedibili».

SemPre PIù trAder, SemPre PIù cArI colPA dellA deregulAtIon Ma perché è accaduto ciò? La crescita del settore – e il conseguente aumento esponenziale dei profitti – non avrebbe dovuto garantire i “margini” (economici e tecnici) per diminuire i costi per risparmiatori, investitori, cittadini e imprenditori? Cos’ha inceppato il meccanismo e, con esso, il credo capitalista? Lo studio punta il dito nuovamente contro il processo di deregolamentazione, che ha generato degli “effetti collaterali” che, evidentemente, i suoi artefici non avevano previsto. La crescita dei costi, infatti, coincide con lo sviluppo valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

L’impennata della “nuova” finanza, inoltre, ha modificato gli istituti finanziari stessi, in particolare per quanto riguarda i loro dipendenti, con l’aumentare della domanda di figure professionali specializzate. «La gestione dei rischi attraverso le cartolarizzazioni e le distribuzioni dei crediti – si legge nello studio francese – ha portato allo sviluppo di nuove attività, consumatrici di ingegneria e di savoir-faire». Nuove competenze, nuovo personale amministrativo e nuovi profili, dunque, necessari per «la gestione di portafogli complessi e ad alto rischio». Il che, a sua volta, «ha accresciu23


finanza etica deregulation

to la domanda di capitale umano da parte delle banche» e, conseguentemente, anche il livello dei salari percepiti dai lavoratori del comparto. Secondo un’altra analisi di Finance Watch (intitolata Investing not betting. Making financial markets serve society), infatti, i salari nell’industria finanziaria sono cresciuti vertiginosamente, e lo hanno fatto proprio a partire dagli anni della deregulation (vedi GRAFICO ). Un andamento drogato dagli stipendi percepiti da chi si è occupato della finanza “creativa”. Uno studio di Thomas Philippon e di Ariell Reshef (intitolato Wages and Human Capital in the US Financial Industry: 1906-2006 e pubblicata sul Quarterly Journal of Economics) aggiunge un’ulteriore conferma (vedi GRAFICO a pag. 22). È evidente, infatti, come a trascinare verso l’alto i sa-

gli stipendi dei manager dell’industria della finanza sono cresciuti vertiginosamente lari medi nel mondo della finanza non siano state le paghe di chi si è occupato dei classici business retail (crediti e polizze) bensì proprio quelle di chi si è dedicato a derivati, fondi speculativi e prodotti strutturati. «Inoltre – aggiunge il rapporto promosso da Finance Watch – nella misura in cui i ricavi degli istituti finanziari dipendono dal rischio, la capacità di far ricadere su soggetti terzi il costo della gestione ha permesso al comparto di accrescere ulteriormente i suoi profitti». Una scelta strategica dunque. Assunta anche a costo di pesare direttamente sull’economia. «Un messaggio importante che proviene dall’analisi – aggiunge Ford – è che la relazione tra finanza e crescita non è scontata come si è ritenuto spesso in passato. È chiaro che gli istituti finanziari sono utili se consentono di oliare le attività economiche, ad esempio attraverso l’allocazione di capitali. Ma, come spiegato anche dallo European Systemic Risk Board (organismo della Bce, ndr) in un rapporto intitolato Is Europe Overbanked, esiste un determinato livello oltre il quale la presenza della finanza risulta eccessiva e dannosa». ✱

 gloSSArIo COSTO UNITARIO DELL’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA Per comprendere cosa sia il costo unitario di un servizio di intermediazione finanziaria è utile prendere come esempio il caso di un’industria elettrica. Il costo totale della sua produzione rappresenta ciò che essa paga per generare energia a partire da materie prime come il petrolio, o ad esempio da fonti rinnovabili. Il costo unitario pagato dai consumatori è il prezzo di un kilowatt su un periodo di tempo dato. Se per l’elettricità il “conto” è piuttosto facile, per i servizi finanziari le cose si complicano, a causa principalmente della loro eterogeneità. Per questo l’Institut des Politiques Publiques di Parigi, nel suo studio, si è basato su dati aggregati, per arrivare a definire il costo unitario dell’intermediazione finanziaria come il costo necessario per creare (attraverso la concessione di finanziamenti, mutui, prestiti ecc.) o gestire (attraverso i depositi o gli investimenti) un euro per un periodo di un anno.

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finanza a progetto la grande corsa del crowdfunding I

progetti da parte di un gran numero di individui, la cosiddetta “folla”, tramite i social network», spiega Ivana Pais, ricercatrice in Sociologia dei processi economici e del lavoro e docente di Sociologia economica presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Un meccanismo che segue quattro modelli principali. «Il più celebre, sebbene il meno diffuso, è il cosiddetto equity-based, che prevede l’acquisto di quote da parte dei finanziatori», ricorda la docente. In Italia questo tipo di operazioni è regolamentato dalla Consob ed è consentito soltanto per le circa duemila start-up innovative riconosciute come tali. Assai più diffuso il sistema donation-based, fondato sulla raccolta di piccole donazioni a fondo perduto o alle quali, eventualmente, segue una ricompensa simbolica. A completare il quadro vi sono poi alcune forme di social lending o peer-topeer che sono parte del panorama crowdfunding anche se la loro inclusione resta opinabile: «La piattaforma riceve il finanziamento e lo distribuisce a diverse iniziative, ma in questo caso il prestatore non sceglie il progetto», ricorda la docente. E infine il sistema reward-based, in cui i finanziatori contri-

l trend lo ha segnalato di recente il Crowdfunding Centre, un ente di ricerca britannico specializzato sul tema. Il finanziamento diffuso di progetti culturali, sociali o tecnologici basato sulla rete, ha spiegato nel suo ultimo rapporto, fa i conti, al momento, con un protagonista sempre più ambizioso: il Regno Unito. Secondo i dati forniti dal centro di ricerca – basati sul monitoraggio delle prime dieci piattaforme crowd del mondo, ricorda il Financial Times – nel primo trimestre del 2014 i nuovi progetti rilevati nel mondo sono stati oltre 29mila, con una crescita del 101%. 19.500 di questi sono stati registrati negli Usa, tuttora l’indiscusso leader globale del comparto, 2.230 a Londra e dintorni. Ma se per gli Stati Uniti il tasso di crescita si è attestato attorno al 76%, l’incremento registrato in Gran Bretagna è stato decisamente più impressionante. Sfondando quota 350%.

lA “follA fInAnzIArIA” «Il fenomeno, secondo la definizione dello European Crowdfunding Network, può essere descritto come l’accumulo di piccoli investimenti in singoli

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londra guida l’ascesa del comparto: numeri notevoli, ma attenzione ai trionfalismi. l’Italia è stata pioniera. oggi è in ritardo

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finanza etica capitale diffuso

buiscono alla realizzazione del prodotto ottenendone in seguito un esemplare in anteprima. Secondo i dati della società di settore Massolution, al 2012 l’ammontare totale raccolto fino a quel momento dai progetti in crowd nel mondo era pari a 2,7 miliardi di dollari. Nel 2013 il calcolo cumulativo è arrivato a 5 miliardi, quota che oggi è stata certamente superata. L’entusiasmo è cresciuto di pari passo, ma occhio al facile trionfalismo. Non tutti, per dirne una, hanno avuto lo stesso successo dei progettisti di Coolest Cooler, un frigorifero portatile capace di raccogliere finanziamenti per oltre 13 milioni di dollari. Un caso clamoroso, ma sostanzialmente isolato in una quotidianità, ricorda ancora Ivana Pais, «fatta di iniziative che faticano a trovare fondi e in cui i successi, ovviamente, non sono mai casuali ma sono legati alla professionalità». Nessun miracolo, insomma, quanto piuttosto «un sapiente lavoro di promozione». Un elemento chiave per la riuscita di ogni progetto presentato in rete.

ItAlIA A rIlento L’Italia ha scoperto il fenomeno nel gennaio 2005 con la nascita di Produzioni dal Basso, una piattaforma per la raccolta di finanziamenti diretti a una

pluralità di progetti. Un’iniziativa sorta agli albori dell’era dei social, con ben tre anni di anticipo rispetto a Kickstarter, il gigante Usa del comparto. «Non abbiamo imitato nessuno, semplicemente perché all’epoca non c’erano modelli da imitare», spiega a Valori Angelo Rindone, il fondatore della piattaforma italiana. All’inizio è un fenomeno di nicchia, ma tra il 2010 e il 2011 il processo di raccolta e lo sviluppo dei progetti prende quota: «Solo allora – spiega – ho capito che eravamo entrati pienamente nel circuito crowdfunding». Ma a seguire l’esempio, verrebbe da dire, sono stati in pochi. L’Italia ha avuto un ruolo quasi pionieristico, ma a prevalere, adesso, è «la solita sensazione dell’occasione mancata», spiega Ivana Pais. Uno sviluppo non del tutto adeguato di internet e i ritardi (anche legislativi) sui sistemi di pagamento on line sono alcuni dei fattori capaci di frenare lo sviluppo del comparto a livello nazionale, soprattutto per i progetti tecnologici. La crescita non manca (+30% negli ultimi 7 mesi monitorati), ma i numeri sono ancora esigui. Nel Paese, ha riferito a maggio l’ultima ricerca dell’Italian Crowdfunding Network, le piattaforme recensite sono 54. I finanziamenti complessivi ammontano a circa 30 milioni di euro. ✱

RITARDO ITALIANO? «UNA QUESTIONE CULTURALE» di Matteo Cavallito

In Italia il crowdfunding sta trovando delle resistenze. va meglio per le iniziative sociali «Il crowdfunding cresce anche in Italia, ma il processo è più lento che altrove». Lo sostiene Angelo rindone, pioniere del comparto e fondatore di Produzioni dal basso, la prima piattaforma crowd della Penisola. Perché si va a rilento? Ci sono alcuni aspetti che rendono l’approccio italiano più complesso, dalla difficoltà di assimilazione di un termine come “crowdfunding” in un Paese poco anglofono come il nostro, fino alla faticosa diffusione dei sistemi di pagamento on line. Ma la vera questione, a mio giudizio, è un’altra: in Italia ci sono tantissime idee e progetti, ma non sempre siamo in grado di raccontarli in modo corretto. 26

Come dire, non sappiamo venderci? È una questione culturale: se affermo ad esempio che un dato artista “si sa vendere”, negli Stati Uniti la frase suonerà come un complimento, in Italia apparirà offensiva. Da noi si fatica ad accettare che i grandi editori possano essere scavalcati, e in alcuni ambienti critici si inizia a parlare di “dittatura dell’audience”.

Ma questo non è un rischio? È in atto un processo di disintermediazione, portata dalla innovazione digitale e dalla rete, che coinvolge tantissimi settori, il crowdfunding è solo la tessera di un mosaico più complesso. Ci sono dei rischi ed è giusto discuterne, ma anche molte opportunità. Quali ad esempio? L’anno scorso terra Project e Wu Ming, il celebre collettivo di scrittori, hanno proposto con successo un progetto editoriale estremamente particolare sulla nostra piattafor-

ma: un cofanetto costituito da quattro racconti e una serie fotografica. Come dire, la classica operazione impossibile da proporre a un editore tradizionale. A modo suo è un esempio di come il crowdfunding possa far nascere nuove forme e nuovi contenuti finanziati direttamente dai lettori.

Si dice che in Italia il crowdfunding funzioni meglio nel settore dei progetti sociali, conferma? In effetti le iniziative sociali stanno ottenendo i risultati migliori. Un po’ perché le associazioni che li promuovono sono abituate a chiedere e a comunicare, un po’ perché gli Italiani in un certo senso non sembrano ancora pronti per un crowdfunding esageratamente market e attribuiscono molta importanza alle componenti etiche e sociali. Un aspetto positivo… Assolutamente sì, le economie collaborative sono una grande opportunità di innovazione sociale. valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


inferiore al 20% dopo un periodo di ribasso della medesima entità percentuale. tradotto: un sensibile rimbalzo dei mercati. Wall Street lo sperimenta ininterrottamente dal marzo 2009, ovvero dall’esaurimento dell’effetto “depressivo” post Lehman.

neWS

usa, borsa: duemila giorni di bull market Nel mondo della borsa si definisce “bull market”. tecnicamente un rialzo non

Da allora, dicono le cifre, la capitalizzazione azionaria totale è cresciuta del 200% con il trend rialzista che, alla fine di agosto, ha toccato l’incredibile traguardo dei 2.000 giorni. Segnando così, ha ricordato la Cnn, il terzo bull market più lungo di sempre. Per ora.

vAlorItecA Valorizzazione di mercato (in miliardi di dollari)

I mIglIorI tWeet del meSe The world’s billionaires are worth $7.3 trillion: that's MORE than all the companies on the Dow. (La ricchezza in mano ai miliardari nel mondo vale 7,3 trilioni di dollari. Un ammontare superiore alla capitalizzazione totale delle società quotate del Dow Jones)

600 500 400 300

@CatClifford (Catherine Clifford, Senior Writer di Entrepreneur.com)

200 100

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Ap

Una quotazione col botto: in un solo giorno il gigante dell’e-commerce cinese, Alibaba, ha guadagnato più del 38% passando in poche ore da un prezzo di quotazione di $68 a $92,70. La società ha raccolto capitali per $21,8 miliardi. Si tratta della terza più grande “raccolta” di sempre. Con una valorizzazione di mercato di circa $280 miliardi, Alibaba in poche ore si è messa al pari dei grandi colossi dell’S&P500. it.adviseonly.com Co

