Mensile Valori n. 109 2013

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 13 numero 109. Maggio 2013. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

REUTERS / MAX ROSSI

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Liberaci dal male Su Papa Bergoglio la speranza del cambiamento: dallo Ior alla finanza intera Finanza > Pronti a una nuova bolla. Questa volta tocca alle obbligazioni spazzatura Economia solidale > Superato il Pil, l’Istat sforna i nuovi indicatori del benessere ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > La malavita italiana dietro il crollo del big cinese |del fotovoltaico Suntech


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| editoriale |

I messaggi di Francesco di Luigino Bruni

F

L’AUTORE Luigino Bruni È nato ad Ascoli Piceno nel 1966. È professore associato di Economia politica all’Università Milano Bicocca e all’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Firenze). È vicedirettore del centro interuniversitario di ricerca sull’etica d’impresa Econometica; coordinatore del progetto Economia di Comunione e membro del comitato etico di Banca Etica. Tra gli ultimi libri pubblicati: “L’ethos del mercato”, Bruno Mondatori (2010); “Dizionario di economia civile”, con S. Zamagni, Città Nuova (2009); “Benedetta Economia”, con A. Smerilli, Città Nuova (2008); “Reciprocity, altruism and civil society”, Routledge (2008).

rancesco è un nome che da solo dice molte cose, anche all’economia e alla finanza. Il movimento francescano è all’origine di un’importante tradizione di banca e di finanza, i cosiddetti Monti di Pietà, i veri prodromi della finanza popolare e solidale. Francesco ci ricorda che nella nostra storia la finanza non è mai stata, né è, soltanto massimizzazione di rendite; è stata, ed è, anche strumento per il Bene comune, e quindi per i poveri. C’è una finanza per includere i poveri e una per escluderli, due finanze che convivono nella stessa strada, spesso una di fronte all’altra, ma ben diverse per natura, cultura, e frutti civili. Di fronte alle usure del loro tempo i francescani non fecero solo prediche: diedero vita a banche diverse che curassero le ferite prodotte da quelle sbagliate. Oggi il nostro capitalismo finanziario non sta piagando i poveri meno di quanto facessero gli usurai nel Medioevo, perché alle antiche usure degli strozzini si aggiunge oggi tutta un’usura semi-legalizzata che in questi tempi di crisi sta aumentando giorno dopo giorno, è sufficiente saltare un paio di rimborsi di un mutuo per accorgersene. Se oggi vogliamo ascoltare e raccogliere il messaggio di Francesco dovremmo non solo organizzare conferenze e scrivere libri sulla finanza etica: dovremmo avere la forza civile e morale per dar vita a nuove istituzioni finanziarie e a banche diverse. Iniziando da una riforma dello Ior: se c’è un perché coerente il Vaticano debba avere una banca, questo è mostrare una eccellenza di trasparenza e di eticità, che usa i risparmi per l’inclusione dei più poveri, motore di una economia sociale e civile, esattamente quanto oggi lo Ior non è. Il secondo messaggio di Francesco si chiama povertà. Ma quale? Da Francesco sappiamo che la povertà è il dramma di chi la povertà-miseria la subisce, ma è anche la felicità di chi la povertà la sceglie liberamente, magari per liberare altri da povertà non scelte. Francesco ci ricorda che solo chi ama la buona povertà sa vedere, e quindi combattere, quella cattiva. Il capitalismo filantropico sta aumentando le fondazioni che si occupano di povertà, senza però che tra chi aiuta e chi è aiutato si crei nessun incontro autentico. La fraternità di Francesco inizia quando abbraccia e bacia il lebbroso di Assisi. Francesco ci spinge allora a combattere la cultura dell’immunità, la cultura dell’anti-abbraccio, che aumenta i contratti di cura dei ricchi, i professionisti della cura dei poveri tenuti ben lontani dalle città, e riduce gli abbracci con i poveri. Infine (ma dovremmo continuare ancora molto), dire Francesco è dire anche Chiara. La chiesa di Francesco sarà francescana se sarà anche la chiesa di Chiara, con un maggior protagonismo della donna, che oggi è troppo assente dal governo della chiesa cattolica, un’assenza da cui dipende anche quella malattia morale che tanto ha fatto soffrire papa Ratzinger e tutti noi. Dove non c’è il femminile, o c’è male, non c’è tenerezza, o ci sono tenerezze sbagliate. Un primo segno potrebbe essere un maggior riconoscimento economico delle suore che lavorano nelle strutture della chiesa, che ad oggi, a differenza dei colleghi maschi, spesso lavorano di fatto gratis e senza contributi. Quando esiste una oggettiva asimmetria di potere e di status, il riconoscimento monetario dice dignità. La cultura di Francesco ci insegna che gratuità non è il gratis (prezzo zero), ma un prezzo infinito, che riconosce il valore della charis, della grazia, e quindi anche della donna. Messaggi forti e carichi di speranza per i cattolici e per tutti: spetta a noi, e alle gerarchie ecclesiastiche, volerli accogliere e tradurre in vita e prassi istituzionali.  | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 3 |



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| sommario |

maggio 2013 mensile www.valori.it anno 13 numero 109 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop.,Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione Paolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva (presidente@valori.it), Sergio Slavazza direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Andre Schumacher (Contrasto); Osservatore Romano, Max Rossi, Yuya Shino, Stringer (Reuters); Andrea Calori; Beatrice De Blasi

Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936. Da vescovo della capitale argentina è diventato Pontefice il 13 marzo 2013. Su di lui si posano grandi speranze di rinnovamento per la Chiesa.

fotonotizie dossier Liberaci dal male Papa Bergoglio, scommessa sudamericana Crescita, rating ed equità. Il modello “latino” E se la Chiesa si affidasse alla finanza etica? Ior, il futuro (incerto) dei banchieri di Dio La finanza vaticana tra mafia, tangenti e riforme incompiute

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri. chiusura in stampa: 24 aprile 2013 in posta: 30 aprile 2013

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Involucro in Mater-Bi®

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Junk bonds. Se l’elefante si aggira nel mercato Se la finanza non serve all’economia reale Banca Etica, pronta a crescere ancora Dieci anni di Terra Futura: «Noi, l’alternativa alla crisi»

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numeridellaterra economiasolidale

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Stiamo meglio se condividiamo Misuriamoci sul benessere La riscossa del Sud Si fa presto a dire sviluppo Gas lombardi al microscopio Il legno tricolore s’è perso nel bosco Due diligence e certificazioni: per un legno legale

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consumiditerritorio internazionale

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Nuvole italiane sul sole made in China Tutti flessibili, anzi no Turchia. Alle porte dell’Europa

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socialinnovation altrevoci bancor resistenze

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Lettere, contributi, informazioni, promozione, amministrazione e pubblicità Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano - tel. 02.67199099 - fax 02.67479116 e-mail info@valori.it / segreteria@valori.it - www.valori.it

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Un giovane volto di donna, uno sguardo intenso e deciso. May Wan Posa Dominado, chiamata così da sua madre dopo la seconda incarcerazione per motivi politici, e poi soprannominata May One, primo maggio, è un’avvocatessa che si batte per far luce sulla sequela di enforced disappearances (sparizioni forzate) e omicidi che nelle Filippine colpiscono sindacalisti, attivisti dei diritti umani, ambientalisti, contadini e insegnanti impegnati nella rivendicazione di una riforma agraria e nella difesa dei diritti dei lavoratori. La madre di May Wan, membro del Cda di Pftc Filippine, organizzazione di commercio equo locale che produce per Altromercato lo zucchero di canna Mascobado, fu rapita dall’esercito il 12 aprile 2007 insieme a Nilo Arado, portavoce dell’organizzazione contadina di Panay, ma la loro vicenda è solo uno degli esempi di un fenomeno di violazione sistematica dei diritti umani. Dal 2001 a oggi sono più di un migliaio le vittime di uccisioni arbitrarie e di sparizioni, in sostanziale continuità tra la precedente presidenza di Cory Aquino e l’attuale presidente Benigno Simeon “Noynoy” Cojuangco Aquino III, suo figlio. Una situazione drammatica sostenuta da un legame forte tra Filippine e Stati Uniti d’America, che formano le forze militari locali impiegate negli sfollamenti violenti dei contadini per far posto soprattutto agli interessi minerari. Gli agricoltori, riconcettualizzati come ribelli da che rivendicano con forza una riforma agraria contro l’attuale sistema pseudo-feudale di gestione della terra, continuano intanto a morire e scomparire, come anche chi li sostiene: oggi May Wan, che lavora con l’ong Desaparecidos, segue in particolare la sparizione dell’attivista Jonas Burgos (dal 2008) e di Sheryl Cadapan e Karen Empeno (dal 2006), studenti universitari in contatto coi movimenti degli agricoltori. [C.F.] www.karapatan.org www.hrw.org www.mandacaru.it www.altromercato.it [May Wan, attivista della ong Desaparecidos].

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BEATRICE DE BLASI / HTTP://BEATRICEDEBLASI.PHOTOSHELTER.COM

Il primo maggio in un nome


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Il videogame che sfida le corporations

[Un’immagine del videogame nel quale i cittadini si battono contro i grandi evasori fiscali].

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WWW.TAXEVADERS.NET

Le astronavi sorvolano la città portando miseria e distruzione. Gli edifici crollano e con essi vanno a picco i servizi sociali di un Paese che sconta gli inevitabili tagli alla spesa pubblica. Ma forse c’è ancora speranza, soprattutto se a muoversi sono i cittadini informati pronti a dare battaglia. Sono i protagonisti di Tax Evaders, l’ultimo progetto lanciato da Gan Golan, autore, artista e attivista statunitense, in collaborazione con un network di organizzazioni tra cui Occupy Wall Street. Basta collegarsi al sito www.taxevaders.net per ritrovarsi di colpo in un videogame anni ’80. Gli attivisti schivano le bombe e tentano di abbattere le navi spaziali Bank of America, JP Morgan, Exxon o Microsoft prima che queste prendano il volo verso nuove destinazioni (presumibilmente i paradisi fiscali). Ad ogni round il programma ci informa sull’esito della battaglia: riusciranno i nostri eroi a fermare l’evasione legalizzata e a salvare il welfare? «Mentre il resto di noi paga la giusta quota di tasse, queste multinazionali dell’evasione rubano ogni anno qualcosa come 100 miliardi di dollari alla nostra economia» segnala il sito. In realtà, è bene specificarlo, non si tratta di vera e propria evasione quanto piuttosto di elusione fiscale. In pratica lo sfruttamento dei buchi normativi che consentono di sottrarre legalmente al fisco una quota enorme dei profitti permettendo alle «corporation di creare una distorsione nel nostro sistema economico e politico» come ha dichiarato lo stesso Golan in un’intervista a Forbes lo scorso mese di aprile. Nel 2012, ricorda Tax Evaders, la Microsoft ha spostato all’estero 16 miliardi portando così la sua liquidità offshore a quota 60,8 miliardi. Risultato: pur registrando 23,2 miliardi di profitti ha pagato tasse per poco più di 3 miliardi, un’aliquota effettiva del 13,4%. [M.CAV.]


