Mensile Valori n. 123 2014

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Cooperativa Editoriale Etica

Anno 14 numero 123 novembre 2014

€ 4,00

SE I DERIVATI ARRIVANO ANCHE AI PRESTITI PEER-TO-PEER

finanza

CARO AGRICOLTORE, SE INQUINI TI TASSO. L’IDEA DI UN COMUNE TRENTINO

economia solidale

I DANNI DELL’EBOLA NON SONO “SOLO” SANITARI, DIETRO L’ANGOLO UN DISASTRO ECONOMICO

internazionale

Produciamo più energia di quanta ne serva. Le rinnovabili si espandono, le utilities soffrono

9 788899 095017

ISBN 978-88-99095-01-7

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR. Contiene I.R.

© FOTO CORTESEMENTE FORNITA DA SUN TRIP COMPANY

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Overdose energetica


2

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


editoriale

di Walter Ganapini

L’AUTORE

WALTER GANAPINI

Walter Ganapini, chimico, tra i fondatori di Legambiente (1978), ex presidente di Greenpeace Italia, esponente dell’ambientalismo scientifico: ricercatore Enea, presidente dell’Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale, si è occupato di temi ambientali ed energetici, a partire dal ciclo dei rifiuti. È stato assessore tecnico all’Ambiente presso il Comune di Milano (’95-97) e la Regione Campania (20082010). È membro onorario del Comitato scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ha pubblicato diversi libri tra cui “La risorsa rifiuti” (EtasLibri,1978), “Oltre l’ecologia” (EtasLibri, 1980), “Ambiente made in Italy” (Aliberti, 2004). valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

P

er la prima volta una petroliera battente bandiera di Singapore salpa da Galveston (Texas) con 400mila barili di greggio statunitense destinato all’esportazione. Il prezzo del barile cala da 147 a 83 dollari: a 70 dollari lo shale oil da fracking di scisti bituminosi cessa di essere conveniente. I Paesi Opec, danneggiati, finanziano il terrorismo islamico (guerra santa come diversivo per contenere il disagio degli abitanti del Golfo, abituati ai sussidi pubblici da export petrolifero, cui si aggiunge la secolare tensione fra sunniti-Arabia Saudita e sciiti-Iran). Putin agisce su diversi quadranti per proteggere le esportazioni di gas (e Rosneft, nonostante le sanzioni, si dichiara interessata a Saipem e a Eni), alleandosi di fatto con la Cina, che inizia ricerche di idrocarburi nel proprio offshore (e investe in Eni, Enel, Terna). Nella Terza guerra mondiale, sin qui prevalentemente combattuta con le armi della finanza, il conflitto sull’energia si estende ogni giorno, con l’Europa spettatrice frammentata/marginale. La crisi ambientale da cambiamento climatico ormai irreversibile sottende tale scenario e ci ricorda che l’unico sviluppo possibile è quello sostenibile, che esige di affidare a fonti rinnovabili ed efficienza il ruolo centrale nelle politiche energetiche: a questo must aggiunge ragioni, da Boston (dove tanto ha fatto Scaroni per “esiliarlo”), Leonardo Maugeri (ex top manager Eni, ndr), spiegando come il mercato delle fonti fossili vedrà sempre più sovrabbondanza dell’offerta sulla domanda. E la povera Italia? Come spiega questo numero di Valori, ha una domanda di elettricità da anni ferma a 55GW: il decreto Marzano/sbloccacentrali portò la potenza installata da 75GW a 130GW, cui si volevano sommare nucleare e presunta valenza energetica di inceneritori banditi dall’Europa.

RISERVE DI IDROCARBURI ITALIA

OLIO [migliaia di tonnellate] Certe Probabili Possibili Nord 501 322 0 Centro 57 2.480 737 Sud 64.993 79.331 48.497 Sicilia 5.956 4.808 3.515 Totale TERRA 71.508 86.941 52.749 Totale MARE 8.217 3.128 104 TOTALE 79.725 90.069 52.853 Consumo ITA: ~ 65.000 tonnellate

Certe Probabili Possibili GAS [milioni di Smc] Nord 2.651 2.319 50 Centro 715 1.181 394 Sud 18.060 19.580 7.928 Sicilia 1.636 713 392 Totale TERRA 23.062 23.793 8.764 Totale MARE 33.141 34.762 13.110 TOTALE 56.203 58.555 21.874 Consumo ITA: ~ 75.000 milioni Smc

FONTE: RAPPORTO ANNUALE MISE 2014 (DATI 2013) (HTTP://UNMIG.SVILUPPOECONOMICO.GOV.IT/UNMIG/STAT/RA2014.PDF)

CASSANDRA O UN SERVO SCIOCCO? % Certe 0,6% 0,1% 81,5% 7,5% 89,7% 10,3% 100,0% % Certe 4,7% 1,3% 32,1% 2,9% 41,0% 59,0% 100,0%

Ingenti i profitti per cementieri e tondinari. E i debiti di utilities (Enel, A2A, Iren). E noi paghiamo in bolletta il “fermo impianti”, le inefficienze di rete, il mai avviato decommissioning nucleare, il CIP6 a petrolieri e “inceneritoristi” anziché alle rinnovabili, la cui incentivazione ha attratto, senza controlli e politiche di filiera, imprese mafiose e prodotti cinesi. Con “previsioni” di consumi per 100 miliardi di m3 di gas naturale, per anni ci hanno detto che ci servivano 12 rigassificatori, quando la domanda non ha mai superato i 70 miliardi di m3. Oggi Enel annuncia la chiusura di 20 centrali e i sindacati vedono 10mila posti di lavoro a rischio. Ricerca, innovazione, formazione sono state rase al suolo; destiniamo briciole a comparti dove il mondo ci riconosce eccellenze storiche (la chimica da materie prime rinnovabili), ma la potenza degli interessi di retroguardia (e di generazioni di “servi sciocchi” incompetenti) è tale, nel MalPaese, che con lo #SbloccaItalia, privilegiamo trivellazioni per risorse limitatissime e usiamo Cassa Depositi e Prestiti per tappare i buchi degli inceneritori. ✱ 3


fotoracconto 02/05

Quando un oggetto o una tecnologia passa dalla disponibilità di pochi a quella di molti; quando il suo costo si abbassa e il suo utilizzo si diffonde, allora quell’oggetto e quella tecnologia possono definirsi “di consumo”. Si è verificato con i computer e i cellulari, e oggi sta accadendo per le tecnologie legate alla produzione di energia da fonti rinnovabili, particolarmente per il comparto solare. Così dai grandi parchi eolici e fotovoltaici diffusi nei Paesi ricchi (l'80% dei nuovi impianti nei Paesi Ocse è green, IEA), la spinta verso l’energia pulita 4

e a basso costo si sta trasferendo ai piccoli elettrodomestici (caricabatteria da viaggio, cucine solari, minieolico diffuso o il kit solare dell’Ikea), alle soluzioni per la mobilità (biciclette, auto, aerei), fino allo stesso modo di concepire l’energia: autoprodotta e decentrata. Siamo alle “rinnovabili 2.0”, accessibili e domestiche. E spesso la creatività ci mette lo zampino e nascono soluzioni innovative. Le raccontiamo nel fotoracconto di questo numero di Valori.

Nella foto in alto la costruzione del tetto solare di Cascina Santa Brera a San Giuliano Milanese (Milano). È uno degli impianti di produzione da rinnovabili di Retenergie, che li finanzia in cooperativa, spesso con Banca Etica. Piccole centrali fotovoltaiche o idroelettriche (ripristinando le tecnologie obsolete presso i molti salti d’acqua abbandonati da Enel in Italia) sparse soprattutto nel centro-nord, ma puntando alle isole: al via nuovi progetti di azionariato diffuso per impianti minieolici da 60 kW in Sicilia e Sardegna.

WWW.RETENERGIE.IT

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


sommario

novembre 2014 mensile www.valori.it anno 14 numero 123 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero: Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Luca Martino, Valentina Neri, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Marta Beltrame; Samuel Stacey; Sun Trip Company; Morgana Wingard; Sylvain Cherkaoui (Cosmos); Sandra Smiley, Sebastian Stein, Caroline Van Nespen, Martin Zinggl (MSF); Ignis, NASA / Scott Andrews, Scottish Parliament, World Developement Movment (commons.wikimedia.org); ESA - S. Corvaja (en.wikipedia.org); Daniele Lira, Enrico Genovesi (Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A.); www.o-sun.net/press; http://press.solarimpulse.com distribuzione Press Di - Segrate (Milano)

fotoracconto 01/05 A giugno 2015 da Milano partirà Sun Trip 2015 verso la capitale kazaka Astana (si terrà l’Expo 2017 sul tema energia). 43 ciclisti di 14 Paesi percorreranno 5.500 chilometri su biciclette dotate di pannelli fotovoltaici, che alimenteranno un motore elettrico e la strumentazione Gps di bordo.

dossier

6 Troppa energia

In Italia e in Europa produciamo più energia di quanta ne consumiamo. E mentre le fonti rinnovabili avanzano, le utilities tradizionali arrancano. Intanto gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio

global vision finanza etica

7

Il peer-to-peer scopre i derivati Scambiare beni e servizi senza moneta Germania, dalla TTF quasi 18 miliardi di euro «I tassi negativi uccidono le banche tradizionali»

19 22 24 25

numeri della terra economia solidale

28

Il Paese che punisce chi più inquina I mille mondi della soia I francesi alla guerra dei satelliti

31 35 38

internazionale

Ebolanomics, i numeri del disastro Ttip, l’accordo Dracula torna dal passato

43 48 51

social innovation bancor

54

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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FATTI IN ITALIA Isonio Emanuele to ta Tramon ed Elisabet prefazione lacci Ermete Rea

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global vision

Manovra di stabilità

Cambiare verso o cambiare paradigma? di Alberto Berrini

attuale Esecutivo ha senz’altro preso atto dell’aggravarsi del declino, anche congiunturale, dell’economia italiana. La dimensione della manovra di stabilità (senza ulteriori ritocchi siamo a 36 miliardi di euro), comunque la si valuti, è lì a dimostrarlo. Ma allo slogan “cambiare verso”, non sembra corrispondere un vero cambio di paradigma di politica economica, nonostante sia lo stesso ministro Padoan a ricordarci che, per certi versi, l’attuale crisi è più grave di quella del ’29. Alla Legge di Stabilità manca, infatti, una strategia credibile per uscire dalla recessione. Di fronte a una crisi complicata e non risolta (i germogli di ripresa di inizio 2014 non hanno superato la gelata d’autunno, per lo più e non proprio inaspettatamente arrivata dall’Europa) il Governo ha deciso di ripartire, ossia di mettere al centro della sua manovra “lavoro” e “impresa”, indirizzando in questo ambito le risorse liberate dall’incremento del deficit (riprogrammato dal 2,2 al 2,9%) e dalla (ipotetica!) spending review. Dunque la crescita come unica soluzione possibile per affrontare il problema del debito e la crisi sociale che è diretta conseguenza di quella economica. In realtà quando il Governo parla di “lavoro” intende “consumi” e quando si parla di “impresa” intende “investimenti”. Si tratta di rimettere in moto la fiducia in questi due ambiti,

L’

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

condizionando positivamente le aspettative di consumatori e imprenditori. A riguardo dei consumi si va dalla stabilizzazione degli 80 euro fino alla discutibile manovra sul Tfr. A proposito degli investimenti abbiamo principalmente l’intervento sull’Irap e sulla decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato, accompagnate (fuori Legge di Stabilità) da quelle riforme strutturali (in primis il Jobs act) che dovrebbero creare un clima favorevole alla loro attuazione. È evidente che si guarda solo agli investimenti privati. La spesa pubblica è per definizione inefficiente e dannosa se non altro perché toglie risorse sicuramente utilizzate meglio (ossia in maniera più efficiente) dai privati. Non si crede affatto al ruolo pubblico, ossia al suo ruolo di “tenere in tensione” la domanda effettiva. Dunque Keynes non serve. In definitiva, e ancora una volta, tutto si gioca sulla ripresa degli “spiriti animali” degli imprenditori. Ma, come ricordava Keynes, «non potete aspettarvi che gli imprenditori si mettano a varare programmi di ampliamenti mentre stanno subendo perdite». La sensazione è che stiamo perdendo l’ennesima occasione mentre dovremmo discutere a fondo delle strategie d’uscita da una crisi che sembra non avere fine, ma che ci darebbe anche l’opportunità di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo. ✱ 7


DOSSIER

fotoracconto 03/05 Le rinnovabili hanno contagiato anche gli aerei: Solar Impulse è un apparecchio con lunghe ali costituite da pannelli fotovoltaici, che nella sua prima versione, nel 2013, rimase in volo sugli Stati Uniti per 24 ore di seguito. All'inizio del prossimo anno Solar Impulse 2 (nella foto) volerà con partenza e destinazione Abu Dhabi, sfruttando una combinazione di celle solari (più di 17mila) e batterie al litio per un progetto dagli sponsor miliardari (Masdar, Solvay, Schindler, Omega, ABB) e sarà un’occasione unica di sperimentazione in tema di energia, materiali isolanti sottili e sistemi di sopravvivenza.

10 / Europa in transizione (energetica) 12 / Le centrali in una bolla 14 / Usa, il “prezzo” del primato 16 / Se Bruxelles “dimentica” l’ambiente

OVER E


HTTP://PRESS.SOLARIMPULSE.COM

Il sistema energetico mondiale è cambiato (e sta cambiando). Dopo anni di boom delle rinnovabili e un calo dei consumi, ci ritroviamo a produrre troppa elettricità

L’Europa ha decine di vecchie centrali senza futuro. Le grandi utilities del termoelettrico e del nucleare arrancano. C’è da chiedersi quale sarà il destino degli impianti e dei lavoratori

RDOSE ENERGETICA


DOSSIER OVERDOSE ENERGETICA

Europa in transizione (energetica) Un sistema energetico da rifare e le grandi utilities da salvare, in uno scenario di recessione e corsa alle rinnovabili. La strada è tracciata, ma l’Europa che cambia fa i conti col passato. E sono piuttosto salati

di Corrado Fontana e Valentina Neri

E MIX ENERGETICO UE 2000

nergia: un tema sempre “caldo”. Oggi il cruccio delle multinazionali del settore (vedi SCHEDE in basso) è l’eccesso di offerta MIX ENERGETICO UE 2013

FONTE: RAPPORTO EWEA (EUROPEAN WIND ENERGY ASSOCIATION) WIND IN POWER - 2013 EUROPEAN STATISTICS

Fuel Oil 62,166 11% Gas 91,922 17% Nuclear 122,966 23%

Wind 12,887 2% Hydro 112,719 21%

Coal 133,220 25%

Biomass 4,568 1% Waste 2,199 0% Geothermal 592 0%

Peat 1,667 0% Ocean PV CSP 248 125 0 0% 0% 0%

Fuel Oil 47,528 5% Nuclear 122,328 14%

Biomas 11,288 1%

Hydro 140,054 16%

Coal 171,405 19% Gas 201,000 22%

Waste 4,219 1%

Wind 117,288 13%

CSP 2,309 0%

PV 80,000 9%

Peat 1,808 0%

Geothermal 765 0%

Ocean 262 0%

I COLOSSI DELL’ELETTRICITÀ IN EUROPA

di elettricità. Un trend consolidato (vedi Valori di maggio 2010) e confermato dai dati: Matteo Del Fante, A.d. di Terna, a ottobre in audizione alla Commissione Industria del Senato dichiarava che la capacità disponibile italiana è di 78,7 GW a fronte di una domanda di 53,9. Un’eccedenza di ben 24,8 GW (nel 2003 era di 1,3 GW). Accade lo stesso in Spagna (+13 GW), Germania (col 16% delle aziende autosufficiente per l’energia) e altri Stati europei, negli Usa e in Australia.

LE TRE CAUSE DELL’ABBONDANZA Contesti diversi, quindi, ma accomunati da tre fattori. Il perdurare delle conseguenze della crisi economica che abbatte la domanda di energia. Poi il calo del costo dell’energia prodotta, coi prezzi del carbone ai minimi dal 2010 al 2013 e il fotovoltaico che punta alla grid parity (vedi GLOSSARIO ) o la raggiunge (così in Spagna, Germania e Italia, secondo

EdF

RWE AG

E.ON

Enel

Électricité de France è il più grande produttore e distributore di energia in Francia (presente in Italia tramite Edison). Nasce nel 1946 come società statale, ma dal 2004 è una società anonima a capitale pubblico e dal 2005 è quotata in Borsa. Con i 58 reattori attivi nella sola Francia, il nucleare fa la parte da leone: rappresenta il 74,5% dei 653,9 TWh di energia prodotta nel 2013 e più della metà della potenza installata totale (pari a 140,4 GWe).

Fondata nel 1898 a Essen, è una delle Big four europee del nucleare (con E.ON, EnBW e Vattenfall) e ha subito la prima perdita di bilancio dalla fine della II guerra mondiale dopo la decisione di abbandonare l’energia atomica presa dalla cancelliera Merkel nel post Fukushima. Tra le maggiori cinque utilities d’Europa, ha 66mila dipendenti, oltre 16 milioni di clienti per l’elettricità e più di 7 milioni per il gas.

La tedesca E.ON, una delle pochissime big dell’energia a capitale interamente privato, nel 2013 ha raggiunto un giro d’affari da 122,5 miliardi di euro. Dei suoi 61 GW di capacità di generazione elettrica, circa l’88% è rappresentato da carbone, lignite, gas naturale e nucleare. In questi mesi ha deciso di svincolarsi dall’Italia e dalla Spagna per puntare sui mercati emergenti: mentre scriviamo questo numero di Valori la questione è ancora aperta.

Maggiore azienda elettrica d’Italia e seconda utility quotata d’Europa per capacità installata, ha come principale azionista il nostro ministero dell’Economia e delle Finanze (31,24%). Fornisce elettricità e gas a 61 milioni di clienti e opera in 32 Paesi, con una capacità installata di oltre 95 GW. Contestata per il progetto Hydroaysen (che prevedeva la costruzione di cinque grandi dighe nella Patagonia cilena) e per la sua presenza nei paradisi fiscali.

20% della capacità installata in Europa

7,4% della capacità installata in Europa

6,2% della capacità installata in Europa

FONTE: RAPPORTO GREENPEACE “LOCKED IN THE PAST - WHY EUROPE’S BIG ENERGY COMPANIES FEAR CHANGE”, FEBBRAIO 2014

10

5,9% della capacità installata in Europa

valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014


OVERDOSE ENERGETICA DOSSIER

la società di consulenza Eclareon). E infine, l’impennata della capacità installata da rinnovabili. Secondo NPD Solarbuzz, da ottobre a dicembre 2014 nel mondo si installeranno oltre 19,5 GW di fotovoltaico, più che nell’intero 2010 (!), arrivando a oltre 200 GW complessivi. L’eolico già supera i 300 GW e, stando alla IEA, nel 2050 potrebbe generare il 18% dell’elettricità globale (dall’attuale 2,6%). Un boom delle rinnovabili che, pur rallentando in Europa per il taglio agli incentivi, condiziona il mix energetico (vedi GRAFICO ) e approfitta della priorità di dispacciamento (vedi GLOSSARIO ), che privilegia le fonti pulite, che non offrono produzione costante ma sono flessibili e decentrate.

CAPITALISMO DI RETROGUARDIA Ben diverse le centrali nucleari, a carbone, a olio combustibile o a gas: di enormi dimensioni, con costi fissi altissimi ed esternalità ambientali e sanitarie tutte da valutare. Impianti sempre più spesso sfruttati al minimo. Negli Usa, secondo la Energy Information Administration, entro il 2016 chiuderanno almeno 60 GW di centrali a carbone. In Europa in questi mesi le utilities si disferanno di circa 7 miliardi di euro di impianti. Gdf Suez nell’estate ha ceduto i suoi asset a Panama e in Costarica, mentre E.On abbandona le attività in Italia e Spagna. Capita anche che «molte centrali vengano chiuse sperando che il mercato si riprenda. Se ciò non accadrà, dal momento che alcune sono moderne centrali a ciclo combinato con rendimenti superiori al 70%, è probabile che vengano smantellate e ricostruite nei Paesi extraeuropei che hanno un fabbisogno in crescita», afferma Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e di Qualenergia. Di fronte a questa transizione, i “pachidermi del termoelettrico” si trovano forse impreparati. Hanno continuato a costruire centrali, come di-

mostra il fatto che (spiega il report Locked in the past di Greenpeace) la capacità da fonti fossili è aumentata di 85 GW in Europa negli ultimi dieci anni. «Inoltre non hanno capito che il boom delle rinnovabili era una cosa seria. D’ora in poi venderanno sempre meno energia elettrica e dovranno offrire ai clienti nuovi servizi legati all’efficienza e alle rinnovabili», conclude Silvestrini.

L’ENERGIA PER CAMBIARE Perché le grandi aziende non hanno investito in rinnovabili, che garantiscono ritorni economici importanti? «Dicono che non si sono fidate», precisa Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e clima di Greenpeace. «E non hanno tutti i torti poiché il sistema di incentivazione è stato rivisto a più riprese e non c’è nulla di peggio, per una società di grandi dimensioni, dell’incertezza sui margini economici. È però anche vero che non volevano mettere a rischio ciò che già avevano» (vedi TABELLA a pag. 15). Così ora dovranno – e in parte lo stanno facendo – trasformare il modello di business, tentando di rallentare la transizione e allungando la vita delle centrali grazie al capacity payment (vedi GLOSSARIO ). Alcune già virano verso la generazione distribuita – ricorda Qualenergia – seguendo la lezione americana. Ma le rivoluzioni vanno guidate. E se l’Europa punterà alla gestione intelligente della domanda di energia (demand response, vedi GLOSSARIO ) sviluppando le smart grid e l’efficienza delle tecnologie, serviranno investimenti miliardari. Con il bastone del comando in mano alle autorità comunitarie, la partita più delicata si gioca sull’efficienza, che (secondo l’ultimo rapporto Cesef) potrebbe generare un giro d’affari da 40 miliardi entro il 2020. E allora applausi delle utilities e mugugni degli ambientalisti per il vertice Ue di fine ottobre, che ha indicato nuovi obiettivi su CO2, efficienza e rinnovabili. ✱ >> CONTINUA A PAG. 12

GdF Suez

Vattenfall

Francese, seconda utility più grande al mondo con oltre 147mila dipendenti, prima in Europa nell’importazione e nella distribuzione di gas naturale. La sua nascita risale al 2008, con la fusione di Gaz de France e Suez per contrastare la possibile Opa ostile di Enel su quest’ultima. Il governo di Parigi ne è azionista al 35%. È di GdF Suez la mega-piattaforma che nei prossimi mesi partirà dal nord-est dell’Inghilterra alla ricerca di gas nel Mare del Nord.