FONTE: FINANCIAL TIMES

AlIbAbA Prende Il volo

mInIneWS

In banca con msf

Un conto corrente on line dedicato a Medici Senza Frontiere. Lo ha da poco lanciato banca etica. Permetterà di svolgere tutte le operazioni bancarie e sostenere allo stesso tempo interventi medico-umanitari nelle zone del Pianeta colpite da emergenze. www.bancaetica.it/MSF

APPuntAmentI

4-12

NOVEMBRE

Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile

terza edizione dell’appuntamento dedicato alla finanza sostenibile. temi caldi: assicurazioni e investimento immobiliare sostenibile, valorizzazione del capitale naturale, cambiamento climatico, impact investing. www.settimanasri.it

valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

#1tweetalgiorno per chiedere conto! @matteorenzi @PCPadoan nostre richieste su #TTF riceveranno risposta? @Sbilanciamoci

Correlazione positiva tra investimenti etici e rendimenti. Ora lo dice anche UniOxford. @meggio_m

Warning signs that a new financial crisis is coming. (Ci sono segnali allarmanti che una nuova crisi finanziaria stia arrivando) @FT

 lIbrI Ben S. Bernanke LA FEDERAL RESERVE E LA CRISI FINANZIARIA Il Saggiatore, 2014

Dopo esserne stato presidente dal 2006 al 2009, ben bernanke racconta la “sua” Federal reserve. È appena uscito il suo libro, che raccoglie quattro conferenze sulla crisi finanziaria del 2008, tenute dallo stesso bernanke a Washington nel marzo del 2012. Un testo che rivela importanti retro-scena sulle reazioni della più grande banca centrale del mondo alla peggiore crisi dai tempi della Grande depressione. 27


numeri della terra

0

Cioccolateria

 1.012.145  770.125

GLOBALE 0

OLANDA

0  155.127  19.869  343.935  99.375

REGNO UNITO

0

BELGIO FRANCIA

0

 742.174  94.804

USA

MESSICO

SPAGNA

0

83.000  350.868  156.972

 157.528  62.763

 28.793  5.487

REP. DOMINICANA 72.225

133.323

NIGERIA

di Matteo Cavallito

BRASILE 253.211

 49.884

GHANA

ECUADOR

COSTA D’AVORIO

28

0  53.221

 21  179.092

PERÙ

Nel 2012, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, la produzione di cacao (intesa come materia base) nel mondo ha raggiunto i 5 milioni di tonnellate, contro i 3,3 registrati dieci anni prima. La Costa d’Avorio (1,65 milioni di tonnellate) svetta come sempre nella classifica globale che vede l’Africa occidentale protagonista assoluta. Indonesia e America Latina completano il quadro dei produttori. Europa (Olanda e Germania in primis) e Usa guidano invece la graduatoria dei consumatori e mantengono una posizione rilevante nell’export globale. Il comparto import/export, che considera anche i prodotti finiti e quelli di lavorazione in generale (massa, burro, polvere di cacao, dolci) muove circa 5,5 milioni di tonnellate di prodotto. La classifica aggiornata delle maggiori corporation dolciarie del mondo (stilata ogni anno dalla rivista Candy Industry) evidenzia la leadership della statunitense Mars, davanti alla connazionale Mondelez. Seguono Nestle (Svizzera), Meiji (Giappone) e Ferrero (Italia).

 60.119

57.933 [produzione in tonnellate]

 2.450  29.834

FONTI: NOSTRE ELABORAZIONI SU DATI FAO (HTTP://FAOSTAT.FAO.ORG/), SETTEMBRE 2014. PRODUZIONE (FAVE DI CACAO, 2012); IMPORT - EXPORT (FAVE, MASSA, BURRO, POLVERE DI CACAO, DOLCI, 2011). CANDY INDUSTRY (WWW.CANDYINDUSTRY.COM), GLOBAL TOP 100 CONFECTIONERY COMPANIES IN THE WORLD, GENNAIO 2014.

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


mondo goloso

MULTINAZIONALI DOLCIARIE MARS Inc.

MONDELEZ INTERNATIONAL

NESTLE SA

MEIJI HOLDINGS Co. Ltd.

FERRERO GROUP

sede: McLean, Virginia, Usa dipendenti: 35.000 impianti: 70 fatturato netto: 17.640 mln $ ranking: 1°

sede: Deerfield, Illinois, Usa dipendenti: 110.000 impianti: 171 fatturato netto: 14.862 mln $ ranking: 2°

sede: Vevey, Svizzera dipendenti: 330.000 impianti: 468 fatturato netto: 11.760 mln $ ranking: 3°

sede: Tokyo, Giappone dipendenti: 14.819 impianti: 29 fatturato netto: 11.742 mln $ ranking: 4°

sede: Alba, Italia dipendenti: 21.913 impianti: 18 fatturato netto: 10.900 mln $ ranking: 5°

0

0 RUSSIA

 669.653  218.652

GERMANIA  154.272  17.014

0

ITALIA

 162.742  247

383.000

 658

 289.680

3.645

936.300  372.883  325.624

CAMERUN

256.000

MALESIA INDONESIA

 204

 34.500

 389.018

 210.934

879.348

 3.115

 748.290

1.650.000

MONDO Cacao 5.003.211  5.576.960  5.451.102

 29

 1.297.926

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

 import  export 29


avvistamenti

Segantini a Milano

Anticipazioni di Futurismo Da sinistra: Ritorno dal bosco, 1890, olio su tela, 64,5 x 95,5 cm; Mezzogiorno sulle Alpi, 1891, olio su tela, 77,5 x 71,5 cm; La raccolta dei bozzoli, 1881-1883, olio su tela, 70 x 101 cm; Ritratto della Signora Torelli, 1885-1886, olio su tela, 99 x 73 cm

di Angela Madesani

una sorta di prova generale dell’ormai vicina stagione culturale di Expo la mostra dedicata a Giovanni Segantini a Palazzo Reale, a Milano. È la più grande mostra mai dedicata nel nostro Paese all’artista trentino, vissuto tra il 1858 e il 1899. La rassegna, ospitata sino al 18 gennaio 2015 (catalogo Skira), curata da Annie-Paule Quinsac, che da quasi mezzo secolo si dedica allo studio del pittore, e da Diana Segantini, discendente diretta dell’artista, è divisa per sezioni tematiche. Offre dell’artista uno sguardo ampio e puntuale, in cui il disegno occupa un ruolo di primaria importanza. L’esposizione coinvolge i due Paesi nei quali il pittore è nato e ha vissuto, l’Italia e la Svizzera. Molte delle opere esposte provengono, infatti, dal prestigioso Museo Segantini di Saint Moritz, ma anche da altre istituzioni e da numerose collezioni private svizzere. Il futuro pittore arriva a Milano a sette anni, quando rimane orfano della madre e viene portato nel capoluogo lombardo dal padre, che morirà poco dopo e che lo affida a una sorellastra. I primi anni sono durissimi e il ragazzo finisce persino in riformatorio. Riportato in Trentino viene iniziato, a quindici anni, alla fotografia. In quel momento prende il via la sua nuova vita. Nel 1874 torna a Milano e nel 1875 si iscrive all’Accademia di Brera, dove ottiene i primi successi professionali. In poco più di venti anni di lavoro l’artista diviene una delle figure più importanti della pittura del secondo Ottocento. Ci troviamo di fronte a un pittore strettamente legato al suo tempo, con un attento sguardo nei confronti della realtà storico-artistica internazionale. Fondamentale è, però, anche la lezione lasciata a chi è venuto dopo

È

30

di lui. Evidente è il legame con il Futurismo. Troppo spesso siamo spettatori di mostre presuntuose e pretestuose, talvolta prive di senso. La mostra milanese costituisce, invece, il frutto di uno stimolante lavoro di ricerca, che ci offre la possibilità di vedere, oltre a opere molto conosciute, anche parecchi lavori gelosamente custoditi in collezioni private, alcuni straordinari disegni scarsamente noti se non agli studiosi. In mostra sono, inoltre, importanti documenti: lettere, fotografie e oggetti appartenuti all’artista, morto in Engadina per un attacco di peritonite. Del grande e notissimo dipinto Le due madri del 1889, collocato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, sono esposte altre due versioni, una del 1891, di piccolo formato di qualità altissima, proveniente da una collezione privata svizzera, e un’altra di dimensioni medio-grandi, anch’essa di ottima fattura, proveniente dal Museo d’Arte dei Prigioni di Coira, che il pittore inizia nel 1899 e che verrà portata a termine l’anno successivo da Giovanni Giacometti, padre dello scultore Alberto. E, dunque, un altro gruppo di opere sul tema della maternità, nei confronti del quale il pittore nutriva uno struggente attaccamento. Intensa e drammatica, per certi versi premonitrice, la sezione dedicata alla morte in cui emerge una forte vena simbolista. Una mostra, quella milanese, frutto di un cammino di studio che non si preoccupa di fare cassa, di avere un’audience da programma televisivo di prima serata, ma che probabilmente, grazie alla forza e alla serietà con cui è stata condotta, riuscirà ugualmente ad avere grande successo. ✱ valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


fotoracconto 04/05

Una delle tante operazioni di repressione: il sequestro di alcune botti di bevanda vietata da parte della nona divisione della polizia di Boston nel 1930.

PHOTOGRAPH BY LESLIE JONES, COURTESY OF THE TRUSTEES OF THE BOSTON PUBLIC LIBRARY

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

31


32

valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


ECONOMIA SOLIDALE

PAOLO ANDREA MONTANARO

L’AGRICOLTURA FAMILIARE SBARCA IN PARLAMENTO

T

di Emanuele Isonio

Coinvolge solo in Italia 3,5 milioni di persone, ma la piccola agricoltura è schiacciata da norme pensate per i big del settore. Entro l’anno alla Camera una proposta di legge per cambiare le cose valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

anti, tantissimi, ma piccoli. E per questo senza tutela. Lasciati soli a combattere contro la crisi, la concorrenza estera, lo strapotere dei colossi dell’alimentare e gravati da norme che rendono la loro attività ancora più complicata. In un circolo vizioso che non mette solo a rischio il futuro di centinaia di migliaia di famiglie, ma è un danno al patrimonio di prodotti, specie e biodiversità che l’Italia può ancora oggi, nonostante tutto, vantare nelle proprie campagne e sulle proprie tavole. È un esercito silenzioso quello dei piccoli agricoltori. Nel nostro Paese e non solo. In termine tecnico si parla di “agricoltura contadina o familiare”. In poche parole, l’agricoltura praticata da microimprese che spesso coincidono con un nucleo familiare e lavorano terreni di estensione limitata. Apparentemente un metodo di coltivazione antiquato e marginale. Ma che, al contrario, rappresenta l’ossatura del rapporto tra uomo e

Puglia, pomodoro Regina Torre Canna 33


economia solidale piccoli agricoltori

terra in molti Paesi del mondo, tanto da indurre la Fao a dedicarle l’anno in corso.

DISTRIBUZIONE % DELLE AZIENDE E DELLA PRODUZIONE STANDARD, 2010 FONTE: INEA - L’AGRICOLTURA ITALIANA CONTA, 2013

AZIENDE

UN MILIONE DI AZIENDE Anche in Italia l’agricoltura familiare è tutt’altro che un ricordo del passato: l’ultimo censimento Istat contava, nel 2010, tre milioni e mezzo di persone impegnate nel settore. E del milione e 621mila aziende che compongono il panorama del mondo agricolo italiano, oltre un milione (il 67%) rientra fra le realtà piccolissime (meno di 10mila euro di reddito lordo). Un universo che, osservano gli analisti dell’Inea (Istituto Nazionale Economia Agraria), «concentra solamente il 5,3% della produzione complessiva dell’agricoltura nazionale». Solo 310mila aziende (il 19% del totale) possono ritenersi imprese vere e proprie, responsabili di quasi il 90% dei 49,5 miliardi di euro di produzione standard italiana (vedi GRAFICO ). «È evidente che aziende dal peso economico così modesto sono prevalentemente rivolte alla produzione per l’autoconsumo o ad altre funzioni accessorie piuttosto che a finalità commerciali» sostiene Inea. Eppure liquidare il fenomeno come un hobby o poco più è riduttivo e fuorviante. Sia perché la sua estensione nel

3,7% 5,5%

1,1%

1,0%

0,7% 32,0%

7,9%

I dipendenti del settore agricolo sono cresciuti del 5,6% (secondo trimestre del 2014). In controtendenza. E sono giovani, uno su quattro ha meno di 40 anni Ci sono due dati da tenere bene a mente quando si discute se tutelare le forme di piccola agricoltura: le cifre sugli occupati e quelle sulle immatricolazioni ai corsi di agraria. In entrambi i casi, infatti, parlare di boom non pare un’esagerazione. Soprattutto visto il periodo di globale recessione economica e 34

1,5% 2,7% 3,9% 4,7% 9,2%

33,8%

7,4%

12,6%

10,9% 16,3%

12,1% 18,3%

14,6% TOTALE da 0 a 2.000 da 2.000 a 4.000 da 4.000 a 8.000 da 8.000 a 15.000 da 15.000 a 25.000 da 25.000 a 50.000 da 50.000 a 100.000 da 100.000 a 250.000 da 250.000 a 500.000 > 500.000

