Mensile Valori n. 113 . 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 113. Ottobre 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

FRANCESCO JODICE

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

La notte dei Brics Dopo anni di crescita a tratti sorprendente, i Paesi emergenti tirano il freno Finanza > La maxi riforma della finanza Usa è impantanata e rischia di essere annacquata Economia solidale > L’industria bellica in Italia va a gonfie vele. E la spesa militare cresce | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Altro che debito! Il mondo ricco deve all’Africa fino a 1.400 miliardi


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| editoriale |

Più ricchi e più poveri Più diseguali di Andrea Di Stefano

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a “droga” iniettata dalle Banche centrali di Usa, Gran Bretagna, Giappone e Cina ha avuto i suoi effetti, facendo risalire i Pil e allontanando lo spettro di una Grande Depressione come negli anni Trenta. Ma quasi tutti i nodi che hanno portato alla crisi più violenta e profonda degli ultimi due secoli, forse da quando il capitalismo ha cominciato a conquistare il mondo, sono rimasti irrisolti. Soprattutto è peggiorata la disuguaglianza, come evidenziato dall’ultimo aggiornamento dell’analisi di Emmanuel Saez, docente di economia all’Università della California, direttore dell’Equitable Growth Center a Berkeley (che trovate in originale su www.valori.it): dal 2009 al 2012 il reddito medio reale per famiglia negli Stati Uniti è cresciuto del 6%, soprattutto grazie alla ripresa del 2012 che da sola è stata responsabile dell’incremento del 4,6%. Ma quello che emerge dall’analisi di Saez è l’incredibile diseguaglianza proprio negli anni della crisi: l’1% della popolazione con i redditi più alti ha registrato un incremento del 31,4%, mentre per il restante 99% i redditi sono cresciuti soltanto dello 0,4%. Nel solo 2012 l’1% più ricco ha registrato aumenti del 19,6%, mentre il 99% dei redditi ha visto un misero +1,0%. Le parole dello stesso Saez sono esplicite: «Questi risultati suggeriscono che la Grande Recessione ha ridotto solo temporaneamente i redditi dell’1%, che nel 2012 raggiunge il 50,4% del reddito nazionale complessivo, in termini percentuali in assoluto il valore più alto dal 1917, cioè da quando sono iniziate le analisi statistiche. Sulla base della documentazione storica la concentrazione del reddito durante le crisi economiche tende ad aumentare se non intervengono drastici cambiamenti delle politiche fiscali. È quello che è accaduto dopo la Grande Depressione con il New Deal che ha messo in atto politiche che hanno ridotto in modo permanente la concentrazione del reddito fino al 1970. I cambiamenti politici che hanno avuto luogo uscendo dalla Grande Recessione (regolamentazione finanziaria e aumento dell’aliquota fiscale sui redditi più alti nel 2013) non sono trascurabili, ma troppo modesti rispetto a quanto venne fatto durante il New Deal». Diversamente che in altri periodi la lezione statunitense è sostanzialmente valida per l’intero sistema, stante la globalizzazione: la concentrazione della ricchezza durante questa crisi ha continuato a crescere e alcuni modesti recuperi salariali nei Paesi cosiddetti emergenti (Cina, Brasile e India) non sono certo sufficienti a riportare sotto controllo un fenomeno di enormi dimensioni. L’aggiornamento dell’analisi di Saez sull’evoluzione della distribuzione del reddito negli Stati Uniti rappresenta solo una conferma del trend individuato da Stiglitz: dal 1993 al 2012 l’1% più ricco ha incrementato il proprio reddito dell’86,1% mentre il 99% ha visto una crescita solo del 6,6%, nettamente inferiore all’andamento dell’inflazione. Numeri che da soli possono essere riprodotti in tutti i Paesi del G-8 e che possiamo sicuramente considerare uno dei nodi principali delle dinamiche internazionali che sottostanno alla trasformazione della crisi in uno stato permanente di instabilità economica. 

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fotoracconto 01/05

Su questo numero di Valori, dalla copertina a numerose pagine interne, diamo spazio a un lavoro di Francesco Jodice, noto artista e fotografo napoletano. Si chiama Citytellers, una trilogia di film sulle nuove forme di urbanesimo, ognuno dedicato a una diversa destinazione: San Paolo, in Brasile; Dubai (Emirati Arabi Uniti) e Aral in Kazakistan. Ogni film affronta un tema di carattere sociopolitico: lo sguardo obiettivo della telecamera penetra negli interstizi del paesaggio urbano, naturale e umano. Il primo film della serie, “Sao Paulo Citytellers” racconta il fenomeno della self-organization tipico delle comunità prive di una reale presenza delle istituzioni. Il secondo è ambientato nelle zone accanto al lago di Aral. La condizione naturale e urbana di questo ecosistema, franato su se stesso per un errore

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di calcolo ingegneristico dell’Unione Sovietica, è al centro della narrazione che offre continue digressioni sulla costruzione di un centro per la sperimentazione di armi chimiche e sulla presenza del più grande cosmodromo del mondo. Infine “Dubai Citytellers”, che descrive il più famoso caso di neourbanismo contemporaneo, con la costruzione frenetica di una cattedrale nel deserto e le contraddizioni che la caratterizzano: da un lato le corse di cammelli per cui venivano sfruttati e torturati i bambini-fantini oggi sostituiti da robot umanoidi, dall’altro la condizione di new slavery alla quale sono sottoposti migliaia di lavoratori indiani, pakistani e bangladeshi. La foto sopra appartiene al capitolo dedicato a San Paolo e raffigura una cartina per i voli degli elicotteri, usati dai ricchi della città come taxi, per muoversi da un luogo all’altro della città.

FRANCESCO JODICE

Francesco Jodice è nato a Napoli nel 1967. Vive a Milano. Ha partecipato a: Documenta, Biennale di Venezia, Biennale di Sao Paulo, Triennale dell’ICP di New York e ha esposto alla Tate Modern, al Castello di Rivoli e al Prado. È docente di Fotografia alla NABA di Milano e al Forma.


FRANCESCO JODICE

| sommario |

ottobre 2013 mensile www.valori.it anno 13 numero 113 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop., Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente). direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Arianna Angeloni, Lucas Brunelle, A. Ferrillo (Bicycle Film Festival); Roger Anis, S. Behn, Dodudidochon (http://commons.wikimedia.org); www.marcocremascoli.it; www.firstfloorunder.com; © Deutscher Bundestag / Werner Schüring; Ilja Luciani

San Paolo, metà in luce e metà in ombra. Descrive così questa metropoli Francesco Jodice in Citytellers. Una metafora perfetta per descrivere la situazione di uno dei cosiddetti Paesi emergenti: tra luci e ombre.

dossier La notte dei Brics

6 8 10 12 14

Mercati e speculazione. L’autunno caldo degli emergenti Innovazione e riserve. Così gli emergenti usciranno dalla crisi India, la bolla sociale Brasile, il sogno è svanito?

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri. chiusura in stampa: 26 settembre 2013 in posta: 30 settembre 2013

globalvision finanzaetica

16

Usa, Dodd-Frank: la storia infinita Pronto Mosca? Abbiamo una banca! «Togliamo alle lobby le chiavi della cassaforte d’Italia» Alla Cdp i mutui cartolarizzati. Il decreto Imu strizza l’occhio alle banche

19 22 24 24

valorifiscali numeridellaterra economiasolidale

26

Guerra continua Energia pulita sempre più su. Dalla politica gli ostacoli Impresa sociale, non ti riconosco più L’Italia delle rinunce Il cash mob diventa etico

31 35 37 39 40

28

Valori

aderisce a

Slot Mob

socialinnovation internazionale Equilibrio glaciale Africa, in debito siamo noi Camerun, reportage dal carcere. O la borsa o la vita!

43 46 48

altrevoci bancor

51 54

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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dossier

a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Matteo Cavallito e Valentina Neri

L’autunno caldo degli emergenti > 8 Innovazione e riserve, la ricetta anti-crisi > 10 India, la bolla sociale > 12 Brasile, il sogno è svanito? > 14


FRANCESCO JODICE

La notte dei Brics Dopo anni di crescita a tratti dirompente, i Paesi emergenti sembrano giunti a un bivio In molti fanno i conti con tassi di crescita in calo, inflazione e proteste. E i mercati giĂ speculano al ribasso

???


dossier

| la notte dei Brics |

Mercati e speculazione L’autunno caldo degli emergenti di Matteo Cavallito

orse in forte calo, in qualche caso addirittura a picco. E poi attacchi alle valute, in un clima di pesante incertezza che condiziona le contromosse delle banche centrali. Il tutto arricchito da prospettive di crescita in via di ridimensionamento. Per i mercati emergenti è stata un’estate tormentata. Ma adesso il rischio è che possa aprirsi un autunno caldo. Colpa di un meccanismo che sembra essersi inceppato, impattando negativamente sul fronte degli investimenti. Così, di colpo, come in ogni crisi che si rispetti.

B

L’effetto Bernanke I guai cominciano il 22 maggio scorso. Nel corso dell’audizione davanti al Joint Economic Committee del Congresso il numero uno della Fed (la Banca Centrale Usa), Ben Bernanke, conferma il programma di quantitative easing, ma ammette per la prima volta che un rallentamento delle operazioni non sarebbe da escludere in un futuro non troppo lontano, qualora i dati macroeconomici chiave (crescita e occupazione Usa) risultassero incoraggianti. La presa di posizione, per così dire, è all’acqua di rose. Ma tanto basta per colpire nel segno gli operatori. Dallo scoppio della cri-

La prospettiva di un rallentamento dell’espansione monetaria Usa scatena una speculazione ribassista sulle nuove economie si gli Stati Uniti hanno perseguito una politica monetaria smaccatamente espansiva fatta di maxi riacquisti di debito (la Fed ricompra in media 85 miliardi di treasuries, ovvero titoli di Stato, al mese) e di tassi di interesse risibili (dal dicembre 2008 allo 0,25%). Nel mercato, in altre parole, piove liquidità a costo zero da reinvestire

dove i rendimenti sono maggiori. Ovvero nelle piazze “emergenti”, a cominciare ovviamente dai “Brics” (Brasile, India, Russia, Cina e Sud Africa), i cinque mercati più promettenti. Ma nel mercato, è noto, nulla dura per sempre. Per questo ipotizzare una data di massima per un rialzo dei tassi Usa equivale oggi a tentare di capire quale possa essere il momento buono per svoltare, piazzando di conseguenza un nuovo tipo di scommessa sui mercati emergenti: quella al ribasso. Esattamente ciò che è accaduto. Nelle 14 settimane successive alla relazione di Bernanke, quasi tutte le Borse hanno scontato il timore di un aumento del costo del denaro. Ma mentre i tradizionali centri di scambio sono andati incontro a contrazioni ridotte, alcune piazze emergenti hanno sofferto l’inverosimile (vedi GRAFICO 1 ). I risultati peggiori si sono registrati però nei mercati valutari dove alcune monete sono andate incontro a svalutazioni a doppia cifra nei

TURCHIA, TRIPLICA IL DEBITO ESTERO, CROLLANO LA LIRA E LA BORSA Inflazione 2013: 6,4% Crescita Pil 2013: +3,4% Nel corso del 2013, dicono le ultime stime del Fmi (aprile 2013), il Pil turco dovrebbe crescere del 3,4% registrando così un miglioramento rispetto al 2,6% del 2012. Ma queste cifre sembrano poca cosa rispetto ai grandi rally del passato: nel 2011 il tasso di crescita era stato dell’8,5%, l’anno precedente la percentuale aveva addirittura superato quota 9,1. Il sostanziale calo degli ultimi anni, ha scritto il Wall Street Journal, “esalta lo sbilanciamento di un’economia che dipende dalle importazioni e dai capitali stranieri”, due elementi, “sottolineano gli analisti, che lasciano la Turchia pericolosamente esposta a una pesante correzione (di rotta, ndr)”. Ma non è tutto: “Dal 2002 il debito estero della Turchia

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– scrive ancora il WSJ – è quasi triplicato fino a quota 350 miliardi di dollari. Oltre metà di questo debito dovrà essere ripagato o riscadenziato nello spazio di un anno. Il che porta l’insieme dei debiti a breve termine a un ammontare complessivo pari a circa un quarto del Pil. Un livello due o tre volte superiore a quello di Brasile e India”. Soltanto in estate gli investitori stranieri hanno ritirato 3 miliardi di dollari dal mercato turco contribuendo così al rialzo dei tassi di interesse (allo scopo di attrarre nuovi capitali offrendo rendimenti maggiori), ma anche a una progressiva sfiducia nei confronti della valuta nazionale. Dall’inizio dell’anno la lira turca ha ceduto il 12,3% sul dollaro. Dalla fine di maggio all’inizio di settembre, la Borsa di Istanbul ha perso oltre un quarto della sua capitalizzazione (-27,9%). M.Cav.


| dossier | la notte dei Brics |

GRAFICO 1 EFFETTO FED SULLE BORSE

GRAFICO 2 EFFETTO FED SULLE VALUTE

Ue Mosca Johannesburg Wall Street Mumbai Londra Sao Paulo Shanghai Tokyo Bangkok Jakarta Istanbul -30%

1,11% -1,86% -2,39% -2,51% -3,95% -4,28% -4,75% -7,10% -11,30% -18,09% -21,80% -27,85% -25%

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

Una bolla annunciata Il vero problema è che nei mercati emergenti è accaduto esattamente ciò che i più attenti avevano profetizzato. Per almeno 15 anni il dinamismo e la fiducia hanno trainato al rialzo la produzione esaltando i tassi di crescita. Ma i comparti del credito e della Borsa si sono gonfiati all’eccesso grazie a un apporto senza precedenti di investimenti stranieri. Esponendosi così al rischio terremoto di fronte alla prima inversione di tendenza. In sintesi, il classico schema della bolla. Qualche dato: tra l’inizio del 2008 e i primi mesi del 2013, ricordava a marzo un rapporto di RBS (Royal Bank of Scotland), i debiti contratti dalle famiglie di Singapore sono passati dal 61% al 74% del Pil, ovvero sono cresciuti a ritmi assai più sostenuti di quelli che hanno caratterizzato la forte espansione economica del Paese. Dal 2007 ad oggi, il credito al consumo concesso in Malesia è passato dal 65,9 al 76,6% del prodotto nazionale, in Thailandia si è passati dal 16,5 al 25,3%. I dati relativi alla Cina restano notoriamente un mistero (vedi Valori n. 112, settembre 2013) ma il trend di crescita è palese. Di recente, Goldman Sachs ha stimato che l’ammontare totale del credito circolante in Cina equivalga ormai al 240% del Pil. Negli ultimi undici anni, ha riferito a settembre il Wall Street Journal, il debito estero della Turchia è quasi triplicato con i titoli a breve scadenza che rappre-

2,33% 0,16%

Rand Sud Africa

-4,70%

Rublo Russia

-6,22%

Baht Thailandia

-7,72%

Lira Turchia

-10,24%

Real Brasile

-11,74%

Rupia Indonesia

-12,66%

Rupia India 10%

FONTE: BLOOMBERG (WWW.BLOOMBERG.COM), NOSTRA ELABORAZIONE. INDICI CONSIDERATI: EURO STOXX 50 (UE), MICEX (RUSSIA), FTSE/JSE AFRICA ALL SHARE (SUD AFRICA), DOW JONES INDUSTRIAL AVERAGE (USA), S&P BSE SENSEX (INDIA), FTSE 100 (UK), IBOVESPA (BRASILE), SHANGHAI STOCK EXCHANGE COMPOSITE (CINA), NIKKEI 225 (GIAPPONE), STOCK EXCHANGE OF THAILAND SET (THAILANDIA), JAKARTA STOCK EXCHANGE COMPOSITE (INDONESIA), BORSA ISTANBUL NATIONAL 100 (TURCHIA).

confronti del biglietto verde (vedi GRAFICO 2 ). Di fatto siamo alla crisi conclamata.

Euro Yuan Cina

-16%

-15,08% -12%

-8%

-4%

0%

4%

FONTE: YAHOO CURRENCY (HTTP://FINANCE.YAHOO.COM/CURRENCY-CONVERTER), 22 MAGGIO - 8 SETTEMBRE 2013. NOSTRA ELABORAZIONE.

sentano ormai circa un quarto del prodotto nazionale. Una quota 2 o 3 volte superiore a quella registrata in Brasile e India. Le cifre, insomma, pesano. Soprattutto nel contesto attuale. Perché quando un’economia gonfiata dal credito inizia a rallentare, il peso dei debiti, in termini relativi, aumenta e i rischi default seguono di pari passo, mentre la progressiva svalutazione delle monete produce inflazione, colpendo soprattutto i beni di consumo basilari e con essi le classi più disagiate. Le banche centrali rispondono alzando i tassi di interesse e determinando inevitabilmente maggiori costi di finanziamento, ovvero minore disponibilità di credito. Il che, per un’economia abituata a crescere grazie all’indebitamento, rappresenta un autentico disastro.

Bolla globale Lo scorso 30 agosto, il ministro delle finanze indiano Dipak Dasgupta ha denunciato gli attacchi speculativi al ribasso contro le monete dei mercati emergenti puntando il dito contro i centri finanziari offshore. Due giorni prima la rupia aveva toccato quota 68,8 sul dollaro (servivano quasi 70 rupie per acquistare un biglietto verde), il minimo di sempre. I Paesi sotto assedio, ha spiegato il ministro, sarebbero ora pronti ad agire con un’azione coordinata. Tradotto: mettere mano alle riserve di valuta estera per acquistare rupie, real, baht e così via in modo da sostenerne il valore. La vicenda è emblematica. La crisi valutaria in corso, in altri termini, non avrebbe potuto materia-

lizzarsi in assenza di un attacco speculativo di grandi proporzioni. Ma l’attacco speculativo, al tempo stesso, non avrebbe potuto avere luogo in assenza della deregolamentazione finanziaria che consente ai capitali di muoversi sul mercato senza particolari vincoli. Il solito problema irrisolto insomma. Dagli anni ’80 in avanti, ha sostenuto il premio Nobel Joseph Stiglitz, il numero delle crisi economiche, bancarie, valutarie e debitorie è andato aumentando soprattutto a seguito del processo di deregulation. Per questo, verrebbe da aggiungere, quella che oggi definiamo “bolla degli emergenti” potrebbe essere ricondotta alla madre di tutte le bolle, vale a dire la deregolamentazione stessa. Ma ogni bolla, si sa, conserva sempre un fondo di verità. Perché gli speculatori, notoriamente, saranno pure senza scrupoli, ma non colpiscono mai a caso. La crisi dei mercati emergenti, in altri termini, è anche frutto di debolezze irrisolte a cominciare dalla persistente disuguaglianza nella distribuzione del reddito a cui spesso, seguendo la lezione occidentale, si è tentato di porre rimedio gonfiando di credito il sistema. Il docente di Chicago ed ex capo economista del Fondo monetario internazionale Raghuram Rajan lo aveva capito diversi anni fa intuendo in anticipo il credit crunch statunitense. Dallo scorso mese di settembre, Rajan siede sulla poltrona più alta della banca centrale indiana. A lui il compito di trainare il Paese fuori dalla crisi valutaria. Sempre che sull’effetto Rajan non prevalga ancora il fattore Fed.  | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 9 |


dossier

| la notte dei Brics |

Innovazione e riserve Così gli emergenti usciranno dalla crisi di Matteo Cavallito

Secondo Paolo Manasse, economista dell’Università di Bologna, si tratta di una crisi passeggera. Ma occorre cambiare paradigma di sviluppo e cifre le ha fornite il Fondo monetario internazionale (Fmi); il dibattito lo ha lanciato l’Economist: e se la maxi accelerazione delle economie emergenti fosse finita? Nel 2007, prima della crisi, i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) hanno registrato una crescita media dell’8,84%. Alla fine del 2013 la loro espansione dovrebbe

L

Paolo Manasse, professore di Macroeconomia e di Politica Economica all’Università di Bologna.

fermarsi al 4,1%. I picchi di crescita sono ormai lontani (vedi GRAFICO ). Anche per questo, di fronte alla crisi di Borse e valute c’è da chiedersi cosa accadrà nel prossimo futuro. Le banche centrali dei Paesi emergenti (una categoria cui appartengono molti altri Stati, come Thailandia, Turchia e Indonesia) dovranno controbilanciare le speculazioni contro le loro valute mobilitando le riserve estere. E ancora non si sa se la strategia funzionerà. Nel frattempo, c’è chi ipotizza che uno stop alla politica espansiva americana possa

CINA, CRESCITA FIGLIA DI UNA BOLLA CREDITIZIA? Inflazione: +2,7% annuo a luglio 2013 Crescita Pil: 7,5% nel secondo trimestre 2013 Da diversi mesi i riflettori sono puntati sulle possibili conseguenze di quello che appare come un rallentamento della corsa, finora rapidissima, della seconda economia del mondo. Ma i dati sul terzo trimestre di quest’anno, diffusi alla fine di agosto, mostrano alcuni chiari segni di stabilizzazione. Secondo Reuters, grazie alle misure di sostegno dell’esecutivo di Pechino, agli investimenti in infrastrutture e all’aumento della produzione industriale, la Cina sembra poter centrare l’obiettivo del +7,5% del Pil nel 2013. Bisogna tuttavia fare i conti con quei problemi irrisolti di cui Valori ha già parlato a più riprese (vedi i numeri di marzo 2012 e settembre 2013). Quello FONTE: PBOC, BOFA MERRILL LYNCH GLOBAL RESEARCH

I PRESTITI DEL CIRCUITO INFORMALE E QUELLI UFFICIALI 40 35 Prestiti ufficiali in Yuan 30 25

Prestiti del circuito informale

20 15 10

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

| 10 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |

2011

2012

2013

principale è il timore che la crescita cinese sia strettamente dipendente da un boom del credito che avrebbe messo sotto pressione la stabilità del sistema finanziario. Le cose si complicano visto che sembra quasi impossibile capire quanto valgano i prestiti in circolazione. Su Valori di settembre abbiamo riportato alcune valutazioni, che vanno dal 130% del Pil fino al 176% stimato dal Credit Suisse e addirittura, secondo Goldman Sachs, al 240%. Per non parlare dell’enorme quantità di prestiti forniti dal sistema finanziario ombra, vale a dire da istituti che non rientrano nei circuiti bancari tradizionali e che quindi non sono controllati né regolamentati. Quasi impossibile capire la dimensione esatta del fenomeno, che dagli ultimi studi (vedi GRAFICO ) sembra in aumento. E, anche quando i dati ufficiali sono disponibili, non manca lo scetticismo tra alcuni analisti. A riaccendere il dibattito sull’attendibilità delle cifre è stato un recente studio di Christopher Balding dell’Università di Pechino Shenzhen, riportato da Bloomberg Businessweek, che punta il dito contro il metodo usato per monitorare l’andamento dei prezzi. Le conclusioni, se verificate, sarebbero allarmanti: rispetto ai dati ufficiali, nel Pil ci sarebbe un “buco” di circa mille miliardi di dollari. In passato è stata Wikileaks a rivelare che nel 2007, nel corso di una conversazione con l’ambasciatore Usa, l’attuale premier Li Keqiang avrebbe affermato che le statistiche sul Pil sono solo «di riferimento». V.N.


| dossier | la notte dei Brics |

BRICS: FESTA FINITA? TASSI DI CRESCITA E PICCO STORICO DAL 1998 AL 2014 16.000

CINA +14,2% (2007)

INDIA +11,2% (2010)

11.000

6.000

I mercati emergenti sono sotto attacco speculativo sul fronte delle Borse e delle valute. È una tempesta che rischia di durare molto? Non sarei troppo pessimista. Gli attuali ribassi rappresentano un rimbalzo, una risposta all’onda anomala dei flussi di capitale e degli investimenti senza precedenti che hanno raggiunto i mercati emergenti dopo l’avvio del quantitative easing americano. Nel breve periodo, ovviamente, assistiamo a una caduta delle Borse e al deprezzamento delle valute, ma queste economie non sono più vulnerabili come negli anni ’80. I mercati emergenti hanno oggi facile accesso al mercato dei capitali e hanno accumulato importanti riserve.