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I ghiacci dell’Antartico si stanno sciogliendo ad una velocità 10 volte superiore rispetto a quella media dell’ultimo millennio. A spiegarlo è uno studio franco-britannico, che ha raggiunto tale conclusione dopo aver studiato dei carotaggi prelevati a 364 metri di profondità sotto l’isola James Ross, non lontano dalla punta settentrionale della calotta antartica. L’analisi conferma che nel corso della storia si sono succeduti periodi di fusione e di glaciazione: tra questi, molto interessante è quello risalente a circa 600 anni fa. All’epoca, si registrò un periodo più freddo di soli 1,6°C rispetto alla media della fine del secolo scorso. E il livello di scioglimento era 10 volte meno marcato. «Ciò conferma – hanno spiegato gli scienziati – che anche una piccola variazione di temperatura può causare una forte accelerazione della fusione». È sempre più urgente, dunque, agire per bloccare il cambiamento climatico. Eppure i risultati raggiunti a livello mondiale sono desolanti. Un recente studio dell’IEA ha spiegato che, per ciascuna unità di energia prodotta, oggi si emette quasi la stessa quantità di CO2 di 23 anni fa. Malgrado la crescita delle fonti rinnovabili, infatti, il biossido di carbonio emesso in media è calato solamente dell’1%. Il principale responsabile di questa sconfitta globale è il carbone, la fonte ambientalmente più pericolosa e inquinante, che continua ad essere utilizzata in tutto il mondo. Ma ciò che appare più incredibile è il raffronto tra l’ultimo ventennio e quello precedente: tra il 1971 e il 1990, infatti, il calo della cosiddetta “impronta ecologica” (sempre in termini di emissioni di CO2) era stato pari al 6%. Il che significa che erano stati raggiunti risultati sei volte migliori rispetto agli ultimi due decenni (in barba alla conferenza di Rio del 1992 e al protocollo di Kyoto del 1997). [A.BAR.]

[La calotta glaciale antartica rischia di subire conseguenze devastanti anche con un piccolo incremento della temperatura media globale].

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ANDRE SCHUMACHER / LAIF / CONTRASTO

Antartico, in mille anni mai così a rischio


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dossier

a cura di Andrea Barolini, Matteo Cavallito, Emanuele Isonio, Valentina Neri

Papa Bergoglio, scommessa sudamericana > 14 Crescita ed equitĂ , il modello “latinoâ€? > 16 E se la Chiesa si affidasse alla finanza etica? > 18 Ior, il futuro (incerto) dei banchieri di Dio > 20 Mafia, tangenti e riforme incompiute > 22


Liberaci dal male Francesco I ha aperto il suo papato rompendo i protocolli, in notevole discontinuità rispetto al suo predecessore. La sfida principale, ora, è la riforma della Chiesa. A partire dallo Ior e dalla finanza vaticana

REUTERS / OSSERVATORE ROMANO

La benedizione Urbi et Orbi impartita da papa Francesco I a piazza San Pietro, il 31 marzo scorso.


dossier

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Papa Bergoglio scommessa sudamericana di Matteo Cavallito

modo suo è già nella storia. E i meriti, per così dire, sono tutti nel suo passaporto. Gesuita, 75 anni, già considerato “papabile” nel conclave del 2005, Jorge Mario Bergoglio è il primo latinoamericano a conquistare il vertice della Chiesa cattolica. Per il Vaticano, colpito duramente dalla crisi di consenso nell’area, è stata di fatto una scelta obbligata. Per il Subcontinente, invece, si tratta soprattutto di un evento epocale e carico di conseguenze. Sul fronte politico ed economico, ovviamente.

A

Liberale, ma non troppo Francesco I, come ha scelto di chiamarsi con un’allusione fin troppo ovvia, non è certo un rivoluzionario, ma non disdegna nemmeno le prese di posizione extra dottrinali. Con la “dinastia Kirchner” non è mai andato troppo d’accordo, ma le critiche più forti le ha indirizzate ai governi precedenti. Nell’agosto del 2001, con l’Argentina prossima alla bancarotta, aveva attaccato la corruzione politica e l’assenza di “un disegno razionale” nella campagna di privatizzazioni degli anni ’90. Nel suo documento Queremos ser Nación

Per frenare la crisi di consenso in Sudamerica la Chiesa ha una sola possibile strategia: svoltare a sinistra e promuovere un modello economico vincente (“Vogliamo essere nazione”) non aveva espresso certo posizioni troppo radicali, ma non per questo aveva rinunciato a puntare il dito contro ciò che definiva “il liberismo più violento”. Nel corso degli anni seguenti Bergoglio ha rimarcato

ASCESA E CADUTA DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE Concepita già nel 1971 in uno scritto del sacerdote e studioso peruviano Gustavo Gutiérrez, la Teologia della liberazione ha rappresentato tra gli anni ’70 e ’80 il tentativo di associare l’analisi e la critica sociale agli studi dottrinali. Sviluppata successivamente in Brasile dal francescano Leonardo Boff (“Cristo libertador”, 1972), la nuova teoria, che spinge la Chiesa a schierarsi con le vittime dell’oppressione alla ricerca di un drastico cambiamento sociale, trova presto molti adepti nel Continente, suscitando la diffidenza della gerarchia ecclesiastica e la repressione da parte dei regimi autoritari al potere (tristemente celebre l’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador, Óscar Romero nel 1980). La rivoluzione sandinista in Nicaragua (1979) porta per la prima volta i sacerdoti della Teologia a occupare parte delle cariche governative. Tra il 1984 e il 1986 due documenti della Congregazione della Dottrina della Fede – Libertatis Nuntius e Libertatis Conscientia – dichiarano di fatto l’incompatibilità della Teologia della liberazione con la dottrina tradizionale. Un’iniziativa che si traduce nell’espulsione dalla Chiesa dei preti dissidenti e che comporta un progressivo spostamento della Chiesa sudamericana su posizioni sempre più conservatrici. M.CAV.

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una sostanziale fede nel mercato, ma anche, particolare non da poco, una certa convinzione nella necessità di redistribuire gli effetti della crescita. Come a dire «rispetto degli impegni macroeconomici, ma lotta costante alla povertà», spiega Alfredo Luis Somoza, giornalista e presidente dell’Icei (Istituto di cooperazione economica internazionale), «una posizione certamente diversa da quella di Chávez, ma molto vicina a quelle di Lula e Dilma Rousseff in Brasile». Bergoglio «è sempre stato dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione», ha dichiarato lo storico esponente del movimento politico/religioso (vedi BOX ) Leonardo Boff in un’intervista concessa al quotidiano Il Manifesto il giorno successivo all’elezione. Un endorsement carico di significato e, a conti fatti, nemmeno troppo sorprendente. Perché, «visto con gli occhi degli anni ’70 e ’80 – spiega Alfredo Somoza – Bergoglio, che non è mai stato vicino alla teologia della liberazione, è indubbiamente un conservatore. Ma per le sue posizioni sui temi sociali, pur a fronte della sua rigidità sulle questioni etiche, nel contesto della Chiesa sudamericana di oggi può essere sicuramente definito un progressista». Insomma, a destra dei “preti rivoluzionari”, ma anche a sinistra dell’Opus Dei, i due confini di una Chiesa latinoamericana che, ricorda ancora Somoza, «a partire dalla fine degli anni ’70 ha spostato in modo evidente il proprio asse ideologico».

Perdita di consenso La storia è nota, almeno fin dai tempi dello storico “incidente” di Managua del marzo 1983, culminato con la celebre re-


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«DAL CAPITALISMO SELVAGGIO NASCE UN MONDO DISEGUALE» «C’è stato in questo tempo un vero terrorismo economicofinanziario. Che ha prodotto (…) l’aumento dei ricchi, l’aumento dei poveri e la drastica riduzione della classe media (…) e il disastro nel campo dell’educazione». Sono queste le parole con cui nel 2002 Bergoglio, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires, descriveva a Gianni Valente la sua Argentina nel pieno della crisi. E non sono le uniche critiche che Papa Francesco ha destinato al capitalismo e alle sue distorsioni. «L’attuale imperialismo del denaro – continua nell’intervista, pubblicata sul mensile 30Giorni – mostra un inequivocabile volto idolatrico. E dove c’è idolatria, si cancellano Dio e la dignità dell’uomo. L’economia speculativa non ha più bisogno neppure del lavoro (…). Insegue l’idolo del denaro che si produce da se stesso. Per questo non si hanno remore nel trasformare in disoccupati milioni di lavoratori». E riguardo gli organismi internazionali che regolano la finanza? «Non mi sembra che pongano al centro della loro riflessione l’essere umano, nonostante le belle parole. Indicano sempre ai governi le loro rigide direttive, parlano sempre di etica, di trasparenza, ma mi appaiono come dei moralisti senza bontà». Tali osservazioni sono senza dubbio figlie delle vicende argentine, che già dieci anni fa avevano mostrato gli effetti di una crisi finanziaria sull’economia reale e sulla vita delle persone. Lo conferma il discorso tenuto da Bergoglio nel 2007 di fronte ai 162 vescovi riuniti per la Conferenza episcopale dell’America latina. L’allora cardinale – riporta il quotidiano La Nación – si è scagliato contro «la globalizzazione come ideologia economica e sociale» che «ha influito negativamente sui settori più poveri»,