1.620.884 518.385 263.773 236.338 177.023 119.505 128.590 88.655 59.436 17.410 11.769

TOTALE da 1 a 2.000 da 2.000 a 4.000 da 4.000 a 8.000 da 8.000 a 15.000 da 15.000 a 25.000 da 25.000 a 50.000 da 50.000 a 100.000 da 100.000 a 250.000 da 250.000 a 500.000 > 500.000

49.460.329.731 512.254.665 765.093.790 1.354.603.959 1.949.711.790 2.320.878.799 4.557.314.119 6.227.506.358 9.054.610.179 5.988.971.178 16.729.384.897

Nella tabella qui sopra viene riportato il numero medio giornate di lavoro per classe di dimensione economica, 2010

nostro Paese non ha eguali nel resto dell’Unione europea. Sia perché gli stessi analisti concordano nell’attribuire al-

l’agricoltura contadina un importante ruolo per la cura e la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Non solo: «Se osservia-

di riduzione delle iscrizioni negli atenei. La riscoperta della terra per i giovani italiani è evidenziata da un’analisi Coldiretti su dati Istat. A fronte di una disoccupazione lievitata al 12,6%, i lavoratori dipendenti nel settore agricolo sono cresciuti nel secondo trimestre 2014 del 5,6%, trainati da Nord e Centro, dove la crescita è attorno al 28%. Per di più, un dipendente su quattro ha meno di 40 anni e le imprese agricole guidate da under 35 sono salite a 48.620 unità (+2,6%). Numeri certamente non incomprensibili se si tiene conto del trend degli ultimi anni fra i banchi di scuola e università: nel quinquennio 2008-2013, gli studenti iscritti a istituti tecnici e professionali con indirizzo agrario sono cresciuti del 30%. e nell’ultimo anno

scolastico un ragazzo su quattro al primo anno delle superiori ha scelto studi legati ad agricoltura ed enogastronomia. L’andamento si riverbera anche nei corsi di laurea: a fronte di una riduzione del 12,5% delle immatricolazioni, le facoltà di Agraria fanno segnare +45% di iscrizioni. «La voglia di campagna è una conferma della validità e della modernità del modello di Made in Italy agricolo fondato sulla valorizzazione delle identità, qualità e specificità che possono farci vincere la competizione internazionale», osserva il presidente di Coldiretti, Sergio Marini. «Dentro l’agricoltura non c’è ancora un reddito adeguato ma c’è quella visione di futuro e di fiducia che non esiste in altri settori». ✱

L’ITALIA DELLA TERRA NON RISTAGNA NEMMENO A SCUOLA di Emanuele Isonio

PS

valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


FONTE: CIRAD LES AGRICULTURES FAMILIALES DU MONDE, 5/2013

Ripartizione delle imprese agricole per classe di superficie

70%

DEPUTATI ALL’OPERA «Non abbiamo in mente un modello basato unicamente sulla piccola agricoltura – prosegue Ciacci – ma vogliamo che possa avere un proprio spazio, finalmente regolamentato per evitare ostacoli inutili e per dare ai consumatori la possibilità di scelta». Il dito delle associazioni è puntato contro le interpretazioni troppo stringenti delle normative europee che rendono la vita dei contadini italiani più difficile che in altri Stati Ue: «Perché, ad esempio, in Ungheria si possono macellare i conigli e venderli direttamente sul luogo di allevamento mentre da noi chi lo fa incorre in numerose sanzioni?». Domande che a Montecitorio dovrebbero presto trovare risposta. Attorno

In Italia manca una legge nazionale. Ci sono leggi regionali all’avanguardia: in Abruzzo e a Bolzano valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

60%

Numero di aziende

50% 40% 30% 20%

al tema si sta coalizzando l’attenzione dei rappresentanti di vari partiti in Commissione Agricoltura: «Sono preoccupazioni legittime», commenta Adriano Zaccagnini, deputato eletto con i Cinquestelle e poi tra i fuoriusciti della prima ora, in aperto contrasto con la linea di Grillo e Casaleggio. «Le regole attuali sono pensate per le grandi aziende e chi lavora con quantità minori, anche se fa quel mestiere da una vita, viene penalizzato fino alla semi-clandestinità». L’intento è prendere spunto da leggi regionali all’avanguardia («su tutte quella abruzzese e della Provincia di Bolzano») ed estenderle a livello nazionale. Per ora della proposta si conoscono solo i capitoli principali (vedi SCHEDE ). «Verosimilmente potremo arrivare a un articolato entro l’anno», profetizza la deputata Pd, Susanna Cenni. «Il clima su questi temi è di grande collaborazione. Abbiamo approvato all’unanimità in Commissione la legge sull’agricoltura sociale, abbiamo scritto un testo condiviso sul chilometro zero. Non vedo

[>1.000]

[500-1.000]

[200-500]

[100-200]

[50-100]

[10-20]

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[2-5]

0%

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10%

<à 1 ha

mo il nostro tessuto produttivo – commenta Laura Ciacci, responsabile Relazioni istituzionali di Slow Food – scopriamo che la piccola agricoltura è cruciale per garantire lo sviluppo locale. Inoltre questa presenza capillare è ancora oggi il presidio più sicuro per la salvaguardia dei territori montani e collinari dal dissesto idrogeologico». Ecco perché una ventina di associazioni riunite nella “Campagna per l’agricoltura contadina” da mesi stanno facendo pressioni sul Parlamento italiano affinché si arrivi a delineare linee guida per agevolare l’attività dei piccoli agricoltori.

VALERIE GAINO

L’AGRICOLTURA CONTADINA NEL MONDO

[20-50]

Da sinistra: Toscana, fagiolo rosso di Lucca; Campania, papaccella napoletana; Lazio, lenticchia di Rascino

ANTONELLO CARBONI

ROBERTO GIOMI

piccoli agricoltori economia solidale

ostacoli nemmeno in questa occasione». La speranza è che a creare problemi non siano, al momento dell’approvazione in aula, le lobby dell’agroindustria. ✱

 ANCHE A TERRA MADRE, AGRICOLTURA CONTADINA SOTTO I RIFLETTORI

Il sogno degli organizzatori è poter annunciare il testo del progetto di legge durante il Salone del Gusto – Terra Madre, in programma a Torino Lingotto dal 23 al 27 ottobre. Il tradizionale appuntamento biennale sarà comunque incentrato sui vantaggi che l’agricoltura familiare assicura nei vari Paesi del mondo. Il tema sarà il fil rouge di conferenze, dibattiti, presentazioni. Il programma completo dell’edizione 2014 è su www.salonedelgusto.it 35


PAOLO ANDREA MONTANARO

economia solidale piccoli agricoltori

Trentino Alto Adige, broccolo di Torbole

LE SPECIE DA SALVARE SALGONO SULL’ARCA

Il diluvio dal quale guardarsi, in questo, caso, è rappresentato dall’arroganza di un sistema agricolo (ed economico) che standardizza i gusti e concentra le coltivazioni sulle specie più facili da tirar su, più adattabili ai diversi climi, più produttive in termini di quantità. Il mezzo di trasporto su cui salire è sempre una immensa arca. Ma al posto di chiassosi animali, vi sono stipate centinaia di varietà vegetali a rischio estinzione. L’imbarcazione sarà collocata a fine ottobre al centro dell’oval, nel cuore del Mercato internazionale del Salone del Gusto e terra Madre a torino. L’obiettivo, lanciato dal fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, nel 2012 è riuscire a riempire il prima possibile l’arca con 10mila prodotti tradizionali e varietà autoctone. Per ora, dentro, di specie, ce ne sono circa 2mila, selezionate da una commissione di degustatori sulla base di un percorso che parte però dalle comunità di tutto il mondo. Chiunque potrà infatti segnalare una varietà di frutta, un legume, un tipo di pane, un salume o qualsiasi altro prodotto agricolo che rischia di scomparire. e di esempi curiosi già a bordo: il sale nero etiope di boka, il formaggio a frangia turkmeno dalla turchia, il té delle foreste di montagna Pu’er dalla Cina, il pane casabe dell’ecuador, la capra che sviene del tennessee. Salire sull’arca è il primo passo per un’analisi approfondita delle potenzialità commerciali del prodotto che potrà quindi diventare uno dei Presìdi internazionali dell’associazione.

GLI 8 PILASTRI DELLA PROPOSTA DI LEGGE ACCESSO ALLA TERRA La proposta di legge vuole fare delle aree marginali territori di sperimentazione. Per favorire il ripopolamento propone forme di sostegno all’acquisto e al consolidamento della proprietà agricola, forme di credito accessibile e strumenti di sostegno alle esperienze collettive dell’economia solidale. Previste facilitazioni per l’accesso alle terre incolte, pubbliche e private.

ACCESSO AI MERCATI LOCALI

Ai coltivatori diretti viene data priorità d’accesso ai mercati settimanali del proprio Comune e in quelli limitrofi. Cancellato l’obbligo di presentazione del Durc, certificato unico che attesta la regolarità contributiva dell’azienda. I Comuni vengono sollecitati ad assegnare a titolo gratuito spazi pubblici per mercati contadini periodici e per la logistica dei Gruppi d’acquisto solidale.

36

TERRE DEMANIALI

Vendita dei casolari rurali demaniali crollati per permetterne la ricostruzione, nel rispetto dei vincoli paesaggistici ed edilizi. Riconoscimento del demanio agricolo come Bene d’interesse pubblico inalienabile e non usucapibile. Destinazione prioritaria dei beni immobili abbandonati a coltivatori diretti, anche riuniti in piccole cooperative, con precedenza a disoccupati, licenziati e cassaintegrati.

COMMERCIANTI DI FILIERA CORTA Previste forme di defiscalizzazione per le attività commerciali di filiera corta, che si impegnano a vendere prodotti agroalimentari a chilometro zero e di qualità (coltivati secondo metodo biologico, biodinamico e in ogni caso a basso impatto ambientale) in misura non inferiore all’80%.

LAVORAZIONE E VENDITA DI PRODOTTI AGRICOLI Previste semplificazioni delle norme sulla lavorazione, la trasformazione e la vendita di prodotti derivanti da filiera corta e produzione locale, realizzati da società e cooperative composte da soli lavoratori. Estensione a livello nazionale delle norme già in vigore nella Regione Abruzzo e nella Provincia autonoma di Bolzano.

FISCALITÀ E ONERI Innalzamento della fascia di esonero Iva a 20mila euro. Riduzione dei contributi Inps, per chi opera in zone montane e svantaggiate. Previste misure per defiscalizzare l’accesso all’energia. L’iscrizione alla Camera di Commercio per le piccole aziende di coltivatori diretti è resa facoltativa e non vincolante per l’accesso ai finanziamenti pubblici.

SEMENTI E RAZZE AUTOCTONE Nella proposta di legge vengono riconosciuti e valorizzati i sistemi sementieri informali territoriali. Grazie ad essi infatti è possibile garantire una conservazione della diversità agricola che accresce l’autonomia produttiva degli agricoltori. Previste misure specifiche per incentivare la coltivazione delle varietà e razze locali.

MISURE DI SOSTEGNO PAC E PSR Previsti strumenti che agevolino la costruzione di strutture necessarie alle attività contadine e semplifichino le procedure per le costruzioni di bioedilizia. Viene inoltre riconosciuto il ruolo sociale delle realtà contadine nel sopperire all’assenza di servizi nelle aree marginali (asili in fattoria, servizi per anziani, fattorie didattiche). valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


ortaggi in fabbrica economia solidale

In Giappone si coltiva al chiuso Vicino a Fukushima Le “fabbriche vegetali” sono luoghi al chiuso per coltivare ortaggi. Uno dei primi esempi è stato costruito dalla Toshiba. Lampade fluorescenti e aria condizionata per ricreare le condizioni adatte alle piante

C

olline battute dal vento e campi innaffiati dalla pioggia. In Giappone non sono più imprescindibili per chi voglia dedicarsi all’agricoltura. O, meglio, lo sono, ma esiste anche un’alternativa, che potrebbe garantire la produzione di ortaggi anche nelle aree colpite dalla contaminazione radioattiva successiva alla catastrofe nucleare di Fukushima. Si tratta delle “fabbriche vegetali”, ovvero luoghi chiusi adatti alla coltivazione di ortaggi di vario genere. Uno dei primi impianti di questo genere è la Toshiba Clean Room Farm Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa, firmata dall’omonimo colosso dell’hi-tech, i cui primi ortaggi sono stati piantati proprio in queste settimane. L’orto “indoor” produrrà mais coltivato in un liquido arricchito di elementi nutritivi, spinaci, insalata e la mizuna, una varietà di rucola giapponese. Tutti prodotti che godranno di una “aspettativa di vita” particolarmente elevata: nei duemila metri quadrati della fabbrica è presente una quantità di microbi circa mille volte inferiore rispetto alle coltivazioni tradizionali, il che permette di conservare molto più a lungo le piantagioni anche senza alcun utilizzo di pesticidi. A illuminare gli ambienti sterili sono lampade fluorescenti con un livello di emissioni di luce ottimizzato in ragione del tipo di vegetali coltivati, mentre un sistema di aria condizionata mantiene temperatura e umidità costanti. Il tutto è poi verificato da sistemi informatici che misurano anche i ritmi di crescita dei prodotti. Ma, a parte ciò, il metodo resta quello dell’agricoltura classica: se la struttura è tecnologicamente all’avanguardia, i tecnici della Toshiba non hanno introdotto nulla di hi-tech nella coltivazione in sé, né alcuna travalori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

di Andrea Barolini

sformazione genetica: «I semi utilizzati – hanno spiegato in un comunicato – sono identici a quelli che si usano nei campi aperti. E non sono presenti prodotti Ogm».