Interamente di proprietà del governo svedese, opera nei settori gas (solo per la vendita), elettricità e calore. Produce energia (in gran parte nucleare) in Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Polonia e Regno Unito. Nel 2009 ha citato per danni il governo tedesco per i vincoli ambientali imposti a una sua centrale a carbone; nel 2012 ha chiesto 3,7 miliardi di euro per la chiusura di due suoi impianti nucleari decisa da Angela Merkel.

5,4% della capacità installata in Europa

valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014

5,3% della capacità installata in Europa

 GLOSSARIO SMART GRID (RETE INTELLIGENTE) Una piattaforma tecnologica che connette produttori e utenti determinando in anticipo il fabbisogno energetico e adattando con flessibilità la produzione. CAPACITY PAYMENT O MERCATO DELLE CAPACITÀ Meccanismo che prevede un contributo per le centrali convenzionali sottoutilizzate, perché rimangano in esercizio pur senza produrre, mantenendo così la disponibilità potenziale dei loro GW in caso di necessità. In Italia dovrebbe entrare in vigore dal 2017. DEMAND RESPONSE Filone di innovazione tecnologica volta a garantire il bilanciamento dinamico tra domanda e offerta di energia. PRIORITÀ DI DISPACCIAMENTO La “corsia preferenziale” che Italia e altri Paesi europei (come Germania, Francia, Polonia, Portogallo, Slovenia) garantiscono alle rinnovabili, che a parità di prezzo vengono privilegiate rispetto alle altre fonti. GRID PARITY Soglia che si raggiunge quando l’energia prodotta dalle rinnovabili e dalle fonti fossili ha lo stesso prezzo.

PER LE UTILITIES SCENDONO I PROFITTI

FONTE: BLOOMBERG PROFESSIONAL / BLOOMBERG INDUSTRIES / UTILITIES

Bn € 30 25 20

EdF GdF Suez

15

ENEL 10

Iberdrola E.ON RWE CEZ

5 0

2010 A

PGE

2011 A

2012 A

2013 C

2014 C

2015 C

11


DOSSIER OVERDOSE ENERGETICA

Le centrali in una bolla di Corrado Fontana

Si dismette potenza dalle vecchie centrali, che talvolta restano accese al minimo. Un costo per le utilities, che investirono prima e ora sperano nell’aiuto pubblico. Ma che ne sarà dei lavoratori?

«I

grandi gruppi hanno tardato a rendersi conto di questo cambio di paradigma epocale», dice Andrea Boraschi di Greenpeace. Un’affermazione che, per una volta, mette d’accordo ambientalisti, politica e industria termoelettrica. Assoelettrica, che riunisce circa 120 imprese del settore, ammette l’eccesso di investimenti in centrali a gas, olio combustibile e carbone (tra il 2002 ed il 2013 sono stati installati 21,7 GW di nuovi impianti termoelettrici in Italia), ma sostiene che ciò sia stato indotto, almeno parzialmente, da previsioni ufficiali erronee sul mercato dell’energia e chiede che lo Stato contribuisca ai costi della grave impasse economica delle utilities (tra cui, secondo Edoardo Zanchini di Legambiente, Sorgenia ed Eon mostrerebbero già segni di dismissione). Così lo Stato contribuirà dal 2017 col “mercato della capacità” o capacity payment (vedi GLOSSARIO alla pag. precedente), sovvenzionando la sopravvivenza di alcune centrali “di scorta”. Ma la questione occupazionale rimane un capitolo rovente.

UN ESERCITO DA RICOLLOCARE I segretari generali della federazione dei lavoratori elettrici di Cgil, Cisl e Uil ai primi di ottobre hanno

chiesto al ministero dello Sviluppo un tavolo permanente per la programmazione energetica: in ballo c’è il futuro di metà dei 100mila lavoratori elettrici italiani. «Per quanto riguarda gli impianti a gas in Italia – precisa Zanchini – si è verificata una vera bolla. Sono state realizzate molte centrali, nel frattempo i consumi si sono ridotti, è cresciuta la generazione da rinnovabili e progressivamente questi impianti sono andati fuori mercato». Per l’Ad di Enel, Francesco Starace, in audizione al Senato a metà ottobre, vanno dismessi 11 GW di potenza termoelettrica e le centrali “potenzialmente da chiudere” sono 23, con 700 lavoratori da pensionare o riallocare. Un quadro delicato in cui Enel non è la sola coinvolta: «Situazioni di criticità si sono aperte in A2A, Edison, Sorgenia, Gas de France, Tirreno Power, Eon, Enel», specifica Luca Barbetti, responsabile del settore elettrico Cgil. «Gli impianti a rischio sono prevalentemente quelli a olio combustibile (Livorno ha già iniziato e Piombino inizierà a breve la messa in stato di conservazione dell’impianto) e anche alcuni impianti a gas. A cui si aggiungono situazioni di gravissima preoccupazione per effetto di provvedimenti giudiziari e o mancate autorizzazioni, che rischiano di portare alla chiusura di siti produttivi come Vado Ligure e Porto Tolle». E, benché parte dei lavoratori degli impianti “di troppo” potranno essere riassorbiti dalle utilities stesse che investiranno, si pensa, nei servizi per l’efficienza energetica e, si spera, nelle rinnovabili, attualmente lo sviluppo di queste tecnologie «non sembra compensare l’impatto occupazionale della crisi del termoelettrico», sottolinea Barbetti. Resta tuttavia positiva la prospettiva europea a lungo termine: Greenpeace ricorda nel suo rapporto Energy [r]evolution – A sustainable Eu 27 energy out look che le rinnovabili hanno tassi occupazionali (considerando costruzione/installazione, gestione e manutenzione degli impianti)

Iberdrola

CEZ

EnBW

PGE

Gli azionisti di rilievo sono il fondo sovrano del Qatar, il gruppo Actividades de Construcción y Servicios, il fondo Usa Blackrock e tre banche. Ha subito puntato sulle rinnovabili, diventando primo produttore eolico globale. Nel 2009, col crollo della sua produzione di energia da gas naturale, ha cambiato approccio, tagliando gli investimenti in energie pulite e sostenendo le lobby contro l’energia solare in Spagna, danneggiando così i suoi stessi impianti.

Conglomerato della Repubblica Ceca di proprietà pubblica al 70%, raggruppa oltre 90 società (capofila Cez Group), 26mila dipendenti. Produce energia elettrica, estrae carbone, e si occupa di telecomunicazioni, informatica, ricerca nucleare, in Europa centrale e sud-orientale e in Turchia. Quotata a Praga e Varsavia, è finita nel mirino dell’Ue per una propensione monopolista. Possiede due centrali nucleari, altre elettriche e a carbone.

Quest’azienda del Baden-Württemberg nel 2013 ha venduto 51,1 miliardi di KWh di elettricità e 67,7 miliardi di KWh di gas naturale, dando lavoro a poco meno di 3.500 persone. Lo scorso anno ha annunciato la chiusura di quattro centrali termoelettriche in Germania: due a carbone, una a gas e una a olio combustibile in cogenerazione.

Al 70% di proprietà pubblica, patisce ambizioni politiche votate soprattutto allo sfruttamento di shale gas e carbone, risorse abbondanti in Polonia. Così il piano per costruire la centrale a carbone Opole II, investimento fallimentare ma insistito dal governo nel 2013, ha prodotto per la compagnia le dimissioni del management (contrario al progetto) e un tonfo azionario. Vende elettricità a 5,2 milioni di clienti da 12,86 GW di potenza installata.

2,5% della capacità installata in Europa

12

2,2% della capacità installata in Europa

1,9% della capacità installata in Europa

1,9% della capacità installata in Europa

valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014


OVERDOSE ENERGETICA DOSSIER

più alti delle tecnologie di generazione elettrica convenzionale, e in Europa potrebbero occupare nel 2030 fino a 1,2 milioni di persone.

OCCUPAZIONE NEL SETTORE ELETTRICO PER TECNOLOGIA NEL 2010 E NEL 2030 FONTE: RAPPORTO GREENPEACE ENERGY [R]EVOLUTION - A SUSTAINABLE EU 27 ENERGY OUTLOOK, 2013

54% 24%

54% 20%

SCENARIO 1 1,1 milioni di posti di lavoro

SCENARIO 2 0,7 milioni di posti di lavoro

76% 7%

9%

RIFIUTI DA BRUCIARE Insomma, mentre Ikea si prepara a proporre il kit del fotovoltaico fai-da-te e il mini-eolico si diffonde nelle campagne tedesche, in Europa per le grandi centrali alimentate da fonti fossili tira brutta aria. Secondo il rapporto Wind in power - 2013 European statistics, elaborato dall’associazione dell’industria dell’eolico in Europa, nel 2013 sono stati dismessi oltre 10 GW di potenza installata alimentata a gas, circa 7,7 GW a carbone e 2,8 GW a olio combustibile. Un andamento che potrebbe acuirsi quando si definiranno (tra dicembre e gennaio ) ed entreranno in vigore (nel 2016) le cosiddette BAT (Best Available Technologies), i criteri europei per classificare le tecnologie in uso secondo parametri di efficienza economica e ambientale. «Si tratta di una sorta di strozzatura che l’Unione europea sta mettendo in campo per chiudere alcuni impianti. Tuttavia ad ogni Stato membro è stato concesso di presentare un Transition National Plan, un piano nazionale di

FUTURO NERO PER IL CARBONE di Corrado Fontana

Contro le lobby del nucleare, l’industria del fotovoltaico chiede flessibilità «Abbiamo bisogno di plasmare il futuro sistema elettrico e smettere di proteggere quello vecchio!», è il commento al quadro generale di oliver Schäfer, presidente della european Photovoltaic Industry Association (ePIA), l’associazione che fa da portavoce al mondo imprenditoriale del fotovoltaico in europa. Che aggiunge una nota dolce: «Dovremmo considerare come una buona notizia il fatto che non siamo in una situazione di capacità insufficiente». e due precisazioni: da un lato la necessità di utilizzare meglio la disponibilità elettrica esistente, sviluppando l’interconnessione tra le reti dei singoli Stati, e dall’altro la consapevolezza che lo scenario potrebbe «evolvere rapidamente nella direzione opposta: un lieve miglioramento della sivalori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014

5% Rinnovabile

17%

17%

Carbone

SCENARIO 3 8% 1,2 milioni di posti di lavoro

9% Gas

Nucleare

transizione nel quale inserire alcuni impianti considerati strategici, per cui si chiede sostanzialmente un periodo transitorio di proroga dell’operatività di quattro anni», spiega Andrea Boraschi. «Non è un affare semplice chiudere una centrale: bisogna affrontare per esempio la questione rifiuti». Se le centrali sono elementi strutturali del ciclo dei rifiuti, perché usate per bruciarli, la chiusura potrebbe provocare delle difficoltà. Ad esempio in Veneto Enel dovrà mettersi d’accordo con gli enti locali per ridimensionare l’impianto a carbone di Fusina. ✱

tuazione economica (con un rialzo della domanda di elettricità, ndr) o l’avvento di un’estate calda mentre si riduce la capacità di generazione nucleare in diversi Paesi, in combinazione con la graduale eliminazione dei 20 GW di nucleare tedesco e la dismissione delle vecchie centrali a carbone, potrebbero peggiorare le carte in tavola». C’è un rischio di crollo finanziario e occupazionale per l’industria delle fonti fossili? Chiunque recentemente ha investito in una centrale elettrica a carbone non ha preso una decisione lungimirante. Dobbiamo invece creare un sistema che soddisfi le esigenze delle tecnologie future, cioè il solare e l’eolico, in combinazione con impianti flessibili a gas. nessuno ha più bisogno di centrali a carbone, poco flessibili e sporche. Le utilities stanno ostacolando la transizione verso le rinnovabili? vi è un tentativo di proteggere il passato. e la recente decisione della Commissione Ue di approvare gli aiuti del regno Unito alla centrale nucleare di Hinkley Point C sembra un buon esempio di ciò. Un’approvazione giunta senza sottoporsi al controllo e alla valutazio-

Scenario 1: 2010, misto fossile/rinnovabili

Scenario 2: 2030, mantenendo l'attuale mix energetico tra fossili e rinnovabili

Scenario 3: 2030, privilegiando le rinnovabili nel mix energetico

ne del caso, è scandalosa e in contrasto con l’obiettivo di una maggiore concorrenza nel settore energetico; e genera ulteriori distorsioni nel settore, ostacolando il mercato interno dell’energia. Pensate alla situazione disastrosa dei progetti nucleari in corso in Francia e in Finlandia, con anni di ritardi e costi di costruzione alle stelle. ePIA accoglie con favore l’intenzione del governo austriaco di adire le vie legali contro la Commissione Ue e attendiamo un pronunciamento della Corte di giustizia. Qual è lo stato attuale di interconnessione tra le reti energetiche nazionali? Piuttosto scarso, vi è una chiara mancanza di coordinamento nell’Ue. mentre il vento non soffia a Helsinki, il sole può brillare abbondantemente a madrid: perché non utilizzare questa opportunità? I picchi estivi di produzione elettrica da solare in Germania già supportano i bisogni della Francia, che è regolarmente vicina al collasso nelle estati calde a causa della mancanza di acqua necessaria a raffreddare i suoi impianti nucleari. Il tema dovrebbe assolutamente costituire una priorità del prossimo vicepresidente della Commissione per la “energy Union”. 13


DOSSIER OVERDOSE ENERGETICA

Usa, il “prezzo” del primato di Matteo Cavallito

Dopo quella del gas Washington centra anche la leadership produttiva del petrolio. La bilancia commerciale sorride. Ma i ribassi del barile sono motivo di preoccupazione

L’

ultima conferma, in ordine di tempo, l’ha offerta Bank of America. Nel corso del 2014, ha riferito a luglio Bloomberg citando le stime dell’istituto, gli Stati Uniti si confermeranno primo produttore mondiale di petrolio davanti ad Arabia Saudita e Russia con una produzione media giornaliera (contando anche i prodotti liquidi separati dal gas naturale) al primo trimestre dell’anno di oltre 11 milioni di barili. L’anno scorso, evidenziano i calcoli della US Energy Information Administration (EIA), l’agenzia nazionale per l’energia, la sola produzione giornaliera di petrolio si è attestata negli Usa ad un valore medio di oltre 7,4 milioni di barili. Quasi il 50% in più

rispetto al 2008, l’anno del picco negativo ( GRAFICO ). Un trend di lungo periodo, insomma.

IL FATTORE SHALE La storia, ovviamente, ruota attorno al comparto shale, il segmento del petrolio e del gas di scisto. Un tesoro energetico da recuperare attraverso operazioni combinate di estrazione verticale, orizzontale e di hydrocracking tramite l’iniezione di acqua o altre sostanze ad altissima pressione. Il sistema era pensato soprattutto per il gas ma negli ultimi anni è stato esteso anche al petrolio trascinando al rialzo l’aumento della produzione. L’impatto ambientale resta un problema ma il potenziale è altissimo.

LA “VALLE DI LACRIME” DELLE UTILITIES di Valentina Neri

Le rinnovabili destabilizzano il modello classico di produzione di energia elettrica Kodak era sinonimo di macchine fotografiche e rullini ma, impreparata al boom degli smartphone, nel 2012 ha dichiarato bancarotta. È il paragone scelto dall’edison electric Institute, che rappresenta le società Usa dell’energia, per illustrare le disruptive challenges che danno il titolo a un rapporto diffuso l’anno scorso. Queste sfide in grado di sconvolgere il settore sono la generazio14

ne distribuita, le rinnovabili e il calo dei prezzi del gas naturale. Le utilities Usa, tradizionalmente solide, non hanno mai avuto difficoltà a rastrellare capitali, salvo in periodi di shock come l’embargo del 1973, lo stop al nucleare degli anni ottanta, il tracollo di enron. oggi il rating scende e le analisi finanziarie non dedicano “neanche una riga” ai rischi monetari dell’avanzata di rinnovabili e generazione distribuita. La priorità delle aziende dunque diventa quella di scongiurare un calo di fatturato, senza incorrere nell’errore di alzare i prezzi, rendendo ancora più convenienti le fonti alternative. Il rapporto propone di trovare il modo di monetizzare l’infrastruttura esistente, fondamentale per

garantire continuità a un sistema che non può basarsi al 100% sulle rinnovabili. Quello europeo è un contesto diverso, spiega il report Locked in the past di Greenpeace , in cui le 10 “big” hanno quote di mercato e dimensioni maggiori rispetto alle loro omologhe statunitensi e sembrano in condizioni migliori. ma, denuncia Greenpeace, sono state “cieche ai benefici” delle rinnovabili, anche quando le riguardavano direttamente. enel Green Power, ad esempio, nel 2012 rappresentava il 15% dei profitti operativi del gruppo; per non parlare di Iberdrola, a capo della campagna di lobbying anti-rinnovabili pur essendo la prima potenza globale nell’eolico. nel frattempo si investiva sempre di più valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014


OVERDOSE ENERGETICA DOSSIER

IL NODO DEI PREZZI Sul fronte petrolifero, dicono ancora le cifre IEA, l’indipendenza resta invece lontana, tanto che nel 2012, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, gli Stati Uniti guidavano ancora la classifica delle importazioni nette con un saldo finale di 442 milioni di tonnellate davanti alla Cina (269 milioni), l’India (185) e il Giappone (179). Ma la crescita della produzione (13,1 milioni di barili giornalieri entro il 2019 secondo l’Agenzia internazionale) potrebbe cambiare la storia. E le conseguenze non si farebbero attendere. Nel 2012, un’analisi di HSBC stimava che la riduzione del 25% delle importazioni avrebbe garantito agli Usa un risparmio di 85 miliardi di dollari, quasi un quinto del deficit complessivo misurato l’anno precedente (466 miliardi). Ma il problema, ovviamente, è legato alla volatilità dei prezzi. Quanti più dollari si pagano per ciascun barile immesso sul mercato, tanto maggiori sono i benefici per i grandi esportatori netti così come per gli

USA - PRODUZIONE DI PETROLIO 1994-2013 (MEDIA GIORNALIERA) FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION (WWW.EIA.GOV), SETTEMBRE 2014. DATI IN MIGLIAIA DI BARILI

[migliaia di barili]

7.500 7.000 6.500 6.000 5.500

EdF RWE E.ON ENEL GDF Suez Vattenfall Iberdrola CEZ EnBW PGE Totale delle 10 maggiori utilities

Produzione di energia nell'UE nel 2012 (TWh) 618,6 227,1 192,1 180,6 167,5 163,4 78,4 68,8 59,1 57,1 1.812,7

% sul totale della produzione elettrica UE 20,0% 7,4% 6,2% 5,9% 5,4% 5,3% 2,5% 2,2% 1,9% 1,9%

nelle fonti fossili: il capex (spese per acquistare macchinari e asset durevoli) passava da 20-25 miliardi di euro ai 50 del 2008-2011. valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014

58,7%

2013

2012

2011

2010

2009

2008

2006

2007

2004

2005

2003

2001

investitori del comparto shale. Nel quale, ovviamente, si affrontano costi di estrazione più elevati rispetto a quelli che caratterizzano il petrolio tradizionale. Domanda: fino a che punto i produttori potranno tollerare, al contrario, l’attuale discesa del prezzo di mercato? La risposta non è nota ma a qualcuno pare di intravedere la soglia critica attorno a quota 60 dollari, un livello di prezzo, rilevava a ottobre Il Sole 24 Ore, che spaventa la Russia (Mosca starebbe già studiando un piano d’emergenza) ma anche «molte società petrolifere americane, soprattutto quelle attive nello shale oil o in altre attività costose come quelle offshore». Un periodo prolungato a quota «60-70 dollari per barile» notava il quotidiano della Confindustria, rappresenterebbe «inoltre una tragedia per il Venezuela, già vicino al default, e per molti Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e dell'Africa, che per sostenere i bilanci statali in molti casi hanno bisogno di quotazioni superiori a 100 dollari». Un rischio globale, insomma. ✱

LA PRODUZIONE DI ENERGIA RINNOVABILE DELLE 10 MAGGIORI UTILITIES EUROPEE FONTE: LOCKED IN THE PAST (GREENPEACE)

2002

1999

2000

1998

1996

1997

4.500

1995

5.000 1994

Due anni fa l’EIA stimava che l’ammontare totale delle riserve Usa di shale gas ammontasse a qualcosa come 24,4 trilioni di metri cubi contro i soli 7,7 del gas tradizionale. Leader globali del comparto dal 2010, gli Stati Uniti, segnala l’International Energy Agency (IEA), hanno raggiunto lo scorso anno una produzione totale di 689 miliardi di metri cubi, circa il 20% del totale mondiale. Un risultato che ha consentito a Washington di sfiorare l’autosufficienza: nel bilancio produzione/import gli Usa hanno chiuso con un saldo negativo di soli 37 miliardi di metri cubi.