primenda di Karol Wojtyła ai danni del ministro della Cultura del governo sandinista Ernesto Cardenal – sacerdote politicamente impegnato e in quanto tale poco gradito – e con la storica contestazione della folla nei confronti del pontefice polacco. È stato allora che il Vaticano ha spinto sull’acceleratore dell’opzione “purga”. Dai vescovi nicaraguensi ai dissidenti brasiliani (tra cui lo stesso Boff) le diocesi locali hanno fatto i conti con l’espulsione dei loro esponenti più “radicali”. Un’operazione decisa a Roma, ovviamente, e promossa con convinzione, tanto da Giovanni Paolo II, quanto dall’allora prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede Joseph Ratzinger. La Teologia della liberazione, inevitabilmente, è stata messa ai margini e la Chiesa si è spostata sempre più a destra. Ma non senza conseguenze. La verità è che il Vaticano ha pagato il suo conservatorismo a caro prezzo

soprattutto in America latina, «la regione più diseguale del mondo». L’ingiusta distribuzione dei beni «configura una situazione di peccato sociale che grida al cielo ed esclude a molti fratelli la possibilità di una vita più piena», ha continuato. E «i poteri politici e i piani economici di diversi orientamenti non mostrano di produrre cambiamenti significativi per eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale». La critica al capitalismo dunque è vista soprattutto in un’ottica di lotta a quelle diseguaglianze che caratterizzano fortemente l’America Latina («In questa città la schiavitù è all’ordine del giorno», dichiara nel 2011 a Buenos Aires). Diseguaglianze che sono diventate un elemento centrale nelle scelte dei governi che vi si sono avvicendati in questi anni. Ma, nei fatti, le sue posizioni sono spesso alternative a quelle dei governi Kirchner, con cui non mancano i punti d’attrito (vedi BOX a pag. 17). Ne è un esempio il fatto che nel 2010 si sia fatto portavoce del Consenso per lo sviluppo, stilato dall’università del Salvador e dalla Escuela de Posgrado Ciudad Argentina. Un documento programmatico di stampo liberista sottoscritto da diversi esponenti dell’opposizione, guidati da Roberto Dromi, ex ministro del governo di Carlos Menem. Nello stesso anno, nel libro Sopra il cielo e la terra, scritto col rabbino Abraham Sokrka, torna a nominare il capitalismo: «Il cristianesimo condanna con la stessa forza il comunismo come il capitalismo selvaggio. (…) Il denaro ha una patria e chi prende la ricchezza che è prodotta in un Paese per portarla altrove fa peccato, in quanto non onora il Paese che produce quella ricchezza e il popolo che lavora per generarla». V.N.

LIBRI Alfredo Somoza Oltre la Crisi (appunti sugli scenari economici futuri) Edizioni CentoAutori

creando un clamoroso vuoto di consenso nelle classi più povere. Un fenomeno che, per dirla in termini di mercato, ha portato una legittima concorrenza laddove prima esisteva un assoluto monopolio. «Nel 1920 in America Latina i cattolici rappresentavano il 100% della popolazione – ha ricordato il direttore dell’Ispi, Paolo Magri, nel corso del recente convegno “La geopolitica di Papa Francesco” (Milano, 3 aprile 2013) – ora sono circa il 72-73%». Le Chiese protestanti ed evangeliche, in compenso, «sono ancora minoritarie in valore assolu-

to, ma anche in crescita costante negli ultimi anni». In Guatemala e in Honduras, precisa Somoza, i protestanti sarebbero ormai maggioranza mentre in Brasile costituirebbero non meno del 40% della popolazione. Ma, se è vero – prosegue – che «le chiese evangeliche, con la vicinanza ai più poveri, hanno finito per occupare lo spazio lasciato libero dalla politica di Wojtyła», è altrettanto vero che Bergoglio «ha saputo andare sempre controcorrente» a partire dal giorno in cui, dopo aver ereditato un’arcidiocesi ultra conservatrice come quella di Buenos Aires, ha inviato i suoi preti nelle baraccopoli. «In definitiva – conclude Somoza – lo hanno scelto proprio per questo, perché la Chiesa ha assoluto bisogno di recuperare consenso altrimenti ha chiuso definitivamente». Dio, insomma, potrà pure perdonare. Le leggi della libera concorrenza certamente no.  [Ha collaborato Valentina Neri] | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 15 |


dossier

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Crescita, rating ed equità Il modello “latino” di Matteo Cavallito

«C’

na proveniente dalle economie emergenti, Cina su tutte, che ha permesso alla regione di sfruttare l’impennata dei prezzi delle sue materie prime (petrolio, gas, commodities alimentari) gonfiata tanto dall’export verso Pechino quanto dalla IL TASSO DI POVERTÀ IN AMERICA LATINA (%) 100 90 80 70 60

48,4 43,8

40,5

43,9

50

32,8

40

Commodities e affidabilità Il trend, come noto, è evidente da almeno un decennio. Tra il 2003 e il 2008, ha ricordato l’Ocse, il Subcontinente ha conosciuto un tasso di crescita medio vicino al 5%, grazie soprattutto a un paio di fattori. In primis c’è la crescita della domanda ester| 16 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

speculazione finanziaria (la crescita abnorme dei volumi dei contratti futures). In secondo luogo c’è l’aumento della stessa domanda interna, trainata al rialzo dal circolo virtuoso crescita/salari. Fin qui i fattori più ovvi, ma in realtà c’è dell’altro. A caratterizzare il successo latinoamericano è stata anche un’inedita stabilità finanziaria e macroeconomica che, al di là di qualche incidente di percorso (enorme nel caso dell’Argentina), ha contribuito al miglioramento del quadro macro. Tra il 2000 e il 2007, ha ricordato ancora l’Ocse, il rapporto debito/Pil della regione si è ridotto del 15%. Nel medesimo periodo, lo stato dei conti pubblici è passato da un deficit medio pari al 2,4% del Pil a un avanzo dello 0,4%. Un trend di lungo periodo che negli anni successivi ha coinciso con un concetto storicamente inedito: l’affidabilità finanziaria. Per capirlo basta guardare ai dati sul rating che, come noto, si esprime lungo una scala di valutazione. Secondo una re-

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29,4

28,8

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12,1

11,5

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2009

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2011

2012*

30 20

18,6

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18,6

19,3

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1980 Indigenti

1990

1999 Poveri non indigenti

2002

FONTE: COMISIÓN ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL) SUI DATI FORNITI DAI RISPETTIVI PAESI DELLA REGIONE (18 PIÙ HAITI). NOVEMBRE 2012. * PROIEZIONI

è stato un tempo in cui gli economisti europei guardavano all’America Latina con orrore. Schiacciata dal debito, afflitta dall’iperinflazione e devastata dalla disoccupazione, la regione viveva un disastro finanziario. Quei giorni sono finiti da un pezzo». Nello scorso mese di gennaio, a tre giorni dall’apertura del VII summit congiunto tra i leader europei e i loro colleghi del Subcontinente, il corrispondente da Santiago della Bbc, Gideon Long, sintetizzava così il clima della vigilia. Il cambio di prospettiva era ormai realtà e i numeri lo certificavano ampiamente. Nel corso del 2012 le economie latinoamericane e caraibiche erano cresciute del 3,1% contro una media globale del 2,2%. Nello stesso periodo la ricchezza prodotta nell’area euro era diminuita dello 0,5%. Nel 2013, ha sostenuto la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL), i Paesi del Centro e Sudamerica (Caraibi compresi) cresceranno del 4% contro una media dell’eurozona pari allo 0,3%. Per dirla con un’espressione familiare sono 370 punti di spread.

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L’America Latina attraversa un decennio di forte crescita. Merito dei boom registrati nelle domande interna ed esterna. Ma anche grazie ad una maggiore redistribuzione della ricchezza operata in numerosi Paesi della macro-regione


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L’EVOLUZIONE MEDIA DEL RATING FINANZIARIO 2007-2013 Variazione media PAESE (notch) URUGUAY

+3,67

BOLIVIA

+3,00

BRASILE

+3,00

PERÙ

+2,67

PANAMA

+2,33

CILE

+1,67

COLOMBIA

+1,33

SURINAME

+1,33

PARAGUAY

+1,00

ECUADOR

+0,67

COSTA RICA

+0,67

GUATEMALA

+0,33

NICARAGUA

+0,33

MESSICO

0,00

ARGENTINA

-0,67

VENEZUELA

-0,67

EL SALVADOR

-2,00

FONTE: FINANCIAL TIMES, DOWNGRADED PLANET, 26 MARZO 2013. LA CIFRA IDENTIFICA UN DATO MEDIO RISPETTO AI GIUDIZI DELLE TRE MAGGIORI AGENZIE DI RATING. COSÌ, AD ESEMPIO, IL +3,67 REGISTRATO DALL’URUGUAY È FRUTTO DELLA MEDIA DELLE POSIZIONI SCALATE TRA IL 2007 E IL 2013: 3 SULLA SCALA DI FITCH (DA B+ A BB+), 4 SULLA STANDARD & POOR’S (DA B+ A BBB-) E 4 SULLA MOODY’S (DA B1 A BAA3).

cente indagine del Financial Times, tra il 2007 e il 2013 tutti i Paesi latinoamericani, con l’eccezione di Argentina, Venezuela, El Salvador e Messico (quest’ultimo stabile), erano andati incontro a un miglioramento del proprio rating sovrano. Nella classifica definitiva, calcolata sulla base delle posizioni (notch) guadagnate lungo la scala di valutazione (quella che va dalla D di default alla tripla A delle nazioni più affidabili, per intenderci), ben quattro Paesi latinoamericani si trovavano nella Top Five globale (vedi TABELLA ).