1.000

SUD AFRICA +5,6% (2006)

BRASILE +7,5% (2010)

po. Poi ovviamente sappiamo che i fenomeni speculativi sono in qualche modo nella natura dei mercati finanziari. I mercati emergenti crescono comunque a ritmi ridotti rispetto al passato. Una certa età dell’oro è finita per sempre? La crescita si basa sostanzialmente su due fattori: la combinazione investimento/lavoro e l’innovazione tecnologica. Il primo fattore genera inevitabilmente rendimenti decrescenti, il secondo apre nuove prospettive. Fino ad oggi le nuove economie sono cresciute soprattutto grazie al primo, ora sono chiamate a una transizione verso il secondo. Chi ci riuscirà potrà ottenere nuovamente tassi di crescita molto elevati.

Proprio le riserve saranno un elemento decisivo del piano di intervento dell’India a sostegno delle valute in crisi. Funzionerà? Difficile dirlo: molto dipende dalla credibilità degli annunci. È pur vero però che ci sono altri strumenti di contrasto alla svalutazione: l’aumento dei tassi o le restrizioni al deflusso dei capitali.

E ad oggi chi può dirsi piazzato meglio nella corsa all’innovazione? Sicuramente Cina e Brasile. Al tempo stesso potrebbero emergere in futuro nuovi Paesi, magari anche in Africa, anche se non è facile fare una previsione.

Il governo indiano accusa gli speculatori dei centri off shore, da dove partono le operazioni ribassiste sulla rupia. Impossibile non pensare alle tesi di Stiglitz sul rapporto tra frequenza delle crisi e deregolamentazione. Penso che Stiglitz abbia ragione solo in parte. È vero che oggi esiste un problema di trasparenza sui mercati finanziari. Ma è pur vero che la libertà di movimento dei capitali è stata decisiva per il successo degli emergenti, visto che la capacità di attrarre ed esportare capitali rappresenta un vantaggio per lo svilup-

E nell’attesa c’è il rischio che le difficoltà dei mercati emergenti abbiano un contraccolpo sulle economie mature, magari sulla debole Europa? L’effetto Fed potrebbe influire anche sui nostri mercati… Non vedo particolari rischi per l’Europa, almeno su questo fronte. Primo perché il rientro della politica di quantitative easing sarà graduale, secondo perché l’inversione di rotta della Fed è comunque una reazione a un miglioramento dell’economia americana e questo miglioramento dovrebbe produrre

2012

2011

2010

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1999

-9.000

2014*

RUSSIA +10% (2000)

2013*

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1998

avere effetti negativi anche in Europa (dove la ripresa è la più debole a livello globale). Cosa ci riserva dunque il futuro? Valori ne ha parlato con Paolo Manasse, professore di Macroeconomia e di Politica economica all’Università di Bologna.

un effetto traino in grado di prevalere sull’effetto tassi di interesse. Infine, un rialzo dei tassi Usa produrrebbe comunque un apprezzamento del dollaro sull’euro. E un euro più debole gioverebbe certamente alla ripresa dell’area. 

DOMANDE E RISPOSTE Cosa sono i “mercati emergenti”? Sono quelle economie che negli ultimi 15 anni hanno conosciuto tassi di crescita particolarmente elevati, assumendo così un ruolo di primo piano nel mercato mondiale. I mercati emergenti producono oggi la metà della ricchezza del Pianeta e attraggono investimenti esteri grazie al basso costo del lavoro, alla presenza di risorse naturali e a forti prospettive di crescita della domanda interna. Asia, America Latina ed Europa orientale sono le aree maggiormente interessate da questi fenomeni. Da dove deriva il termine “Brics”? È la sigla che identifica le cinque principali economie emergenti del mondo, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. L’acronimo originale, coniato nel 2001 dal presidente di Goldman Sachs Jim O’Neill, si limitava alle prime quattro lettere non includendo, all’epoca, un riferimento alla nazione africana. I rappresentanti dei cinque Paesi si riuniscono ogni anno in un summit economico ufficiale. Quali sono i principali elementi dell’attuale crisi? Negli ultimi tre anni i maggiori mercati emergenti hanno visto rallentare i loro ritmi di crescita registrando tassi di espansione del Pil decisamente inferiori rispetto al passato. Negli ultimi mesi la riduzione degli investimenti e le speculazioni al ribasso nel mercato finanziario hanno colpito le loro monete nazionali (con l’eccezione della valuta cinese) e i loro principali indici di Borsa. L’intensità di questi fenomeni è comunque molto variabile tra i diversi Paesi. CONTINUA A PAGINA 13 >>>

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FONTE: FMI, WWW.IMF.ORG, WORLD ECONOMIC OUTLOOK DATABASE, APRILE 2013. *PREVISIONI LUGLIO 2013. DATI IN PERCENTUALE

Per i Brics ritmo di crescita dimezzato e Borse e Valute sotto attacco. Manasse: «Ma non sono più vulnerabili come negli anni ’80»


dossier

| la notte dei Brics |

India, la bolla sociale

di Paola Baiocchi

Il deprezzamento della rupia, provocato da forti vendite di azioni e obbligazioni, ha generato inflazione. Una vera tassa sui meno abbienti nel grande Paese in cui un quarto della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà India è un vero gigante. Settimo Paese al mondo per estensione geografica, seconda economia a più rapida crescita, secondo Paese per

L’

popolazione con oltre 1,22 miliardi di abitanti. Assieme alla Cina raggiungono 3,5 miliardi di persone, la metà della popolazione mondiale. È difficile immaginare

THAILANDIA, TRENT’ANNI SULL’ALTALENA Inflazione: 1,59% su base annua ad agosto Crescita Pil: +2,8% nel secondo trimestre 2013 Quella della Thailandia è una storia di alti e bassi. “Tigre asiatica” negli anni Ottanta, nel 1997 è stata l’epicentro della crisi del Continente, nata dalla debolezza degli investimenti immobiliari e finita col crollo del valore del bath e la fuga di capitali stranieri. La ripresa, nonostante le ripetute crisi politiche, arriva negli anni Duemila. Fatta eccezione per il periodo più duro della crisi globale e per la frenata del 2011 dovuta alle devastanti inondazioni, la crescita del Pil si è attestata sul 5% annuo. Ad aprile di quest’anno il bath thailandese si è rafforzato a livelli che non si vedevano da un quindicennio, fino a quota 28,62 sul dollaro, per poi deprezzarsi nuovamente arrivando a quota 31. Ci si aspettava dunque che le esportazioni tornassero competitive. Ma ciò – spiega il Financial Times a fine luglio – non è avvenuto: anzi, a maggio e giugno l’export è calato. Colpa della domanda da parte della Cina che, stando agli ultimi dati di luglio, è scesa del 12% in un anno. Ma a rallentare sono anche la domanda interna e le importazioni. Stando alla banca centrale si tratta solo di un aggiustamento fisiologico, dopo un periodo di boom innescato dalle misure di stimolo all’economia. E non c’è quindi motivo di abbassare ancora i tassi d’interesse, che ora sono pari al 2,5% e sono già stati tagliati in quattro occasioni a partire dalla fine del 2011. V.N.

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un gigante simile sotto attacco, eppure una contrazione fisiologica nella crescita del Pil – dal +7,5% dello scorso anno al +5,4% attuale – e forti vendite sui mercati di azioni e obbligazioni hanno fatto parlare di uno scoppio imminente della bolla e hanno provocato un forte deprezzamento della rupia. A buttare acqua sul fuoco ci ha pensato l’economista Paul Krugman, sottolineando che la svalutazione è la logica conseguenza di una frenata dei mercati che si sarebbero resi conto di aver esagerato. La valuta sarebbe stata sopravvalutata, secondo Krugman, per i forti flussi di investimenti esteri, ma il panico sarebbe ingiustificato perché l’India non ha grandi quantità di debito in valuta estera e il deprezzamento della rupia dovrebbe provocare solo un’inflazione temporanea. Il punto di vista di Krugman, però, non tiene conto che l’inflazione è una terribile tassa sui poveri, e che in India un quarto della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, con meno di 50 centesimi di euro al giorno. Chi specula sulla rupia e in generale sulle valute dei Paesi emergenti (che continuano anche in questi giorni ad essere considerate un affare) sottrae risorse a questa parte della popolazione mondiale e sta partecipando a una vera guerra verso i poveri. La caduta della rupia, che ha risentito anche dell’annuncio della Federal Reserve del ridimensionamento degli aiuti all’economia americana (tapering), più che far esplodere la bolla indiana può far deflagrare la bomba sociale. Un disagio che già si manifesta con scioperi generali che riescono a coinvolgere 100 milioni di lavoratori, che scendono in piazza per protestare contro l’aumento dei carburanti, contro l’inflazione e contro le aperture di mercato verso i colossi stranieri della grande distribuzione. Ma si esplicita anche nelle forme più irrazionali che diventano violenza verso la parte più debole della società, le donne. Secondo il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, la diseguaglianza è il nodo centrale che blocca lo sviluppo del grande Paese. Frutto di «una carenza nella fornitura di servizi essenziali, che


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INDONESIA, PIL AI MINIMI DAL 2010 E RISERVE IN CALO Crescita Pil: +5,8% nel secondo trimestre 2013 Inflazione: 8,79% su base annua ad agosto 2013 Con un decennio di crescita alle spalle, una classe media in ascesa e abbondanza di risorse naturali, fino a poco fa l’Indonesia era il mercato emergente su cui puntare. Ma la sua rapida crescita degli ultimi anni è stata fortemente legata alla tempesta di liquidità americana, il cui futuro appare in bilico. E a commodities come carbone, olio di palma e gomma, di cui è uno dei primi produttori al mondo: ma la domanda da parte di Cina e India ultimamente è in calo. A maggio il valore della rupia ha iniziato a scendere, fino a perdere il 10% sul dollaro e raggiungere i minimi dal settembre del 2009. Ciò ha scatenato la fuga degli investitori stranieri, che solo a giugno hanno venduto 4,1 miliardi di dollari di titoli di Stato e asset indonesiani. L’indice Jakarta Composite ormai ha perso più del 20% rispetto al picco toccato a maggio. Il 29 agosto – riporta il Financial Times – la banca centrale è riuscita ad arginare la situazione alzando i tassi d’interesse. La rupia si è apprezzata contro il dollaro e la Borsa ha chiuso in positivo. Ma la minaccia è tutt’altro che archiviata. Le aziende dovranno fare i conti con margini più bassi e costi di finanziamento più alti, mentre gli investitori iniziano a chiedersi quanto rallenterà la crescita del Pil, che nel secondo trimestre è scesa sotto il 6% per la prima volta dal 2010. Mentre l’aumento dei prezzi del carburante, a lungo rinviato, alimenta le spinte inflazionistiche, le riserve di valuta straniera (indispensabili per intervenire in difesa della moneta) sono scese sotto la soglia psicologica dei 100 miliardi di dollari. Pesa anche l’incertezza politica di fronte alle elezioni previste per il prossimo anno. V.N.

deprime gli standard di vita ed è un freno persistente sulla crescita». Anche in Cina la diseguaglianza permane elevata, dice Sen, ma il dragone investe molto di più in sanità pubblica e istruzione. Perché ha capito quali sono «i ritorni economici che provengono dal migliorare la vita umana, soprattutto

nella parte inferiore della piramide socioeconomica». La sfida per l’India, seconda in molti indicatori alla Cina, ma prima al mondo per l’import di armi, è di riuscire a riqualificare il suo sviluppo all’interno di una maggiore equità sociale. Magari seguendo l’esempio cinese. 

Si chiama “India – un Paese, mille facce”: nove reportage interattivi dedicati ai luoghi più seducenti e mistici del Paese. È un e-book realizzato dalla redazione di Latitudes Travel Magazine, con la partnership dell’Ente del Turismo Indiano, disponibile gratuitamente su Apple Store e Google Play. Entrambe le foto in queste pagine sono tratte dal libro.

DOMANDE E RISPOSTE Perché si parla di crisi se questi mercati non sono in recessione? Anche se crescono a ritmi più elevati, i mercati emergenti conservano elementi di debolezza strutturale che li rendono più vulnerabili rispetto alle potenze industriali consolidate (come gli Usa, il Giappone e l’Europa occidentale). Un improvviso rallentamento della crescita può avere un impatto molto forte sulle economie emergenti esasperando situazioni di squilibrio e accentuando alcuni elementi critici come la debolezza delle loro valute. Perché le riserve valutarie sono così importanti? Nei momenti di crisi le monete dei mercati emergenti possono andare incontro a forti svalutazioni con gravi conseguenze per l’economia locale (a cominciare dall’inflazione). Per sostenere il valore della propria moneta, la banca centrale deve alimentare la domanda di quest’ultima acquistandone periodicamente una certa quantità sui mercati valutari. Tradotto: vendere parte delle proprie riserve di valuta pregiata (dollari in primis ) per acquistare moneta nazionale. Un Paese con ampie riserve avrà quindi maggiore capacità di difesa dalla svalutazione e dall’inflazione. Perché l’inflazione è più pericolosa nei mercati emergenti piuttosto che nelle economie mature? Perché nei mercati emergenti il tasso di inflazione è tipicamente più elevato. La perdita di potere d’acquisto associata all’inflazione colpisce i più disagiati ma anche la classe media di recente formazione. Con il rischio di far ripiombare quest’ultima nella povertà. CONTINUA A PAGINA 15 >>>

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dossier

| la notte dei Brics |

Brasile, il sogno è svanito? di Andrea Barolini

La prima economia dell’America Latina vive il presente con un sentimento di attesa. Dopo gli anni di Lula, e della forte crescita economica, il sistema sembra essersi inceppato. Banca centrale e governo cercano di tenere a bada l’inflazione, tentando al contempo di sostenere il real. Mentre cresce la protesta della popolazione n Brasile c’è aria di attesa. Per comprendere ciò che ne sarà della moneta locale, il real. Ma anche per capire se il governo saprà rispondere alla sfide lanciate dall’inflazione, dalla crescita stentorea e dalle proteste della popolazione. Partiamo dal primo problema, che sembra aver scavalcato le gerarchie del governo di Dilma Rousseff e della banca

I

centrale del Brasile. Proprio il Banco Central do Brasil (BCB), infatti, ha rotto gli indugi, a fine agosto, annunciando un massiccio piano di sostegno al real, da circa 54 miliardi di dollari. La moneta, non più aiutata dalla crescita dei tempi di Lula, è finita infatti nel mirino della speculazione. Tra luglio e agosto, il valore sul dollaro è sceso dell’8%. Gli investitori – sottolinea

SUDAFRICA, CRESCITA ANEMICA E FAMIGLIE INDEBITATE Inflazione: 6,3% su base annuale a luglio Crescita Pil: +3% nel trimestre aprile-giugno Tra le valute dei Paesi emergenti, il rand sudafricano è una delle più volatili e delle più scambiate a livello internazionale. Ed è anche quella che si sta svalutando di più, fino a viaggiare ai minimi degli ultimi quattro anni sul dollaro. Ma per intervenire in sua difesa – ha spiegato il ministro delle Finanze Pravin Gordhan al Financial Times – servirebbero consistenti riserve di valuta pregiata. Quelle sudafricane, invece, sono in calo: a luglio si attestavano sui 45 miliardi di dollari, in calo rispetto ai 49 dell’inizio dello scorso anno. Questa situazione non facilita le cose al governo, alla ricerca di un modo per uscire dalla recessione che ha colpito il Paese tra il 2008 e il 2009. La crescita economica, infatti, è tiepida: il +0,9% segnato dal Pil nel primo trimestre ha già fatto riscrivere al ribasso le previsioni per il 2013. L’altra gatta da pelare per le autorità di Pretoria è il cosiddetto unsecured credit, il debito privato accumulato tramite prestiti personali, carte di credito e scoperti. Negli ultimi quattro anni, spiega il Wall Street Journal citando i dati della banca centrale, il suo ammontare è quasi triplicato, fino a superare i 48 miliardi di dollari. Vale a dire il 10,5% sul totale del credito. I ceti medi, infatti, ricorrono a tali prestiti per far fronte all’aumento del costo della vita. E per le banche sono un modo per incrementare i margini, assottigliati dai tassi d’interesse fissati a un livello molto basso. Le autorità gettano acqua sul fuoco, dichiarando che l’esposizione è troppo limitata per destabilizzare il sistema. Ma Moody’s a luglio ha lanciato l’allarme con un rapporto che sottolinea il peggioramento della qualità dell’unsecured credit: a marzo i prestiti “non performanti” rappresentavano il 16,6% del totale. V.N.

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un’analisi dell’agenzia AFP – sembrano infatti voler puntare sulla risalita dei tassi di interesse negli Usa, spaventati dalle fragilità strutturali dei Brics. Di qui la manovra del Banco Central, che propone linee di credito – sotto forma di swaps – per un valore pari a 3 miliardi di dollari alla settimana. E forse non basterà: lo stesso BCB ha spiegato che potranno essere realizzate operazioni supplementari. Una tra queste è stata già effettuata, ovvero il rialzo dei tassi al 9%: decisione presa il 28 agosto, con il duplice obiettivo di lottare contro la fuga di capitali e di placare l’impennata dei prezzi. E pensare che fino a poco tempo fa, la tendenza era opposta: si era operato un taglio dal 12% al 7,5%, per rilanciare il motore economico del Paese.

Crescita vs inflazione Va sottolineato che la decisione della banca centrale segue di poche ore l’annuncio del governo secondo il quale la crescita dell’economia non dovrebbe superare il 2,5% nel 2013, contro il 4% previsto in pre-

Il governo da anni rimanda investimenti nel settore industriale. Mentre ha effettuato spese faraoniche per i mondiali del 2014. Non poteva che esplodere la protesta


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RUSSIA, GIÙ INVESTIMENTI E DOMANDA DI COMMODITIES: RISCHIO RECESSIONE? Inflazione: +6,5% su base annuale ad agosto 2013 Crescita Pil: +1,2% nel secondo trimestre 2013 Con il +1,2% del secondo trimestre di quest’anno, la crescita economica russa si conferma in rallentamento da sei trimestri consecutivi. Tanto che, già ad aprile, le stime ufficiali per il 2013 sono state tagliate dal 3,6% al 2,4%. Si tratta di un ritmo ben diverso, ricorda il Wall Street Journal, dalla media del +7,2% annuo del Pil registrata nel periodo compreso tra l’elezione di Putin, nel 2000, e la crisi del 2009 che ha portato a una contrazione dell’8% dell’economia del Paese. Molti osservatori, ormai, parlano apertamente di recessione.

cedenza. Cifre ben diverse rispetto, ad esempio, al +7,5% registrato nel 2010. Certo, quest’anno si dovrebbe superare comunque agevolmente il dato del 2012, quando la crescita è stata inferiore all’1%. Ed è vero anche che nel secondo trimestre 2013 si è registrato un confortante +1,5%. Ma la scelta del BCB è evidentemente prudenziale. In un’intervista rilasciata alla rivista Veja all’inizio di agosto, d’altra parte, anche il ministro delle Finanze Guido Mantega si era detto senza mezzi termini pronto a sacrificare la crescita sull’altare della lotta all’inflazione: «La peggior cosa per il Brasile è una crescita dei prezzi fuori controllo», aveva affermato. A luglio scorso, la risalita si è attestata, su base annua, a un +6,27%: un livello preoccupante,

E ad ammettere il rischio è stato anche, a metà agosto, il ministro dell’Economia Alexei Ulyukayev. A pesare è il calo degli investimenti e della domanda di commodities, dalle quali dipende fortemente la tenuta del gigante dell’Est. Dal Cremlino, per ora, non sembrano arrivare soluzioni. La speranza è quella di una buona resa delle coltivazioni di grano nel corso di quest’anno, che comporterebbe un calo dei prezzi alimentari e dell’inflazione, che supera ormai da un anno il range del 5-6% fissato dal governo. Se ciò si verificasse, le autorità avrebbero finalmente la possibilità di abbassare i tassi d’interesse, immutati ormai da dodici mesi, per ridare stimolo all’economia. V.N.

e che figura tra l’altro tra gli elementi che hanno scatenato le rivolte dei mesi scorsi.

La protesta esplode Il governo si è mostrato, infatti, miope negli anni passati, facendo leva a lungo sul boom, puntando sulla “forza” economica delle risorse naturali, e rinviando i necessari investimenti nel settore industriale. Se a ciò si aggiunge che invece spese faraoniche sono state effettuate per le infrastrutture legate ai mondiali di calcio del 2014, si comprende facilmente quale sia stata la miscela che ha fatto esplodere la protesta. Due esempi su tutti: gli stadi di Brasilia e Manaus. Nella capitale è stato costruito un impianto da 500 milioni di euro (quando la squadra locale non fa più di 5 mila spettatori a partita). A Manaus,

poi, una squadra neppure c’è, per cui lo stadio, dopo l’evento, resterà una cattedrale nel deserto. Ai cittadini rimarranno i debiti e le tasse imposte per finanziarla: le tariffe del trasporto sono già schizzate a 1,15 euro a tratta. I bus tornano così roba da ricchi. È la fine del sogno? 