UNA DOMANDA CRESCENTE DI CIBI SANI Il fatto che l’idea sia nata in Giappone non è un caso. Nell’isola asiatica l’età media degli agricoltori è di 63 anni. Ciascuno di loro sfrutta solitamente dei piccoli appezzamenti di terreno: le nuove fabbriche potrebbero costituire un’alternativa e attirare

DALLA GERMANIA GLI ORTI URBANI NEI CONTAINER

La ECF Farmsystems, piccola impresa tedesca specializzata nell’eco-innovazione, ha vinto il premio della categoria “agricoltura, acqua e rifiuti” nel corso del Cleantech open global Forum (evento tenuto nella Silicon Valley, in California, nel novembre del 2013). Il riconoscimento – racconta il quotidiano francese enerzine – è stato conferito per il progetto “eCF Containerfarm”, ovvero un’unità in miniatura per la produzione agricola, installata all’interno di container normalmente utilizzati per il trasporto marittimo. L’impianto è dotato di una piscina per l’allevamento ittico, al di sopra della quale è installata una serra per la coltivazione di verdure. Il sistema utilizza in questo modo i rifiuti e il biossido di carbonio prodotti nella vasca per favorire la crescita delle piante, e sfrutta due volte l’acqua: prima per i pesci, poi per innaffiare le piante, grazie a un sistema “idroponico” messo a punto dall’Istituto Leibniz di ecologia delle Acque dolci. Ciò consente di risparmiare fino al 90% in termini di risorse idriche, rispetto all’agricoltura tradizionale, nonché il 70% per quanto riguarda lo spazio utilizzato. Il tutto, proprio in quanto installato all’interno di container, è facilmente trasportabile su strada. oggi, alcuni impianti sono presenti nel centro creativo di Malzfabrik, nella zona industriale riconvertita di berlino, così come in una piazza della città di Pöcking, nella Germania meridionale. Con l’obiettivo di diffondersi ancora nel Paese e in europa. 37


economia solidale ortaggi in fabbrica Toshiba Plant Factory

Colture hi-tech e biologiche?

I prodotti coltivati nelle fabbriche iper-tecnologiche giapponesi potrebbero ottenere presto certificazioni biologiche. Secondo quanto riportato dal magazine Notreplanete.info, ciò potrebbe accadere nonostante i principi tradizionali dell’agricoltura “bio” siano, di fatto, ben distanti da questo tipo di produzioni. Il legame del biologico con il suolo è infatti essenziale, ma – almeno per il momento – a livello normativo nulla vieta ai colossi dell’hi-tech di provare a ottenere l’etichetta “AB”. In tal caso, la reazione di chi produce “davvero” alimenti biologici potrebbe non farsi attendere.

giovani che altrimenti sarebbero poco propensi a lavorare i campi. Ma, soprattutto, la popolazione nipponica domanda con sempre maggiore insistenza cibi sani. A partire dal primo scandalo della mucca pazza, nel 2001, fino alla catastrofe nucleare di Fukushima, nel 2011, la sensazione dei giapponesi è quella di non essere più sicuri di ciò mettono in tavola. «L’interesse dei consumatori per un’alimentazione sana, protetta da prodotti chimici e dai terreni inquinati, cresce costantemente», ha spiegato in un comunicato la Toshiba. «D’altra parte – ha ricordato Hiroshi Shimizu, del laboratorio di ingegneria agricola dell’università di Kyoto, al quotidiano francese Le Monde – nella regione dove è situata la centrale nucleare le colture al-

La concorrenza è già pronta L’esperimento di Toshiba non è il primo in Giappone. Già altre due case note soprattutto per i loro prodotti tecnologici si sono lanciate nel mercato della coltivazione: si tratta di Panasonic e di Fujitsu. Quest’ultima, ad esempio,

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ha inaugurato lo scorso anno un sito di produzione a un centinaio di chilometri da Fukushima, nella città di Waikamatsu: un luogo nel quale la catastrofe nucleare ha lasciato importanti segni di contaminazione del suolo.

Le “fabbriche vegetali” sono pensate per attirare i giovani e per produrre cibo sano: un’esigenza molto sentita in Giappone l’aperto sono diventate quasi impossibili a causa della contaminazione radioattiva del suolo». Le previsioni di Toshiba, in termini di capacità produttiva, parlano di 3 milioni di insalate all’anno, che saranno inviate a supermercati e ristoranti, e che dovrebbero fruttare all’azienda nipponica una cifra pari a 2,17 milioni di euro. Un business sul quale, non a caso, si sono lanciate numerose altre aziende nipponiche: nel 2012 il numero di orti al chiuso aveva già superato le due centinaia. È il caso, ad esempio, della società Granpa di Ishinomaki che, nella regione settentrionale del Paese, ha optato per un impianto alimentato grazie all’energia solare. O della Showa Danko, che ha inaugurato un impianto nel 2013 nel villaggio di Kawauchi, a poche decine di chilometri dalla centrale di Fukushima. Imprese che hanno puntato su tecnologie esportabili, a fine di poter essere utilizzate in luoghi nei quali l’evoluzione climatica o l’aumento della popolazione hanno modificato le colture tradizionali. Il futuro, dunque, sarà questo? Non è detto. Esistono infatti dei limiti alla coltivazione al chiuso, e riguardano principalmente i prodotti coltivabili. Se gli ortaggi a foglia (insalate, spinaci o erbe aromatiche) si adattano particolarmente bene alle colture hi-tech, lo stesso non si può dire, ad esempio, delle patate o dei cereali. «E questi ultimi – ricorda Shimizu – restano la principale fonte di alimentazione a livello mondiale». ✱ valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


cibo dei bianchi economia solidale

Boom del cacao Un’occasione persa? Prezzi in forte rialzo, impennata della domanda nei Paesi emergenti: il mondo ama sempre di più il cacao. Ma alla base della produzione i problemi restano. E il rischio è il deficit di offerta

«C

ome hai detto che si chiama?». «Cioccolato». «Lo fanno i bianchi con le fave di cacao». Alfonse, che sull’argomento è già stato edotto in precedenza, siede ora accanto agli altri coltivatori mostrando una confezione per nulla familiare. «È divisa in quadratini, staccane uno», spiega il reporter della televisione olandese suggerendo l’assaggio a un convitato. Detto fatto, basta un istante. Il sorriso non si trattiene: «È dolce!», esclama poco dopo. I presenti lo seguono a ruota, l’approvazione è generale. Costa d’Avorio, Africa occidentale, presumibilmente meno di un anno fa. Alfonse e gli altri raccolgono i frutti delle piante di cacao da una vita. Ma del cioccolato, a quanto pare, avevano sempre ignorato l’esistenza. Per lo meno fino a quel momento. A permettere la scoperta è stata un’iniziativa della VPRO, un’emittente dei Paesi Bassi intenzionata a far conoscere ai coltivatori locali il prodotto finito, l’ultimo step della catena. Migliaia di chilometri più a nord, i ruoli si ribaltano. Altro Paese, l’Olanda, altro scenario, l’esterno di un supermercato. Un giornalista di VPRO mostra ai passanti il frutto originale del cacao: «Sai di che si tratta?». «Non ne ho idea», risponde una ragazza. Ma non è la sola. Intervista dopo intervista, a quanto pare, non lo sa nessuno.

SQUILIBRI GLOBALI Affidato alla rete, come si dice in questi casi, il reportage ivoriano della televisione olandese ha conquistato oltre 4,6 milioni di visualizzazioni in un semestre. Un “successo di pubblico”, se così si può dire, che si deve forse al suo potente carattere simbolico. Perché il cacao è notoriamente un provalori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

di Matteo Cavallito

LA CERTIFICAZIONE FAIRTRADE DEL CACAO

Dall’International Cocoa Organization (organizzatrice della World Cocoa Conference, principale appuntamento biennale del settore) all’Unione europea. Passando ovviamente per il mondo del consumo critico. Sono molti, negli anni, i soggetti che hanno affrontato il tema del “cacao sostenibile”, un aspetto particolarmente problematico in un mercato che sconta gravi problemi endemici, a cominciare dai bassi prezzi della produzione primaria fino alla diffusione del lavoro minorile. Il sistema di certificazione Fairtrade, attivo per diversi settori di mercato, coinvolge anche il segmento del cacao operando, in primo luogo, sulla determinazione del prezzo. Il meccanismo si basa su due componenti: il “prezzo minimo Fairtrade”, che copre i costi di una produzione sostenibile, e il “Premio Fairtrade”, una somma fissa investita dai produttori nello sviluppo della loro attività e nella stipula di contratti a sostegno di buone pratiche di produzione a lungo termine. Nel settore del cacao, stante il rispetto di queste condizioni, «le organizzazioni dei piccoli produttori ricevono la certificazione per il rispetto degli standard sociali e ambientali e le buone pratiche di governance e di gestione delle loro organizzazioni», spiega a Valori Caitlin Peeling, Global Product Manager per il cacao presso Fairtrade International. Il giudizio, precisa, tiene anche conto della presenza di «un sistema decisionale democratico in merito all’utilizzo del Premio Fairtrade». L’utilizzo esclusivo di ingredienti certificati Fairtrade consente quindi alle imprese di commercializzare con il marchio dell’equo commercio anche il prodotto finito. [M.C.]

dotto “da poveri”, ma anche, in definitiva, un cibo “da ricchi”. E come tale, ovviamente, evoca squilibrio economico. Lo stesso squilibrio certificato dai numeri chiave del settore. Secondo i più recenti dati Fao, la Costa d’Avorio, il primo produttore mondiale, ha raggiunto una produzione annuale pari a 1,65 milioni di tonnellate di cacao (1,3 milioni delle quali destinate all’export), quasi un terzo del totale planetario (vedi la MAPPA a pagg. 28-29). Sommandola a quella degli altri tre principali produttori africani – Ghana, Nigeria e Camerun – si arriva a 3,2 milioni di tonnellate, vale a dire oltre il 60% dell’ammontare globale. Più o meno la mede-

 11-26 OTTOBRE “THE POWER OF YOU” Due settimane dedicate al commercio equo. Una nuova campagna con cui Fairtrade Italia ricorda il potere delle scelte quotidiane. Anche quest’anno le maggiori catene della Grande Distribuzione sono state invitate a partecipare alla campagna, che vedrà promozioni e scontistiche sui prodotti certificati Fairtrade ed eventi nelle principali città italiane dedicati ai temi della sostenibilità. 39


economia solidale cibo dei bianchi

Due fotogrammi del servizio giornalistico della VPRO, un’emittente dei Paesi Bassi, sui coltivatori di cacao in Costa d’Avorio. Dall’inchiesta è emerso che non avevano mai assaggiato (né visto) una tavoletta di cioccolato

sima quantità che, sotto forma di materia prima o prodotti finiti, giunge in un anno in appena cinque Paesi occidentali: Olanda, Usa, Germania, Francia e Belgio. E il problema, manco a dirlo, è nella catena del valore. Di recente, il reporter dell’Huffington Post, Kelsey Timmerman, ha seguito le orme dei colleghi olandesi recandosi di persona in Costa d’Avorio. I coltivatori interpellati nell’occasione, ha riferito ad agosto, conoscevano aspetto e gusto del cioccolato. Ma ne ignoravano il prezzo finale nel