DALL’ARGENTINA LE VOCI CRITICHE «A mio nome, del governo argentino e in rappresentanza del popolo argentino voglio salutarlo e presentare i miei auguri». Si è espressa così la presidente argentina, Cristina Kirchner, all’elezione di Papa Bergoglio. Ma i rapporti fra il Pontefice e il governo argentino finora sono stati tutt’altro che distesi. Lo scontro più duro è stato nel 2010 con l’approvazione dei matrimoni gay, che Bergoglio ha definito “una pretesa distruttiva del piano di Dio”. La risposta non si è fatta attendere: «Mi preoccupa il tono che ha preso il discorso, si considera come una questione di morale religiosa e di rischio per l’ordine naturale, quando in realtà si sta prendendo in considerazione una realtà che già esiste». Ma il dissidio era nato già con Néstor Kirchner, marito (scomparso nel 2010) dell’attuale presidente. La Nación ricorda un “messaggio in codice” lanciato nel 2004 dall’allora arcivescovo Bergoglio, che chiedeva un maggior dialogo politico criticando “l’esibizionismo e gli annunci stridenti”: il riferimento sarebbe stato proprio al presidente in carica. L’anno successivo Kirchner, che considerava Bergoglio “il vero rappresentante dell’opposizione”, è stato il primo presidente a non presenziare alla cerimonia del 25 maggio alla cattedrale metropolitana di Buenos Aires. Le tensioni con la moglie Cristina sono iniziate nel 2008, quando Bergoglio si è schierato con gli agricoltori in sciopero contro un nuovo sistema di tassazione. L’anno successivo è tornato a scagliarsi contro un sistema politico che a detta sua rischia di «omologare il pensiero» e non essere attento alle esigenze della popolazione. Si arriva così allo scontro in tema di diritti civili. E a quando, nel 2011, l’Arcivescovo ha criticato i «deliri di grandezza» dei governanti. Al di là del mondo politico, in Argentina l’entusiasmo per il nuovo Pontefice è stato forte ma non unanime. È il caso delle Nonne di Plaza de Mayo, l’associazione che lavora per restituire alle famiglie i bambini scomparsi durante la dittatura. La presidente Estela Bernes de Carlotto non è stata tenera nei confronti di Bergoglio, che a detta sua «appartiene alla Chiesa che oscurò il Paese». «Non ci ha mai parlato né si è avvicinato a noi per aiutarci», ha dichiarato in un’intervista a Radio Milenium. Il periodo della dittatura è anche al centro delle polemiche lanciate dallo scrittore e intellettuale argentino Horacio Verbitsky, vicino al governo di Cristina Kirchner. Nel febbraio del 1976, poco prima del colpo di stato di Jorge Rafael Videla, Bergoglio estromise due sacerdoti dalle attività dei gesuiti nelle baraccopoli di Buenos Aires: così, a detta di Verbitsky, li avrebbe privati della protezione ecclesiastica. Dopo pochi mesi vennero rapiti e torturati, per poi essere rilasciati dopo sei mesi grazie anche all’intercessione del Vaticano. La questione è controversa: Bergoglio sostiene di averli allontanati solo per proteggerli, mentre Verbitsky ha pubblicato alcuni documenti per provare le proprie affermazioni. Il giornalista accusa il Papa anche di aver mentito al tribunale federale di Buenos Aires: Bergoglio avrebbe ammesso di avergli concesso un’intervista nel 1999, negando però di aver fornito determinate informazioni. V.N.

Redistribuzione della ricchezza Maggiore affidabilità significa anche maggiore facilità di attrazione degli investimenti stranieri, ovvero un altro fattore di crescita. Ma a rafforzare il modello latinoamericano, in realtà, non è solo la semplice espansione economica certificata dall’aumento del Pil. La crescita dell’economia, infatti, ha permesso ai governi nazionali di finanziare i programmi di riduzione di povertà ottenendo, dati alla mano, un enorme successo. Nel 1990, ha ricordato ancora la Cepal, il tasso di po-

vertà della ragione superava il 70% con oltre un quinto della popolazione complessiva costretta a vivere nell’indigenza. Oggi si è scesi a quota 40, mentre la percentuale degli indigenti si è dimezzata. A sorprendere è però un altro fenomeno, quello della riduzione della disuguaglianza. L’equità nella distribuzione del reddito, come noto, si misura con un indicatore chiamato Indice di Gini lungo una scala da 0 (equità assoluta) a 100 (divario massimo). La Svezia, il Paese più

equo del mondo, registra per intenderci un 23 netto. Il Sudafrica, all’estremo opposto della classifica, totalizza 63,1. Oggi, ha osservato di recente l’Economist, il valore medio dell’indice per i Paesi del Subcontinente si colloca a quota 50 (contro il 54 di dieci anni fa), un livello che non si raggiungeva da oltre 30 anni. Tradotto: dopo la crescita della disuguaglianza sociale nei decenni della democratizzazione prima e del liberismo poi, l’area è tornata a livelli di equità che non si vedevano dal 1980.  | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 17 |


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E se la Chiesa si affidasse alla finanza etica? di Emanuele Isonio

La proposta di Famiglia Cristiana scatena il dibattito sulla possibilità di orientare in senso responsabile gli investimenti vaticani. Un’impresa possibile. Mai come ora a proposta, nel mondo cattolico ancora sconvolto dalle dimissioni di Joseph Ratzinger ma con la Curia già in piena attività per immaginare un successore a lei non ostile, deve aver prodotto più di un sobbalzo: abbandonare lo Ior e gli investimenti tutt’altro che trasparenti, per abbracciare la finanza etica. L’idea (provocazione?), messa nero su bianco, è apparsa fra le colonne del settimanale Famiglia Cristiana, firmata dallo storico Giorgio Campanini: liberare il Pontificato «da ogni legame (e ancor più da ogni compromissione) con la finanza».

L

Questione di coerenza L’editorialista parte da una constatazione: «Oggi esistono, in Italia e in numero| 18 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

si Paesi, le banche etiche, nelle quali il credito è accordato con criteri di grande severità e finalizzato soprattutto a progetti di sviluppo, con la totale esclusione di finalità speculative». Da qui il suggerimento per il nuovo pontefice: «Perché non delegare ad esse ciò che ha a che fare con la finanza? La più totale trasparenza sarebbe in tal modo assicurata e i fedeli saprebbero che il denaro dato alla Chiesa è destinato prioritariamente ai poveri del mondo». Roba da ridere per chi, come l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, sostiene che «la banca etica e la finanza etica non esistono». Una considerazione su cui discutere molto seriamente per molti altri che, dentro e fuori la Chiesa, vivono con sempre maggiore sofferenza le speculazioni (e gli scandali) della Banca vaticana. Di certo, una grande speranza per quanti conoscono gli effetti benefici degli investimenti etici: «Se solo una parte limitata delle gigantesche risorse della finanza tradizionale fosse indirizzata verso istituti che promuovono la finanza eticamente orientata, molto po-

trebbe cambiare», commenta Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica. «Consideriamo, infatti, che un euro di capitale sociale può trasformarsi in circa dodici euro di finanziamenti per il commercio equo, la cooperazione sociale, l’agricoltura biologica e le moltissime altre esperienze di “altra-economia”, con ricadute positive sull’ambiente e la società».

Un percorso dinamico Ma quanto è percorribile una riforma in senso responsabile degli investimenti vaticani? «Non dobbiamo essere ingenui», commenta Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica all’università Tor Vergata di Roma. «Ci sono rapporti pregressi con importanti istituzioni bancarie che sarà difficile rimuovere rapidamente. L’eventuale avvicinamento verso il mondo della finanza etica va quindi visto come un processo dinamico e non immediato». Ma se la Chiesa di comportasse come un consumatore responsabile i risultati potrebbero essere dirompenti. «Si tratterebbe di mettere in pratica quanto già


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espresso in molti documenti, primo fra tutti la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. La Chiesa, con il suo peso economico, ha il potere di mettere in concorrenza le istituzioni bancarie stimolandole a una maggiore trasparenza, responsabilità ed eticità». La via da percorrere sarebbe analoga a quella intrapresa già da alcune conferenze episcopali, come quella francese, che ha da tempo istituito un fondo d’investimento coerente con i principi cristiani. Una cosa è certa: abbracciare la finanza etica non vuol dire rinunciare a ottenere adeguati rendimenti. «Al di là della difficoltà di liberarsi del passato – spiega Becchetti – la storia empirica dimostra ormai senza dubbio che non esi-

Un cambiamento è possibile, ma occorre non illudersi: il Vaticano ha intessuto rapporti con grandi istituti finanziari che non si potranno cancellare con un semplice colpo di spugna ste perdita di rendimento per chi decide di puntare sugli investimenti responsabili. Al contrario, le Ong che hanno investito in finanza speculativa hanno finito per perderere metà del loro patrimonio». Altrettanto certo è che il momento per la rivoluzione non è mai stato così propizio. «L’elezione di Bergoglio ha indubbiamente indebolito il tradizionale

assetto di potere della Curia», osservano dall’entourage di uno dei “Grandi elettori” del papa argentino. «E la scelta di riformare il governo vaticano servendosi di un organismo composto per sette ottavi da cardinali estranei alla vita curiale ne è la dimostrazione». Una prima assoluta nella storia della Chiesa. L’ennesima nel breve pontificato di Jorge Bergoglio (prima volta di un papa sudamericano, prima volta di un gesuita, primo nella storia a scegliere di chiamarsi Francesco). Aspetto da non sottovalutare: «I Gesuiti – conclude Becchetti – sono, insieme ai Comboniani, tra gli ordini ecclesiastici più sensibili alle istanze della finanza etica». Premessa sufficiente per un’altra “prima volta”? 

I NUMERI DI UN IMPERO Cercare di fare un calcolo del valore dei beni del Vaticano, immobiliari e finanziari, significa necessariamente rassegnarsi a ottenere un puzzle pieno di lacune. Sono tanti i dati che mancano all’appello. E non è mai stato reso disponibile un quadro completo. Nel 2011 la Santa Sede ha chiuso il bilancio in rosso: il disavanzo è stato di quasi 15 milioni di euro. Leggendo la nota diffusa dal Vaticano si scopre che il costo principale è per il personale, pari a ben 2.800 persone. In controtendenza invece è il Governatorato, che ha registrato un attivo di 21 milioni 843 mila euro soprattutto grazie al boom di ricavi dei Musei Vaticani (hanno raggiunto i 91 milioni di euro, con un balzo in avanti di 9 milioni in un anno). Anche le offerte dei fedeli, nonostante la crisi, sono aumentate, arrivando a poco meno di 53 milioni di euro. A esse vanno aggiunti i contributi versati dalle Chiese di tutto il mondo (24 milioni di euro) e quelli delle fondazioni. Lo Ior nel 2011 ha corrisposto 49 milioni di euro al pontificato. Ma questi dati non spiegano tutto, anzi. Lo Stato del Vaticano è il fulcro attorno al quale ruotano 4.649 diocesi: e ognuna si amministra in modo totalmente autonomo. Senza contare la complessa ragnatela di fondazioni e società di vario genere, sparse ai quattro angoli del Pianeta, che gestiscono un immenso patrimonio. Che è fatto non solo di chiese e parrocchie, che in quanto tali sono prettamente non profit, ma anche di scuole private, alberghi, case, ospedali. Marzio Bartoloni su Il Sole 24 Ore spiega che il Gruppo Re, che gestisce beni immobiliari per gli enti ecclesiastici, ritiene che sia in mano alla Chiesa circa il 20% del patrimonio immobiliare italiano. Quest’ultimo, stando all’Agenzia del territorio e al dipartimento delle Finanze, ha un valore di oltre 6.400 miliardi di euro. Quindi – continua il quotidiano finanziario – anche con la stima più prudente i beni della Chiesa si aggirano intorno ai mille miliardi di euro. E questo soltanto entro i confini

