Mensile Valori n. 121 2014

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Cooperativa Editoriale Etica

Anno 14 numero 121 settembre 2014

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR. Contiene I.R.

FOTO SOCIAL ENTERPRISE UK

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Impatto Sociale Fondi privati per finanziare l’innovazione sociale. Uno strumento utile o solo un nuovo business?

finanza LA MAPPA DELLE MULTE PAGATE DALLE BANCHE

economia solidale AIUTI ALLE RINNOVABILI: BERLINO FA UN PASSO INDIETRO. L’UE SORRIDE

internazionale RIFLETTORI SULL’AMERICA LATINA: BRASILE AL VOTO, ARGENTINA IN DEFAULT


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valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


editoriale

PONTI PER L’IMPATTO SOCIALE di Andrea Vecci

L’AUTORE ANDREA VECCI Da anni vive e studia il mondo dell’impresa sociale. Ha lavorato per la storica cooperativa sociale milanese La Cordata. Ha fondato e da qualche anno è presidente della cooperativa Il Giardinone. Prezioso editorialista di Valori. Sua la rubrica Social Innovation e l’omonimo blog sul sito valori.it. Segue da vicino il lavoro dell’Advisory Board italiano della task force creata dal G8 sull’impact investing, tema di cui ha più volte scritto su Valori. valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Social Impact Bond (SIB) sono tra le innovazioni più promettenti dell’impact investing. Sono nuovi strumenti finanziari che mobilitano investimenti privati per affrontare le emergenti sfide sociali: hanno il potenziale di creare valore condiviso (share value), ritorno finanziario per gli investitori, benefici sociali per le comunità e per gli individui più fragili, efficienza per i governi e per gli erogatori di servizi sociali. La loro entusiasmante promessa è stata al centro della scena politico-finanziaria degli ultimi tempi, ma il futuro dei SIB è tutt’altro che certo. In questo numero di Valori sentiamo alcune delle più autorevoli voci italiane levarsi a favore o contro la finanza d’impatto. Hanno una caratteristica in comune: l’uso del condizionale. È dovuto allo stato dell’arte di questi prodotti finanziari e allo scetticismo verso i cambiamenti in atto a livello internazionale e a una tradizionale obiezione ideologica sul ruolo degli investitori privati nel finanziamento dei servizi sociali. Ma i SIB sono una bolla? Una moda passeggera? Un nuovo mercato finanziario? Probabilmente saranno, ancora per qualche tempo, un mercato in rodaggio, zoppicante, promettente, senza riuscire a realizzare il proprio potenziale. I primi bond (ne trovate una mappa aggiornata nel dossier e sul sito valori.it) vengono lanciati, studiati e presi a modello, ma ciascuno risulta fortemente individualizzato e contestualizzato, con alti costi di transazione. In assenza di una leva del credito, il ruolo della filantropia e delle sovvenzioni pubbliche nell’avvio di un SIB è ancora forte e mal si concilia con le aspettative degli investitori tradizionali, che si aspettavano erogatori di servizi e policy makers orientati all’impact investing. Questo scenario riflette in qualche misura le decennali sfide di sviluppo di un mercato per l’impresa sociale e per

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l’innovazione sociale. Lo stop al primo SIB della prigione britannica di Peterborough, in anticipo grazie ai risultati positivi, dimostra che per riprodurre su larga scala un’innovazione sociale è stato usato, forse impropriamente, l’impact investing come finanziatore di una funzione di ricerca e sviluppo i cui risultati restano di proprietà pubblica. Lo stesso pubblico che decide di inserire le innovazioni sull’abbattimento della recidiva dei carcerati all’interno di un normale capitolato di appalto per sedici carceri, facendone un programma a scala nazionale, e tanti saluti agli investitori pionieri. Il nocciolo di questo succoso frutto, per ora immaturo, sta nel bond, che non riferisce solo di una obbligazione da onorare, ma anche di un “legame” tra pubblico, investitore ed erogatore di servizi, che nel caso inglese risulta più labile delle fragilità del sistema sociale a cui tenta di porre rimedio. Per questo motivo, e non per la difficoltà di trovare misurazioni di impatto oggettive e condivise che consentano di passare dall’alta qualità artigianale alla produzione industriale di SIB, il condizionale è d’obbligo. Il dato oggettivo è che tanto ingenti sono le risorse finanziarie disponibili all’impact investing, quanto scarsi gli intermediari adeguati, scarsa la volontà delle istituzioni nel creare valore condiviso e scarsa l’attitudine degli operatori sociali a produrre innovazione. Anche in Italia esistono preoccupazioni sulla promozione pubblicitaria che circonda il mercato dei SIB, che soffre non soltanto della mancanza di casi di successo, ma di una filiera di attori ad esso dedicati, un problema di brand identity. In una città attraversata da un fiume il ponte unisce diverse identità, creandone di nuove, ibride. Tanto meglio progettare Social Impact Bridges, ponti per l’impatto sociale, in cui il legame-bond tra gli attori non sia un obiettivo, ma un effetto. , 3


fotoracconto 02/05

Johannesburg, Sudafrica. Reel Gardening è una start-up nata nel 2010 che ha ideato nuovi prodotti agronomici, di facile utilizzo ed economici, che rendano accessibile l’autoproduzione di cibo. Produce strisce di carta biodegradabile contenente semi, sostanze nutrienti e fertilizzanti organici. Le bobine seminate, che sono vendute a un dollaro al metro, possono essere piantate nel terreno o collocate in un giornale o in uno shopper con un po’ di terriccio in caso di mancanza di terreno coltivabile. Tutto ciò che serve 4

è la luce del sole e la giusta quantità di acqua. Poca in realtà, le strisce di carta usano l’80% di acqua in meno rispetto ai convenzionali mezzi di giardinaggio, in quanto trattengono la maggior parte dell’acqua e sono indicati proprio in zone di difficile irrigazione. Semplici istruzioni, comprensibili anche da chi non sa leggere, sono stampate sulla carta con inchiostri naturali.

Un esempio perfetto di innovazione sociale. Nel fotoracconto di questo numero di Valori ne proponiamo cinque, diversi per le attività svolte e per il luogo dove nascono. Ma in comune hanno un’idea imprenditoriale, un bisogno da risolvere, un impatto positivo sulla società. Spesso in una condizione di scarsità di risorse.

FOTO REEL GARDENING

Nella foto uno dei progetti che Reel Gardening porta avanti con le scuole. valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


sommario

settembre 2014 mensile www.valori.it anno 14 numero 121 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero: Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Luca Martino, Valentina Neri, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Reel Gardening; Social Enterprise UK; Roberto Stuckert Filho/Presidência Da República, Joneboi, Norbert Nagel (commons.wikimedia.org); Stuart Garfield; Miuki Barriga; Francisca Espinoza Curimil; Acra Opes Impact Fune distribuzione Press Di - Segrate (Milano) È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

fotoracconto 01/05 Social Enterprise Uk è un’agenzia pubblica per il sostegno all’imprenditoria sociale nel Regno Unito. Nella foto in copertina, in particolare, il progetto Energy4All, che stimola la nascita di cooperative per la produzione di energia da fonti rinnovabili in Gran Bretagna.

dossier

8 Impatto Sociale

FOTO SOCIAL ENTERPRISE UK

Tra 174 e 733 miliardi di euro: è la fetta di spesa sociale italiana che lo Stato non riuscirà a coprire tra il 2014 e il 2020. In questo vuoto potrebbe inserirsi il social impact investing. Capitali privati per finanziare il sociale

global vision finanza etica

7

Banche, il prezzo della “colpa” In Europa la lobby della finanza detta legge Evasione, le multinazionali nel mirino dell’Ue Aria nuova in Enel, ma i problemi sono quelli di sempre

19 22 24 25

numeri della terra economia solidale

28

La pax energetica tra Berlino e Bruxelles Italia e nucleare, una partita aperta Frumento e riso sfamano il mondo. E il mercato

31 36 39

internazionale Brasile al voto Argentina. L’ottava volta non si scorda mai Aria nuova in laboratorio

45 47 49

equocommercio bancor

52 54

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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fotoracconto 03/05

Con Verbal Care si può davvero parlare di innovazione, con una buona dose di ricerca tecnologica. Ăˆ una start-up creata a Boston da tre ingegneri neolaureati, Dougherty, Hsiao e Zoeller. Hanno sviluppato una piattaforma cloud che consente agli operatori sanitari e agli assistenti domiciliari di comunicare con i pazienti affetti da disturbi di comunicazione. Usa un gran numero di strumenti, in particolare l’applicazione iPad per 6

trasmettere con maggiore precisione le esigenze dei pazienti, con grandi bottoni parlanti (nella foto qui a destra una schermata del tablet per i pazienti di Verbal Care). Nella foto grande in alto dei bimbi che usano Verbal Care nel Franciscan Hospital for Children di Brighton (Usa).

FOTO: STUART GARFIELD

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global vision

Per uscire dalla crisi

L’arma della competitività di Alberto Berrini

rmai dovrebbe essere chiaro. Non si risana senza crescita. Anni di tagli e rigore hanno avuto come risultato il peggioramento dei conti pubblici europei, in particolare di quei Paesi più in difficoltà. Dunque il “debito” è la conseguenza e non la causa della crisi. Quest’ultima dura da sette lunghi anni, al punto che ormai siamo “di fatto” (anche se le autorità pubbliche, in primo luogo la Bce, stentano ad ammetterlo ufficialmente) in deflazione. Una brutta parola che significa che i prezzi scendono per mancanza di domanda e che ha l’effetto, tra gli altri, di aumentare il valore reale (ossia non monetario) delle grandezze economiche, a partire dal “debito”. E così si ritorna al ragionamento iniziale: per riequilibrare i conti pubblici bisogna far ripartire l’economia. E in questo momento l’Europa è in sostanziale stagnazione. Ma la causa principale di tutto ciò è la disparità di competitività dei Paesi europei, che impedisce all’Unione di operare come un’area economica ben integrata. Da questo punto di vista l’Italia rappresenta uno tra gli esempi più negativi. Se l’Europa, salvo rare eccezioni positive, ristagna, il nostro Paese è in recessione tecnica (siamo al secondo trimestre consecutivo di Pil negativo). Più precisamente dagli ultimi dati emerge che il problema non sono tanto i consumi (sebbene anche questa variabile

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valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

economica sia stata messa a dura prova dalla crisi) quanto gli investimenti, la cui assenza è la principale causa delle perdita di competitività del nostro sistema economico. Su questa diagnosi il consenso è totale, ma assai diverse sono le ricette per affrontare il problema. Secondo la visione mainstream (esplicitata di recente da Draghi, nella conferenza stampa del 7 agosto scorso) è «l’incertezza sulla realizzazione delle riforme strutturali (mercato del lavoro, burocrazia, giustizia, liberalizzazioni) a spiegare il basso livello di investimento». Dietro il termine “riforme strutturali”, che pure giustamente segnala l’inefficienza della pubblica amministrazione in vari ambiti, c’è in realtà l’idea, non troppo nascosta, che “il problema” riguardi il settore pubblico, il cui carattere burocratico in qualche modo impedisce lo sviluppo di un settore privato altrimenti dinamico e innovativo. La tesi opposta è sostenuta, tra gli altri, dall’economista Mariana Mazzucato (al suo celebre libro Lo Stato innovatore, Valori ha dedicato l’editoriale del numero 119, giugno 2014). Secondo l’economista italoinglese, di cui La Repubblica ha ospitato le tesi in due articoli il 9 e 15 agosto, «i problemi dell’Italia non derivano da un eccesso di dimensioni e di spesa riferito al settore pubblico, ma dal fatto che questo non è sufficientemente attivo e in realtà non spende quanto i suoi principali concorrenti in tutti gli ambiti fondamentali che determinano la crescita della produttività (e quindi la crescita a lungo termine del Pil), ossia capitale umano, istruzione, ricerca e tecnologia». E ancora: «Competitività non significa pagare poco i lavoratori, ma è la capacità di produrre prodotti di alta qualità, a costo competitivo, che il mondo vuole acquistare. Siemens non vince contratti di appalto per costruire treni in Inghilterra perché paga poco i suoi lavoratori, ma perché fa i treni più veloci e più verdi, risultato di una forte politica industriale e di innovazione». La conclusione della Mazzucato è chiara: politiche di austerità indiscriminate stanno aggravando le recessioni mentre è evidente che l’euro può funzionare solo con un’Eurozona meno squilibrata nella competitività. Il vero pericolo è «una perdita di solidarietà tra i Paesi europei che alimenterebbe le forze conservatrici e produrrebbe solo paura, non il coraggio necessario per cambiare strada». , 7


DOSSIER

fotoracconto 04/05 In Italia ci sono ancora pochi attori nel campo dell’impact investing: la Human Foundation, la Fondazione Oltre e il neonato Opes Impact Fund, un fondo non profit, nato a Milano nel 2013, su iniziativa di un gruppo di promotori istituzionali: Fem, Acra, Ctm Altromercato, MicroVentures e Fondazione Maria Enrica. Opes investe nelle imprese sociali nei Pasi del Sud del mondo, selezionate da Acra e Fem (e da altri partner internazionali non profit) attraverso un triplice intervento. Una parte in donazione, una parte in capitale e una parte con un finanziamento a breve durata.

10 / Social Impact Bond. La finanza punta sul welfare 12 / Sospetti e speranze, in attesa dello sbarco italiano 14 / La posta in gioco 16 / L’impresa innovativa è sociale


FOTOTECA ACRA OPES IMPACT FUNE

Social Impact Bond: obbligazioni per finanziare progetti sociali. Un successo in Uk, Usa e Australia, potrebbero presto arrivare in Italia Per alcuni uno strumento perfetto per soddisfare bisogni in ambiti dove le risorse sono scarse. Per altri un’ingegneria finanziaria che avvantaggia solo chi la propone

IMPATTO SOCIALE


DOSSIER - IMPATTO SOCIALE

Social Impact Bond La finanza punta sul welfare di Emanuele Isonio

Un nuovo strumento finanziario promette di ampliare le risorse per i programmi sociali, spostando il rischio sugli investitori e facendo risparmiare il pubblico. Ma dietro alle luci si nasconde qualche ombra a Storia sa davvero essere ironica. Una rara cattedrale gotica a facciata tripla, la tomba di una regina (Caterina d’Aragona, prima moglie di Enrico VIII) e i resti di una città romana del 43 dopo Cristo possono fare, per la popolarità di una città, meno di un progetto sviluppato nel carcere cittadino. Lo sa bene Peterborough, 190 mila abitanti nel Cambridgeshire, nel Regno Unito. Una struttura carceraria tutto sommato anonima, quella che

L

SOGNO FINITO O RIDIMENSIONATO? Doveva durare sei anni. Invece il progetto di Peterborough è stato chiuso dal governo di Sua Maestà dopo due. Ripagando i finanziatori, naturalmente, e dopo aver constatato che il programma funzionava, tanto da prefigurarne un allargamento a un numero maggiore di penitenziari, ma gestito e finanziato direttamente dall’amministrazione pubblica. È un fallimento o una vittoria dell’impact investing? Il governo inglese non utilizzerà forse più un SIB per finanziare la riduzione della recidiva, ma ha apprezzato lo strumento, tanto da volerne sfruttare uno da 30 milioni di sterline per aiutare i giovani svantaggiati in tema di istruzione, lavoro e formazione. Il rischio è che i finanziatori del prossimo SIB sui giovani avanzino richiesta di maggiori garanzie e remunerazione, vista la recente esperienza. Ma a pagare le spese della decisione britannica potrebbe essere chi prefigurava l’apertura di un grande mercato per la finanza d’impatto sociale, laddove potrebbero invece vedere un futuro roseo solo alcuni strumenti di impact investing e l’innovazione sociale di alcuni processi. I soggetti intermediari come l’inglese Social Finance UK o l’italiana Human Foundation potrebbero perdere centralità, anche se, sottolinea Federico Mento, responsabile della comunicazione di quest’ultima, finora è stata data troppa importanza all’elemento finanziario di questi meccanismi. [C.F.] 10

sorge poco fuori del centro cittadino: 840 ospiti e nessun particolare livello di sicurezza. Oggetto però di eco internazionale perché scenario dal 2010 di un programma che ha coinvolto i detenuti condannati a pene inferiori a 12 mesi. Obiettivo: tentare di ridurne la recidiva, particolarmente diffusa in quell’area (il 60% dei carcerati commetteva un nuovo reato entro un anno dal rilascio). Grazie alla collaborazione tra ministero della Giustizia e quattro organizzazioni non profit, i detenuti rilasciati e le loro famiglie hanno potuto contare nei primi mesi di libertà su un’abitazione, servizi medici, corsi di formazione, un’occupazione e un tutoraggio personalizzato. Per i risultati si era fissato un arco temporale di sei anni. Ma sono arrivati già dopo due: le recidive sono scese da 159 a 141 ogni 100 criminali (-11%) mentre, nello stesso periodo, a livello nazionale sono cresciute del 10%. Un esito felice. Ma le cronache hanno raccontato anche un altro aspetto del progetto: per reperire il denaro necessario ad attuare il programma di Peterborough è stato utilizzato uno strumento mai provato prima. Nome in codice: SIB. Social Impact Bond. In sostanza, obbligazioni legate al successo di un’iniziativa sociale. La società d’investimenti Social Finance Ltd ha rintracciato diciassette investitori – soprattutto enti di beneficenza e fondazioni – che hanno sottoscritto quote di un SIB a scadenza 72 mesi, per un controvalore di 5 milioni di sterline. Nel patto si prometteva loro un ritorno economico (garantito per un terzo dal ministero della Giustizia e per il resto dal Big Lottery Fund) proporzionale alla riduzione della recidività, con un ritorno massimo del 13% all’anno. Al contrario, valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


IMPATTO SOCIALE - DOSSIER

QUATTRO SOGGETTI PER UN SUCCESSO Il SIB di Peterborough ha trovato rapidamente investitori pronti a sostenerlo. Un successo possibile attraverso l’azione concomitante di quattro soggetti (vedi SCHEMA ): istituzioni pubbliche interessate a progetti sociali in grado di produrre risparmi economici; organismi non profit con le competenze per tradurre il programma in realtà; investitori privati disponibili a scommettere sul welfare e società capaci di vendere il nuovo strumento a potenziali acquirenti. E, accanto ad essi, altrettanto cruciale, un valutatore indipendente che possa misurare i risultati effettivamente raggiunti senza essere accusabile di conflitto d’interessi (le amministrazioni pubbliche potrebbero essere portate a sottostimare gli esiti per ridurre l’esborso; mentre gli investitori avrebbero l’interesse a mostrare dati più positivi di quelli reali). Una nuova forma di collaborazione che ha messo Peterborough al centro di un universo composto da circa venti esperienze da quasi 150 milioni di euro totali, per lo più inglesi, ma con parenti stretti in Australia e in Nord America (vedi MAPPA a pag. 13).

OLTREOCEANO SI MUOVONO I “BIG” Il più eclatante è quello che un paio d’anni fa ha visto coinvolti a New York colossi del calibro di Goldman Sachs, Merrill Lynch, Bank of America, con la benedizione dell’allora sindaco Michael Bloomberg. Il progetto ruota ancora una volta attorno al mondo carcerario: recuperare gli adolescenti già detenuti nel carcere di Rikers Island. Un investimento da 9,6 milioni di dollari. L’obiettivo: una riduzione della recidiva sotto il 10% (altrimenti Goldman Sachs vedrà sfumare 2,4 milioni investiti, i restanti gli verranno “rimborsati” dalla fondazione della famiglia Bloomberg, garante nell’operazione). Ma, se i risultati saLA STRUTTURA DEL SOCIAL IMPACT BOND

STRUTTURA DI PAGAMENTO DEL SIB DI NEW YORK FONTE: “I SOCIAL IMPACT BOND. LA FINANZA AL SERVIZIO DELL’INNOVAZIONE SOCIALE?”. QUADERNI DELL’OSSERVATORIO DELLA FONDAZIONE CARIPLO

Riduzione del numero di giorni in carcere

Pagamento a MDRC ($)

Costi evitati per la pubblica amministrazione ($)*

≥20,0%

11.712.000

20.500.000

≥16,0%

10.944.000

11.700.000

≥13,0%

10.368.000

7.200.000

≥12,5%

10.272.000

6.400.000

≥12,0%

10.176.000

5.600.000

≥11,0%

10.080.000

1.700.000

≥10,0% (target)

9.600.000

≥1.000.000

≥8,0%

4.800.000

≥1.000.000

(*) Risparmio stimato dei costi al netto del pagamento del programma

ranno migliori del previsto, gli interessi pagati agli investitori cresceranno, in funzione dei costi evitati dalla pubblica amministrazione.

CUI PRODEST? Sulla carta è uno strumento in cui vincono settore pubblico, cittadini, enti non profit e categorie svantaggiate. Gli unici a rischiare sarebbero gli investitori. «Una grande idea che può trasformare le nostre società, usando il potere della finanza per affrontare i più difficili problemi sociali», commentò tempo fa David Cameron. Ma c’è chi, più sommessamente, adombra dubbi sugli effettivi vantaggi connessi con l’uso dei SIB (vedi ARTICOLO a pag. 12). Nel frattempo anche in Italia sui bond a impatto sociale si sta lavorando. Primo a prospettarne l’utilizzo, durante il governo Monti, il consigliere per Ricerca e Innovazione dell’allora ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. L’idea era di usarli per i programmi di smart communities. La proposta è poi rimbalzata nella task force sull’innovazione creata nello stesso ministero. Solo spunti e suggestioni, fino ad ora. In attesa del primo progetto concreto. Che, grazie al Guardasigilli Andrea Orlando, potrebbe non allontanarsi troppo dalle porte blindate di un carcere. , Pagamento pattuito - % risparmio

FONTE: “I SOCIAL IMPACT BOND”. OSSERVATORIO FONDAZIONE CARIPLO

Restituzione Capitale + Rendimento

Bond

INVESTITORI

INTERMEDIARIO

Capitale

Fondi per i servizi valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

Bonus

VALUTATORE Risultati

se il programma non avesse prodotto risultati, gli investitori sarebbero rimasti a bocca asciutta. Insomma, la finanziarizzazione del welfare.

ONP IMPRESA SOCIALE 11


DOSSIER - IMPATTO SOCIALE

Sospetti e speranze In attesa dello sbarco italiano di Emanuele Isonio

Reazioni contrastanti all’ipotesi di importare i SIB. Molti i dubbi sulla loro effettiva utilità. Per la difficoltà di misurare con precisione gli effetti prodotti e per il timore che servano solo ad arricchire gli intermediari ubbi sulla reale efficacia del sistema, la portata dei vantaggi effettivamente prodotti, i costi di gestione elevati, le difficoltà di misurare i benefici ottenuti, il ridotto numero di settori nei quali sono utilizzabili. Ancor prima del loro sbarco ufficiale nel nostro Paese, i Social Impact Bond hanno scatenato la curiosità di analisti ed esperti. E non sono poche le obiezioni che fanno dubitare dell’effettiva utilità di questo tipo di obbligazioni.