Eolico

0,8% 2,1% 2,2% 3,6% 3,8% 2,4% 20,9% 1,4% 0,8% 0,2% 2,7%

Altro

Idroelettrico

1,4%

9,2%

0,6% 1,8% 1,0% 3,1% 2,2% 1,6% 0,9% 1,6% 0,6% 2,6%

6,5% 1,6% 9,0% 14,6% 12,5% 24,5% 12,4% 3,0% 10,8% 0,8%

Totale

7,9% 5,5% 12,2% 21,3% 18,5% 28,5% 34,2% 6,0% 12,2% 3,6%

13,3%

nel 2013 le spese calano e le utilities iniziano a disinvestire, ma gli analisti temono che sia troppo tardi. e che i prossimi

flussi di cassa non basteranno ad avviare un nuovo ciclo di investimenti nelle energie pulite. Inizia l’inversione di tendenza: l’ebITDA della produzione di energia di e.on è sceso a 1 miliardo di euro nel periodo gennaio-settembre 2013 (un anno prima era a 1,7 miliardi) e quello di enel, che dal 2005 al 2010 arrivava a 3 miliardi, nel 2012 era fermo a 1,3. Alcuni investitori, come il fondo norvegese Storebrand, dicono addio al carbone. Quindi il rating scende e arrivano i primi outlook negativi. Una «valle di lacrime» che potrebbe essere «lunga e profonda», ha affermato lo scorso anno il Ceo di rWe Peter Terium, avvertendo: «I nostri tradizionali modelli di business stanno collassando». A pagarlo a più caro prezzo, secondo gli analisti di bloomberg, saranno e.on, rWe, CeZ, PGe e enbW (vedi GRAFICO a pag. 11). 15


DOSSIER OVERDOSE ENERGETICA

Se Bruxelles “dimentica” l’ambiente di Andrea Barolini

La nuova Commissione europea (per la prima volta) non avrà un commissario dedicato all’ambiente. Né una vicepresidenza per lo sviluppo sostenibile

I

l 10 settembre scorso il nuovo presidente della Commissione europea, il conservatore JeanClaude Juncker, ha svelato la distribuzione dei portafogli in seno all’organismo esecutivo comunitario da lui diretto. Sarà zeppo di ex ministri ed ex primi ministri: segno della volontà del lussemburghese di dare al suo mandato una connotazione «fortemente politica», come indicato del resto dallo stesso Juncker nel corso della presentazione della “squadra” a Bruxelles. Le scelte, però, hanno già fatto storcere il naso a molti. Soprattutto per quanto riguarda le questioni ambientali. «È la prima volta in 25 anni che l’ambiente non avrà un commissario dedicato», sottolineava già alla metà di settembre Tony Long, direttore di WWF-Europa. Le responsabilità di un tema così cruciale per l’avvenire del Vecchio Continente (e dell’umanità intera) saranno, infatti, “condivise” tra lo spagnolo Miguel Arias Cañete e il maltese Karmenu Vella. I due saranno rispettivamente ti-

PER L’UE LE IMPRESE POSSONO CONTINUARE A INQUINARE. GRATIS

Numerose imprese europee potranno continuare a inquinare, senza pagare nulla a titolo di compensazione. Alla fine di settembre, il Parlamento europeo ha approvato una decisione della Commissione, che consente a un nutrito gruppo di aziende del vecchio Continente di essere esentate dall’acquisto dei diritti per le emissioni di Co2 (il peraltro controverso emissions Trading System). Tra le “fortunate” che potranno disperdere gratis nell’atmosfera agenti inquinanti ci sono in particolare alcune realtà operanti nei settori dell’acciaio e del cemento. Due comparti che, di certo, non pullulano di esempi virtuosi in tema di ecologia: il che fa 16

tolari dei portafogli per il Clima e l’Energia, e per l’Ambiente, gli Affari marittimi e la Pesca. Nonostante le forti perplessità avanzate dal Parlamento europeo nel corso delle audizioni tenute a cavallo tra settembre e ottobre. E non è tutto: non è stata neppure designata una vice-presidenza che abbia in carico i temi legati allo sviluppo sostenibile.

LA QUESTIONE KATAINEN Nel giro di poche settimane, insomma, il nuovo “governo” europeo è stato travolto dalle critiche, sia da parte di numerose associazioni ambientaliste, sia da un nutrito numero di eurodeputati. A cominciare dal socialdemocratico Martin Schulz, che, insieme all’italiano Giovanni La Via (popolare, presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo) e ai coordinatori dei cinque principali gruppi (PPE, Socialisti&Democratici, Liberali, Sinistra e Verdi), ha indirizzato una lettera a Juncker nella quale chiede apertamente di integra-

sorgere notevoli dubbi sulla bontà del provvedimento (votato a maggioranza). Tanto più che l’esonero è garantito per ben sei anni: fino al 2020! non a caso il gruppo dei verdi, e una parte degli aderenti al PSe, hanno puntato il dito contro la scelta, parlando di mancanza di trasparenza e di utilizzo di dati non realisti. In particolare, l’eurodeputato olandese bas eickhout ha spiegato che il ragionamento, contorto e criticabile, alla base della decisione europea è legato al timore delle cosiddette «fughe di Co2». Che non sono emissioni accidentali di biossido di carbonio, bensì delocalizzazioni della produzione verso Paesi terzi. Secondo i sostenitori del provvedimento, in altre parole, il rischio è che alcune aziende, se obbligate a pagare per l’inquinamento prodotto, possano abban-

donare l’europa. «ma la Commissione – ha spiegato il parlamentare dei Paesi bassi – si è basata sull’ipotesi di un prezzo delle quote di emissione pari a 30 euro. mentre il mercato oggi consente l’acquisto a solamente 5 euro». Un esodo in massa al di fuori dei confini europei, con questi prezzi, sarebbe poco probabile. e in ogni caso perché mai basare le proprie scelte su un dato sei volte superiore a quello reale? «Un altro studio – ha aggiunto eickhout – spiega come anche con un prezzo di 16,5 euro la maggior parte delle aziende accetterebbe di pagare e non andrebbe via. e Il vantaggio sarebbe duplice: gli Stati membri incasserebbero circa 5 miliardi di euro, e molte industrie sarebbero incentivate a limitare le loro emissioni, rinnovando i propri impianti». valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014


OVERDOSE ENERGETICA DOSSIER

re i temi legati all’ecologia nel portafoglio del futuro vice-presidente finlandese della Commissione, Jyrki Katainen. «A lui – ha spiegato l’eurodeputato tedesco – per ora non è chiesto di farsi carico della questione dello sviluppo sostenibile, sebbene sia incaricato di indicare la via su tempi quali il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività». Alla voce di Schulz si è poi aggiunta quella di altri deputati, che, dopo aver constatato come Vella abbia fornito «risposte vaghe e generiche» nel corso della sua audizione, hanno chiesto a loro volta un allargamento del portafoglio di Katainen.

LE PREOCCUPAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE La mossa politica di Schulz è, in qualche modo, “l’eco istituzionale” delle critiche arrivate dalla società civile. Associazioni come WWF, Greenpeace e la francese Les Amis de la Terre hanno puntato il dito in particolare contro Cañete. Lo spagnolo – conservatore, ex ministro dell’Agricoltura dei governi di José Maria Aznar – ha ammesso, infatti, di essere titolare di partecipazioni nei capitali di due imprese petrolifere. «Il neo-commissario dovrà risolvere questo conflitto di interessi se vuole provare di essere all’altezza dell’incarico assegnatogli», ha dichiarato alla stampa internazionale Mahi Sideridou, dirigente di Greenpeace Europe. Il rischio, hanno aggiunto gli ambientalisti, è che la nuova Commissione segua un modello di sviluppo economico non più attuale, che non tiene conto della limitatezza delle risorse naturali. Il gruppo dei Verdi europei ha poi rincarato la dose, esprimendo a chiare lettere il timore che l’accorpamento di Clima ed Energia nelle mani di Cañete possa «nuocere agli impegni assunti dall’Ue di fronte all’emergenza climatica». Sul conto di Vella, il mondo ecologista ricorda il fatto che proprio a lui sarà chiesto di mettere mano alla direttiva “Uccelli e habitat”, considerata un pilastro della politica ambientale dell’Ue, in vista di una non meglio definita “modernizzazione”. Secondo le Ong, non lascia presagire nulla di buono il fatto che il maltese rappresenti un Paese già condannato dalla Corte di giustizia europea proprio per non aver rispettato la stessa direttiva. Ulteriori preoccupazioni sono giunte poi sul fronte delle competenze: Vella, in patria, è stato ministro dei Lavori pubblici, del Turismo e dell’Industria, ma non si è mai occupato di ecologia. Perplessità che il commissario designato non ha fatto altro che aumentare nella sua “presentazione” davanti ai deputati. Oltre ad aver ammesso di non conoscere in modo accurato alcuni temi sui quali sarà valori / ANNO 14 N. 123 / novembre 2014

L’AUSTRIA VUOLE RICORRERE CONTRO «LO SCANDALO» DEL NUCLEARE INGLESE

Il governo austriaco ha dichiarato di volersi opporre davanti alla Corte di Giustizia europea, contro la decisione della Commissione di bruxelles di concedere il proprio via libera alle tariffe agevolate per l’energia prodotta dalla futura centrale nucleare ePr costruita in Inghilterra dalla francese eDF. A rivelarlo è stata l’agenzia AFP, che ha attribuito la notizia a fonti vicine al ministero dell’Ambiente di vienna. A fine settembre – quando ancora il via libera non era ufficiale – un portavoce dell’allora commissario europeo alla Concorrenza, Joaquin Almunia, aveva spiegato che quest’ultimo si stava orientando verso una «decisione positiva» rispetto alla questione. Previsione azzeccata: pochi giorni dopo l’Unione europea ha concesso alla nuova centrale prezzi di acquisto dell’energia elettrica decisamente superiori rispetto alla media attuale delle tariffe inglesi. Un sostegno che, normalmente, viene riservato alle energie rinnovabili. L’aiuto, inoltre, è stato accordato per un periodo di tempo lunghissimo: ben 35 anni. «Si tratta di uno scandalo che deve essere combattuto attraverso ogni strada legale», ha dichiarato il ministro austriaco Andrä rupprechter. L’Austria, Paese fortemente anti-nuclearista, teme infatti che la decisione di bruxelles possa rilanciare la filiera dell’atomo in altri Paesi d’europa. Togliendo magari risorse proprio alle fonti alternative.

chiamato a operare (come ad esempio quello relativo ai test sugli animali per i prodotti domestici), si è mostrato titubante anche su questioni di stretta attualità, come quella dei neonicotinoidi (pesticidi sospettati di causare la morte delle api). Il maltese, infine, ha lasciato una porta aperta sulla questione dello shale gas: «Se qualcuno conduce studi sul gas da scisto, sarà interessante valutarne i risultati, prima di fare scelte legislative». Affermazione che non è affatto piaciuta né ai Verdi, né a numerosi altri parlamentari. Se Vella e Cañete hanno comunque, faticosamente, superato il vaglio del Parlamento, una tegola sulla neonata Commissione è invece arrivata dall’audizione della slovena Alenka Bratušek, designata vice-presidente per l’Energia dell’Unione. Gli eurodeputati, in questo caso, l’hanno giudicata inidonea, senza appello, costringendola di fatto a rinunciare ufficialmente all’incarico. Mentre questo numero di Valori va in stampa, non è chiaro ancora quali siano le contromosse che Juncker sceglierà. Di certo, però, sul fronte dell’impegno ecologista, quello della sua Commissione non è sembrato un inizio particolarmente incoraggiante. ✱ 17



FINANZA ETICA

IL PEER-TO-PEER SCOPRE I DERIVATI

U

di Matteo Cavallito

L’accordo CircleBack/Jefferies apre la strada alla cartolarizzazione dei prestiti peer-to-peer. Un’operazione che evoca il tragico precedente dei mutui Usa. Ma questa volta, assicurano gli operatori, è tutta un’altra storia valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

n accordo da mezzo miliardo di dollari. È quello annunciato alla fine di settembre dalla società Usa di peer-to-peer (o marketplace lender come preferisce definirsi) CircleBack e l’istituto di credito Jefferies. Sul tavolo un’operazione nuova e, inevitabilmente, destinata a far discutere: la cartolarizzazione di 500 milioni di dollari di prestiti tra privati, i cosiddetti P2P loans (vedi GLOSSARIO ), gestiti dalla stessa CircleBack. Lo spettro, a prima vista, è nella strategia stessa, quella securitization (vedi GLOSSARIO ) alla base del tracollo del mercato immobiliare Usa e oggi nuovamente in crescita con oltre 600 miliardi di dollari di volume totale nel mondo, quasi il 50% in più rispetto al minimo storico post crisi toccato nel 2010 (vedi GRAFICO 1 ). Interpellata da Valori, Jefferies ha risposto “no comment”. CircleBack, al contrario, ha accettato di spiegarci il senso dell’operazione, sottolineando come il mercato delle Asset-backed securities, i titoli derivati creati attraverso la cartolarizzazione, «comprenda un’ampia 19


finanza etica prestiti tra persone GRAFICO 1- VOLUME GLOBALE DELLA CARTOLARIZZAZIONE 2002-13 FONTE: ASSET-BACKED ALERT, 2014, WWW.ABALERT.COM. DATI IN DOLLARI USA

2006 2.645 mld

3.000.000

[milioni di dollari]

2.500.000 2.000.000 1.500.000

2013 605 mld

1.000.000

2002 500.000 907 mld 0.000

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2010 410 mld 2004

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Il sito web www.smartika.it 2010

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GRAFICO 2 - PRESTITI EROGATI DALLE PRIME 6 SOCIETÀ DEL COMPARTO P2P FONTE: FONTE: FITCH, PEER-TO-PEER LENDING GLOBAL INDUSTRY OVERVIEW, 14 AGOSTO 2014. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI

$ 4,0

[miliardi di dollari]

$ 3,5

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$ 3,0

CRESCITA ANNUALE MEDIA +141%

$ 2,5 $ 2,0 $ 1,5

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$ 0,5 $ 0,3 $ 0,1 2009

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gamma di potenziali investitori, come compagnie assicurative, gestori di fondi pensione, fondazioni e altri operatori che, secondo il proprio mandato, non possono acquistare direttamente i prestiti ma possono comprare titoli garantiti dai medesimi». La speranza è che la corsa all’investimento possa far crescere

FINANZA ETICA UN PENSIERO DIVERSO

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Richiedi lo spazio a sviluppo@valori.it

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che investivano a loro volta in altri veicoli. Titoli tossici che, paradossalmente, ricevevano giudizi positivi dalle agenzie di rating per il fatto stesso di essere ampiamente diversificati. I prestiti alle persone, al contrario, sono sottostanti trasparenti e molto più sicuri, caratterizzati da rischi facilmente misurabili». Quelli di CircleBack, ci spiegano dalla piattaforma Usa, sarebbero esclusivamente «clienti prime (a basso rischio, ndr) che rispettano severi standard creditizi». Ovvero debitori con una probabilità di default molto bassa.

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a tal punto la domanda da consentire un abbassamento dei tassi di interesse applicati sui prestiti.

TITOLI TOSSICI? NO GRAZIE Per Smartika, piattaforma italiana di P2P attiva da due anni e mezzo, una simile operazione di cartolarizzazione non sarebbe al momento possibile. «Dovremmo prima acquistare i finanziamenti dai prestatori e in seguito rivenderli a una banca, cosa che non possiamo fare dal momento che non siamo autorizzati a operare come una finanziaria», spiega a Valori Maurizio Sella, il suo fondatore e attuale Ceo, secondo il quale, in ogni caso, il temuto paragone prestiti cartolarizzati/mortgage-backed securities (i famigerati titoli garantiti dai mutui) appare comunque fuori luogo. «Il problema è il sottostante», spiega. «Nel caso dei mutui immobiliari statunitensi si utilizzavano prodotti costituiti da veicoli finanziari

UN MERCATO “SICURO”… L’idea di fondo è condivisa anche da Michele Novelli, amministratore delegato di Prestiamoci, piattaforma di social lending lanciata nel 2010 e ad oggi unica in Italia autorizzata a operare come finanziaria. «Quello del P2P è un mercato estremamente trasparente», spiega a Valori. «Il capitale viene impiegato una volta sola senza ricorso alla leva e a contare, in definitiva, è solo il sottostante, non la strutturazione del prodotto». Un sottostante «poco rischioso e diversificato», nota ancora l’Ad di Prestiamoci che troverebbe ulteriore sicurezza nella natura stessa della tipica iniziativa di rete. «È il principio della sharing economy, il sistema su cui si basano portali come Car2Go, Airbnb, o eBay: come dire, comportati bene o sarai espulso dal sistema». La questione, insomma, appare sempre più chiara. «La cartolarizzazione – nota ancora Novelli – è solo uno strumento tecnico, il concetto chiave in realtà è un altro: l’apertura del P2P lending agli investitori istituzionali». valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


prestiti tra persone finanza etica Alcuni frame del video “Scopri in 3 minuti come funziona” di Smartika. www.smartika.it/Web/ fai-un-prestito_comefunziona.html

Un evento radicale, a conti fatti, «che porta con sé aspetti positivi come la crescita degli impieghi e la semplificazione della gestione delle operazioni dal lato dei prestatori, ma anche negativi, come lo snaturamento del modello in sé che si basa in origine sui prestiti tra privati». Non stupisce quindi che il dibattito sia aperto e che alle scelte più nette si affianchino talvolta i ripensamenti. Oggi, ricorda ancora Novelli, «la piattaforma Usa Funding Circle raccoglie la quasi totalità degli impieghi dagli investitori istituzionali, il suo concorrente Lending Club, invece, è tornato in parte sui suoi passi e lascia ai privati oltre la metà della quota».

… E PIENO DI OPPORTUNITÀ Il mercato italiano, ad oggi, appare decisamente sottodimensionato in termini di volumi («microscopici rispetto a quelli del credito al consumo», ricorda Maurizio Sella) e di investimenti («in Italia si fanno abitualmente i conti con importi molto bassi, nel caso di iniziative come la nostra meno di un decimo della cifra raccolta nei mercati di Francia e Germania», spiega Novelli). Ma le opportunità, complice la contrazione del credito bancario, almeno in teoria, non mancherebbero.

Il sito web www.prestiamoci.it valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

Decisamente più dinamico, per il momento, il mercato Usa dove «l’interesse degli investitori istituzionali – sottolineano da CircleBack – è cresciuto spaventosamente negli ultimi anni». La chiave, a quanto pare, sarebbe data proprio dagli alti livelli di indebitamento privato (11,65 trilioni di dollari al 31 marzo 2014 secondo l’ultima rilevazione della Fed) che spingerebbero i clienti a cercare proprio nel P2P i nuovi finanziamenti necessari a sostenere i debiti pregressi. Il 60% dei prestiti erogati da Prosper, ricorda un’analisi di Fitch, vengono utilizzati dalla clientela proprio per questo scopo. Nel caso di Lending Club si arriva addirittura all’83%. Nel 2013, secondo la banca Uk Liberum, i prestiti P2P accordati negli Usa sono stati pari a 2,4 miliardi di dollari – contro i 3,4 generati dalle prime sei società del comparto nel Pianeta, quasi il triplo del totale 2012 (vedi GRAFICO 2 ) – circa lo 0,02% dell’ammontare complessivo dei debiti pendenti sui consumatori americani. Una modesta penetrazione nel comparto del credito pari ad appena

l’1% del mercato, rileva Fitch, garantirebbe una crescita del giro d’affari pari a 114 miliardi di dollari. ✱ Le risposte integrali di CircleBack alle domande di Valori sono pubblicate sul nostro sito www.valori.it

 GLOSSARIO PEER-TO-PEER (P2P) LENDING È il mercato dei prestiti tra privati che si realizzano su piattaforme ad hoc bypassando i classici circuiti bancari. L’operatore della piattaforma valuta richieste e offerte mettendo in contatto prestatore e richiedente e svolgendo eventualmente altri servizi (gestione pagamenti, recupero crediti ecc.). Prestiamoci, unico caso in Italia, partecipa anche, sebbene in minima parte (“generalmente attorno all’1% dell’importo” precisa il suo Ceo) al finanziamento. CARTOLARIZZAZIONE In inglese securitization, è il processo di trasformazione di un credito in liquidità attraverso l’emissione di un titolo garantito dal credito stesso (che diventa il suo sottostante, il cosiddetto “underlying asset”). Un prodotto cartolarizzato (che è un titolo derivato a tutti gli effetti) viene generalmente definito Asset-backed security o, nel caso dei mutui immobiliari, Mortgage-backed security.