DOMANDE E RISPOSTE Perché la disuguaglianza sociale è un fattore decisivo di questa crisi? Quando l’economia cresce molto rapidamente e la ricchezza prodotta si distribuisce in modo eccessivamente diseguale, la domanda di credito dei più poveri aumenta. L’ammontare dei debiti cresce a ritmi elevati e quando l’espansione economica rallenta a crescere è il rischio default sui prestiti accumulati. Perché la crisi degli emergenti è legata alla deregulation finanziaria? Grazie alla liberalizzazione dei flussi finanziari le economie emergenti hanno potuto attrarre investimenti senza precedenti che ne hanno alimentato la crescita. Ma la medesima mancanza di regolamentazione favorisce oggi la speculazione al ribasso sulle valute e gli indici azionari di questi mercati. Soprattutto in assenza di adeguati strumenti di contrasto. In definitiva, si trattava di una crisi prevedibile? Sì. L’ipotesi che nei mercati emergenti si stesse formando una bolla speculativa era stata avanzata già da tempo. I principali timori riguardavano soprattutto l’eccezionale disponibilità di liquidità a basso costo (ovvero soggetta a tassi di interesse di riferimento prossimi allo zero) messa in circolazione dalle banche centrali delle economie mature con l’obiettivo di stimolare la ripresa di queste ultime. Gli elevati tassi di crescita delle economie emergenti hanno funzionato da calamita per gli investimenti esteri gonfiando all’eccesso il prezzo degli asset finanziari e immobiliari. Creando così le condizioni della bolla. [A cura di Matteo Cavallito] | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 15 |


| globalvision |

A cinque anni dal crack Lehman

C’è chi vive nel mondo dei sogni el quinto anno del crack Lehman Brothers, che ha fatto sprofondare l’economia mondiale nella peggiore crisi del secondo dopoguerra, sia la regolamentazione che la supervisione dei mercati finanziari sono state rafforzate in modo significativo. Chi avrebbe immaginato nel 2008 che avremmo trovato un accordo […] per rafforzare

«N

la governance economica della zona euro come invece abbiamo fatto. […] In questo modo l’esperienza della grande crisi finanziaria del 2008 può rimanere nel posto che le appartiene, ossia nei libri di storia». Non si può non rimanere sconcertati ascoltando questa dichiarazione rilasciata il 13 settembre 2013 da Olli Rehn, vale a dire dal vice presidente della Commissione Europea con delega agli Affari economici e monetari. Se questa è dunque la lettura della situazione attuale (la crisi è finita e le cause che l’hanno generata sono state debellate) non c’è da stupirsi che la più importante tempesta economico-finanziaria (seconda solo alla Grande Depressione del ’29) non ha prodotto alcun cambio di paradigma nelle politiche economiche che dovrebbero presidiare l’ordinato andamento dei sistemi economici. Purtroppo la realtà è un’altra come pure il bilancio da trarre a cinque anni dal “crack Lehman”. Sinteticamente e per punti: 1. La finanza globale vale 740 mila miliardi di dollari: ossia 20 mila in più del 2007 quando scoppiò la crisi. Il Pil mondiale vale circa un decimo. In particolare i derivati (valore nozionale) sono passati dai 596 mila miliardi di dollari del 2007 ai 633 mi| 16 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |

Per Olli Rehn la crisi è archiviata e ci ha portato enormi miglioramenti. Certo! la attuali. Lo shadow banking da 62 mila a 67 mila. 2. Dobbiamo registrare che si è trattato (fatto unico nella storia!) di una crisi “senza colpevoli”. Nessuno dei banchieri americani è risultato responsabile in termini legali della “crisi subprime”. Anzi godono tutti di ottima salute, soprattutto “finanziaria”, grazie a buonuscite milionarie. 3. La regolamentazione si è persa per strada, soprattutto a causa dell’azione di lobby che i protagonisti dei mercati finanziari quotidianamente portano avanti per rallentare o annacquare qualunque iniziativa politica in tale direzione. Per esemplificare, il Glass-Steagall Act, legge con cui Roosevelt nel ’33 impose la fonda-

di Alberto Berrini

mentale separazione tra banche commerciali e banche d’affari, era composta di 27 pagine (copertina compresa). La legge Dodd-Frank che nel 2010 doveva riportare ordine sui mercati finanziari, è composta da 6.800 pagine e attende ancora i decreti attuativi in grado di renderla operativa (vedi ARTICOLO a pag. 19). Controprova. Il “Piano Paulson”, un salvataggio da 700 miliardi di dollari per la finanza americana (3 ottobre 2008) era racchiuso in sole tre pagine. Senza riforma della finanza il capitalismo rischia di trasformarsi in una spaventosa macchina governata da una casta tanto irresponsabile quanto privilegiata. Tra il 2008 e il 2012, gli anni della crisi, negli Stati Uniti l’1% più ricco ha incrementato la propria ricchezza del 30%. Il restante 99% dello 0,4%. Resta da farsi un’ultima domanda: ma in che mondo vive Olli Rehn? 


fotoracconto

02/05

FRANCESCO JODICE

San Paolo e le sue contraddizioni. Le stelle delle insegne luminose e la povertà dei sobborghi. Nel suo film Francesco Jodice ha documentato il fenomeno della self-organization nella città brasiliana, tipico delle comunità prive di una reale presenza delle istituzioni. | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 17 |



| riforme |

finanzaetica Pronto, Mosca? Abbiamo una banca! > 22 «Togliamo alle lobby le chiavi della cassaforte d’Italia» > 24

Alla CDP i mutui cartolarizzati. Il decreto Imu strizza l’occhio alle banche > 24

Usa, Dodd-Frank: la storia infinita di Matteo Cavallito

Dopo tre anni di gestazione il Dodd-Frank Act è ancora congelato. Una legge mastodontica: 398 regolamenti attuativi.

lla riunione di fine agosto, si dice, c’erano davvero tutti. Dal Dipartimento del Tesoro al Comptroller of the Currency, passando ovviamente per la Sec, la Commodity Futures Trading Commission e il Consumer Financial Protection Bureau. Tutti uniti davanti a un tavolo per riferire le ultime novità a Barack Obama. E tutti uniti, al tempo stesso, per rispondere alla sempre più pressante e incisiva domanda: che fine ha fatto il Dodd-Frank Act? Un mese prima che la riunione avesse inizio la maxi riforma del sistema finanziario americano ha compiuto tre anni. Ma la sua operatività è ancora congelata e la sua efficacia rischia seriamente di risultare compromessa. Il problema, notano ormai gli osservatori, è che il Dodd-Frank, nella sua mastodontica lunghezza, rappresenta soltanto una lunga raccolta di li-

A

La maxi legge di riforma finanziaria americana è stata approvata tre anni fa. Ma molti regolamenti mancano ancora. E il rischio è che la versione definitiva della legge risulti pericolosamente annacquata

La “vittoria” di Wall Street sulla copertina di Time (23 settembre). A cinque anni dal crack Lehman, scrive il settimanale statunitense, «le maggiori banche Usa sono più grandi e potenti di quanto non fossero prima della crisi». | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 19 |


| finanzaetica |

nee guida che ancora devono tradursi in regole specifiche. Un’operazione, quest’ultima, affidata proprio alle agenzie di controllo (vedi GRAFICO 3 ). Un po’ come accade in Italia, quando il Parlamento approva una nuova legge lasciando ai suoi enti locali e ai suoi organi di controllo l’incarico di redigere i cosiddetti regolamenti attuativi. Il tempo passa e la norma resta tale solo sulla carta mentre tutti gli interessati rimangono in attesa.

I regolamenti alla fine del tunnel Al Dodd-Frank è accaduto esattamente questo. A spiegarlo, in termini più puntuali, è stato il rapporto periodico sull’avanzamento della legge, redatto dalla Davis Polk & Wardwell, una società di consulenza legale di base a New York. L’iter procedurale di implementazione del Dodd-Frank prevede l’istituzione di 398 regolamenti attuativi. Per 280 di essi il piano indicava date precise di approvazione, limiti temporali, insomma, che ad oggi sono tutti scaduti e che, in molti casi, sono stati disattesi. Le cosiddette deadlines rispettate, infatti, sono state appena 108, meno del 40% del totale in programma. Quelle mancate sono 172 (il 61,4%). Sommando le regole cui era stata fissata una scadenza a quelle da approvare senza un limite preciso di tempo, il risultato non migliora particolarmente.

GRAFICO 1 DODD-FRANK: I RITARDI DELLE AGENZIE 400

Regolamenti approvati

350

Regolamenti da approvare

300 250 200 150 100 50 0

Regolatori bancari

CFTC

SEC

Per attuare la riforma servono 398 regolamenti attuativi. Per 280 di essi, erano stati indicati limiti e scadenze, il 61% dei quali non è stato rispettato Dei 398 regolamenti attuativi previsti per il Dodd-Frank, quelli approvati in via definitiva sono 160, circa il 40%. Altri 112 (il 28%) sono in discussione, mentre per i restanti 126 (il 32% circa) non sono ancora state avanzate proposte. La Sec ha approvato 35 dei 95 regolamenti totali che dovranno costituire il suo contributo al corpus normativo della riforma. I regolatori bancari 43 su 135. La Commodity Futures Trading Commission è stata la più

Altri

Totale

FONTE: DAVIS POLK, WWW.DAVISPOLKPORTAL.COM, DODD-FRANK PROGRESS REPORT, SETTEMBRE 2013. NOSTRA ELABORAZIONE

virtuosa con 42 regolamenti completati sui 60 affidati (vedi GRAFICO 1 ).

Dalla Volcker ai mutui

OFFICIAL WHITE HOUSE PHOTO BY PETE SOUZA / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

I problemi, però, non finiscono qui. Perché il rischio, a questo punto, è che, una volta approvati tutti i regolamenti, l’aspetto definitivo della legge, che abbraccia tutti i principali comparti della finanza (vedi GRAFICO 2 ), possa essere molto diverso dall’originale. Prendiamo la Volcker Rule, il provvedimento che mira alla separazione tra le attività delle banche d’affari e le operazioni di deposito e risparmio: ad oggi esiste soltanto una bozza di proposta presentata nel 2011 con un testo di 300 pagine e 350 domande aperte. La discussione è ancora in corso e qui tutto si gioca sul tema delle esenzioni. La chiave della regolamentazione, come noto, consiste nel divieto di proprietary trading con l’obiettivo di mettere al riparo dalle tempeste speculative i soldi dei correntisti. Le banche chiedono però l’esenzione dalla regola per gli scambi di bond sovrani e di obbligazioni dei governi locali (amministrazioni cittadine e singoli Stati dell’Unione) sostenendo che le limitazioni della Volcker condurrebbero a una contrazione della domanda di mercato con conseguente rialzo dei tassi di interesse (ovvero a maggiori costi di finanziamento pubblico per il Tesoro statunitense e i vari enti locali). L’allarme “con21 luglio 2010. Il presidente Barack Obama e il vicepresidente Joe Biden in viaggio dalla Casa Bianca al Ronald Reagan Building a Washington DC, per firmare il Dodd-Frank Wall Street Reform Act.

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| finanzaetica |

Fondi privati

GRAFICO 3 IL CONTRIBUTO ALLA REGOLAMENTAZIONE FDIC

1.207

OCC Banche e rischio sistemico

1.795

Riforma mutui

1.870

4.950

2.173

trazione di mercato” investe oggi anche il fronte dei mutui. La riforma, in sintesi, intende imporre alle banche di correre meno rischi limitando la cartolarizzazione. Gli istituti, in altri termini, non avranno più la possibilità di scaricare sugli investitori l’intero ammontare dei prestiti di tipo subprime impacchettando i crediti vantati su questi ultimi in prodotti derivati ad hoc. Banche, agenti immobiliari e operatori del settore in genere hanno protestato trovando un sostegno importante nel Congresso. A fine agosto, ha riferito il Washington Post, sei agenzie federali (tra cui la Fed) hanno risposto alleggerendo la definizione di mutui rischiosi, quelli cioè soggetti alla nuova regolamentazione: la soglia di rischio calcolata sul rapporto percentuale tra ammontare del prestito e reddito del debitore è stata così innalzata dal 36 al 43%. Estendendo così l’esenzione a un significativo ammontare di mutui.

Derivati: vince il lobbismo Nulla di tutto ciò, tuttavia, sembra in grado di eguagliare le clamorose acrobazie regolamentari che hanno investito il mercato dei derivati. A livello mondiale il mercato vale complessivamente 633 trilioni di dollari. Le prime cinque banche americane – JP Morgan, Citigroup, Morgan Stanley, Goldman Sachs e Bank of America – con-

Derivati

1.081 1.187 4.537

BoG FED

1.959

CFPB

3.165

Tutela del consumatore

trollano ad oggi il 90% del comparto. Il che equivale a dire che una regolamentazione complessiva promossa negli Usa finirebbe, in linea teorica, per determinare un controllo a livello mondiale. Ma lo scenario, in realtà, appare estremamente diverso. Il Dodd-Frank, in sintesi, imporrebbe una maggiore trasparenza e una chiara regolamentazione degli scambi attraverso il monitoraggio dei dati, la drastica riduzione delle operazioni over the counter (extra borsistiche) e la diffusione delle clearing houses. Le regole attuative della riforma, tuttavia, avrebbero introdotto una marea di eccezioni. Di fatto, ha ricordato di recente Bloomberg, i provvedimenti della riforma non si applicherebbero ai derivati detenuti all’estero dalle banche americane (circa 333 trilioni di dollari), né tanto meno a un’altra miriade di operazioni condotte con controparti estere (e fanno altri 200 trilioni). A ricadere sotto la regolamentazione imposta dalla Commodity and Futures Trading Commission sarebbe in definitiva un ammontare di contratti pari a circa 100 trilioni di dollari. Una cifra superiore al Pil globale, ma equivalente, al tempo stesso, a meno del 20% dell’intero mercato. Decisiva, secondo Bloomberg, l’intensa campagna di lobbismo condotta dai grandi operatori finanziari attraver-

4.156

SEC

CFTC

so un pressing costante nei confronti dell’agenzia regolamentare. Dall’aprile del 2010 ad oggi i rappresentanti di JP Morgan hanno incontrato i tecnici della CFTC ben 98 volte. Nel medesimo periodo le riunioni tenute dalla Commissione con Morgan Stanley sono state 75, quelle con Delta Strategy Group addirittura 110. Il primato spetta però a Goldman Sachs, che negli uffici dei regolatori si è presentata ben 152 volte. Praticamente una volta alla settimana. 

GLOSSARIO CARTOLARIZZAZIONE In Inglese securitization, è il processo attraverso il quale i crediti vantati nei confronti dei debitori delle banche (tipicamente soggetti a rischio) vengono utilizzati come sottostante di un prodotto derivato di cui vanno a costituire la garanzia. I titoli derivati vengono quindi scambiati sul mercato trasformando di fatto i crediti in denaro liquido. CLEARING HOUSE Ente che regola le transazioni tra due parti garantendone il buon fine ovvero assicurando la solvibilità delle stesse (cioè il pagamento dei debiti) in caso di fallimento di una delle due. MUTUI SUBPRIME Mutui concessi a una clientela di basso reddito e scarse garanzie e, per tanto, a maggiore rischio di insolvenza. Sono stati i primi responsabili delle ingenti perdite che nel 2007 hanno scatenato la crisi finanziaria americana. PROPRIETARY TRADING Attività di investimento realizzata con fondi della banca allo scopo di conseguire un profitto per la banca stessa e non per la sua clientela. Questo genere di attività comporta l’investimento del denaro accumulato attraverso i depositi dei clienti mettendo così a rischio la solvibilità della banca nei confronti di questi ultimi.

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FONTE: DAVIS POLK, WWW.DAVISPOLKPORTAL.COM, DODD-FRANK PROGRESS REPORT, 2013

FONTE: DAVIS POLK, WWW.DAVISPOLKPORTAL.COM, 2013

GRAFICO 2 DI COSA SI OCCUPA IL DODD-FRANK


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Pronto, Mosca? Abbiamo una banca! di Matteo Cavallito

Vittime apparenti del default cipriota, i magnati russi tornano prepotentemente in auge. Prendendosi il primo istituto dell’isola e puntando al controllo definitivo del sistema finanziario locale ravolti dalla bufera della crisi e duramente colpiti dalle aspre condizioni del maxi piano di salvataggio imposto dalla Ue, gli ormai celebri oligarchi russi erano parsi inizialmente ai più come i grandi sconfitti del rumoroso crack di Cipro, ultimo episodio, in ordine di tempo, dell’infinita saga dei debiti sovrani europei. Ma a qualche mese di distanza, la rabbia per lo smacco iniziale si è trasformata in sincero entusiasmo. E al timore di perdere tutto si è sostituita, sempre più concreta, l’interessante prospettiva di un pre-

T

mio clamoroso quanto inaspettato: il controllo definitivo del sistema finanziario dell’isola.

Abbiamo una banca La storia prende il via nel marzo del 2013. Cipro, come noto, vive una crisi atroce

CIPRO: CONTAGIO GRECO E COLLASSO BANCARIO Una spasmodica fiducia nell’economia greca. È questa, in sintesi, la causa principale della crisi finanziaria cipriota. Un dissesto generale causato dal collasso di un sistema bancario sovraesposto al debito di Atene e alla svalutazione dei titoli sovrani ad esso collegati. E dire che i problemi del cugino ellenico erano noti da tempo, anche nel 2009 quando dall’Acropoli si udivano le prime sirene d’allarme. Ma le banche cipriote, ha ricordato qualche tempo fa il Wall Street Journal, preferirono allora andare controcorrente continuando fino all’ultimo a fare ciò che avevano sempre fatto: acquistare bond ellenici. Alla fine del 2010 i due principali istituti del Paese (Laiki Bank e Bank of Cyprus) avevano in portafoglio 5,8 miliardi di euro di titoli di Stato greci, circa un miliardo in più rispetto alla fine del primo trimestre. Una cifra pari a circa un terzo del Pil cipriota. Quell’anno così come in quello successivo, ricorda il quotidiano statunitense, entrambi gli istituti passarono gli stress test Ue, una sorta di collaudo di stabilità che diede ampia fiducia agli operatori locali. Le banche distribuirono senza difficoltà decine di milioni di euro di dividendi. Alla fine del 2011, tuttavia, gli stress test europei furono modificati per analizzare le possibili ricadute di una svalutazione dei titoli sovrani in portafoglio. Inevitabile a quel punto la bocciatura degli istituti e il conseguente invito a ricapitalizzarsi per ripianare un deficit complessivo di circa 2 miliardi e mezzo di euro. Un’impresa impossibile.

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importata direttamente dalla Grecia e i suoi istituti di credito sono vicini al collasso (vedi BOX ). Tra questi c’è Laiki Bank, il secondo istituto del Paese, che è virtualmente fallito e come tale viene scorporato. Gli asset ormai senza valore finiscono in una bad bank, i titoli con potenziale mercato e i depositi garantiti vengono trasferiti nel principale istituto di credito locale in via di ricapitalizzazione: Bank of Cyprus. Ma per salvare il Paese servono soldi, 10 miliardi per la precisione, che arrivano ovviamente dalle casse Ue. L’Europa però vuole garanzie e per questo impone un prelievo forzoso sui depositi superiori ai 100 mila euro. Una mossa discutibile, si dirà, ma tant’è. Risultato: i grandi correntisti di Laiki perdono quasi tutto, quelli di Bank of Cyprus vedono il 47,5% del loro denaro convertito in azioni. A imporlo sono i termini dell’accordo che, inizialmente, prevedevano una percentuale più bassa. La struttura proprietaria della banca viene così rivoluzionata e a beneficiarne, paradossalmente, sono proprio i russi, da sempre principali intestatari dei conti di deposito. A fine agosto, riferisce il New York Times, le prime stime circolanti nell’isola ipotizzano che, una volta completato il piano di conversione, gli investitori russi si troveranno a controllare una quota proprietaria compresa tra il 53 e il 60% del capitale della banca. La maggioranza, insomma. E siccome Bank of Cyprus, ricorda ancora il quotidiano newyorchese, controlla da sola la metà dei depositi del Paese e sul mercato finanziario locale non ha praticamente rivali, la conclusione è più che evidente: «Chi controlla Bank of Cyprus controlla l’isola», dichiara al New


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York Times Andreas Marangos, un avvocato specializzato nell’assistenza a clienti russi.

PETROS3 / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

Secondo i calcoli del New York Times, i finanzieri russi arriveranno in breve a controllare tra il 53 e il 60% di Bank of Cyprus

L’asse Mosca-Nicosia

Vladimir Strzhalkovsky, ex amministratore delegato di Norilsk Nickel e collega del Kgb di Vladimir Putin, è stato eletto vice-presidente del consiglio della Banca di Cipro durante l’annuale Assemblea generale della Banca.

pro 119,7 miliardi. Il flusso di fondi giunti in Russia dall’isola ammontava nello stesso anno a oltre 129 miliardi, una cifra equivalente a oltre 5 volte il Pil nazionale. Nel 2010 l’ammontare dei trasferimenti da Mosca a Nicosia aveva toccato i 150 miliardi. I viaggi in direzione opposta sfioravano quota 180. Numeri impressionanti che a molti osservatori suscitavano un pensiero fisso: la conclamata trasformazione del Paese in un centro privilegiato di riciclaggio di denaro. Anche per questo, inutile negarlo, i Paesi leader della Ue avevano visto il maxi piano di salvataggio come un’ottima occasione per fare piazza pulita, almeno in parte, degli effetti della longa manus finanziaria degli oligarchi. Peccato, come si è visto, che le previste pulizie di primavera abbiano prodotto esattamente l’effetto opposto.

cia e il 26,3 della Spagna. Nel corso del 2013 l’economia cipriota dovrebbe contrarsi dell’8,7%, di gran lunga la peggior performance del Continente (il Pil greco, a voler fare un confronto, dovrebbe ridursi “soltanto” del 4,2%). Un’ulteriore riduzione (-3,9%) è prevista per il 2014 quando quella cipriota dovrebbe risultare l’unica economia nazionale in recessione dell’intero Continente. 

I NUMERI DELLA CRISI CIPRIOTA Pil pro capite: 27.500* Rapporto debito/Pil: 86,9% Tasso di crescita 2013: -8,7% Tasso di crescita 2014: -3,9% Disoccupazione: 17,3% Disoccupazione giovanile: 37,9% Inflazione: 0,7% * Dato Cia, World Factbook 2013 (www.cia.gov)

Nuvole all’orizzonte In attesa della definitiva colonizzazione russa, intanto, i ciprioti fanno i conti con la realtà. Secondo gli ultimi dati Eurostat il tasso di disoccupazione a Cipro si colloca al 17,3% (ma la percentuale sale al 37,9 per gli under 25) contro il 12,2% dell’estate 2012 evidenziando l’aumento più significativo tra i 28 Paesi dell’Unione. Il tasso attuale, per altro, è il terzo peggiore del Continente dopo il 27,9% della Gre| ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 23 |

FONTE: EUROSTAT (HTTP://EPP.EUROSTAT.EC.EUROPA.EU)

La beffarda conclusione del piano europeo sancisce a modo suo il punto d’arrivo di una longeva relazione tra Mosca e Nicosia iniziata già negli anni ’90. All’epoca i grandi magnati russi avevano scoperto quanto potesse essere redditizio il commercio di materie prime in un contesto di crescita della domanda delle economie emergenti. Impegnati nella ricerca di un ambiente favorevole per il business, i nuovi oligarchi avevano trovato accoglienza proprio nell’isola dove a un sistema bancario sempre più interconnesso con i mercati dell’Europa orientale si accompagnava un trattamento fiscale da sogno con imposte sul reddito delle imprese fissate al 4%. Il settore finanziario cipriota è cresciuto di conseguenza e l’ingresso nell’euro, datato 2008, ha fatto il resto. Negli ultimi cinque anni la dimensione del comparto bancario dell’isola è sostanzialmente raddoppiata. Il suo valore, ricordava qualche tempo fa il Financial Times, compenserebbe circa il 40% del Pil. All’epoca dell’accordo con l’Ue, stimava ancora il quotidiano britannico, le compagnie russe detenevano nelle banche cipriote qualcosa come 25 miliardi di dollari, circa un terzo dei depositi totali presenti nelle istituzioni finanziarie dell’isola. Nel 2011, ultimo anno per il quale sono disponibili statistiche ufficiali, gli investitori russi avevano trasferito a Ci-


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«Togliamo alle lobby le chiavi della cassaforte d’Italia» di Emanuele Isonio

Con i suoi 300 miliardi di bilancio, la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe il quarto fondo sovrano al mondo. Un tesoro che potrebbe sostenere la politica industriale italiana. «Ma è spesso usato in modo poco chiaro e senza un piano preciso» denuncia “Sbilanciamoci”. Che nella sua “Controcernobbio 2013” lancia una serie di proposte per un uso più razionale e democratico

bbasso la Cdp. Evviva la Cdp. Dove “Cdp” sta per Cassa Depositi e Prestiti. È una critica radicale e, al tempo stesso, un appello per un utilizzo delle sue risorse più attento alle esigenze dell’economia reale quello che arriva dalla “Controcernobbio 2013”, il tradizionale forum di “Sbilanciamoci”, giunto alla undicesima edizione e ospitato, per la prima volta, a Roma in alcune aree dismesse e occupate: le Officine Zero di Portonaccio e lo storico Teatro Valle, dietro piazza Navona. Luoghi simbolici per chi vuole proporre strade alternative per uscire dalla recessione e per ridurre le disuguaglianze sociali.