della Penisola. Se si considera anche il resto del mondo, la cifra va almeno raddoppiata. Gli unici dati confermati sono quelli che il Vaticano pubblica ogni anno sull’Annuarium statisticum ecclesiae, una sorta di censimento che però si limita a elencare i beni gestiti dalla Chiesa senza renderne noto il valore monetario. Un valore che può variare esponenzialmente di caso in caso: il giro d’affari del Policlinico Gemelli di Roma è incomparabile con quello di un lebbrosario in un villaggio africano. L’ultima edizione dell’Annuario, relativa al 2010, rivela che in tutto il mondo ci sono più di 455 mila chiese, parrocchie e centri religiosi. Le scuole cattoliche sono quasi 207 mila: 70.544 materne, 92.847 elementari e 43.591 medie. Per fare un confronto, basti pensare che negli Stati Uniti le scuole elementari e secondarie (pubbliche, private e cattoliche) sono 132 mila. Ma la Chiesa gestisce anche scuole superiori (che seguono 2 milioni 300 mila studenti) e 6 mila seminari. Oltre a circa 200 università: una percentuale consistente del totale, che ammonta a più di 9 mila atenei. Le strutture sanitarie e assistenziali cattoliche sono poco più di 120 mila in tutto il mondo: 5.305 ospedali (all’incirca l’equivalente di tutti gli ospedali degli Usa), 18 mila ambulatori, 17 mila centri residenziali per anziani e disabili. Ma in questa cifra sono compresi anche poco meno di 10 mila orfanotrofi, 11 mila asili, 15 mila consultori, 34 mila centri di educazione e riabilitazione. È ancora più difficile stimare i beni finanziari del Vaticano. Nel 2002 ha provato a calcolarli il dipartimento del Tesoro americano, basandosi sui dati della Fed che si riferiscono soltanto al territorio statunitense. All’epoca, il Vaticano deteneva 298 milioni di dollari in titoli statunitensi: 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine (49 in bond societari, 36 in emissioni delle agenzie governative e 17 in titoli governativi) e un milione in obbligazioni a breve termine del Tesoro. V.N.

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Ior, il futuro (incerto) dei banchieri di Dio di Matteo Cavallito

Sotto la pressione delle autorità anti riciclaggio il Vaticano studia una riforma dello Ior. Tra suggestioni di banche “etiche” e difese dello status quo Nella Curia si fronteggiano posizioni diametralmente opposte: da chi punta all’immobilismo totale fino a chi auspica la chiusura dello Ior, e la sua trasformazione in una “banca etica”

a chiave di tutto si chiama Moneyval, sussidiario europeo del FATF (Financial Action Task Force, l’authority internazionale antiriciclaggio) e ad oggi controllore, esaminatore e certificatore numero uno della finanza vaticana. Sul tavolo c’è l’agognato inserimento nella White list, l’elenco dei Paesi

L

affidabili sotto il profilo della trasparenza finanziaria di cui la Santa Sede tuttora non fa parte. Un traguardo decisivo, insomma, che, necessariamente, passa dalla riforma di quella che l’ex funzionario del Dipartimento del Tesoro statunitense Avi Jorisch ha definito “la banca più segreta del mondo”, ovvero quell’Istituto delle opere religiose (Ior), fondato nel 1942 e coinvolto da decenni a vario titolo in una serie infinita di vicende poco chiare quando non addirittura in vere e proprie epopee giudiziarie (vedi INTERVISTA alla pagina seguente).

Tre fronti «Tutto è necessario, ma fino a un certo punto», ha dichiarato lo stesso Bergoglio durante un’omelia pronunciata lo scorso 24 aprile alla presenza di alcuni funzionari dell’istituto. Un’affermazione potenzialmente pesantissima per il futuro di una banca che qualcuno vorrebbe trasferire un giorno sotto il controllo del Governatore vaticano Giuseppe Bertello per far luce, magari, su quei 33 mila conti di dubbia titolarità, 4.500 dei quali, ha ricordato Linkiesta, inattivi da almeno un quinquennio. Difficile capire se tiri davvero aria di Perestrojka. Quel che è certo, tuttavia, è che nelle stanze vaticane sembrano convivere al momento idee di Glasnost’ (trasparenza, finanziaria in questo caso) molto diverse. Da un lato, ha ricordato una recente analisi di Giacomo Galeazzi sulle colonne de La Stampa, c’è l’ipotesi immobilista della linea Sodano (Angelo, Decano del Sacro Collegio)/Sandri (Leonardo, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali), che vorrebbe il sostanziale mantenimen| 20 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |


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DAI DIRITTI UMANI AI DISABILI. I “NO” DEL VATICANO ALLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI

Da sinistra a destra, Ettore Gotti Tedeschi, l’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus (entrambi ex numeri uno dello Ior) e il banchiere Roberto Calvi, trovato impiccato nel giugno del 1982 a Londra (vedi intervista a pag. 22).

to dello status quo. Dall’altro, c’è addirittura la proposta “rivoluzionaria” della chiusura dell’istituto e della sua sostituzione con una non meglio specificata banca “etica”. È l’idea promossa in particolare dai cardinali Christoph Schoenborn e John Onayekan, sostenitori di un’ipotesi, verrebbe da aggiungere, particolarmente invisa al decaduto Ettore Gotti Tedeschi, storico sostenitore del dogma dell’inesistenza della finanza etica. Nominato al vertice dello Ior nel 2009 e sfiduciato nel maggio 2012, Gotti Tedeschi – ha ricordato Avi Jorisch – sarebbe stato poco presente tra le stanze della banca vaticana preferendo occuparsi in prima persona degli affari del colosso spagnolo Banco Santander, di cui per un paio di decenni è stato rappresentante per l’Italia. Un ruolo, quest’ultimo, tornato d’attualità negli ultimi mesi quando le inchieste sul “disastro derivati” del Monte dei Paschi di Siena ha riacceso i riflettori sulla contestata operazione Antonveneta (novembre 2007), la madre di tutte le plusvalenze (per l’istituto iberico) e di tutti i dissesti (per Mps).

Il precedente del 2011 La questione riforme, per altro, non rappresenterebbe di per sé una novità vera e propria. Già nell’ottobre del 2011, il Pontificio Consiglio Iustitia et Pax, una commissione di studio attiva dal 1967 elaborò un testo di raccomandazioni e proposte con un titolo emblematico: “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale”. A sorprendere, nell’occasione, era stato il tono piuttosto radicale e preciso delle proposte stesse. Come a dire nessun richiamo fumoso a principi dottrinali o simili, bensì un elenco di possibili provvedimenti particolarmente concreti e mirati. Tra questi la tassa sulla transazioni finanziarie, la separazione delle attività di investment banking dal comparto retail (già approvata dai regolatori di UK, Germania, Francia e Stati Uniti), la proposta di ricapitalizzazione pubblica delle banche in cambio di uno sblocco del credito verso l’economia reale e, infine, una profonda riforma del sistema di governance globale dei mercati. Un’iniziativa sorprendente, certo, ma con un limite decisivo: l’assenza di riferimenti allo Ior, il cui nome non compariva nemmeno una volta nelle pagine del documento. Ma forse, come si dice in questi casi, i tempi non erano ancora maturi. 

Lo Stato di Città del Vaticano è da tempo oggetto di forti critiche per non aver ratificato numerose convenzioni internazionali. Alcuni casi, in effetti, hanno dell’incredibile. La Chiesa, ad esempio, non ha firmato neppure la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Essa è “colpevole”, infatti, di concedere ad ogni individuo, all’art. 18, il “diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”; “tale diritto – si legge – include la libertà di cambiare religione”. Anche il protocollo di Kyoto, inspiegabilmente, non è stato ratificato, sebbene la Santa Sede sia il primo Paese del mondo a impatto-zero in termini di emissioni di gas a effetto serra. Proseguendo con gli esempi, perfino la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna non ha ricevuto l’approvazione del Vaticano. L’ultima polemica, in ordine di tempo, riguarda la Convenzione Onu sui diritti dei disabili. Si tratta del primo trattato sui diritti umani del terzo millennio, approvato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2006. Il Vaticano ha partecipato attivamente ai lavori per la stesura del testo, durati cinque anni. Ma, alla conclusione, si è rifiutata di firmarlo. Il motivo? Il documento non ha inserito un divieto esplicito nei confronti dell’aborto. Sul sito ufficiale del Vaticano è pubblicato l’elenco delle Convenzioni internazionali alle quali ha aderito (talora con riserve), che riportiamo di seguito: • Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. • Convenzione internazionale sui diritti del bambino. • Convenzione unica sugli stupefacenti e Protocollo di emendamento. • Convenzione sulle sostanze psicotrope. • Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. • Convenzione sull’esplorazione e l’uso pacifico dello spazio atmosferico. • Protocollo circa la proibizione dei gas tossici e mezzi batteriologici. • Convenzioni di Ginevra (per migliorare, in tempo di guerra, la condizione dei feriti e dei malati, sulla protezione dei civili, sul trattamento dei prigionieri, sullo statuto dei rifugiati) e protocolli addizionali. • Convenzione internazionale per protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. • Convenzione dell’UNESCO relativa alla protezione del Patrimonio mondiale, culturale e naturale. • Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. • Convenzione culturale europea. • Convenzioni in materia di diritto marittimo. • Convenzioni sulla circolazione stradale. A.BAR.