USA, DODD-FRANK: CAMBIANO LE REGOLE DELLA CARTOLARIZZAZIONE

Sì alla cartolarizzazione dei prestiti, ma senza un pieno trasferimento dei rischi agli acquirenti dei titoli strutturati. È il principio sancito dalla nuova regola in materia approvata a metà ottobre nell’ambito della legge di riforma del sistema finanziario statunitense, il celebre Dodd-Frank act. La norma ratificata da sei agenzie – tra cui la Federal Housing Finance Agency, la Federal Deposit Insurance Corporation e l’Office of the Comptroller of the Currency – impone alle banche di conservare nei propri bilanci un “rischio” pari al 5% dei prestiti sottoposti a securitization. Il riferimento corre ai celebri prodotti strutturati noti come asset-backed securities o collateralized debt obligations, titoli derivati costruiti sui crediti associati ai prestiti concessi dalle banche. Con l’entrata in vigore della nuova norma, gli istituti saranno obbligati a mantenere una partecipazione nei prestiti cartolarizzati. Un vincolo che consentirà di allineare gli interessi delle banche con quelli degli acquirenti dei titoli scongiurando, si spera, comportamenti rischiosi come quelli che aprirono la strada al collasso del mercato immobiliare nel 2007. [M.Cav.] 21


finanza etica valute complementari

Scambiare beni e servizi senza moneta di Paola Baiocchi

Dalla Svizzera alla Sardegna, si diffondono circuiti di imprese, professionisti e privati che fanno circolare la ricchezza prodotta anche senza denaro

S  PER SAPERNE DI + Banca Wir www.wir.ch/it Banca Wir, servizio di Giorgio Simonetti per Report www.youtube.com/watch?v=Yk WdvSPd5o8

i sa che gli svizzeri in campo bancario hanno un primato mondiale. Se ne intendono talmente da aver inventato una banca in cui non circola il denaro, ma solo il credito: nel 1934, mentre l’onda lunga della crisi di Wall Street si riversava sull’economia europea, sedici imprenditori di Zurigo hanno creato la Banca Wir, strumento per aiutare le piccole e medie imprese a ovviare alla carenza di contante. Wir in tedesco vuol dire “Noi”, a richiamare le idee forti di questo circuito e di altri analoghi: la territorialità e la fiducia

all’interno di una rete. Oggi questa società cooperativa elvetica con sede a Basilea, sei succursali e due agenzie nella Confederazione, ha 60mila “partecipanti” (50mila Pmi e oltre 10mila conti di dipendenti delle imprese partecipanti). In poco meno di un secolo hanno costruito un sistema in cui i crediti Wir sono equivalenti al franco svizzero, ma possono essere convertiti solo in acquisti di beni e servizi all’interno del circuito. I Wir possono essere spesi per rifornire un ristorante di vino o di sedie, acquistare un’automobile o ricompensare un pro-

CREVIT: BUONI VIRTUALI E DEBITI REALI di Paola Baiocchi

Una moneta spacciata per complementare ma che lascia molti dubbi Dallo scorso luglio sono apparse sui principali quotidiani pubblicità con frasi del tipo: «Crevit, la moneta complementare, un nuovo credito per la tua impresa. Apri un conto, è facile e gratuito». La campagna è continuata martellante con l’acquisto di spazi web e cartelloni pubblicitari nelle maggiori città, nei punti più visibili e più cari: «Smobilizza l’invenduto, accettando pagamenti in moneta complementare Crevit e li potrai convertire in nuovi assortimenti; incrementa il fatturato, migliaia di utenti attendono di spendere Crevit presso la tua azienda; realizza i tuoi credi22

ti insoluti, proponi ai clienti insolventi di aprire un conto Crevit e di richiedere un fido pari all’importo che ti devono». Tutte proposte molto allettanti per imprenditori e commercianti alle prese con il credit crunch e con una minore capacità di acquisto. Ma qualche dubbio comincia a circolare in rete e tra le associazioni dei consumatori: a differenza dei circuiti di credito complementare che abbiamo visto, qui l’approccio è molto commerciale e molto poco sociale e territoriale: Crevit Italia srl ha sede a Milano, ma è una controllata di Crevit International Holdings Ltd, basata a Hong Kong. L’investimento dichiarato per l’Italia è stato di un milione di euro. Crevit poi, fa notare l’avvocato Patrizia Polliotto, presidente del Comitato regionale piemontese dell’Unione nazionale consumatori, si presenta come “la moneta com-

plementare più pubblicizzata d’Italia”, ma per stessa ammissione del suo amministratore delegato, Marco Melega, «Crevit Italia non genera moneta complementare». Pensato all’inizio per le imprese e poi aperto anche ai privati, nel circuito un Crevit è uguale a un euro. Il sistema è basato su buoni spesa virtuali emessi e accettati da ogni utente in base alla stipula di una convenzione. La Crevit srl guadagna delle commissioni, che sono il 5% dell’importo di ogni fido che gli iscritti richiedono e il 2% di ogni accredito ricevuto: per ogni acquisto fatto si genera quindi un debito, che deve essere rimborsato entro due anni, in diversi modi: l’utente può vendere le sue competenze professionali o portare altri utenti sul sito. Oppure può ripagare il debito nel modo meno complementare possibile: in euro. valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


valute complementari finanza etica

fessionista per il suo lavoro. All’interno del sistema è possibile acquistare una casa pagando fino al 30% in Wir e chiedere un prestito ipotecario a tasso fisso dell’1%, in cui gli interessi vengono rimborsati in franchi svizzeri e l’ammortamento in Wir.

C’ERA UNA VOLTA IL QUINCUNX Da qualche tempo questa cosa strana chiamata credito complementare sta cominciando a diffondersi anche in Italia, in aree circoscritte. Il circuito più conosciuto – un vero caso di studio – è il Sardex, nato nel 2009 in Sardegna (vedi BOX ). Un altro è il Quinc, rete economica di scambio promossa dalla Camera di commercio di Rimini, che ha appena terminato un periodo di sperimentazione di sei mesi in cui è stata testata la piattaforma con 70 imprese e ora ha iniziato la fase delle transazioni. Ci spiega qualcosa sul Quinc Enzo Mataloni, responsabile di Serint Group Italia, società di consulenze sulla Responsabilità sociale d’impresa (Rsi) e sulla sostenibilità, uno dei partner operativi, con Sargo, del progetto: «Quinc nasce all’interno di PercoRSI, un progetto della Camera di commercio di Rimini che coinvolge imprese, enti e altri soggetti del territorio. Durante un convegno sulla Responsabilità sociale d'impresa, un imprenditore riminese ha affermato “Io ci credo, ma poi i miei problemi restano e, anzi, ad essere etico ho uno svantaggio”. Ci ha fatto riflettere: Perché non rendere la Rsi uno strumento concreto, mettendo a punto un progetto economico-sociale molto operativo che possa favorire lo sviluppo territoriale in senso responsabile?». Da lì è partito un lavoro certosino di tessitura di relazioni e contatti con soggetti molto diversi: l’Associazione di promozione sociale “Figli del mondo”; Sargo, una cooperativa toscana esperta in transazioni non monetarie; la Camera di commercio di Rimini; le imprese; Legacoop Romagna e le associazioni di categoria. Dopo più di tre anni ha visto la luce il Quinc, abbreviazione di Quincunx, antica moneta di bronzo che non faceva parte del sistema monetario standard romano, ritrovata in scavi archeologici (così dice il sito).

LA COMPENSAZIONE MULTILATERALE Chi può far parte della rete? «Imprese, professionisti e privati, con modalità diverse», risponde Paolo Tintori, amministratore della cooperativa che ha costruito la piattaforma on line ed ex segretario nazionale dello Scec, la più nota moneta complementare italiana. «Si tratta di compravendite in scambio compensativo crediti/debiti, in cui le imprese effettuano una compensazione creditizia e i privati (anche associazioni) attuano una compensazione vovalori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

IL CIRCUITO DI CREDITO SARDO

Tra le prime start up che si sono avvalse della banda larga in Sardegna, c’è Sardex.net il circuito di credito commerciale creato nel 2009 da tre laureati (precari), all’epoca meno che trentenni, che hanno investito 16mila euro e localizzato la sede sociale a Serramanna, a 40 minuti da Cagliari, nel Medio Campidano. Come il Wir anche il Sardex è un mercato complementare dove vengono transate operazioni di credito tra associati, professionisti e aziende: nel 2010 contava cento iscritti, saliti quattro anni più tardi a quasi 2.500, con presenze importanti come Tiscali. Dal 2012 il circuito si è allargato ai dipendenti delle imprese, che possono chiedere al proprio datore di lavoro l’erogazione in crediti Sardex di bonus, benefit e premi, così come di anticipazioni per spese improvvise. Il programma B2e (Business to employee), accompagnato dall’iscrizione di fornitori di servizi e negozi al dettaglio, ha fatto registrare un incremento notevole di fatturato, arrivato a 1,2 milioni di euro, e un picco nelle transazioni: le operazioni da 4.556 sono diventate 24.991, registrando un +448% per 110 milioni di crediti Sardex transati. Attualmente i dipendenti iscritti alla rete sarda di credito complementare sono circa mille, con una spesa media mensile di oltre 250 Sardex. Le aziende che vogliono entrare nel circuito devono iscriversi, attivando un conto corrente e versando una quota annuale in relazione al proprio fatturato: i piccoli pagano un centinaio di euro, le grandi fino a tremila. Un euro è uguale a un Sardex e gli imprenditori possono anche andare in rosso, la piattaforma del Sardex gestisce scoperti e attivi. Da poco è disponibile anche una app per i pagamenti da dispositivi mobili. La crisi morde sempre molto forte in Sardegna e il Sardex non ha certo la pretesa di rappresentare la soluzione e nemmeno ambisce a sostituire il sistema bancario, ma rappresenta una leva che aiuta le imprese ad accrescere il proprio giro d’affari, stimolando allo stesso tempo la coesione sociale. E anche i 15 dipendenti della start up sarda, assunti a tempo indeterminato con part time e tempo pieno, sono un bel successo. [Pa. Bai.] www.sardex.net

lontaria attraverso buoni circolari non soggetti a Iva, che danno diritto a una riduzione di prezzo da spendere nelle aziende del circuito o a scambi al 100% in Quinc». La rete per funzionare deve offrire molte possibilità di scambio tra soggetti del territorio. Al momento dell’iscrizione ogni azienda viene valutata con un’istruttoria non convenzionale, sul modello del microcredito, che le assegna crediti in base alla sua capacità di scambio. Le imprese pagano un costo annuale (di cui il 20% in Quinc) calcolato in proporzione sul fatturato, e una percentuale del 4% sulle transazioni (di cui l’1% va in un fondo volontario per la Rsi). Sta crescendo l’interesse degli Enti pubblici verso questi circuiti. «Per fare credito in modo alternativo al sistema bancario – spiega Valentino De Santi, attivista delle valute complementari – serve un accordo con l’Ente pubblico, altrimenti si rifà una “similbanca”. La Sicilia ha allo studio una legge per attivare una camera di compensazione appoggiata alla finanziaria regionale. Eun consorzio di Comuni, con Cantù capofila, sta mettendo a punto un progetto (chiedono un finanziamento alla Fondazione Cariplo) per cerare strumenti finanziari che pilotino risorse nel welfare di comunità». ✱

Valori ha dedicato al tema delle monete complementari due copertine: a giugno 2013 e a dicembre 2006.

 I CIRCUITI DI CREDITO COMPLEMENTARE IN ITALIA • In Piemonte il network commerciale Visiotrade.com • In Emilia Romagna Rete Quinc: www.retequinc.it/rete • Nel Lazio Tibex.net • In Sardegna Sardex.net 23


finanza etica tassare la speculazione

Germania, dalla TTF quasi 18 miliardi di euro di Andrea Barolini

Secondo l’istituto Copenaghen Economics la Tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe portare nelle casse dello Stato tedesco tra 17,6 e 28,2 miliardi di euro all’anno

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a Tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe non soltanto essere utile per la lotta contro la speculazione, ma anche garantire risorse enormi alle casse pubbliche dei Paesi che decideranno di applicarla. Ben più alte rispetto alle stime rese note negli ultimi anni dai tecnici dell’Unione europea. A dimostrarlo è uno studio dell’istituto Copenaghen Economics, che si è concentrato sui benefici che l’imposta produrrebbe in Germania. Ebbene, secondo i calcoli degli esperti danesi, la prima economia del Vecchio Continente potrebbe ricavare dall’introduzione della TTF – prevista ad oggi per il 2016 – una cifra minima di 17,6 miliardi di euro all’anno. Ogni anno. Un flusso di denaro enorme. L’analisi non è stata allargata agli altri Stati che fanno parte della cooperazione rafforzata avviata da 11 Paesi per aggirare i veti degli scettici. Ma è facile immaginare a quali cifre si potrebbe arrivare se nel totale fossero inclusi gli altri dieci partner di Berlino nell’iniziativa, ovvero Francia, Italia, Belgio, Austria, Spagna, Estonia, Grecia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Il rapporto del Copenaghen Economics era stato commissionato dal governo tedesco, che voleva ottenere una previsione sugli incassi potenziali garantiti dalla TTF. Il risultato non può che aver fatto sorridere la Cancelleria federale, anche perché quella indicata è appunto una cifra minima: modificando la base imponibile, i risultati

oscillerebbero fino a raggiungere addirittura i 28,2 miliardi di euro. L’equivalente di una (corposa) manovra finanziaria.

MEGLIO DEL PREVISTO La stima dell’istituto danese è particolarmente interessante perché si basa sulle indicazioni fornite dalla stessa Commissione europea quando inviò ai Paesi membri interessati un’ipotesi di tassazione pari allo 0,1% per azioni e obbligazioni, e allo 0,01% sui prodotti derivati. Cifra, quest’ultima, ben più bassa rispetto a quella suggerita dalla campagna internazionale che si batte per l’introduzione dell’imposta, ovvero lo 0,05%. Va detto però che, sempre secondo lo studio, a generare la maggior parte del gettito sarebbe proprio la tassazione sulle compravendite di titoli azionari, a cui è stato attribuito un flusso di introiti fiscali compreso tra 13,5 miliardi di euro (nell’ipotesi più conservativa) e 22,2 miliardi. Si tratta dunque di capitali ben più alti rispetto a quelli indicati dalla Commissione di Bruxelles, che aveva parlato di 30-35 miliardi di euro per l’insieme degli undici Paesi promotori della cooperazione rafforzata. E infinitamente maggiori rispetto alle primissime stime del ministero delle Finanze di Berlino, che si era fermato a 2 miliardi di euro. Ma c’è di più: il Copenaghen Economics ha anche sbriciolato le argomentazioni di chi teme un esodo in massa di trader, transazioni e capitali, verso piazze finanziarie meno “esose” dal punto di vista fiscale, il che avrebbe un notevole impatto a livello economico per i Paesi che avranno “osato” imporre il pagamento della tassa. Ebbene, per quanto riguarda la Germania la diminuzione del Pil, nella peggiore delle ipotesi, non sarebbe superiore allo 0,09%. Il che equivale a 2 miliardi di euro. La TTF, insomma, sarebbe estremamente utile per le casse pubbliche, e le “controindicazioni” sarebbero sostanzialmente irrilevanti: via libera ad accelerare, perciò. Se ci sarà la volontà politica. ✱ valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


banchieri d’altri tempi finanza etica

«I tassi negativi uccidono le banche tradizionali» M

etzler, un nome che nel sistema bancario tedesco si sente da quasi 350 anni. Una piccola banca privata a conduzione familiare (con un bilancio da 4,5 miliardi di euro), creata nel 1674 dal commerciante di tessuti Benjamin Metzler e oggi ancora nelle mani del suo discendente Friedrich von Metzler: 71 anni, 1,1 miliardi di euro di patrimonio e 105esimo posto tra i più ricchi di Germania. Un banchiere di investimenti vecchia maniera, che non ha ceduto alla tentazione di obbligazioni strutturate e derivati esotici e continua a navigare in acque sicure nonostante la crisi, con un approccio purista agli investimenti: azioni, obbligazioni, liquidità e nient'altro. «Chi vuole diventare ricco in fretta è meglio che non venga da noi», ha dichiarato uno dei membri del comitato esecutivo. A Francoforte, Valori ha incontrato Michael Klaus, 53 anni, responsabile mercati finanziari di Bankhaus Metzler, entrato nel comitato esecutivo nel 2012. Per parlare di Bce, austerity e del futuro dell'Europa. Cosa ne pensa delle misure messe in atto dalla Bce? Si tratta di misure propedeutiche. Hanno solo lo scopo di preparare il Quantitative Easing (QE) che partirà nei prossimi mesi. Comunque ogni misura ha un significato a sé stante.

tualmente in circolazione avrebbero un valore totale di 120 miliardi di euro. È molto poco se si pensa che nei tempi d’oro del QE la Federal Reserve americana immetteva nel mercato 85 miliardi di dollari di liquidità al mese. La Bce ha poi detto che comprerà solo tranche di Abs “senior”, con un rating elevato. E proprio questo non ha senso. Perché? Se vogliamo veramente liberare le banche da un peso dovremmo pensare agli Abs con rating più bassi: ma questo sarebbe un problema, richiederebbe garanzie che gli Stati, almeno finora, non sembrano disposti a dare. In ogni caso mi sembra che tutta la questione Abs sia viziata all’origine da un problema: la Bce si trova infatti in conflitto di interessi molto grave perché non può essere il supervisore del sistema bancario europeo e nel frattempo comprare gli Abs per sgravare le banche. Credo che un’operazione del genere dovrebbe essere fatta da banche di sviluppo come la Bei, non da una banca centrale!

Partiamo dal TLTRO... Il TLTRO (Targeted Longer - Term Refinancing Operations) finora è stato attivato dalle banche per 83 miliardi di euro, al netto dei prestiti LTRO precedenti restituiti siamo a 50 miliardi di euro. Non è molto. Diciamo che l’asta di settembre non è stata propriamente un successo. Vediamo cosa succederà con l’asta di dicembre, ma non sono molto ottimista.

E poi ci sono i tassi negativi... I tassi negativi sono il vero problema. Se le banche depositano denaro presso la Bce ottengono ora un tasso negativo. Naturalmente questo tasso si ripercuote poi sul mercato interbancario overnight (EONIA, Euro OverNight Index Average) e sugli interessi che vengono pagati sui depositi dei risparmiatori. È un passaggio non immediato, ma le pressioni al ribasso dei tassi nel mercato interbancario sono già presenti. È un processo lento ma continuo. Se noi prestiamo soldi sull’interbancario già oggi “guadagniamo” tra il -0,05% e il -0,1%. L’EONIA stamattina (1 ottobre) era a -0,022%.

E gli Abs? (Asset Backed Securities) Il Financial Times ha stimato che gli Abs che riguardano crediti alle piccole e medie imprese at-

Che conseguenze possono avere i tassi negativi? Hanno almeno tre gravi conseguenze, in particolare in Germania: danneggiano i risparmiatori

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

di Mauro Meggiolaro

Dagli Abs al Quantitative Easing, dalla politica della Bce ai tassi negativi per le banche. Un viaggio nei valori e nella visione della più antica banca di Francoforte: Metzler

MICHAEL KLAUS

responsabile mercati finanziari di Bankhaus Metzler 25


finanza etica banchieri d’altri tempi

che ora dai depositi non guadagnano in pratica nulla; creano grossi problemi per quasi tutti gli asset manager che devono investire grandi volumi di liquidità in titoli a tasso fisso (e basso rischio, ndr), come le assicurazioni e i fondi pensione; danneggiano seriamente il modello di business delle Sparkassen (casse di risparmio) e delle Volksbanken (banche cooperative) che sono una delle colonne portanti del sistema bancario tedesco. Queste banche vivono quasi esclusivamente del margine di interesse. Che ora è sceso... Il margine è stato mediamente sopra il 2% negli ultimi anni. Ora siamo all’1,41% e tende a scendere ancora. Le banche cooperative e le casse di risparmio sono uscite a testa alta dalla crisi, ma ora rischiano di essere in difficoltà a causa delle misure che si applicano per combattere la crisi. È assurdo. E non possiamo pensare che da un giorno all’altro le banche cooperative si trasformino in banche d’investimento. Cosa ne pensa del QE?... Di tutte le iniziative che può mettere in campo la Bce, comprese quelle che ho già citato, mi sembra alla fine la più appropriata. Non tanto per la sua efficacia, ma perché è associata a (eventuali) danni collaterali più bassi. Quindi il QE non è una misura adeguata? Diciamo che la Bce non ha molta scelta. Draghi deve rispondere alle continue pressioni di Francia, Italia e altri Paesi. Sta facendo il supplente dei politici, che non agiscono. Quindi, se cedere alle pressioni della politica è inevitabile, si vada avanti con il QE che almeno può essere controllato nei suoi effetti monetari: la Bce può comprare sul mercato i titoli con il rating migliore e, se necessa-

 GLOSSARIO QUANTITATIVE EASING O QE Il quantitative easing (“alleggerimento quantitativo”) è una politica messa in atto dalle Banche Centrali per creare moneta, prevalentemente mediante l’acquisto di titoli di Stato. È un modo per fornire liquidità al sistema. Misure di QE sono state finora applicate dalla Fed americana, dalla Banca d’Inghilterra, dalla Banca Centrale giapponese e dalla Banca Centrale cinese. La Bce non ha ancora introdotto il QE, in particolare per l’opposizione della Germania. 26

TLTRO (TARGETED LONGER - TERM REFINANCING OPERATIONS) Si tratta di otto operazioni mirate di rifinanziamento che la Bce ha avviato a partire dal 18 settembre 2014 e fino al marzo del 2016 (con cadenza trimestrale). La Bce presta denaro a lungo termine alle banche (inizialmente a 4 anni) a un tasso molto basso (0,15%) vincolando i prestiti al finanziamento, da parte delle banche, di famiglie e imprese non finanziarie. Le prime due aste delle operazioni TLTRO hanno un tetto massimo totale di 400 miliardi di euro. A settembre sono stati collocati appena 82 miliardi. Le banche hanno preferito

rio, può sempre decidere di sterilizzare in tutto o in parte i suoi acquisti. Cosa possiamo fare per uscire dalla crisi? La politica monetaria può sostenere ma non sostituire solide politiche fiscali, economiche e del mercato del lavoro. Dovremmo continuare a esercitare pressione sulla politica perché si compiano riforme strutturali, soprattutto del mercato del lavoro nei Paesi del sud Europa, che sono rimasti indietro per quanto riguarda la competitività. Una vera soluzione alla crisi si potrà però trovare solo con un'unione politica europea, sulla quale sono però pessimista. Perché è pessimista? Sfortunatamente oggi si sta facendo molto poco per arrivare a un’unione politica. Al contrario, lo stesso presidente francese Hollande nella sua ultima visita a Berlino ha dichiarato che quello che si fa in Francia lo decideranno i francesi. Il trasferimento dei diritti sovrani nazionali all’Europa non sembra essere nelle agende politiche dei Paesi dell’Euro e questo è veramente preoccupante. Come se non bastasse, in Europa sono sorti movimenti populisti come l’AfD in Germania ma anche il Front National in Francia e Beppe Grillo in Italia. Che spesso vogliono tornare alle valute nazionali... Tornare alle valute nazionali o creare due aree euro diverse (“euro forte” ed “euro debole”) per me è solo una possibilità teorica. Politicamente sarebbe una catastrofe per tutta l’idea di un’Europa unita. Un “euro forte” nel nord Europa si rivaluterebbe considerevolmente mentre un “euro debole” si indebolirebbe sempre di più. Tutti vorrebbero mettere i loro soldi nell’euro forte: ci sarebbe una fuga verso la qualità. Non voglio nemmeno pensare a uno scenario del genere. ✱

rimanere prudenti in attesa dei risultati dei test della Bce sui bilanci bancari (asset quality review o AQR), che saranno noti a fine ottobre. ABS (ASSET BACKED SECURITIES) Per una banca erogare un credito significa aspettare di ricevere una certa somma di denaro nel futuro. Con una cartolarizzazione la banca può rivendere il diritto a riscuotere tali somme per incassare subito una certa cifra e liberarsi dal rischio di credito. Per farlo si costruisce un’obbligazione – chiamata Abs – che ha come garanzia il prestito erogato. Le contrattazioni sul mercato degli Abs, considerati tra i maggiori responsabili

dell’attuale crisi finanziaria, si sono notevolmente ridotte negli ultimi anni. Ora la Bce vorrebbe acquistare gli Abs direttamente dalle banche allo scopo di riattivare il mercato e dare ossigeno ai bilanci bancari, liberando capitale da impiegare in nuovi prestiti. TASSI NEGATIVI L’11 giugno del 2014, per la prima volta nella storia, sono stati introdotti tassi negativi (-0,1%) sui depositi di liquidità delle banche presso la Bce. I tassi negativi hanno lo scopo di scoraggiare il deposito di capitali “dormienti” presso la Banca Centrale Europea per spingerli invece verso impieghi a famiglie e imprese. valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


NEWS

Gli spettri dell’economia tedesca

La Germania? Sull’orlo del declino. Lo sostiene il Guardian analizzando

un’impressionante serie di sintomi negativi che minerebbero la solidità della prima economia europea. Trascinata da anni di crescita e benessere, la nazione leader dell’eurozona deve far fronte infatti a minacce esterne e interne. Da un lato, nota il quotidiano britannico, c’è il momento difficile vissuto da Russia

e Cina, i principali partner commerciali, dall’altro c’è un’impressionante carenza di investimenti interni in infrastrutture e istruzione. Dal 2000 ad oggi, nota ancora il Guardian, ben sette degli otto principali settori industriali dell’economia tedesca evidenziano investimenti netti negativi.