A

300 miliardi per la politica industriale italiana In questo senso un uso diverso della “Cassaforte d’Italia”, finanziata dal risparmio postale dei cittadini, è questione centrale. La Cdp ha ormai preso il posto della vecchia Iri ed è diventata ben più pesante: 300 miliardi di bilancio contro i 138 del

vecchio Istituto per la Ricostruzione industriale. Paragonata ai maggiori fondi sovrani, sarebbe fuori dal podio per un soffio, preceduta solo dai fondi di Abu Dhabi, Norvegia e Arabia Saudita. «Dal nostro punto di vista la Cdp potrebbe essere uno strumento prezioso per sostenere la politica industriale italiana», si legge nel rapporto “Sbilanciamoci 2013”. Peccato che finora «la politica perseguita dall’attuale management sembra andare in troppe direzioni e con una strategia che appare piuttosto casuale o forse radicata in alcuni interessi ben precisi». In effetti la Cassa, nata per finanziare i Comuni, oggi controlla le grandi reti di energia, elettricità, telefonia, finanza: è principale azionista di Eni, Terna, Snam e proprietaria unica di Sace e Fintecna. Ha un pacchetto azionario di Generali (4,5%) e interessi nel commercio e nel turismo. «Non vorremmo si trattasse solo di impegnare risorse pubbliche per permettere a qualche gruppo politico-manageriale-affaristico di gestire in tutta pace i propri

Alla Cdp i mutui cartolarizzati. Il decreto Imu strizza l’occhio alle banche di Emanuele Isonio

L’intento: spingere gli istituti a erogare credito. Ma i dubbi sono molti: la sensazione è che sia un favore alle banche Per poter parlare con certezza dell’ennesimo favore alle banche con i soldi pubblici bisognerà aspettarne la conversione in legge, che dovrà avvenire entro 60 giorni. Ma nel decreto Imu, approvato

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poche settimane fa dal governo (e già in vigore), dietro un articolo di poche righe si cela il rischio che i risparmi dei tanti correntisti postali finiscano, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, per aiutare il sistema bancario senza che questo si traduca in vantaggi effettivi per i cittadini. Il comma in questione è l’8-ter dell’articolo 6. Il linguaggio è sicuramente (volutamente?) involuto:«La Cassa depositi e prestiti SpA può acquistare obbligazioni bancarie garantite emesse


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affari senza essere disturbato», denuncia il rapporto. «Più in generale la Cassa sembra spingere la sua attività in maniera disordinata verso le direzioni più varie, facendo un po’ di tutto, senza un piano preciso». L’idea è invece di concentrare l’attenzione su pochi obiettivi prioritari, «in direzione di sostenere uno sviluppo ecosostenibile del Paese» e di ripensare il modello di gestione della Cdp.

Una proposta di gestione locale «L’attuale crisi colpisce tutti ed è quindi giusto che tutti possano decidere dove indirizzare le risorse finanziarie di cui dispone l’Italia», osserva Marco Bersani, tra i fondatori di Attac Italia. Assai critico sulla trasformazione della Cassa in Spa e sull’ingresso nel suo capitale (con il 18,4%) delle fondazioni bancarie. «Diventando una società per azioni ha gli utili come obiettivi e ha perso di vista lo scopo per il quale è nata: favorire gli investimenti de-

gli enti locali attraverso mutui agevolati». Da qui la proposta di una gestione territorializzata della Cassa, che coinvolga i Comuni, investendo su lavoro, servizi e innovazione. L’idea è di far partecipare le comunità locali alle scelte e al tipo di interventi da finanziare: «Se un cittadino mette i propri soldi in un fondo postale, perché non dovrebbe avere il diritto a dire come utilizzare tali fondi?». Piuttosto evidente il vantaggio: i soldi dei cittadini rimarrebbero sul territorio. «Ma – precisa Bersani – va pensata comunque una quota di redistribuzione altrimenti si rischia di aumentare il divario tra zone ricche e zone povere». Non solo: secondo “Sbilanciamoci”, condizione per accedere ai mutui agevolati di Cdp è che i progetti siano scelti con processi partecipativi e siano quindi i titolari dei buoni postali a indicare i progetti prioritari. Ma per il cambio di rotta la strada non è semplice. Primo passo è una mo-

a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi ai sensi della legge 30 aprile 1999, n.130, nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali». Legalese a parte, il senso è più o meno questo: le banche cartolarizzano i mutui immobiliari emessi. La Cdp acquista le obbligazioni, sperando in questo modo di spingere le banche a erogare nuovo credito. Ma l’operazione lascia molti dubbi. Sia perché non vincola in alcun modo gli istituti, sia perché non risponde ai bisogni di molti italiani ai quali è negato un mutuo per carenza di garanzie. «Per come è concepito questo comma – osserva Marco Bersani di Attac Italia – è un mero favore alle banche che si vedono

difica dello statuto della Cassa Depositi e Prestiti. «Per questo stiamo lavorando a un progetto di legge d’iniziativa popolare per far ricomprare al ministero dell’Economia le quote delle fondazioni che, comunque, già oggi hanno ampiamente recuperato i soldi investiti», spiega Bersani. Già a inizio ottobre i prossimi passi del progetto. In un incontro a Roma si definiranno tempi e strumenti della campagna e si tenterà di coinvolgere nell’iniziativa gli enti locali. Intanto in Parlamento è già iniziato lo scouting per sondare l’interesse di alcuni deputati e senatori. Alcuni membri di M5S, Sel e Pd si sono mostrati particolarmente sensibili. Ma il rischio di una fine anticipata della legislatura e i vincoli imposti dal governo delle larghe intese potrebbero rendere il percorso della legge popolare paradossalmente meno lungo e tortuoso di iniziative interne al Parlamento. 

acquistare un prodotto finanziario del valore vicino allo zero. In più si spinge a un’ulteriore finanziarizzazione del credito e si rafforza un circolo vizioso che induce il circuito bancario a non allargare i cordoni della borsa in attesa di un intervento del governo. La Cdp apre le casse, offre prestiti alle banche ai tassi più bassi di mercato e queste ultime erogano mutui a interessi più alti». Meglio sarebbe, secondo Bersani, trasformare la Cdp in una vera banca, «così potrebbe finanziare direttamente e a tassi probabilmente migliori alcuni tipi di interventi, dall’efficientamento energetico, alle aziende delle zone terremotate, alle imprese che investono nei settori più innovativi e a minore impatto ambientale».

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| valorifiscali |

Informazioni e sanzioni

Ricetta anti evasione el contesto della libertà di movimento dei capitali e della concorrenza fiscale tra Paesi il contrasto all’elusione e all’evasione fiscale internazionale richiede due elementi: primo l’informazione, cioè deve essere possibile sapere che l’elusione o l’evasione potrebbero avvenire o sono avvenute. E, secondo, l’applicazione di strumenti disincentivanti o sanzionatori.

N

di Alessandro Santoro

Tuttavia questi problemi si presentano con modalità ed entità diverse per multinazionali e individui. Per le multinazionali il problema informativo non è insuperabile. La quantità di soggetti e di autorità di regolazione cui in qualche misura devono rendere conto e, soprattutto, l’attenzione pubblica dedicata ai loro comportamenti dall’enorme lavoro fatto dalle associazioni e dalle Ong fanno sì che, prima o poi, generalmente i casi più macroscopici di elusione fiscale vengano alla luce. Tuttavia gli strumenti attivabili sono comunque limitati dall’approccio che si potrebbe definire casistico: ogni qual volta viene fuori un nuovo schema societario elusivo questo viene studiato in sede nazionale e internazionale (l’Ocse è particolarmente attiva su questo fronte) e inizia il faticoso tentativo di costruire un quadro di regole internazionali per impedirne l’attuazione. Servirebbe, invece, un approccio più comprensivo, basato su una clausola anti-abuso generale, e un corpo di regole applicabili da tutti gli Stati (almeno quelli Ue!) alla base imponibile, nonché un livello minimo di aliquota effettiva. Per i veri e propri paradisi fiscali, che continuano a non vo-

Ma esiste anche un problema, meno discusso ma non meno grave, di utilizzo di schemi elusivi ed evasivi da parte di persone fisiche, cioè di individui che magari utilizzano società solo come copertura per l’esportazione di capitali, a loro volta maturati grazie all’evasione. Qui il problema è soprattutto informativo, perché per i singoli individui è più facile generare questi flussi in modo da sfuggire a pressoché ogni controllo. Bisogna, in questo ambito, ampliare i poteri conoscitivi delle amministrazioni fiscali: una strada è l’utilizzo delle facoltà riconosciute per il contrasto al riciclaggio, considerando l’evasione come delitto che ha originato il flusso di denaro, e per l’individuazione del cosiddetto “titolare effettivo” che si nasconde dietro a trust e società fittizie. Inoltre è necessario rendere veramente automatico lo scambio di informazioni. Anche in questo caso dovrebbe trattarsi di un obbligo per qualsiasi Paese aderente all’Ue o che con l’Ue intrattiene rapporti commerciali e, negli altri casi, si dovrebbe pensare a una vera e propria politica di sanzione commerciale di quelli che a buon diritto possiamo definire Staticanaglia. 

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Per combattere elusione ed evasione fiscale servono due ingredienti: informazioni e strumenti sanzionatori. Ma per singoli e multinazionali la situazione è diversa lere applicare standard minimi, non resta che la strada delle sanzioni statali, a cominciare da quelle di natura commerciale, posto che la loro esistenza distorce i flussi di capitale, e quindi anche quelli delle merci, internazionali.


fotoracconto

03/05

FRANCESCO JODICE

Il lago di Aral: qui è ambientato il secondo film del progetto Citytellers di Francesco Jodice. La condizione naturale e urbana di questo ecosistema, franato su se stesso per un errore di calcolo ingegneristico dell’Unione Sovietica, è al centro della narrazione. Continue le digressioni sulla costruzione di un centro per la sperimentazione di armi chimiche e sulla presenza del più grande cosmodromo del mondo.

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| numeridellaterra |

Crack finanziari Greatest Hits 1991-2013

MESSICO CRACK DEL PESO La tequila, si sa, può fare brutti scherzi. Specie se assunta in dosi eccessive. Nei ruggenti anni ’90 gli investimenti stranieri invadono il Messico e il Paese vive un clima di fiducia mai visto. Nel 1994 l’escalation della crisi in Chiapas, gli omicidi politici e l’incertezza crescente sulla stabilità interna provocano un’inversione di rotta. I capitali stranieri defluiscono rapidamente e il valore del peso crolla. A salvare il Paese ci penserà un maxi prestito di Washington. SUD EST

di Matteo Cavallito

a liberalizzazione del mercato dei capitali su scala globale ha rappresentato la grande rivoluzione economica degli ultimi due decenni. Il boom degli investimenti ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo di nuovi mercati e tanti Paesi hanno tratto importanti benefici. Ma la deregolamentazione finanziaria avviata già nei primi anni ’80 ha provocato al tempo stesso una crescente instabilità limitando fortemente gli strumenti di contrasto alla speculazione internazionale. Per questo, ha sostenuto il premio Nobel Joseph Stiglitz, la frequenza delle crisi è aumentata radicalmente tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. Dall’America Latina all’Asia, dall’Europa occidentale a quella orientale, passando per gli Stati Uniti e i Paesi del Terzo Mondo (vedi alla voce commodities alimentari) fino all’insospettabile Islanda: nessun’area del globo nell’ultimo quarto di secolo è stata immune dalle crisi. Di seguito la nostra personale selezione. 

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GIAPPONE BOLLA IMMOBILIARE E BORSISTICA I favolosi anni ’80 gonfiano a dismisura i due comparti più sensibili dell’economia nipponica: il settore immobiliare e la Borsa. La politica monetaria espansiva e il credito facile spingono il Nikkei ai massimi storici fino al brusco stop del 1991. È l’inizio della stagnazione e il Paese si trova invischiato nella trappola deflazionistica [vedi Valori n. 111, luglio-agosto 2013].

[ 1991]

[ 1994-95]

ASIATICO CRISI FINANZIARIA L’eccezionale dinamismo del Sud Est asiatico attrae gli investitori internazionali. Dal 1990 al 1997 i flussi finanziari verso la regione aumentano di quattro volte raggiungendo la soglia dei 100 miliardi di dollari. L’eccesso di liquidità gonfia però le Borse e alimenta la speculazione immobiliare. Segue l’inevitabile spirale del crollo: crack finanziario, fuga di capitali e svalutazione delle monete nazionali.

RUSSIA CRISI DEL RUBLO L’eco della crisi asiatica si abbatte sulla Russia. I prezzi delle materie prime crollano e l’economia nazionale, fortemente dipendente dagli umori delle commodities, va a picco. Il rublo crolla e il Paese è costretto a dichiarare default.

[ 1997]

[ 1998]


ISLANDA CRACK Quando nel 2003 il governo di Reykjavik liberalizza il sistema finanziario nazionale, le tre principali banche del Paese, Kaupthing, Landsbanki e Glitnir, si lanciano sul mercato internazionale. Riempiendosi di titoli tossici. Con il crollo del mercato immobiliare Usa la crisi si materializza: nel primo trimestre del 2008 la Borsa locale perde il 40%, l'inflazione viaggia al 6,8%. I debiti accumulati dai tre istituti valgono 12 volte il Pil dell’isola. Come dire: “Too big NOT to fail”. Inevitabile il default.

ARGENTINA DEFAULT Scottata da anni di inflazione a doppia cifra, l’Argentina segue la strada del cambio fisso: agganciando il peso al dollaro con un delirante cambio 1 a 1. La bilancia commerciale viene massacrata, il debito aumenta e i capitali si volatilizzano. Nel solo 2001 il Paese brucia 3/5 delle sue riserve in valuta Usa. Poi dichiara bancarotta. USA USA BOLLA DOTCOM MUTUI SUBPRIME Internet e new economy. Sono le parole Per anni le banche concedono prestiti a d’ordine del XXI secolo. A Wall Street le nuoforte rischio illudendosi di poterli bilanciave società del settore proliferano come funghi. re attraverso la cartolarizzazione. Proliferano Ma sono scatole vuote che scontano inespele asset-backed securities, i prodotti derivati rienza e margini di profitto ridottissimi. Il capaci di trasformare i crediti in liquidità. crack è inevitabile. Il Nasdaq crolla rapidaIl contagio si diffonde e quando i prezzi mente, gli attentati dell’11 settembre delle case crollano… beh, il seguito generano sfiducia esasperando lo conoscete. la recessione.

[ 2000-02]

[ 2001-02]

[ 2007-08]

INDIA MICROCREDITO, LA BOLLA DE POVERI Piccoli prestiti per uscire dalla povertà. Ma anche tassi da usura e spirale dei debiti: la bolla scoppia e ai default segue un’ondata di suicidi. Epicentro del terremoto l’India, dove si concentra un terzo dei clienti del mondo per un business da oltre sei miliardi e mezzo di dollari. (Vedi Valori n. 87, marzo 2011)

EUROPA EST EUROPA CRISI DEI DEBITI CREDIT CRUNCH SOVRANI La crisi Usa arriva in Europa spingendo La recessione del 2009 provoca un deteriole banche del Vecchio Continente a chiude- ramento del rapporto debito/Pil provocando re i rubinetti del credito. Le economie dell’ex sfiducia nel mercato dei titoli di Stato. Quando la Patto di Varsavia, che da due decenni dipen- Bce chiarisce di non avere intenzione di garandono dai finanziamenti dei grandi istituti, tire direttamente i debiti nazionali gli specusi bloccano. Seguono speculazioni al latori attaccano le obbligazioni dei Paesi ribasso sulle monete, recessiopiù deboli.A cominciare dalla Grecia. ne e inflazione interna. Il seguito è noto.

[ 2008]

[ 2008-09]

[ 2009-in corso]

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ILLUSTRAZIONE BASE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ / CREDIT PHOTO: COPENHAGENIZE DESIGN CO.

ORO, LA GRANDE ILLUSIONE Crisi europea, incertezza, volatilità: tutti buoni motivi per investire nel classico bene rifugio. Nel quadriennio post Lehman il prezzo dell’oncia passa da 800 a 1.800 dollari, poi la discesa e infine il tracollo di aprile 2013. In due giorni, i fondi hedge dei veterani John Paulson e David Einhorn bruciano 640 milioni di dollari.

[ 2013]

BOLLA PETROLIFERA Iraq nel caos? Escalation nel conflitto araboisraeliano? Minacce nucleari iraniane? No, derivati. Contratti futures per la precisione. Gli operatori giocano al rialzo in questo mercato parallelo dei barili virtuali e il prezzo dell’oro nero sale alle stelle. Quando il 12 luglio 2008 il petrolio quotato al Nymex tocca il picco massimo di 147,25 dollari, la produzione giornaliera mondiale è pari a 85 milioni di barili reali. Gli scambi finanziari quotidiani interessano invece 1,3 miliardi di barili “cartacei”.

CRISI VALUTARIA E BORSISTICA DEI MERCATI EMERGENTI Siamo all’ultimo capitolo. Ma solo in ordine di tempo. Borse in difficoltà e valute in forte ribasso in attesa delle contromosse basate sulla mobilitazione delle riserve. Funzionerà?

[ 2010-2011]

BOLLA DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI Vedi petrolio. Con il prezzo dell’oro nero in ascesa l’alternativa dei biofuels diventa sempre più attraente. Inizia la spirale rialzista dei prezzi delle materie prime e delle terre coltivabili. Per i Paesi del Terzo Mondo la tragedia è dietro l’angolo: scarsità di offerta, inflazione, fame.

[ 2013-in corso]

| un mondo in crisi |


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| corsa al riarmo |

economiasolidale Energia pulita sempre più su > 35 Impresa sociale, non ti riconosco più > 37

PHOTOGRAPHER’S MATE 3RD CLASS DOMINIQUE M. LASCO, U.S. NAVY / HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

L’Italia delle rinunce > 39

di Paola Baiocchi ino a poco tempo fa i caccia francesi Rafale, della Dassault Aviation, non si vendevano: Gheddafi li aveva guardati con un certo interesse durante la sua visita in Francia nel 2007, ma poi (imprevidente!) aveva deciso di non concludere l’affare. Nel 2010 i Rafale sembravano esclusi dalla competizione per l’ammodernamento dell’aviazione brasiliana, orientata all’acquisto di 36 caccia svedesi Saab Jas 39 Grifone. La perdita di appeal dei caccia francesi, che non avevano rinnovato i successi dei Mirage sui Mig russi, aveva fatto scrivere il giornalista israeliano Jacques Benillouche sul magazine on line Slate.fr, che il Rafale non trovava nessun esercito straniero disposto ad acquistarlo e tanto meno a provarlo in battaglia. Questo costituiva una grave pecca «perché un aereo da combattimento non può essere concepito unicamente nei centri di simulazione. Quale che sia il genio degli ingegneri ha bisogno di essere convalidato dall’analisi del suo comportamento nei combattimenti reali». Ora i brasiliani tornano a considerare i Rafale per la loro aviazione. Mentre la Dassault ha annunciato di essere vicina

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Golfo Persico - Un Rafale decollato dalla portaerei francese “Charles De Gaulle” esegue il “touch-and-go” (appontaggio e decollo) sulla portaerei statunitense “Ronald Reagan”.

Guerra continua Per l’industria bellica il collaudo in combattimento equivale a un attestato di qualità. Mentre la spesa militare ha raggiunto la cifra di 1.756 miliardi di dollari, si cercano scenari sempre diversi dove testare i nuovi prodotti

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alla firma di una commessa miliardaria con l’India per 126 caccia, più l’opzione su altri 63. Cosa è successo nel frattempo? I francesi hanno deciso di testare in battaglia i Rafale, lanciandoli sulla Libia. Mentre le rivelazioni sullo spionaggio compiuto dalla Nsa sulla presidente Dilma Rousseff, secondo l’agenzia Reuters, avrebbero tagliato fuori dalla partita brasiliana il caccia statunitense Boeing Super Hornet, anche questo combatproven, collaudato in combattimento.

Franco Gussalli Beretta, Vice Presidente e Amministratore Delegato di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta SpA, incontra il presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, capo delle forze armate del Paese, in occasione dell’apertura ad Astana della seconda edizione di KADEZ 2012. Il presidente kazako è davanti a un fucile per sniper (cecchini) prodotto dalla finlandese Sako (gruppo Beretta).

Pallottole finanziarie

FONTE: SIPRI, ANNUARIO 2012

La storia dei Rafale si inquadra bene negli scenari multipolari che si sono creati dopo la fine della Guerra fredda, in cui si affacciano nuove potenze regionali e dove si sono moltiplicati i conflitti locali. Ma dove si sono anche differenziate le possibilità di attacco. «Ci sono tre tendenze in atto nella situazione attuale», spiega Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo. «Da una parte gli Stati ricchi e con le Forze armate più tecnologicamente progredite puntano a nuovi costosi sistemi d’arma come il Muos (vedi ARTICOLO a pag. 33). Dall’altra si investono cifre sempre più considerevoli sugli attacchi di natura cyber tecnologica e di spionaggio. Infine costa molto meno ed è meno soggetto ad essere individuato dall’opinione pubblica, ma è altrettanto dannoso, condurre guerre d’opinione, attaccare i Paesi dal punto di vista finanziario. In un certo senso si può dire che la stessa Italia sia stata sottoposta, non più tardi di due anni fa, a un attacco simile, che – conclude Vignarca – ha portato a governi che operano in un clima di “sospensione della capacità di scelta” da parte dei cittadini».