D

UN ALLEATO DEL WELFARE PREVENTIVO A dire il vero c’è anche chi – su tutti, i tecnici del Comitato SIB Italia – si affretta a sottolineare il circolo virtuoso che l’uso dei bond a impatto sociale introdurrebbe nel sistema del welfare. A partire dal so-

FONDI, FONDAZIONI E FINANZIERI: ECCO CHI POTREBBE SUBIRE IL FASCINO DEI SIB Al di là dei legittimi dubbi sull’utilità pratica dei Social Impact Bond, c’è un fattore da indagare con attenzione: quali sono i soggetti che potrebbero essere interessati a sottoscrivere i SIB? La speranza, diffusa tra gli esperti, è che servano a coinvolgere in attività tipiche del Terzo settore finanziatori esterni a tale mondo. «I SIB non dovrebbero attirare solo i risparmiatori etici in attività che possono dare rendimenti di un certo rilievo, in caso di successo del progetto», osserva l’economista Leonardo Becchetti. E Alessandro Messina, Responsabile dell’Ufficio Rapporti con le 12

stegno ai programmi sociali di natura preventiva, che intervengono a monte sulle condizioni che causano situazioni di disagio, come malattie e criminalità. «Questi programmi – si legge in un working paper del Comitato – sono le prime vittime dei tagli alla spesa sociale, perché, da una parte, non risolvono problemi attuali e, dall’altra, rischiano di far lievitare i costi pubblici». E quindi vengono sacrificati sull’altare della spending review. «Mentre chiudere ospedali e prigioni è impraticabile, molto più facile è ridurre la spesa per l’educazione sanitaria e il reinserimento dei carcerati nel tessuto sociale». I SIB tra l’altro, avrebbero il vantaggio di spostare il rischio di fallimento dei progetti sociali preventivi dalle organizzazioni non profit agli investitori specializzati.

Imprese e Progetti Speciali di Federcasse, guarda ai grandi fondi della finanza privata: «Fondi pensione, fondi d’investimento, private equity. Visto che i SIB hanno un rischio più elevato di altri prodotti, come Btp e Bund, rendono di più». Il problema è, in tal caso, battere la concorrenza di altre opportunità rischiose, ma altamente remunerative: «Se io sono un fondo di private equity e investo in una start-up dell’hi-tech rischio molto, ma se l’impresa ha successo ottengo altissimi rendimenti». Il SIB avrebbe però dalla sua il grande vantaggio di attivare le cosiddette “economie di scopo”: «Attraverso il SIB i grandi operatori nella finanza d’impatto potrebbero infatti impadronirsi dell’offerta di un determinato servizio sociale – prosegue Messina – e avere quindi vantaggi di tipo industriale».

Un ruolo potrebbero poi ritagliarselo anche le fondazioni d’origine bancaria: «Potrebbero essere loro a collocare l’offerta di Social Impact Bond. Senza un collocatore lo strumento non può funzionare. E potrebbero entrare in fondi di garanzia per attenuare il rischio dei progetti sociali finanziati». Ma sul punto, altri storcono il naso. «Non vedo vantaggi particolari nei SIB per le fondazioni», commenta Gian Paolo Barbetta, economista di Fondazione Cariplo. «Potrebbero anche usare una parte di patrimonio per bond a impatto sociale. Ma io non penso sia opportuno che mettano denaro su progetti a rischio elevato. Altra cosa è finanziare l’analisi di fattibilità di un programma sociale magari di concerto con le istituzioni pubbliche, nazionali e locali». [Em.Is.]

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


IMPATTO SOCIALE - DOSSIER

REGNO UNITO

IL MONDO DEI SIB  Promotori /  Fondi /  Obiettivo

FONTE: AVANZI

4 1 2 3 6

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

PETERBOROUGH

5

CORNOVAGLIA

 Cornwall county  n.d.  servizi per anziani e bambini 6

LONDRA

 Greater London Authority  Department for Work & Pensions  5 milioni di sterline  assistenza lavorativa e alloggio  7 milioni di sterline per 800 senza tetto  corsi professionali per 2500 giovani PROGRAMMA LAVORO

5

THAMES VALLEY

3 CONTEA DI ESSEX  Department for Work & Pensions  n.d.  Essex County Council  18 contratti d’area per nuovi  3,1 milioni di sterline posti di lavoro  ridurre di 100 unità i minori under 16 allontanati PROGRAMMA FAMIGLIE dalle famiglie e affidati a centri DISAGIATE d’accoglienza  Città di Birmingham 4 MANCHESTER e Westminster, Contea di Leicestershire  Manchester City Council n.d.   40 milioni di sterline sostegno a famiglie e giovani   4 contratti per sostegno in affidamento a famiglie disagiate

3

1

2

ALLA RICERCA DELLA MISURABILITÀ

1 NEW YORK  Department of Corrections, NYC  9,6 milioni US$  riduzione di almeno il 10% della recidiva dei giovani detenuti nel carcere di Rikers Island

2 MASSACHUSETTS  governo del Massachusetts  n.d.  2 contratti per senza tetto e contro la delinquenza minorile per ridurre recidive e spesa pubblica in sanità ed emergenza abitativa 3 CUYAHOGA COUNTY - OHIO  Third sector Capital Partners  n.d.  n.d.

1 3 2

AUSTRALIA

Il problema vero, più che individuare lo strumento finanziario migliore, è scegliere progetti che siano davvero verificabili. Il deficit di misurabilità delle iniziative in ambito sociale è una lacuna sottolineata da molti. «In Italia manca una cultura della misurazione», denuncia Barbetta. «Se i SIB la diffonderanno, saranno uno stimolo positivo per aumentare il rigore delle politiche sociali». Ma i settori con sufficienti dati a disposizione per testare l’efficacia di una policy sono estremamente rari. Anche perché misurazioni approfondite richiedono tempo e risorse. «Non a caso – osserva Leonardo Becchetti, docente dell’Università Tor Vergata di Roma – la maggior parte dei SIB si concentra sulla recidiva carceraria, che dispone di numeri certi. Il rischio è che si tolgano risorse a iniziative necessarie, ma in cui mancano set di dati misurabili e si destinino ad ambiti più monitorabili». Non è irreale, quindi, il rischio che i SIB siano solo una sofisticazione finanziaria che porti con sé più difficoltà che vantaggi. «La complessità del sistema non va sottovalutata, anche per i costi che produce», prosegue Barbetta. «Anche perché dubito che siano così efficaci nell’attirare capitali privati. Il mercato ha regole molto semplici: se un settore di welfare è redditizio, il tessuto imprenditoriale ci si fionda e trova da solo le politiche adatte a creare profitto. Pensiamo alle case di riposo, o dell’assistenza o al car sharing. In caso contrario, c’è il pericolo che lo strumento finanziario serva solo a fare gli interessi di chi lo propone». ,

1

 Ministero della Giustizia  5 milioni di sterline  ridurre del 7,5% la recidiva dei detenuti 2

USA

Ma i SIB sono davvero indispensabili per applicare tali programmi? «Un progetto come quello di Peterborough in Inghilterra – spiega l’economista Gian Paolo Barbetta, responsabile Osservatorio e Valutazione della Fondazione Cariplo – funziona perché è scritto bene. Il buon esito dell’operazione è merito della bontà del progetto, non dello strumento finanziario usato per reperire fondi. Se i promotori fossero andati da una fondazione, avrebbero ottenuto gli stessi soldi a interessi più bassi». Il dialogo diretto avrebbe tra l’altro il vantaggio di saltare costosi intermediari. «Una pubblica amministrazione intelligente potrebbe rivolgersi a una fondazione, proponendole di costruire insieme un intervento di natura sociale realmente efficace. La fondazione si farebbe carico dei costi necessari a studiare il progetto e a valutarne la validità. E, se funziona, l’ente pubblico potrebbe impegnarsi a renderlo effettivo. Sarebbe un sistema molto più lineare e senza inutili e onerose architetture finanziarie».

1 NEW SOUTH WALES  Mission Australia  7 milioni AU$  riduzione recidiva attraverso riabilitazione 500 giovani detenuti

3 NEW SOUTH WALES  Uniting Care Burnside  10 milioni AU$  sostegno familiare per ridurre i tempi di affidamento

2 NEW SOUTH WALES  New South Wales Government  10 milioni AU$  sostenere 550 famiglie per ridurre i tempi passati in affidamento da parte di minori

IL TESORO DELLA GLOBALIZZAZIONE SOCIALE Una nuova specie di soggetti finanziari privati sta proliferando. Si chiamano social fund (fondi dediti in toto o in parte alla finanza d’impatto): sono decine, in competizione tra loro, uniti sotto l’ombrello di alcuni network intermediari (ImpactAssets, Global Impact Investing Ntwork - GIIN). Fondi chiamati Acumen, Bamboo, Developing World Markets, EcoEnterprises Fund, Grameen Foundation (ricordate Muhammad Yunus?), Living Cities, Medical Credit Fund, Root Capital, Sarona Asset Management. Operano in tutto il mondo, ma puntano ai mercati emergenti (Africa, India, sud-est asiatico), dove l’intervento sociale pubblico è fragilissimo o assente. Propongono e gestiscono progetti di impact investing in molti campi (educazione, sanità, energia pulita, agricoltura sostenibile, mercato equo, microcredito, gestione delle risorse idriche), disponendo di miliardi di dollari. Con i loro investimenti stanno creando un mercato finanziario redditizio e un indotto formato dalle società di consulenza che hanno il compito di fornire i modelli di misurazione dell’impatto sociale (tra cui l’UNPRI delle Nazioni Unite), necessari a valutarne l’efficacia e a calcolare le remunerazioni dell’investimento. [C.F.] 13


DOSSIER - IMPATTO SOCIALE

La posta in gioco di Corrado Fontana

Un nuovo mercato o singoli strumenti finanziari? Lo spazio di sviluppo futuro per l’impact investing in Italia si misura in miliardi di euro, ma l’interesse non sta principalmente nei rendimenti. E l’impronta anglosassone non convince

a partita è più industriale che finanziaria: l’ingresso in settori come la sanità e l’istruzione», spiega Alessandro Messina di Federcasse quando gli chiediamo qual è l’appeal della finanza d’impatto. Un SIB non è altrettanto remunerativo di un investimento speculativo su una start-up hi-tech, ad esempio, ma lo

«L

MERCATO POTENZIALE PER L'IMPACT INVESTING ITALIANO (2014-2020) FONTE: ITALIAN NATIONAL ADVISORY BOARD DELLA SOCIAL IMPACT INVESTMENT TASKFORCE

[massimo livello scoperto spesa (totale 733 bn €)]

650 621 594 568

680

711

Il cumulato scoperto di spesa pubblica sociale è stimato tra i 733 bilioni di € (limite superiore*) e 171 bilioni di € (limite inferiore**)

* STIMATO SECONDO UN TASSO DI CRESCITA ANNUO PARI AL TASSO MEDIO DI CRESCITA VISSUTA DAI SETTORI SOCIALI SELEZIONATI NEL PERIODO PRE CRISI 1997-2007 ** STIMATO ASSUMENDO IL VALORE DEL 2014 LA SPESA SOCIALE PUBBLICA NECESSARIA COME COSTANTE

544 [minimo livello scoperto spesa (totale 171 bn €)]

24.5

24.5

24.5

24.5

24.5

24.5

24.5

519

519

519

519

519

2019

2020

[spesa sociale coperta]

519 2014

519 2015

2016

2017

DIRETTRICE D’ORCHESTRA di Corrado Fontana

Giovanna Melandri guida la triade italiana che partecipa alla task force europea ed è fondatrice di Human Foundation, intermediario per l’impact investing 14

2018

è certamente di più dei titoli pubblici, e soprattutto permette di attivare «le cosiddette economie di scopo: entro perché poi mi impadronisco dell’offerta, al di là del rischio finanziario», continua Messina. E i grandi fondi privati (pensione, d’investimento, private equity) sembrano averlo capito. Tra 174 e 733 miliardi di euro: a tanto ammonterebbe la spesa sociale italiana che l’intervento pubblico non riuscirà a coprire tra il 2014 e il 2020. È in questa enorme forbice tra ciò che lo Stato eroga e ciò che dovrebbe erogare che si trova un’attraente prospettiva d’inserimento per i fautori del social impact investing e per i capitali privati: secondo la valutazione dell’Advisory Board italiano «nei prossimi 5 o 10 anni l’investimento per l’impatto sociale potrebbe rappresentare circa l’1% del patrimonio gestito professionalmente stimato nel 2013», un mercato quantificato in circa 28,6 miliardi di euro per la finanza d’impatto, in aggiunta ai 221 miliardi offerti da altri strumenti finanziari (banche, crediti mutuali). Secondo una relazione dell’Acri, le fondazioni bancarie avrebbero già impiegato nel 2012 buona parte del miliardo di euro destinato a finanziare progetti differenti in attività con finalità sociale

«Lo scopo della task force del G8 sull’impact investing era partire dalla fotografia degli investimenti ad impatto sociale a livello globale per realizzare un rapporto sull’impact investment e favorire la nascita di un mercato di strumenti finanziari come i Social Impact Funds, i Social Impact Bond e tutte le forme di investimento che generino un impatto sociale positivo e misurabile». Descrive così Giovanna Melandri questo innovativo progetto voluto un anno fa dal G8 (a parte la Russia), all’interno del quale è stata coinvolta direttamente, come coordinatrice dell’Advisory Board italiano.

Cosa risponde a chi teme che con l’impact investment la soluzione dei problemi sociali venga delegata troppo alla finanza? Non si tratta assolutamente di una sostituzione dello Stato nelle sue funzioni di erogazione di spesa e di sostegno al welfare, non è questa l’impostazione da cui siamo partiti noi in Italia. Anzi, i Social Impact Bond, o meglio i pay for success bond, sono forme contrattuali che consentono ad amministrazioni pubbliche e a enti locali di spendere meglio e con più efficacia le proprie risorse finanziarie destinate a politiche di prevenzione. In nessun modo valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


IMPATTO SOCIALE - DOSSIER (sostegno ai giovani, edilizia sociale, educazione e formazione, salute, cura degli anziani); dal microcredito (dati 2011-2013) sarebbero poi arrivati 26 miliardi di euro in prestiti orientati al sociale; e infine ben 51,5 miliardi di euro in prestiti e finanziamenti andrebbero a cooperative, imprese sociali ed enti non profit da banche (poco meno della metà del totale) e fondi di tipo mutualistico. Ma l’orizzonte potrebbe farsi più ampio in futuro, specialmente riguardo a cinque aree (salute, disabilità, famiglia e cura dei figli, casa ed esclusione sociale) che in Italia coprono attualmente poco meno del 21% della spesa sociale operativa (102 miliardi di euro) e che necessiterebbero di un aumento delle risorse economiche a disposizione per adeguarsi alla media Ue.

ACCOGLIENZA TRIONFALE? Ci sono quindi un “vecchio mercato” della finanza per il sociale e margini di crescita della domanda. Ma il social impact investing è la risposta giusta? Dall’Italia si alzano perplessità piuttosto tranchant, come quella di Gianpaolo Barbetta di Fondazione Cariplo per cui «il SIB è uno strumento finanziario inutilmente complicato, messo in piedi da qualche esperto finanziario che voleva trovare un altro modo per sbarcare il lunario. È una sofisticazione finanziaria tipica del settore anglosassone che è meglio non importare da noi». Più sfumata l’opinione di Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, per il quale va ricordato che «i progetti di impact investing non nascono per le banche, ma per gli investitori istituzionali: le grandi fondazioni caritatevoli o i gestori di risorse finanziarie, che possono permettersi di destinare una piccola quota del loro investito su progetti di impatto sociale», mentre in Italia il dibattito si sarebbe svolto perlopiù tra banche, che, non potendo attuare direttamente progetti di impact investing, «creano prodotti che chiamano co-

si verifica una sostituzione perché le risorse pubbliche devono comunque essere erogate, ma tramite questi strumenti vengono spese all’esito di un intervento sociale che ha raggiunto gli obiettivi di impatto prefissati, e la risorsa privata perviene a supporto di questo intervento e a garanzia dell’efficienza di questo processo. Al cuore di questo tipo di ragionamento c’è proprio il ruolo strategico dell’impresa sociale italiana, di cui va precisata senz’altro la configurazione giuridica ma che, pensando allo straordinario patrimonio che l’Italia vanta in questo settore, può trarre da certi valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

sì, ma non hanno nulla a che fare col modello anglosassone, come i social bond (vedi BOX )». Bisogna guardarsi da un rischio di green washing finanziario, conclude Biggeri. «Inoltre il modello anglosassone prevede che i SIB abbiano rendimenti competitivi con il mercato. In una visione un po’ più “italiana”, invece, le persone sono spesso disposte ad avere minori rendimenti se i propri risparmi vengono impiegati con finalità condivise». ,

QUELLA PAROLINA CHE FA LA DIFFERENZA Tra Social Bond (SB) e Social Impact Bond (SIB) cambia solo una parola (“Impact”), ma la differenza non è di poco conto: entrambe le formule indicano un’obbligazione finanziaria per cui il possessore, alla scadenza, avrà un rimborso del capitale d’acquisto e una percentuale d’interessi. Ma se i Social Bond legano genericamente la raccolta di denaro ad attività di tipo sociale (non rinunciando perciò a priori ad altre forme d’investimento e speculazione), i Social Impact Bond sono correlati esclusivamente a progetti con finalità sociali e la loro remunerazione viene calcolata sulla base dell’effettivo impatto sociale (social impact) misurabile e rendicontabile. I SIB sono utilizzati all’interno di meccanismi di payment by result o payment for success: la remunerazione è subordinata alla verifica dei risultati ottenuti in termini d’impatto sociale. [C.F.]

NIENTE TTF PER L’IMPATTO SOCIALE La Social Impact Investment Taskforce, insediata nel giugno del 2013, all’interno del G8 su input di David Cameron, si era data un anno di tempo. Il rapporto finale, che deve definire i punti chiave per il mercato del social impact investment, viene presentato il 15 settembre a Roma e nei sette Paesi coinvolti. L’Italia ospiterà la prima riunione a rapporto concluso il 27 e 28 ottobre. Le proposte italiane sono nate all’interno dell’Italian National Advisory Board, partecipato da decine di banche, fondazioni bancarie, assicurazioni, realtà del Terzo settore, università, Istat. «Nell’ultima riunione dell’Advisory Board italiano – evidenzia il presidente di Banca Etica Ugo Biggeri – si era deciso di introdurre la tassa sulle transazioni finanziarie (che piace poco al Regno Unito, ndr) tra gli strumenti finanziari efficaci per l’impatto sociale. Ma nell’incontro successivo svoltosi a Londra il riferimento alla TTF è sparito, probabilmente su input dell’Acri (che riunisce Casse di risparmio e Fondazioni di origine bancaria, ndr)». [C.F.]

strumenti finanziari un contributo fondamentale. In Italia si sta progettando qualcosa di simile al caso del carcere di Peterborough? Come Human Foundation posso dire che abbiamo ricevuto un mandato formale dal ministero della Giustizia di Andrea Orlando per esplorare la possibilità di progettare un Social Impact Bond legato alla riduzione della recidiva in un carcere italiano. Stiamo in questo momento lavorando insieme al ministero per stabilire dove. Noi in Italia saremo ciò che rappresenta Social Finance

GIOVANNA MELANDRI presidente di Human Foundation e coordinatrice dell’Advisory Board italiano della Social Impact Investment Taskforce del G8

UK in Gran Bretagna, cioè l’orchestratore che mette intorno allo stesso tavolo gli operatori sociali che lavorano dentro il carcere, l’amministrazione pubblica, i finanziatori e gli investitori istituzionali, le fondazioni bancarie. 15


DOSSIER - IMPATTO SOCIALE

L’impresa innovativa è sociale di Corrado Fontana

L’Europa che arranca prova a ripartire dall’impresa sociale, quella che c’è già e quella che potrebbe diventarlo. E la riforma del Terzo settore promette di portare molti cambiamenti. In meglio? ome già l’Europa e, particolarmente, l’Inghilterra, anche l’Italia mette al centro l’impresa sociale. E se nella “perfida Albione” la finanza d’impatto è oggetto di un acceso dibattito sui rischi che comporterebbe una sua diffusione per il sistema del Terzo settore britannico (vedi ARTICOLO Social impact bond: un lupo travestito da agnello?, pubblicato a marzo scorso sulla rivista Impresa sociale), da noi si cerca ancora di creare il terreno fertile dove l’impact investing possa germogliare. Un obiettivo più vicino da che quest’estate, dopo mesi di consultazioni aperte tra il governo e tanti soggetti interessati, è arrivata l’approvazione della legge delega Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, che entro giugno 2015 dovrà trasformarsi nell’attesa riforma. E che, nel dedicare il quarto di sette punti alla ridefinizione del quadro normativo e caratterizzante dell’impresa sociale, prefigura la soffitta per la precedente Legge 118 del 2005 (attuata con D.Lgs. 155 del 2006), e probabilmente introdurrà alcune novità significative, tratte dalle linee guida circolate nei mesi scorsi.