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La finanza vaticana tra mafia, tangenti e riforme incompiute di Andrea Barolini

La storia dello Ior è strettamente intrecciata a quella del nostro Paese. Dai tempi del riciclaggio del denaro della criminalità organizzata, al periodo di Tangentopoli. Il racconto dello scrittore e giornalista Gianluigi Nuzzi l sistema finanziario del Vaticano, oggi, è come se fosse in purgatorio. Dopo decenni di opacità ci si incammina sulla strada obbligata delle riforme». Gianluigi Nuzzi, autore di Vaticano S.p.A. e di Sua Santità, ripercorre la storia passata e recente dell’Istituto per le Opere Religiose. Un intreccio che tocca la mafia, la politica, la maxi-tangente Enimont e sfocia negli ultimi faticosi tentativi di riforma, «contro i quali c’è chi rema contro».

«I

È corretto dire che lo Stato di Città del Vaticano è un paradiso fiscale? Lo è stato fino al 2010, quando non c’erano norme a protezione della trasparenza dei flussi finanziari. Poi, anche dopo l’uscita di Vaticano Spa, nel settembre del 2009, le dimissioni del presidente Caloia e l’arrivo di Gotti Tedeschi hanno portato all’avvio di un programma di riforme sulla finanza vaticana. A cominciare dall’introduzione del reato di riciclaggio nel codice penale interno, che prima non esisteva. Il processo è tuttavia ostacolato da resistenze interne. Da parte di chi? Gruppi di potere che non vogliono perdere le loro aree di influenza. Lo Ior, d’altra parte, garantisce discrezionalità assoluta, è impermeabile a controlli e verifiche. Se un magistrato straniero chiede una rogatoria, il più delle volte non riceve alcuna risposta. E se la riceve, è assolutamente | 22 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

generica. Come dice il Vangelo, la beneficenza copre molti peccati... Anche Moneyval, la divisione del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi anti-riciclaggio, ha eccepito che, nonostante i passi avanti, il Vaticano soddisfa oggi solo 22 delle 45 raccomandazioni Gafi… Esatto, e in particolare due criticità emergono con forza. Primo, la mancanza di retroattività nella riforma: non è dato sapere cosa abbia fatto un correntista, ad esempio, nel 2008. Così si introduce di fatto una prescrizione ad bancam, mentre in Italia il reato di riciclaggio si estingue dopo molto tempo, proprio perché esso è spesso legato alle attività criminali. In secondo luogo, viene imposta una discrezionalità totale della Segreteria di Stato sulle richieste di rogatoria internazionale. In pratica, un diritto di veto. Proprio così. Torniamo alle falle dello Ior. Chi si sospetta che abbia riciclato denaro tramite la banca vaticana negli ultimi decenni? Innanzitutto va detto che i sospetti sono ormai storicizzati. La vita dello Ior è riassumibile in quattro fasi. La prima è quella di Marcinkus e della vicenda del banchiere Calvi. Una sentenza della Corte d’Appello di Roma spiegò che all’epoca la banca vaticana riciclò ingenti quantità di denaro di Cosa Nostra. Lo affermò anche il pentito Francesco Marino Mannoia.

Gianluigi Nuzzi, scrittore, autore di Vaticano S.p.A. e Sua Santità

Una seconda fase, quella della gestione Caloia, dal 1989 al 2009, è legata alle tangenti dei politici. È noto ad esempio il ruolo del faccendiere Luigi Bisignani nel transito dei capitali della maxi-tangente Enimont. All’epoca il pool di Mani Pulite chiese una rogatoria, ma le risposte che furono date non consentirono di acquisire alcun nuovo elemento. Nel frattempo fu cambiato il sistema di vertice dello Ior: la figura del presidente lasciò il posto ad un consiglio di sovrintendenza di laici e ad un collegio di controllo formato da cardinali. Una struttura di maggiore garanzia, almeno sulla carta. Ma il collegamento tra i due organismi fu affidato a un prelato, e lo sa chi fu scelto? Donato De Bonis, ovvero quello che era il segretario dello Ior ai tempi di Marcinkus!

LIBRI

Gianluigi Nuzzi Vaticano S.p.A.

Gianluigi Nuzzi Sua Santità

Chiarelettere, 2009

Chiarelettere, 2012


| dossier | liberaci dal male |

Con Gotti Tedeschi si tenta di ripulire l’immagine dell’istituto. Si sceglie lui per implementare le norme anti-riciclaggio: siamo alla terza fase. Emergono conti correnti intestati a sacerdoti o suore che effettuano operazioni per conto terzi. È noto che Gotti Tedeschi finì indagato per riciclaggio, insieme al direttore della banca Paolo Cipriani, e 23 milioni di euro che erano depositati in una filiale del Credito Artigiano furono posti sotto sequestro. Gotti Tedeschi insomma paga in prima persona. Ha portato con sé numerosi uomini di area-Bankitalia nello Ior. Questo non piacque. Si diceva che si trattava dell’ingerenza di uno Stato estero. E che il Vaticano lamenti l’ingerenza italiana, francamente, lo trovo strepitoso. Torniamo al sequestro dei 23 milioni: chi fu a parlare? Ad effettuare la segnalazione anti-riciclaggio a Bankitalia, sulla cui base fu avviata l’inchiesta della magistratura, fu Giovanni De Censi, presidente del Credito Valtellinese (che controllava il Credito Artigiano, prima della fusione del 2012 in un’unica entità, ndr). Ciò che lascia stupefatti è il fatto che il banchiere fosse anche membro del consiglio di sovrintendenza dello Ior. E dopo la segnalazione, guarda caso, perse il posto. La quarta fase della vita dello Ior è quella attuale? Sì. Per ora si tratta di una fase interlocutoria. Fatta anche di grandi sforzi diplomatici con gli organi di controllo internazionali. E poi occorrerà vedere quale sarà l’indirizzo del nuovo papa. Sembrerebbe di indole poco affine alla storia dello Ior degli ultimi decenni. Non dimentichi che la Curia ha duemila anni. Per il futuro, quindi, è pessimista? Al contrario, sono ottimista. Perché lo Ior secondo me non ha altra strada se non quella del cambiamento. Tutto starà a vedere quanto tempo ci vorrà, però. 

BENEDETTO XVI, LE DIMISSIONI E L’IMMUNITÀ La decisione di papa Benedetto XVI di abbandonare il soglio pontificio garantirà al pontefice emerito sicurezza e privacy. E gli offrirà anche una protezione legale in caso di qualsivoglia azione collegata ai casi di abusi sessuali emersi in giro per il mondo. A spiegarlo è stato, lo scorso 15 febbraio, Philip Pullella, giornalista della prestigiosa agenzia di stampa Reuters, che in un dettagliato articolo cita fonti interne alla Chiesa ed esperti di diritto canonico. «Il mantenimento della sua presenza all’interno del Vaticano è assolutamente necessario. In caso contrario egli potrebbe ritrovarsi senza la sua immunità, la sua sicurezza, le sue prerogative», ha spiegato una fonte ecclesiastica coperta dall’anonimato. Notizie provenienti ancora dalla Santa Sede spiegano inoltre che la decisione di mantenere Benedetto XVI all’interno delle mura vaticane, in seguito alla sua abdicazione nel febbraio scorso, discende §da tre ragionamenti. «Se il vecchio papa andasse all’estero per noi sarebbe molto difficile garantire la sua sicurezza personale. Non possediamo un servizio segreto dotato di risorse per proteggere gli ex pontefici», ha proseguito la fonte. In secondo luogo, se Joseph Ratzinger decidesse ad esempio di tornare in Germania, il convento nel quale si ritirerebbe diverrebbe meta di pellegrinaggi. Ma la principale ragione per la quale si è scelto di mantenere il vecchio papa in Vaticano sarebbe legata al potenziale rischio che egli possa essere coinvolto in processi legati agli scandali sessuali che hanno scosso negli ultimi anni la Chiesa. Un’ipotesi forse remota, ma impossibile da escludere a priori. Nel 2010, ad esempio, il vecchio papa fu nominato da un avvocato nell’ambito di un procedimento: secondo il legale, nel 1995 (quando all’epoca Ratzinger era cardinale) non agì adeguatamente quando fu informato degli abusi perpetrati da un sacerdote ai danni di alcuni ragazzi. Il caso fu archiviato, con conseguente soddisfazione manifestata dalla Curia. E oggi Benedetto XVI, è bene ricordarlo, non risulta citato in alcun altro procedimento giudiziario. «Ma in teoria qualche pazzo potrebbe avanzare denunce, e qualche magistrato potrebbe perfino arrestarlo per atti commessi nel periodo in cui è stato Capo di Stato», spiega un’altra fonte. Il riferimento, forse, è a quanto accaduto nel 2010 in Gran Bretagna: in occasione di una visita ufficiale del papa, l’autore e attivista ateo Richard Dawkins chiese alle autorità locali di fermare il pontefice in relazione proprio agli scandali legati alla pedofilia. Insieme ad alcuni avvocati vagliò possibili sbocchi giuridici per raggiungere tale obiettivo, che però si sarebbero scontrati proprio con l’immunità diplomatica di cui godeva il papa in quanto Capo di uno Stato straniero. Riferisce ancora Pullella che, nel 2011, una vittima di abusi sessuali chiese al Tribunale penale internazionale (Tpi) di investigare sulle presunte responsabilità di Ratzinger e di tre alti prelati. Il Center for Constitutional Rights di New York e la rete Survivors Network of those Abused by Priests depositarono un esposto al Tpi, accusando il Vaticano di crimini contro l’umanità, per aver “tollerato” i reati a sfondo sessuale (il tribunale, tuttavia, non ha avviato alcun procedimento). C’è inoltre quello che in qualche modo può essere considerato un precedente: di recente l’ex arcivescovo di Los Angeles, il cardinale Roger Mahony, è finito nell’occhio del ciclone dopo la pubblicazione di documenti comprovanti abusi su minori commessi negli anni ’80 nella sua diocesi (da lui “governata” dal 1985 al 2011). La difesa di Mahony è stata quella ripetuta dal Vaticano rispetto alla posizione giuridica del papa: non si può essere ritenuti responsabili di atti commessi da singoli sacerdoti. Ma nel 2007 l’arcidiocesi di Los Angeles fu citata in sede civile da oltre 500 vittime di molestie (con una richiesta di risarcimento da 660 milioni di dollari). In altre parole, la Curia avrebbe deciso di evitare ogni rischio. Meglio, dunque, mantenere Ratzinger in Vaticano, per consentirgli di beneficiare dell’immunità prevista nell’ambito dei Patti Lateranensi, che regolano i rapporti con l’unico Paese confinante (l’Italia), secondo i quali la Santa Sede è «un territorio neutrale e inviolabile». A.BAR.