VALORITECA I MIGLIORI TWEET DEL MESE MININEWS

Crescita “equa”: la politica monetaria non basta

La politica espansiva della Federal Reserve ha prodotto da sola oltre 2 milioni di posti di lavoro. Ma non è riuscita a ridurre la disuguaglianza economica tra i cittadini americani. Lo ha sostenuto la numero uno della Banca centrale Usa Janet Yellen nel corso di una recente conferenza a Boston. La Fed e le sue omologhe nel mondo, ha spiegato, possono determinare una più equa distribuzione del reddito soltanto attraverso una più ampia serie di iniziative. Tra cui la regolamentazione dei mercati finanziari.

 Serve un taglio alle retribuzioni dei manager delle banche. A chiederlo è stato il vice governatore della Banca d’Inghilterra Jon Cunliffe, in un’intervista al quotidiano The Guardian. www.theguardian.com

 L’agricoltura sostenibile: nuova destinazione di investimenti finanziari. La società di investimento della Florida, Community Capital Management, dopo aver già investito 8 milioni di dollari in obbligazioni a impatto sull’agricoltura, ha annunciato nuovi investimenti in agricoltura sostenibile per 50 milioni di dollari. www.eticanews.it

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

 Boom di investimenti responsabili in Europa: tra il 2011 e il 2013 i patrimoni gestiti secondo criteri che escludono settori considerati non etici sono cresciuti del 91% e riguardano il 41% (6.900 miliardi di euro) di tutti gli asset gestiti professionalmente in Europa. Lo rivela l’ultimo rapporto di Eurosif, il Forum europeo dell’investimento sostenibile. www.lamiafinanza -green.it

Sanzioni alle banche in tutto il mondo. La fine delle banche casinò: fare banca è diventato noioso. #bassafinanza www.economist.com 15 ottobre @meggio_m

Paradosso: banche italiane che danno crediti più pericolose delle tedesche imbottite di derivati #bassafinanza mobile.ilsole24ore.com 26 ottobre @meggio_m

A quando lo #stresstest sulla #CDP e gli incagli delle #grandiopere come #brebemi? 26 ottobre @distefanonova

LA VIGNETTA

@RobGrassilli / @bancaetica / @meggio_m / #bassafinanza 27


numeri della terra

Il mondo DELLA SOIA

CANADA

106,5 [89,5]

5,9 [5,2]

 0,4

 0,4  46,3

 4,2

86,1 [81,5]

USA

di Matteo Cavallito Nello spazio di dodici mesi nella stagione 2013/14, dicono gli ultimi dati dell’International Grains Council (IGC), la produzione mondiale di soia dovrebbe sfiorare i 282 milioni di tonnellate, quasi il 50% in più rispetto a dieci anni prima. Gli Usa si confermerebbero primo produttore mondiale con oltre 89 milioni di tonnellate, mentre l’America Latina continuerebbe a guidare la classifica globale per aree: nello stesso periodo tre soli Paesi del Subcontinente (Brasile, Argentina e Paraguay) coprirebbero da soli quasi la metà (138,8 milioni di tonnellate) della produzione globale. Sul fronte commerciale, la Cina resterebbe di gran lunga il principale mercato di destinazione con acquisti di materia prima per 70 milioni di tonnellate. Nella stagione 2014/15 la produzione mondiale dovrebbe raggiungere i 310 milioni di tonnellate. Una crescita cui contribuirebbe in primo luogo la forte accelerazione degli Usa: +19% in termini di materia prima prodotta con un aumento complessivo di 17 milioni di tonnellate. 28

 0,1

BRASILE

 47,0

8,2 [8,0]

PARAGUAY

 0,0

 4,4

ARGENTINA

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


a caccia di legumi

MONDO Soia 310,0

 import

 114,3  114,3

 export

1,5 [1,3]

 12,9

 0,1

3,4 [2,9]

0,2 [0,2]

GIAPPONE

 2,2

INDIA

 0,0

CINA

UCRAINA

UNIONE EUROPEA

 3,1

 0,0

11,5 [11,5]

11,5 [12,0]

 0,0  0,0

 73,0

 0,3

53,0 [49,3]

[produzione in milioni di tonnellate] 2014/15 [2013/2014]

 0,0  9,0

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

FONTE: INTERNATIONAL GRAINS COUNCIL, OTTOBRE 2014. DATI IN MILIONI DI TONNELLATE. PER ARGENTINA E BRASILE I DATI DEL PERIODO 2013/14 SONO DA CONSIDERARSI STIME, QUELLI RIFERITI AL 2014/15 PREVISIONI. PER TUTTI GLI ALTRI SI PARLA DI PREVISIONI (2013/14) E PROIEZIONI (2014/15). PERIODI DI RILEVAZIONE: APRILE/MARZO (ARGENTINA), FEBBRAIO/GENNAIO (BRASILE), SETTEMBRE/AGOSTO (USA, CANADA, UCRAINA), MARZO/FEBBRAIO (PARAGUAY), OTTOBRE/SETTEMBRE (CINA, INDIA, GIAPPONE, UE).

29


30

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


ECONOMIA SOLIDALE

FOTOTECA TRENTINO SVILUPPO S.P.A. / FOTO DI DANIELE LIRA

IL PAESE CHE PUNISCE CHI PIÙ INQUINA

D di Emanuele Isonio

Il comune trentino di Vallarsa ha imposto un’assicurazione decennale a chi usa sostanze chimiche nei campi. Un aiuto per i coltivatori a basso impatto. Ma la nuova regola crea dubbi e potrebbe violare le norme europee valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

irettore del dipartimento di Economia all’università di Trento e contemporaneamente sindaco, ma per una volta la scelta di sommare più incarichi non sarà oggetto di polemiche. Anzi, le competenze acquisite nella sua attività accademica potrebbero far ricordare Geremia Gios come il primo amministratore italiano ad aver immaginato uno strumento a lungo invocato dai fan dell’agricoltura sostenibile: far pagare di più chi sceglie le tecniche di coltivazione convenzionali, per incentivare il passaggio a sistemi a minore impatto ambientale. Il Comune guidato da Gios fin dal 2000 è quello di Vallarsa, in provincia di Trento. Poche centinaia di cittadini (1.370) e qualche decina di contadini (una trentina). Nel panorama agricolo italiano una realtà infinitesima. Ma l’atto approvato dal Consiglio comunale a marzo scorso è comunque rivoluzionario: invocare due principi comunitari (quello di precauzione e quello secondo cui “chi

Un agriturismo montano in Val di Non 31


economia solidale agricoltura sostenibile

PRODOTTI PulITI: Il TRENTINO lI INCENTIVA NEllE MENSE

Se a Vallarsa si punta su un regolamento che danneggia economicamente le aziende agricole convenzionali, nel resto del Trentino la Provincia sceglie la strada di incentivare la scelta dell’agricoltura sostenibile. La ricetta? Specificare meglio il concetto di prodotti a basso impatto ambientale e prevedere norme più rigorose sugli appalti verdi. Il tutto è contenuto in una nuova legge provinciale approvata poche settimane fa dal Consiglio provinciale. «Negli affidamenti dei servizi per le mense pubbliche – spiega l’assessore alle Infrastrutture e all’Ambiente, Mauro Gilmozzi – abbiamo reso obbligatorio valorizzare l’uso di prodotti di qualità certificata, biologici e da filiera corta. La Provincia inoltre scriverà dei capitolati d’appalto standard cui dovranno uniformarsi i committenti dei servizi di ristorazione collettiva». Quello delle mense di scuole e uffici pubblici ha già dimostrato in passato di essere un vero volano per la conversione biologica delle imprese agricole di un territorio. È accaduto ad esempio a Roma quando il Comune, a cavallo tra gli anni ‘90 e 2000 (giunte Rutelli e Veltroni) decise di imporre una forte quantità di prodotti biologici (circa il 70%) nei capitolati d’appalto delle mense scolastiche. Oltre al vantaggio sanitario (le tossinfezioni alimentari tra i bambini si azzerarono con risparmi sanitari rilevanti) in poco tempo la scelta spinse le aziende dell’agro romano a convertire le loro coltivazioni per non essere tagliate fuori dal principale committente di prodotti biologici del centro Italia: un colosso che, solo nelle scuole, vale 150mila pasti al giorno. I COSTI ESTERNI DELLE EMISSIONI PER I PRINCIPALI SETTORI ECONOMICI FONTE: ELABORAZIONE ECBA PROJECT, OTTOBRE 2013

[anno 2012, valori in migliaia di euro] Agricoltura, allevamento e caccia Attività estrattiva Industria manifatturiera Energia elettrica e gas Acqua e rifiuti Costruzioni Commercio Trasporti e logistica Alloggio e ristorazione Informazione, TLC e comunicazione Finanza, banche e assicurazioni Attività immobiliari Attività professionali PA, istruzione e sanità Intrattenimento e riparazioni Trasporto - famiglie Riscaldamento - famiglie Altro - famiglie

FOTOTECA TRENTINO SVILUPPO S.P.A. / FOTO DI DANIELE LIRA

Gas serra

32

0 2.000.000 4.000.000 Inquinamento atmosferico Metalli pesanti

6.000.000

8.000.000

10.000.000

inquina paga”) per introdurre oneri a danno di chi utilizza pesticidi e altri prodotti chimici nei propri terreni.

DIFENDERE LA SALUTE PUBBLICA «Il regolamento – spiega a Valori il “sindaco-professore” – ha l’obiettivo di mettere al riparo la collettività da possibili effetti negativi a lungo termine causati dall’uso della chimica in agricoltura». Nel concreto: gli agricoltori biologici, che devono già rispettare rigorosi disciplinari, sono salvi. Gli altri devono certificare le sostanze che utilizzano, indicandone quantità e modi di utilizzo e impegnandosi a non diffonderle fuori dai propri terreni. La certificazione deve essere redatta da organismi scientifici di livello nazionale o internazionali e, specifica il regolamento, «i prodotti usati devono essere conformi alle disposizioni indicate da enti pubblici sovracomunali e/o organismi tecnici di comprovata esperienza». Chi usa sostanze non certificate ha due strade: sottoscrivere una fidejussione in favore del Comune (mille euro per ettaro o capo allevato, che salgono a 20mila nel caso di coltivazioni Ogm) oppure un’assicurazione per responsabilità civile necessaria ai danni che dovessero insorgere nell’arco di dieci anni a causa di sostanze usate nelle coltivazioni o negli allevamenti. L’unica altra strada è accettare la multa (mensile) di 152 euro per ettaro. «Nel calcolare la fidejussione – prosegue Gios – abbiamo stabilito una cifra fissa per semplificare le cose, ma sarebbe possibile prevedere calcoli più raffinati, che modulino oneri e sanzioni in funzione del tipo di sostanze usate e del grado di esternalità negative prodotte». Il calcolo, assicurano gli addetti ai lavori, non sarebbe un rompicapo: «Le sostanze usate si possono derivare dal registro dei trattamenti che ogni azienda deve tenere – spiega Andrea Masullo, economista ecologico presidente del Comitato scientifico dell’associazione Greenaccord, impegnato a Napoli all’XI Forum internazionale di giornalismo ambientale – e per ognuna si possono fare delle stime sul loro impatto sulla salute pubblica». valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


FOTOTECA TRENTINO SVILUPPO S.P.A. / FOTO DI DANIELE LIRA

FOTOTECA TRENTINO SVILUPPO S.P.A. / FOTO DI ENRICO GENOVESI

agricoltura sostenibile economia solidale

Il settore agricolo si colloca al primo posto per l’impatto causato sull’ambiente, prima ancora di settori “critici” come trasporti, riscaldamenti civili e industria manifatturiera 11 MILIARDI DI ESTERNALITÀ D’altro canto, già esistono istituti di ricerca che indagano sull’impatto ambientale dei diversi settori produttivi: ECBA Project ha, ad esempio, calcolato che il settore agricolo e zootecnico produce esternalità per 10,7 miliardi. Un valore che lo pone di gran lunga al primo posto, superando altre voci spesso sul banco degli imputati, come i trasporti e i

riscaldamenti delle abitazioni o le emissioni dell’industria manifatturiera (vedi GRAFICO ). «È un dato che ci ha stupito – ammette Andrea Molocchi, tra gli autori dello studio – anche perché non quantifica l’impatto dei pesticidi. Il problema non sono tanto le emissioni di CO2, tutto sommato contenute, quanto quelle di gas serra e inquinanti nocivi, associate principalmente agli allevamenti animali e all’uso di fertilizzanti azotati». Indispensabile quindi invertire l’attuale meccanismo che di fatto incentiva l’uso di tecniche a maggior impatto e aumenta i costi per chi sceglie un diverso tipo di agricoltura. «Al momento chi produce esternalità negative è avvantaggiato. E non è giusto che a sostenere maggiori spese di certificazioni siano le aziende meno impattanti». Parole che suonano come

miele per i rappresentanti dei coltivatori biologici: «Il processo di conversione dall’agricoltura convenzionale – spiega Maria Grazia Mammuccini, vicepresidente di Aiab – è impegnativo e per tre anni costringe a sostenere i costi della certificazione senza poter godere dei maggiori ricavi che il bio di solito garantisce». Costi affatto marginali soprattutto per le aziende di piccole dimensioni: si aggirano sui 1.500 euro di spese annuali per ogni coltura da certificare, alle quali si somma il costo dei dipendenti che devono aver cura di tenere i registri e verificare il rispetto delle prescrizioni. «Scelte come quelle di Vallarsa sono quindi giuste e condivisibili, soprattutto nei territori montani dove si trovano realtà mediopiccole. Applicarle altrove probabilmente richiederebbe maggiore gradualità».

«IN 30 ANNI, +60% lA DOMANDA DI PRODOTTI AGRICOlI»

Il tema dell’impatto ambientale delle coltivazioni diventerà sempre più pressante, se si considera un altro dato: «Da qui al 2050 la domanda globale di prodotti agricoli crescerà del 60%». La previsione è di Gary Gardner, direttore di ricerca del prestigioso Worldwatch Institute di Washington, intervenuto all’XI Forum internazionale dell’informazione per la Salvaguardia della Natura organizzato a Napoli dall’associazione Greenaccord. «La domanda dei prodotti della terra – spiega Gardner – è causata non solo dalla crescita demografica, ma anche dai cambi di stile alimentare nei Paesi in via di sviluppo nei quali si consuma sempre più carne e soprattutto dalla diffusione dei biocarburanti». Un settore che continua a “rubare” terreni all’alimentazione umana. «Già oggi il 40% delle granaglie prodotte negli Usa sono prodotte per il settore dei biocombustibili. E la valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

percentuale sale al 50% per le barbabietole da zucchero coltivate in Brasile e all’80% per il girasole prodotto in Europa». La soluzione al problema non è facile, ma è inevitabile: «Dobbiamo aiutare i coltivatori a usare meno e meglio le risorse idriche. In questo campo i margini di miglioramento sono impressionanti. Le realtà più attente hanno già dimostrato di poter dimezzare i propri consumi. Occorre poi ridurre gli sprechi di cibo che oggi si aggirano sui 56 chili a testa per anno in Nord America e a 13 kg nell’Africa sub-sahariana. Serve poi un ripensamento nel settore biocarburanti». E a tutto questo si deve aggiungere anche un cambiamento culturale ed economico: «Dobbiamo modificare il nostro approccio al cibo: non possiamo considerarlo una merce come le altre ma va riconosciuto come un diritto universale basato su principi etici invalicabili». Em.Is. 33


economia solidale agricoltura sostenibile

DUBBI DI APPLICABILITÀ Ma, al di là delle intenzioni di chi l’ha ideata, non pochi sollevano dubbi sulla effettiva efficacia di regolamenti come quello introdotto nel Comune trentino. A preoccupare, la violazione di normative europee che renderebbero nulle le norme introdotte. «Dal punto di vista culturale va senz’altro nella giusta direzione – commenta Stefano Masini, responsabile Ambiente di Coldiretti – ma sul piano pratico temo che contrasti con le regole europee di libera concorrenza. Un comune non può decidere di farsi regole diverse da quelle del resto della Ue. Il regolamento, così come è scritto, è illegittimo e basta un ricorso a un giudice di pace per farlo disapplicare, vanificandone gli effetti. Per diffondere l’agricoltura biologica e a basso impatto gli strumenti già esistono: incentivare i mercati per la vendita diretta o sfruttare la disciplina sugli appalti verdi per dare maggiori punteggi a chi offre prodotti locali e biologici nelle mense collettive». Considerazioni condivise da Roberto Spigarolo, ricercatore dell’Università Statale di Milano e

coordinatore del progetto Bioregione in Lombardia: «I consumi collettivi sono un grande driver che può orientare il tipo di produzioni. Ma le leggi servono per incentivare una certa direzione, non con interventi coercitivi. Il biologico non si impone per legge, tantomeno con norme comunali». ✱

Il regolamento di Vallarsa è apprezzato sul piano culturale. Ma molti temono che sia inapplicabile. E suggeriscono di sfruttare meglio lo strumento degli appalti verdi

RISI DI NOVARA: PROVE TECNICHE DI FIlIERA CORTA

Salvare una filiera storica puntando su qualità, nuovi tipi di distribuzione e riscoperta delle varietà tradizionali. L’idea è ancora in fase embrionale ma procede speditamente. Obiettivo: costituire un distretto del riso di qualità che riunisca i produttori del Novarese, una delle patrie di questo cereale (32mila ettari coltivati, quasi 200mila tonnellate prodotte). Il problema è legato alla concorrenza dei risi asiatici, offerti sul mercato a prezzi possibili grazie al dumping sociale. Un avversario difficile da sconfiggere usando la logica del prezzo basso. Da qui la proposta di tornare all’antico. Spostando la produzione dalle tipologie “internazionali” di grani corti e Indica (più ricercati ma meno pregiati) per riscoprire i risi del territorio come Vialone nano e Carnaroli rivolgendosi a mercati disposti a pagare il giusto prezzo per produzioni di alto livello. Al progetto lavorano le istituzioni provinciali e le organizzazioni locali di categoria. «Nel medio periodo – spiega Stefano Bocchi, docente di Agronomia alla Statale di Milano – gli introiti garantiti dall’export dovrebbero essere sostituiti da una filiera locale, composta da mense scolastiche e collettive». Un partner cruciale che permetterebbe ai produttori di aggirare la Grande distribuzione, garantendosi introiti maggiori («attualmente – rivela Bocchi – solo il 15% del prezzo pagato va ai risicoltori»). La nascita del distretto creerebbe una filiera 100% made in Italy: produzione, trasformazione e confezionamento sarebbero infatti realizzati in loco.

L’AGROALIMENTARE FA GOLA ALLE MAFIE di Paola Baiocchi

Un rapporto Coldiretti/Eurispes rivela: nel 2013 lo sfruttamento della terra ha portato 14 miliardi alla criminalità organizzata. +12% la crescita in due anni, agevolata dalla crisi economica Non solo droga e traffici illeciti interessano la criminalità organizzata: il settore agroalimentare da anni è nel mirino delle mafie, che nel corso del 2013 sono riuscite a concludere affari in questo delicato comparto per un volume complessivo di 14 miliardi di euro, con una crescita del 12% rispetto a due anni fa. «La criminalità organizzata – si legge nel secondo rapporto Agromafie Coldiretti/Eurispes 2013 – trova terreno fertile 34

proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi» e l’agricoltura e l’alimentare sono considerate aree prioritarie di investimento «perché del cibo, anche in tempi di difficoltà nessuno potrà fare a meno». Nel primo rapporto Agromafie, Eurispes e Coldiretti avevano denunciato il fenomeno dell’italian sounding, cioè la commercializzazione ingannevole di prodotti che richiamano l’Italia nel nome o nelle immagini della confezione, ma sono fatti altrove. Ora la sofisticata evoluzione di questa pratica è che la criminalità non investe più solo nella creazione all’estero di “cloni” delle nostre aziende, ma acquisisce direttamente antichi e prestigiosi marchi, che usa per lavare capitali sporchi, svuotandoli allo stesso tempo dei

contenuti di conoscenza, tradizione, qualità e sapienza, per immettere prodotti dall’origine incerta e spesso pericolosa. Scarsa incidenza dell’Italia nelle politiche economiche europee, scarsa capacità di fare sistema dovuta alle differenze produttive del nostro “lungo” Paese, unite a un consumo della superficie agricola che ci pone al quinto posto mondiale (5 milioni di ettari consumati dagli anni ’70 ad oggi) sono alcune delle debolezze individuate nel rapporto Agromafie, che espongono il nostro Paese alla penetrazione criminale nel settore agroalimentare. E che le controproducenti sanzioni nei confronti della Russia – 100 milioni di euro il danno stimato per il settore italiano – possono solo accentuare. ✱ valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


luci e ombre di un cereale economia solidale

I mille mondi della soia 310

milioni di tonnellate. È questo l’ammontare totale di soia destinato a essere prodotto nel mondo nella stagione 2014-15 secondo le stime avanzate a settembre dall’International Grains Council. Un record che conferma il trend storico (vedi GRAFICO ) e la particolare accelerazione evidenziata dal comparto negli ultimi tempi. Merito della domanda, ovviamente, in espansione sotto la spinta della pressione esercitata dai comparti correlati. Che, come noto, non sono legati soltanto al settore alimentare. «Il boom della soia è un fatto relativamente recente, evidenziatosi negli ultimi decenni», spiega a Valori Giuseppe Altieri, docente di Agricoltura biologica, Entomologia e Fitopatologia all’Istituto Agrario di Todi e titolare del Centro Studi Agernova - Servizi Avanzati per l’Agroecologia e la Ricerca. «In passato la coltivazione era destinata prevalentemente all’estrazione dell’olio da usare anche come biocombustibile. Oggi se ne fanno usi molteplici: dall’estrazione delle proteine per l’alimentazione umana, alla produzione di mangimi per gli allevamenti». Un tema complesso, come vedremo, che chiama in causa problematiche diverse, dalla chimica alla bio-ingegneria. Ma andiamo con ordine.