CIOCCOLATO E DINTORNI, LA DOLCE VITA DEI MERCATI EMERGENTI

Da 2.300 a 3.200 dollari circa per tonnellata nello spazio di un anno. È la variazione di prezzo registrata dal cacao tra il luglio 2013 e lo stesso mese del 2014. Un aumento pari a circa il 40% su cui influiscono vari fattori, a cominciare dalla crescente domanda dei Paesi emergenti. Un fenomeno, quest’ultimo, particolarmente evidente in Cina dove la passione per i prodotti a base di cacao conosce ultimamente una crescita particolarmente rilevante. Soltanto l’anno scorso, ha ricordato a luglio il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, l’Asia evidenziava ancora la più bassa domanda pro capite di cioccolata del mondo. Nel prossimo quadriennio, ha sottolineato la società di ricerca euromonitor International, ripresa dallo stesso quotidiano, il mercato locale dovrebbe però crescere a un ritmo quattro volte superiore rispetto alla media mondiale. Il fatto, rileva Maurizio Mazziero, analista finanziario e fondatore di Mazziero research, è che i margini di crescita sono estremamente promettenti. «Negli Usa il consumo annuale pro capite di cacao raggiunge i 4,5 chili. In Cina, secondo euromonitor, siamo a quota 1 etto», spiega a Valori. «Questo ovviamente non significa che il gap sarà completamente colmato, ma il divario è comunque tale da lasciare supporre una grande crescita in futuro». In Cina, India, ma anche in russia, nota ancora Mazziero, si registrano tassi di crescita a doppia cifra nei consumi di prodotti dolciari della classe media. L’Asia nel suo complesso segna un aumento del 10%, in America Latina si sale al 13%. «Di fatto – precisa – stiamo parlando di un macro trend di lungo periodo, un fenomeno che condizionerà il mercato per i prossimi 20 o 30 anni». La crescita dei consumi in Asia, nota ancora il SCMP, potrebbe esacerbare ulteriormente il deficit di offerta in futuro producendo, al momento, un’ulteriore spinta al rialzo sui prezzi. Secondo Gerard Manley, managing director del colosso di Singapore olam International, citato dal quotidiano di Hong Kong, la scarsità di cacao dovrebbe far aumentare ancora i prezzi del 10% entro la fine dell’anno. 40

mercato Usa, ovvero circa 10 dollari al chilo contro i 50 o 60 centesimi riconosciuti loro per la medesima quantità di materia prima. Moltiplicato per una tonnellata fa ovviamente 600 dollari, meno di un quinto del valore medio registrato da quest’ultima lo scorso mese di luglio nel mercato mondiale delle commodities, dove nell’ultimo anno i prezzi sono aumentati del 40% (vedi GRAFICO ). Ma le cifre citate da Timmerman potrebbero risultare in realtà anche troppo ottimistiche. «Su ogni barretta di cioccolato venduta nel 2013 la grande distribuzione ha guadagnato in media 43 centesimi per dollaro», spiega a Valori Maurizio Mazziero, analista finanziario, esperto di commodities e fondatore della società di ricerca indipendente Mazziero Research (1). «L’azienda agricola al primo livello della catena, i coltivatori ivoriani, per intenderci, ha intascato appena 3 centesimi». È il trionfo dei supermercati, insomma, un fenomeno già visto in molti altri settori alimentari (vedi le puntate precedenti su Valori dell’appuntamento “aspettando Expo”), che permette ai grandi distributori di influire sul prezzo con un potere decisamente maggiore rispetto a quello che il mercato riserva agli altri attori della filiera. Dai coltivatori africani, in questo caso, fino alle grandi corporation del comparto, come, tra le altre, l’americana Mars, l’onnipresente Nestle e l’italiana Ferrero.

MAL D’AFRICA Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di cacao è pressoché quintuplicata e oggi viaggia ai massimi storici (vedi GRAFICO ). Merito, ovviamente, di una domanda in crescita favorita dallo sviluppo economico dei mercati emergenti (vedi BOX ) e, in generale, dal cambiamento delle abitudini alimentari. Ma la maggiore “appetibilità” del prodotto rischia di trovare impreparati i grandi Paesi produttori, a cominciare dalla Costa d’Avorio. Piante sempre più vecchie e, per questo, soggette a mavalori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014


cibo dei bianchi economia solidale

valori / ANNO 14 N. 122 / ottobre 2014

IL PREZZO DEL CACAO NEGLI ULTIMI 10 ANNI

FONTE: WORLD BANK (HTTP://DATA.WORLDBANK.ORG) IN INDEX MUNDI (WWW.INDEXMUNDI.COM), AGOSTO 2014. DATI IN DOLLARI USA PER TONNELLATA DI MATERIA PRIMA

[dollari per tonnellata]

4.500,00

Gennaio 2010:

4.000,00

Luglio 2014:

3.522 $

3.196 $

3.500,00 3.000,00 2.500,00 2.000,00 1.500,00

0,00

Lug 04 Nov. 04 Mar. 04 Lug. 05 Nov. 05 Mar. 06 Lug. 06 Nov. 06 Mar. 07 Lug. 07 Nov. 07 Mar. 08 Lug. 08 Nov. 08 Mar. 09 Lug. 09 Nov. 09 Mar. 10 Lug. 10 Nov. 10 Mar. 11 Lug. 11 Nov. 11 Mar. 12 Lug. 12 Nov. 12 Mar. 13 Lug. 13 Nov. 13 Mar. 14 Lug. 14

1.000,00 Luglio 2004: 500,00 1.568 $

PRODUZIONE MONDIALE DI CACAO: 1961-2012

FONTE: FAO (HTTP://FAOSTAT.FAO.ORG/), SETTEMBRE 2014. DATI IN TONNELLATE DI MATERIA PRIMA

[tonnellate] 6.000.000 5.000.000 4.000.000 3.000.000 2.000.000 1.000.000 0

1961 1963 1965 1967 1969 1971 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2012

lattie; terreni sempre meno fertili; lavoro minorile; sistemi agricoli superati. Sono alcuni dei problemi denunciati dal mondo dell’equo commercio (vedi BOX ). Nonché alcuni dei principali fattori di rischio per il futuro della produzione. L’aumento dei prezzi, teoricamente, produrrebbe un effetto positivo sui ricavi dei piccoli produttori. Ma la riduzione dei rendimenti delle coltivazioni che ha accompagnato «un lungo periodo di prezzi bassi e limitati investimenti» finisce per fare da contraltare, nota Caitlin Peeling, Global Product Manager per il cacao presso Fairtrade International. Di conseguenza, spiega a Valori, «i prezzi più elevati non spingono al rialzo i ricavi dei produttori, dal momento che questi ultimi coltivano meno cacao». Gli agricoltori, nota ancora Caitlin Peeling, «sono preoccupati dalla dipendenza del governo dai ricavi derivanti dall’export e sentono al tempo stesso la pressione economica per la riconversione delle piantagioni di cacao verso altre coltivazioni». Il risultato è che i giovani abbandonano progressivamente l’attività, una scelta più che comprensibile alla luce del confronto impietoso con le altre coltivazioni. «Un ettaro di terra dedicato alla coltivazione di olio di palma, dicono le cifre calcolate dalla società londinese di brokerage, Marex Spectron, rende in media 3.085 dollari», ricorda Maurizio Mazziero. «Per la coltivazione di gomma si sale a 4.192 dollari, per il caffè arabica si arriva addirittura a 5.537 dollari. Nel caso del cacao, invece, non si superano i 1.317 dollari». La riconversione, ricorda l’analista, non rappresenta una novità storica – «in Malesia il cacao è stato progressivamente sostituito dall’olio di palma» – ma, con la domanda in crescita, le conseguenze del fenomeno appaiono preoccupanti. «Secondo gli analisti della Mars – ricorda ancora Mazziero – se in questi anni la produzione non dovesse crescere in maniera significativa si potrebbe andare incontro a un deficit di offerta pari

a 1 milione di tonnellate entro il 2020». L’eccesso di domanda, per altro, sussiste già da un paio d’anni. Nella stagione agricola 2012/13, precisa, lo scompenso era stato pari a 193mila tonnellate. Le stime 2013/14 sono decisamente migliori, ma evidenziano comunque un altro deficit di offerta (meno 75mila tonnellate). Il problema, insomma, appare tuttora irrisolto. ✱ (1)

L’intervista completa è pubblicata sul sito www.valori.it

La seconda parte del servizio della VPRO si è svolta in Olanda. Fermati i passanti fuori da un supermercato, non sapevano cosa fosse il frutto del cacao

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VALORITECA RAPPORTO COOP 2014: GLI ITALIANI IN DIFFICOLTÀ % popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, 2013 29,9

Molto probabile

27,3 24,1 19,6

RAPPORTO COOP 2014. DISPONIBILITÀ A USARE PRODOTTI E SERVIZI IN SHARING: UN CONFRONTO CON L’EUROPA

44%

19,1

Abbastanza probabile

54%

47% 71%

71%

9%

37% 9%

22% 7%

21% 8%

Italia

Germania

Francia

Gran Bretagna

15,0 46% Italia

Germania

FONTE: REF RICERCHE SU DATI ISTAT

RAPPORTO COOP 2014. CHI LAVORA, CHI CERCA LAVORO, CHI NON LO CERCA... MA VORREBBE LAVORARE Scomposizione della popolazione italiana in età lavorativa

Francia

Uk

Spagna

2014

Olanda

FONTE: NIELSEN CONSUMER SURVEY Q3 2013

4% Non cercano ma disponibili

48%

3%

4% Altri inattivi

55%

31%

28%

4% 3% 0%

9% 1%

6%

10% Spagna

+220%

4%

Occupati esclusi i cassintegrati e i part-time involontari

43%

NUMERI

2008 Cercano ma non attivamente

Non probabile

L’aumento di vendite di cibo bio nella grande distribuzione in meno di dieci anni. È quanto emerge dalla Consumer Survey condotta da Nomisma. C’è anche un ritorno al fai-da-te tra i fornelli: 6 milioni di famiglie fanno pane, pizza, marmellate e conserve a casa. www.nomisma.it

Disoccupati

Cassintegrati

Part-time involontari

FONTE: REF RICERCHE SU DATI ISTAT

3,3 milioni di metri quadri Di orti urbani in Italia, triplicati rispetto al 2011 http://buonenotizie.corriere.it/2014/09/07/ortiurbani-cresce-la-voglia-di-verde-e-di-risparmio

1,8 milioni di euro

I finanziamenti ottenuti nell’ultimo anno dal Polo di Innovazione Tessile (Po.in.tex) della Regione Piemonte con sede a Biella, per progetti di innovazione, studi di fattibilità e servizi specializzati. www.pointex.eu FIRENZE

17-19 Vento. L’Italia in bicicletta lungo il fiume Po È molto più di una pista ciclabile lungo il Po. “Vento” è un progetto del Politecnico di Milano per un’infrastruttura leggera: 679 km che mettono in contatto persone e paesaggio. www.youtube.com/watch?v=VnHqREaGS8Q www.progetto.vento.polimi.it 42

OTTOBRE

Novomodo. Responsabilità di tutti

Una nuova iniziativa culturale promossa dagli stessi partner di Terra Futura: Acli, Arci, Banca Etica, Caritas Italiana, Cisl, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Legambiente. Si terrà a Firenze, all’Auditorium di Sant'Apollonia. Un momento di confronto sulle sfide del futuro. www.novomodo.org - news@novomodo.org valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


global vision

L’ultima ricetta liberista

Abbassare i salari di Alberto Berrini

er innegabile evidenza empirica dei disastrosi risultati ottenuti (economici oltre che sociali), il pensiero neoliberista italiano (e non solo) ha ormai abbandonato l’idea tout court dell’austerità espansiva, ossia che dal semplice taglio della spesa pubblica derivi necessariamente “crescita”. Persino Alberto Alesina e Francesco Giavazzi pensano che, a certe condizioni, è possibile non rispettare i “sacri” parametri europei sui conti pubblici. Sia chiaro che tale violazione delle regole europee deriverebbe da tagli fiscali non completamente coperti nel breve periodo da tagli della spesa (welfare in primis). Quindi la sostanza del ragionamento liberista non cambia. L’oggetto dell’analisi e il principale campo di intervento della politica economica diviene ora il mercato del lavoro. La novità consiste nel fatto che non si tratta solo di rivederne le regole, ma si parla espressamente di riduzione dei salari. Secondo l’ex Rettore della Bocconi, Guido Tabellini (Il Fatto Quotidiano, 17 agosto 2014), «bisogna […] far scendere i salari anche sotto i minimi contrattuali, anziché licenziare o ricorrere alla Cig. Un’occupazione senza tutele e con salari bassi è sempre meglio che avere una disoccupazione alta. Così la nostra domanda interna rimane ferma, ma sarebbe compensata da una maggiore domanda estera». Questo ragionamento nasce dall’esigenza di riacquistare competitività e rilanciare l’export. Normalmente si agisce sul cambio, operando una “svalutazione esterna”, ossia si riduce il valore della valuta nazionale per rendere più competitivi i “suoi” prezzi. Ma l’euro impedisce questo tipo

P

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

di strategia. Ecco perché è necessaria una “svalutazione interna” di tipo “salariale”. Il ragionamento di Tabellini ha un senso a livello “micro”. Per ciascuna azienda il salario è un costo, per cui una sua riduzione permette di diminuire i prezzi dei prodotti, rendendoli più competitivi. L’argomentazione è però basata su un’ipotesi “macro” non realistica: ossia che tutte le merci prodotte saranno vendute, vale a dire che nel processo economico conti solo l’offerta e non anche la domanda. Un’azienda non decide di produrre se non sa di poter vendere i suoi prodotti. L’unico effetto dei bassi salari sono maggiori profitti e alte rendite che, come dimostra la storia recente, finiscono per alimentare l’investimento finanziario a fini speculativi. Tabellini potrebbe ricordarci che esiste anche la domanda estera. Ma le esportazioni non sono in grado di sostituire (per una questione di dimensioni) la domanda interna nella sua funzione di sostegno alla crescita. Inoltre sono più soggette alla variabilità dell’economia internazionale. In ogni caso se tutti esportano, chi consuma? Più in generale la proposta di Tabellini rappresenta solo un esempio di chi ancora pensa in Europa che un importante intervento di riforme strutturali nel mercato del lavoro sia la sufficiente e necessaria premessa per la ripresa economica. E tutto questo avviene senza considerare l’odierno contesto sociale, ossia la pesante eredità della crisi che ancora grava sul mercato del lavoro. Al contrario l’incontro annuale dei banchieri centrali di Jackson Hole ha avuto come tema principale: “Ripensare le dinamiche del mercato del lavoro”. Così la Yellen (presidente della Federal Reserve, ndr): «Il fatto che a cinque anni dalla fine della recessione il mercato del lavoro debba ancora riprendersi del tutto rivela la gravità del danno. Il tasso di disoccupazione è sceso più rapidamente del previsto (negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sceso al 6,2%, avvicinandosi dunque all’obiettivo che si era prefissata la FED, ben lontano dall’11,5% dell’Europa, ndr), ma gli sconvolgimenti economici degli ultimi cinque anni hanno lasciato milioni di lavoratori ai margini del mercato, scoraggiati nella ricerca di posti o bloccati in lavori part-time, tutti fatti che non vengono acquisiti dal tasso di disoccupazione». Ma, parafrasando una vecchia canzone di Guccini, i liberisti “hanno ben altro a cui pensare”. ✱ 43