Una goccia nel mare Le spese militari globali nel 2012 sono state 1.756 miliardi di dollari, pari al 2,5% del Pil mondiale. Secondo l’Istituto svedese di ricerca Sipri è una diminuzione dello 0,4%, in termini reali, rispetto ai 1.740 miliardi del 2011. Il risultato non fa dire agli analisti che la corsa al riarmo ha rallentato, anzi sono moltissime le aree dove le spese militari sono cresciute con percentuali a due cifre. Anche l’annunciato taglio di 45 miliardi di dollari nel prossimo decennio al budget militare degli Usa è una goccia, nel mare di una spesa annua complessiva di 900 miliardi, più della metà di quella mondiale. Inoltre, spiega il saggista Manlio Dinucci su Il manifesto: «La strategia Usa punta ad accrescere la spesa militare degli alleati, sia interni che esterni alla Nato, anche perché è l’industria bellica statunitense a fornire loro la maggior parte degli armamenti. I risultati non mancano: la spesa militare dell’Europa orientale è aumentata nel 2012 di oltre il 15% rispetto al 2011. La Polonia – continua Dinucci – aggiungerà al

PRINCIPALI IMPORTATORI ED ESPORTATORI DI ARMI PESANTI 2008-2012 Esportatori 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Stati Uniti Russia Germania Francia Cina Regno Unito Spagna Italia Ucraina Israele

Parte mondiale [%] 30 26 7 6 5 4 3 2 2 2

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Importatori 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

India Cina Pakistan Corea del Sud Singapore Algeria Australia Stati Uniti Emirati Arabi Uniti Arabia Saudita

Parte mondiale [%] 12 6 5 5 4 4 4 4 3 3

budget militare, in dieci anni, 33,6 miliardi di euro per potenziare le forze armate realizzando (con tecnologie importate dagli Usa) un proprio “scudo missilistico” nel quadro di quello Usa/Nato». «Il taglio statunitense – aggiunge Francesco Vignarca – in parte è dovuto a una nuova dislocazione delle forze, che si ritirano dall’Europa per orientarsi su basi più vicine a casa e quindi meno dispendiose, sul fronte Asia/Pacifico». Gli effetti di questo riorientamento si vedono sulla spesa militare cinese, che è la seconda al mondo nel 2012 con 166 miliardi (+175% dal 2003 al 2012). Mentre dal punto di vista della produzione la Cina si classifica al quinto posto. In rapido aumento anche la spesa della Russia, che con 90 miliardi di dollari si piazza al terzo posto mondiale (+16%), nel quadro di un totale rinnovamento del suo esercito e dei programmi di armamento.

Italia bellicosa Per il Sipri l’Italia ha aumentato la sua spesa militare passando dall’undicesimo posto del 2011, al decimo nel 2012, per un totale di 34 miliardi di dollari (circa 26 miliardi di euro l’anno) pari a 70 milioni di euro al giorno. Una spesa ingiustificata, mentre si cercano di operare tagli che dovrebbero portare ridicoli risparmi: come gli 80 milioni previsti eliminando una sede giudiziaria su due, anche in zone ad alta presenza criminale. La corsa al riarmo dalle crisi trae nuova forza: dopo la commozione suscitata dalle 26 vittime nella scuola elementare del Connecticut, l’annuncio di Obama di una moratoria sulla vendita delle


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armi da fuoco ha fatto correre gli americani a fare scorte. Ne sanno qualcosa nella storica fabbrica di munizioni Fiocchi di Lecco, come ci spiega Mauro Castelli, della Fiom-Cgil di zona: «Nel 2013 la Fiocchi ha assunto 120 dipendenti a tempo determinato, arrivando a 530 addetti totali. Ma comunque non è riuscita a far fronte agli ordini dagli Stati Uniti. E questo in un’area in cui le altre aziende metalmeccaniche chiudono, fanno contratti di solidarietà o mettono in cassa integrazione». A gonfie vele va anche la Beretta di Gardone Val Trompia (Bs), che ha solidi legami con gli Usa, tanto che il cavalier Beretta è stato insignito con la massima onorificenza dell’anello d’oro della libertà dalla National Rifle Association, per le sue importanti donazioni alla potente lobby delle armi.

Leggere, ma non meno pericolose Nel mondo sono più di mille le aziende in circa 100 Paesi che producono armi leggere e le loro munizioni. Non si deve pensare che siano meno letali, perché vanno dal calibro 0,22 delle armi sportive da tiro, ai fucili mitragliatori, alle armi portatili anticarro come l’RPG-7, un lanciagranate a propulsione di fabbricazione russa. A livello internazionale non c’è una definizione unitaria su quali siano le “armi leggere o di piccolo calibro” e questa nebulosa di identificazioni rende molto più difficile coordinare le varie legislazioni e stabilire efficaci trattati internazionali. Anche il nostro Parlamento non ha strumenti per conoscere e decidere sulla vendita delle armi leggere, che riescono facilmente a raggiungere gli scenari di guerra. Carlo Tombola, rappresentante dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia (Opal), che nella sua provincia vede l’80% delle aziende italiane censite, ci spiega: «Il secondo principale acquirente di queste armi nel 2012 è stata la Turchia, Paese confinante con la Siria, dal quale le armi italiane possono essere “filtrate” verso il conflitto siriano». Riportare l’attenzione degli italiani sul tema della nostra responsabilità nelle guerre è, quindi, sempre più urgente, per riposizionarci all’interno dei nostro dettato costituzionale, e per ricollocare su produzioni di pace importanti risorse economiche. Un segnale che qualcosa si possa fare viene dal Parlamento, dove si è formato il gruppo “Parlamentari per la pace” con una settantina di rappresentanti che hanno già ottenuto la discussione sugli F-35. E che possono farsi portavoce delle istanze della società civile. 

IN RETE OPAL Osservatorio permanente armi leggere di Brescia. www.opalbrescia.org SMALLS ARMS SURVEY Progetto di ricerca con sede presso il Graduate Institute of International Studies di Ginevra. www.smallarmssurvey.org SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) Istituto di ricerca nato nel 1966 per commemorare i 150 anni di pace ininterrotta in Svezia. Da quasi cinquanta anni conduce ricerche sulle spese militari, i conflitti, la proliferazione nucleare. www.sipri.org

Via ai cantieri del Muos in Sicilia di Antonio Mazzeo*

Le operazioni di guerra richiedono un flusso sempre maggiore di informazioni. A Niscemi (Caltanissetta) sta sorgendo una grande installazione che servirà per coordinare gli strumenti militari statunitensi li F-35, ma non solo. Lockheed Martin, il colosso mondiale della produzione di sistemi di morte, oltre ai famigerati cacciabombardieri a capacità nucleare, è stato chiamato dal Pentagono a realizzare il Muos, il sistema di telecomunicazioni satellitari che gestirà i conflitti sempre più disumanizzati del XXI secolo. Dotato di cinque satelliti geostazionari e quattro stazioni terrestri, il Muos coordinerà il funzionamento degli strumenti militari statunitensi dislocati in ogni parte del globo. Preposto principalmente per gli utenti mobili (velivoli senza pilota, missili da crociera, piattaforme aeree e marittime, ecc.), la nuova rete satellitare trasmetterà i dati e le comunicazioni audio e video in tempi ancora più ridotti e in valori dieci volte maggiori dei sistemi odierni. Le stazioni di terra del Muos saranno ubicate nella Defence Satellite Communications Station di Kojarena-Geraldton, nel sud-ovest dell’Australia; a Norfolk, Virginia; nella stazione aeronavale di Wahiawa, isole Hawaii e presso la facility della marina militare Usa di Niscemi (Caltanissetta), operativa dal 1991 per le comunicazioni strategiche con le unità navali e i sottomarini nucleari.

G

La Sicilia non si arrende Nonostante i costi più che raddoppiati (oggi si stima una spesa complessiva superiore agli 8 miliardi di dollari), a causa di un impressionante numero di errori tecnici e progettuali, il Muos ha registrato ritardi di oltre cinque anni nella sua implementazione. In Sicilia, in particolare, l’opposizione della popolazione e di numerosi enti locali ha costretto la Regione a revocare le autorizzazioni agli impianti perché ricadono all’interno della riserva naturale “Sughereta”, sito d’importanza comunitaria. Il provvedimento è stato però subdolamente aggirato dalle autorità militari italiane e Usa e il Movimento No Muos ha dovuto sperimentare un ampio ventaglio di azioni dirette, blocchi | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 33 |


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stradali, sabotaggi non violenti per impedire il prosieguo illegittimo dei lavori. Sotto la pressione del governo Letta e dell’ambasciata statunitense, il gover-

natore Rosario Crocetta ha però revocato lo stop ai cantieri alla vigilia del pronunciamento del Consiglio di giustizia amministrativa sulla legittimità delle

IT.WIKIPEDIA.ORG

L’ITALIA INSTALLA UNA SUA BASE MILITARE A GIBUTI Incassata nella sella del Corno d’Africa, tra Eritrea, Etiopia e Somalia, Gibuti è sullo stretto di Bab elMandeb, a soli 30 chilometri di distanza dallo Yemen. Indipendente dalla Francia dal 1977, la piccolissima repubblica, con un territorio grande come la Toscana e 800 mila abitanti, controlla un punto strategico quanto il Canale di Suez perché tutto l’export del Golfo Persico passa di qui prima di arrivare a Suez. E altrettanto il traffico navale dal Mar Rosso all’Oceano Indiano, verso Giappone e Cina. Il ministero della Difesa italiano, diretto all’epoca dall’ammiraglio De Paola, ha sottoscritto nel luglio del 2012 un accordo per installare una base in questo territorio, dove la Francia ha tenuto una unità della Legione straniera (nella foto) e dove gli Stati Uniti nel 2003 hanno installato Camp Lemonnier, che ospita la Combined joint task force horn of Africa, formata da oltre 3.000 uomini. Per la base italiana sono stati addebitati nel bilancio del ministero dell’Economia 3,7 milioni di euro per il 2012 e 2,6 milioni annui fino al 2020. Tutte risorse sottratte al sociale. Ma questa potrebbe essere solo una piccola parte della spesa, perché Francia e Usa pagano 30 milioni l’anno per l’affitto di ciascuna base. Pa.Bai.

autorizzazioni (il Tar in primo grado aveva condiviso le preoccupazioni socio-ambientali dei No Muos). Un voltafaccia prontamente stigmatizzato dagli attivisti siciliani che il 9 agosto hanno indetto una grande manifestazione all’interno della riserva, conclusasi con l’invasione pacifica della grande stazione militare Usa. Ciò ha evidenziato l’assoluta non difendibilità di quella che è una delle più importanti infrastrutture di guerra nel Mediterraneo. Il 26 agosto scorso sono però ripresi alacremente i lavori d’innalzamento delle tre megaparabole satellitari del Muos. «Attività del tutto illegittime perché prive delle necessarie autorizzazioni», denunciano i legali dei Comitati No Muos nell’ennesimo esposto presentato in Procura. Il Muos di Niscemi è una storia infinita di bugie, soprusi e illegalità. Moltissimi gli appuntamenti di lotta per sfiduciare il governo regionale, reo della riapertura dei cantieri, e ribadire il No dei siciliani a tutte le guerre. 

* peace-researcher e giornalista

Cyberwar, la quinta dimensione di Paola Baiocchi

Con la diffusione della digitalizzazione, nei Paesi industrializzati basta un attacco al sistema informatico di gestione per bloccare le infrastrutture strategiche. Dopo mare, terra, aria e aerospazio, il cyber è diventato un dominio da conquistare Reti idriche, ospedali, centrali elettriche, reattori nucleari, porti e ferrovie, i flussi delle informazioni finanziarie, i dati sensibili gestiti dalle amministrazioni pubbliche e un’infinità di altre funzioni fondamentali nelle società industrializzate sono sempre più controllate da sistemi informatici. Che sono, per loro intrinseca caratteristica, vulnerabili. Assieme alla loro diffusione è cresciuta, in uguale misura, la vulnerabilità delle nostre società, tanto che la guerra attraverso le Ict, le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni «è già iniziata, e almeno una ventina di Paesi stanno sviluppando mezzi di difesa e di attacco», afferma Gian Piero Siroli, docente dell’Università di Bologna e membro dell’Uspid (Unione scienziati per il disarmo). Tra questi Paesi ci sono sicuramente

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Russia, Israele, Cina e Stati Uniti, gli unici che si sono già ufficialmente dotati di un cyber command. Con 14 mila agenti e 9,6 miliardi di stanziamenti per il 2014, la struttura risponde agli ordini del generale Keith Alexander, che è anche capo della National security agency e del Central security agency. A questo cyber command e all’intelligence israeliana è stata attribuita la creazione di Stuxnet, uno spietato malware che dopo aver danneggiato le centrifughe della centrale nucleare iraniana di Bushehr, ha continuato il suo attacco contagiando milioni di computer arrivando fino in Cina, da sempre accusata di condurre attacchi informatici. Le possibilità di cyber attacco sono infinite e le difese per il momento deboli.


| economiasolidale | futuro energetico |

Energia pulita sempre più su Dalla politica gli ostacoli di Valentina Neri

In vista del congresso dell’associazione europea dell’industria fotovoltaica, del 22 ottobre a Londra, tracciamo i possibili scenari del solare: le previsioni indicano un rallentamento nel Vecchio Continente ll’interno di uno scenario economico globale che sconta ancora forti debolezze, le energie pulite continuano a macinare dati positivi. Anche se l’idroelettrico resta la fonte rinnovabile più consistente a livello quantitativo, spiega l’ultimo rapporto Vital Signs pubblicato a fine luglio dal Worldwatch

FONTE: RECAI - RENEWABLE ENERGY COUNTRY ATTRACTIVENESS INDEX (ERNST & YOUNG)

A

Institute, i tassi di crescita globali del solare e dell’eolico non hanno pari. Nel corso del 2012 il consumo di energia solare ha segnato un +58%, arrivando a 93 TWh complessivi. Anche se i nuovi investimenti sono scesi dell’11% rispetto al 2011, fermandosi a 140,4 miliardi di dollari, il calo dei costi della tecnologia ha fatto sì che la

LA CLASSIFICA DEI PAESI PIÙ ATTRATTIVI PER GLI INVESTITORI IN FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI Agosto 2013 Agosto 2012 Agosto 2011 Stato Posizione Punteggio Posizione Punteggio Posizione Punteggio USA 1 75.4 2 66 2 67 Cina 2 71.9 1 70,2 1 71 Germania 3 69.6 2 66 3 64 Regno Unito 4 62.1 5 55,3 5 58 Giappone 5 61.8 9 50,8 * * Australia 6 61.3 11 50,1 12 47 Canada 7 59.3 8 53,4 8 53 Francia 8 56.9 6 55,2 7 56 India 9 56.2 4 64,1 4 62 Italia 10 54.4 6 55,2 5 58 Belgio 11 53.0 19 44,6 14 46 Corea del Sud 12 52.2 16 46,6 16 45 Spagna 13 51.7 14 47,6 9 52 Danimarca 14 51.3 * * * * Brasile 15 50.9 10 50,2 11 49 Cile 16 50.8 * * * * Portogallo 17 50.6 19 44,6 16 45 Olanda 18 50.5 * * * * Svezia 19 50.4 12 49 10 50 Sudafrica 20 48.5 17 45,9 * * * posizione in classifica al di sotto della ventesima Il Renewable Energy Country Attractiveness Index, redatto da Ernst & Young ogni tre mesi, fa il punto sull’evoluzione del mercato delle rinnovabili. A ognuno dei quaranta Paesi coinvolti nell’indagine viene assegnato un punteggio sulla base di una serie di indicatori (ad esempio stabilità politica, semplicità nel fare business, privatizzazione delle rinnovabili, bancabilità delle rinnovabili, ecc.), per capire quali siano i più adatti agli investimenti nelle energie pulite. Migliora

Peggiora

Sostanzialmente stabile

potenza installata crescesse del 41%, arrivando a varcare la soglia dei 100 GW. Rispetto al 2007, quando era pari a soli 10 GW, l’aumento ha dunque proporzioni vertiginose. Ancor più vertiginose se si considera che sono gli stessi anni della crisi globale, che hanno visto letteralmente crollare altri settori ben più consolidati.

Italia tra luci e ombre Se si scende nel dettaglio dei singoli Stati, l’Italia conquista a pieno titolo un ruolo da protagonista. È il secondo Paese al mondo per potenza installata con 16,4 GW, dopo la Germania (32,4 GW) e prima delle maggiori economie mondiali, Stati Uniti e Cina, ferme rispettivamente a 7,2 e 7,7 GW. Nel 2012 la potenza installata è stata di 3,4 GW: solo Germania e Cina hanno fatto di più. Il settore, insomma, è solido, pur in un Paese in cui la ripresa del Pil e dei consumi sembra lontana. Ma se è così, com’è possibile che nell’arco di soli due anni l’Italia sia scivolata dal quinto al decimo posto nella graduatoria, stilata da Ernst & Young, dei Paesi più attrattivi al mondo per chi vuole investire nelle rinnovabili? La data chiave è stata quella del 6 luglio 2013, quando, al raggiungimento dei 6,7 miliardi di euro di incentivi, ha chiuso i battenti il quinto conto energia. E il varo di un sesto, almeno per ora, sembra improbabile. Ma secondo Andrea Boraschi, responsabile della campagna “Energia e clima” di Greenpeace, l’incertezza sul futuro è un ostacolo ancora più grande della mancanza di incentivazione: «Se la normativa cambia ogni sei mesi, è impossibile stilare un business plan e ci si vede chiudere la linea di credito bancario che finora era stata piuttosto generosa». | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 35 |


| economiasolidale |

Se l’Italia rischia di veder rallentare gli investimenti nelle rinnovabili la colpa è soprattutto di freni politici, che, parados-

salmente, aumentano proprio in ragione del successo delle fonti pulite. «Oggi – continua Boraschi – c’è un forte conflitto nel-

al comparto del solare. L’obiettivo è quello di accrescere la potenza installata di circa 10 GW all’anno, per raggiungere i 35 GW entro il 2015. La prospettiva di un aumento così vertiginoso (+67% rispetto al livello attuale), che pure ha suscitato le perplessità di alcuni osservatori, strizza l’occhio ai colossi locali del fotovoltaico, alla ricerca di un modo per smaltire l’eccesso di produzione che ha fatto calare il prezzo dei pannelli. Proprio per tutelarli, scongiurando un nuovo caso-Suntech (vedi Valori, maggio 2013), il governo ha invitato le banche a erogare più finanziamenti.

la rete elettrica tra il cosiddetto baseload e le fonti fluttuanti, perché le rinnovabili sono talmente produttive che, in molti momenti della giornata, garantiscono un livello di produzione che erode direttamente la vendita delle fonti fossili. Per questo molti impianti a carbone sono pressoché fermi e le loro lobby iniziano a fare pressione per ottenere un sostegno. Se avranno successo, si rischia che si finisca per finanziare questi impianti inquinanti e inefficienti».

USA L’attenzione è tutta puntata sul Climate action plan presentato dal presidente Barack Obama a

Sempre meno Europa

giugno, che si pone il traguardo di raddoppiare la quota di energia da fonti rinnovabili, raggiungendo i 20 GW entro il 2020. Obama ha promesso inoltre di aumentare del 30% il prossimo budget federale per la ricerca e lo sviluppo nelle energie pulite, arrivando ai 7,9 miliardi di dollari. E vuole stanziare 8 miliardi a garanzia sui prestiti per i progetti volti a ridurre le emissioni da fonti fossili.

I possibili scenari dell’energia da fotovoltaico verranno discussi a Londra il 22 ottobre al Forum dell’EPIA, l’Associazione europea dell’industria fotovoltaica. Quel che sembra certo – stando al Global Market Outlook for Photovoltaics 20132017, pubblicato dall’associazione – è che il Vecchio Continente dovrà dire addio al suo primato. Se nel 2011 il 77% delle nuove installazioni era concentrato in Europa, l’anno successivo era sceso al 55%. E non potrà che diminuire ancora. Si tratta di un calo in parte fisiologico. Finora, infatti, il fotovoltaico è cresciuto a tappe forzate per via del forte sostegno pubblico, che ha fatto sì che negli ultimi due anni sia stato la prima fonte in termini di nuova potenza installata e ora riesca a coprire il 2,6% della domanda energetica europea. Questo non significa – specifica il rapporto – che il Vecchio Continente sia ormai saturo. Ci sono mercati ancora da esplorare, ma ciò accadrà a un ritmo più lento di quello tenuto finora. E, soprattutto, le principali linee di sviluppo d’ora in poi andranno cercate in Cina, Stati Uniti, Giappone, India e Australia. Con un occhio di riguardo anche per zone dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente e del Sudest Asiatico che, per il loro potenziale, potrebbero arrivare entro la fine di questo decennio a una potenza installata compresa fra i 60 e i 250 GW. Se nel 2012 i due terzi del mercato erano concentrati in soli cinque Paesi (Italia, Germania, Cina, Stati Uniti e Giappone), per il futuro bisognerà quindi aspettarsi uno scenario molto più frammentato. Per un settore che, a quel punto, potrà dirsi davvero globale. 

CINA E USA LANCIATE VERSO L’ENERGIA PULITA CINA A metà luglio il governo di Pechino ha annunciato una serie di misure per ridare vigore

FONTI RINNOVABILI, I PROSSIMI EVENTI 6-9 novembre 2013 RIMINI Ecomondo www.ecomondo.com

28 settembre - 4 ottobre 2013 PARIGI EU PVSEC 2013: XXVIII Conferenza ed esposizione europea del fotovoltaico e dell’energia solare www.photovoltaic-conference.com

11-14 novembre 2013 MUMBAI Intersolar India www.intersolar.in

3-6 ottobre 2013 ATENE Energy Photovoltaic 2013 www.leaderexpo.gr

28 novembre 2013 BRUXELLES Erec2013: Conferenza biennale del Consiglio europeo per le energie rinnovabili www.erec2013.org

9-11 ottobre 2013 VERONA Smart Energy Expo www.smartenergyexpo.it

25-28 marzo 2014 PECHINO Intersolar China www.intersolarchina.com

21-24 ottobre 2013 CHICAGO Solar Power International www.solarpowerinternational.com

7-9 maggio 2014 MILANO The Innovation Cloud - Solarexpo 2014 www.innovationcloud-expo.com www.solarexpo.com

22 ottobre 2013 LONDRA PV Grid European Forum www.pvgrid.eu

Previsioni EPIA con un intervento politico

0

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

| 36 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |

52.884

16.850

5.310

3.281

2.289

598

20.000

1.305

60.000 40.000

11.020

80.000

30.472

100.000

2011

70.043

140.000 120.000

2012

79.750 86.820

160.000

2013

2014

2015

123.630 179.560

Previsioni EPIA senza variazioni

110.820 152.010

Dati storici

180.000

89.040 105.180

200.000

99.120 126.630

PREVESIONI FINO AL 2017 DI FOTOVOLTAICO INSTALLATO (CUMULATO) (MW)

2016

2017


| economiasolidale | terzo settore |

Impresa sociale, non ti riconosco più di Corrado Fontana

In anni segnati dal calo dell’occupazione anche nelle imprese sociali, al workshop di Riva del Garda sbarca la competizione aperta col profit sulla produzione di valore sociale. E la finanza potrebbe scrivere le regole l valore condiviso non è solo qualcosa su cui si punta perché è bello, ma perché è un mercato»: per imprese che operano in ambito di servizi sanitari o per l’occupazione, nella cultura o nell’istruzione e formazione, e che tra i loro obiettivi hanno quello della crescita del benessere delle comunità, questa affermazione dovrebbe far piacere. Dalla crescita dell’interesse economico spesso deriva, infatti, uno sviluppo del settore. E così, stando a quello che sostiene chi l’ha pronunciata, Flaviano Zandonai, segretario della rete di istituti di ricerca sull’impresa sociale Iris Network e studioso per Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises), il futuro potrebbe tornare roseo per imprese e investitori che puntano sulla produzione di valore sociale.