C

WORKSHOP SULL’IMPRESA SOCIALE 18-19 SETTEMBRE, RIVA DEL GARDA, TRENTO (IRIS NETWORK) Il salone della CSR e dell’innovazione sociale: 7-8 ottobre, Milano (Università Bocconi) Towards Inclusive Employment and Welfare Systems: Challenges for a Social Europe: 8-9 ottobre, Berlino. Deadline for submissions: 31 marzo 2014 Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile: 10-11 ottobre, Bertinoro, FC (Aiccon) 16

LE NOVITÀ DELLA RIFORMA La prima novità che potrebbe essere introdotta è il concetto di “impatti sociali positivi misurabili”, che, in una diffusa volontà di rendicontazione degli effetti e non semplicemente dell’impegno profuso dagli operatori, porterebbe un salto di qualità nella valutazione dell’efficacia dell’intervento sociale, legando eventualmente alla misura del suo successo anche la remunerazione delle im-

prese. Sarebbe un’innovazione di processo, e non di poco conto, se diventasse un requisito e imponesse standard comuni parametrabili: equivarrebbe a definire nuove regole di mercato scritte, guarda caso, nel solco dell’impact investing. Ma non è finita qui. La riforma potrebbe inserire un “ampliamento dei settori di attività di utilità sociale” (attualmente sono: assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria; educazione; istruzione; tutela ambientale e dei beni culturali; formazione; turismo sociale; servizi strumentali alle imprese sociali) e “forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione di utili”: la discussione tra puristi e riformisti è aperta da tempo sul tema. E se l’idea che si consenta una sorta di redistribuzione dei “dividendi” per gli investitori – in origine vietata per statuto – pare in via di accettazione, resta da stabilire la soglia e il modo con cui regolare il meccanismo. Insomma si prospetta una piccola rivoluzione, rivolta – stando alla relazione dell’Advisory Board italiano – a una platea potenziale di oltre 110 mila “nuove” imprese sociali (tra organizzazioni non profit e società profit), in un’Italia che dal social business deriverebbe circa 200 miliardi di fatturato annuo e circa il 10% dei suoi posti di lavoro. Sull’impresa sociale, in sintesi, il Paese potrebbe scommettere, magari accogliendo un’opinione britannica secondo cui le organizzazioni del Terzo settore, insieme alle imprese private, sarebbero “più innovative e flessibili delle loro controparti nel settore pubblico”, e perciò potrebbero diventare un fattore indispensabile di risparmio ed efficienza proprio come interlocutori privilegiati del settore pubblico. , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


PUNTI DI FORZA ITALIANI: LE IMPRESE SOCIALI Si stima che l'imprenditoria sociale italiana possa generare entrate attorno ai 200 miliardi di euro (15% del Pil) e creare il 10% dei posti di lavoro totali

Imprese Sociali (legge 118/2005)

768

PANORAMA ATTUALE

12.032 Cooperative Sociali

11.264 Realtà non profit che potrebbero diventare imprese sociali

22.468

FUTURO POSSIBILE

FONTE: SOCIAL IMPACT BOND: UN LUPO TRAVESTITO DA AGNELLO?, “IMPRESA SOCIALE”, MARZO 2014

FONTE: STIME SU DATI ISTAT

IMPATTO SOCIALE - DOSSIER

110.913 Imprese profit che operano in settori che rientrano nella legge sull'impresa sociale (118/2005)

88.445

La banca sociale d’Inghilterra Si stima che nel 2010 il mercato degli investimenti sociali nel Regno Unito fosse pari a 190 milioni di sterline e che stia attualmente acquisendo slancio e sostegno politico, come dimostrato dalla creazione di una banca di investimento sociale, la Big Society Capital (BSC). BSC è un’organizzazione finanziaria indipendente, con un capitale d’investimento di 50 milioni di sterline apportato dalle quattro banche Merlin – Barclays, HSBC, Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland – e dai depositi dormienti. La BSC si pone l’obiettivo di impiegare i finanziamenti provenienti dai mercati di capitali per fini sociali e al contempo generare un impatto sociale positivo; non investe direttamente in organizzazioni di Terzo settore, ma si rivolge a intermediari dell’investimento sociale, come Social Finance (che ha creato i SIB).

BATTAGLIA DI CIFRE E DI VALORI di Corrado Fontana

Dalle ipotesi di riforma del Terzo settore alcune opportunità e qualche rischio di creare un sociale troppo orientato al mercato. Ma la partita si può vincere, se il sociale farà sistema

FLAVIANO ZANDONAI segretario di Iris Network

«L’impresa sociale non è più definita per ciò che è ex ante (un’organizzazione privata non lucrativa tendenzialmente cooperativa, con una governance aperta…), ma da ciò che produce a valle, cioè un impatto sociale positivo misurabile e rendicontabile. E questo è il cavallo di battaglia della finanza di impatto sociale»: l’opinione è autorevole, e viene da Flaviano Zandonai di Iris Network (Rete Nazionale degli Istituti di Ricerca sull’Impresa Sociale), cui abbiamo chiesto delle riflessioni sulle ipotesi circolate a luglio per la riforma del Terzo settore. valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Si fa riferimento alla remunerazione del capitale investito: intravede più pericoli o opportunità? Opportunità. Certamente si dovrà discutere sul tema della redistribuzione degli utili e stabilire una soglia (cap) condivisa. Non credo tuttavia che non si possa arrivare a un accordo che consideri l’ampliamento della redistribuzione in ragione della natura delle organizzazioni coinvolte, tali che sappiano soprattutto incorporare e reinvestire la ricchezza prodotta piuttosto che puntare alla massimizzazione del profitto. Il vero punto di interesse sta però in quella riga dove si definisce «l’impresa sociale quale impresa privata a finalità d’interesse generale avente come proprio obiettivo primario il raggiungimento di impatti sociali positivi misurabili». […] Il focus principale della dialettica, ed eventualmente dello scontro, sarà allora come individuare indicatori di impatto sociale in grado di misurarlo, considerando la natura dei beni e dei servizi prodotti da queste imprese. Hanno insomma aggiunto una specifica che non era una priorità originata dal mondo del non profit. L’impresa sociale dovrebbe avere paura di questa esigenza di rendicontazione? Paura no. Ma la domanda cruciale è: noi facciamo inserimento lavorativo solo per

realizzare un risparmio economico per la pubblica amministrazione? Oppure selezioniamo le attività o anche le persone svantaggiate cui indirizzarle in base alla massimizzazione del risparmio economico per la pubblica amministrazione? Chi deciderà quali sono gli indicatori discriminanti e, soprattutto, quanto pesano nella valutazione? Con il rischio di fare una scrematura a monte dell’utenza e dei settori di attività su cui impegnarsi (a seconda dell’efficienza economica che possono garantire, ndr). Naturalmente può essere l’occasione di mettere a sistema alcune metriche su cui il Terzo settore si spende da anni e farle riconoscere a livello generale. Bisogna comprendere quale sia la loro rilevanza e quanto siano parametrabili, e se non inneschino meccanismi perversi. Ma gli stessi indicatori potranno andare bene sia per l’amministrazione pubblica che per gli eventuali investitori privati? Ciò sarà frutto di una negoziazione, e chi più avrà la forza di rappresentarli e dimostrarne l’efficacia potrà dettare la linea delle politiche pubbliche. Il Terzo settore rispetto ai soggetti più strettamente finanziari dovrebbe avere un vantaggio notevole nell’elaborazione degli indicatori, se solo facesse sistema… ma non sta avvenendo. 17



FINANZA ETICA

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / JONEBOI

BANCHE IL PREZZO DELLA “COLPA”

ultima in ordine di tempo è stata Bank of America, colpita, alla fine di agosto da una multa record da oltre 16 miliardi di dollari. Ma la sanzione, comminata dalle autorità statunitensi per la cessione di alcuni titoli finanziari tossici legati ai mutui, non sarà certo l’ultima della serie. La cronaca, ovviamente, ci supera in continuazione. E quando leggerete queste pagine la “lista dei cattivi” necessiterà inevitabilmente di qualche aggiornamento. Perché quello delle multe agli istituti resta un fenomeno in continua evoluzione, visto che da anni, ormai, i controllori di tutto il mondo impongono sanzioni crescenti per la sistematica violazione delle regole del gioco. La domanda sorge dunque spontanea: a quanto ammonta il conto degli illeciti? La stima è complessa, ma le ipotesi non mancano, come evidenziano gli studi sul tema. Tra questi l’approfondita analisi della London School of Economics (vedi BOX ), che alla fine del 2013 ha calcolato in 157,4

L’ di Matteo Cavallito

Dallo scoppio della crisi le prime dieci banche del mondo hanno sborsato oltre un quarto di trilione di dollari in multe e accordi extragiudiziali. Notevoli gli incassi statali. Scarsa la quota dei risarcimenti valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Bank of America istituto bancario situato lungo la strada proveniente dalla casa Bianca, al n. 1501 di Pennsylvania Ave NW, Washington 19


finanza etica

multe da crisi

miliardi di sterline – al cambio di allora fa 260 miliardi di dollari – la somma sborsata (oltre a quella preventivamente stanziata) a partire dal 2009 da appena 10 banche (vedi GRAFICO ) per venire incontro ai cosiddetti conduct costs, voce complessa e non sempre facile da rilevare che comprende in primis le sanzioni imposte dai regolatori. Una cifra colossale, superiore – ricordava il Telegraph elaborando un termine di paragone – al Pil dell’Irlanda. E ovviamente, come si diceva, destinata ad aumentare.

IN ATTESA DEL PICCO Negli Stati Uniti le sanzioni post crisi – pari a circa 100 miliardi di dollari nel calcolo pluriennale fino a marzo 2014 – conoscono da qualche anno una vera e propria escalation. Nel 2009 le autorità americane avevano sanzionato appena tre istituti – Ubs (evasione fiscale), Credit Suisse (violazione dell’embargo finanziario con Iran, Sudan, Birmania, Libia e Cuba) e Lloyds (stesse violazioni con Iran e Sudan) – con relativi patteggiamenti, per una cifra complessiva di poco superiore a 1,2 miliardi. L’anno scorso, ha ricordato il Financial Times, l’ammontare totale di multe e patteggiamenti vari ha fatto registrare un nuovo record, superando quota

Oltre al danno la beffa. La maggior parte delle multe finisce al Tesoro, pochi i risarcimenti. E i multati godono di sconti fiscali 50 miliardi, grazie anche al contributo di JP Morgan, sanzionata nel solo 2013 per 23,7 miliardi di biglietti verdi. La cifra rilevata nei primi sei mesi del 2014, in compenso, ha già raggiunto i 27,6 miliardi, evidenziando un ritmo in grado di aggiornare il primato alla fine dell’anno. Il problema, nota ancora il Financial Times, è che «dallo scoppio della crisi è aumentato sia il numero che il valore delle sanzioni». Il valore medio di queste ultime, in particolare, «è passato dai 22 milioni del 2008 ai 638 del 2013», un fenomeno su cui pesa una sorta di scoppio ritardato delle cause stesse della crisi. In passato, in altre parole, gli istituti venivano colpiti dai regolatori per illeciti relativi al riciclaggio o all’embargo finanziario nei confronti di Paesi stranieri poco graditi. Ma negli ultimi anni la scure si è abbattuta soprattutto sul fronte delle irregolarità riscontrate nel mercato dei mutui e delle pratiche illecite di pignoramento. Senza contare il capitolo relativo alla cessione di prodotti truffa

nel comparto derivati (mortgage-backed securities in primis). La crescita dei numeri osservati, spiega a Valori Christopher Stears, Research Director del Conduct Costs Project, «riflette, o almeno lo speriamo, il culmine di un rafforzamento dei procedimenti regolamentari relativi a condotte illecite del passato». La autorità, insomma, stanno operando da qualche tempo un evidente giro di vite. Ma siamo sicuri che questo impegno sanzionatorio possa fungere da deterrente? La risposta è probabilmente negativa, ha suggerito al Financial Times l’economista della Stanford University Anat Admati: «le multe – ha spiegato al quotidiano britannico – possono essere viste come un costo associato alle attività di business. Non vanno al cuore del problema e non sono efficaci nel far cambiare tipo di comportamento perché i forti incentivi a perseguire le stesse pratiche rimangono in atto». Nel 2013, ha ricordato il FT, nonostante gli oltre 52 miliardi di dollari di sanzioni, le prime sei banche Usa – JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Morgan Stanley e Goldman Sachs – hanno registrato guadagni complessivi per 76 miliardi. Una cifra di poco inferiore al picco raggiunto nel 2006.

IL CONDUCT COSTS PROJECT Nato su iniziativa della London School of Economics (LSE), il Conduct Costs Project si propone di calcolare il valore degli illeciti commessi dagli istituti dallo scoppio della crisi a oggi in termini di multe, patteggiamenti, riacquisto sul mercato di titoli venduti in modo illecito (con informazioni ingannevoli ad esempio) e perdite causate da gestione negligente dei rischi o da violazione dei regolamenti. Un ammontare, ha rivelato a luglio la LSE, che alla fine del 2013 si collocava a oltre 157 miliardi di sterline. Particolarmente interessante il problema della distribuzione geografica. Secondo i dati della LSE, il 75% dei costi sarebbe stato fronteggiato nelle giurisdizioni di Usa e Regno Unito (vedi GRAFICO ), mentre la parte restante risulterebbe quasi interamente “non attribuibile” ad autorità regolamentari specifiche. Un dato che rischia però di risultare fuorviante. Il fatto, precisa a Valori il direttore della ricerca Christopher Stears, è che «le autorità regolamentari di Usa e Regno Unito agiscono in modo decisamente più trasparente rispetto alle omologhe del resto del mondo». La scarsa incidenza percentuale delle sanzioni made in Europe e non solo, in altre parole, non significa «che in queste giurisdizioni i costi relativi alla condotta non vengano sostenuti, quanto piuttosto che que20

MULTE PER GIURISDIZIONI 2009-2013 FONTE: THE LONDON SCHOOL OF ECONOMICS AND POLITICAL SCIENCE (HTTP://BLOGS.LSE.AC.UK), 2014, NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI. *ESCLUSO UK, COMPRESI TRE MEMBRI DELLA EUROPEAN ECONOMIC AREA (EEA): ISLANDA, LIECHTENSTEIN E NORVEGIA

[in mld di dollari]

Regno Unito 17,76% 46,100 Ue* 0,65% 1,6700 Altri 0,03% 0,088 Non attribuiti 23,15% 60,100

Svizzera 0,02% 0,065

Usa 58,39% 151,600

sti ultimi non vengono resi pubblici o sono comunque difficili da rilevare». [M.Cav.]

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


multe da crisi finanza etica I CONDUCT COSTS DELLE BANCHE: 2009-2013 FONTE: THE LONDON SCHOOL OF ECONOMICS AND POLITICAL SCIENCE (HTTP://BLOGS.LSE.AC.UK), 2014, NOSTRE ELABORAZIONI

6 6 7

Banco Santander Goldman Sachs UBS

[in mld di dollari]

12 12 13 14 21

HSBC Citigroup Barclays Royal Bank of Scotland Lloyds

59

JP Morgan

110

Bank of America

260

Totale 0

50

100

RISARCIMENTO? MEGLIO NON CONTARCI Il problema resta aperto, ma la questione più importante è forse un’altra: dove vanno a finire i soldi? Che ne è dei miliardi di multe comminati alle banche dalle grandi agenzie come la FSA britannica, la Sec statunitense, la U.S. Commodity Futures Trading Commission, l’Office of the Comptroller of the Currency o il Consumer Financial Protection Bureau? A chiederselo, tra gli altri, è stato, qualche tempo fa, Lynn Parramore, uno dei principali giornalisti di AlterNet, un portale gestito dall’organizzazione non profit Usa Independent Media Institute. La destinazione varia dall’agenzia coinvolta anche se, in generale, la maggior parte del denaro finisce nelle casse del Tesoro (così come avviene nel Regno Unito, per altro, dopo l’approvazione del Financial Services Act del 2012) e solo una piccola parte prende la strada dei risarcimenti. Nel corso del 2011 ricorda Parramore, le vittime delle frodi (o più in generale delle irregolarità) finanziarie hanno ricevuto poco più del 5% del denaro recuperato dallo US Department of Justice (116 milioni di dollari su un totale di 2 miliardi). Ma la beffa non si esaurisce qui perché a pesare, in modo sorprendente, è anche la variabile fiscale. Il problema è che le multe finiscono per subire un trattamento di favore che si traduce, a conti fatti, in un significativo risparmio. In generale, ipotizza ancora Stears, “dipende dalle circostanze”. Per un patteggiamento nell’ambito di alcune valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

150

200

250

300

civil action, ad esempio, «potrebbe essere autorizzata la deduzione fiscale qualora le accuse non fossero state ammesse né negate». In caso contrario, invece, «la deduzione potrebbe essere ugualmente permessa qualora il saldo fosse realizzato a scopo risarcitorio e non come pagamento di una sanzione». La questione, insomma, resta complessa. Ma gli esiti, spesso, sono fin troppo chiari. Tre anni fa, per dirne una, Bank of America ha patteggiato una sanzione da 335 milioni di dollari con le autorità federali dopo essere stata accusata di discriminazione nei confronti dei clienti ispanici e afroamericani nel mercato dei mutui. Ma il 35% della cifra, nell’occasione, era risultato fiscalmente deducibile. Il che equivaleva a un risparmio massimo di 117 milioni. All’interno del settore bancario, aveva notato nei mesi successivi il Washington Post, non si trattava certo di un caso isolato. ,

21


finanza etica pressioni a bruxelles

In Europa la lobby della finanza detta legge L’industria della finanza spende ogni anno 120 milioni di euro per i 1.700 lobbisti al lavoro a Bruxelles. Per i “contro-lobbisti” in difesa dei consumatori solo 4 milioni

di Andrea Barolini

delle battaglie più significative successive al collasso di Lehman Brothers», ha spiegato Kenneth Haar, uno degli autori della ricerca, intitolata The fire power of the financial lobby. E, in effetti, lo sforzo dell’alta finanza è stato ed è mastodontico. Basti pensare che, si legge nello studio, l’industria spende mediamente qualcosa come 120 milioni di euro all’anno per pagare unicamente i propri lobbisti presenti a Bruxelles. Un esercito, quest’ultimo, composto da circa 1.700 persone, il cui compito è uno solo: influenzare le decisioni delle istituzioni comunitarie. Tanto per capire i valori in gioco è bene sottolineare che Ong, sindacati e associazioni di difesa dei consumatori, ovvero i “contro-lobbisti” della società civile, non superano i 4 milioni di euro all’anno.

a lobby finanziaria è la più potente del mondo ed è in grado di mobilitare un esercito di avvocati, esperti e manager – pagati da banche, fondi di investimento e compagnie d’assicurazione – con l’obiettivo di influenzare le decisioni politiche in tutto il Pianeta. Una presenza sempre più ingombrante, tanto che perfino il commissario europeo Algirdas Semeta è arrivato a denunciare apertamente il problema. Nei mesi scorsi tale imponente sforzo dell’industria finanziaria è stato per la prima volta quantificato, grazie a uno studio realizzato dal Corporate Europe Observatory (CEO) insieme a AK EUROPA e al ÖGB Europabüro (uffici a Bruxelles rispettivamente della Camera del Lavoro e della Federazione sindacale austriaca). «La crisi ha rivelato chiaramente la necessità di regole più stringenti per i mercati finanziari. Ma le riforme incontrano difficoltà ad essere approvate a causa del potere della lobby del settore, che è stata in grado di imporre una strenua resistenza in ciascuna

L

CENTINAIA DI “CONSIGLI” A TUTTI I VERTICI UE Nel rapporto si cita il caso di tre europarlamentari inglesi, conservatori, che soltanto nei primi sei me-

I LOBBISTI NELLE ISTITUZIONI EUROPEE

LE NAZIONI DI ORIGINE DELLE LOBBY FINANZIARIE

FONTE: CORPORATE EUROPE OBSERVATORY, ARBEITERKAMMER E ÖGB - 2014

FONTE: CORPORATE EUROPE OBSERVATORY, ARBEITERKAMMER E ÖGB - 2014

2.500 2.000 1.500 1.000 500 0

Industria finanziaria

Autorità pubbliche

Ong

Associazioni di consumatori

Sindacati

La lobby della finanza ha sette volte più rappresentanti nelle istituzioni europee di Ong, sindacati e associazioni dei consumatori messi insieme 22

Gran Bretagna Europa Germania Francia Usa Altri Paesi Ue Italia Olanda Irlanda Belgio Intl Spagna Svezia Austria Lussemburgo Danimarca Svizzera

Oltre 140 organizzazioni dell'industria finanziaria attive tra i lobbisti a Bruxelles arrivano dal Regno Unito

0

30

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120

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valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


si del 2013 hanno incontrato rappresentanti dell’industria finanziaria più di 100 volte, discutendo di ogni provvedimento volto a disciplinare il settore. Tra i più attivi i colossi bancari americani, in particolare JPMorgan, Citigroup e Goldman Sachs. Inoltre, sempre nel 2013, la Commissione europea ha deciso di ascoltare 906 organizzazioni nell’ambito delle “consultazioni pubbliche” sul tema delle riforme della finanza: più del 55% di esse facevano parte del mondo bancario, assicurativo e degli investimenti, mentre il 12% proveniva da altri comparti industriali e solamente il 13% rappresentava il parere di sindacati, organizzazioni non governative e associazioni. A fare la parte del leone, in particolare la European Banking Federation, l’Investment Management Organization, la Fédération Bancaire Française, lo European Savings Banks Group e l’International Swaps and Derivatives Association. Ma non è tutto. Lo studio sottolinea come la mano della finanza riesca a entrare direttamente nel processo legislativo: 900 dei 1.700 emendamenti avanzati nei confronti di una normativa volta a disciplinare le attività degli hedge funds e delle società di private equity erano “firmati” dai lobbisti. E le pressioni non si limitano a Parlamento e Commissione: anche la Banca centrale europea, il Comitato economico e sociale, lo European Stability Mechanism e le European Supervisory

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / NORBERT NAGEL

pressioni a bruxelles

finanza etica

Il nuovo edificio della Banca Centrale Europea a Francoforte, in Germania

Agencies sono stati oggetto di particolari “attenzioni” da parte dell’alta finanza. Quanto alla società civile, essa è presente con 150 organizzazioni. Competenti e motivate. Ma se si scava per comprendere chi ha davvero peso, ci si rende conto che il 70% degli advisor della Commissione sono appartenenti all’industria finanziaria, contro un misero 0,8% delle Ong e uno 0,5% dei sindacati. ,

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finanza etica

sotto inchiesta

Evasione, le multinazionali nel mirino dell’Ue di Andrea Barolini

A giugno la Commissione europea ha messo sotto inchiesta l’operato di alcune imprese: da Apple ad Amazon a Fiat

da tre anni che il G20, l’Ocse e l’Unione europea lanciano anatemi contro i paradisi fiscali. E nel mirino non ci sono solo le British Virgin Islands o le Isole Cayman, ma anche il dumping fiscale di Stati decisamente meno esotici, come Irlanda, Paesi Bassi o Lussemburgo. Eppure alle parole sono seguiti pochissimi fatti. Fino all’inizio di giugno, quando la Commissione Barroso, forte probabilmente del mandato agli sgoccioli, ha aperto formalmente una serie di “inchieste approfondite” sull’operato di alcune multinazionali proprio nei tre Paesi membri dell’Ue. Sotto la lente di Bruxelles finiranno colossi del calibro di Apple, Amazon e Starbucks. Ma anche l’italiana Fiat, attraverso la controllata Finance & Trade, che ha sede al numero 13 di rue Aldringen, nel Lussemburgo. Obiettivo delle ispezioni è verificare «che le grandi aziende paghino correttamente le imposte dovute» in Europa, secondo le parole del commissario alla Concorrenza,

È

COSA RISCHIANO STATI E IMPRESE Cosa accadrà agli Stati e alle multinazionali qualora le indagini dell’Unione europea dovessero portare alla luce comportamenti giudicati non conformi alle normative comunitarie? Secondo quanto riportato dal quotidiano francese Le Figaro, qualora i sospetti dovessero essere confermati, Paesi come l’Irlanda, i Paesi Bassi o il Lussemburgo potrebbero trovarsi a fronteggiare una procedura d’infrazione: le “agevolazioni” fiscali potrebbero, infatti, essere considerate aiuti di Stato. Inoltre si potrebbe riscontrare un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese concorrenti. La procedura d’infrazione è, infatti, lo strumento sanzionatorio attraverso il quale l’Ue esercita il controllo sul rispetto del diritto comunitario. I casi di inadempimento sono riscontrabili ogni qualvolta un’amministrazione nazionale (non necessariamente un governo: anche un ente locale può essere coinvolto) ponga in essere un comportamento che viola la normativa europea, sia esso in via “attiva” o “omissiva”. Per quanto riguarda le multinazionali, invece, in teoria potrebbero essere chiamate a rimborsare le “sovvenzioni” ingiustamente percepite. Ma su questo punto lo stesso commissario alla Concorrenza Joaquín Almunia si è detto molto prudente, spiegando che è ancora troppo presto per giungere a qualsivoglia conclusione. [A.Bar.] 24