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| valorifiscali |

I conti dell’Italia

Tra Cipro e le tasse “sui ricchi” l quadro della finanza pubblica italiana alla fine del 2012 è sostanzialmente stabile, ma le prospettive per il 2013 non sono particolarmente positive. Secondo il governo l’indebitamento netto dovrebbe tornare vicino al 3%, piuttosto lontano dal pareggio di bilancio, seppure “strutturale” e, quindi, calcolato tenendo conto della congiuntura negativa, cui siamo (assurdamente) obbligati.

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COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

C’è da augurarsi che la Commissione europea abbia un atteggiamento elastico, perché sarebbe veramente suicida costringere il nostro Paese a effettuare una manovra aggiuntiva nel corso di un anno ancora molto difficile. Tuttavia le esigenze di intervento – dalla copertura della cassa integrazione guadagni all’allentamento del patto di stabilità interno – non mancano di certo, così come è assolutamente necessario evitare l’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva (dovrebbe scattare a luglio, dal 21 al 22%). In questo contesto ci si può chiedere se una manovra “alla cipriota”, cioè un prelievo straordinario sui conti correnti, potrebbe essere opportuno e utile. La risposta è tendenzialmente negativa. In primo luogo quel prelievo si giustifica per la particolare natura di Cipro, che ha costruito le sue fortune sulla crescita del sistema bancario e sulla capacità di attirare capitali esteri (in particolare russi, ma non solo) grazie a una fiscalità molto favorevole. In secondo luogo un prelievo sui conti correnti, seppure di dimensioni molto più modeste di quello cipriota, è difficile da gestire senza provocare il panico ed è tendenzialmente iniquo, perché necessariamente proporzionale e non progressivo. La possibilità che

di Alessandro Santoro

Nel nostro Paese un prelievo sui conti correnti non sarebbe opportuno. Ipotizzabile un’imposta sui grandi valori immobiliari l’Italia adotti misure simili, come avvenne nel 1993 con il governo Amato, è quindi da interpretare come una sorta di extrema ratio cui speriamo di non dover giungere. Questo non significa che la strada delle imposte sui patrimoni non vada perseguita se si cerca di rendere il prelievo complessivamente più equo e meno sbilanciato a carico dei redditi da lavoro e da profitti. Diverse ipotesi sono state avanzate nei mesi precedenti le elezioni e rimangono tutte valide. L’imposta sulle grandi fortune sul modello francese è quella di più immediata applicazione. Nella versione italiana essa potrebbe declinarsi,

quantomeno in un primo tempo, in un’imposta sui grandi valori immobiliari. Il nodo rimane quello del suo calcolo. Non ha alcun senso basare un’imposta che si vuole equa e redistributiva sui valori catastali, che non riflettono quelli di mercato. Bisognerebbe, invece, utilizzare i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio e tarare su quelli questa forma di prelievo straordinario. Trattandosi di un’imposta aggiuntiva rispetto all’Imu, essa andrebbe configurata escludendo la prima casa e quelle di residenza effettiva di parenti fino a un certo grado, e includendo, invece, il patrimonio non affittato di proprietà delle società immobiliari. È difficile stimare l’effetto di gettito di una simile imposta, che però potrebbe sicuramente contribuire, anche su un piano meramente simbolico, alla percezione di un sistema fiscale più equo e credibile.  | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 25 |


REUTERS / YUYA SHINO

finanzaetica

Banca Etica, pronta a crescere ancora > 32 Dieci anni di Terra Futura. «Noi l’alternativa alla crisi» > 35 | 26 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |


| l’elefante nella stanza |

La Borsa di Tokyo. Un operatore guarda con preoccupazione l’andamento dei titoli. L’appetito per le obbligazioni spazzatura riguarda il mercato asiatico, ma non solo.

Junk bonds

Le obbligazioni spazzatura attraggono investimenti record. È l’onda lunga delle politiche monetarie post crisi. Ma anche la miccia, più o meno corta, di una bolla speculativa pronta a scoppiare

Se l’elefante si aggira nel mercato di Matteo Cavallito

li americani lo definiscono da sempre “l’elefante nella stanza”. Un’immagine di forte impatto per indicare quei problemi troppo grandi per non essere notati, ma che pure, per una qualche ragione, vengono volutamente ignorati. Il pachiderma barrisce tra quattro mura, insomma, e gli inquilini fanno finta di niente. È paradossale, certo, eppure capita spesso. Anche nei mercati finanziari, dove, ogni tanto, le bolle speculative sembrano apparire da lontano senza che nessuno, o quasi, si scomponga più di tanto. Esattamente ciò che accade oggi di fronte all’ultima, inquietante, minaccia finanziaria: quella delle obbligazioni spazzatura.

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| finanzaetica |

CONTROVALORE DELLE EMISSIONI JUNK 2012-13 180.000

Cina Uk Europa Usa Mondo

160.000 140.000 120.000

Solo a gennaio le imprese private asiatiche “scadenti” hanno piazzato sul mercato 9 miliardi di dollari di obbligazioni spazzatura

100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0 2012 q1

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FONTE: DEALOGIC, DATI IN MILIONI DI DOLLARI USA

NUMERO DI EMISSIONI JUNK 2012-13 350

Cina Uk Europa Usa Mondo

300 250 200 150 100 50 0 2012 q1

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Fame di junk bonds L’avvertimento lo ha lanciato nelle scorse settimane il britannico Daily Telegraph snocciolando cifre da urlo. Nel solo mese di gennaio, ha spiegato il quotidiano citando i dati della società di consulenza Dealogic, le imprese private asiatiche classificate al di sotto dell’investment grade hanno piazzato sul mer-

2012 q4

2013 q1

FONTE: DEALOGIC

cato oltre 9 miliardi di dollari di obbligazioni ad alto rendimento, ovvero, in termini tecnici, di bond spazzatura. Un exploit senza precedenti che, su base annuale, costituisce un incremento da capogiro: +6.000%. Ma il rinnovato appetito per il rischio non è solo un fenomeno dei mercati orientali. Nel corso del primo trimestre

GLOSSARIO INVESTMENT GRADE I livelli di rating più elevati che caratterizzano i titoli considerati più sicuri. Le obbligazioni classificate entro il livello “investment” possono essere di qualità variabile (come i bund tedeschi e i titoli di Stato italiani ad esempio) ma sono comunque caratterizzate da un rischio default complessivamente basso. La riduzione del rischio fa diminuire il rendimento e, conseguentemente, aumentare il prezzo del titolo. JUNK BOND Ovvero “obbligazioni spazzatura”. Sono i bond caratterizzati da un elevato rischio default che si traduce in rendimenti più elevati. L’alto interesse pagato da chi li emette (un’impresa privata o uno Stato sovrano) premia l’investitore per il rischio che quest’ultimo si assume. L’aumento del rischio fa aumentare il rendimento e, conseguentemente, diminuire il prezzo del titolo. POLITICA ESPANSIVA Le operazioni con le quali la banca centrale tenta di far aumentare l’offerta di moneta riducendo i tassi di interesse (il costo del denaro) sui prestiti alle banche private. In un contesto del genere l’inflazione tende ad aumentare ma la liquidità tende al tempo stesso ad essere investita nell’economia reale o, come accaduto in particolare negli ultimi anni, nei mercati finanziari. Anche per questo una politica che tende a rilanciare la crescita può favorire, come effetto collaterale, la formazione di una bolla speculativa.

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del 2013, ha successivamente precisato Dealogic a Valori, le società europee hanno collocato obbligazioni junk per circa 38,4 miliardi di biglietti verdi. E anche qui, manco a dirlo, siamo a livelli record. Allargando lo sguardo all’intero mercato mondiale si superano i 154,5 miliardi di dollari nei primi tre mesi, con un incremento del 30,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Non stupisce, dunque, che qualcuno inizi a guardare al comparto obbligazionario con crescente sospetto. Per non dire con conclamato timore. «Una crescita così evidente (del mercato dei bond, ndr) a così poco tempo di distanza da una crisi finanziaria causata in parte dal disfacimento del credito – ha scritto il Telegraph – fa temere che a meno di cinque anni dal fallimento della Lehman Brothers e dalla quasi bancarotta di Royal Bank of Scotland e Hbos, il mondo si stia preparando a un nuovo collasso». Proprio Rbs, ha ricordato ancora il quotidiano britannico, starebbe rastrellando milioni collocando con successo bond rischiosi, tanto più che la clientela, dicono le cifre, sembra ormai propensa a muoversi con disinvoltura in questo genere di comparto. Quando lo scorso mese di novembre Barclays ha piazzato 3 miliardi di bond convertibili ad alto rendimento (7,625%) e, va da sé, a forte rischio, gli investitori asiatici hanno fatto letteralmente a sportellate mandando in orbita il Bid-to-cover per un complessivo 5 a 1. Tradotto: la domanda ha superato l’offerta di cinque volte.