INTERNAZIONALE

HTTP://UPLOAD.WIKIMEDIA.ORG / PETE SOUZA

ULTIMO ESAME PER OBAMA

“I

di Elisabetta Tramonto

L’economia è un tema centrale per le prossime elezioni di medio termine negli Usa (il 4 novembre). Ma le questioni internazionali stanno acquistando sempre più peso. Un’arma in mano ai detrattori per denunciare le mancanze di Obama valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

t’s the economy, stupid”. Si dice che Bill Clinton abbia vinto le elezioni del ’92 grazie a questo slogan. Nonostante i sondaggisti considerassero Bush pressoché imbattibile per merito dei buoni risultati ottenuti in politica estera, Clinton ribaltò l’esito del voto spostando il tema delle elezioni dalla politica estera all’economia. Sarà così anche quest’anno? L’economia avrà un ruolo determinante nell’esito delle elezioni di medio termine americane? «Certamente sarà un tema centrale, ma non decisivo come in altre tornate elettorali. Perché in questo momento storico le questioni calde di politica internazionale sono in primo piano», spiega Vittorio Valli, docente di Politica economica all’Università di Torino e autore del libro “L’economia americana da Roosevelt a Obama”. Per Barack Obama è l’ultima prova, considerando che nel 2016 il suo incarico scadrà e dopo due mandati consecutivi non potrà ricandidarsi. Per lui non è un momento facile, con un tasso di 45


internazionale elezioni di metà mandato L’INDICE DI GRADIMENTO DI OBAMA DALLA SUA PRIMA ELEZIONE AD OGGI FONTE: HTTP://ELECTIONS.HUFFINGTONPOST.COM/POLLSTER/OBAMA-JOB-APPROVAL

75

Disapprovazione Approvazione

52,7% 50

42,3%

25

popolarità sceso ai minimi storici (vedi GRAFICO qui sopra).

IL MOMENTO SBAGLIATO

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / MINISTERIE VAN BUITENLANDSE ZAKEN

«Queste elezioni cadono in un pessimo momento per Obama, che non ha successi da sbandierare, né in politica internazionale, né economica», spiega Andrea Carati, ricercatore per l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) e docente di Relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano. «Nel 2012, quando riuscì a conquistare il secondo mandato, aveva potuto vantare l’eliminazione di Osama Bin Laden (ucciso il 2 maggio 2011), impresa che non era riuscita ai Repubblicani; ma anche il salvataggio delle banche a rischio dissesto dopo la crisi e di colossi

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Una ripresa che non aiuta la classe media, i salari in stallo, la diseguaglianza che cresce. Non è un momento facile per Obama. E gli attacchi arrivano anche dall’interno del suo partito come General Elettric e Chrysler». Ma c’è un’altra minaccia che pesa sull’esito del voto. «Il partito democratico – continua Carati – sta individuando il proprio candidato per le elezioni del 2016. Probabilmente sarà Hillary Clinton, che ha già iniziato, con un certo anticipo, la propria campagna elettorale, e sta cercando di smarcarsi dall’attuale presidente, screditandolo. Da quest’estate ha iniziato ad attaccare pubblicamente Obama, sottolineando gli errori da lui commessi, a suo avviso, in particolare nella crisi siriana».

ECONOMIA AL CENTRO «In questo momento il primo problema economico che Obama si trova ad affrontare – spiega Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano – è la mancata ripresa, o meglio, una ripresa che è iniziata, accompagnata anche da un leggero miglioramento dell’occupazione, ma a cui non fa seguito un miglioramento del pote46

re d’acquisto della classe media. Non dimentichiamoci che abbiamo assistito a una vera rovina del ceto medio legato alla crisi e alla bolla speculativa, con il crollo dei valori delle case e il fallimento delle grandi agenzie di mutui». «Se guardiamo non tanto e non solo gli ultimi mesi, ma tutta la durata dell’amministrazione Obama – commenta il professor Valli – possiamo dire che il presidente ha attuato manovre efficaci a rilanciare l’economia, anche per aumentare l’occupazione: basta pensare al salvataggio delle banche (anche se poi non è riuscito a realizzare in pieno la riforma della finanza), al salvataggio di grandi imprese come General Motors e Chrysler, che ha permesso di mantenere posti di lavoro; ma anche alla politica energetica, che grazie allo shale gas ha portato gli Usa all’indipendenza energetica, creando nel contempo posti di lavoro nel manifatturiero (anche se ha generato enormi problemi ambientali). Sul fronte dei salari invece Obama non ha potuto fare quasi nulla. E i salari reali oggi restano bassi, con una forbice rispetto agli stipendi più alti in continuo aumento. Obama ha ereditato una situazione di diseguaglianza crescente, che non è riuscito ad arginare».

IL SALARIO MINIMO Lo scorso gennaio, durante il discorso sullo stato dell’Unione, Obama aveva annunciato che la battaglia per l’aumento del minimum wage (il salario minimo) sarebbe stata centrale nella sua politica economica. E a febbraio ha firmato un ordine esecutivo che dal gennaio 2015 imporrà il nuovo salario minimo a tutte le ditte che vorranno avere appalti federali: un aumento da 7,25 a 10,10 dollari all’ora. Peccato che la battaglia si sia fermata lì. Ad aprile i Repubblicani al Senato hanno bloccato la legge sull’aumento del salario minimo (54 a 42), che non ha potuto quindi essere applicata a tutti i lavoratori.

 LIBRI L'ECONOMIA AMERICANA DA ROOSEVELT A OBAMA di Vittorio Valli Carrocci, 2010 valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


elezioni di metà mandato internazionale

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

INDICE DI GINI PER LE FAMIGLIE USA, 1968-2011 (MISURA LA DISEGUAGLIANZA)

FONTE: CREATED BY CRS FROM DATA IN TABLE A-2 OF THE U.S. CENSUS BUREAU’S INCOME, POVERTY, AND HEALTH INSURANCE COVERAGE: 2011

0.49 0.47 0.45 0.43 0.41 0.39 0.37

NON SOLO ECONOMIA «Di solito nel dibattito pubblico americano la politica estera ha un ruolo marginale», spiega il professor Carati. «In questa tornata elettorale la situazione è un po’ diversa, perché ci sono situazioni di particolare gravità, che possono essere usate strumentalmente dagli “avversari” per sottolineare le mancanze dell’attuale amministrazione. È quello che stanno facendo i Repubblicani, che non perdono occasione di denunciare le carenze del partito democratico nel gestire

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0.35 1975

«Quello della diseguaglianza – continua Renata Lenti Targetti – è “IL” problema chiave per gli Stati Uniti, che hanno raggiunto un livello di polarizzazione della ricchezza senza precedenti. Peccato che la questione non sembri entrare nell’agenda dell’amministrazione Obama, perché i Repubblicani in Senato impediscono di prendere sul serio questo tema. L’unico modo di affrontare il problema sono politiche redistributive, attuate attraverso una tassa patrimoniale progressiva, che colpisca i redditi alti. Ma bisogna anche agire dal lato della spesa: una riforma sanitaria che garantisca un servizio sanitario nazionale per tutti (come Obama ha tentato di fare senza successo) sarebbe una politica redistributiva, perché garantirebbe equità nell’offerta dei servizi essenziali. Ma negli Stati Uniti siamo ben lontani da questo traguardo». Negli Usa i ceti alti sono intoccabili. «Mi stupisco – continua la professoressa Targetti – che i politici non vogliano attuare politiche redistributive. La classe media è stata la più penalizzata dalla crisi ed è un bacino enorme di voti che qualsiasi politico vorrebbe conquistare». Ma la struttura politica americana è complessa. «Negli Stati Uniti è difficile contrastare i poteri forti», spiega Vittorio Valli, che continua: «I politici sono in continua campagna elettorale, in particolare i membri della camera dei deputati che vengono eletti ogni due anni. E le campagne elettorali costano. Sono quindi costretti a cercare continuamente fondi. Risultato: al momento di governare devono soddisfare o almeno non pestare i piedi a chi li ha sostenuti economicamente, di solito le lobby forti».

Appuntamento il prossimo 4 novembre con le elezioni di metà mandato, in inglese “midterm”, che cadono esattamente a metà del mandato presidenziale. Si vota per rinnovare una parte del Congresso, in particolare tutti i 435 membri della Camera dei rappresentanti (che vengono eletti ogni due anni) e un terzo di quelli del senato (33). In più si vota anche per eleggere i governatori di 36 Stati. In palio c’è quindi il controllo del Congresso. Ma non solo, perché le elezioni di medio termine si traducono in un sondaggio sul gradimento verso l’attuale presidente e l’attuale governo. In questo momento i Democratici hanno la maggioranza solo al Senato (53 contro 45), mentre alla Camera la maggioranza è in mano ai Repubblicani (234 contro 199). E dei 36 governatori uscenti 14 sono Democratici e 22 Repubblicani. Per ciascuna di queste elezioni, negli scorsi mesi si sono disputate elezioni primarie sia tra i Repubblicani che tra i Democratici. Ogni sfida ha una sua campagna elettorale, di collegio o statale, e tutte insieme si allacciano in una campagna elettorale nazionale, che tocca inevitabilmente da vicino il gradimento sulle scelte e le politiche dell’amministrazione Obama. Il Presidente nelle elezioni di metà mandato ha una posizione ambigua: non ne è direttamente coinvolto come candidato, ma il suo futuro politico sarà pesantemente influenzato dall’esito. Statisticamente le elezioni di midterm penalizzano sempre il partito del Presidente in carica, che di norma attraversa qualche difficoltà nella fase centrale del suo mandato. [E.T.]

1972

UN TEMA FUORI AGENDA

GIOCHI DI POTERE

1969

«Nella cultura americana, anche quella popolare – spiega Vittorio Emanuele Parsi – tutto ciò che assomiglia al socialismo è visto con discredito. Il libero mercato è considerato la soluzione. Qualsiasi forma di salario minimo suscita sospetto». In ogni caso, sostiene Renata Lenti Targetti, docente di Sistemi economici comparati all’Università di Pavia, «l’aumento del salario minimo non basta. Combatte la povertà, ma non la diseguaglianza».

la politica estera. In particolare accusano Obama di non aver tenuto a freno la Russia in Ucraina; di non aver gestito bene le primavere arabe; di aver abbandonato l’Egitto; di non aver saputo gestire bene la situazione in Libia; di aver sottovalutato la crisi siriana e poi la nuova minaccia dell’Isis. Tutte carenze effettive del governo Obama, che però, c’è da dire, si è trovato ad affrontare una serie di crisi internazionali di portata unica e ha raccolto la difficile eredità di politiche estere sbagliate delle amministrazioni precedenti». ✱ 47


internazionale vertici ue

Europa Il trionfo della Supercommissione di Matteo Cavallito

Jean-Claude Juncker presenta la sua Commissione europea. Una struttura rinnovata in cui a contare sono soprattutto pochi “supervisori”. Nel segno del rigore fiscale, ovviamente. Ma non solo

L

a definizione più efficace l’ha offerta Mujtaba Rahman, il direttore delle analisi sull’Europa presso la società di consulenza Eurasia Group. «Moscovici – ha spiegato al Financial Times – è come una fetta di prosciutto all’interno di un panino dal sapore tedesco». Tradotto: un uomo isolato. È la storia di un esito inevitabile per un’Europa decisa, evidentemente, a non rimettere in discussione la linea del rigore fiscale.

UNA COMMISSIONE DI SUPERVISORI Per lungo tempo Francois Hollande aveva messo in campo il proprio impegno per assicurare al suo ex ministro delle Finanze una delle poltrone più importanti della nuova Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker. Una candidatura che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi delle “colombe” di fronte alle pressioni dei “falchi” dell’austerity. Pierre Moscovici, alla fine, ha raggiunto l’incarico, ma la sua, ha notato il Financial Times, si è rivelata “una vittoria di Pirro”. Pur chiamato a valutare le politiche fiscali dell’area euro (e a sanzionare le eventuali inadempienze), l’ex titolare delle finan-

ze di Parigi dovrà fare i conti con la supervisione di due soggetti scomodi: il finlandese Jyrki Katainen e il lettone Valdis Dombrovskis. Entrambi con una carica da vicepresidente: incarico per “lavoro e crescita” il primo, “euro e dialogo sociale” il secondo. Entrambi da sempre ultrà del rigore, chiamati a supervisionare il lavoro del collega francese. La vicenda Moscovici evidenzia anche qualcos’altro. L’Europa sceglie la continuità, certo, ma punta anche al rafforzamento del suo esecutivo. «La vecchia struttura piatta (tanti commissari dotati dei medesimi poteri) non esiste più», sostiene Roberto Ferrigno, direttore di Lumina Consult, società di consulenza che rappresenta gli interessi, tra le altre, di varie organizzazioni ambientaliste a Bruxelles. «Abbiamo a che fare con una vera e propria Supercommissione – precisa – in cui un presidente e sei vicepresidenti controllano l’operato di 21 commissari. Un organismo sempre meno autonomo che si integra con il Consiglio Europeo e con i singoli governi nazionali che, non a caso, sono riusciti a piazzare al suo interno un gran numero di ex premier e ministri». A partire dal presidente stesso della Commis-

«RIGORE E RIARMO: A BRUXELLES VINCONO LORO» di Matteo Cavallito

Una Commissione fortemente gerarchica in cui si percepisce una ridondante longa manus dei governi nazionali. Lo spiega dalla capitale belga il direttore di Lumina Consult Roberto Ferrigno. 48

Come è nata questa “Supercommissione”? È il risultato di una lunga trattativa. Il parlamento ha ottenuto la nomina del suo candidato, il poco gradito Jean-Claude Juncker. Gli Stati membri, in cambio, hanno espresso i loro commissari centrando l’obiettivo inseguito da tempo: assumere maggior potere sulla Commissione indebolendone l’indipendenza.