Joaquín Almunia. In particolare il lavoro si concentrerà sulle attività di tax ruling, ovvero su quei “negoziati” che permettono a una multinazionale di conoscere in anticipo quale trattamento sarà riservato loro da parte delle amministrazioni fiscali dei singoli Paesi. Si tratta, in ultima analisi, di “pre-accordi”, che di per sé non sono illeciti, ma che «possono nascondere aiuti di Stato (questi sì illegali, ndr) se hanno come obiettivo il conferimento di vantaggi specifici a un’impresa o a un gruppo di imprese». Il tax ruling, spesso accompagnato da artifici contabili, consentirebbe in molti casi di minimizzare le tasse che le imprese devono sborsare a fronte dei profitti registrati, sfruttando il fatto che l’Europa non è ancora in grado di imporre un’armonizzazione in materia di tassazione corporate ai Paesi membri. Da Torino rigettano ogni accusa: in una nota la Fiat ha fatto sapere di essere «sorpresa dall’annuncio dell’apertura di un’inchiesta in merito ad un tax ruling emesso nel 2012 dal Lussemburgo», spiegando che tali accordi «sono una normale pratica diretta a chiarire in anticipo il trattamento di questioni fiscali internazionali», e concludendo che «Fiat Finance & Trade è fermamente convinta che ogni esame da parte delle autorità condurrà alla conferma della legittimità dei fatti». Nulla di illecito, insomma. Resta però un segreto di Pulcinella il fatto che, spostandosi nei luoghi in cui l’imposizione fiscale è più conveniente, si possono ridurre anche sensibilmente le percentuali di tasse pagate. Negli Usa lo scorso anno un’inchiesta del Senato aveva rivelato che la Apple era riuscita a pagare un misero 2% sui 74 miliardi di dollari di fatturato non americano, proprio grazie alla scelta di risiedere legalmente in Irlanda. , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


cambi al vertice

finanza etica

Aria nuova in Enel Ma i problemi sono quelli di sempre Il nuovo amministratore delegato, Francesco Starace, provoca un terremoto in Enel. E una ventata di novità. Per uscire dalla crisi intende puntare su rinnovabili, tecnologia e nuovi mercati nvestimenti per 25,7 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, di cui oltre 6 miliardi nelle rinnovabili, per aumentare la capacità installata del 51% a livello internazionale, in particolare in America Latina. Il nuovo piano industriale di Enel, presentato a marzo, parla chiaro: per uscire dalla crisi che sta attanagliando tutti i grandi colossi europei dell’elettricità bisogna investire, puntare su nuovi mercati, sull’energia pulita e su nuove tecnologie, che facilitino la generazione distribuita. Lo ha ribadito il nuovo amministratore delegato Francesco Starace, nominato all’assemblea di maggio al posto di Fulvio Conti. «Enel si dovrà sempre più caratterizzare per la sua componente tecnologica», ha dichiarato agli inizi di giugno al Sole 24 Ore. «Dobbiamo promuovere gli impianti rinnovabili costruendo reti sempre più intelligenti per allacciarli». L’arrivo di Starace ha provocato da subito un terremoto nella struttura di Enel. «Lo spoils system ha funzionato in modo molto efficiente fin dal primo giorno», ha dichiarato a Valori una fonte vicina all’impresa. «Chi faceva parte della vecchia guardia legata a Fulvio Conti è stato messo alla porta o spostato in uffici meno strategici». Il primo a fare le valigie è stato il direttore della comunicazione e delle relazioni esterne Gianluca Comin, approdato in Enel nel 2002 con Paolo Scaroni, seguito a ruota da Massimo Cioffi, responsabile risorse umane dal 2006. «Starace ha una visione aziendale sicuramente più dinamica e moderna di Conti», spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys, società di consulenza strategica nei settori ambiente, energia e utilities. «Scegliendo Starace, il governo (che è il maggiore azio-

I

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

di Emanuele Isonio e Mauro Meggiolaro

nista di Enel con il 31,2%, ndr) ha manifestato una volontà di rinnovamento, senza però rinunciare ad avere una persona che conosce alla perfezione la società, visto che lavora in Enel dal 2000».

TECNOLOGICA E INTERNAZIONALE Il futuro di Enel, che è oggi la prima utility europea per Ebitda (margine operativo lordo) e clienti, e la seconda (dopo la francese EDF) per capacità installata, sarà improntato – almeno nelle intenzioni di Starace – all’internazionalizzazione e alla differenziazione tecnologica. «Sono le due colonne portanti del successo di Enel Green Power (EGP), la controllata di Enel nelle rinnovabili che Starace ha diretto fino alla nomina in Enel», continua RINNOVABILI E PAESI EMERGENTI. LA SCOMMESSA DI ENEL (PIANO INDUSTRIALE 2014-2018) FONTE: ENEL GROUP INVESTOR RELATIONS

~5,770

Flusso di cassa corrente

28%

~1,520

35% costi del personale 65% costi esterni

474 12% 88% 2013 (ad oggi)

~570 10% 84%

90% 2013 (piano precedente 2013-2017)

2014 obiettivo

28% 72%

30%

16%

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Mercati emergenti2

~1,220

72% 70%

2016 obiettivo

2018 obiettivo

2014-2018 obiettivo cumulato

Mercati maturi3 25


finanza etica

cambi al vertice Marangoni. «Già in EGP ha puntato su un ampio menù di tecnologie: eolico, solare, geotermico, solare a concentrazione e progetti sul moto ondoso. In Enel seguirà molto probabilmente la stessa traiettoria, investendo in contatori intelligenti, smart grid e nell’assistenza ai clienti che vogliano puntare sull’efficienza energetica. Davanti alla crescita della generazione distribuita sarà necessario cambiare il rapporto con i grandi impianti». La chiusura o sospensione di una serie di impianti termoelettrici in Italia e Spagna è già prevista dal piano industriale di Enel, che punta a ridurre la capacità installata in centrali a carbone, olio e gas di 8.000 MW entro il 2016, di cui 4.900 MW entro il 2014. Giusto per avere un’idea dei numeri in gioco, ancora nel 2011 Enel si era dichiarata pronta a investire fino a 18 miliardi di euro per produrre 6.400 MW di energia nucleare in quattro reattori sul territorio italiano. Una follia, già allora. Da alcuni anni a questa parte il grande problema per i giganti europei dell’elettricità è l’eccesso di capacità produttiva. La potenza installata è molto superiore al fabbisogno energetico per due motivi principali: la crisi economica, che ha fatto precipitare la domanda di energia e, come non ha mai mancato di sottolineare l’ex presidente di Enel Paolo Colombo, l’esplosione della produzione di energia pulita da fonti rinnovabili, che ha messo alle corde la produzione termoelettrica. Già nel 2014 Enel potrebbe decidere di abbandonare definitivamente il contestato progetto di

CARBONE COLOMBIANO. ENEL APRE AL DIALOGO Parte del carbone che Enel brucia nelle centrali di Civitavecchia, La Spezia e Venezia proviene dalla Colombia, dalle miniere della società americana Drummond e della svizzera Prodeco (GlencoreXstrata). Due imprese controverse, più volte accusate di gravissime violazioni dei diritti umani, per aver commissionato omicidi e torture di sindacalisti, lavoratori e cittadini colombiani e aver finanziato gruppi paramilitari, con lo scopo di garantire il controllo delle aree nelle quali il carbone viene estratto. L’ha dimostrato una ricerca dell’istituto olandese SOMO, commissionata da Greenpeace Italia, i cui risultati sono stati resi noti il 30 giugno scorso. La risposta di Enel non si è fatta attendere: «Se le accuse troveranno riscontro, prenderemo i provvedimenti che saranno necessari, come previsto nei rapporti che legano l’azienda ai propri fornitori». Si tratta certamente di un buon segnale», ha ribattutto Andrea Boraschi, responsabile campagne di Greenpeace. «Ora ci auguriamo che sia l’azienda stessa a interrompere gli scambi commerciali con la Colombia». Un appello in questo senso è stato rivolto alla nuova presidente di Enel, Maria Patrizia Greco, dal Coordinamento Nazionale No Carbone, che ha chiesto anche una «tempestiva pubblicazione dell’elenco dei fornitori di carbone delle centrali Enel». «Enel si rifornisce da Drummond e Prodeco come tutte le utilities europee», ha fatto sapere la presidente Greco. «Abbiamo già avviato una verifica approfondita, dei cui esiti vi terremo informati». [MM] 26

riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, a Rovigo, mentre gli altri piani di rilancio del carbone in Italia, sbandierati da Fulvio Conti nel 2012, sembrano destinati all’archiviazione. Lo stesso vale per il nucleare in Slovacchia, che Enel è ora intenzionata a cedere per fare cassa, mentre i progetti per due nuovi reattori in Romania (Cernavoda 3 e 4) sono stati abbandonati già nel 2013. Una cosa sembra chiara: gran parte dei nuovi investimenti di Enel (anche nelle rinnovabili) si concentrerà in America Latina e in Paesi emergenti. Secondo il piano industriale 2014-2018, il 57% degli investimenti complessivi sarà destinato a mercati growth (in crescita, inclusi gli Usa) mentre il rimanente 43% andrà a mercati “maturi” (Italia e Spagna). In generale il focus sarà sulle rinnovabili (23% degli investimenti totali) e sulla distribuzione (43%). Alla generazione di nuova energia sarà destinato solamente il 29% degli investimenti, quasi tutti in America Latina, dove la domanda di energia, a differenza dell’Europa, è in rapida crescita. E, mentre altre grandi utilities europee, come la tedesca RWE, si trovano in una strada senza uscita, troppo concentrate sull’Europa, sulle fonti fossili o sul nucleare, per Enel la contestata e costosissima acquisizione della spagnola Endesa nel 2007 potrebbe diventare oggi uno dei principali vantaggi competitivi. Con Endesa, che ha caricato il bilancio di Enel di debiti oggi pari a 40 miliardi di euro, si sono aperti i mercati latinoamericani, che hanno interessanti margini di crescita.

OMBRE CHE INCOMBONO Ma non mancano le incognite. A metà luglio il governo cileno ha bloccato il progetto HidroAysén per la costruzione di un sistema di dighe nella Patagonia cilena, un investimento da oltre 8 miliardi di dollari al quale Enel, attraverso la controllata Endesa Chile, partecipa con i cileni di Colbun. 2.750 Megawatt di capacità installata che, per ora, rimarranno al palo a causa degli enormi impatti ambientali. Sempre in luglio, un rapporto di Greenpeace ha dimostrato che parte del carbone bruciato da Enel nelle centrali italiane sarebbe estratto in Colombia da due società (Drummond e Prodeco) accusate di aver commissionato omicidi e torture di sindacalisti colombiani e finanziato gruppi paramilitari per controllare le miniere. «Qualora fossero riscontrate le accuse – ha risposto Enel – non avremmo alcuna esitazione ad attuare tutte le determinazioni necessarie». Una risposta che ha sorpreso la stessa Greenpeace, abituata al muro contro muro dell’era Conti. Ora però si attendono azioni concrete. , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


un’indagine. Risultato: su Twitter l’istituto con il maggior numero di interazioni è Banca Etica. I più chiacchierati, invece, sono stati Monte dei Paschi di Siena e UniCredit per i buchi di bilancio, i piani aziendali per il risanamento dei conti e il management. Tra le più criticate

NEWS

Banca Etica regina di twitter Quali banche sono più attive sui social media italiani? Blogmeter ha effettuato

Banca Carige e MPS a causa delle vicende giudiziarie, mentre le più apprezzate sono risultate essere Carispezia e Friuladria, anche grazie alle iniziative promosse sul territorio. www.adnkronos.com

VALORITECA MININEWS

I MIGLIORI TWEET DEL MESE

Il boom dei green bond

Noi li chiamiamo avvoltoi o squali. In Cina sono ratti. Tolleranza zero per i “rat-trader" delle borse. #bassafinanza

Oltre 500 miliardi di dollari di green bond. Altro che i 20 o 30 delle stime precedenti. Un report pubblicato da Climate Bonds Initiative amplia le previsioni del mercato mondiale delle obbligazioni emesse per finanziare progetti per la lotta al cambiamento climatico. Nel calcolo sono considerati non solo quelli etichettati dagli emittenti come “green bond”, ma tutte le obbligazioni a sostegno dell'ambiente. A fine 2014 saranno 502,6 miliardi di dollari, il 44% in più rispetto all’anno scorso.

Un ratto è un gestore di fondi di investimento che compra azioni con i propri soldi quando i prezzi sono bassi, poi compra le stesse azioni in massa con i fondi che gestisce (con i soldi di centinaia di risparmiatori) facendo salire notevolmente il prezzo e alla fine rivende le proprie azioni realizzando profitti (personali) molto elevati. Grazie allo sviluppo di nuove tecnologie la Consob cinese sta beccando un numero sempre maggiore di ratti Da: www.nonconimieisoldi.org/blog/bassa-finanza-4

 LIBRI

@meggio_m

THE MEDIA AND FINANCIAL CRISES di Steve Schifferes e Richard Roberts

Il primo #distributore di #Bitcoin della Grande Mela permette di trasformare valuta contante in denaro virtuale

Che ruolo hanno avuto i media nella crisi? Ne parla questo libro, in uscita a settembre 2014, di Steve Schifferes, professore di giornalismo finanziario alla City University di Londra, e Richard Roberts, professore di storia contemporanea al King's College di Londra.

ON LINE @BuyBuyEurope @FinanciaLounge

Webserie in 5 episodi su chi vince e chi perde con la crisi

1

O

QUANTI MILIONARI CI SONO NEL MONDO? MININEWS

2

O

Il primo miliardo di Etica Sgr

3

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

O

ITALIA

9 274.000

O

TAIWAN

8

312.000

O

GERMANIA

7

362.000

O

CANADA

6 373.000

5

O

SVIZZERA

590.000

CINA

1.300.000

GIAPPONE

1.500.000

USA

FONTE: @IANBREMMER

5.900.000

O

395.000

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INGHILTERRA

O

La società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica ha superato il traguardo del miliardo di euro di patrimonio gestito dai fondi Valori Responsabili: 1,04 miliardi al 30 giugno.

27


numeri della terra

MONDO

DI SPIGHE E RISAIE

Grano 670.875.110

Riso 719.738.273

 147.205.956  148.270.710

 34.591.909  36.262.949

Grano 40.300.800

 519.412

Riso 123.200

 20.345.934

 496.238  74.572**

FRANCIA

USA Grano 61.755.240

Riso 9.048.220

Grano 8.795.483  1.999.076

 32.789.893

GERMANIA

Un mondo

 597.083  3.326.000

Riso 5.911.086

di Matteo Cavallito  9.800.061 1,4 miliardi di tonnellate. È la quantità di riso e grano prodotta su scala mondiale nel corso del 2012, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi disaggregati per singoli Paesi. Lo dicono i numeri resi noti dalla Fao nel suo database dal quale abbiamo ricavato le informazioni contenute in questa mappa. La Cina surclassa tutti, confermandosi leader nella produzione di entrambi i cereali. L’india si colloca sul secondo gradino del podio guidando però la classifica dell’export nel comparto riso. Nella produzione di quest’ultimo, i due Paesi coprono da soli circa la metà dell’ammontare globale. Al pari di molti altri generi alimentari, riso e grano sono venduti soprattutto nel mercato domestico. Le esportazioni di grano – che vedono in testa gli Stati Uniti seguiti da Francia, Australia e Russia – coprono il 22% della produzione totale. Nel caso del riso, la quota complessiva dell’export (dietro l’India dominano Vietnam e Thailandia) si colloca appena al 5%. 28

 2.665

 93.721

 600.000

BRASILE Grano 4.418.388

 5.740.453

 2.350.720

Riso 11.549.881

 580.594  2.350.720

[produzione in tonnellate] FONTI: FAO (FAOSTAT3.FAO.ORG), 2014 (DATI 2012 ECCETTO EXPORT GRANO, DATI 2011) * I DATI SULL’IMPORTAZIONE DI RISO: ALL INDIA RICE EXPORTERS’ ASSOCIATION (WWW.AIREA.NET), 2014 (DATI 2011/12) ECCETTO **FAO, 2014 (DATI 2011); NOSTRE ELABORAZIONI. DATI IN TONNELLATE.

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


??? Grano 37.719.640 Grano 22.432.000

 6.168.890

 120.143

 15.185.953

Grano 120.580.000

 386.325  92.850**

Grano 23.473.000

 190.397  281.000

RUSSIA

 4.410.957

Riso nd

Riso 1.051.891

Riso 9.400.000

 1.248.822  2.087.422

 21.052

EGITTO

Riso 204.285.000

 3.399.000

PAKISTAN

 21.841

CINA

 1.059.294

INDIA Grano 94.880.000

 39.794

Riso 152.600.000

 267.000

VIETNAM

THAILANDIA

Grano nd

 5.604.861

 nd

INDONESIA  25

 499.901

 1.093

Grano 1.000

 10.250.000

Riso 69.045.141

Grano nd

Riso 37.800.000

 2.745.281  11

 10.630

Grano 29.905.009

 1.133

 17.657.181

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

 6.945.000

Riso 918.733

 160.121  449.000

 2.421.217

0

Riso 43.661.570

 2.409

 7.717.000

AUSTRALIA

 1.426.210

 803**

 import  export 29


30

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


ECONOMIA SOLIDALE

LA PAX ENERGETICA TRA BERLINO E BRUXELLES

accordo di pace tra il numero uno dell’antitrust europeo, Joaquín Almunia, e il superministro dell’Economia e dell’Energia (nonché vice cancelliere) tedesco, Sigmar Gabriel, è stato annunciato a inizio luglio. Berlino – racconta l’ultima versione della legge di riforma della politica energetica – continua a scommettere sulle rinnovabili, ma riduce gli incentivi previsti e garantisce l’auspicata parità di trattamento tra imprese nazionali e importatori stranieri. La normativa ridurrà progressivamente i sussidi, che, ha ricordato l’emittente Deutsche Welle (DW), passeranno dagli attuali 17 centesimi per kWh ai 12 previsti per il prossimo anno, con effetti positivi per le bollette dei consumatori, così come per i costi sostenuti dall’industria. Meno soddisfatti, ovviamente, i piccoli produttori, a cominciare dai singoli cittadini (in Germania, riferisce ancora DW, ci sarebbero 1,4 milioni di abitazioni alimentate a energia solare), che vedranno ridursi gli sconti precedentemente

L’

di Matteo Cavallito

Berlino taglia gli incentivi alle rinnovabili e allenta la strategia protezionista. Esulta Bruxelles, respirano le grandi utilities valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

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economia solidale lobby carbone e bollette PRODUZIONE LORDA DI ELETTRICITÀ IN GERMANIA PER FONTI ENERGETICHE 1990-2013 FONTE: AGEB (ARBEITSGEMEINSCHAFT ENERGIEBILANZEN), DEUTSCHES INSTITUT FÜR WIRTSCHAFTSFORSCHUNG (DIW), GIUGNO 2014. NOSTRE ELABORAZIONI

Carbone

Gas+petrolio

Nucleare

Rinnovabili

2012

2013

2011

2009

2010

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2000

2001

1999

1998

1997

1996

1995

1994

1993

1992

1990

1991

[% di energia elettrica] 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Altre fonti

PRODUZIONE LORDA DI ELETTRICITÀ DA CARBONE E RINNOVABILI IN GERMANIA 1990-2013 FONTE: AGEB (ARBEITSGEMEINSCHAFT ENERGIEBILANZEN), DEUTSCHES INSTITUT FÜR WIRTSCHAFTSFORSCHUNG (DIW), GIUGNO 2014. NOSTRE ELABORAZIONI.

[Energia elettrica prodotta (miliardi di kWh)] 350

accordati. Ma un compromesso, si sa, non può soddisfare tutti. È inevitabile. L’ipotesi, a questo punto, è che la revisione del piano tedesco possa riportare un po’ di serenità a Bruxelles. La stessa serenità smarrita in passato quando Berlino aveva spinto sull’acceleratore della rivoluzione verde, imponendo costi aggiuntivi agli importatori stranieri di energia elettrica, violando, asseriva l’Ue, le regole del mercato. Con la definitiva riforma, le imprese straniere che importano energia verde in Germania andranno incontro allo stesso trattamento riservato alle colleghe tedesche che, ora, dovranno anche contribuire a un fondo a sostegno delle rinnovabili. Secondo il Wall Street Journal, le 350 imprese tedesche, beneficiarie di esenzioni giudicate illegittime dalla Ue tra il 2013 e il 2014, dovranno restituire circa 30 milioni di euro.

300

IL RUOLO DELLE UTILITIES

250 200 150 100

Rinnovabili

2013

2012

2011

2010

2009

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2001

2000

1999

1998

1997

1996

1995

1994

1993

1992

1991

0

1990

50

Carbone+lignite

La scelta del ridimensionamento degli incentivi ha la sua logica. Ma è certo che sulle decisioni di Berlino ha pesato la pressione europea, alimentata da quella dei soggetti maggiormente penalizzati dalla corsa alle rinnovabili: le grandi utilities. Ormai noti con il soprannome di “Gruppo Magritte” (vedi BOX ), i grandi produttori “tradizionali” spingono da

RINNOVABILI & INCENTIVI «UN EQUILIBRIO DIFFICILE» di Matteo Cavallito

L’opinione di Alessandro Marangoni (Althesys). «Tra mercato e tecnologia una rincorsa continua. L’equilibrio varia da Paese a Paese e da fonte a fonte» Quali conseguenze per le rinnovabili tedesche? È pensabile uno smarcamento dagli incentivi? Una Germania 100% rinnovabile è mera utopia? Sono tante le domande che caratterizzano il dibattito attuale. Valori ne ha parlato con Alessandro Marangoni, docente del corso di Profili tecnologici e di 32

mercato dei servizi ambientali nel Master in Economia e gestione dei servizi di pubblica utilità dell’Università Bocconi e Ceo di Althesys, società di consulenza e ricerca nei settori ambiente, energia, utilities e infrastrutture. La Germania rivede il suo piano rinnovabili e trova anche l’accordo con la Ue. Ritiene che ci saranno conseguenze sulle prospettive di sviluppo delle rinnovabili? Credo che l’accordo raggiunto tra la Germania e la Ue inciderà poco, da un lato, perché la cifra che le imprese tedesche dovranno restituire appare modesta, dall’altro, perché le aziende energivore continueranno a essere agevolate. Piuttosto sarà maggiore

l’impatto delle decisioni dell’Unione che hanno introdotto il sistema delle aste, un meccanismo che provocherà un abbassamento degli incentivi in tutto il Continente, non soltanto in Germania. Da qualche tempo il cosiddetto “Gruppo Magritte” preme per un superamento della politica degli incentivi. Quanto pesa questa attività di lobbying? Ha indubbiamente pesato. Lo sviluppo delle rinnovabili e il calo della domanda provocato dalla crisi hanno fatto crollare il prezzo dell’elettricità mettendo in difficoltà le grandi utilities tradizionali, alcune delle quali, occorre ricordarlo, sono tuttora in ritardo negli investimenti sulle rinnovabili stesse. In Gervalori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


lobby carbone e bollette tempo per un allentamento delle strategie pro-rinnovabili che ad oggi li avrebbero penalizzati. Perché la verità, ricorda a Valori Alessandro Marangoni, economista e Ceo di Althesys (vedi INTERVISTA in queste pagine) è che «lo sviluppo delle rinnovabili e il calo della domanda provocato dalla crisi hanno fatto crollare il prezzo dell’elettricità, mettendo in difficoltà le utilities tradizionali». Colossi come E.ON, EnBW, Vattenfall Europe e RWE, avvertiva già l’anno scorso un’analisi di Reuters, si erano pericolosamente sganciati dal comparto rinnovabili. Con le inevitabili conseguenze del caso. Alla fine del 2013 RWE ha chiuso i conti con una perdita netta di quasi 2,8 miliardi di euro. Il primo rosso di bilancio dal 1949.