ANATOMIA DEL BOOM A evidenziare il boom – che interessa oggi anche l’Italia (vedi BOX ) – è in primo luogo la parabola dei prezzi (vedi GRAFICO ). Nella generale spirale rialzista sperimentata dal comparto commodities nel corso degli ultimi dieci anni, la soia non ha fatto eccezione. Anzi, il valore di mercato della materia prima ha raggiunto un primo picco nel luglio del 2008 attorno a quota 550 dollari per tonnellata (contro i poco più di 300 registrati dodici mesi prima). Al successivo calo avrebbe fatto seguito una serie di rimbalzi capaci di condurre la quotazione al record, su base mensile, di agosto 2012: 622 dollari (contro i 433 odierni). A beneficiarne, ovviavalori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

mente, sono stati tutti i grandi produttori. Con un caso particolare, tuttavia, capace di emergere sugli altri: quello dell’Argentina, tuttora il terzo produttore mondiale (vedi la MAPPA a pagg. 28-29). La vulgata dice che sia stata la soia a trascinare il Paese fuori dal collasso economico del settimo (di otto) default della sua storia, quello del 2001-02. Un’affermazione discutibile, viste le molteplici variabili economiche e ambientali in gioco (a partire dal contraccolpo sulla produzione della carne), ma non certo priva di un fondo di verità. Perché, a conti fatti, il contributo della soia alle casse pubbliche di Buenos Aires è stato obiettivamente enorme. Alla fine del 2007, stimava Il Sole 24 Ore, l’export di soia garantiva all’Argentina entrate medie pari a 175 milioni di euro al mese sui quali si estendeva la mano pubblica con l’applicazione di dazi capaci di arrivare fino al 35%. Una fonte preziosa di entrate fiscali, insomma, ma anche, va da sé, un casus belli

di Matteo Cavallito

Alimentazione, mangimi, olii. Ma anche ingegneria genetica e chimica. Anatomia del boom della soia. La più multiforme commodity alimentare

AGRObuSINESS, IRROMPE DOw CHEMICAl

un’irruzione significativa e carica di opportunità nel comparto agricolo. È quella che dovrebbe realizzare il colosso Dow Chemical Company. A settembre, ha riferito Forbes, l’azienda Usa ha ricevuto l’autorizzazione definitiva dallo U.S. Department of Agriculture per la commercializzazione dei suoi semi Ogm di mais e soia denominati “Enlist”. Le sementi sono progettate per resistere all’applicazione di un erbicida più efficace, il cosiddetto Enlist Duo, anch’esso brevettato dalla compagnia di Midland (Michigan). In caso di nulla osta anche a quest’ultimo – deciderà la U.S. Environmental Protection Agency – Dow Chemical vedrà aprirsi d’incanto nuove prospettive di business. «Riteniamo che la commercializzazione del sistema diserbante Enlist (di cui fanno parte entrambi i prodotti, ndr) potrà allargare in modo significativo la quota di mercato della Dow nel solido comparto dei prodotti agricoli», ha sostenuto la rivista. Dow Chemical, ha ricordato Forbes, opera in 160 Paesi in svariati settori caratterizzati da importanti trend di crescita (elettronica, acqua, energia e agricoltura). Nel 2013, l’azienda ha realizzato un fatturato complessivo di circa 57 miliardi di dollari. I profitti netti dell’ultimo bilancio ammontano a 2,9 miliardi. 35


economia solidale luci e ombre di un cereale PRODUZIONE MONDIALE 1961-2013

FONTE: FAO (HTTP://FAOSTAT.FAO.ORG/), OTTOBRE 2014. ELABORAZIONE ISMEA SU DATI INTERNATIONAL GRAINS COUNCIL, USDA, SETTEMBRE 2014

[dati in tonnellate] 350.000.000,00

IL PREZZO DELLA SOIA NEGLI ULTIMI 10 ANNI

FONTE: WORLD BANK (HTTP://DATA.WORLDBANK.ORG) IN INDEX MUNDI (WWW.INDEXMUNDI.COM), OTTOBRE 2014. PREZZO DEL CONTRATTO STANDARD “CHICAGO SOYBEAN FUTURES CONTRACT (FIRST CONTRACT FORWARD) NO. 2 YELLOW AND PAR”. DATI IN DOLLARI USA PER TONNELLATA DI MATERIA PRIMA

[dollari per tonnellata] 700,00

500,00

200.000.000,00

400,00

150.000.000,00

300,00

100.000.000,00

200,00

50.000.000,00

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0

0,00

ago ’04 gen ’05 giu ’05 nov ’05 apr ’06 set ’06 feb ’07 lug ’07 dic ’07 mag ’08 ott ’08 mar ’09 ago ’09 gen ’10 giu ’10 nov ’10 apr ’11 set ’11 feb ’12 lug ’12 dic ’12 mag ’13 ott ’13 mar ’14 ago ’14

600,00

250.000.000,00

1961 1964 1967 1970 1973 1976 1979 1982 1985 1988 1991 1994 1997 2000 2003 2006 2009 2012 2014-15

300.000.000,00

di enormi proporzioni. Ma, al di là delle questioni contabili, si notava all’epoca, un fenomeno potenzialmente più dirompente iniziava a manifestarsi in tutta la sua forza. Nel periodo 1997-98, riferiscono i dati di GMO Compass, un’iniziativa di ricerca finanziata dalla Commissione Ue, le colture di soia geneticamente modificata superavano di poco il 20% del totale. Oggi l’incidenza è salita in pratica al 100% contro una media globale del 79%. Per Stati Uniti e Brasile, principali produttori mondiali, i valori si attestano rispettivamente al 93 e al 92%. Comunque la si pensi (e il tema è obiettivamente molto complesso), il fenomeno Ogm evidenzia quella che appare oggi come una delle caratteristiche peculiari del comparto soia: la sua capacità di interessare una pluralità di settori diversi. Da un lato, come si diceva, per via degli usi molteplici della materia prima (alimentazione umana, mangimi, biofuels ecc.). Dall’altro per gli enormi margini di intervento della bioingegneria (come evidenzia il caso Dow, vedi BOX a pag. 35). Quando parliamo di giganti del settore, in altre parole, il riferimento non

SOIA ITAlIANA, I NuMERI PIù AlTI DEl DECENNIO

boom della soia italiana. Lo rilevano le stime diffuse ad ottobre dall’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare). Nel corso del 2014 i raccolti di soia dovrebbero crescere del 33% raggiungendo quota 850 mila tonnellate grazie a un incremento della produttività, del 9% circa, e delle superfici seminate (+22,4%). I numeri, a conti fatti, viaggiano ai livelli più alti degli ultimi dieci anni. A pesare è «la situazione problematica del mais relativamente ai problemi causati dalla presenza di micotossine e alle motivazioni di mercato» con i prezzi di quest’ultimo «in costante flessione dall’estate dello scorso anno», spiega a Valori Cosimo Montanaro, analista di Ismea. «In un simile contesto – prosegue – gli agricoltori hanno preferito investire a soia che è una produzione territorialmente competitiva al mais». Importanti, per l’aumento della resa, «le condizioni climatiche favorevoli, a partire dalle frequenti piogge e dalle temperature più fresche sperimentate in estate». 36

corre soltanto ai noti colossi dei cereali come Archer Daniels Midland e Cargill, ma anche ai leader di mercato dell’ingegneria genetica.

DISSECCANTI & CO. Lo evidenzia il peso di un significativo comparto correlato: quello dei diserbanti selettivi e dei disseccanti totali, in cui operano le medesime compagnie produttrici di semi Ogm. Il fatto, evidenzia Altieri, è che «le grandi multinazionali come Monsanto e Syngenta offrono il pacchetto completo: semi Ogm più disseccanti totali. I primi sono progettati per resistere ai secondi, il che accade solo per un breve periodo fino a quando la pianta Ogm, già stressata e soggetta a una produttività ridotta, per la modifica innaturale del suo Dna e l’uso di alte dosi di disseccanti, fa i conti con la proliferazione di erbe infestanti diventate resistenti ai diserbanti stessi». Ne deriverebbe, prosegue il docente, un vero e proprio circolo vizioso, ovvero «la necessità di Ogm tolleranti a diserbanti sempre più tossici, in una continua corsa al rialzo, che ha provocato il bio-accumulo di residui chimici non biodegradabili nelle catene alimentari, pericolosissimi per gli esseri umani e la vita in generale». Un dibattito, accesissimo, in corso da un paio di decenni. Nel 1996 la Monsanto ha introdotto per la prima volta sul mercato il suo sistema di controllo (weed control system) noto come Roundup Ready costituito da semi modificati per tollerare l’applicazione di erbicidi a base di glifosato, un prodotto di sintesi brevettato in precedenza dalla stessa corporation. «Da allora – ha notato la rivista Usa Forbes – le colture resistenti agli erbicidi hanno trainato in modo significativo il mercato agricolo degli organismi geneticamente modificati». Arrivando a coprire, sostiene la rivista, il 60% dell’ammontare totale delle aree caratterizzate da coltivazioni Ogm. ✱ valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


semi transgenici economia solidale

Produzione italiana Ogm free ma con polemica L

a produzione di soia italiana Ogm? Proibita per legge. Ma la polemica non manca e il tema si apre al dibattito. Partiamo dalle basi: la legge in materia, innanzitutto, che vieta l’utilizzo nei campi delle sementi Ogm, affidando i controlli all’ex Ense (Ente nazionale sementi elette), oggi accorpato nel Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA-SCS). Il Decreto Ministeriale del 27 novembre 2003 impone le analisi a campione – 3.000 semi, pari a circa 1,5 kg per ogni lotto da 40 tonnellate – ma stabilisce anche che il risultato di queste ultime (il peso in termini percentuali del Dna transgenico sul Dna totale) sia espresso «per approssimazione alla prima cifra decimale». Un arrotondamento che ha dato origine a un limite de facto dello 0,05%. E qui iniziano le discussioni.

LE ANALISI DELLA DISCORDIA «La legge non prevede soglie di tolleranza, ma l’arrotondamento del risultato quantitativo alla prima cifra decimale», spiega a Valori Rita Zecchinelli, responsabile del Laboratorio del Centro di Sperimentazione e certificazione delle Sementi del CRA-SCS. «Il che – precisa – dal punto di vista matematico significa che un risultato inferiore allo 0,05% deve essere arrotondato a 0,0, mentre un risultato pari a 0,05% o più viene arrotondato a 0,1%». Di conseguenza, segnala una pubblicazione diffusa lo scorso anno dal CRA (“Dal Seme”, n° 4 /13), «se il campione fornisce risultati analitici riferiti al promotore 35S inferiori a 0,05%, il lotto è ritenuto conforme». Il criterio, ovviamente, suscita qualche polemica. Giuseppe Altieri, docente presso l’Istituto Agrario di Todi e titolare del Centro Studi Agernova, contesta l’interpretazione del principio di arrotondamento. «Il Decreto Ministeriale – dichiara a Valori – parla di “approssimazione” alla prima cifra decimale ovviamente dei valori di presenza e non certo di assenza, eventualmente rilevati, anvalori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

che di basse contaminazioni di semi Ogm in un campione di analisi». Il che, precisa, significherebbe ad esempio «approssimare un valore 0,033% a 0,03%, non certo a zero». Il rischio, rileva quindi Altieri, è che anche pochi semi “contaminati” («Una sola pianta produce milioni di granelli di polline», spiega) finiscano per alterare geneticamente i terreni. Un allarme non condiviso dalla responsabile del Laboratorio CRA che tende, al contrario, a escludere “ampie contaminazioni” a partire da una presenza minima di Dna Ogm. Soprattutto, rileva, nel caso di una specie “autogama” come la soia per la quale «la dispersione di polline è molto limitata».

IL NODO IMPORTAZIONI Quello dell’approssimazione «può essere un elemento di debolezza», ma anche «un criterio giustificato dal fatto che gli ambienti di provenienza della soia importata non sono Ogm free», rileva Andrea Ferrante, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (AIAB). «La soia – precisa – può andare incontro a contaminazioni perché è molto problematico mantenere le filiere internazionali completamente pulite. Detto questo direi che in Italia, in termini di tutela, siamo messi abbastanza bene». La questione centrale, sostiene, non starebbe quindi nel «dibattito infinito relativo alle analisi», quanto piuttosto sull’aspetto strutturale del mercato. L’Italia, «di fatto un produttore Ogm free», dovrebbe quindi concentrarsi sulla necessità di raggiungere «un livello di dipendenza molto basso dalle importazioni». Tradotto, un incremento della produzione. «A patto però – aggiunge – di seguire criteri agroecologici, evitando la monocoltura e garantendo le rotazioni». ✱

di Matteo Cavallito

L’Italia proibisce la coltivazione di soia Ogm anche se le analisi sulle sementi contemplano di fatto un limite di tolleranza. Ma il problema, forse, è nella filiera internazionale

La versione integrale delle interviste a Rita Zecchinelli, Giuseppe Altieri e Andrea Ferrante è pubblicata su Valori.it 37


economia solidale l’industria delle stelle

I francesi alla guerra dei satelliti Il 2 dicembre l’Esa sceglierà il nuovo lanciatore spaziale europeo. Da Parigi forte sostegno al progetto Safran-Airbus. L’Italia rischia di farsi sfuggire la sua principale azienda. E una tecnologia invidiata da tutti

Al momento il lancio dei satelliti viene assicurato da tre tipi di lanciatori: Ariane 5, Soyuz e Vega (vedi BOX ). Ma il sistema va urgentemente rivisto. Per motivi strategici e questioni economiche. Da un lato c’è l’esigenza di mettersi al riparo dalle tensioni tra Ue e Russia. Dall’altro, più banalmente, ci sono problemi di costi. La spending review non risparmia nemmeno le stelle. E sul mercato globale, oggi ci sono società private, come la statunitense Space X, in grado di lanciare satelliti da 13 tonnellate alla “modica” cifra di 60 milioni di dollari mentre l’attuale Ariane 5 ne richiede oltre 150 milioni. Un gap non più sostenibile. 38

VERSO ARIANE 6 «In questa partita i francesi non sono solo spregiudicati. Sono quasi sfacciati», confida a Valori una fonte coinvolta nella vicenda. «Ma stanno dimostrando come ci si muove per salvaguardare i propri interessi industriali». Nei mesi scorsi, con la benedizione (e anche qualcosa di più) da parte del governo francese e dell’Eliseo, Safran e Airbus hanno creato una joint venture con l’obiettivo di realizzare l’Ariane 6. Un progetto “chiavi in mano” che sarebbe concorrenziale dal punto di vista economico. Le due aziende ne sono certe. Altri molto meno: «Se gli Ariane 5 sono ormai fuori mercato – si domanda Onofri – perché gli Ariane 6 non dovrebbero avere problemi di costi?». Il rischio è far spendere miliardi all’Esa per sviluppare un lanciatore che si riveli poi trop-

/ IGNIS

SOLUZIONE VEGA

Da qui l’idea di sviluppare nuovi lanciatori europei che garantiscano autonomia di gestione e costi ridotti. Nella partita l’Italia sembrava avere buone carte. Il vettore Vega della Avio di Colleferro, usato già oggi per i satelliti da collocare nelle orbite più basse, viene universalmente considerato una buona base di partenza per estenderne l’uso. «Usare la tecnologia Vega a propellente solido per sostituire Ariane 5 e Soyuz sarebbe la soluzione economicamente più vantaggiosa, oltre che un bel colpo per il nostro Paese», spiega Marcello Onofri, docente di Ingegneria aerospaziale all’Università La Sapienza di Roma. E molti, all’interno dell’Esa, condividevano tale posizione. La Francia ha però saputo mettersi di traverso perché quella soluzione avrebbe danneggiato le sue aziende specializzate nella tecnologia a propellenti liquidi.

IKIMEDIA.O RG

A

vranno masticato amaro sulle strade del Tour nell’immediato dopoguerra quando i beniamini di casa erano stati battuti da Gino Bartali e Fausto Coppi. Ricorderanno ancora con fastidio la finale dei Mondiali 2006 a Berlino. Ma quando si parla di politica industriale, i francesi rischiano di restituire con gli interessi all’Italia i malumori accumulati. L’ultima battaglia in ordine di tempo si gioca sul terreno futuristico dell’aerospazio. L’appuntamento cruciale è in programma il 2 dicembre prossimo a Lussemburgo, quando i rappresentanti dei diversi Paesi europei aderenti all’Esa, l’Ente Spaziale Europeo, saranno chiamati a decidere il futuro dei lanciatori spaziali: in pratica dovranno stabilire quali vettori usare per spedire in orbita i satelliti, per usi civili e commerciali. Una decisione per nulla marginale, perché dal tipo di vettore scelto dipende il futuro dell’aerospazio italiano, un comparto da 8 miliardi di fatturato e poco meno di 40mila addetti.

HTTP://CO MMONS.W

di Emanuele Isonio

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


l’industria delle stelle economia solidale

po dispendioso. «In effetti – commenta l’amministratore delegato dell’italiana Avio, Pier Giuliano Lasagni – se il nuovo lanciatore sarà una semplice evoluzione del precedente, razionalmente non si riesce a capire da dove arriverebbe una riduzione di costi. Safran-Airbus dicono che verrà ottenuta grazie a una riorganizzazione industriale, ma la spiegazione è debole». Resta il fatto che il progetto del duo francese è diventato di colpo la base su cui condurre le trattative di inizio dicembre. Non che l’Esa non abbia dubbi: a dimostrarlo, la richiesta a Safran-Airbus di un’offerta scritta e vincolante che metta nero su bianco i costi del progetto per avere garanzie sulla sua sostenibilità economica. Ma l’abilità politica potrebbe far superare i dubbi dei tecnici.

IN CHE MANI FINIRÀ AVIO? A Lussemburgo l’Italia sarà rappresentata dal ministro dell’Università, Stefania Giannini, e dal direttore della nostra Agenzia Spaziale, Roberto Battiston. Fonti vicine al dossier italiano non disperano di trovare un buon compromesso. Ma a complicare la partita c’è il dubbio sull’assetto

TRE VETTORI SI DIVIDONO I lANCI EuROPEI

VEGA

HTTP://EN.WIKIPEDIA.ORG / ESA - S. CORVAJA, 2013

ARIANE 5

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / NASA/SCOTT ANDREWS

SOYUZ

proprietario di Avio. Al momento l’azienda laziale è partecipata al 14% da Finmeccanica ma controllata all’81% dal fondo inglese Cinven che ha da tempo annunciato di voler vendere. Facile comprendere che la nazionalità degli acquirenti non sarà un fattore secondario. «Avio Spazio è un gioiello. Al governo interessa una valorizzazione di questo asset», dichiarò a inizio anno Fabrizio Pagani, consigliere economico dell’allora premier Enrico Letta. E il nuovo consigliere militare di Renzi, il generale Carlo Magrassi, è sulla stessa linea. Ma da quel momento gli unici a muoversi seriamente sono stati, ancora una volta, i francesi: emissari di Safran hanno svolto indagini approfondite per acquisire il pacchetto di Cinven. «Se comprano, la partita è finita e gli regaliamo una tecnologia formidabile», commenta Enrico Ceccotti, capo del gruppo di lavoro sull’aerospazio del Partito democratico. «Siamo ancora in tempo per evitare un danno enorme». Per ora però tutto è fermo. In attesa di capire cosa vorrà fare Finmeccanica. A parole l’interesse a salire al 51% c’è. La sensazione è che voglia garanzie dalla Presidenza del Consiglio di una continuità degli investimenti nel settore aerospaziale nei prossimi anni (per ora l’Italia contribuisce con 400 milioni al bilancio dell’Esa, terzo Stato dopo Francia e Germania). A quel punto, i soldi per Avio si troverebbero, magari coinvolgendo il fondo strategico di Cassa Depositi e Prestiti. Sempre che nel frattempo gli inglesi di Cinven non abbiano già venduto a qualcun altro. ✱

Ariane 5, Soyuz e Vega. L’invio di satelliti nei cieli europei è assicurato oggi da queste tre famiglie di lanciatori. Ariane 5 è il vettore per i lanci più potenti, i carichi maggiori e le orbite più alte. Sviluppato e costruito dalla EADS Space Transportation dietro autorizzazione dell’Esa, è stato utilizzato 73 volte tra il 1996 e il 2014 dopo un investimento di 7 miliardi di euro. Viene lanciato dalla base di Kourou nella Guiana Francese. Nella categoria intermedia si colloca il Soyuz TMA-M. Lontano parente della mitica navetta sovietica messa a punto negli anni ’60, è usato da qualche anno per i lanci commerciali in orbite medie. Una soluzione resa possibile da un accordo tra Russia e Unione europea. Ma le questioni geopolitiche potrebbero decretare ben presto la fine della collaborazione. Il lanciatore Vega (acronimo del Vettore Europeo di Generazione Avanzata) è il fiore all’occhiello della tecnologia tricolore: sviluppato dalla Elv, società partecipata al 70% dalla laziale Avio Spazio e al 30% dall’Agenzia Spaziale italiana, nell’ambito di un programma europeo, finanziato per il 65% dal nostro Paese, viene utilizzato per il trasporto di piccoli carichi (tra 300 e 2mila kg) nelle orbite più basse o polari. Il suo punto di forza è nella semplicità costruttiva e nei propulsori a propellente solido, che assicurano costi minori rispetto a quelli liquidi (un lancio costa 50 milioni di euro).