Il Financial Times parla soprattutto di successo tedesco… Vince la linea del rigore fiscale di Berlino. Ma vince anche la corsa al riarmo sostenuta da Polonia, repubbliche baltiche, Slovacchia e, almeno in parte, dal Regno Unito e dalla stessa Germania. Tutti Paesi che vedono il confronto con la Russia come un’occasione per risolvere i loro problemi interni. Mentre l’Europa sceglie di ricalcolare il Pil includendo, tra le altre cose, le spese militari, l’Ucraina approva una legge per cedere fino al 49% della propria rete gas agli operatori stranieri… valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


sione, primo ministro del Lussemburgo per diciotto anni, e proseguendo, ovviamente, con la già citata accoppiata Katainen-Dombrovskis (già capi di governo di Finlandia e Lettonia), con i vicepresidenti Andrus Ansip e Alenka Bratušek (ex primi ministri rispettivamente di Estonia e Slovenia), senza dimenticare, infine, gli ex vice premier Neven Mimica (Croazia), Margrethe Vestager (Danimarca) ed Elzbieta Bieńkowska, vice premier polacco nel governo presieduto da Donald Tusk, l’attuale numero uno del Consiglio Europeo. «Vince la linea del rigore fiscale, ma anche la corsa al riarmo», commenta Ferrigno sottolineando il peso della linea dura espressa dalla Polonia nei confronti della crisi ucraina. Una crisi, è bene ricordarlo, che incide profondamente sui conti dei produttori europei dopo il contro-embargo di Mosca sui prodotti agricoli e caseari: «Soltanto per il Belgio – spiega ancora Ferrigno – si parla di un impatto da 1 miliardo di euro».

FINANZA E MERCATI Ma nel novero dei soddisfatti ci sono anche gli operatori finanziari. Determinante la nomina a commissario di Jonathan Hill, ex capogruppo conservatore alla Camera dei Lord, ora responsabile europeo per la Regolamentazione di Borse e mercati. La nomina di Hill, tra i fondatori in passato della Quiller Consultants, una società che opera in qualità di lobbista nel settore finanziario, ha destato molte polemiche. L’eurodeputato verde tedesco Sven Giegold ha definito la scelta «una provocazione» parlando apertamente di «un regalo di Juncker a Cameron». Secondo il Financial Times la scelta andrebbe letta come tentativo di risoluzione della “questione britannica”, la guerra di nervi che da anni caratterizza le relazioni LondraBruxelles sul fronte delle riforme finanziarie cui il

Si profila un cambiamento per la politica energetica europea? Oggi si spinge per un’apertura totale alle fonti fossili domestiche e allo shale gas in nome dell’indipendenza energetica, anche se resta difficile per la Commissione rimettere in discussione troppo rapidamente le posizioni comuni sul tema del cambio climatico costruite negli anni. La scelta della slovena Alenka Bratušek all’Unione energetica, in questo senso, appare obbligata. Come dire, la nomina di un britannico, in questo momento, sarebbe forse apparsa eccessiva. valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

GLI JUNCKER BOYS Federica Mogherini

vertici ue internazionale

Popolari

Diciotto anni da premier (e 20 da ministro delle Finanze) in Lussemburgo. È stato presidente dell’Eurogruppo dal 2005 al 2013 quando il gruppo dei Popolari Europei lo ha scelto come candidato alla poltrona più alta della Commissione.

Alenka Bratušek (VICE PRESIDENTE)

(VICE PRESIDENTE)

Popolari

Pierre Moscovici

(COMMISSARIO)

PAESE:

PAESE:

GRUPPO POLITICO:

GRUPPO POLITICO:

Incarico: affari economici e monetari. Provenienza: ministro delle Finanze di Parigi (e fedelissimo di Francois Hollande).

Gli altri commissari:

GRUPPO POLITICO:

Incarico: mercato unico digitale. Provenienza: ex premier dell’Estonia.

Kristalina Georgieva

(VICE PRESIDENTE) GRUPPO POLITICO:

Jonathan Hill Regno Unito

Socialisti

Estonia

GRUPPO POLITICO: Incarico: euro e dialogo sociale. Provenienza: primo ministro della Lettonia per quasi cinque anni. Sostiene la linea del rigore fiscale.

Francia

(VICE PRESIDENTE)

PAESE:

Popolari

(COMMISSARIO)

Andrus Ansip

PAESE:

Lettonia

GRUPPO POLITICO:

Socialisti

Liberaldemocratici

Valdis Dombrovskis

Finlandia

GRUPPO POLITICO: Incarico: migliore legislazione, relazioni interistituzionali, stato di diritto e carta dei diritti fondamentali. Provenienza: ex diplomatico. Dal 2012 ministro degli esteri del governo olandese.

GRUPPO POLITICO:

Incarico: unione energetica. Provenienza: ex premier (di breve durata) della Slovenia.

PAESE:

Olanda

PAESE:

Liberaldemocratici

(VICE PRESIDENTE)

(1° VICE PRESIDENTE)

PAESE:

Slovenia

GRUPPO POLITICO:

Incarico: lavoro, crescita, investimenti, competitività. Provenienza: ex premier finlandese. È l’uomo simbolo della linea dura sul rigore fiscale.

PAESE:

GRUPPO POLITICO:

PAESE:

Jyrki Katainen

PAESE:

Lussemburgo

Italia

Incarico: affari esteri e politica di sicurezza. Provenienza: ministro degli esteri del governo Renzi.

Frans Timmermans

(PRESIDENTE)

(ALTO RAPPR. UE)

Socialisti

Jean-Claude Junker

Conservatori

Incarico: stabilità finanziaria, servizi finanziari e unione dei mercati dei capitali. Provenienza: capogruppo tory alla Camera dei Lord. Per anni lobbista presso la City londinese.

Bulgaria

Popolari

Incarico: bilancio e risorse umane. Provenienza: economista, ha lavorato per la Banca Mondiale a partire dal 1993.

Elzbieta Bieńkowska

(COMMISSARIO) PAESE:

Polonia

GRUPPO POLITICO:

Popolari

Incarico: mercato interno, industria, imprenditoria, piccola e media impresa. Provenienza: ex ministro e vicepremier del governo di Donald Tusk.

Johannes Hahn (politica di vicinato e allargamento, Austria, Popolari); Marianne Thyssen (lavoro, affari sociali e occupazione, Belgio, Popolari); Neven Mimica (cooperazione interna e sviluppo, Croazia, Socialisti); Christos Stylianides (aiuti umanitari e gestione delle crisi, Cipro, Popolari); Carlos Moedas (ricerca, innovazione e scienza, Portogallo, Popolari); Phil Hogan (agricoltura e sviluppo rurale, Irlanda, Popolari); Věra Jourova (giustizia, diritti dei consumatori e pari opportunità, Rep. Ceca, Liberaldemocratici); Margrethe Vestager (concorrenza, Danimarca, Liberaldemocratici); Günther Oettinger (economia digitale e società, Germania, Popolari); Dimitris Avramopoulos (immigrazione e affari interni, Grecia, Popolari); Vytenis Andriukaitis (salute e sicurezza alimentare, Lituania, Socialisti); Karmenu Vella (ambiente, affari marittimi e pesca, Malta, Socialisti); Corina Creţu (politica regionale, Romania, Socialisti); Maroš Šefčovič (trasporti, Slovacchia, Socialisti); Tibor Navracsics (istruzione, cultura, gioventù e cittadinanza, Ungheria, Popolari); Cecilia Malmström (commercio, Svezia, Liberaldemocratici); Miguel Arias Cañete (azione per il clima e l’energia, Spagna, Popolari).

Regno Unito si oppone da sempre. Tra cui, ovviamente, i limiti ai bonus, la regolamentazione dei fondi hedge, la tassa sulle transazioni finanziarie e l’unione bancaria. ✱

In compenso il Regno Unito ha ottenuto la nomina di Jonathan Hill ai mercati finanziari. Un regalo da parte di Bruxelles per ricucire i rapporti con Londra? A dire il vero non so quanto la nomina di un semplice commissario possa fare la differenza visto che l’anno prossimo si terrà in ogni caso il referendum sull’uscita del Regno Unito dalla Ue. La verità è che Cameron resta in una situazione molto critica. Da un lato c’è l’avanzata dello UKIP, che continua a far perdere pezzi alla sua maggioranza, dall’altro c’è stato il referendum scozzese che, al di là dell’esito, ha fatto calare ulteriormente la sua popolarità.

roBErTo FErriGno

direttore di Lumina Consult

Secondo i critici, però, la scelta di Hill finirà per affossare ogni ipotesi di riforma della finanza Dallo scoppio della crisi ad oggi non è stato prodotto alcun rimedio effettivo né una politica finanziaria nuova che si discosti realmente dalla vecchia agenda della liberalizzazione dei mercati. Temo proprio che non ci sia nulla da affossare. ✱ 49


internazionale scandalo intercettazioni

Spionaggio in rete Berlino abbaia ma non morde Dopo lo scandalo delle intercettazioni telefoniche subite dalla cancelliera Merkel, in Germania è scoppiata la paura della privacy violata. E il governo tenta di rafforzare la sicurezza su internet HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / RUDOLFSIMON

di Mauro Meggiolaro

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«I

nternet è per tutti noi un nuovo mondo». In tedesco Neuland: territorio vergine e sconosciuto. La Cancelliera Angela Merkel ha reagito così allo scandalo globale per i programmi di intercettazione dell’Nsa (National Security Agency) statunitense svelati da Edward Snowden. Era il 19 giugno del 2013, dieci giorni dopo le prime rivelazioni del Datagate, Barack Obama aveva terminato da poco il suo discorso davanti alla Porta di Brandeburgo. «I nostri programmi sono sviluppati nel pieno rispetto della legge», aveva detto Obama. «Si concentrano sulle minacce alla sicurezza e non sulle comunicazioni dei normali cittadini». Peccato che i “normali cittadini” tedeschi non l’abbiano presa bene, tanto che Neuland è subito diventata la parola più bersagliata in rete, ridicolizzata da migliaia di utenti di Facebook, Twitter e lettori dei giornali on line. Sinonimo dell’assoluta impreparazione del governo sui temi che riguardano la privacy e la sicurezza della rete. Nell’ottobre del 2013 l’ennesimo risvolto della vicenda NSA: anche il cellulare di Angela Merkel sarebbe stato spiato dagli Stati Uniti. «È assolutamente inaccettabile», dichiara il portavoce della cancelleria, Steffen Seibert. «Non è vero», ribadisce Obama. «Non teniamo né terremo sotto controllo le comunicazioni del governo tedesco». In Germania si scatenano le polemiche. Anche perché, nel giugno del 2014, si apre sul caso Merkel un’inchiesta della Procura Generale Federale, la stessa che in dicembre aveva affermato di non poter procedere sull’affare NSA nel suo complesso e quindi sullo spionaggio di massa che riguarda potenzialmente tutti i cittadini. «Le prove non sono sufficienti», dichiara il procuratore Harlad Rangegibt. «Una giu-

stizia classista, che utilizza due pesi e due misure», la definisce senza mezzi termini Katja Kipping, leader del partito di sinistra Die Linke.