COSTI DI SISTEMA Le utilities, insomma, hanno le loro responsabilità, a cominciare, ovviamente, dalla rinuncia agli investimenti “verdi”. Ma è altrettanto vero, dicono i numeri, che la svolta energetica tedesca, la celebre Energiewende, ha evidenziato alcuni problemi innegabili. La Germania spinge da anni per uno sviluppo “verde” senza eguali nel Vecchio Continente, che si accompagna alla definitiva dismissione del nucleare (l’ultimo reattore sarà spento nel 2022). Un piano ambizioso che ha genera-

ALESSANDRO MARANGONI docente all’Università Bocconi e Ceo di Althesys WWW.ALTHESYS.COM

mania, inoltre, a pesare sui bilanci dei grandi produttori sono stati anche i costi associati al piano di dismissione del nucleare. Al di là di tutto, è possibile pensare che le rinnovabili possano sganciarsi definitivamente dai sistemi di incentivazione, ovvero essere pienamente competitive sul mercato? La questione degli incentivi è legata alla costante rincorsa tra due elementi: i costi delle tecnologie associate alle rinnovabili, che negli ultimi anni sono crollati, e il prezzo di mervalori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

economia solidale

BRUXELLES, VINCE LA LOBBY DEI “SURREALISTI” L’Europa li conosce come “Gruppo Magritte”, appellativo che trae la sua origine dal luogo della loro prima riunione, l’omonimo museo di Bruxelles dedicato all’indimenticabile maestro surrealista. Sono 10 amministratori delegati di altrettante mega utilities europee come l’italiana Eni, la tedesca RWE, la svedese Vattenfall, la francese GDF Suez e la spagnola Gas Natural per citarne solo alcune. Nel museo della capitale belga si sono incontrati la prima volta nella primavera del 2013 e da allora conducono la propria missione: premere sull’Ue e sui governi nazionali per un progressivo ridimensionamento degli incentivi alle rinnovabili. “Ceci n'est pas une lobby”, verrebbe da parafrasare in riferimento a un celebre dipinto, visto che i suoi membri non costituiscono una vera e propria associazione riconosciuta. Ma, nonostante il carattere “informale”, la lobby resta tale e i suoi sforzi, soprattutto, sembrano tutt’altro che vani dal momento che la loro pressione, ricorda a Valori Alessandro Marangoni di Althesys, finora «ha indubbiamente pesato». Molti governi europei procedono con il taglio dei sussidi mentre si discutono sistemi di compensazione per le stesse utilities penalizzate dalla crescita della capacità produttiva delle rinnovabili. In un mercato saturo, in altre parole, le centrali a gas e carbone, che restano essenziali per coprire gli inevitabili momenti di stallo degli impianti legati alle rinnovabili (non sempre c’è il sole, non sempre soffia il vento), viaggiano in una situazione di sotto capacità. Un motivo sufficiente, sostengono i loro Ceo, per il riconoscimento di un adeguato indennizzo. L’Italia, con le modifiche al Ddl Stabilità del novembre 2013, è venuta apertamente incontro alle loro richieste.

to però costi significativi. In prima fila, ovviamente, c’è il peso dei sussidi introdotti da una legge del 2000 che garantiva, tra le altre cose, vent’anni di prezzi “alti” nel mercato energetico. L’energia prodotta da fonti rinnovabili, in altre parole, non segue il valore di mercato, ma è venduta a un prezzo maggiore. Un incentivo evidente che garantisce un forte sviluppo del settore, scaricato, al tempo stesso, sui consumatori. Le rinnovabili, in questo modo,

arrivano a coprire circa un quarto della produzione di elettricità, ma generano costi totali, ricorda l’Economist, per 16 miliardi di euro (secondo il Financial Times si arriverebbe addirittura a 24 miliardi) solo nel 2013. E il risultato, nota ancora il settimanale britannico, sono 260 euro extra caricati in media sulle bollette pagate ogni anno da ciascuna famiglia. Una situazione difficile da gestire cui la riforma di questa estate tenterà ora di porre rimedio.

cato dell’energia, calato anch’esso. L’equilibrio non è facile da raggiungere e, in ogni caso, varia da Paese a Paese e da fonte a fonte. Il termoelettrico a parità di costo dei combustibili, per dirne una, costa più o meno allo stesso modo dappertutto, il solare ovviamente no. L’eolico, in alcuni contesti, può essere molto competitivo come nel caso degli impianti offshore britannici. In Brasile e in Cile, dove si registrano oltre 3.000 ore di vento all’anno, un megawattora di origine eolica può costare quanto il carbone o l’idroelettrico.

lato potremmo pensare che la tecnologia possa andare incontro a un forte sviluppo e che le fonti fossili, al contempo, costeranno sempre di più. Il che renderebbe l’ipotesi del Fraunhofer non troppo fantascientifica. Dall’altro resta però aperto il problema della continuità delle fonti: cosa succede quando non c’è il sole e il vento cala? Fino a quando non ci saranno batterie in grado di accumulare una grande quantità di energia rinnovabile di riserva è difficile pensare a una sostituzione completa. Il Fraunhofer, inoltre, parla anche di riscaldamento e trasporti e sappiamo quanto il peso delle rinnovabili su questi ultimi attualmente sia ancora irrisorio rispetto a quello raggiunto nel comparto elettrico. Anche per questo, al momento, uno scenario “100% rinnovabile” nel 2050 resta difficile da ipotizzare. ,

Da anni il Fraunhofer Institut sostiene che, con gli opportuni investimenti, la Germania potrebbe ottenere la piena autosufficienza energetica con le fonti rinnovabili entro il 2050. Come giudica questa ipotesi? Non è facile valutarla anche perché quello del 2050 è un orizzonte lontanissimo. Da un

33


economia solidale

rinnovabili nel belpaese

IL FUTURO Ma quanto inciderà la nuova normativa sullo sviluppo delle rinnovabili? A chiederselo saranno anche i ricercatori del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems di Friburgo che da qualche anno provano a tracciare una road map verso un sistema totalmente verde. Nel 2011, hanno ricordato a giugno in occasione di una conferenza svoltasi ad Amburgo, la Germania ha prodotto CO2 per oltre 900 milioni di tonnellate, pari al 20% delle emissioni europee e al 2,5% del dato globale. Entro il 2050 sarebbe possibile scendere sotto quota 100 milioni, come a dire il 95% in meno rispetto al dato del 1990. Come? Semplice, investendo quasi mezzo trilione di euro da qui alla metà del XXI secolo nel comparto rinnovabili. L’idea è ambiziosa. Ma si scontra con una realtà ben diversa. Tralasciando i dubbi sulla praticabilità di un sistema interamente “green”, resta aperto il problema delle emissioni. Dal 1990 a oggi, dice l’Arbeitsgemeinschaft Energiebilanzen, il peso del carbone nella produzione complessiva di energia elettrica in Germania è calato del 20,8% mentre quello delle rinnovabili è cresciuto del 569% (vedi GRAFICO a pag. 32). Ma, in quanto a energia prodotta, il trend è diverso: nel 2013, carbon fossile e lignite hanno generato elettricità per 283,2 miliardi di kWh, il 9,1% in meno dal 1990, ma anche l’11,7% in più rispetto al 2009, l’anno del minimo storico post riunificazione (vedi GRAFICO ). Il fatto, notava in tempi non sospetti l’Economist, è che il ridimensionamento del nucleare viene compensato in parte proprio dalla crescita del carbone, una fonte meno costosa rispetto al gas, ma più inquinante. E qui, inevitabilmente, sale in cattedra il fattore politico. Perché il settore, si sa, resta concentrato soprattutto nel nordovest del Paese (nelle cinque miniere di antracite presenti nel solo Nord RenoVestfalia lavorano ben 27 mila persone), tradizionale bacino di voti della SPD. Un particolare che non sfugge a nessuno, e che, a maggior ragione, continuerebbe a influenzare le mosse del super ministro Gabriel. Per il quale la difesa dei posti di lavoro associati al carbone resta un’esigenza evidente in termini di consenso. , 34

L’Italia e la strategia del gambero di Paola Baiocchi

Le rinnovabili fanno bene all’ambiente e alla bilancia dei pagamenti: peccato che i nostri politici non ne tengano conto. Ne abbiamo parlato con Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e rinnovabili sono entrate a pieno diritto tra le grandi fonti energetiche e stanno provocando una lunga onda di cambiamenti di carattere geopolitico e industriale. La geografia dei Paesi che forniscono energia sta cambiando e si sta gradualmente modificando il peso dei produttori di petrolio e gas: molti nuovi competitori si affacciano sul mercato mondiale, dai Paesi africani alla piccola Danimarca che sta puntando al 100% di energia da rinnovabili (vedi BOX ). Un esempio che l’Italia potrebbe seguire, investendo su se stessa, se solo la nostra classe politica decidesse in funzione degli interessi del Paese. Grazie alle rinnovabili nuovi leader tecnologici si stanno affermando nel fornire ciò che rende possibile l’utilizzo di queste fonti, hardware e soft-

L

ware. La Cina è il numero uno nelle tecnologie verdi – dai led, agli impianti solari e fotovoltaici, alla mobilità elettrica – e sta spingendo per modificare la qualità dell’aria nel Paese, iniziando a ridurre la costruzione di nuove centrali a carbone a favore del fotovoltaico. Cina e Usa hanno avviato confronti bilaterali in vista della Conferenza sul clima che si terrà a Parigi nel 2015, spinti dal peso economico delle rinnovabili e dalla loro valenza anticiclica in un mercato quasi globalmente saturo, o che ha bisogno di energia elettrica a costi ridotti per inondare di prodotti i nuovi mercati dei Paesi emergenti. Si aspettano novità decisive dal summit internazionale di Parigi e una presa di responsabilità da parte della Cina fa ben sperare. Ma quali scenari energetici si stanno delineando? Lo abbiamo chiesto a Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e di QualEnergia. «Negli ultimi cinque-sei anni ci sono stati importanti cambiamenti: dalla riduzione dell’importazione di gas a causa della crisi all’entrata sempre più consistente sul mercato dell’energia elettrica prodotta da rinnovabili». Qual è la situazione in Italia? Siamo passati da una produzione di 40/50 miliardi di kWh da rinnovabili, con il geotermico e l’idroelettrico a 108 miliardi di kWh all’anno con il fotovoltaico, coprendo il 45% della produzione nel primo semestre del 2014, a fronte di una domanda del 38,6%. Nello stesso periodo la Spagna ha generato il 50% della sua energia da rinnovabili. Ciò ha portato a una diminuzione del costo del gas e al calo del Pun (Prezzo unico nazionale) alla borsa elettrivalori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


rinnovabili nel belpaese ca; cali che, se confermati nei prossimi mesi, si vedranno sulle bollette italiane. E a livello mondiale? La produzione mondiale di energia da fotovoltaico è aumentata del 9% in cinque anni: un risultato impossibile da raggiungere nello stesso breve tempo con altre fonti. Mentre diventa sempre più costoso, in termini economici e di rischio ambientale, lo sfruttamento di nuovi campi petroliferi. Questo impone alle compagnie elettriche un cambiamento del modello di business, fatto di troppe centrali a fronte di una minore richiesta (per cui vendo meno e mi pagano meno l’energia), che quindi si stanno rivolgendo di più verso l’offerta di servizi. Ma allo stesso tempo apre nuove prospettive nella trattativa internazionale sul clima: quale sarà la posizione della Cina, leader nelle produzioni verdi, ma restia a mettere un tetto alle emissioni? Per Pechino la questione ambientale si sta facendo pressante dal punto di vista sanitario per i dati sulla mortalità, tanto che ha preso misure immediate per chiudere le centrali a carbone più inquinanti e più vicine alle città. Se sarà disponibile a farsi carico di una parte di responsabilità, diventerà possibile chiedere che i 2/3 delle riserve mondiali di petrolio non siano più utilizzabili e venga imboccata con decisione la strada delle rinnovabili. L’Europa ha già intrapreso questa strada, che potrebbe essere confermata da un’ulteriore riduzione delle emissioni entro il 2030. Ma l’Italia non è in controtendenza con un decreto come lo “spalma-incentivi”?

LA DANIMARCA FA SUL SERIO: OBIETTIVO 100% DA RINNOVABILI ENTRO IL 2050 Cinque milioni e mezzo di abitanti, la metà della Lombardia, ma molto decisi a lasciarsi alle spalle le fossili entro il 2050. Dal gennaio 2013 in Danimarca, tanto per cominciare, non sarà più possibile installare caldaie a olio combustibile nelle nuove costruzioni ed entro il 2016 le vecchie caldaie dovranno essere sostituite anche negli edifici esistenti. La Danimarca è riuscita a trasformarsi, negli ultimi venti anni, da importatore a esportatore di energia elettrica grazie ai parchi eolici off-shore installati nei bassi fondali del Mare del Nord. Nel 2013 il vento ha fornito alla Danimarca il 33% del fabbisogno elettrico e i passi avanti che i danesi stanno compiendo nello sviluppo della rete intelligente li pongono all’avanguardia nelle tecnologie e nelle soluzioni per la smart grid. Così come è successo con la produzione di pale eoliche. Il Paese sta puntando molto anche sulla mobilità elettrica e nel febbraio scorso ha stabilito di tagliare le emissioni di CO2 del 40% rispetto al 1990, entro il 2020: in anticipo di 10 anni rispetto all’obiettivo proposto per l’Ue dalla Commissione. [Pa.Bai.] VALORI ANNUALI DEGLI INCENTIVI RICONOSCIUTI E DELL'ENERGIA PRODOTTA DAGLI IMPIANTI AMMESSI AL CONTO ENERGIA FONTE: GSE - CONTO ENERGIA. DATI SOGGETTI A VARIAZIONI/CONGUAGLI. * DATI PARZIALI

Incentivi [Mln €]

Produzione [GWh]

8.000 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 0

2006

Incentivi

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

22.000 20.000 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0

Produzione

Per arrivare alla soluzione di problemi sul come approvvigionarsi di eolico dalla Spagna o di solare dall’Italia e raggiungere il 50% della produzione elettrica europea da rinnovabili, la trasformazione della rete dovrà coinvolgere tutta l’Europa. Il decreto spalma-incentivi con la revisione retroattiva dei contratti era anticosti-

SPALMA-INCENTIVI: L’ENERGIA NON È NUTELLA Il decreto 91/2014, che ha tenuto fino ad agosto con il fiato sospeso investitori esteri e piccoli produttori fotovoltaici, è diventato legge dopo una profonda revisione del testo. Possono ora accedere allo scambio sul posto impianti fino a 500 kW e sono esclusi dagli oneri di sistema gli impianti sotto i 20 kW di potenza. Potranno esserci aumenti degli oneri da pagare, ma riguarderanno solo gli impianti non ancora in esercizio al momento in cui verranno deliberati e la quota non potrà salire più di 2,5 punti percentuali per ogni aggiornamento biennale. Per quanto riguarda la rimodulazione degli incentivi per impianti valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

economia solidale

tuzionale e avrebbe compromesso la fiducia internazionale verso l’Italia e aperto la strada a infiniti, costosi contenziosi. Grazie alla pressione degli investitori stranieri la legge approvata è molto differente. Il problema del costo degli incentivi per le rinnovabili resta, ma ci sono soluzioni possibili: per esempio l’emissione di bond. ,

Fv oltre i 200 kW, chiamata spalma-incentivi, sono diventate legge quattro opzioni, che non hanno risolto del tutto le problematiche: la prima prevede che il premio dovuto venga erogato su 24 anni anziché su 20, con la riduzione degli importi annuali. La seconda possibilità è quella di mantenere invariato a 20 anni il periodo di erogazione degli incentivi, ma con una rimodulazione che prevede importi minori nei primi anni, compensati negli anni seguenti. La terza opzione è una riduzione degli incentivi per scaglioni di potenza: del 5% per gli impianti di potenza tra 200 e 500 kW, del 7% per gli impianti tra 500 e 900 kW e del 9% sopra i 900 kW. La quarta opzione è quella della risoluzione anticipata finanziata da un operatore finanziario terzo, alla quale si accede tramite aste. [Pa.Bai.] 35


economia solidale

l’eredità dell’atomo

Italia e nucleare una partita ancora aperta di Valentina Neri

Decine i siti italiani alle prese con il decommissioning, lo smantellamento delle ex centrali nucleari. Un costo che lievita: nel 2015 raggiungerà i 147 milioni di euro all’anno. Nel ’99 si parlava di 2,55 miliardi, di lire ra il 1987 quando gli italiani hanno votato per lo spegnimento dei quattro reattori del Belpaese. Una scelta ribadita col referendum del 2011. Significa quindi che nel nostro Paese il nucleare è solo un ricordo? Niente affatto. Quello dell’atomo è ancora un settore che muove capitali e dà lavoro a migliaia di persone. Un settore attorno al quale si giocano complicati equilibri politici ed economici. Al centro il decommissioning: un’espressione che riassume la lunga procedura per mettere in sicurezza le ex centrali, smantellarle e trasferire i rifiuti al Deposito Nazionale

E

LA LUNGA ATTESA PER IL DEPOSITO NAZIONALE Attesa da quasi un quarto di secolo, è stata pubblicata a giugno la guida tecnica con cui l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) detta i criteri per la costruzione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, previsto dal D.Lgs. n. 31/2010. Sarà un deposito di superficie, che sorgerà all’interno di un Parco tecnologico. Dovrà accogliere circa 90 mila metri cubi di scorie: per la maggior parte saranno di prima e seconda categoria, mentre i 17 mila metri cubi di rifiuti altamente contaminati (che per lo smaltimento vero e proprio avrebbero bisogno di un sito con caratteristiche diverse) vi saranno stoccati per un centinaio di anni. Circa il 70% del totale arriverà dalle ex centrali, il resto sarà costituito da rifiuti ospedalieri e industriali. Il deposito – spiega la guida – non sorgerà all’interno di aree vulcaniche, carsiche, sismiche, a rischio di frane e inondazioni. Ancora, niente zone sopra i 700 metri sul livello del mare o a meno di 5 km dalla costa, né troppo vicine ad arterie stradali e ferroviarie, dighe e centri abitati. A questo punto – spiega a Valori l’ingegner Lamberto Matteocci dell'Ispra – la palla passa alla Sogin, che entro la fine dell’anno dovrà stabilire quali sono le aree potenzialmente idonee. Dopo la valutazione tecnica da parte di un nuovo organismo competente, le idee verranno discusse a un seminario nazionale insieme alle amministrazioni locali. «Sommando le varie fasi, ragionevolmente direi che ci vorranno circa tre anni», spiega. A quel punto si potrà partire con la costruzione del deposito. Che dovrà accogliere anche le scorie spedite in Inghilterra e Francia, che torneranno nel nostro Paese tra il 2018 e il 2025. 36

che verrà costruito nei prossimi anni (vedi BOX ). La questione è tutt’altro che chiusa. Sono decine i siti nel nostro territorio che devono farci i conti giorno dopo giorno (vedi MAPPA ) e il capitolo di spesa non è da sottovalutare. Ne fa una stima l’associazione Energia Felice nel suo quaderno L’eredità del nucleare in Italia. Se l’Enel nel 1999 ipotizzava che servissero 2,55 miliardi di euro per smantellare le nostre centrali, il piano industriale Sogin (la società incaricata di gestire il decommissioning) 2011-2015 aggiorna il tetto di spesa a 6,7 miliardi. Dopo anni in cui i lavori sono andati a rilento (nel 2007 era stato portato a termine solo il 4% delle operazioni previste) ora accelera il ritmo e, con lui, i costi. Dieci anni fa il decommissioning valeva circa 40 milioni di euro all’anno; la cifra è salita a 51,6 milioni nel 2010, a 55,5 nel 2011 e a 64 nel 2012 e, secondo le previsioni, arriverà a 147 nel 2015. Alla luce di questi numeri, diventa ancora più difficile sostenere la tesi del nucleare come energia a buon mercato. Tanto più perché, nella loro vita operativa, le nostre centrali hanno prodotto poco meno di 90 miliardi di chilowattora. Non sono pochi – conclude Energia Felice – ma le rinnovabili italiane, nel solo 2012, ne hanno prodotti 92,2.

IL GIOCO DEGLI APPALTI, DA SALUGGIA… Il tema decommissioning è prepotentemente tornato all’ordine del giorno a maggio, quando i magistrati milanesi impegnati nell’inchiesta-Expo sono incappati nel nome di Sogin, controllata al 100% dal ministero del Tesoro e finanziata in parte dai fondi accantonati a suo tempo dall’Enel e in parte dalla componente A2 della bolletta. Mentre valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


scriviamo questo numero di Valori gli inquirenti stanno ancora lavorando. Vogliono vederci chiaro sulle consulenze affidate a persone che nelle intercettazioni sono indicate come elementi della “squadra” in grado di condizionare le nomine negli appalti. E vogliono verificare le affermazioni dell’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, che – secondo quanto riportato dalla stampa – avrebbe parlato di centinaia di migliaia di euro in gioco nell’appalto per l’impianto di Saluggia, in provincia di Vercelli. E di incontri con esponenti politici che sarebbero riusciti “in qualche modo” a intervenire presso alcuni funzionari di Sogin «per agevolare quanto meno l’aggiudicazione finale della gara in favore della mia azienda». In parallelo, Sogin ha fatto partire un’indagine interna. «Ci mancava anche questa!», commenta amaro a Valori Gian Piero Godio, responsabile Energia per Legambiente Piemonte. Godio l’impianto di riprocessamento EUREX di Saluggia lo conosce bene. Ci ha lavorato negli anni Settanta con il CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), fino a quando si è reso conto «dell’enorme pericolosità di questa tecnologia» e ha abbandonato l’incarico. L’impianto di Saluggia nasce per recuperare l’uranio arricchito e il plutonio dalle barre di combustibile, che negli anni sono arrivate da Trino, Latina, Sessa Aurunca e dal Canada. Ora l’impianto EUREX ospita i sottoprodotti liquidi radioattivi di tale attività. Quando, nel 1987, la sua attività è cessata, le barre che non avevano ancora subito il riprocessamento sono state conservate nel vicino deposito “Avogadro”, di proprietà privata. «In termini qualitativi e quantitativi Saluggia ospita da oltre trent’anni la più grande quantità dei materiali radioattivi più pericolosi d’Italia, a poche decine di metri dalla Dora Baltea e appena a monte dei pozzi da cui viene prelevata l’acqua che alimenta l’acquedotto del Monferrato, che serve oltre cento Comuni», sottolinea Godio. Non a caso l’associazione Pro Natura, sulla base di dati Ispra, stima che in Piemonte sia custodito il 96% dei nostri rifiuti nucleari.