«I

Così il campo si apre all’impresa capitalistica. Non c’è il rischio che quella sociale perda il senso della propria diversità? Le business schools internazionali si occupano sempre più di impresa sociale, utilizzando di continuo l’espressione bluring the banneries, cioè sfumare i confini. E l’economia capitalista, o almeno una parte di essa, vorrebbe fare un passo oltre quel-

INNOVAZIONE POSITIVA E QUALCHE NUMERO NEGATIVO L’undicesimo Workshop sull’impresa sociale di Riva del Garda organizzato da Iris Network si è svolto dopo un’annata col fiato corto. Il 9° Censimento Istat dell’industria, dei servizi e delle istituzioni non profit ha rilevato che il numero delle imprese sociali in forma cooperativa è aumentato del 100% nel decennio 2001-2011, toccando 11.264 unità (cui si aggiungono le 600 imprese sociali “di nuova generazione” costituite ai sensi del d.lgs. 155/06 e cresciute del 63% nell’ultimo triennio), ma è diminuita la capacità occupazionale: un saldo negativo dello 0,6%, tra ingressi e uscite di lavoratori, particolarmente sgradito per imprese che della creazione di posti di lavoro, anche per persone in difficoltà, fanno la loro missione. Un’iniezione di realtà che si è tradotta nella sessione del workshop trentino condotta dal consorzio delle cooperative sociali Cgm, centrata sul potenziale delle aggregazioni e delle fusioni tra imprese diverse, adottando economie di scala, invece che sul fare rete e lanciare start up. Con questa edizione gli organizzatori di Riva del Garda hanno concluso un percorso quinquennale all’insegna dell’innovazione positiva, portando davanti a un largo pubblico (circa 500 imprese e anche una nutrita delegazione di operatori del Terzo Settore del casertano, molti che gestiscono beni confiscati alle mafie) il valore sociale di Fair Jail Expo, una piccola fiera delle cooperative che lavorano in carcere: i prodotti artigianali da forno di Banda Biscotti dai detenuti di Verbania e Saluzzo; caffè, cioccolato e birra di Pausa Cafè; le cooperative sociali di Sigillo, prima agenzia nazionale di coordinamento dell’imprenditorialità delle donne detenute. Per non parlare dei momenti di formazione intensiva conquistati portando 35 neofiti, giovani universitari e neolaureati, a contatto col mondo dell’impresa sociale, grazie al programma #socentfordummies. C.F.

UN FONDO AD HOC, TRA POLITICA E PRIVATO SOCIALE È partita l’operazione Fondo per l’occupazione giovanile. A studiarla Banca Etica, in convenzione con la Fondazione Antiusura “Interesse Uomo”, su stimolo – e questa è una notizia interessante – della politica. Parlamentari e consiglieri regionali (dai “grillini” siciliani a rappresentanti di Lombardia e Lazio) di diversi gruppi politici hanno manifestato nei mesi scorsi l’intenzione di rinunciare a una parte dei loro emolumenti per destinare risorse alla collettività. Da questo nobile proposito (che ci auguriamo sappia tradursi in somme versate) Banca Etica si è attivata per far nascere un fondo di garanzia a sostegno delle richieste di credito di imprese sociali guidate da under 36. «La contribuzione al fondo – spiega il presidente di Banca Etica, Ugo Biggeri – sarà aperta agli eletti di tutti gli schieramenti, ma anche a organizzazioni, imprese e cittadini».

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| economiasolidale |

lo della responsabilità sociale d’impresa, adottando l’ottica del valore condiviso e “internalizzando” nelle linee di produzione di beni e servizi anche elementi di valore sociale e ambientale. Naturalmente è sia una sfida che un rischio per l’impresa sociale, ma io lo considero un elemento di competizione positiva. Si parla di rating delle imprese sociali tramite valutazioni oggettive... Sul fronte internazionale ed europeo, non te la cavi più nel definirle solo citando la loro forma giuridica, perché l’enfasi si sposta sull’impatto sociale ed economico effettivamente realizzato. Da qui il dibattito su quali siano i migliori indicatori per la loro valutazione; e un confronto tra la prospettiva non profit e quella profit, con i fondi d’investimento sociale tra i protagonisti della discussione, ovvero soggetti finanziari che si stanno moltiplicando e necessitano di riscontri per investire. Questo può costituire un rischio per quelle imprese sociali che non sono in grado di relazionarsi con forza con certi soggetti, e rischiano di vedersi imporre degli indicatori differenti da quelli elaborati sulla base della propria esperienza. La domanda è:

LA CSR NON VA DI MODA, PER QUALCUNO Tra imprese e adozione di standard di responsabilità sociale il matrimonio è talvolta complicato, ma sempre più diffuso. Tanto che al Salone della CSR e della innovazione sociale 2013 (Milano, 1 e 2 ottobre) l’obiettivo è quello di compiere un passo oltre, parlando di Corporate Social Innovation, ovvero di innovazione nella responsabilità sociale d’impresa (Csr). Ci enuncia tale proposito Rossella Sobrero, membro del gruppo promotore e presidente di Koinètica, società di sviluppo strategico della responsabilità sociale e della comunicazione. Nel tratteggiare i contenuti di una due giorni ricchissima, Rossella Sobrero ricorda inoltre le più di 100 organizzazioni – imprenditoriali e non – che hanno aderito, i numerosi eventi suddivisi per aree tematiche (alimentazione, ambiente, casa, ecc.), il comitato scientifico di tutto rilievo (tra i membri Bruni, Frey, Fiorentini, Ricci, Zamagni...) chiamato a far opera di sintesi per avviare l’elaborazione delle linee guida di domani. E tra tante presenze un’assenza, invece, che non passa inosservata dopo le recenti tragedie nelle fabbriche tessili del Bangladesh: «Purtroppo il settore della moda è quello meno presente dal punto di vista delle imprese. Non sono in grado di dire se perché poco interessato o se perché queste corporations, pur sollecitate, oggi non se la sentono di esporsi. Sta di fatto che cercando di invitare le aziende a un evento sulla moda etica non riusciamo a ottenere risposte positive». C.F.

Valori è media partner dell’evento. Ed è presente in due convegni: 1 ottobre, ore 16: Nuovi stili di vita e di consumo 2 ottobre ore 10: Il ruolo della finanza nelle strategie di CSR

chi avrà l’autorevolezza per elaborare gli standard di misurazione sociale? Di ciò, ad esempio, discute il GECES, gruppo di esperti messo in piedi dalla Commissione

europea sull’onda della social business initiative. Ed è una partita molto grossa, perché da qui si determinerà la direzione degli investimenti pubblici futuri. 

TUTTI A RIVA! PICCOLE IMPRESE DI GRANDE VALORE (SOCIALE) Locloc è una community di noleggio tra privati – renting peer to peer –, senza intermediazioni commerciali, che collega i proprietari di articoli vari che vogliono guadagnare dall’affitto delle loro proprietà con persone che hanno un bisogno temporaneo da soddisfare. Ricordate i temi del nostro dossier di luglio sulla sharing economy? Open café Giambellino è una caffetteria ristorante che ha trovato casa in un mercato comunale milanese grazie alla mobilitazione del quartiere contro l’abbattimento della struttura. Ora è uno spazio dove si sperimentano servizi per recuperare il rapporto con le famiglie e propone consegne della spesa a domicilio e dei pasti in ufficio con i fattorini in bicicletta, alimenta il piccolo credito al consumo e introduce la filiera corta anche per il cibo etnico, organizza corsi di cucina e momenti conviviali. A.L.P.I. - Avviamento al lavoro su progetti individualizzati è una cooperativa sociale di Trento che sta promuovendo un nuovo progetto di recupero e riutilizzo: Ausili OFF, una officina per il recupero di Ausili sanitari OFF-line (carrozzine, deambulatori, letti, sollevatori spenti, obsoleti, fuori mercato…), dismessi dalla locale Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss). La maggior parte degli ausili ritirati viene smaltita,

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ma una parte residuale viene recuperata e ceduta a enti non profit oppure a privati. Planimetrie culturali ha come obiettivo principale la riqualificazione delle aree dismesse di Bologna attraverso “bonifiche culturali” di tipo temporaneo, con produzioni ed eventi. Ha all’attivo alcune operazioni di successo (l’ex macello del Caab, i sottopassaggi di via Ugo Bassi e via Marconi, l’ex Scalo San Donato di via Larga...) ma la sua sfida di maggiore entità è in corso: il riciclo urbano del Senza Filtro, nei 12 mila mq dell’ex Samputensili in zona Fiera (via Stalingrado 59). Associazione fondata sette anni fa, Planimetrie culturali ha aquisito l’area in comodato d’uso gratuito dai curatori fallimentari per tre anni, fino a luglio 2015, e si propone di attuare un ripristino. L’associazione di promozione sociale L’Alba, nata nel 2000 a Pisa, si occupa di integrazione psico-sociale di persone che soffrono o hanno sofferto di un disagio psichico o psicologico tramite la creazione di spazi condivisi, aperti a tutti. Attraverso progetti di riabilitazione psico-sociale, l’auto-aiuto, l’arteterapia, l’empowerment delle persone, il volontariato consapevole punta a un ritorno alla socializzazione e a una progettualità di vita il più possibile completa e felice per i suoi utenti.


| economiasolidale | la spesa delle famiglie |

L’Italia delle rinunce di Valentina Neri

Dai dati del Rapporto Coop 2013 sui consumi e distribuzione esce il ritratto di un’Italia profondamente in crisi. Ma che reagisce con caparbietà di fronte al reddito calato in termini reali del 10,2% in sei anni li italiani sono sempre stati oculati nell’uso del denaro e alla crisi reagiscono con caparbietà. Se hanno difficoltà ad andare avanti non è perché sprecano: al contrario, sono riusciti a fare una vera spending review, rivoluzionando il loro approccio al denaro e usandolo per rispondere a bisogni reali e non più per accaparrarsi gli status symbol». Abbiamo scelto volutamente di partire da una delle pochissime note positive, con queste parole di Albino Russo, responsabile dell’Ufficio Studi Economici di Coop, per introdurre dati ben più cupi. Quella dipinta dal rapporto Coop 2013 Consumi e distribuzione, infatti, è un’Italia in profonda crisi. Le famiglie sono costrette a ingegnarsi per ottimizzare le spese e rinunciare al superfluo perché si trova-

Si taglia anche sul cibo È un’Italia diseguale, in cui la crisi ha ampliato le fratture sociali. I primi a farne le spese sono i giovani: il tasso di disoccupazione nella fascia tra i 15 e i 34 anni, arrivato al 39,2%, fa capire perché sempre più persone sono costrette ad aspettare per trovare casa o avere un figlio. Ma l’esclusione sociale, che secondo l’Eurostat riguarda ormai il 28,2% della popolazione, ha diversi volti. Quello che colpisce di

CONSUMI DELLE FAMIGLIE: VARIAZIONI % CUMULATE 2008-2013 10,0 5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 Grecia

Irlanda

Portogallo

Spagna

Italia

Olanda

Slovenia

Francia

Lussemburgo

Austria

Belgio

Germania

25,0 Finlandia

FONTE: ELABORAZIONI REF RICERCHE SU DATI EUROSTAT

«G

no a disporre di un reddito che in termini reali è calato addirittura del 10,2% in sei anni. E nel frattempo fanno i conti con una pressione fiscale che è arrivata nel 2012 al 44% del Pil, oltre ogni record degli ultimi quarant’anni, senza riuscire tuttavia ad abbattere il peso del debito pubblico.

più è costituito dai tre milioni di famiglie che non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. In altre parole, non mangiano a sufficienza. D’altronde, spiega Albino Russo, tolte le spese impossibili da eludere come il mutuo della casa o la rata dell’auto, il carrello della spesa è il primo elemento su cui tirare la cinghia. Rinunciando alle pietanze più costose come il pesce (-11,3% dal 2009 al 2013) e la carne rossa (-12,9%), ma anche a un alimento-base come il pane (-11,2%). Conviene quindi prendere con le pinze anche dati all’apparenza confortanti come l’indicatore Confcommercio, che a luglio segnala che, per la prima volta in due anni, il calo dei consumi è in frenata da un trimestre. La strada per la ripresa, infatti, è ancora lunga. E soprattutto, precisa Russo, un’eventuale stabilizzazione del Pil non si tradurrebbe nell’immediato in una ripresa dei consumi: perché ciò accada «serve un’operazione che riequilibri i disagi sociali e dia aspettative almeno ai più giovani. Magari puntando su consumi più sobri, ma che siano uno strumento per vivere meglio e non per alimentare singole filiere produttive».

Alla ricerca del consumo gratis e della condivisione Nell’attesa, gli italiani vanno avanti a rinunce. Si spostano sempre meno (calano in parallelo il numero di auto e moto per abitante e i biglietti dei mezzi pubblici), rinunciano a vestiti (-12%) e scarpe (-27%). Quando possibile, si orientano sui consumi gratuiti: più televisione e meno partite allo stadio, più conversazioni sui social network e meno al telefono. Oppure, come abbiamo raccontato su Valori di luglio/agosto, scelgono di condividere beni e servizi invece di comprarli. Un fenomeno, quest’ultimo, che Russo enumera tra i pochi aspetti che fanno ben sperare: «La crisi moltiplica le idee e i nuovi media rendono possibile l’interazione orizzontale. C’è una grande differenza tra smettere di usare l’auto, che è una risposta di emergenza, e adottare il car pooling, che è una modalità di fruizione nuova e più efficiente».  | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 39 |


| economiasolidale | voto col portafoglio |

Il cash mob diventa etico

SITI INTERNET

V alori

aderisce

di Corrado Fontana

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S lo t M o b

Se in politica vincono le lobby, la cittadinanza attiva scende in campo sullo stesso terreno: Slot Mob insegna a usare il voto col portafoglio contro il gioco d’azzardo, per condizionare in senso etico dal basso i decisori pubblici cco una nuova freccia per l’arco della cittadinanza attiva. È il cash mob, ovvero un flash mob (vedi glossario) socialmente utile che usa come arma principale il “voto col portafoglio”. Si tratta di una mobilitazione organizzata di consumatori che compiono acquisti contemporaneamente o di un determinato prodotto o in un negozio. Un evento che richiede la massima visibilità mediatica e si declina con finalità diverse, talvolta più concrete come il sostegno a un singolo esercizio

E

GLOSSARIO Per flash mob si intende una manifestazione pubblica di massa generalmente organizzata attraverso una chiamata alla partecipazione lanciata via internet. Spesso i flash mob hanno un carattere creativo e si svolgono con lo scopo di generare sorpresa tra chi è presente ma non ne è al corrente. Secondo Wikipedia, il primo cash mob planetario risalirebbe invece al 5 agosto 2011 e sarebbe stato organizzato da Chris Smith, blogger e ingegnere di Buffalo, al fine di allargare la clientela di un negozio di liquori locale, il City Wine Merchant.

commerciale in difficoltà. In altri casi più ambiziosi: promuovere i negozi di comunità rispetto ai centri commerciali; sensibilizzare il pubblico su alcuni problemi sociali e condizionare le politiche pubbliche.

Ma l’esperienza non si è fermata lì, tanto che Becchetti, insieme ai colleghi Luigino Bruni (Università Bicocca di Milano) e Vittorio Pelligra (docente a Cagliari), hanno offerto sostegno teorico e imprimatur a un cash mob etico che assomiglia molto a una campagna di opinione. Il 27 settembre scorso è partito da Biella (la prima di varie tappe italiane) Slot Mob, portando decine di cittadini a far festa nel bar Freedom di via Macchieraldo 7, per sostenere e dare un pubblico riconoscimento alla scelta della sua titolare di rispedire al mittente le slot machine. Un successo che potrebbe dilagare, stando alle numerose iniziative “sorelle” che puntano a identificare con adesivi esposti in vetrina i bar che non ospitano le odiate macchinette.

Slot Mob non è un azzardo E se il primo cash mob italiano si è svolto a Milano (aprile 2012) per dare un po’ di respiro a una libreria indipendente in crisi, le esperienze di questo tipo si moltiplicano con una connotazione fortemente etica. Il 25 maggio scorso i giovani dell’associazione “Economia e felicità” di Roma, capitanati dal professor Leonardo Becchetti, dell’Università Tor Vergata, portarono decine di persone ad acquistare prodotti del commercio equo e solidale in un piccolo supermercato della Capitale. Un cash mob etico nato dopo alcuni dibattiti pubblici e capace di dare corpo al “voto col portafoglio” attraverso la distribuzione di schede elettorali vere e proprie ai partecipanti.

ADDIO PIZZO, BENVENUTA LIBERTÀ A maggio 2005 nasceva l’associazione Addio Pizzo che, facendo esporre ai negozianti virtuosi (all’inizio solo siciliani e ora sparsi in Italia) il proprio adesivo, avviava una piccola rivoluzione culturale dal basso. Tra cash mob etico e consumo critico, lo slogan “pago chi non paga” di Addio Pizzo ha spinto molti commercianti a ribellarsi al racket estorsivo delle mafie e ha portato molti consumatori a fare una scelta etica e culturale attraverso i propri acquisti. Oggi sono decine i negozi e gli imprenditori orgogliosamente e coraggiosamente “pizzo free”.

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www.nexteconomia.org www.senzaslot.it cashmobmilano.tumblr.com www.addiopizzo.org

Il mercato siamo noi «L’iniziativa – spiega a Valori Leonardo Becchetti – nasce da “Economia e felicità” e “Nexteconomia” (rete di trenta organizzazioni, tra cui sindacati, associazioni di consumatori e di industriali attenti all’etica) con l’obiettivo di segnalare quanto il mercato sia cieco e sbilenco dal punto di vista etico, perché non rispetta la famosa ripartizione di Scitovsky tra beni di stimolo, cioè quelli che ci danno felicità, e quelli di comfort, che ci saziano senza dare soddisfazione. Il mercato tende a produrre soprattutto questi ultimi, perché generano dipendenza e domanda prolungata, come ad esempio il gioco d’azzardo. La nostra idea è che non possiamo lasciare la definizione della nostra scala di valori al mercato. Dobbiamo contrastare questo processo con l’azione legislativa, la quale necessita di una spinta da parte del sostrato della società civile, altrimenti non si attiva». Come dire che mentre il tradizionale voto politico condiziona poco gli amministratori pubblici, un voto economico funziona assai di più. «Se cambio banca – conclude Becchetti – è il direttore che viene a chiedermi perché». 


| economiasolidale

fotoracconto

04/05

FRANCESCO JODICE

Uno degli scatti del capitolo relativo a Dubai all’interno del progetto Citytellers, di Francesco Jodice. L’artista ha dipinto le diseguaglianze di un Paese alle prese, da un lato, con le corse di cammelli per cui venivano sfruttati e torturati i bambini-fantini oggi sostituiti da robot umanoidi, e, dall’altro, con la condizione di new slavery alla quale sono sottoposti migliaia di lavoratori indiani, pakistani e bangladeshi. | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 41 |


| socialinnovation |

Cure sanitarie 2.0

Parlami, ascoltami a ricerca tecnologica per le nuove soluzioni ai problemi globali passa dalle persone. È quello che hanno scoperto sulla loro pelle i tre giovani fondatori di Verbal Care, una nuova start-up di Boston. Dougherty, Hsiao, e Zoeller sono tre ingegneri neolaureati con un palmares di premi già nutrito prima ancora di aver lanciato la propria impresa commerciale.

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Hanno sviluppato una piattaforma che consente agli operatori sanitari e agli assistenti domiciliari di comunicare con i pazienti affetti da disturbi di comunicazione. La piattaforma cloud utilizza un gran numero di strumenti, in particolare l’applicazione iPad per trasmettere con maggiore precisione le esigenze dei pazienti, con grandi bottoni parlanti, riducendo il rischio di eventi avversi prevenibili. Sulla base delle esigenze del singolo utente e delle caratteristiche della propria disabilità non verbale, gli operatori sanitari possono aggiungere le proprie immagini, testi e registrazioni a quelle standard. Secondo il National Institute on Deafness and Other Communication Disorders, 7 milioni e mezzo di persone ogni anno negli USA sono colpiti da condizioni che impediscono loro di comunicare. Questa disabilità, talvolta temporanea, può comportare che le vittime di ictus, ad esempio, non riescano a dire a un infermiere che hanno bisogno di usare il bagno, comunicare il loro livello di dolore, condividere con il coniuge che hanno fame, o chiedere di cambiare canale in tv. Questa applicazione porta con sé un altro carattere innovativo: se i pazienti riceveranno attenzioni corrette, instaurando con l’ospedale una relazione | 42 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |

Come buttare via centinaia di righe di codice informatico e sostituirle con l’ascolto delle persone. Un successo assicurato di cura più efficace, allora l’ospedale stesso potrà ottenere un rating migliore incassando, così, più velocemente i rimborsi dai colossi assicurativi americani come Medicaid, il fondo sanitario federale per gli individui e le famiglie con basso reddito, e Medicare, quello per gli over 65 e i giovani disabili. Attualmente l’applicazione è gratuita, ma in futuro potrà avere un costo di circa 10 dollari al mese, compensando altre forme di ricavo e risparmio per gli ospedali. Rispetto ad altre applicazioni, Verbal Care è nata dalle ricerche ingegneristiche ed è stata completamente riscritta quattro volte: la competenza informatica ha dovuto ce-

di Andrea Vecci

dere il passo alla conoscenza diretta dei problemi ottenuta dialogando con i logopedisti, gli infermieri, i pazienti e i familiari del Massachusetts General Hospital. Anche in questo caso è possibile ritrovare una declinazione del concetto di innovazione sociale, rappresentata da quei prodotti o servizi che risultano capaci di modificare i servizi già esistenti, riducendone i costi e aumentandone la qualità. L’innovatore sociale deve dimostrare che la propria idea funziona meglio di quelle esistenti e genera valore per le persone, concentrandosi su bisogni insoddisfatti, sui pericoli sociali e ambientali, cercando di ottimizzare tutte le risorse disponibil. Compresi i tempi di pagamento delle assicurazioni sanitarie.  Maggiori approfondimenti sul blog Social Innovation di Valori.it


| tutti nello stesso piatto |

internazionale Africa, in debito siamo noi > 46 Camerun, reportage dal carcere > 48

Equilibrio glaciale di Elisabetta Tramonto

Una scena dal film Glacial Balance. Verrà proiettato a Trento il 5 novembre, durante il festival Tutti nello stesso piatto.

a un lato un gruppo di scienziati bardati dalla testa ai piedi che effettua carotaggi e analisi su un ghiacciaio. Dall’altra contadini in Colombia, Ecuador, Argentina, alle prese con il problema della siccità. Che cosa c’entrano queste due scene tra loro? Molto più di quanto si creda. E il film Glacial Balance lo dimostra. Un viaggio lungo le Ande, dall’Argentina alla Colombia, raccontando vite che dipendono dallo scioglimento delle nevi e, in tempi di siccità, da quello dei ghiacciai, per poter soddisfare il bisogno di acqua sia potabile, che per l’irrigazione e per l’energia idro-elettrica. Un documentario che mostra che cosa comporta per queste popolazioni la riduzione della loro risorsa più preziosa, l’acqua, a causa della sempre più rapida fusione dei ghiacciai. E mostra come venga colpita direttamente la produzione agricola di quelle zone.