E-MAIL MADE IN GERMANY Intanto, dalla fine del 2013, si moltiplicano le iniziative e le dichiarazioni d’intenti per rassicurare i tedeschi, notoriamente sensibili alle questioni relative alla privacy. La prima a scendere in campo è la Deutsche Telekom (DT), colosso delle telecomunicazioni controllato dallo Stato con il 31,9%, che inizia a parlare di “Internet dei percorsi brevi”, una rete dove le informazioni inviate via e-mail possano circolare solo all’interno dei confini tedeschi. «Vogliamo garantire che nessun byte spedito per mail esca dalla Germania», dichiara l’amministratore delegato di Telekom nell’ottobre del 2013. Già due mesi prima era stato siglato un accordo tra DT e l’operatore tedesco 1&1 Internet AG chiamato “E-mail made in Germany”. «Con questo sistema è già possibile mandare mail criptate che vengono salvate esclusivamente in centri di elaborazione dati tedeschi», spiega Philipp Blank, portavoce di DT per la sicurezza della rete. «Abbiamo anche introdotto il criptaggio delle conversazioni su telefonia mobile in collaborazione con la tedesca GSMK». Semplici iniziative di marketing, ribattono i critici. «E-mail made in Germany si limita a usare una tecnologia per il criptaggio delle mail disponibile da tempo, ma che non è stata quasi mai applicata», spiega a Valori Thomas Bösel di QSC management, società di Colonia che si occupa di servizi di telefonia e internet per piccole e medie imprese. «In ogni caso funziona solo se il mittente e il destinatario della mail usano entrambi un dovalori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


scandalo intercettazioni internazionale

minio Deutsche Telekom o 1&1». Se una mail viene spedita da un account DT verso un indirizzo gmail o yahoo, anche di utenti in Germania, i dati sono veicolati attraverso server esteri, americani o asiatici e sono facilmente intercettabili. «Non ha senso che una mail spedita da Bonn a Berlino debba passare da New York o Londra», continua Blank di Telekom. «È importante introdurre internet dei percorsi brevi e noi lo proponiamo già per i clienti Telekom, ma per estenderlo agli altri operatori servono nuove leggi, simili a quelle che sono state approvate negli Stati Uniti». Un obiettivo molto difficile da realizzare che per molti sembra un vero e proprio miraggio. «L’internet dei percorsi brevi si riferisce ovviamente solo alle mail», precisa Thomas Bösel di QSC. «Appena si scrive qualcosa su Facebook o su altri social network si è per forza dirottati su server non tedeschi. Una vera circolazione interna delle e-mail sarebbe possibile solo se tutti gli altri operatori oltre a Deutsche Telekom aderissero a E-mail made in Germany. Ma perché dovrebbero farlo? Sarebbero costretti a sottoscrivere nuovi contratti e sottostare alle condizioni di Telekom. Nessun operatore internazionale come Vodafone o simili ha un interesse nella creazione di isole nazionali all’interno della rete». E, come se non bastasse, il governo tedesco è tutto fuorché interessato a circoscrivere i confini di internet. «Il ministro per gli Affari economici, Sigmar Gabriel, ha recentemente dichiarato che l’internet tedesco non è una priorità», continua Bösel. «Un’operazione del genere ha costi tecnologici alti, ogni operatore dovrebbe cambiare le sue impostazioni. E nessuno a livello governativo è veramente intenzionato a imporre nuove regole alle compagnie di telecomunicazioni straniere».

PRIVACY DA TUTELARE Nel frattempo la campagna di rassicurazione dei cittadini impauriti procede a vele spiegate. In agosto i ministeri dell’Economia, degli Interni e delle Infrastrutture hanno lanciato con grande enfasi l’attesa “agenda digitale 2014-2017” con sette punti chiave, tra cui la “sicurezza e protezione dei dati” che prevede una “migliore difesa delle istituzioni” e “nuove infrastrutture tecnologiche”. Mentre continuano gli attacchi del governo alla società che è vista come origine di tutti i mali: la corporation californiana Google, una delle fonti preferite dall’NSA. «Aria fritta», spiega Markus Beckedahl, attivista di internet e fondatore del portale netzpolitik.org. «Con gli attacchi a Google si tenta solo di distrarre i cittadini dalla disfatta del governo tedesco sul fronte delle politiche relative alla rete». valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

ANTITRUST: LA GUERRA DELL’UE CONTRO GOOGLE SI INASPRISCE

Dopo il caso Snowden e le rivelazioni sullo spionaggio di massa da parte della National Security Agency, il malcontento europeo nei confronti dei giganti americani di internet è in crescita costante. Il target preferito continua però a essere Google. L’8 settembre scorso il commissario europeo per la concorrenza Joaquim Almunia ha respinto la terza proposta di accordo avanzata dalla società californiana in merito a un caso di antitrust aperto ormai cinque anni fa. L’oggetto del contendere è lo strapotere del motore di ricerca, che abuserebbe della propria posizione dominante nell’individuazione e visualizzazione dei siti web, favorendo prodotti e servizi targati Google o ad esso collegati. In base a quanto dichiarato da Almunia, la Commissione Europea starebbe cercando di ottenere migliori condizioni da Google, che avrebbe promesso di dare maggiore visibilità ai concorrenti nei risultati di ricerche online relative a temi come shopping, voli aerei o ristoranti. Una cosa sembra chiara: a Bruxelles il clima politico è cambiato e l’avversione a Google si è fatta più dura. A soffiare sul fuoco sarebbe soprattutto il governo Merkel, spinto dal malcontento diffuso tra i cittadini tedeschi verso i colossi di internet. Se non si dovesse raggiungere un accordo, Google rischia di dover pagare sanzioni elevatissime: fino al 10% del suo fatturato globale. La nomina del tedesco Günther Oettinger come commissario europeo per l’economia digitale il 10 settembre scorso non fa ben sperare per la società americana. Appena nominato, Oettinger ha assicurato che farà pressione affinché Google «preservi la sua neutralità e oggettività» in modo che la sua influenza sul mercato «possa essere limitata». Se in patria il governo tedesco è tenero con Google sulle questioni relative alla privacy (vedi ARTICOLO ), a Bruxelles alza la voce sulle questioni economiche. Il mercato, ancora una volta, ha la precedenza. [M.M.]

Il cane abbaia, quindi, ma ha i denti spuntati. Anche perché la legge tedesca sulla privacy risale agli anni Novanta ed è assolutamente inadeguata a gestire i rischi associati a internet. «Il governo tedesco sta discutendo il regolamento europeo sulla protezione dei dati da più di due anni. In realtà sembra che non sia interessato ad approvare nuove regole», ha spiegato Jan Philipp Albrecht, parlamentare europeo dei Verdi a Kontrovers, trasmissione della tv pubblica bavarese BR. Anzi, il ministero degli Interni sembrerebbe voler addirittura indebolire la rete di tutela della privacy, «parlando la stessa lingua dei lobbisti di Google». Niente di strano, visto che Google finanzia una serie di progetti in stretta collaborazione con il ministero degli Interni. «Chi si occupa di politica della rete a Berlino non può prescindere da Google», spiega Christina Deckwirth di Lobby Control. «Non c’è quasi nessuno in questo settore che non abbia a che fare con Google, visto che sponsorizza ormai moltissime iniziative: dove scorre il denaro è difficile che vengano prese decisioni autonome e indipendenti, in particolare su un tema delicato come la protezione dei dati su internet». E, mentre il governo temporeggia, Google conquista Neuland e si impossessa dei suoi dati. Senza incontrare una vera resistenza. ✱ 51


fotoracconto 05/05

Da parte delle forze dell’ordine si susseguivano eclatanti operazioni di sequestro e distruzione degli alcolici, arresti e scontri a fuoco. In questa foto del febbraio 1932 l’interno dello Speakeasy situato al 153 di Causeway Street di Boston dopo l’irruzione dai federali, che si accingono a smantellarlo e a distruggere 52

attrezzature e bevande illecite (da notare le immagini raffigurate dietro gli agenti in posa).

PHOTOGRAPH BY LESLIE JONES, COURTESY OF THE TRUSTEES OF THE BOSTON PUBLIC LIBRARY

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014


NEWS

Tragedia di Ali Enterprises, due anni dopo i big del tessile non hanno ancora risarcito

11 settembre 2012, un incendio alla fabbrica tessile Ali Enterprises di Karachi provoca 254 vittime e 55 feriti tra operaie e operai. La Campagna Abiti Puliti denuncia che diverse imprese internazionali della moda (tra cui le italiane Benetton, Manifattura Corona, Yes Zee, Robe di Kappa e Piazza Italia) non hanno ancora dato alcun

risarcimento alle vittime di questa e di altre simili tragedie. Particolarmente grave la posizione del distributore tessile tedesco KIK, che a luglio scorso si è tirato fuori all’ultimo minuto da un protocollo di intesa per il risarcimento ai superstiti e alle famiglie di chi morì proprio nello stabilimento pakistano.

VALORITECA L’EPIDEMIA DI EBOLA COSTA CARA Milioni di dollari di Pil perduto

MININEWS

Scozia: l’altro referendum

Nel golf scozzese le donne hanno fatto vedere chi porta i pantaloni. Il Royal and Ancient Golf Club di St Andrews, storico golf club scozzese ammette con un referendum le donne tra i suoi membri, a 260 anni dalla sua fondazione. L’85% dei soci ha votato per eliminare l’antica discriminazione.

95% i cittadini europei preoccupati per l’ambiente secondo il sondaggio Eurobarometro I tre quarti degli intervistati, nonostante la crisi, si dicono pronti ad acquistare prodotti rispettosi dell'ambiente, anche se più cari rispetto a quelli tradizionali.

100

Guinea

0

Sierra Leone

Core Three Countries

43

-100 -200

Liberia

-130

-59

-66 -82 -142

-97

-163 -228

-300 -400

-359 -439

-500 -600 -700 -800

-809

-900 2014

2015 (Low Ebola)

2015 (High Ebola)

I MIGLIORI TWEET DEL MESE China will cut bankers' “unreasonably high" pay [La Cina taglierà le retribuzioni irragionevolmente elevate dei manager bancari] @BW

#Poverty & #climatechange: “We fail on one, we fail on the other" - Lord Stern [Povertà e cambiamenti climatici: «Abbiamo fallito nel primo come nel secondo caso»] @GuardianSustBiz

valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014

Isis selling up to 80.000 barrels of oil a day through old smuggling network

[L’Isis (Stato Islamico dell'Iraq e della Siria) sta vendendo 80mila barili di petrolio al giorno nella rete del mercato nero] @FT

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bancor

Da Draghi a Marchionne

Non siamo poi così diversi dai tedeschi dal cuore della City Luca Martino

n un interessantissimo articolo di un paio d’anni fa il professor Sapelli sentenziava il fallimento dell’unione monetaria europea, per ragioni economiche e giuridiche, ma anche storiche: «L’unione monetaria è stata una vera follia, la negazione della storia e il trionfo dell’economia monetaria classica, per cui la storia non esiste». Un altro illustre accademico, l’ex ministro Guarino, giudicava il vincolo del pareggio di bilancio adottato “per regolamento”, in contrasto con le norme “costituzionali” del Trattato dell’Ue che garantivano agli Stati membri la capacità giuridica di indebitarsi sino al 3%, un «atto nullo e sostanzialmente eversivo». Il Fiscal Compact, altro accordo internazionale adottato dalla Commissione Europea in maniera non conforme alle procedure dei trattati, ha aggravato il vincolo della parità di bilancio. Era evidente che costringere i Paesi membri a un rientro del debito a tappe forzate, imponendo al contempo la rinuncia a qualsiasi margine di indebitamento, avrebbe comportato, stante il perdurare di una crisi economica su grande scala, la contrazione sul nascere di qualsiasi processo di sviluppo di fattori produttivi inutilizzati o di rilancio di settori in crisi. Eppure pareggio di bilancio e Fiscal Compact sono stati sanciti in Costituzione e ratificati dai parlamenti nazionali di molti Paesi, tra cui l’Italia, senza che vi sia stato alcun referendum confermativo. È andata come è andata verrebbe da dire, ma le pressioni della Bce, dalla primavera del 2011, sono state in tal senso

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determinanti e la spirale recessiva e deflazionistica che attanaglia gran parte dell’area euro ormai da parecchi anni ci dà oggi la misura evidente del fallimento di quelle politiche di “consolidamento” della moneta unica adottate nell’ultimo decennio, sia dal punto di vista economico-finanziario che politico-istituzionale. Se nel frattempo, sfruttando antiche rendite di posizione e alcuni venti favorevoli della globalizzazione, il divario tra ricchi e poveri non fosse aumentato fino a raggiungere livelli intollerabili, si potrebbe parlare di incompetenti, di dilettanti allo sbaraglio. Sapelli lo ha fatto apertamente parlando del presidente Draghi, tuttavia le previsioni sono per ulteriori politiche del rigore fatte di altri tagli alla spesa e di “riforme” del mercato del lavoro al fine di ridurre (se non azzerare) il peso e il ruolo dello Stato nelle nostre comunità, dove già l’attività privata è per molti versi deregolamentata. Qualsiasi iniziativa che non vada in questa direzione, lo dice candidamente Marchionne ormai da anni, sarebbe «un concetto da economia socialista, che ricorda tempi passati». Durante le sue consuete apparizioni di fine estate a Rimini e a Cernobbio, usando come sempre slide piene di trapezisti e pesciolini rossi, il presidente di FiatChrysler, nel richiedere, pur legittimamente da parte sua, salari flessibili, contrattazione aziendale e abolizione dell’Irap, ne parla al solito come se questo, e solo questo, fosse il vero viatico per la «mobilità sociale, lo sviluppo dei cittadini e quel cambiamento e quella rinascita che si genera naturalmente dal funzionamento dei mercati liberi». Saranno mica i compensi e i patrimoni personali di Draghi e Marchionne la misura del progresso della società? In tal caso, si continui pure sulla strada del rigore e delle (contro) riforme, ma si abbia il coraggio, o l’onestà intellettuale, di cambiare la Costituzione, non solo inserendo il pareggio di bilancio, ma anche mettendo come fine ultimo dell’iniziativa economica (sia pubblica che privata) non già l’utilità pubblica (Art. 41), ma il profitto e le disparità sociali. ✱ todebate@gmail.com valori / ANNO 14 N. 122 / OTTOBRE 2014




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