… A TRINO VERCELLESE Sempre in Piemonte si trova la centrale Enrico Fermi, attorno alla quale – racconta Fausto Cognasso, responsabile locale di Legambiente – si è giocata per decenni la vita economica e politica di Trino Vercellese. Solo negli ultimi anni sono emersi diversi punti da chiarire. Come il presunto incidente che ha fatto sospendere i lavori della centrale per ben 998 giorni tra il 1967 e il 1970. «Un episodio sempre negato dalla Sogin, che lo ritiene come un accadimento infelice dal punto di vista tecnico», valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

FONTE: ENERGIA FELICE, L'EREDITÀ DEL NUCLEARE IN ITALIA

l’eredità dell’atomo

Centrale elettronucleare Enrico Fermi Trino Vercellese (Vercelli)

economia solidale

L’ITALIA RADIOATTIVA 12

10 11 3 13 1

4

14

6

Centrale elettronucleare Caorso Caorso (Piacenza)

5

15 16 7

Centrale elettronucleare Latina Fr. di Borgo Sabotino (Latina)

8

Centrale elettronucleare Garigliano Sessa Aurunca (Caserta) 2

1 2

3 4 5 6 7 8 9 10 11

Impianto EUREX (Enriched Uranium Extraction), Saluggia (Vercelli) - Piemonte Itrec (Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile) di Trisaia, Rotondella (Matera) - Basilicata CCR - Ispra, Varese - Lombardia SORIN Biomedica - Deposito Avogadro, Saluggia - Piemonte Deposito Controlsonic, Tortona - Piemonte Reattore LENA, Pavia - Lombardia Reattore CISAM, Pisa - Toscana Centro ricerche Casaccia dell'ENEA (reattori Tigra e Tapiro), Casaccia (Roma) - Lazio Reattore AGN - Deposito Sicurad, Palermo - Sicilia Deposito Gammadiagnostic, Guanzate (Como) - Lombardia Deposito Gemmatom, Como - Lombardia

17

9

12 13 14 15 16 17

Deposito Crad, Udine - Friuli Reattore CESNEF - Deposito Campoverde, Milano - Lombardia Reattore SM-1 (INFN), Legnaro (Padova) - Veneto Reattore Montecuccolino, Bologna - Emilia Romagna Deposito Protex, Forlì - Emilia Romagna Deposito Cemerad, Taranto - Puglia

GLOSSARIO DECOMMISSIONING Lo smantellamento degli impianti non più attivi. In una prima fase il combustibile nucleare viene rimosso dalle piscine di decadimento, per essere stoccato in appositi contenitori oppure riprocessato (vedi sotto). Tutte le componenti vengono poi smontate e decontaminate. Infine si demoliscono gli edifici. RIPROCESSAMENTO Trattamento del combustibile nucleare che ne separa gli elementi costituenti. Da un lato dunque restano i rifiuti veri e propri da mettere in sicurezza, dall’altro lato vengono estratti il plutonio e l’uranio da riutilizzare in altre centrali. GREEN FIELD (prato verde) La condizione in cui nel sito dell’ex-impianto non c’è più traccia di radioattività. BROWN FIELD Gli impianti sono smantellati ma i rifiuti radioattivi sono conservati nei rispettivi siti, in attesa che sia disponibile un deposito nazionale. CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - Prima categoria: dopo alcuni mesi o anni di stoccaggio, la loro radioattività decade e possono essere smaltiti come rifiuti convenzionali. - Seconda categoria: vanno custoditi in un deposito di superficie. La loro radioattività decade nell’arco di decine/centinaia di anni. - Terza categoria: sono i rifiuti più radioattivi, decadono in migliaia di anni e vanno custoditi in depositi geologici. 37


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l’eredità dell’atomo spiega Cognasso. In tale occasione, denunciano gli ambientalisti, sarebbe iniziato il rilascio nel fiume di importanti quantità di trizio. Come nella centrale francese di Chooz, infatti, a Trino non si usavano guaine in zirconio ma in acciaio inossidabile, permeabile al trizio. Tale elemento è sempre stato considerato poco pericoloso perché il suo potere radioattivo diminuisce in circa 12 anni. Di recente la sua tossicità è stata rivalutata: si è scoperto, infatti, che anche piccole quantità vengono facilmente assorbite dal corpo umano e raggiungono soprattutto occhi, sangue e midollo. «Noi cittadini vogliamo vederci chiaro sulla storia della centrale e sul suo futuro, perché non sappiamo cosa stia succedendo al suo interno. Considerato che al mondo gli esempi di centrali smantellate sono pochissimi, perché dobbiamo essere le cavie di un esperimento così delicato dal punto di vista tecnico, economico e sanitario, e per giunta esserne tenuti all’oscuro?», denuncia Cognasso.

IN ATTESA DEL DEPOSITO PER LE SCORIE Si spiega così la nascita, quest’estate, di un Comitato di vigilanza sul nucleare, che – in un paese di me-

no di 7.500 anime – ogni settimana macina adesioni a decine. Il timore principale, espresso anche in alcuni ricorsi presentati con esito negativo al Tar del Lazio, è che si allunghino i tempi per identificare il Deposito Nazionale per le scorie (vedi BOX ). E che queste ultime restino a tempo indefinito nelle centrali. Che non sono idonee, in primis perché sono vicine all’acqua (necessaria al raffreddamento), mentre le scorie vanno smaltite in luoghi isolati dai bacini idrici. «L’Ispra ha emesso la guida per arrivare al Deposito Nazionale – conclude Cognasso – ma ci vorranno ancora anni. Vogliamo che i criteri di Ispra vengano seguiti alla lettera il prima possibile: dunque chiediamo a Sogin di fermare tutte le operazioni in corso per scongiurare la costruzione di depositi temporanei». L’ingegner Lamberto Matteocci, responsabile del servizio di controllo attività nucleari all’Ispra, getta acqua sul fuoco: «Bisogna riconoscere che l’uscita di questi criteri è un primo passo molto importante. Nessuno nega che sarà un percorso complesso e che serva una forte determinazione nazionale, perché il problema della gestione dei rifiuti radioattivi non può essere indebitamente trasferito alle future generazioni». ,

SE IL DECOMMISSIONING È MILITARE ANCHE L’INFORMAZIONE È UN SEGRETO di Paola Baiocchi

Molti interrogativi attorno allo smantellamento del reattore nucleare della Marina nel Pisano. Da quattro mesi è iniziato lo sversamento delle acque radioattive, in mare Nel territorio pisano la presenza militare è capillare e spesso non evidente: è il caso del Cisam, il Centro interforze studi per le applicazioni militari dove, dagli anni ’60, c’è un reattore nucleare di ricerca RTS-1, del tipo a piscina, moderato e raffreddato ad acqua leggera. Il centro di ricerche della Marina militare è immerso nel folto della pineta a poche centinaia di metri dallo straordinario sito archeologico della basilica di San Piero a Grado e vicino alla base statunitense di Camp Darby, conosciuta anche come l’università dell’eversione di destra. In quel38

lo che è stato per anni il più grande centro di ricerche nucleari delle forze armate italiane, è stato studiato l’utilizzo dell’energia atomica per la propulsione navale; ma qui molto probabilmente è stato anche messo a punto, tra il ’71 e il ’76, il “carburante solido ad alto potenziale per razzi”, testato nel poligono di Quirra in Sardegna con un vettore a due stadi dotato di missile Alfa, che avrebbe dovuto trasportare e sganciare testate atomiche. Certo è che delle attività del Cisam, svolte anche con la facoltà di Ingegneria nucleare dell’Università di Pisa, la cittadinanza sa poco: per anni è rimasto segreto che il centro ospitava pure il deposito di rifiuti radioattivi dell'amministrazione della Difesa, proprio alle spalle dell’affollata spiaggia di Marina di Pisa. Con queste premesse si capisce che lo smantellamento del reattore, spento negli anni ’80 per lo stop alla ricerca militare nucleare italiana da parte degli Stati Uniti, susciti interrogativi. È iniziato infatti lo sversa-

mento dei circa 750 mila litri di acqua radioattiva della piscina del Cisam nel Canale dei Navicelli, che dopo poco si immette in mare. Le acque sono state trattate ma, guardando i dati dell’Arpat che esegue i monitoraggi, è evidente che la concentrazione di Cesio-137 e Trizio nei sedimenti del fosso e nel Canale dei Navicelli sono tutti aumentati, a quattro mesi dall’inizio delle operazioni. Siamo proprio sicuri che questo sia il modo più sicuro di smantellare un reattore nucleare? www.arpat.toscana.it/temi-ambientali/ radioattivita/cisam , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


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Frumento e riso sfamano il mondo E il mercato Sono i cereali base nella dieta del Pianeta. Per mezzo secolo la loro produzione ha continuato a crescere coinvolgendo una pluralità di comparti: dall’alimentare alla farmaceutica, dalla finanza alla genetica lementi base nel mercato alimentare. Alimenti base nella dieta di miliardi di persone. Lo dice la tradizione e lo dicono, soprattutto, i numeri della filiera globale. Nel periodo 2013/14, sostiene l’ultimo Food Outlook della Fao, la produzione globale di frumento ha raggiunto i 715 milioni di tonnellate con una crescita significativa rispetto al biennio 2012/13 (660 milioni circa). Nello stesso periodo, la produzione di riso ha sfiorato i 500 milioni di tonnellate, evidenziando un trend costante in relazione ai dati del biennio precedente e alle stime per il 2014/15. In totale, insomma, si viaggia a quota 1,2 miliardi, in pratica quasi la metà dell’intera produzione globale di cereali (2 miliardi e mezzo di tonnellate), un rapporto già di per sé impressionante, ma che colpisce ancor di più osservando la “destinazione d’uso”. Negli ultimi due anni, nota ancora la Fao, i cereali destinati all’alimentazione umana hanno superato di poco il miliardo di tonnellate (1.096 milioni). Di queste, 970 milioni sono state “coperte” dall’accoppiata riso-grano, il cui uso non alimentare resta, a differenza di ciò che accade per gli altri cereali (il cosiddetto comparto “course grain”), decisamente marginale. A conti fatti, insomma, quasi il 90% dell’alimentazione cerealicola di oltre 6 miliardi di esseri umani è tuttora basata su queste due fondamentali varietà.

E

CRESCITA E DIVERSIFICAZIONE Il riso, da qualche tempo protagonista in Europa di una vera e propria bufera di mercato (vedi BOX ), non è stato esente dall’interesse di altri comparti, a cominciare da quello farmaceutico. «Il riso è stato utilizzato con successo per produrre sieroalbumina valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

di Matteo Cavallito

umana, vaccini, anticorpi, citochine e altre proteine farmaceutiche», ricordava lo scorso anno l’International Journal of Molecular Sciences. Nel caso delle proteine, si leggeva, si contavano almeno 16 prodotti farmaceutici differenti. Anche il grano, a modo suo, ha attirato l’interesse della scienza medica, sebbene per motivi diversi. È il caso degli effetti delle selezione genetica del grano che hanno privilegiato le varietà a maggior contenuto di glutine. Ne è derivata una migliore resa nella panificazione ma anche una diffusione delle intolleranze alimentari. Un problema al quale la stessa medicina, oggi, sta tentando di porre rimedio (vedi BOX ). Tra il 1961 e il 2012, ricorda la Fao,

BUFERA ASIATICA SUL RISO ITALIANO Un ciclone di provenienza asiatica. È quello che ha investito il mercato del riso del Vecchio Continente. Colpendo, va da sé, il suo primo produttore. L’Unione europea consuma all’anno circa 2,5 mln di tonnellate di riso lavorato: 1 milione circa della varietà japonica e 1,5 di indica. «L’Italia, con un milione di tonnellate prodotte ogni anno, prevalentemente di qualità japonica, è di gran lunga il leader europeo – spiega Stefano Bocchi, ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee presso l’Università degli Studi di Milano – e, va da sé, il produttore che maggiormente soffre la concorrenza del riso indica proveniente dal Sud-est asiatico, che, ovviamente, è venduto a prezzi molto più bassi, circa 220-260 euro a tonnellata». Pochi mesi fa, ricorda il docente, le importazioni in Europa dai mercati asiatici erano pari, su base annuale, a 100 mila tonnellate circa ma entro la fine dell’anno potrebbero raddoppiare. «L’Italia chiede nuovi dazi, ma rischia di trovarsi isolata in sede europea, senza contare che, anche in caso di assenso da parte dell’Ue, il Wto potrebbe avviare una procedura di infrazione contro il nostro Paese». Una situazione tipica, allo stato attuale delle politiche agricole e commerciali europee, che potrebbe ripetersi a breve anche per altri comparti. «In futuro – conclude Bocchi – potrebbe toccare al frumento». [M.Cav.] 39


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aspettando expo: uno sguardo al nostro cibo 152%. Nello stesso periodo, quello dei cereali è aumentato del 181% (vedi GRAFICO 3 ).

GRAFICO 1: PRODUZIONE MONDIALE DI GRANO 1961-2012 FONTE: FAO (FAOSTAT3.FAO.ORG), 2014. NOSTRE ELABORAZIONI

+302%

[tonnellate] 800.000.000 700.000.000 600.000.000 500.000.000 400.000.000 300.000.000 200.000.000 100.000.000 0.000

1961 1965

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1975

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1985

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1995

2000

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GRAFICO 2: PRODUZIONE MONDIALE DI RISO 1961-2012 FONTE: FAO (FAOSTAT3.FAO.ORG), 2014. NOSTRE ELABORAZIONI

+340%

[tonnellate] 800.000.000 700.000.000 600.000.000 500.000.000 400.000.000 300.000.000 200.000.000 100.000.000 0.000

1961 1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

2005

2012

GRAFICO 3: L’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI CEREALI: 2000-2014 FONTE: FAO, (WWW.FAO.ORG/WORLDFOODSITUATION/FOODPRICESINDEX), LUGLIO 2014

300 250 200 150 100 50 0

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 giu ’14

Indice prezzo del cibo

Indice prezzo dei cereali

la produzione di grano è cresciuta del 302%, quella del riso del 340% (vedi GRAFICI 1 E 2 ). Un aumento che segue un evidente fattore di domanda legato alla crescita della popolazione mondiale nel medesimo periodo e che, nel primo decennio del XXI secolo, si è accompagnato a un clamoroso aumento dei prezzi (oggi rientrato). Dal 2000 al 2011, complice lo sviluppo dei mercati finanziari (vedi BOX ), il prezzo medio delle materie prime alimentari (misurato dal Food Price Index della Fao) è cresciuto del 40

I SIGNORI DEI SEMI Ad assumere un ruolo decisivo nel settore, però, non sono solo gli operatori finanziari. Ci sono i grandi trader delle materie prime, ovviamente, giganti come Glencor, Trafigura, Vitol e Gunvor, specializzati nel mercato delle commodities (alimentari e non). Ma ci sono anche, se non soprattutto, i “signori della genetica”, colossi delle sementi e non solo, veri e propri protagonisti degli ultimi decenni. Negli anni ’70, ricorda una recente inchiesta di Report citando dati Fao, esistevano circa 7.000 compagnie sementiere e nessuna superava l’1% del mercato mondiale. Oggi, rileva ETC Group, un’organizzazione internazionale che promuove la regolamentazione dell’ingegneria genetica, «appena sei multinazionali – Syngenta, Bayer, BASF, Dow, Monsanto e DuPont – controllano il 60% del mercato mondiale dei semi, il 76% del settore della chimica applicata all’agricoltura e il 100% del comparto delle sementi geneticamente modificate». Un segmento, quest’ultimo, caratterizzato dal peso dei brevetti, da sempre fonte di enormi profitti. L’attività di queste ultime condiziona ovviamente il mercato dei cereali e riso e grano, va da sé, non fanno eccezione. Lo evidenzia, tra gli altri, il caso del KAMUT®, una varietà di grano che è al tempo stesso un marchio registrato presso lo United States Patent and Trademark Office. Diverso il caso del Golden Rice, una varietà di riso geneticamente modificata con l’inserimento di beta-carotene che funge da precursore di sintesi della pro-vitamina A. L’idea, sviluppata da tempo dall’International Rice Research Institute (IRRI), un’organizzazione no-profit di base nelle Filippine, è quella di realizzare su vasta scala una varietà con maggiori proprietà nutrizionali. «L’IRRI ha dichiarato di voler rinunciare a qualsiasi brevetto sul Golden Rice, il che impedirà alle grandi multinazionali del settore di entrare in un ipotetico business», spiega Stefano Bocchi, ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee presso l’Università degli Studi di Milano. «Ma il problema è che il Golden Rice non risolve la questione fondamentale della diversificazione della dieta. Nei Paesi poveri dell’Asia, per i quali il prodotto è stato pensato, i consumi di riso sono già enormi. L’arricchimento di quest’ultimo, insomma, rappresenterebbe soltanto un’innovazione di prodotto, non di sistema. Una soluzione di dubbia efficacia, che rischia tra l’altro di semplificare eccessivamente le colture in quelle aree geografiche». , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


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ARRIVA IL GLUTINE AMICO Il pane, la pasta e la pizza possono essere un veleno per chi soffre di celiachia, un’intolleranza permanente al glutine. Questa proteina complessa si trova nell’avena, nel frumento, nel farro, nel kamut, nell’orzo, nella segale, nella spelta (una varietà di farro) e nel triticale (un ibrido tra la segale e il grano tenero). Per stare bene i celiaci devono eliminare il glutine dalla dieta, cosa complicata dal fatto che può trovarsi in molti alimenti non farinacei: dalla bresaola, alla mortadella, agli affettati di pollo o tacchino, negli yogurt ai cereali o negli hamburger, oppure nelle uova in polvere, e quindi in molti biscotti anche di cereali permessi. Per molto tempo si è pensato che fosse una malattia pediatrica; il collegamento con il grano è stato stabilito nel 1940, con il glutine nel 1952. Da allora si sono fatti molti passi avanti nella diagnosi precoce, e si sono sviluppati presidi dove effettuare il test. Per questo i numeri della celiachia sono in crescita. «Si stima che la celiachia interessi l’1% della popolazione», spiega Wanda Carusi, segretaria per la Toscana dell’Associazione italiana celiachia (Aic). «In Italia ci sono circa 130 mila celiaci diagnosticati, questo vuol dire che potrebbero esserci più di 400 mila persone che non sanno di esserlo, anche se ci sono 10 mila nuove diagnosi l’anno». Il problema è che la malattia ha spesso un andamento silente e la si può scoprire anche in età adulta. È recente la notizia di un procedimento brevettato in Italia che rende il glutine assorbibile dai celiaci, messo a punto da Aldo Di Luccia e Carmen Lamacchia, con la ricercatrice del Cnr Carmela Gianfrani. Associazione italiana celiachia (Aic) www.celiachia.it

La spiga barrata è un simbolo registrato e di proprietà dell’Associazione. Indica i prodotti per i quali sia stata accertata l’idoneità al consumo da parte dei celiaci: contenuto di glutine inferiore ai 20 ppm secondo quanto indicato dall’Aic e dal ministero della Salute.

Il logo del progetto Alimentazione fuori casa dell’Aic: contrassegna un network di esercizi che offrono un servizio idoneo alle esigenze dei celiaci: pizzerie, pasticcerie, ma anche ospitalità su barche a vela, distributori automatici, B&B e case vacanza.

I CEREALI? SONO SOLDI di Matteo Cavallito

Com’è noto da anni la finanza ha messo le mani sul mercato dei cereali. Anche le grandi multinazionali devono piegarsi al potere della Borsa A caratterizzare il mercato dei cereali, riso e grano compresi, sono da tempo i contratti derivati a cominciare da futures e forward. Strumenti di copertura dalle oscillazioni dei prezzi, ovviamente, ma anche mezzi di speculazione pura e semplice. La stessa speculazione, va da sé, che caratterizza le operazioni dei cosiddetti operatori “non-commercial”, ovvero i fondi di investimento che non operano direttamente nel mercato fisico, ma si limitano a scambiare il celebre cibo di carta, giocando sui margini di prezzo dei contratti. Dal 2003 al 2014, ricordava di recente il magazine britannico Farmers Weekly, l’ammontare delle posizioni dei fondi speculativi sui contratti derivati scambiati a Chicago su grano, mais e soia è aumentato di cinque valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

volte. Il dato impressiona, ma per qualcuno, comprensibilmente, non rappresenta una novità. Mario Boggini, revisore dei conti presso l’Associazione Granaria di Milano e trader con trent’anni di esperienza, parla senza mezzi termini di «scoperta dell’acqua calda». La forte presenza della finanza, spiega a Valori, «è un fenomeno a cui noi operatori stiamo assistendo da anni, per lo meno da quando la Cina è entrata con forza nel mercato». La verità, in altre parole, è che «i cereali ormai sono soldi. C’è da anni una speculazione enorme sul mercato per l’azione dei fondi di investimento, dei fondi assicurativi e degli operatori finanziari “non-commercial” in generale. La domanda – aggiunge – investe sia i prodotti che i sottoprodotti, come le farine, ad esempio, e coinvolge diversi contratti a termine, come i futures, che vengono scambiati nelle piazze principali a cominciare da quella di Chicago, proseguendo con Winnipeg, Budapest e Parigi». Come a dire una «proliferazione di contratti derivati che andrebbe certamente regolamentata». Le conseguenze del fenomeno sono almeno due. La prima, implicita, è la forte di-

pendenza della volatilità dei prezzi dagli umori del comparto finanziario. La seconda, assai meno scontata, è il ridimensionamento del potere dei grandi gruppi multinazionali. Ovvero dei mega produttori. Lo evidenzia, tra gli altri, il caso dell’Italia, da sempre fortemente dipendente dalle importazioni di materie prime. «Giganti come Cargill, Nidera, Louis Dreyfus Commodities, Bunge e così via costituiscono un oligopolio», ricorda ancora Boggini. «Ma, nonostante la struttura del mercato, questi operatori non hanno incidenza distorsiva, visto che oggi è possibile controllare in tempo reale i prezzi dei mercati di origine, vale a dire le stesse Borse delle materie prime. Per dirla in altri termini, i valori osservati alla Borsa di Milano seguono ormai in modo quasi perfettamente lineare quelli di Chicago». , 41


fotoracconto 05/05

Innovazione sociale è anche Reciclando Aceite, una piccola realtà di Buenos Aires che produce sapone a partire dagli scarti di olio vegetale per uso domestico. Raccolgono porta a porta bottiglie di olio da frittura e realizzano in modo artigianale sapone ecologico e biocarburante. L’attività occupa prevalentemente donne e coinvolge molti volontari nella raccolta delle bottiglie di olio: gli smaltitori ricevono in cambio una saponetta per ogni litro 42

di olio consegnato. Un modo per contenere l’inquinamento dell’olio, per ridurre gli sprechi, per creare occasioni di lavoro. È contemporaneamente un esempio di green economy, di share economy e di social innovation.