D

I ghiacciai andini costituiscono la principale riserva d’acqua dell’America Latina. La minaccia di una loro scomparsa mette a rischio la produzione agricola della zona. Il regista statunitense Ethan Steinman racconta questa emergenza, cercando di dare un volto umano ai cambiamenti climatici

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| internazionale |

Il film Glacial Balance sarà protagonista della serata di inaugurazione del festival Tutti nello stesso piatto, il 5 novembre, a Trento, (vedi BOX a pag. 45), in un evento inaugurale dal titolo “Mamma che clima! Ovvero come cambiamenti climatici e scioglimento dei ghiacciai impattano sulla nostra tavola”. Saranno presenti il regista americano Ethan Steinman, Christian Casarotto, studioso di ghiacciai alpini, che oggi lavora soprattutto sui ghiacciai trentini come glaciologo e mediatore culturale del Muse (Museo delle Scienze di Trento). In videoconferenza dall’Università dell’Ohio ci sarà il glaciologo italiano Paolo Gabrielli che lavora presso lo stesso istituto e che ha partecipato al film. Nella pellicola compare anche un altro glaciologo italiano, il trentino Roberto Filippi, scomparso per un incidente in montagna nel 2011. A lui è dedicato il documentario.

Il volto umano dei cambiamenti climatici Le vette delle Ande sono coperte di ghiacciai che rappresentano la principale riserva di acqua per l’intero Sudamerica. A causa del cambiamento climatico negli ultimi 40 anni la massa di ghiaccio si è ridotta di circa un terzo. Ma questo che cosa comporta? «In molti film e reportage che trattano dei cambiamenti climatici – racconta il regista, Ethan Steinman – si parla di ghiacciai che si sciolgono, dell’aumento del livello degli oceani e di altri fenomeni geologici. Guardandoli ho sempre sentito che mancava qualcosa: l’aspetto umano dei cambiamenti climatici. Per questo ho voluto vedere in prima persona chi sta già sperimentando sulla propria pelle gli effetti di simili cambiamenti e mostrare al pubblico chi sono, cosa pensano e provano. Credo che stabilendo una connessione umana tra chi guarda il film e le persone

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Vittime e colpevoli del cambiamento climatico di Elisabetta Tramonto

Nascosta nei ghiacciai c’è la storia dei cambiamenti climatici. Nella loro sempre più rapida fusione la mano dell’uomo ha avuto un ruolo determinante nalizzando la composizione degli strati profondi dei ghiacciai (attraverso l’estrazione delle cosiddette carote di ghiaccio) si possono ricostruire le variazioni climatiche del passato fino ai nostri giorni. La neve accumulatasi anno dopo anno, e infine trasformata in ghiaccio, infatti, conserva memoria delle caratteristiche dell’atmosfera del passato». Nel ghiaccio perenne si nasconde quindi una sorta di diario di ciò che è avvenuto, ma anche una previsione del nostro futuro. A decifrare questo “documento” naturale ci pensano i glaciologi. Paolo Gabrielli, Tra questi Paolo Gabrielli, è italiano e laglaciologo presso l’Ohio State University. vora all’Ohio State University. Lo abbia-

«A

raccontate sia più facile capire come questi cambiamenti ci riguardano da vicino e sono già presenti oggi».

Dai ghiacciai alla nostra tavola Ma cosa c’entra un documentario sui ghiacciai con un festival intitolato Tutti nello stesso piatto? In risposta Glacial Balance mostra le conseguenze dei cambiamenti climatici sui produttori di caffè in Colombia, costretti a spostare le proprie coltivazioni più in alto per cercare una

temperatura più bassa. «Per ogni grado in più dovremo salire di 80 metri di altitudine – racconta un produttore di caffè – ma non possiamo rubare spazio a zone protette o a foreste e non sappiamo come reagiranno le colture a un habitat diverso». Oppure i contadini dell’Ecuador che devono abbandonare la coltivazione dei vegetali per carenza di acqua e orientarsi sulla produzione di quinoa, che non ne necessita molta. «Durante le mie ricerche e le riprese del film – racconta il regista – ho sco-


| internazionale |

mo intervistato per capire che cosa possiamo dedurre dall’analisi dei ghiacciai e dalla loro rapida fusione. In base alle vostre analisi, che cosa avete scoperto riguardo al cambiamento climatico? È possibile stabilire che cosa potrebbe accadere nei prossimi anni/decenni? Sulla base delle nostre ricerche abbiamo scoperto che le temperature e l’inquinamento atmosferico recenti sono senza precedenti durante almeno gli ultimi millenni. E, sulla base di altre ricerche, sono stati previsti diversi scenari che prevedono un ulteriore aumento della temperatura atmosferica per i prossimi decenni. Quali sono le conseguenze del ritiro dei ghiacciai sulla popolazione che vive nei dintorni? E quali gli effetti a livello globale? Sulle Alpi il ritiro dei ghiacciai può avere un impatto soprattutto sul turismo e sulla produzione di energia idroelettrica. In altre regioni del Pianeta il ritiro dei ghiacciai può privare d’acqua le popolazioni durante la stagione secca, ovvero quando solo l’acqua di scioglimento dei ghiacciai va ad alimentare i corsi d’acqua. A livello globale la fusione

perto conseguenze del cambiamento climatico sulla produzione di cibo che non mi sarei mai aspettato. Ma le conseguenze dei cambiamenti climatici, passando per l’agricoltura, arrivano a colpire anche la sfera sociale. I contadini che abitavano nei villaggi rurali in Bolivia si stanno trasferendo nella capitale La Paz a causa dell’insufficienza di acqua per coltivare nelle zone che stanno diventando desertiche. Ma la città non ha le infrastrutture (acqua, elettricità) per affrontare questa urbanizzazione di massa. E il sistema a rischio collasso spinge le famiglie a spostarsi ancora in altre città della regione, come Santiago in Cile. È una reazione a catena che può diventare insostenibile. Una migrazione continua alla ricerca delle risorse naturali. L’Ipcc stima che entro il 2020 più di 1 miliardo e mezzo di persone nel mondo saranno vittime della carenza d’acqua, tra 7 e 77 milioni in America Latina». 

dei ghiacciai, in particolare quelli delle enormi calotte polari della Groenlandia e dell’Antartide, è una componente importante dell’innalzamento del livello degli oceani. Enormi estensioni abitate in vicinanza delle coste sono quindi a forte rischio di inondazione. Possono esserci conseguenze per la produzione di cibo a livello mondiale? Nel momento in cui l’agricoltura necessita di acqua derivata dalla fusione dei ghiacciai per irrigare i campi durante la stagione secca, l’impatto della scomparsa dei ghiacciai su queste colture diventa devastante. Questo vale a livello locale, ad esempio nei Paesi andini del Sud America e nella regione himalayana. L’inondazione di campi in prossimità delle coste sottrarrebbe invece all’agricoltura grandi spazi di produzione in tutto il mondo. L’accelerazione della fusione dei ghiacciai è imputabile solo al cambiamento climatico? La causa principale della recente forte fusione dei ghiacciai e del loro conseguente arretramento consiste nelle estati sempre più calde che si sono registrate nelle ultime decadi. A partire dagli anni

Duemila questo fenomeno sembra stia accelerando. Sicuramente il cambiamento climatico è la componente più importante di questi arretramenti glaciali, ma altre cause complementari, legate ad esempio alla presenza di particelle inquinanti in atmosfera, potrebbero rinforzare il fenomeno in corso. Nel mondo scientifico esiste chi nega che alla base del cambiamento climatico ci possa essere la mano dell’uomo. Ci sono dubbi a riguardo? Nel mondo scientifico il 97% degli scienziati è concorde nell’affermare che l’uomo concorre pesantemente nel produrre il cambiamento climatico in atto. La fisica spiega bene le numerosissime osservazioni registrate in tutto il mondo dicendoci che le nostre emissioni di gas serra (come l’anidride carbonica e il metano) stanno contribuendo a riscaldare l’atmosfera. Il processo fisico alla base di tutto questo è conosciuto ormai da quasi 200 anni, ben prima che il clima cominciasse a mutare a causa dell’alterazione dell’effetto serra prodotto da questi gas inquinanti.  www.climalteranti.it

A TRENTO CIBO E CINEMA COME INCONTRO TRA CULTURE Che legame esiste tra cinema e cibo? Un legame molto forte, a guardare le pellicole proiettate al festival Tutti nello stesso piatto, l’appuntamento, giunto ormai alla sua quinta edizione, che si svolge a Trento dal 5 al 27 novembre. Il cibo come filo conduttore per raccontare mondi diversi attraverso film in arrivo da tutto il mondo. Il via è, appunto, il 5 novembre con la proiezione di Glacial Balance (di cui parliamo in queste pagine). La serata finale il 27 novembre con la proclamazione dei film vincitori. Nel mezzo 40 pellicole, accompagnate da Il film nel piatto, degustazioni a tema a cura di Slow Food Trentino. Quattordici serate di proiezioni, incontri con registi e scrittori e due mesi (novembre e dicembre) di Schermi & Lavagne, le matinée per le scuole. Oltre 3.300 gli spettatori adulti e 2.000 bambini e ragazzi la scorsa edizione. E quest’anno agli storici organizzatori, Mandacarù (cooperativa di commercio equo del Trentino) e il consorzio Ctm altromercato (la maggiore organizzazione di commercio equo e solidale in Italia e la seconda a livello mondiale), si sono affiancati due nuovi partner: il Muse (nuovo Museo delle Scienze di Trento) e Amnesty International, che assegnerà un premio al miglior documentario del festival che affronti il tema dal punto di vista dei diritti umani. Valori naturalmente sarà media partner. www.tuttinellostessopiatto.it

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| internazionale | fughe di capitali |

Africa, in debito siamo noi di Andrea Barolini

Il mondo ricco deve all’Africa tra 597 e 1.400 miliardi di dollari. Lo rivela un rapporto della Banca africana per lo sviluppo che ha analizzato trent’anni di fughe illecite di capitali, dal 1980 al 2009, verso il Vecchio Continente ungi dall’essere debitrice nei confronti del mondo ricco, l’Africa dovrebbe al contrario proclamarsi creditrice. Se si considerano infatti le fughe illecite di capitali verso l’estero, il continente vanta una posizione contabile complessiva in attivo per un valore compreso tra i 597 e i 1.400 miliardi di dollari (a seconda del metodo utilizzato per i calcoli e delle tipologie di flussi presi in considerazione). A denunciarlo è un rapporto congiunto della Banca Africana per lo Sviluppo (BAD) e della Ong Global Financial Integrity (GFI) intitolato Illicit Financial Flows and the Problem of Net Resource Transfers from Africa, che prende in considerazione i dati relativi al trentennio 1980-2009. Si tratta di un calcolo che, in qualche modo, sovverte diametralmente l’assunto sul quale si è incentrato per anni il dibattito globale: «L’idea è sempre stata che l’Occi-

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dente iniettasse liquidità in Africa, grazie agli aiuti internazionali e agli altri movimenti legati ai capitali privati, senza sostanzialmente ricevere nulla in cambio», ha spiegato Raymond Baker, dirigente di GFI a Washington. «Il nostro rapporto in-

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verte il ragionamento: l’Africa è invece un creditore netto rispetto al resto del mondo, e lo è da decenni». Tanto più che, sottolinea lo studio, il non aver potuto contare su enormi quantitativi di capitali ha contribuito in modo determinante a non consentire ai Paesi africani di risollevare le proprie economie. «È evidente – ha dichiarato Mthuli Ncube, capo economista della BAD – che la fuga di risorse al di fuori dei confini dell’Africa nel corso degli ultimi trent’anni, pari a quasi l’equivalente del Pil attuale del continente, ha frenato in modo evidente il decollo economico. Il territorio è ricco di risorse naturali, che, se ben gestite, consentirebbero ai governi di finanziare autonomamente il proprio sviluppo economico».

Fughe di capitali L’analisi non prende in esame nello specifico le singole voci relative alle fughe ille-


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La copertina del rapporto stilato dalla Banca africana per lo sviluppo (BAD) e della Ong Global Financial Integrity (GFI) intitolato Illicit Financial Flows and the Problem of Net Resource Transfers from Africa.

gali di capitale, soprattutto in ragione del fatto che esse variano sensibilmente da Paese a Paese (proprio per questo, gli autori sottolineano la necessità di studi approfonditi per ciascuna nazione). Tanto più che, spiegano BAD e GFI, i risultati del rapporto sono con ogni probabilità sottostimati, dal momento che non è stato possibile prendere in considerazione «la gran parte dei business legati al traffico di droga, alla tratta degli esseri umani e ad altre attività criminali che prevedono trasferimenti di denaro in contanti», poiché di essi spesso non si ha alcuna informazione. Le cifre in ballo, dunque, sono tali da richiedere un’azione rapida, che consenta

all’Africa di poter contare su risorse per essa imprescindibili. Rinunciare a oltre mille miliardi di dollari è infatti impossibile. «Limitare le uscite di capitali dovrebbe costituire la base delle politiche africane, ma anche occidentali – osserva Dev Kar, capo economista di GFI – dal momento che la stretta dipendenza del continente dagli aiuti esteri costituisce un fattore negativo anche per i Paesi ricchi. Tenuto conto, infatti, che l’evasione fiscale è una parte importante dei flussi illeciti, sono di fatto i contribuenti a pagare il prezzo di mancati introiti che potrebbero in parte entrare anche nelle casse pubbliche occidentali». Già, ma come si dovrebbe operare? «Per ciascun Paese che perde denaro – aggiunge Baker – ce n’è un altro che ne riceve. Le uscite sono agevolate in primo luogo dall’opacità finanziaria delle economie avanzate e dalla presenza di paradisi fiscali. Proprio per questo il tema della trasparenza risulta cruciale se si vuole davvero frenare 32,787 TUNISIA

69,561 MAROCCO

TRASFERIMENTI REALI NETTI CUMULATI DALL’AFRICA 1980-2009 6,514 CAPO VERDE

2,774 MAURITANIA

-173,711 ALGERIA 13,681 MALI

-222,875 LIBIA

la fuga». In questo senso gli autori dello studio suggeriscono un ruolo della Banca dei Regolamenti Internazionali, che dovrebbe essere «autorizzata a fornire informazioni sulle operazioni bancarie transfrontaliere non solo ai Paesi interessati ma anche alla società civile e ai ricercatori». Occorre inoltre – conclude il rapporto – vigilare sul rispetto degli accordi anti-riciclaggio già in vigore in numerosi Stati, lottare contro la corruzione, riformare i servizi doganali e invogliare i governi di Paesi ricchi di risorse naturali a creare fondi sovrani (a patto che essi siano gestiti, ovviamente, in modo limpido) per reinvestire alla luce del sole i proventi delle esportazioni. 

I flussi di capitali illeciti che in trent’anni sono “usciti” dall’Africa diretti a Paesi del cosiddetto mondo ricco. Una stima al ribasso, che non tiene conto dei proventi di traffici illeciti (droga, esseri umani).

4,176 EGITTO

5,701 NIGER

1,372 ERITREA -3,905 12,515 22,957 26,089 SENEGAL CHAD -388 BURKINA FASO SUDAN -2,337 GUINEA -670 GAMBIA 8,748 GIBUTI 18,352 4,799 TOGO BENIN NIGERIA -252,357 1,591 GUINEA-BISSEAU ETIOPIA 1,330 21,074 800 SIERRA LEONE REP. CENTRAFRICANA 4,414 UGANDA LIBERIA GHANA CAMERUN -11,773 SOMALIA -12,532 LIBERIA 7,270 33,077 35,383 -23,297 COSTA D’AVORIO -20,850 RWANDA KENYA -1,463 CONGO GUINEA EQUATORIALE GABON SEYCHELLES BURUNDI 4,477 -1,665 -34,470 -1,907 REP. DEMOCRATICA SAO TOMÉ E PRINCIPE 1,167 DEL CONGO 620 COMOROS 31,591 TANZANIA [in milioni di dollari USA del 2005] -45,632 ANGOLA > 26,000 da 17,286 a 26,000 da 8,572 a 17,286 da 0 a 8,572 da -8,856 a 0 da -17,570 a -8,856 da -26,284 a -17,570 da -98,342 a -26,284 < -98,342 No dati

MALAWI 8,658 2,440 MADAGASCAR -11,845 ZIMBABWE 25,427 MOZAMBICO -7,460 NAMIBIA -30,676 -1,486 BOTSWANA -1,195 MAURITIUS -651 ZAMBIA

SWAZILAND -183,794 SUD AFRICA

LESOTHO 5,216 | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 47 |


| internazionale | dietro le sbarre |

Camerun, reportage dal carcere O la borsa o la vita! di Valentina Picco

Nel Paese africano i carcerati vivono in condizioni disumane. In più devono procurarsi da mangiare. Il carcere non provvede al servizio mensa. Molti sopravvivono producendo borse a prison è un luogo di abbandono, senza equilibrio e senza sollievo. Un luogo dove si viene dimenticati per la vergogna che prova la famiglia nel doversi giustificare con la comunità o, più semplicemente, a causa del tempo infinito che ci si passa dentro. Le giornate trascorrono sempre uguali e si alternano a inutili tentativi di far procedere la propria causa tra le lungaggini burocratiche di un apparato che ignora chi non ha i mezzi economici per far valere i propri diritti. Durante la stagione secca il cortile diventa una graticola assolata dove la troppa luce che riflette sui tetti di lamiera acceca lo sguardo. Rimanere fuori per più di qualche minuto è impossibile quanto a volte necessario, a causa della dimensione angusta dello spazio interno e del troppo affollamento. Durante la stagione delle piogge, invece, il refrigerio della frescura è sommerso come tutto il resto dal fango, dai fiumi di acqua che trascinano sporcizia e creano un lago malsano nella zona comune centrale. Dentro le celle non si sta molto meglio, pigiati l’uno contro l’altro, si combatte contro le cascate di pioggia che si infiltrano dai buchi del soffitto, delle pareti e da sotto le porte. Le prigioni del Camerun non sono tutte uguali, le guardie neanche, eppure, la sensazione che si prova è forse la stes-

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50 EURO PER AMADOU Amadou è un ragazzo di 19 anni, alto e magro, scuro come le genti della sua etnia, originaria del nord del Camerun. Timido e sempre gentile, Amadou è in carcere da quando aveva 16 anni. A 15 se n’è andato di casa in cerca di fortuna, ha percorso in qualche modo i quasi 1.000 kilometri che separano il suo villaggio dalla capitale, e ha iniziato a frequentare le compagnie sbagliate. Arrestato per una presunta aggressione, è stato portato in carcere, dove vive da allora confezionando borse. Nessuno della sua famiglia è mai venuto a trovarlo, probabilmente, infatti, non sanno neanche che fine abbia fatto. Amadou sta ancora aspettando di essere processato. È in attesa di giudizio per un reato che, se accertato, probabilmente gli sarebbe costato solo qualche mese di prigione. Invece aspetta rassegnato da oltre tre anni perché non ha i soldi per pagare la documentazione da produrre per venire rilasciato e per pagare qualcuno che si occupi del suo caso. Non servirebbe neppure un avvocato, solo qualcuno che sapesse muoversi nei meandri farraginosi della burocrazia e che potesse versare i 40 euro necessari all’ufficio competente. Calcolando quanto guadagna con le borse, e togliendo quello che gli serve per mangiare, Amadou deve lavorare ancora quasi cinquant’anni per accumulare la somma che gli serve.

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Un carcerato lavora otto ore al giorno per produrre due borse. Se guadagna 55 centesimi è fortunato. Gli servono per comprare un frutto e un pezzo di pane sa in tutto il Paese: la desolazione di un sistema abbandonato da uno Stato che non può e non vuole investire risorse, che ignora anziché affrontare un problema che in effetti potrebbe dimostrarsi insormontabilmente difficile: la riforma della giustizia. Dall’esterno l’aspetto è persino piacevole, i carcerati fanno un buon lavoro di manutenzione al giardino fiorito, alla grande aiuola centrale con l’asta della bandiera che sventola fiera, alla staccionata bianca che delimita l’ingresso. Una volta dentro, però, il senso di claustrofobia è totalizzante, causato in parte da un’atmosfera di disperata rassegnazione, e in parte dai numeri: 650 carcerati per meno di 100 posti previsti. Ma come trascorre la giornata tipo di un carcerato? Semplice: dalla mattina quando si alza alla sera quando va a dormire cerca il modo di procurarsi da mangiare. Il carcere, infatti, non provvede ad alcun servizio mensa.

I NUMERI DELLE PRIGIONI In Camerun ci sono 74 grandi prigioni, risalenti per la maggior parte all’epoca coloniale. Una delle più grandi è quella di New Bell, a Douala, capitale economica del Paese. È stata costruita nel 1935 e, a fronte di una capacità di accoglienza di 800 persone, arriva a ospitarne anche tre volte tante. Di tutte le prigioni del Paese, infatti, solo un paio sono state costruite negli anni ’70-80 (una di queste è quella della capitale, Yaoundé), ma sono comunque sovraffollate e incapaci di garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali dei detenuti che ospitano: più di 1.200 sono stati riconosciuti vulnerabili dall’Associazione francese Asf (Avvocati senza frontiere) durante una visita nelle carceri di Douala, Ngaundere e Bamenda all’inizio del 2012. Si tratta di donne, minori, persone anziane o malate e ancora di persone che non hanno alcun mezzo economico per sostenere le spese per la propria difesa. La stessa associazione denuncia il grave problema dei detenuti in attesa di giudizio. Secondo i dati raccolti a inizio 2012, infatti, a Douala, per esempio, 2.200 dei 3.000 detenuti sono ancora in attesa di un processo.