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Stop all’avanzata del cemento, pianificazione di area vasta, riqualificazione delle aree urbane esistenti: sono questi i punti cardine della nuova legge urbanistica della Toscana, approvata il 30 ottobre, che riforma quella del 2005. Si tratta di uno dei primissimi casi nel nostro Paese in cui un testo legislativo parla a chiare lettere di contrasto al consumo

NEWS

La Toscana si attiva contro il consumo di suolo

di suolo: si spiega così l’accoglienza favorevole da parte della Confederazione italiana agricoltori e di Legambiente. Il principio di base è molto semplice: il suolo rurale è un bene comune. E chiunque voglia intervenire sul territorio non urbanizzato d'ora in poi dovrà tenerne conto. Per la pianificazione locale, infine, bisognerà consultare le comunità coinvolte.

VALORITECA APPUNTAMENTI TRENTO

I MIGLIORI TWEET DEL MESE La Lombardia invasa dai rifiuti tossici Scorie da Europa dell’Est

Tutti nello stesso piatto

5-30

NOVEMBRE

31 ottobre, @Recommon

Il Festival organizzato da Mandacarù e Altromercato è un'occasione di incontro con il cinema e la cultura di Europa, Asia, Africa e America Latina, con i loro cineasti e protagonisti, attraverso i temi del cibo, della biodiversità, della sovranità alimentare, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. www.tuttinellostessopiatto.it

#Ilva #Taranto, sbloccati1,2 mld di euro sequestrati ai #Riva: #Governo accerti destinazione risorse per risanamento e bonifica ambientale

MILANO, CASCINA CUCCAGNA

29 ottobre, @ZanAlessandro

Giacimenti Urbani trasformare i rifiuti in risorsa

21-23

NOVEMBRE

Petrini: «Non si può parlare di made in Italy e vedere ettari ed ettari di campagna sistematicamente cementificata»

Giunto alla seconda edizione, è inserito all'interno della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti. La mostra evento dove comprendere il valore e le potenzialità dei rifiuti nella vita di tutti i giorni, così preziosi da poter essere considerati i giacimenti del Terzo Millennio. Ospiterà mostre sull’ecodesign, aperitivi a basso impatto ambientale, giochi per bambini realizzati con materiali di recupero, workshop per aggiustare gli oggetti rotti, showcooking per imparare a evitare gli sprechi in cucina. www.cuccagna.org

26 ottobre, @slow_food_italy

Con #rinnovabili al 2030 in Italia 100mila occupati e benefici per 175mld € www.qualenergia.it ma #governofossile ascolterà? 22 ottobre, @FranFerrante

IN SOLI SEI ANNI IL CONTRIBUTO DELLE RINNOVABILI ALLA PRODUZIONE ELETTRICA NAZIONALE È RADDOPPIATO

Figura 11-72 54.473

EVOLUZIONE DELLA PRODUZIONE DEGLI IMPIANTI A FONTI RINNOVABILI IN ITALIA DAL 2001 AL 2013 (GWh)

Solare

112.008

Eolica 19%

Bioenergie Geotermica

13%

Idrica

15% 5% 47%

86%

2001

40

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


fotoracconto 04/05

Lo “chef solare” Tommaso Fara si dedica alle salsicce durante La Potenza di Helios 2014, evento che si è tenuto pochi mesi fa (dal 17 al 18 maggio scorsi) alla Cascina Cuccagna, a Milano. Impiegando gli specchi ustori inventati da Archimede: «In 20 minuti di buon sole – ci dice – possiamo cuocere circa 60 centimetri di salsiccia». valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

Due i tipi di cucina solare, a seconda che abbiano un punto o una linea di fuoco, e qualche optional disponibile, come l’affumicatore che dona al cibo il profumo delle braci o il sistema automatizzato che ogni minuto e mezzo orienta la cucina verso il sole. Perché la terra si muove, diceva un certo Copernico.

MARTA BELTRAME

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INTERNAZIONALE

EBOLANOMICS I NUMERI DEL DISASTRO

???

M

di Matteo Cavallito

L’impatto economico dell’Ebola rischia di assumere proporzioni drammatiche. L’effetto panico pesa sui Paesi più colpiti. L’economia della cura presenta un conto pericolosamente negativo valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

alattia, sofferenza, morte. Ma anche miliardi di dollari di perdite. L’epidemia di Ebola non accenna ad arrestarsi e il conto presentato finora è terrificante. Può sembrare umanamente blasfemo, ma è un problema serissimo. Soprattutto pensando ai Paesi nel mirino, mercati in forte crescita, ma anche terribilmente fragili, in cui gli shock economici sembrano in grado di pesare in modo particolare, esacerbando problemi endemici. I governi dei Paesi più colpiti, ricorda il quotidiano Usa International Business Times (IBT), hanno già speso (e dovranno spendere ancora) milioni di dollari per contrastare l’epidemia, ma il problema, come ha sottolineato la World Bank in un recente rapporto, è che «le maggiori ricadute economiche non saranno costituite dai costi diretti quanto piuttosto dagli effetti derivanti dai cambiamenti delle abitudini mossi dalla paura, che si traducono in una minore domanda di beni e servizi e, di conseguenza, in un più basso livello di rica-

Il virus Ebola 43


internazionale epidemie costose

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L’EBOLA IN BORSA: IL BOOM DI TEKMIRA

FONTE: YAHOO FINANCE (HTTPS://IT.FINANCE.YAHOO.COM), 13/10/2014. PREZZO UNITARIO DELL’AZIONE IN DOLLARI USA

30,00 25,00 20,00 15,00 10,00 5,00

vi e occupazione». È la spirale del panico – accumulo, scarsità di beni, speculazione e inflazione – già sperimentata durante la pandemia influenzale del 2009, la famosa Influenza A o “febbre suina”, il cui impatto economico sarebbe stato provocato in larga parte proprio da fattori “comportamentali”. Una dinamica, che, nel caso dell’Ebola, potrebbe contribuire a far salire ulteriormente il contraccolpo economico certificato dalle prime stime (vedi BOX ). 6

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10/10/2014

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“SENZA PRECEDENTI” Il problema, a conti fatti, è nella dimensione dell’epidemia. Dal 1976 ad oggi si sono verificati numerosi fenomeni epidemici di Ebola, ma mai l’emergenza ha raggiunto l’attuale ordine di grandezza. «Sulla diffusione senza eguali dell’epidemia pesano diversi fattori», spiega Saverio Bellizzi, epidemiologo di Medici Senza Frontiere, presente negli ultimi mesi in Liberia e Guinea. «Negli anni passati 7

l’Ebola si era manifestata soprattutto nei villaggi e nelle aree rurali, tutte zone in cui i focolai di infezione erano relativamente facili da circoscrivere. Questa volta, invece, la malattia ha fatto la sua comparsa nelle aree urbane dove la mobilità è maggiore e la velocità di diffusione viaggia di conseguenza». Inoltre «nessuno dei tre Paesi più colpiti dall’epidemia aveva registrato in passato casi di Ebola», prosegue. «In assenza di precedenti storici è stato più difficile prendere coscienza del problema intervenendo in tempo». Intervenire tempestivamente resta oggi un problema aperto. L’allarme Ebola è scattato a fine febbraio, ma i primi casi, ricorda Bellizzi, «si erano evidenziati in realtà già a dicembre». Di fatto, conclude, «le strategie classiche di intervento ad opera delle istituzioni internazionali, da cui dipendono anche le autorità sanitarie locali, non hanno funzionato. Il risultato è che in alcune zone, oggi, la situazione è totalmente fuori controllo».

L’ECONOMIA DELLA CURA A luglio l’azienda canadese Tekmira Pharmaceuticals Corp ha subito uno stop dalla FDA, l’agenzia del farmaco Usa, di fronte alla richiesta di approvazione del suo 8

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


epidemie costose internazionale

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1 09 luglio 2014, Kailahun. Sierra Leone. Centro di trattamento Ebola di Medici Senza Frontiere (MSF). Alcuni medici MSF cercano di far mangiare una ragazza nella zona ad alto rischio di contaminazione del centro di trattamento. SYLVAIN CHERKAOUI/COSMOS 2 11 luglio 2014, Kailahun. Sierra Leone. Centro di trattamento Ebola di Medici Senza Frontiere (MSF). Due operatori dell’équipe MSF aiutano una giovane paziente, molto probabilmente infetta dal virus Ebola, a scendere dal mezzo arrivato al centro di trattamento.

SYLVAIN CHERKAOUI/COSMOS

medicinale Tkm-Ebola. Sotto accusa gli effetti collaterali osservati negli individui sani soggetti a sperimentazione. All’inizio di agosto, tuttavia, la FDA ha fatto un primo passo indietro aprendo la strada all’utilizzo del farmaco sui pazienti colpiti dall’infezione (sancito in via definitiva lo scorso 22 settembre). Tra il 17 luglio, giorno del picco negativo a quota 8,89 dollari, e il 30 settembre, il titolo Tekmira quotato al Nasdaq ha registrato un rialzo del 229%. L’entusiasmo non manca, lo scetticismo nemmeno. «In occasione di ogni epidemia assistiamo a una proliferazione di compagnie che sostengono di aver elaborato una cura o un vaccino specifico», spiegava all’inizio di agosto il gestore degli investimenti della E Squared Asset Management, Les Funtleyder, davanti alle telecamere di Yahoo Finance. Ma il problema, notava, non starebbe tanto nella ricerca in sé quanto nella praticabilità di un’eventuale scoperta. «È dura mettere insieme un campione sufficientemente ampio per sperimentare una cura», rilevava. «Non c’è un vero incentivo commerciale». L’assenza di un sistema di assicurazione sanitaria privata, precisava, escluderebbe a priori la possibilità di un ritorno economico per 9

le compagnie farmaceutiche eliminando l’incentivo all’investimento. Il problema, in fondo, è tutto qui. «Attraversare tutte le fasi di approvazione fino al collocamento nel mercato costa centinaia di milioni di dollari. Una spesa che vale la pena affrontare solo se il farmaco può essere venduto a prezzi elevati e utilizzato regolarmente per lunghi periodi», ha osservato l’editorialista canadese Gwynne Dyer sulle colonne del settimanale The Georgia Straight. «Un vaccino da utilizzare una volta sola e destinato principalmente agli africani poveri», scriveva ad agosto, «non genererà mai un profitto». L’argomentazione può apparire banale, ma gli esempi, nota ancora Dyer, non mancano. Tra questi, rileva, ci sarebbe il caso degli antibiotici il cui sviluppo non sembra procedere di pari passo con la diffusione di batteri sempre più resistenti (vedi ARTICOLO in queste pagine). Un problema chiave, insomma, dal momento che l’Ebola, va da sé, non rappresenta certo l’unica emergenza sanitaria del continente (vedi MAPPA a pagg. 46-47). «Alcune epidemie – ricorda ancora Bellizzi – possono essere definite “ricorrenti”, a cominciare dal colera, ma anche il morbillo e la 10

3 05 agosto 2014, Kailahun. Sierra Leone. L’infermiere italiano Massimo Galeotti al lavoro in una delle aree a basso rischio del centro di trattamento Ebola di MSF a Kailahun, Sierra Leone. MSF ha iniziato a curare i pazienti affetti dal virus a Kailahun all’inizio di luglio 2014. Due settimane dopo l’apertura del centro, erano già stati curati più di 80 pazienti. SANDRA SMILEY/MSF

4 06 agosto 2014, Sierra Leone. Isatta è una bimba di 22 mesi e al primo test effettuato a seguito della morte per Ebola di entrambi i genitori risultava negativa. Qualche giorno dopo è stata riportata al centro di MSF perché mostrava i primi sintomi della malattia. Dopo tre settimane di trattamento, Isatta ha finalmente lasciato la zona ad alto rischio del centro. L’intera équipe di MSF ha accolto la piccola con un caloroso applauso per condividere questo momento di gioia. A 22 mesi, Isatta è tra i pazienti più giovani a essere sopravvissuti all’Ebola. SEBASTIAN STEIN/MSF 5 15 settembre 2014, Liberia. Mamadee, 11 anni, è stato ammesso al centro di trattamento Ebola di MSF a Foya, in Liberia, il 15 agosto. È risultato positivo al virus ma è guarito e il 4 settembre è potuto tornare a casa. MARTIN ZINGGL/MSF

6 02 settembre 2014, Liberia. Durante un’epidemia di Ebola, i riti funebri sono i vettori più determinanti del contagio. Per prevenire ulteriori contaminazioni, i sacchi contenenti i corpi privi di vita vengono disinfettati con acqua orinata dagli operatori di MSF e poi cremati in un forno crematorio. CAROLINE VAN NESPEN/MSF

7 30 agosto 2014, Liberia. Tutti gli operatori sanitari devono indossare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) prima di entrare nella zona calda o nell’area pazienti nel centro di MSF ELWA3 a Monrovia. Uno specchio accanto all'ingresso ricorda loro di controllare la loro protezione per evitare di lasciare zone scoperte. Questo potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte. ELWA3 è il Centro di Trattamento Ebola gestito da MSF a Monrovia. MORGANA WINGARD

8 Guéckédou, Guinea. In seguito a una chiamata telefonica, un’équipe di MSF si è recata presso l’abitazione di Finda Marie Kamano, una donna di 33 anni. La donna lamentava debolezza, vomito e dissenteria. Questi sintomi, insieme a febbre ed emorragia nasale sono caratteristici del virus Ebola. Un dottore in tuta protettiva visita Finda. SYLVAIN CHERKAOUI/COSMOS 9 Guéckédou, Guinea. Centro di trattamento Ebola. Nonostante la tuta protettiva, gli operatori di MSF cercano di mantenere un contatto umano con i pazienti, parlando con loro e avvicinandosi a una distanza tale da poterli guardare negli occhi. SYLVAIN CHERKAOUI/COSMOS

10 Conakry, Guinea. Un assistente di laboratorio lascia la stanza con dei campioni di sangue provenienti da casi sospetti. Il laboratorio stabilirà in poche ore se i campioni contengono o meno il virus Ebola. SYLVAIN CHERKAOUI/COSMOS

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internazionale epidemie costose

malaria che compaiono spesso in Paesi come Sudan ed Etiopia. In questi casi l’attenzione è molto minore, visto che le epidemie sono confinate esclusivamente all’Africa». Tra il dicembre 2013 e i primi undici giorni di agosto 2014, ha stimato l’Economist, i Paesi più colpiti dall’infe-

zione (Nigeria, Guinea, Liberia e Sierra Leone) hanno contato in media 4 decessi al giorno a causa dell’Ebola. Nello stesso periodo, si sono registrate mediamente 110 morti giornaliere per tubercolosi, 404 per diarrea, 552 per malaria, 685 per Hiv/Aids. ✱

IMPATTO ECONOMICO, LE PRIME STIME

Ottocento milioni di dollari di perdita da qui al 2015. Sarebbe questa, nel peggiore dei casi, la misura dell’impatto economico dell’Ebola sui tre Paesi più colpiti secondo l’analisi della Banca Mondiale. A conti fatti, ha ricordato il quotidiano Usa International Business Times (IBT), l’effetto Ebola potrebbe annullare completamente l’attuale tasso di crescita economica della Liberia, (+6,8% annuo) fino a condurre il Paese in forte recessione (-4,9%) bruciando, in definitiva, qualcosa come 228 milioni di dollari, pari all’11,7% del Pil. Un destino non dissimile a quello ipotizzato, nello scenario peggiore, per gli altri due Paesi maggiormente colpiti: Guinea e Sierra Leone (vedi TABELLA ). Ma le ricadute più gravi, in valore assoluto, si registrerebbero soprattutto oltreconfine. L’impatto dell’effetto panico, ad esempio, sarebbe già costato all’economia nigeriana circa 2 miliardi di dollari nel corso del terzo trimestre dell’anno, nota Anna Rosenberg, specialista del comparto Africa Sub-sahariana presso la società di consulenza Frontier Strategy Group, citata dallo stesso IBT. La Costa d’Avorio ha da tempo chiuso le frontiere con i Paesi interessati dall’epidemia, un provvedimento che rischia di complicare le operazioni di export del cacao, la materia prima di cui il Paese resta di gran lunga il primo produttore mondiale (vedi Valori n. 122, ottobre 2014). Per dirla in estrema sintesi, insomma, l’epidemia potrà (forse) essere circoscritta. Ma le ricadute economiche saranno decisamente più estese. [M.Cav.] I COSTI ECONOMICI DELL’EBOLA

FONTE: WORLD BANK, 2014. IN INTERNATIONAL BUSINESS TIMES, SETTEMBRE 2014. DATI IN DOLLARI USA, TRA PARENTESI, DOVE DISPONIBILE, IL VALORE % RISPETTO AL PIL

Guinea Liberia

Sierra Leone Totale

Breve periodo 2014

Medio periodo 2015 (scenario migliore)

Medio periodo 2015 (scenario peggiore)

66 mln (3,4%)

82 mln (4,2%)

228 mln (11,7%)

97 mln

809 mln

130 mln (2,1%)

163 mln (3,3%) 359 mln

43 mln (1,0%)

59 mln (1,2%)

CARNE BUONA PER I BATTERI di Corrado Fontana

La resistenza agli antibiotici provoca migliaia di morti ogni anno e passa per le cattive abitudini degli allevamenti e degli ospedali. Un allarme globale in cui il pubblico si preoccupa e il privato non investe più 46

142 mln (2,3%)

439 mln (8,9%)

«Senz’altro si è verificato un disinvestimento delle ditte, proprio perché non c’era la probabilità di avere dei ritorni di mercato sufficientemente rapidi», a dire così, trattando dello stato della ricerca scientifica globale sugli antibiotici, è il professor Gianni Tognoni, direttore Scientifico della Fondazione Mario Negri Sud e figura di rilievo internazionale in ambito di clinica medica. Perché da qualche anno il problema dell’inefficacia dell’impiego di questa famiglia

HAITI

Colera Nel corso del 2013 si sono registrati ufficialmente circa 129 mila casi di colera (-47% rispetto all’anno precedente) in 47 Paesi con un tasso di mortalità dell’1,63% (2.102 decessi totali).

FONTE: WHO, “WEEKLY EPIDEMIOLOGICAL RECORD”, AGOSTO 2014

Febbre gialla Le stime diffuse nel 2013 parlano di un numero di casi variabile tra 84 e 170mila per anno. Il numero dei morti oscilla tra un minimo di 29mila a un massimo di 60mila. FONTE: WHO, “YELLOW FEVER BURDEN ESTIMATION”, 2013

di farmaci, discendenti dalla penicillina scoperta nel 1928, si è fatto serio anche per l’agenda politica di Europa e Stati Uniti. Una questione connessa strettamente alla società del benessere, dove il consumo di carne è elevato (e in forte aumento in Cina e nelle economie emergenti), e dove gli allevamenti intensivi trasformano in cibo animali imbottiti in maniera preventiva di farmaci, e in misura sempre maggiore, per mantenere le bestie sane e quindi economicamente redditizie, in presenza di agenti patogeni via via più aggressivi. Il fatto è che in questo modo si “allevano”, insieme a valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


epidemie costose internazionale

CINA SENEGAL MAURITANIA MALI GHANA BURKINA FASO GAMBIA GUINEA BENIN CAMERUN COSTA D’AVORIO NIGERIA REP. DEM. DEL CONGO

NIGER CHAD SOMALIA ETIOPIA REPUBBLICA CENTRAFRICANA SUDAN

INDONESIA

ANGOLA NIGERIA

AFRICA SUB-SAHARIANA Meningite Gli ultimi dati disponibili, risalenti al giugno 2013, parlano di 9.250 casi sospetti in 18 dei 19 Paesi africani sotto osservazione da parte della WHO. I morti sono stati 857.

FONTE: WHO, “MENINGOCOCCAL DISEASE: 2013 EPIDEMIC SEASON IN THE AFRICAN MENINGITIS BELT”, 2013

mucche, polli o maiali, anche batteri sempre più resistenti. L’uomo, che tramite la carne assume grandi quantità di farmaci in modo inconsapevole, contribuisce ad alimentare questo processo: un rapporto dell’autorità federale americana pubblicato nel 2013 dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) sostiene che più del 50% di tutti gli antibiotici prescritti ai pazienti statunitensi sarebbero non necessari o non prescritti con attenzione. Non solo. Ogni anno negli USA due milioni di persone si ammalerebbero a causa di batteri resistenti agli antibiotici e almeno 23 mila pervalori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

Malaria Nel corso del 2012, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, ci sono stati nel mondo da 135 a 287 milioni di casi. Il numero dei morti varia da un minimo di 473mila a un massimo di 789 mila. Il 90% dei decessi si verifica nell’Africa Sub-sahariana. FONTE: WHO, “WORLD MALARIA REPORT”, DICEMBRE 2013

sone morirebbero per infezioni correlate. L’amministrazione Obama ha provato a reagire creando una task force che entro febbraio relazionerà sull’argomento e istituendo un premio da 20 milioni di dollari per lo sviluppo di test diagnostici che individuino infezioni batteriche altamente resistenti. La UE già nel 2011 ha lanciato un’ampia campagna (ma la pagina web della versione italiana, antibioticoresponsabile.it, è vuota) per contrastare un fenomeno che minaccia in misura crescente in primis i pazienti più gravi sottoposti a terapie oncologiche e intensive ogni giorno più pe-

Morbillo Nonostante la diffusione del vaccino abbia ridotto i decessi del 78% tra il 2000 e il 2012, ricorda la WHO, il morbillo resta oggi una delle principali cause di morte per gli individui al di sotto dei 5 anni di età. Nel 2012, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, il totale dei decessi ha raggiunto quota 122mila.