FOTO: MIUKI BARRIGA (GRANDE, IN ALTO), FRANCISCA ESPINOZA CURIMIL (QUI SOPRA)

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


MININEWS

La Puglia dice sì all’equo e solidale Dopo Toscana (2005), Friuli Venezia Giulia (2005), Abruzzo (2006), Umbria (2007), Liguria (2007), Marche (2008),

Lazio (2009), Emilia Romagna (2009), Piemonte (2009) e Veneto (2010), anche la Puglia ha una legge ad hoc sul commercio equo e solidale, è la prima regione del Sud. È stata approvata il 22 luglio scorso e mira a un maggior riconoscimento e sostegno alla filiera del commercio solidale nella regione.

NUMERI

70 milioni di euro al giorno la spesa militare italiana (Sipri)

VALORITECA 4-14 SETTEMBRE | MILANO

APPUNTAMENTI PARCO COMUNALE DI VILLA GUARDIA (COMO)

MILANO FILM FESTIVAL

20-21 SETTEMBRE

L’isola che c’è. Fiera provinciale delle relazioni e delle economie solidali In mostra progetti di solidarietà, sostenibilità ambientale e filiere corte della Provincia di Como. www.lisolachece.org/progetto/fiera-2014

ZEIT DER KANNIBALEN / AGE OF CANNIBALS

LAMPEDUSA

1-5 OTTOBRE

Sabir. Festival diffuso delle culture mediterranee A un anno dal naufragio del 3 ottobre 2013 un festival per raccontare un’altra Lampedusa, organizzato da Arci, Comitato 3 ottobre e Comune di Lampedusa. Dibattiti, teatro, musica e libri. Direttore artistico degli eventi teatrali è Ascanio Celestini, degli eventi musicali Fiorella Mannoia. www.festivalsabirlampedusa.it

LIFE IN PARADISE ILLEGALS IN THE NEIGHBOURHOOD

BERTINORO (FORLÌ)

10-11 OTTOBRE CHILDREN 404

È arrivato alla 19ª edizione lo storico festival del cinema indipendente che si tiene ogni anno a Milano. 200 le opere proiettate quest’anno, raramente visibili in sala, tra anteprime internazionali e incontri con i talenti emergenti. Ci sarà il Concorso Lungometraggi, aperto a opere prime e seconde di registi provenienti da ogni parte del mondo, e il Concorso Cortometraggi, riservato a registi under 40, affiancati da sezioni fuori concorso, film in anteprima, ospiti, workshop, eventi paralleli. Particolarmente cara a Valori la sezione “Colpe di Stato”, la rassegna che affronta la realtà complessa del sistema di potere nel mondo (nell’immagine i fotogrammi di due film di questa sezione: Children 404, un documentario di Pavel Loparev e Askold Kurov sulla situazione in Russia dopo la legge anti-propaganda gay, e Life In Paradise - Illegals in the Neighbourhood, sull’asilo politico in Svizzera. Si inserisce anche uno scatto di Zeit der Kannibalen / Age of Cannibals di Johannes Naber, una sorta di “The Wolf of Wall Street” in versione germanica. www.milanofilmfestival.it

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Le Giornate di Bertinoro per l’economia civile “Dal dualismo alla coproduzione. Il ruolo della società civile”. È il titolo della XIV edizione della manifestazione dedicata al dialogo sul ruolo e le attività del Terzo Settore. www.legiornatedibertinoro.it

TUTTA ITALIA

11-26 OTTOBRE

“The power of you” Una nuova campagna con cui Fairtrade Italia ricorda il potere delle scelte quotidiane. Due settimane di eventi in diverse città italiane dedicati alla sostenibilità e promozioni sui prodotti Fairtrade. www.thepowerofyou.org.nz

FIRENZE

17-19

Novomodo. Responsabilità di tutti

OTTOBRE

Una nuova iniziativa culturale promossa dagli stessi partner di Terra Futura: Acli, Arci, Banca Etica, Caritas Italiana, Cisl, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Legambiente. Si terrà a Firenze, all’Auditorium di Sant'Apollonia. Un momento di confronto sulle sfide del futuro. www.novomodo.org - news@novomodo.org 43



INTERNAZIONALE

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / ROBERTO STUCKERT FILHO/PRESIDÊNCIA DA REPÚBLICA

IL BRASILE AL VOTO

voler proprio cercare la coincidenza, il sette quest’anno in Sudamerica ha un ruolo centrale: sette sono stati i goal che il Brasile ha subito dalla Germania, nella partita dove sono stati eliminati dai Mondiali. E sette sono anche le tornate elettorali che si svolgono quest’anno nel continente latinoamericano: si sono già tenute quelle di Costa Rica, El Salvador, Panama e Colombia, dove sono stati rinnovati i presidenti, con qualche sorpresa rispetto alle previsioni. In Costa Rica ha vinto il candidato Luis Guillermo Solis, del Partito d’azione cittadino di centrosinistra. In Salvador è stato eletto Salvador Sanchez Ceren, un ex comandante dei guerriglieri del Fruente Farabundo Martì. Mentre a Panama ha vinto Juan Carlos Varela, l’imprenditore del rhum appartenente all’Opus Dei. In Colombia il presidente, Juan Manuel Santos, è riuscito a ottenere la rielezione facendo convergere su di sé un ampio fronte di sinistra, che

A

di Paola Baiocchi

Il consenso verso la presidente Dilma Rousseff è crollato: aumenti delle tariffe, corruzione, ingiustizie sociali e servizi pubblici sgangherati, sono i maggiori problemi. Dopo la morte di Eduardo Campos, alle elezioni dovrà vedersela con Marina Silva valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Dilma Vana Rousseff Linhares, presidente del Brasile, eletta alle elezioni del 2010 e in carica dal gennaio 2011 45


internazionale

un paese in piazza

rischia di non tenere ora nella trattativa con cui si vuole mettere fine a mezzo secolo di conflitto armato con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia legate ai narcotrafficanti.

LA PRESIDENTE FISCHIATA Ma le elezioni più attese sono sicuramente quelle brasiliane (le altre nel BOX qui accanto) fissate per il 5 ottobre, quando verranno rinnovati anche Parlamento e Senato. La presidente in carica, Dilma Rousseff, ha avuto un tracollo di popolarità, non certo dovuto al pessimo risultato della nazionale brasiliana nei Mondiali di calcio, quanto piuttosto alla somma di promesse mancate di un gigante che occupa ormai la sesta posizione tra le potenze geopolitiche mondiali, ma che cresce nella diseguaglianza. Durante il 2013 il Brasile è stato attraversato da grandi manifestazioni che si sono estese a macchia d’olio, con migliaia di studenti che protestavano contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici. Organizzate dal Mtst (il movimento dei senza tetto) e dal Movimento passe livre (Mpl) che lotta per la gratuità dei trasporti e riunisce studenti, giovani lavoratori, disoccupati delle periferie delle capitali brasiliane e alcune organizzazioni di sinistra, le manifestazioni hanno incontrato la durissima repressione della polizia militare, ma hanno ottenuto il dietrofront sull’aumento del biglietto. «La gestione della protesta è stata chiarissima – spiega Osvaldo Coggiola, professore del sindacato brasiliano degli insegnanti – nessuno doveva disturbare i megaeventi, la Coppa delle confederazioni (vinta dal Brasile, ndr), i Mondiali e

GIRO ELETTORALE DEL MONDO Chiudono i rinnovi presidenziali in Sudamerica le elezioni del 12 ottobre in Bolivia e del 26 ottobre in Uruguay, dove il presidente in carica Pepe Mujica non potrà correre. Nel Vecchio Continente, invece, dopo la grande tornata delle europee, le elezioni si svolgeranno nei paesi dell’ex blocco sovietico o in quella che una volta era la sua area di influenza: a ottobre si vota in Bosnia-Herzegovina per il presidente e per il Parlamento. A novembre votano per il presidente in Romania, dove si prevede vincerà un socialdemocratico; nello stesso mese la Bulgaria e la Moldavia rinnovano il Parlamento. Una delle date più attese è il 4 novembre, quando gli Stati Uniti andranno a votare per rinnovare tutti i 435 membri della Camera, 35 dei 100 membri del Senato e alcuni governatori e Parlamenti dei singoli Stati. Le due Camere del Congresso statunitense attualmente non hanno la stessa maggioranza: la Camera è controllata dai repubblicani, il Senato dai democratici. Per conquistare il Senato i repubblicani hanno bisogno di guadagnare 6 seggi, mentre per conquistare la Camera i democratici ne devono guadagnare 18, ma nessun presidente negli ultimi cento anni è mai riuscito a riconquistare la maggioranza durante il secondo mandato. E gli indici di gradimento di Obama sono ai minimi storici. In Argentina, intanto, sono cominciate le grandi manovre per le presidenziali del 2015. Cristina Kirchner non potrà essere riproposta perché la Costituzione attuale non permette il terzo mandato consecutivo e il suo “Frente para la Victoria” non ha ancora un candidato autorevole. [Pa.Bai.]

le Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro. A costo di istituzionalizzare i “nuovi schemi di sicurezza”». Poveri e disoccupati hanno fischiato la presidente nelle piazze. La classe media l’ha poi fischiata negli stadi durante i Mondiali. In Parlamento, invece, ha perso l’appoggio, ricevendo una sonora bocciatura (430 no e 9 sì) su una proposta di emendamento costituzionale che avrebbe bloccato le indagini sui casi di corruzione che coinvolgono il governo.

TAGLI AL BILANCIO E PRIVATIZZAZIONI Intanto i lavori per le Olimpiadi del 2016 vanno avanti tra scandali e ritardi gravissimi. «La mossa del governo di fronte alle proteste – continua Coggiola – è stata di promettere il 100% delle royalties

Bolivia: la campagna elettorale del presidente calciatore Nell’anno dei Mondiali il presidente Evo Morales gioca la sua carta calcistica: nella stagione 2014/2015 giocherà nella massima serie del campionato, nella compagine dello Sport Boys, squadra di Warnes, del dipartimento di Santa Cruz. A nessuno sfugge che 46

il 12 ottobre ci saranno le elezioni e che il presidente in carica ha ora un consenso più contenuto, per cui il ricorrere allo sport più popolare e giocare con la maglia numero 10 è evidentemente una mossa propagandistica. Morales ha anche ottenuto un’interpretazione “creativa” del

Tribunale costituzionale, che gli ha permesso di aggirare il divieto delle tre candidature consecutive contenuto nella Costituzione del 2009, per la quale il secondo mandato del 2006/10 non conterebbe, perché eletto durante la valenza della vecchia Costituzione. [Pa.Bai.]

dei giacimenti petroliferi sottomarini per le scuole: in verità il 92% dei profitti del petrolio va alle multinazionali che possiedono le concessioni». Comunque la promessa si è persa dopo il taglio al bilancio di 10 miliardi di reali, che si sono sommati ai 28 miliardi di tagli dello scorso anno, «per raggiungere le mete dell’avanzo primario imposte dal Fmi», aggiunge Coggiola. Clientelismo, corruzione tra i politici e la polizia, contrazione delle esportazioni sulle quali si è costruito il boom brasiliano, privatizzazioni e aiuti di Stato alle imprese private mentre sanità, scuola e strutture pubbliche sono inefficienti, sono i nodi del sistema brasiliano, che non sembra minacciato dai candidati. I pretendenti sono ora nove, dopo la morte di Eduardo Campos (Partito socialista brasiliano, Psb), scomparso il 13 agosto in un incidente aereo, che si presentava in ticket con Marina Silva. La Silva sarà il vero rivale da battere: ex compagna di partito della Rousseff, pesca nella sua stessa riserva elettorale e anche tra i cattolici conservatori. «Tra i candidati – spiega Coggiola – solo tre superano il 10%: Dilma Rousseff (Pt/Pmdb e alleati), Aecio Neves (Psdb) e Marina Silva (Psb). La Rousseff potrebbe vincere al ballottaggio». , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


fallimento a tavolino

internazionale

Argentina, l’ottava volta non si scorda mai Il default argentino di luglio rappresenta una novità assoluta nei modi e nelle cause. Un precedente pericoloso per ogni Paese a rischio bancarotta a sintesi perfetta l’ha offerta nelle scorse settimane l’economista di Harvard, Kenneth Rogoff. «Sarà pur vero – ha scritto sulle colonne del Sole 24 Ore – che le periodiche crisi debitorie del Paese spesso sono l’esito di politiche macroeconomiche auto-distruttive», ma a determinare il default, questa volta, è stato al contrario un fattore imponderabile. Vale a dire «un sintomatico cambiamento di regime del debito sovrano internazionale». Vista con i criteri contabili tradizionali, in altri termini, l’ultima bancarotta argentina, l’ottava dall’indipendenza, appare quasi inspiegabile.

L

UN FALLIMENTO DIVERSO DAI PRIMI SETTE Nel 2002, per dirne una, il rapporto debito/Pil di Buenos Aires viaggiava a quota 164% (dieci punti in meno dell’attuale ratio della Grecia). Oggi siamo sotto al 50% (vedi GRAFICO ). Il fallimento certificato a luglio, di fatto, è qualcosa di realmente nuovo. Un unicum vero e proprio, insomma, erede solo in parte di una storia travagliata iniziata quasi due secoli fa. Nel lontano 1822, l’amministrazione di Buenos Aires contrasse un prestito da 1 milione di sterline (che, con una certa approssimazione, equivarrebbero a oltre 90 milioni di dollari di oggi*) dalla banca

di Matteo Cavallito

britannica Baring Brothers per finanziare, a un tasso di interesse del 6%, la costruzione del porto cittadino. Cinque anni dopo, il Paese era già in default. Da allora, escludendo l’ultimo, ne sono seguiti altri sei: nel 1890, 1951, 1956, 1982, 1989 e, ovviamente, nel 2001. L’anno in cui il Paese registra il settimo fallimento della sua storia gettando le basi per l’ottavo. Tredici anni fa, schiacciata da un debito complessivo che si aggirava sui 100 miliardi di dollari, l’Argentina aveva perseguito l’unica strada percorribile: quella della ristrutturazione. Il sistema, come noto, funziona più o meno così: le obbligazioni che non si possono più pagare vengono scambiate con nuovi titoli

a scadenza differita e a tassi di interesse più “umani”. I creditori, a conti fatti, perdono buona parte dell’investimento ma riescono comunque a recuperare qualcosa. Come a dire, meglio di niente. Il meccanismo è noto come “concambio”, o in questo caso canje de deuda, e consente allo schema del finanziamento di ripartire. Dopo il collasso del 2001, l’Argentina ha completato il processo in due fasi, nel 2005 e nel 2010, ristrutturando il debito con il 92% dei suoi creditori. Domanda: che ne è stato del restante 8%?

AVVOLTOI IN AGGUATO La risposta si trova nelle aule di tribunale, i luoghi in cui i creditori dissidenti

ARGENTINA: DEBITO VS PIL 2000-2014 FONTI: DATI MCKINSEY - WALL STREET JOURNAL IN PORTAL LA TDF (WWW.LATDF.COM.AR), NOVEMBRE 2013. TRADING ECONOMICS (HTTP://ES.TRADINGECONOMICS.COM), AGOSTO 2014. NOSTRE ELABORAZIONI

180%

164%

debito/Pil (%)

160%

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20% *Nostra elaborazione su dati UK Government National Archives (apps.nationalarchives.gov.uk) valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

0%

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 47


internazionale fallimento a tavolino hanno presentato le proprie istanze per ottenere il pagamento del prezzo pieno dei vecchi titoli, maggiorato, va da sé, di relative more e interessi. Tra i querelanti di Buenos Aires a fare la voce grossa è stato soprattutto NML Capital, un fondo di investimento della Elliot Capital Management, società finanziaria registrata nelle Isole Cayman. NML ha comprato i bond in default a prezzo di saldo con l’obiettivo di incassare il valore originario realizzando una plusvalenza. Un’attività rischiosa, ma anche molto redditizia, il core business, per così dire, dei cosiddetti distressed debt funds, meglio noti come “fondi avvoltoio” (o fondos buitres per gli ispanofoni). Da anni queste creature finanziarie agiscono prendendo di mira i debiti problematici con una certa predilezione per quelli dei Paesi africani (vedi Valori n. 78, aprile 2010), ma senza trascurare altre opportunità contingenti come dimostra il caso, attualissimo, del mercato immobiliare irlandese vedi BOX ). Il 21 novembre 2012, la Corte distrettuale di Manhattan presieduta dal giudice Thomas Griesa ordina all’Argentina di saldare il conto con NML e gli altri creditori che si sono opposti al concambio con un esborso totale da 1,3 miliardi, congelando le operazioni della New York Mellon, la banca Usa attraverso la quale Buenos Aires salda gli interessi ai creditori che hanno ristrutturato. L’Argentina è in clamorosa difficoltà, anche perché i

GLI AVVOLTOI? FANNO ROTTA SULL’IRLANDA Potrebbero essere diecimila i mutui irlandesi attualmente sotto il controllo delle cosiddette “entità non regolamentate”, vale a dire società finanziarie e fondi di investimento classificabili, in linea teorica, come vultures, “avvoltoi”. Lo ha ammesso ad agosto il ministro delle Finanze di Dublino, Michael Noonan, nel corso di un’interrogazione parlamentare. La vicenda trae la sua origine dalla parabola della Irish Bank Resolution Corporation (IBRC), la creatura nata dalla fusione degli istituti bancari Anglo Irish Bank e Irish Nationwide Building Society, nazionalizzati tra il 2009 e il 2010. IBRC è stata messa in liquidazione nel febbraio del 2013, un provvedimento che ha determinato il collocamento sul mercato degli assets in portafoglio. A cominciare dai mutui. E qui, nota il quotidiano irlandese The Journal, iniziano i problemi. Perché una volta passati di mano i prestiti cessano di essere protetti dal cosiddetto Code of conduct on mortgage arrears, vale a dire l’insieme delle linee guida a tutela del debitore stabilite dalla Banca centrale. I nuovi investitori – soggetti del calibro di Mars Capital Ireland Limited, sussidiaria di Oaktree Capital Management LP, una public company quotata a Wall Street che gestisce un portafoglio da 91 miliardi di dollari – si troverebbero nella condizione di gestire assai più liberamente il credito imponendo, ad esempio, un innalzamento dei tassi di interesse. Con gravi conseguenze per i debitori. [M.Cav.]

dollari vanno esaurendosi. Da tempo l’inflazione viaggia sopra il 20%, costringendo il Paese a sostenere la propria valuta sul mercato attingendo alle riserve valutarie, che, non a caso, si sono ridotte di oltre il 40% rispetto a quattro anni fa (vedi GRAFICO ). Ma il vero problema è che la nazione, in termini legali, si trova in un vicolo cieco. Se l’Argentina paga, la ristrutturazione salta. Se si rifiuta di farlo, va incontro allo stesso risultato. Buenos Aires non si arrende e arriva fino alla Corte Suprema, che però a giugno fa sapere di non voler discutere il caso. Il 30 luglio l’Argentina di-

ARGENTINA: IL CROLLO DELLE RISERVE VALUTARIE 2004-2014 FONTI: WORLD BANK, AGOSTO 2014 (HTTP://DATA.WORLDBANK.ORG), BANCO CENTRAL DE LA REPÚBLICA ARGENTINA IN PÁGINA/12 (WWW.PAGINA12.COM.AR), 4 AGOSTO 2014.

60.000

Riserve in valuta estera

52.208 50.000

46.149 46.385

48.007

46.226

(in mln di dollari)

43.223

40.000

28.082

30.000 20.000

32.022

30.534 29.278

19.660

10.000 0.000 48

2004

2005

2006

2007

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2012

2013

2014

spone l’invio di 539 milioni di dollari per il pagamento degli interessi sui bond ristrutturati, ma il denaro, come promesso, viene congelato dal tribunale competente di New York. Di fronte all’impossibilità dei creditori di ricevere i propri soldi, Standard & Poor’s dichiara il Paese in “default selettivo”. Fine della storia. O quasi.