IL PAESE IN CIFRE Nome: Camerun Capitale: Yaoundé Governo: Repubblica Indipendenza (dalla Francia): 1 gennaio 1960 Popolazione: 20.549.221 (luglio 2013) Pil pro capite: 2.400 dollari Tasso di crescita 2012: 4,7% Tasso d’inflazione: 2,9% Disoccupazione: 30% Alfabetizzazione*: 71,3% Popolazione sotto la soglia di povertà: 42% (stima 2000) Mortalità infantile: 58,51/1.000 nati Speranza di vita: 55,02 anni

Imprenditoria carceraria Chi è fortunato ha una famiglia fuori che si occupa di lui e che settimanalmente, durante i giorni di visita, porta cibo e soldi. Gli altri, quelli soli, o incarcerati qui ma che vengono da villaggi lontani, hanno solo due alternative: o danno la caccia ai topi e alle termiti durante la stagione delle piogge, oppure cercano di entrare nel giro delle borse. Quello del confezionamento di borse è un piccolo sistema di economia di sostentamento che coinvolge diversi attori e che garantisce da anni la sopravvivenza dei carcerati. È un’efficiente catena di montaggio: una squadra usa il filo di cotone di vari colori per ricamare i motivi delle borsa, un’altra taglia il compensato per il fondo, i più esperti tagliano e cuciono i sacchi vuoti che si usano al mercato per

* Over 15 anni in grado di leggere e scrivere Fonte: Cia World Factbook

conservare il riso e creano la struttura, un’altra squadra ancora confeziona i manici e il gioco è fatto. Un’altra squadra poi… quella dei secondini, osserva gli altri che lavorano e poi intasca più della metà del ricavato. Ma una borsa confezionata in carcere, alla fine, quanto costa? E a quanto viene venduta? Al mercato si può comprare una borsa di 50 cm per 30 cm a circa 2.000 franchi (3 euro), i materiali costano circa 1 euro, l’intermediario che la vende guadagna 50 centesimi, i secondini quasi due euro e mezzo. I conti non tornano? Sì, il carcere non è un mondo giusto. Un carcerato lavora otto ore al giorno e

confeziona la sua parte di due borse e ricava, quando l’intermediario fuori le avrà vendute e solo se questo intermediario è onesto e se oneste poi sono le guardie sue responsabili, circa 200 franchi CFA a borsa (55 centesimi di euro). 55 centesimi al giorno, equivalenti, a prezzo di mercato, a un frutto e un pezzo di pane al giorno, oppure a un piatto preparato dalle donne che, della fame dei carcerati, hanno fatto un lavoro. Ogni mattina infatti si appostano fuori dal carcere e preparano una specie di zuppa liquida e senza sapore (d’altronde costa 30 centesimi) che servirà da colazione, pranzo e cena per i fortunati che potranno permettersela.  | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 49 |


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FRANCESCO JODICE

Dubai, una metropoli costruita e progettata come una cattedrale nel deserto che ha vissuto in pochissimi anni un’enorme espansione economica sfociata nella attuale crisi. La città è protagonista di uno dei tre film che compongono il progetto artistico Citytellers di Francesco Jodice. | 50 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |


| LASTNEWS |

altrevoci BRASILE, IL PARADISO DEGLI HACKER

Nell’ultimo decennio il Brasile ha attratto sempre più investitori, conoscendo una crescita economica senza precedenti. Ma tra i settori andati incontro a una rapida espansione c’è un insospettabile e redditizio segmento “sommerso”: le truffe on line. Lo ricorda un recente rapporto pubblicato da Trend Micro, una società con sede a Tokyo che si occupa di sicurezza informatica. Il Brasile, spiega lo studio, è diventato di gran lunga il primo “spammatore” dell’America Latina («Il 38%, delle mail dolose della regione vengono dal Brasile») ed è sede del 58% degli indirizzi web (URLs) fraudolenti dell’area. Tra i settori più colpiti c’è quello bancario, vittima dei furti di password e attacchi vari che, secondo la Federazione delle banche brasiliane, hanno provocato nel 2.012 perdite per 1,4 miliardi di dollari. L’origine del problema, forse, risale agli anni ’80 quando il Paese si è posto all’avanguardia nello sviluppo di sistemi elettronici applicati alla finanza. Oggi il Brasile detiene il secondo mercato del mondo delle Automated teller machines (ATM, i bancomat per intenderci) e sperimenta una crescita notevole nel comparto dell’information and communication technology (ICT), il cui giro d’affari potrebbe oscillare tra i 150 e i 200 miliardi di dollari nel 2020 contro i 102 del 2011. [M.CAV.]

COCA-COLA PORTA ACQUA AL SUO MULINO

PREOCCUPA LA TBC IN EUROPA

FRESCOBALDI AL FRESCO: IL VINO DELLA GORGONA

Di certo è una valida operazione di marketing, ma non possiamo negare che per l’ambiente sia una buona notizia: a metà settembre Coca-Cola ha stipulato un accordo con il Corpo forestale degli Stati Uniti in nome della salvaguardia delle risorse idriche del Paese. In anni di enorme pressione per i bacini acquiferi americani, tra incendi estesi che hanno devastato le canalizzazioni e un’intensificazione dei fenomeni siccitosi, la corporation americana, forte di un rapporto pre-esistente con il dipartimento dell’Agricoltura (USDA), avvia perciò una nuova partnership pubblico-privato per il ripristino del sistema idrico USA. L’impegno ha come obiettivo il reintegro di un miliardo di galloni di acqua (poco meno di 4 miliardi di litri), durerà fino al 2018 e prevede il sostegno economico (condiviso con la National Forest Foundation e National Fish and Wildlife Foundation) al corpo forestale nelle opere di ripristino dei terreni pubblici federali, che comprendono foreste da cui più di 60 milioni di persone in tutta la nazione si approvvigionano di acqua potabile. In particolare sono necessarie opere per restaurare il corso del fiume Colorado, le canalizzazioni della Sierra Nevada che servono la zona di East Bay in California, la falda acquifera di Chicago e i flussi d’acqua che riforniscono il lago Michigan. Da anni Coca-Cola cerca di accreditarsi come “amica dell’ambiente” avviando numerosi progetti mirati all’ecosostenibilità: per questo ha reso pubblico il suo obiettivo di garantire il reintegro del 100% dell’acqua che utilizza entro il 2020. [C.F.]

Siamo lontani dal dimezzamento del numero di casi di tubercolosi (Tbc) nel mondo, che nel 2000 l’Onu auspicava di poter raggiungere nel 2015. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2011 parlano di 8,7 milioni di persone che l’hanno contratta e di 1,4 milioni di decessi. Desta allarme soprattutto il fatto che la tendenza al ribasso dei casi conclamati si sia arrestata in alcuni Paesi come Danimarca, Svezia, Polonia, Gran Bretagna e Belgio. La guardia, insomma, deve restare alta, ma non è corretta la denuncia di 40 mila casi di portatori in Sicilia, in provincia di Siracusa, diffusa dal Movimento 5 Stelle e ripresa da un articolo de Il fatto. Le cifre sarebbero state estratte da uno studio del 2010 dell’Aipo (Associazione italiana pneumatologi ospedalieri), ma l’Associazione ha smentito che il suo studio contenesse questi dati. In Italia l’incidenza della Tbc è andata diminuendo dal dopoguerra fino agli anni ’90, raggiungendo un numero minimo di 3/4.000 casi l’anno, per riprendere a crescere dal 1992. Le ragioni di questa nuova insorgenza sono da ricercare nell’epidemia di Aids e nell’immigrazione; spesso i due gruppi sono nelle condizioni che maggiormente favoriscono la diffusione della malattia: povertà, tossicodipendenza, disagio sociale, istituzionalizzazione in carcere e ospedali. La tubercolosi rimane un big killer e, finché non verrà eradicata in ogni angolo del Pianeta, resterà il rischio che possano tornare a riaccendersi epidemie virulente. [PA.BAI.]

Si può cominciare a bere il vino Frescobaldi Gorgona IGT, prodotto dai detenuti del carcere della Gorgona. Sulla più piccola delle isole dell’arcipelago toscano, da anni i carcerati sono impegnati in attività agricole, allevano orate in mare, fanno il pane, producono miele, olio e formaggi. Fanno anche il vino, da quando nel 1999 è stata piantata una vigna. L’idea di fare il salto di qualità verso una produzione più qualificata è di un detenuto siciliano e dal 2011 Frescobaldi, uno dei nomi più conosciuti tra i produttori di vini toscani, si è prestato al progetto apportando le sue competenze. Da giugno le prime 2.700 bottiglie sono state messe in circolazione: il vino Gorgona IGT è un bianco a base di vermentino e ansonica, prodotto nella vigna il Campone «su terre piritiche ferrose, esposte in maniera mirabile ad Est e protette dalla macchia mediterranea». La casa di reclusione è attiva dal 1869 a indirizzo agro-zootecnico: qui tutti i detenuti lavorano in un contesto formativo di qualità e sono retribuiti. Sull’isola c’è un caseificio, un macello, un mulino per i mangimi, il frantoio, la falegnameria, un impianto di dissalazione, uno di fitodepurazione e uno fotovoltaico. Dal 1993 gli animali della fattoria sono curati con l’omeopatia. Nel carcere attualmente vivono 50 guardie e 50 detenuti quasi tutti a fine pena (a cui resta da scontare 24 o 36 mesi) oppure art. 21, in regime di semilibertà, che rende possibile il lavoro all’aria aperta per quasi tutto il giorno. [PA.BAI.] | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 | valori | 51 |


| NARRATIVA | a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

55 ANNI FA UN’ALTRA EXPO Jonathan Coe Expo 58 Feltrinelli 2013

Le esposizioni universali sono sempre andate al di là delle loro buone intenzioni e quella di Bruxelles del 1958 non fa eccezione. Fu, infatti, il primo evento internazionale, dopo lo scempio della Seconda guerra mondiale, che cercava di avvicinare popoli e nazioni fino pochi anni prima protagonisti di una guerra feroce. Ma negli anni ’50 c’è un altro conflitto in atto che rovina i piani dell’esposizione, la cosiddetta Guerra fredda tra il blocco sovietico e quello occidentale. Un conflitto sotterraneo, fatto di intrighi internazionali e alimentato dai servizi segreti che lavorano a pieno ritmo, in cui spesso persone inconsapevoli si trovano invischiate. Come il copywriter del Central Office of Information di Londra, Thomas Foley, che diventa l’ignara pedina di giochi più grandi di lui. A complicare le cose ci sono anche i turbamenti amorosi del giovane impiegato di sua maestà britannica che irrompono in questa spy story con tutta l’ironia di cui è capace Coe.

NOTTE DI PENSIERI GIORNI DI QUOTIDIANITÀ

UNA STORIA NON RACCONTATA

RACCONTI DA.. DOPO LA VITA

«Questo non è un romanzo, ma un giro in bicicletta». Antonio per sfuggire al traffico della città e contrastare l’insonnia, compra una bicicletta. Di notte però i pensieri non si fermano e girano come le ruote, accavallandosi nella sua testa, senza una benché minima priorità. Ma dalla confusione nasce un’idea: girare un documentario che metta insieme sentimenti, neuroscienza, biologia evolutiva e psicologia, cioè il magma indefinito dei suoi pensieri notturni. Il tutto e il niente, già perché il disordine svanisce al mattino, come se il sorgere del sole avesse il potere di mettere ordine nelle cose e nei sentimenti che agitano le sue notti. E così Antonio viene inghiottito nuovamente dai figli, dal lavoro, dalla puntualità e dalle pulsioni amorose che non lo lasciano mai in pace. Il mondo delle cose reali prende il sopravvento sul suo grande progetto notturno e il documentario sulla vita e la sua crudele complessità si allontana sempre di più.

Operando un rovesciamento di prospettiva, questa monografia si propone di documentare e valorizzare le forme nonviolente della Resistenza italiana, superando la distorsione della narrazione storiografica, sedimentata nell’immaginario collettivo, che fa identificare la Resistenza con la minoranza rappresentata dai partigiani armati ed eclissa la maggioranza costituita da tutti quei resistenti che non hanno fatto ricorso alle armi. Assumere a criterio interpretativo la categoria della “nonviolenza” permette di riscoprire la grande vitalità di resistenza messa in campo dalla popolazione (aiuto ai militari sbandati, agli ex prigionieri alleati, agli ebrei, ai ricercati) e da soggetti il cui apporto è stato riconosciuto con ritardo dagli storici: gli internati militari nei lager, i deportati, le donne, i giovani renitenti alla leva. La ricerca focalizza le scelte di una generazione che, sebbene educata a obbedire silenziosamente al duce e alle direttive del partito unico, ha saputo di dire “No” alle violenze, alle discriminazioni e alle prevaricazioni dei nazifascisti, mettendo in conto anche il sacrificio di affetti familiari, di legami sentimentali, della stessa vita.

«Nel 2011 è finito il mondo: mi sono uccisa». L’incipit di Cuore cavo è folgorante, degno inizio di un romanzo originale, scritto da Viola di Grado. L’autrice racconta non solo la sua morte, ma la vita che ne segue, senza i sensi naturalmente, ma con la stessa identica forza che scaturisce dai sentimenti che animano l’esistenza. Dorotea prende atto del cinismo della natura che decompone il corpo come in una lenta ultima cena senza tradimento. «L’universo si riappropria degli atomi persi. Non ci sono imprevisti o colpi di scena nel congedo delle ossa». La morte sfalda i corpi mentre le anime continuano a guardare ciò che agita le vite delle persone senza poterne far parte. Non c’è comunicazione tra i due mondi se non nei pensieri degli uni, i vivi, e degli altri, i morti. Il mondo dell’aldilà continua a spiare impaurito il mondo dell’aldiqua, quello degli affetti, dei legami famigliari e delle passioni.

Antonio Pascale Le attenuanti sentimentali Einaudi, 2013

Ercole Ongaro Resistenza non violenta. 1943-45 I libri di Emil, 2013 | 52 | valori | ANNO 13 N. 113 | OTTOBRE 2013 |

Viola Di Grado Cuore cavo edizioni e/o, 2013


| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

CINQUE MINUTI PER RACCONTARE IL SOCIALE A Toiano, in provincia di Pisa, è rimasto un unico abitante, costretto ogni mattina a imbracciare i secchi per rifornirsi d’acqua. A raccontarne la storia è Una goccia per Toiano, un cortometraggio che, nel suo piccolo, è riuscito a riportare l’attenzione su questo borgo fantasma. Si tratta di uno delle centinaia di corti che hanno partecipato negli anni al concorso Raccorti Sociali, che non a caso va alla ricerca di “piccoli film per grandi idee”: opere incentrate sul volontariato, sul territorio, sui beni comuni, sull’impegno per il sociale. Si tratta di un premio che, partito su base locale in Toscana da un’idea del filmmaker Cosma Ognissanti, col tempo ha acquisito rilievo, conquistando una dimensione nazionale. A organizzarlo sono il Cesvot (Centro servizi volontariato Toscana) e la delegazione pisana dell’Aiart (Associazione spettatori), in collaborazione con Regione Toscana e Fondazione Sistema Toscana. Le iscrizioni sono aperte fino al 24 ottobre e le regole sono poche ma chiare. I film, con colonna sonora originale, devono durare al massimo cinque minuti perché, spiega Ognissanti, «opere brevi si prestano a molteplici forme di comunicazione e fruizione. Sanno cogliere il succo, che è proprio quello che rimane impresso e ha il potere di cambiare le cose». I vincitori verranno premiati domenica 8 dicembre al cinema Odeon di Firenze, nell’ambito della 50 Giorni di cinema internazionale. www.raccortisociali.it

A CACCIA DI IDEE PER UN’ITALIA GREEN I fondatori di start-up, i creativi, le pubbliche amministrazioni virtuose, i ricercatori hanno tempo fino al 24 ottobre: è questa la scadenza per le iscrizioni al bando del Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente, indetto da Legambiente. L’iniziativa, giunta alla sua tredicesima edizione, va alla ricerca di quelle idee innovative che passo dopo passo costruiscono la via italiana all’economia green. Idee che spaziano dal campo dell’edilizia a quello della rigenerazione urbana, dall’ecodesign all’agricoltura e altro ancora. Lo scorso anno ad aggiudicarsi il riconoscimento (e il diritto a utilizzare il logo “Innovazione amica dell’ambiente”) sono stati, fra gli altri, la mappa digitale per ciclisti urbani Bikedistrict e il social network Grow The Planet, interamente dedicato agli orti. Ma anche il servizio di car sharing Car2Go, recentemente approdato a Milano, e RecycleTherm KM0, un materiale isolante termoacustico fabbricato con gli scarti delle industrie del distretto tessile di Prato e della raccolta di abiti dismessi. www.premioinnovazione.legambiente.org

IL TARLO: MOLTO PIÙ CHE TROTTOLE

CAMBIARE VITA, DALLA CITTÀ ALL’ALPEGGIO

All’edizione milanese di “Fa’ la cosa giusta!” in molti avranno notato uno stand sempre affollato di piccoli visitatori alle prese con tante trottole colorate. Ma le trottole sono solo una delle attività dell’associazione Il Tarlo, nata poco più di un anno fa in Brianza dall’incontro di Alberto, falegname ed educatore, Andrea, ceramista, e Giovanni, tornitore e scultore del legno. L’associazione si incentra sul gioco come riscoperta della tradizione e del lavoro col legno, prevalentemente di recupero. Proponendo giocattoli e complementi d’arredo artigianali la pretesa non è, spiega Alberto, quella di sostituirsi in toto ai prodotti industriali: «Vogliamo aiutare a sviluppare uno spirito critico nei confronti dell’oggetto. Un bambino alle prese con un gioco in legno può romperlo, ricostruirlo e migliorarlo: impara così ad analizzare la realtà e porsi delle domande. Allo stesso modo, i suoi genitori potranno comprare un tavolo ai grandi magazzini o da un artigiano a seconda delle loro esigenze, ma l’importante è che ne capiscano il valore». Il gioco può avere anche una valenza sociale: lo testimonia il Ludobus, la ludoteca itinerante nata in Germania e portata dall’associazione in scuole e piazze. Un’attività che può aiutare a riqualificare una zona periferica o intercettare ragazzi in condizioni di difficoltà. www.iltarlo.eu

Mentre ci racconta la sua storia, Matteo Chindemi sta costruendo un recinto. È la storia di come la sua famiglia, di cui fanno parte anche la moglie Gaia e i due figli, nel 2007 ha scelto di trasferirsi dalla città a un alpeggio abbandonato da trent’anni a Prati D’Agro, nell’Alto Verbano, sul Lago Maggiore. Grazie ai fondi europei Matteo e Gaia sono riusciti a costruire un caseificio e ammodernare la stalla per le loro settanta capre, da cui ora producono in media 15 kg di formaggio al giorno. Da ottobre a gennaio, quando le capre non vengono munte per rispettare i loro ritmi naturali, Matteo e Gaia si ritagliano qualche giorno per partecipare a laboratori caseari che hanno permesso loro di guadagnare diversi riconoscimenti e, cosa non meno importante, l’interesse delle persone che li raggiungono a piedi apposta per comprare i loro formaggi. «Non è facile lavorare qui ma, se si impiegano tempo e fatica per puntare alla qualità, i risultati si vedono. La cosa più importante – precisa Matteo – è che non siamo venuti qui per isolarci. Lo dimostra il fatto che organizziamo iniziative sul territorio, ospitiamo gruppi scout e ci teniamo a mantenere i legami con chi ci viene a trovare, soprattutto tramite il Web». www.caprechindemi.it

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Epilogo paradossale

La ripresa che c’è ma non si vede iceva Cantor, il padre dell’algebra moderna, che tra zero e uno c’è l’infinito, o meglio, in virtù della “forza prodigiosa del continuo”, una serie illimitata di infiniti. Ci vollero ventitré secoli per superare l’idea dell’infinito potenziale di matrice aristotelica. Abbiamo impiegato invece meno di duecento anni per constatare la previsione catastrofistica sullo sviluppo

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dal cuore della City Luca Martino

del sistema capitalista formulata, come noto, da Ricardo in primis e, in maniera ancora più esplicita, da Marx e Ludd, i quali intuirono, in tempi davvero non sospetti verrebbe da dire, che la meccanizzazione dei processi produttivi avrebbe creato svantaggi netti al mercato economico, sia in termini di benessere della forza lavoro che di distribuzione e riallocazione del capitale. Dopo di loro fu Werner Sombart, e poi ancora Schumpeter, a identificare nella “distruzione creativa” il motore fondante, ma anche il difetto congenito che comporterà il fatale declino del capitalismo. Sull’altro fronte, invece, gli economisti di matrice liberale hanno sempre supportato l’idea che, ancorché le nuove tecnologie comportino perdite di posti di lavoro in taluni settori, l’occupazione in altri e nuovi settori aumenterà inevitabilmente, quasi per inerzia, in una crescita continua che garantirà il benessere della collettività. L’idea andava di pari passo alla visione aristotelica dell’infinito potenziale: alle fattorie e alle botteghe artigiane si sostituiranno le fabbriche, ai manufatti meccanici prodotti elettronici sempre più sofisticati, agli uffici gli open space, il tutto in un contesto nel quale proprio la distruzione

a Facebook, un’azienda fondata non già su un’idea originale di prodotto, o di realizzazione innovativa di una merce o di un servizio, ma sul crowdsourcing di informazioni sostanzialmente gratuito da parte di milioni di utenti (a loro insaputa anche impiegati non remunerati), e che sta distruggendo altrettanti posti di lavoro nei settori della fotografia e delle pubbliche relazioni. Il capitalismo ha senz’altro davanti a sé ancora molti anni, forse decenni: pensate che nella super-liberal Inghilterra solo oggi si sta procedendo alla privatizzazione di aziende strategiche come le poste (cosa che neanche la Thatcher aveva osato fare), e ancora rare, per fortuna, sono alcune tipologie di impiego particolarmente gravose per i dipendenti come i contratti a zero ore, ma il declino appare inevitabile. Nonostante nei prossimi mesi assisteremo, dopo la profonda recessione che abbiamo vissuto, a un qualche decimale di crescita del Pil, e speriamo che anche in Italia avvenga almeno questo tiepido rimbalzo. Mentre i posti di lavoro e i redditi continueranno a essere sempre più scarsi e modesti, così come ogni altro indice del benessere e della qualità della vita. 

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Saranno le caratteristiche stesse del capitalismo a segnarne, inesorabilmente, il prossimo declino e la sostituzione continua di merci, processi produttivi e competenze ritenuti obsoleti assicurerà la prosperità dei più. Purtroppo, con un’accelerazione straordinaria causata principalmente dalla globalizzazione, ma anche dalla speculazione finanziaria e dai cambiamenti climatici, il principio della distruzione creativa si sta esaurendo inesorabilmente. In termini di capitali, sono anni ormai che assistiamo a flussi di investimenti non già verso nuovi settori che creino nuovi posti di lavoro e nuove opportunità, ma verso settori maturi oggi in forte declino, come le costruzioni o l’automobile, che beneficiano di ingenti sussidi pubblici, o verso quei settori dell’internet economy che scommettono sul contributo volontario da parte dei consumatori. Si pensi

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