FONTE: WHO, “MEASLES FACT SHEET N°286”, FEBBRAIO 2014; “REPORTED MEASLES CASES OF INCIDENCE RATES BY MEMBER STATES”, 6 OTTOBRE 2014.

santi. Tognoni, che ricorda la necessità di educare innanzitutto i medici, sottolinea come si stia scontando «l’abitudine negli ospedali di usare troppo precocemente i farmaci di seconda e terza scelta», cioè i più innovativi, senza lasciare a quelli tradizionali l’opportunità di essere impiegati con efficacia, e bruciando così subito, in qualche modo, le cartucce migliori. Tanto più che, conclude, «nel caso degli antibiotici la resistenza nei batteri è determinata da una mutazione, con la nascita di nuovi ceppi biologici, per cui la ricerca richiede più tempo». ✱ 47


internazionale libero scambio

Ttip: l’accordo Dracula torna dal passato di Paola Baiocchi

Alla fine del Novecento il trattato commerciale Ami tra 29 Paesi dell’area Ocse era considerato “una macchina da guerra delle multinazionali contro gli Stati”. Era stato bloccato. Oggi si ripresenta

E

ra il 15 ottobre 1998 quando Libération titolava con un gioco di parole tranchant: “Jospin: Adieu l’AMI, salut les copains”. L’allora primo ministro socialista, Lionel Jospin, annunciava così ufficialmente che la Francia non avrebbe più preso parte alla trattativa per l’Accordo multilaterale sugli investimenti, chiamato “Ami”. Criticando apertamente l’intera architettura del trattato multilaterale, perché avrebbe costituito una macchina da guerra in grado di strangolare la democrazia e la sovranità degli Stati, la Francia, con la sua dichiarazione di non riformabilità del trattato, dava il via, con un effetto domino, a una serie di abbando-

ni che portavano alla chiusura della negoziazione tra i 29 Paesi dell’area Ocse. Dopo esser stato discusso in segreto per tre anni a partire dal 1995, l’Ami veniva archiviato, ma non il progetto di un’area di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, tanto che le negoziazioni sono continuate e ora viene riproposto con il nome di “Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti”, in inglese Ttip - Transatlantic trade and investment partnership.

LOTTE DI FINE MILLENNIO Se l’Ami era stato definito dalla politologa e attivista

ALCUNI ACCORDI MULTILATERALI NAFTA

GATT

Il General Agreement on Tariffs and Trade, l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio, conosciuto come Gatt, è un accordo internazionale firmato nel 1947 a Ginevra da 23 Paesi che ha stabilito le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale.

48

Nafta: North American Free Trade Agreement è un trattato multilaterale che unisce già dal 1994 Stati Uniti, Messico e Canada. Al vertice americano dell’aprile 2001 il Nafta è stato esteso ad altri Stati dell’America del Nord e del Sud, con l’esclusione di Cuba. Contiene clausole che permettono alle società di fare causa agli Stati per ottenere l’annullamento di leggi ambientali o sociali che costituiscono un ostacolo alla totale libertà del commercio.

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


franco-americana, Susan George, “l’accordo Dracula” perché alla luce del sole scompariva e solo grazie a fughe di notizie si erano avute informazioni sul suo testo, anche la discussione sul Ttip si sta svolgendo in sessioni a porte chiuse a Washington e a Bruxelles. L’impianto dell’accordo però è conosciuto: realizzare una zona di libero scambio transatlantico tra l’Unione europea e gli Stati Uniti entro il 2015. Sono già stati firmati almeno tremila di questi accordi multilaterali, sia tra partner della stessa area geografica (vedi BOX ) che transcontinentali. Perché, allora, nei confronti del nuovo partenariato l’attenzione pubblica sta raggiungendo il livello di guardia e si stanno organizzando fronti anti Ttip sulle due sponde dell’Oceano Atlantico? Perché se il Ttip venisse siglato verrebbe istituita una zona di libero scambio che rappresenterebbe il 45,5% del Pil del mondo, la più grande area di questo genere nella storia del commercio. Ma bisogna fare attenzione all’uso distorto del termine “libero”, perché all’interno dell’area dimorerebbero libertà solo per le imprese, mentre agli Stati resterebbe il compito di legiferare in modo da non danneggiare i profitti – immediati o futuri – delle imprese. Leggi più morbide per le imprese, perché, una volta firmato il trattato, gli Stati potranno essere sottoposti alla giustizia molto particolare dei tribunali arbitrali (vedi ARTICOLO a pag. 50).

DIFFERENTI PRINCIPI Tra le due sponde dell’Atlantico ci sono profonde differenze nel modo di produrre: nel Vecchio Con-

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / WORLD DEVELOPEMENT MOVMENT

libero scambio internazionale

tinente la tutela della salute e le norme ambientali si modellano sul principio di precauzione, negli States sulla gestione del rischio. Conservanti, coloranti, ormoni e altri additivi alimentari che in Europa sono fuori legge da anni, circolano tranquillamente nel cibo degli statunitensi, così come gli Ogm, o prodotti chimici pericolosi o automobili più inquinanti rispetto agli standard europei. «Un accordo come il Ttip – spiega Alberto Zoratti, presidente dell’Osservatorio italiano sul clima e il commercio, Fairwatch – non riguarda dazi o tariffe, ma prevede di abbattere le barriere normative differenti, per permettere alle imprese di invadere i mercati del vicino prossimo. In sostanza alle

I manifestanti contro il commercio Ue-Usa (Ttip - Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) marciano dalla sede di Londra della Commissione europea e del Parlamento europeo, in Smith Square, Londra

IL PACCHETTO DI BALI

ALBA

L’Alleanza bolivariana per le Americhe è un progetto avviato nel 2004 di cooperazione politica, sociale ed economica tra i Paesi dell’America Latina e i Paesi caraibici, che contrappone al liberismo una visione sociale degli scambi finalizzati alla creazione di vantaggi cooperativi fra le nazioni che permettano di compensare le asimmetrie tra i livelli di sviluppo.

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

Nel dicembre 2013 a Bali l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) ha annunciato di aver approvato uno “storico accordo sulla liberalizzazione degli scambi internazionali”, il primo da quando il Wto è stato fondato nel 1995. Il testo sottoscritto da 159 Paesi prevede un’ampia gamma di misure per facilitare gli scambi commerciali tra Nord e Sud del mondo, tra Paesi a capitalismo avanzato e altri in via di sviluppo. Salutato dall’allora primo ministro Letta come l’accordo in grado di mettere in moto guadagni per 1.000 miliardi di dollari, invece per l’osservatorio Tradegame (costituito da Arci, Cgil, Fairwatch e Legambiente) pone impegni pesantissimi per i Paesi emergenti.

49


internazionale libero scambio

Con il Ttip verrebbe istituita una zona di libero scambio pari al 45,5% del Pil mondiale multinazionali statunitensi di entrare nella vecchia Europa». I campi su cui si sta trattando riguardano le sostanze chimiche, i prodotti cosmetici, i veicoli a motore, i prodotti farmaceutici, il tessile e l’abbigliamento. Nei documenti messi a disposizione dalla Direzione generale Trade della Commissione europea si ammette apertamente che: «Le attuali normative dell’Ue e degli Stati Uniti sulle sostanze chimiche sono sostanzialmente diverse. Pertanto non è possibile procedere né alla loro armonizzazione né al riconoscimento reciproco». Come si pensa allora di arrivare a un punto comune? Uno dei mezzi proposti è «condividere i dati e proteggere in maniera più efficace le informazioni commerciali riservate».

Un’aggiunta di segretezza che non può certo tranquillizzarci, tanto che dall’inizio di ottobre si stanno moltiplicando le manifestazioni in tutta Europa contro il Trattato transatlantico e la parola d’ordine “No Ttip” è entrata nelle mobilitazioni sindacali della Fiom-Cgil per la difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, a ribadire che la tutela dei diritti dei lavoratori e la difesa dei diritti dei consumatori sono due facce della stessa medaglia. Un altro dei terreni su cui la battaglia sarà dura è quello dei prodotti a denominazione di origine protetta, i Dop che formano le nostre eccellenze alimentari, dal parmigiano al culatello, che si troveranno a competere con l’asiago o il parmesan del Wisconsin. «Con l’adozione del Ttip si tratterebbe di lasciare mano libera al mercato per uno svuotamento completo non solo dei valori dei territori – continua Zoratti – ma anche del potere di rappresentanza delle istituzioni e del potere dei cittadini di esprimere le proprie norme». ✱ trade.ec.europa.eu

L’ARBITRO DELLE MULTINAZIONALI di Paola Baiocchi

Dopo la firma del trattato Ttip le imprese statunitensi potranno citare gli Stati europei presso una corte arbitrale e viceversa. In questi giudizi gli Stati non possono vincere, possono solo pagare delle sanzioni o riscrivere le leggi come le vogliono le imprese Dopo la firma del trattato Ttip le imprese statunitensi potranno citare in giudizio presso una corte arbitrale gli Stati europei e viceversa. Il modo di fare giustizia di questi organismi è molto diverso da quella amministrata in “nome del popolo”. Esiste, per esempio, l’Isds per la risoluzione delle controversie investitore-Stato (InvestorState dispute settlment), a cui in genere ricorrono le imprese che ritengono siano state violate delle norme dell’accordo Nafta. Oppure l’Icsid, il Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti, un organismo della 50

Banca Mondiale con sede a Washington. In queste corti i giudici non sono dei dipendenti o dei funzionari governativi della Giustizia, sono degli esperti di giurisprudenza provenienti da Paesi diversi, che vengono nominati in numero di tre per ogni causa. Il pubblico non è ammesso alle udienze e il verdetto non è appellabile. Altra differenza con la giustizia normale è che gli accordi raggiunti possono restare segreti in parte o totalmente. «Un peggioramento persino rispetto al Wto dove uno Stato può citare in giudizio un altro Stato e le sentenze sono appellabili», spiega Alberto Zoratti che, con l’osservatorio italiano sul clima e il commercio Fairwatch, aderisce alla campagna No Ttip. «Con il Trattato transatlantico una grande compagnia petrolifera potrà fare causa, per esempio, a uno Stato europeo contrario al fracking chiedendogli grosse somme per i mancati profitti». Le imprese danno i confini ai Paesi Al momento una delle cause depositate presso l’Icsid è quella della Vattenfall, una società energetica svedese, che ha citato in

giudizio la Repubblica federale della Germania (e quindi tutti i cittadini tedeschi) perché il gruppo svedese ha dovuto chiudere due centrali nucleari che gestiva, a seguito dell’abbandono del nucleare da parte di quel Paese. Nel 2009 la Vattenfall aveva anche citato la municipalità di Amburgo perché aveva posto delle condizioni severe per l’apertura di una centrale a carbone sul fiume Elba, temendo che il prelievo dell’acqua avrebbe danneggiato l’ecosistema del fiume. La richiesta di risarcimento presentata dalla Vattenfall era stata di 1,4 miliardi di euro, perché le norme a tutela dell’ambiente avevano ridotto la redditività dell’impianto. La vicenda si era poi chiusa con una conciliazione in cui la Vattenfall aveva rinunciato all’indennizzo a fronte di norme meno rigide. «All’interno di uno Stato un’azienda può essere ricondotta ai fini di utilità sociale in base alla Costituzione», dice Massimiliano Lepratti, presidente dell’associazione Economia e sostenibilità. «Ma qui il diritto al profitto diventa sovracostituzionale e c’è un rovesciamento del principio per cui sono le imprese a dare i confini ai Paesi. Se si arrivasse a una formalizzazione giuridica sarebbe una vera follia in cui ogni norma potrebbe essere messa in discussione». ✱ valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


social innovation

Global superfood

di Andrea Vecci

PHOTO BY SAMUEL STACEY, 2012

Attorno al pesce innovazioni sociali

l pesce è un alimento strepitoso, ci dicono i nutrizionisti. È una rara fonte di acidi grassi polinsaturi omega-3 capace da sola di ridurre il rischio di malattie cardiache di un terzo. Nei Paesi in via di sviluppo è una delle poche fonti di micronutrienti (zinco, ferro, calcio e vitamina A) e di proteine di alta qualità, alla portata di bassissimi redditi e di età vulnerabili come l’infanzia e la vecchiaia. Più di un miliardo di poveri ottengono la maggior parte delle proteine animali da pesci e 800 milioni dipendono dalla pesca e dall’acquacoltura per i loro mezzi di sussistenza. Le politiche internazionali causano spesso la concentrazione dei diritti allo sfruttamento del mare a un numero limitato di soggetti, con l’esclusione dei piccoli pescatori. In Sudafrica, ad esempio, le riforme nel settore della pesca adottate nel 2005 hanno portato alla esclusione del 90% dei 50mila piccoli pescatori presenti nel Paese. Alcuni degli operatori commerciali scelgono di rifornire solo i mercati d’esportazione a scapito dei consumatori locali. Lo sfruttamento eccessivo della pesca dell’oceano ha provocato una maggiore dipendenza dei mercati dall’acquacoltura per soddisfare le crescenti richieste di questo global superfood. La Fao stima che l’acquacoltura fornisca 4,5 miliardi di chili di pesce consumato negli Stati Uniti e il 48% del pesce consumato a livello globale. L’acquacoltura è il settore di produzione alimentare in maggior crescita al mondo,

I

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

Una delle più grandi sfide dell’umanità sarà quella di aumentare la produzione di pesce, ridurne al minimo l’impatto ambientale e rendere accessibile il pescato per i consumatori più poveri al ritmo di un +8% annuo. Dentro questo mercato stanno crescendo anche molte realtà del terzo settore, istituti di ricerca, fondi di impact investing e organizzazioni non governative, per migliorare gli impatti sociali e ambientali di questa attività produttiva. WorldFish è una impresa senza scopo di lucro, membro del CGIAR Consultative Group on International Agricultural Research, che si dedica, grazie all’acquacoltura, alla riduzione della povertà rurale, aumentando la sicurezza alimentare, il miglioramento della salute umana, garantendo una gestione più sostenibile delle risorse naturali in Bangladesh, Cambogia, Egitto, Malawi, Malaysia, Filippine, Isole Salomone e Zambia. Ma non c’è solo il mondo delle Ong che da sempre si occupa della sussistenza nei Paesi in via di sviluppo. L’interconnessione alimentare fa sì che anche il mondo della finanza d’impatto si orienti verso investimenti più sostenibili. Future of Fish è un incubatore non profit che lavora con gli imprenditori del settore e con gli investitori per creare soluzioni di business a sfide “oceaniche”. Si concentra, non solo sui problemi ambientali e sociali, ma anche sulle filiere produttive sviluppando nuovi modelli di labelling e certificazione, di contrasto alla pesca illegale, di catena dei rifiuti dei molluschi e di assicurazioni finanziarie ad hoc per i produttori. A New York, come a Milano, è di moda consumare cibo locale, ma a nessuno verrebbero in mente i frutti di mare o i crostacei. Oko Farms di Brooklyn sviluppa un ibrido di acquacoltura e coltivazione idroponica in cui le acque di scarico delle vasche dei pesci, dei molluschi e dei crostacei di acqua dolce sono riutilizzate per fornire nutrienti e fertilizzanti per le piante orticole. In cambio, le piante filtrano i rifiuti tossici dalle acque creando un sistema di riciclaggio estremamente efficiente che riduce i livelli di inquinamento tipici delle pratiche di acquacoltura attuali. Se siamo in grado di allevare pesce sostenibile a Brooklyn, allora si può fare ovunque! ✱ 51


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Se il design strizza l’occhio alle rinnovabili, nascono oggetti di uso quotidiano che impiegano la tecnologie dell’energia pulita, ma non rinunciano all’aspetto estetico. Come le lampade da esterni ’O SUN, disegnate e prodotte con qualche ambizione di stile (e a prezzi decisamente di mercato) da una società di Hong Kong. www.o-sun.net WWW.O-SUN.NET/PRESS

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valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


NEWS

Lotta di classe nelle urne brasiliane

Dilma Rousseff, del Partido dos Trabalhadores (Pt) è stata riconfermata per un altro mandato presidenziale nel ballottaggio del 26 ottobre scorso.

Il vantaggio con lo sfidante socialdemocratico, Aécio Neves, è di poco più di tre punti: il 51,6% contro il 48,4%. La prima dichiarazione della Rousseff è stata un invito al dialogo, necessario dopo una campagna elettorale esasperata che i media hanno definito “lotta di classe nelle urne”, in cui le contraddizioni del Paese sono state

accentuate, con la crescita ferma al +0,2% e l'inflazione al 6,8%. Con il Brasile del Nord e Nordest, povero e a maggioranza nera e meticcia, che ha votato la Rousseff, e il Sud più industrializzato che ha votato Neves, appoggiato dal capitale finanziario che ha sempre fatto lievitare le Borse quando i pronostici gli erano favorevoli.

VALORITECA 

TASSO DI DIFFUSIONE DEI SOCIAL NETWORK NEGLI STATI UNITI, PER ETÀ

FONTE: COMSCORE NOVEMBER 2013 / WWW.BUSINESSINSIDER.COM

18-34 anni

80%

35-54 anni

più di 55 anni

Oltre delle munizioni utilizzate dall’Isis sarebbe stato realizzato in Cina, Usa, ex URSS e Serbia

4 PRODUTTORI

l

17% 5% 1%

p

27% 33% 32%

U

27% 26% 15%

t

30% 19% 12%

39% 32% 18%

f

46% 27% 12%

Lo sostiene un’indagine campionaria sulla provenienza dei proiettili citata a ottobre dal NY Times. Parte del materiale sarebbe stato sottratto in battaglia alle truppe governative. Il resto sarebbe stato acquistato (o acquisito in caso di arruolamento) da altri gruppi ribelli e da ufficiali corrotti delle forze di sicurezza irachene e siriane. www.nytimes.com

91% 85% 69%

divenuti, loro malgrado, fornitori involontari dei terroristi.

I MIGLIORI TWEET DEL MESE Il Venezuela adesso importa petrolio. Default sempre più vicino 18 ottobre @sole24ore

The average Norwegian offshore oil worker earned $179,000 last year:

[In media un norvegese che ha lavorato su una piattaforma petrolifera off shore l’anno scorso ha guadagnato 179.000 dollari]

Nei primi 7 mesi dell'anno hanno chiesto asilo in Germania oltre un milione di profughi, in Italia 128mila 21 ottobre @mariocalabresi

20 ottobre @BloombergNews

valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014

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bancor

Salmond perde il referendum

La Scozia vince una battaglia storica dal cuore della City Luca Martino

HTTP://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG / SCOTTISH PARLIAMENT

lex Salmond ha perso la sfida della vita, ma ha certamente contribuito a scrivere una delle pagine più belle della recente storia britannica, e lo ha fatto in prima persona, sfiorando, contro ogni pronostico, una vittoria nella quale forse non credeva neanche lui. Di critiche, ai limiti dello sfottò, non ne sono mai mancate al Primo ministro scozzese, fin da quando si fece accompagnare da una macchina di servizio nel breve tragitto che separa il parlamento di Edimburgo da Holyroodhouse Palace, sede ufficiale della regina, e il giorno dopo Elisabetta se la fece a piedi. Oppure quando scelse il lussuosissimo Peninsula per una trasferta “istituzionale”, con moglie al seguito, per un torneo di golf a Chicago; o ancora quando dimenticò il rimborso di qualche sterlina spesa per un paio di pantaloni durante una visita ufficiale in Cina. Quisquilie forse, ma, nella terra della Magna Carta e del Freedom of Information Act, per simili episodi si rischia una carriera. Del resto, nelle settimane prima del voto, di fronte all’offensiva a dire poco massiccia dei “poteri forti” di Westminster e della City, era scivolato su ambigue promesse di fiscalità “all’irlandese” ed era sembrato meno convinto sulle royalties delle multinazionali del petrolio attive nel Mare del Nord, suo antico cavallo di battaglia. Aveva persino aggiustato il tiro sull’annosa questione della flotta nucleare britannica di stanza a Faslane, ribadendo l’adesione convinta di una futura Scozia indipendente sia all’Unione

A

54

Europea che alla Nato. Questo ha probabilmente scoraggiato alcuni tra gli alleati della sinistra radicale che ricordavano il Salmond del Gruppo del ’79 (espulso, per un periodo, dallo Scottish National Party per le manifeste suggestioni socialiste / repubblicane) o la sua furiosa protesta contro la pool tax ai tempi della Thatcher, che gli costò una settimana di espulsione dai Comuni subito dopo la sua prima elezione. Ma Salmond è, diremmo noi, un uomo “di lotta e di governo”, ed è lui a rappresentare oggi la Scozia nel mondo più di ogni altro, al pari del mitico re Robert The Bruce o, se volete, dei Simple Minds. E fa certamente onore a un politico longevo più dei coetanei Blair e Brown (anche loro di natali scozzesi) e che è stato Primo ministro più a lungo di ogni suo predecessore, l’aver annunciato dimissioni irrevocabili a poche ore dall’esito di un referendum al quale ha partecipato l’85% degli elettori con un’adesione alla causa indipendentista del 46%. Il modo stesso con il quale, insieme a Cameron, ha portato la Scozia allo storico voto popolare farà scuola per così dire: prima le (difficili) negoziazioni con Londra, senza che a nessuno nel suo governo sia sfuggito un solo commento fuori posto; poi l’impegno alla formulazione di un quesito unico e diretto (avrebbe quasi certamente vinto con una seconda domanda su una maggiore devolution) e l’estensione del diritto di voto ai giovani di 16 e 17 anni (i più attratti dalle luci del Tamigi); infine, l’assicurazione a cooperare nel miglior interesse dei due popoli anche (e soprattutto) in caso di un sì all’indipendenza. E questo, grazie anche al beneplacito (non scontato) della casa reale, aveva portato, prima ancora del voto, a significative concessioni alla già forte autonomia scozzese, sia in tema di tasse che di ripartizione della spesa pubblica. «I popoli imparano più da una sconfitta, che non i re dal trionfo», diceva Mazzini, e se oggi il popolo scozzese si ritrova più forte e ricco di prima lo deve anche e soprattutto al suo leader Alex Salmond. ✱ todebate@gmail.com valori / ANNO 14 N. 123 / NOVEMBRE 2014


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Anno 14 numero 123 novembre 2014

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ISBN 978-88-99095-01-7

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