QUALI CONSEGUENZE? I timori, a questo punto, sono legati soprattutto alle conseguenze della vicenda. Non tanto, e non solo, rispetto alle prospettive dell’Argentina. Quanto piuttosto a quelle degli altri Paesi. «Con il rallentamento della crescita dei mercati emergenti e l’aumento del debito con l’estero – ha scritto Rogoff – le nuove interpretazioni giuridiche, che rendono più difficili in futuro le svalutazioni contabili e la loro rinegoziazione, non lasciano presagire nulla di positivo per la stabilità finanziaria globale». La delegittimazione del “concambio” come strategia di ristrutturazione, in altre parole, condizionerà negativamente di qui in avanti ogni ciclica bancarotta sovrana registrata dall’indebitato di turno. Nessuno sa a chi toccherà la prossima. Ma la sensazione è che quello dell’Argentina resterà un precedente inquietante e pericoloso. A modo suo, tragicamente indimenticabile. , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


il mondo della ricerca internazionale

Aria nuova in laboratorio La produzione scientifica globale cresce. E il divario nella leadership tra i Paesi ricchi e quelli emergenti si assottiglia. Se la relazione tra ricerca e sviluppo sarà confermata, anche gli Usa potrebbero cadere un Paese che sviluppa tecnologie e un numero impressionante di brevetti: dai 50 mila del 2003 ai 450 mila nel 2012, con un impatto diretto sulla produzione». Se fosse un indovinello non sarebbe difficile rispondere che non è l’Italia, purtroppo, bensì la Cina. Si tratta di un commento del professor Gianfranco Pacchioni, prorettore alla Ricerca dell’Università di Milano Bicocca, a uno studio pubblicato

«È

di Corrado Fontana

a marzo dalla società internazionale Thomson Reuters (The Research & innovation performance of the G20) sul panorama della ricerca scientifica nei Paesi del G20. Un documento che, mentre esprime la tesi secondo cui «la ricerca scientifica e l’attività di innovazione sono fattori predittivi della crescita economica e della prosperità», mette in chiaro come nell’ultimo decennio la produzione scientifica sia globalmente cresciuta per qualità e

LA SOLITUDINE DI EINSTEIN di Corrado Fontana

Come in una classifica globale, i Paesi si affermano sullo scenario della ricerca scientifica internazionale grazie alla citazione delle loro pubblicazioni. E l’Italia, che finora si è ben difesa, rischia un declino La “battaglia” delle pubblicazioni si combatte a suon di citazioni (citation impact) e, per i ricercatori, in base a chi vanta un numero maggiore di hot paper (la cui “classifica” viene aggiornata ogni due mesi da Thomson Reuters), ovvero gli studi scientifici più ripresi sulle riviste autorevoli, relativamente a 22 campi scientifici individuati. La faccenda è seria perché le citazioni non valgono come un “mi piace” su Facebook: uno studio ripreso spesso avrà infatti un maggiore impatto sulla comunità valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

scientifica e, presumibilmente, sulle attività di sperimentazione, o magari addirittura sulle politiche nazionali. È una dinamica che incide sul futuro di una nazione, ma che va letta con qualche cautela, perché «Una ricerca può acquisire un certo status di vertice o popolarità in considerazione del numero di citazioni avute. Ma le citazioni potrebbero essere di segno opposto, positivo o negativo, e, se comparate, annullarsi», ricorda il professor Luigi Nicolais. E non solo. Gianfranco Pacchioni mette anche in guardia dal rischio di seguire troppo le luci della “ribalta citazionale”, dal momento che la scienza procede generalmente per salti: «Molte delle rivoluzioni scientifiche che hanno determinato il benessere economico attuale della nostra società non erano prevedibili e quindi non potevano essere tracciabili attraverso questi strumenti di valutazione. Per fare un esempio eclatante, la teoria della relatività non sarebbe stata cer-

to registrata, perché a lavorarci si stava dedicando un uomo solo». E l’Italia come se la cava?, ci chiediamo. «Facciamo parte, a pieno titolo e diritto, del gotha scientifico mondiale, esprimiamo leadership forti su molti progetti comunitari pluriennali destinati a cambiare il corso dell’economia comunitaria, come ad esempio quello sul grafene, il cosiddetto materiale intelligente del futuro», ci ricorda Nicolais. Una nota positiva confermata dal professor Pacchioni, che tuttavia intravede qualche nube all’orizzonte: «L’Italia sì è difesa molto bene sul piano citazionale, cioè nel riscontro dell’impatto che le nostre ricerche hanno avuto sul piano internazionale. D’altra parte è piuttosto scontato che questo non potrà durare: negli ultimi 4-5 anni l’università italiana, ma anche i centri di ricerca, hanno perso tra il 20 e il 25% dei propri effettivi. La popolazione universitaria invecchia e diminuisce, a causa del blocco del turnover». , 49


internazionale

il mondo della ricerca quantità, ma quello che era un sostanziale monopolio in mano ai soliti noti, Stati Uniti in testa, si sta riequilibrando rapidamente a favore dei Paesi emergenti, Cina über alles, naturalmente.

STANDO ALLE CIFRE

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

CAMPO

Genomica ISTITUTO

Broad Institute of MIT and Harvard

MATTHEW MEYERSON ERIC S. LANDER ROBERT FULTON KRISTIAN CIBULSKIS

STACEY B. GABRIEL RICHARD K. WILSON MICHAEL S. LAWRENCE

SIVACHENKO

Nanyang Technological University

YI CUI

HUA ZHANG

University of Birmingham

ISTITUTO

ISTITUTO

Stanford University

15

15

CAMPO

CAMPO

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

Materiali ISTITUTO

University Manchester

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

HUIJUN GAO

ARDLIE KRISTIN

ANDREY Y.

Materiali

INSTITUTION

KONSTANTIN NOVOSELOV

GAD GETZ ELAINE MARDIS LI DING

LIP GREGORY Y.H.

CAMPO

Materiali

Cardiologia

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

Ingegneria ISTITUTO

Harbin Institute of Technology

valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

225.000

CAMPO

Insomma, se proprio ancora non si può parlare di cambio della guardia, il divario storico tra i “ricchi” della scienza e quelli che un tempo erano “gli altri” si sta assottigliando. Secondo Thomson Reuters il panorama della ricerca mondiale non è più bipartito (Europa e Usa), ma almeno tripartito (Europa, Usa e Asia), se non ancora più frammentato, dovendo contemplare l’avanzata di molti nuovi protagonisti (Brasile, Sudafrica, Arabia Saudita, Turchia) da diverse aree geografiche. Perché, sottolinea il professor Nicolais, presidente del Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr), «i Paesi che adottano politiche scientifiche di sistema – ovvero politiche integrate – dall’ambiente all’industria, dall’economia alla salu-

200.000

CAMPO

SCENARIO AFFOLLATO

175.000

16

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

(+145% di pubblicazioni, spiccando nelle scienze agricole). Contemporaneamente la produzione indiana cresceva circa del 146% (quasi tre volte la media mondiale), passando dai poco più di 21 mila documenti scientifici del 2003 a oltre 45 mila nel 2012, con un aumento percentuale della propria presenza dal 2,5% al 3,6%, che sfigura solo se confrontato con l’inarrestabile avanzata del Dragone. Un raffronto significativo anche pensando al fatto che i picchi di maggior peso del numero di documenti indiani citati viene toccato in chimica (6,3%), ingegneria (5%) e tecnologia (4,8%). Se si va poi a guardare quali Paesi mantengono la leadership nel periodo 2002-2011 tra i cosiddetti Highly Cited Papers, cioè le ricerche più citate della media a livello globale (fissata a 1 come valore), Cina, Turchia e India avanzano notevolmente, pur non superando ancora la soglia base, un Paese come il Messico cresce dallo 0,6 all’1,1%, mentre gli Usa rimangono sostanzialmente al palo (passando dall’1,9% all’1,8%) e l’Europa, vista nel suo complesso, spunta una crescita (da 0,9 a 1,2%), beneficiando di una certa vivacità dei singoli membri (Francia da 1,1 a 1,5%, Germania da 1,2 a 1,7%, Italia da 1 a 1,4%).

150.000

16

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

125.000

Broad Institute of MIT and Harvard

100.000

Brandeis University

ISTITUTO

75.000

ISTITUTO

Genomica

50.000

Genomica

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

CAMPO

25.000

CAMPO

17

0

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

Washington University, St. Louis

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15

50

17

ISTITUTO

225.000

Washington University, St. Louis

Broad Institute of MIT and Harvard

Genomica

200.000

ISTITUTO

ISTITUTO

CAMPO

175.000

Genomica

Genomica

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

150.000

CAMPO

CAMPO

18

125.000

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

Broad Institute of MIT and Harvard

100.000

18

18

ISTITUTO

75.000

Washington University, St. Louis

Washington University, St. Louis

Genomica

50.000

ISTITUTO

ISTITUTO

CAMPO

2

2012

25.000

Genomica

Genomica

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

0

INDIA

2011 0

CAMPO

CAMPO

20

9

2010

225.000

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

Broad Institute of MIT and Harvard

8

2009

200.000

20

21

ISTITUTO

7

2008

175.000

Broad Institute of MIT and Harvard

Broad Institute of MIT and Harvard

Genomica

6

2007

150.000

ISTITUTO

ISTITUTO

CAMPO

5

2006

125.000

Genomics

Genomica

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

4

2005

100.000

FIELD

CAMPO

22

3

2004

75.000

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

PUBBLICAZIONI DI RILIEVO

BRASILE

2003

50.000

21

23

CINA

25.000

SCIENZIATI CHE CONTANO

FONTE: “THE RESEARCH & INNOVATION PERFORMANCE OF THE G20”, THOMSON REUTERS

0

Il numero di documenti registrati in Web of Science (l’enorme banca dati della ricerca scientifica globale su cui si basa Thomson Reuters) mostra che alcune nazioni del G20 hanno aumentato più velocemente di altre la loro produzione di studi scientifici indicizzati. E così, mentre la quota mondiale della Cina è cresciuta dal 5,6% del 2003 al 14% del 2012, quella degli Stati Uniti è scesa dal 33% al 27,8% nello stesso periodo. La Turchia, intanto, balzava in avanti con un +118% di pubblicazioni, passando dall’1,3 all’1,8% globale (grazie soprattutto a ricerche nei campi della tecnologia, dell’ingegneria e dell’agricoltura) e il Brasile passava da 1,7 a 2,7%

LE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE NEL MONDO DAL 2003 AL


il mondo della ricerca

internazionale

2012: I RICCHI RALLENTANO, GLI EMERGENTI CRESCONO ARABIA SAUDITA

TURCHIA

GIAPPONE

USA

ITALIA

225.000

200.000

175.000

150.000

125.000

100.000

75.000

50.000

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0

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425.000

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375.000

350.000

325.000

300.000

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0

375.000

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100.000

75.000

50.000

25.000

0

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225.000

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175.000

150.000

125.000

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75.000

50.000

25.000

0

te, dalla formazione all’innovazione, non solo recuperano i deficit, ma tornano a essere competitivi e di riferimento. Inoltre le loro esigenze o orientamenti scientifici finiscono per diventare dominanti, e quindi anche Paesi che potrebbero esprimere alternative scientifiche e culturali importanti sono costretti a inseguire per non precipitare ancora più indietro». E ciò, facilmente, si traduce in sviluppo economico e industriale. A dimostrarlo c’è proprio il dato da cui siamo partiti, quello del numero di brevetti, in crescita – a volte straordinaria – negli anni più recenti per alcuni (Cina, India, Indonesia, Messico, Arabia Saudita, Turchia), sostanzialmente fermo o in caduta per altri (Europa, Gran Bretagna, Giappone, Russia, Sudafrica, Usa, (vedi GRAFICI ). ,

EUROPA

L’ORIZZONTE EUROPEO DELLA RICERCA Il programma comunitario 2014-2020 di finanziamento per la ricerca e l’innovazione si chiama Horizon 2020 e vale circa 80 miliardi di euro. «Ha tre priorità: scienza eccellente, leadership industriale, sfide sociali – spiega il presidente del CNR Nicolais – ciascuna delle quali a sua volta individua degli obiettivi strategici ben definiti. Ad esempio in leadership industriale lo scopo è affermare e consolidare una supremazia comunitaria nelle tecnologie abilitanti e industriali sviluppabili nei settori dell’ICT, delle nanotecnologie, dei materiali avanzati, delle biotecnologie, fino ai sistemi avanzati di fabbricazione e trattamento e alla ricerca spaziale. Nell’ambito delle sfide sociali, rientrano obiettivi quali sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima e bioeconomia; energia sicura, pulita ed efficiente». Alle risorse del programma si accede partecipando a bandi molto selettivi, creando alleanze nazionali e internazionali con gruppi scientifici e imprenditoriali. [C.F.]

BEAUTIFUL MINDS di Corrado Fontana

Tra gli scienziati più influenti al mondo 55 sono italiani. Tra loro il professor Tognoni. Lo abbiamo intervistato 3.200 sarebbero le menti più brillanti e – soprattutto – più influenti in campo scientifico tra il 2002 e il 2012, secondo l’analisi pubblicata quest’anno da Thomson Reuters in The world’s most influential scientific minds. Ben 55 sarebbero italiane, il 2%, suddivise tra centri di ricerca e università, particolarmente presenti in alcuni settori (15 in medicina; 7 in farmacologia; 5 in scienze agrarie; 4 in campo aerospaziale). E tra loro, nell’ambito della medicina clinica, c’è il professor Gianni Tognoni, direttore scientifico della Fondazione Mario Negri Sud di Chieti. valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Professore, viste le difficoltà attuali, esiste osmosi tra ricerca pubblica e privata? Il problema è sapere quanto il privato è interessato a collaborare con i gruppi indipendenti. A livello mondiale, i margini di collaborazione si riducono in maniera importante, soprattutto quando si cerca di portare nella sperimentazione clinica i risultati della ricerca di base. Una difficoltà crescente nel proporre osmosi tra pubblico e privato evidenziata dalle riviste scientifiche, perché il privato non è interessato a lavorare col pubblico ma tende a sostituirlo. Ciò avviene nella sperimentazione farmacologica ma ancor di più nell’organizzazione sanitaria: c’è un grande dibattito anche nelle Nazioni Unite per portare avanti obiettivi utili alla salute pubblica e non modelli di riorganizzazione in senso assicurativo, che tendano a garantire coperture laddove ci sono risorse; e in un settore come quello oncologico,

con farmaci dal prezzo stratosferico, il pubblico finisce per essere solo il soggetto pagante. In clinica medica, particolarmente, l’Italia mantiene risultati di autorevolezza internazionale. Merito del sistema sanitario che funziona o dei singoli professionisti? Sicuramente molte delle ricerche citate si sono realizzate perché c’è un sistema sanitario che, nonostante tutto, funziona, con élite ospedaliere createsi negli anni ’80 e ’90, soprattutto in settori come oncologia e cardiologia, con una cultura scientifica collaborativa di alto livello. Non è detto tuttavia che le ricerche che godono di un impact factor positivo siano innovative al punto da produrre nuovi trattamenti, ma magari lo sono anche (in un’ottica di risparmio di energie e danaro, ndr) se mostrano ciò che non serve, facendo un ottimo servizio alla salute pubblica. , 51


equocommercio

C’è caso e caso

Un salario giusto per ognuno di Wilbert Flinterman*

alle proteste dei lavoratori dei fast food americani alle numerose contestazioni che si sono susseguite in Paesi europei come Italia, Grecia, Spagna: negli ultimi mesi sempre più spesso fatti di cronaca hanno portato sulle prime pagine dei giornali la questione del salario dignitoso, ovvero una retribuzione in grado di garantire sufficiente qualità della vita per i lavoratori. Per alcuni Paesi esistono dei parametri ufficiali che costituiscono il punto di partenza per una successiva contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro, ma in molte regioni del mondo, tra cui quelle in cui Fairtrade opera, non esiste uno standard riconosciuto. Ad esempio, nelle aree rurali il costo della vita è diverso dalle città, e pertanto i termini di confronto esistenti sul salario minimo (calcolati, ad esempio, per i lavoratori del tessile) non sono adattabili. Per far fronte alla situazione il circuito Fairtrade ha applicato ai lavoratori delle aree rurali la metodologia di calcolo del salario dignitoso di due esperti internazionali del settore,

D * Traduzione di un articolo uscito su The Guardian scritto da Wilbert Flinterman. È un consulente in materia di diritti dei lavoratori e relazioni con i sindacati di Fairtrade International, organizzazione capofila del sistema internazionale di certificazione del commercio equo Fairtrade. 52

Richard e Martha Anker. Tale conteggio si basa su tre “panieri”: cibo nutriente, alloggio dignitoso e soddisfacimento di altri bisogni essenziali (come cure mediche, educazione, trasporti). In questo modo Fairtrade è in grado di determinare come i produttori agricoli effettivamente vivono, portando alla luce dei parametri di misurazione che datori di lavoro, lavoratori e sindacati possono utilizzare nella contrattazione collettiva. Così, a partire dal Sud Africa, l’unità di Fairtrade preposta a supportare i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo ha iniziato a fare un censimento delle spese che devono sostenere i viticoltori nella provincia di Capo Occidentale, intervistandoli sulle loro spese quotidiane, cibo, alloggi, valutando le statistiche sulle dimensioni medie delle famiglie, inclusi i costi per interventi medici. I dati hanno rivelato che per i lavoratori fissi il salario minimo dovrebbe corrispondere a 111 rand al giorno (7.80 €) rispetto ai 105 rand del salario minimo nazionale. Per gli stagionali invece il nuovo calcolo è di 144 rand (9.86 €) al giorno, molto meno di quello che loro in realtà guadagnano attualmente. Dopo il Sud Africa, è stata la volta di Repubblica Dominicana, Malawi, Kenya, ma l’impegno a quantificare un salario dignitoso per le coltivazioni Fairtrade non è sufficiente. Per incidere veramente sul reddito dei lavoratori è necessario un coinvolgimento di tutti i livelli della filiera. Intermediari, aziende e retailer devono riconoscere il problema e lavorare su obiettivi comuni con i loro fornitori e con i sindacati: solo un accordo tra tutti potrà mettere i datori di lavoro di Asia, Africa e America Latina nella condizione di sostenere costi più elevati per gli stipendi. D’altra parte i sindacati devono vigilare per assicurare che tutto ciò si traduca in un effettivo miglioramento per le persone e non solo in pubblicità per le aziende. Per il momento, Fairtrade ha costruito un gruppo insieme alle Federazioni Globali dei Sindacati, ai governi, ad aziende e a coordinamenti di aziende, ad altri sistemi di standard volontari. Ma solo se saranno condivisi e supportati target comuni sul salario dignitoso il lavoro vero potrà iniziare. , valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


603 NIGERIA

GUINEA SIERRA LEONE

1.427

I primi decessi per un’epidemia di ebola nel 1976: 284 in Sudan, 318 nella Repubblica Democratica del Congo, 1 in Gran Bretagna

LIBERIA

I decessi di ebola nel 2014 (al 25 agosto) in Guinea, Liberia, Nigeria, Sierra Leone. In questi 38 anni il virus è stato quasi silente.

 LIBRI ALL’OMBRA DEL BAOBAB. Racconti di un volontario in Africa di Eugenio Susani - Edizioni Dalla Costa, 2013

Sotto il Baobab si raccontano storie. Come quelle di Eugenio Susani, storico volontario di Coopi e tra i fondatori di Mani Tese. Il libro è uscito poco dopo la scomparsa dell’autore.

VALORITECA V 45 ANNI DI INQUINAMENTO NEWS

Il destino di Obamacare Alla fine di luglio dagli Stati Uniti arrivano due sentenze, in contrasto tra loro, riguardo Obamacare, il programma, voluto dal presidente Usa e ostacolato dalle lobby assicurative, che garantisce a tutti un’assistenza sanitaria di base. Una sentenza ha dichiarato i sussidi illegali, la seconda legali se erogati a persone che sottoscrivono il piano su HealthCare.gov, in uno dei 36 stati dove è in vigore. Ora la palla passa alla Corte suprema.

Grafico / BP ha recentemente pubblicato il report Statistical Review of World Energy 2014, che illustra gli scenari della produzione di energia nel mondo negli ultimi 45 anni. E anche le emissioni di anidride carbonica nello stesso periodo. Mostrano gli effetti della rapida recente crescita delle economie non occidentali, Cina in primis. 10 K CINA

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FONTE: BUSINESSINSIDER.COM

I 36 Stati che usano il sistema Healthcare, l’assicurazione sanitaria federale. Gli abitanti rischiano di perdere i sussidi pubblici.

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I 14 Stati dove vige il libero mercato per le assicurazioni sanitarie

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1992 1997 2002

2007 2012

Anno

I MIGLIORI TWEET DEL MESE Obama Just Signed a Hugely Important Workers’ Rights Reform, and No One Noticed http://ow.ly/3o3vdv #1u #hr #p2 (Obama ha appena firmato una fondamentale riforma dei diritti dei lavoratori e nessuno se ne è accorto) @Politics_PR valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014

Most Followed World Leaders 1 @BarackObama 2 @Pontifex (all) | 3 @narendramodi 4 @SBYudhoyono | 5 @cbabdullahgul | 6 @RT_Erdogan (I leader mondiali più seguiti) @ianbremmer 53

FONTE: BP- STATISTICAL REVIEW OF WORLD ENERGY 2014

Montana


bancor

Educazione finanziaria

Indispensabile strumento anti-crisi dal cuore della City Luca Martino

l governo è una finzione attraverso la quale ognuno cerca di vivere sulle spalle degli altri», ebbe a dire, con il suo consueto tono sarcastico, il grande economista Frédéric Bastiat nella prima metà dell’Ottocento. Pensandoci bene, potremmo oggi parafrasare quel passo dei Sofismi economici rincarando la dose: “Governare è la grande scusa con la quale politici e banchieri destinano risorse a gruppi o lobby di riferimento al fine di aumentare le possibilità di essere rieletti e mantenere il potere”. Questo vale, ovviamente, per molti o quasi tutti i rappresentanti della classe politica, in Italia e nel resto d’Europa: le loro “idee”, e le decisioni che ne conseguono, ancorché qualificate come non ideologiche e lontane da schemi di principio (tantomeno da pre-giudizi), sembrano servire a un tornaconto esclusivamente personale. Ma vale anche per i cosiddetti “tecnici” ai quali sono affidate responsabilità spesso molto maggiori di quelle dei politici. Anche loro, dopo quasi un decennio di una crisi economica che ha documentato il fallimento di molti modelli finanziari e monetari e messo a dura prova l’intero framework alla base del sistema economico di matrice liberale (con buona pace di Bastiat), non presentano mai le proprie risoluzioni da un punto di vista ideologico o concettuale. Dicono di basarsi sull’evidenza (!) e di voler favorire il rilancio economico e l’efficienza complessiva dei mercati (?), ma, più che alla stabilità del sistema, le loro condotte sembrano funzionali anzitutto alla stabilità dei loro incarichi. Invero,

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54

in economia come in politica, bisognerebbe avere una maggiore onestà e usare la massima trasparenza nel contestualizzare idee e programmi in una trama fondata per l’appunto su principi e valori: le differenze nei punti di vista e nell’interpretazione delle evidenze possono, infatti, essere talmente profonde che solo un ancoraggio ideologico ne consentirebbe una lettura quantomeno logica e razionale. Dovremmo quindi diffidare della supponenza di coloro i quali si autolegittimano a non argomentare sulla base di principi, nascondendosi dietro lo schermo di frasi e cliché senza senso, messi insieme, direbbe Orwell, “come parti di un pollaio prefabbricato”. Governare non è una scienza così come l’economia non è una scienza esatta, e materie che importano non possono rimanere “fuori dal dibattito”: politici e banchieri dovrebbero spiegare il razionale di fondo, più che i dettagli delle loro scelte, soprattutto dal momento che sempre più spesso si rivelano sbagliate o controproducenti; favorire un dibattito serio e puntuale nel quale si possano chiaramente distinguere dati e fatti da analisi e opinioni; e prevedere sempre criteri di valutazione specifici per ogni scelta fatta. Soprattutto dovrebbero adoperarsi per mettere l’educazione finanziaria al centro dei piani formativi di ogni sistema scolastico, fin dalla prima formazione, cosicché governare voglia dire anche educare e informare: provate a spiegare a un bambino il perché un debito cresca pur in un contesto di avanzo di bilancio o perché ci voglia una certa inflazione per favorire la crescita del Pil; o perché il lavoro sia tassato il doppio della rendita ed esistano luoghi chiamati “paradisi fiscali”; o, ancora, perché si possano vendere titoli azionari senza possederli e investire 100 rischiando solo 10 (ecc.). Affronteremmo così il nocciolo delle questioni e sarebbe forse più facile sperare in un futuro diverso nel quale diritti fondamentali come il lavoro, una pensione o la casa, che per un bambino sono elementari e scontati, non siano più il sogno di pochi e il miraggio di molti. , todebate@gmail.com valori / ANNO 14 N. 121 / SETTEMBRE 2014


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