Rischio bolla Le cause della bolla, peraltro, sono note da tempo e risiedono nella politica espansiva post crisi fatta di liquidità a basso costo e poderose iniezioni di aiuti finanziari. Già nel dicembre 2012 l’agenzia di rating Fitch aveva avvertito del


| finanzaetica |

180.000

Valore emissioni

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2010 Q1

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0

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20.000 2008 Q4

L’aspetto realmente paradossale è però un altro. Prima che i junk bonds tornassero in auge, l’attenzione degli investitori si era concentrata per lungo tempo sulle obbligazioni a basso rendimento. In un contesto di clamorosa incertezza a fronte della crisi europea, in altre parole, gli investitori erano corsi a comprare bund tedeschi e affini con l’obiettivo di minimizzare i rischi. Ma la mancata tempesta finanziaria estiva, preludio al calo degli spread e a una rinnovata sensazione di stabilità in Europa (per lo meno prima della crisi cipriota), avrebbe imposto in seguito un cambio di strategia. Quando tra la fine di novembre e la prima settimana di gennaio gli investitori hanno ritirato 5 miliardi e mezzo di dol-

VALORE DELLE EMISSIONI JUNK 2008-13

2008 Q1

Propensione al rischio

intenderci, quanto piuttosto una rinnovata propensione per il rischio. Lo stesso rischio, va da sé, che accompagna gli investimenti nelle obbligazioni spazzatura e la formazione della bolla. Perché in fondo, come aveva già avvertito a gennaio il presidente di Goldman Sachs Gary Cohn, «prima o poi i tassi di interesse saliranno di nuovo e, a quel punto, parte di tutto quel denaro che si è accumulato nel settore del rendimento fisso dovrà uscire fuori». Con la grazia di un elefante, ovviamente. 

lari dai fondi che operano sulle obbligazioni Usa ad elevato rating, iniettandone contemporaneamente 47,6 nel settore azionario (secondo i dati della società di ricerca EPFR Global di Cambridge, Massachusetts), in molti non hanno esitato a parlare di “grande rotazione”, ovvero del massiccio spostamento dell’interesse degli operatori dal mercato dei bond a quello delle azioni. Il sospetto, oggi, è che quello cui si stava assistendo già allora fosse in realtà un fenomeno diverso. Non un cambio di comparto, per

2008 Q2

pericolo sostenendo che il ridotto costo del denaro avrebbe creato una potenziale bolla sul mercato dei bond alimentando una domanda capace di apprezzarlo in modo eccessivo. In sintesi: quando si ha a disposizione denaro a basso costo (perché i tassi di interesse delle banche centrali sono risibili) si cerca di investirlo dove i rendimenti sono maggiori. Di fatto, in un contesto di crisi, si tratta di un effetto collaterale inevitabile, visto che alla terapia – cioè alla politica espansiva di Usa, Uk, Cina e Giappone oltre che alle strategie easing della stessa Bce che ha innaffiato le banche private con 1 trilione di euro di prestiti all’1% – non si può rinunciare in alcun modo. Come a dire che il problema esiste, ma tanto la sua grandezza e quanto la sua ineluttabilità impongono ad analisti e operatori di ignorarlo sistematicamente. Esattamente come l’elefante della metafora.

FONTE: DEALOGIC, DATI IN MILIONI DI DOLLARI USA

La politica espansiva post crisi (di Usa, Uk, Cina, Giappone, ma anche Bce) fatta di liquidità a basso costo e poderosi aiuti finanziari potrebbe generare una bolla speculativa di bond spazzatura | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 29 |


| finanzaetica | la tassa all’opera |

Se la finanza non serve all’economia reale di Andrea Barolini

| 30 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Scambi mondiali di merci

600.000

Pil mondiale

400.000

200.000

0 1975

1980

1985

1990

1995

l’aprile 2010 – si legge nello studio – la Banca dei regolamenti internazionali aveva dimostrato come fossero scambiati ogni giorno oltre 4 mila miliardi di dollari». Un livello «imparagonabile rispetto al Pil mondiale, così come rispetto al totale degli scambi internazionali di beni e servizi» (vedi GRAFICO 1 ). A metà degli anni Settanta i volumi sul mercato dei cambi rappresentavano circa il 20% del Pil globale; dieci anni dopo il rapporto si era rovesciato e oggi le compravendite valgono 15 volte il Pil e 65 volte il commercio mondiale. Nel generare una stortura del genere per i ricercatori del Cepii un ruolo preponderante è stato giocato da fondi co-

2000

2005

2010

FONTE: MARCHÉS DE CHANGES : ENQUÊTES TRIENNALES DE LA BRI ET EXTRAPOLATION POUR L’ANNÉE 1997 À PARTIR DES DONNÉES POUR LES ÉTATS-UNIS ; PIB : FMI ; ÉCHANGES : BANQUE MONDIALE. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI

muni, fondi pensione ed hedge funds (oltre la metà delle transazioni passano per le loro strutture): «Senza dimenticare i derivati che gonfiano artatamente i volumi, né il trading ad alta frequenza, che ha fornito un importante contributo».

Mercati, un boom autoreferenziale Una seconda prova della distanza tra finanza ed economia reale arriva dalla crescita dei mercati azionari e obbligazionari. A livello mondiale la capitalizzazione delle Borse è passata da poco meno di 9 mila miliardi di dollari della fine del 1990 a 57 mila miliardi di fine del 2010. A metà 2011, inoltre, il valore globale del mercato obbliga-

GRAFICO 2 EVOLUZIONE DEI MERCATI AZIONARI E OBBLIGAZIONARI MONDIALI

63

80

40 20 0

Pil Capitalizzazione di Borsa Mercato obbligazionario

35

60

57

95

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31

Il settore finanziario, ben inteso, resta indispensabile: assicura la gestione dei mezzi di pagamento, facilita l’allocazione dei capitali e la condivisione dei rischi. Il problema è che il suo sviluppo esponenziale degli ultimi anni ha trainato il Pil globale solo marginalmente. Al prezzo di una crescente instabilità. Gli autori del rapporto prendono in considerazione quello che definiscono “il caso più emblematico”: l’andamento delle transazioni sul mercato dei cambi. «Nel-

800.000

32

L’ipertrofia del mercato dei cambi

Volume mondiale di transazioni sul mercato dei cambi

18

F

1.000.000

9

ino a qualche anno fa era molto raro trovare tra gli economisti qualcuno che non fosse convinto del ruolo positivo della finanza sulla crescita economica. La quantità di crisi che si sono succedute, con in testa ovviamente quella che dal 2008 sta sconvolgendo il mondo intero, hanno tuttavia cominciato a scalfire il monolitico pensiero dominante. E il dibattito tra gli esperti comincia a concentrarsi sempre più sulle relazioni tra lo sviluppo finanziario e l’economia reale. Il think tank francese Cepii (Centre d’Etudes Prospectives et d’Informations Internationales) ha dimostrato nella pubblicazione L’économie mondiale 2013 che la finanza è sempre meno utile al miglioramento dell’economia e, dunque, della vita di ciascuno di noi.

GRAFICO 1 L’EVOLUZIONE DELLE TRANSAZIONI SUL MERCATO DEI CAMBI

22

Qual è il vero apporto dei servizi finanziari sulla crescita economica? Uno studio del centro di ricerca francese Cepii dimostra come il legame sia tutt’altro che provato

1990

2000

2010

FONTE: WORLD FEDERATION OF EXCHANGE BIS QUARTERLY REVIEW, MARS 2012, TABLEAUX 11 ET 16. COMPILATION PAR LES AUTEURS. DATI IN TRILIONI DI DOLLARI.


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zionario ha sorpassato i 100 miliardi di dollari: nel 1990 valeva appena 18 mila miliardi (vedi GRAFICO 2 ). I mercati azionario e dei bond, insieme, rappresentano circa 2,5 volte il Pil mondiale. Cifra che sale a 4 volte se si considerano anche gli asset in possesso delle banche (in Germania tale rapporto è di 1 a 3,5, in Francia di 1 a 6, nel Regno Unito di 1 a 9). «A generare tale crescita – spiega il rapporto – sono stati diversi fattori, dal calo del prezzo delle transazioni all’utilizzo delle nuove tecnologie. Ma anche l’invecchiamento della popolazione, l’aumento del tenore di vita nei Paesi emergenti e la liquidità immessa nei mercati dai Paesi esportatori di petrolio e materie prime». La finanza, dunque, è cresciuta a dismisura. Senza essere in grado di fornire alcun argine alle fasi di recessione. Perché? Il Cepii individua tre cause principali. La prima va ricercata nella natura stessa del settore finanziario fondamentalmente «pro-ciclico: quando l’economia attraversa una crescita prolungata, accompagnata da bassi tassi di interesse, l’aumento del valore degli asset diminuisce la possibilità di default da parte delle imprese. Il che favorisce sia la domanda che l’offerta di servizi finanziari». La politica monetaria espansiva delle banche centrali, quindi, invoglia le banche ad assumersi più rischi: i prestiti diventano più facili e si può innescare il circolo virtuoso credito-investimenti-crescita-occupazione. Ma in tempi di crisi accade l’esatto contrario. Una seconda ragione che spiega il distacco tra finanza ed economia reale risiede invece nella condizione super-favorevole di cui godono le banche. La tassazione della finanza è spesso nettamente inferiore. È noto inoltre che gli istituti più grandi sono considerati “troppo grandi per fallire”, e pertanto possono contare su un sostegno pubblico di ultima istanza. «L’ammontare stimato delle sovvenzioni – osserva il Cepii – è dieci volte più grande rispetto al quantitativo di tasse pagate dalle banche ogni anno». Infine il comparto bancario è stato a lungo disciplinato da regole considerate sufficienti in termini di accantonamento di capitali a fronte dei rischi assunti nelle proprie attività. Norme che si sono rivelate inadeguate. I banchieri centrali hanno

TOO BIG TO WORK, LA FINANZA IPERTROFICA DIVENTA INUTILE Qual è la dimensione della finanza oltre la quale non si dovrebbe andare? Jean-Louis Arcand, professore di Economia 0,4 a Ginevra, ha provato a indicare una soglia. 0,3 Si basa sul volume dei crediti concessi al settore privato, che non dovrebbero 0,2 superare il 110% del Pil. Oltre tale livello 0,1 l’effetto marginale dello sviluppo 0,0 finanziario sulla crescita diventa negativo. -0,1 Proviamo allora a verificare, oggi, a quale 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 FONTE: FMI, GLOBAL FINANCIAL STABILITY REPORT, AVRIL 2012. livello è arrivata tale percentuale. COMPILATION PAR LES AUTEURS (RAPPORTÉS AU PIB). Scopriamo che è cresciuta ovunque negli anni, fino a superare la “soglia d’allarme” GRAFICO 5 I BONUS A WALL STREET in quasi tutte le grandi economie 40 35 dell’Ocse (vedi TABELLA ). Non a caso, 30 durante la crisi, anche alcuni regolatori 25 – come il presidente della Fsa inglese 20 15 Adair Turner – avevano manifestato 10 preoccupazione per le dimensioni 5 del settore finanziario: «Siamo al di là 0 1984 1987 1990 1993 1996 1999 2002 2005 2008 2011 di un livello socialmente ragionevole», FONTE: OFFICE OF THE NEW YORK STATE COMPTROLLER. DATI IN MILIARDI DI DOLLARI dichiarò nel 2009. Altri studi indicano un aumento della volatilità macroeconomica in caso di crediti superiori anche solo al 100% del Pil. Mentre già nel 1984 James Tobin suggerì che i “rendimenti sociali” del settore finanziario potevano essere più deboli rispetto a quelli privati. Il che apriva le porte a un altro problema: l’incetta di giovani talenti da parte dei colossi del settore. Dei diplomati di Harvard del 1990, quindici anni dopo il 15% era impiegato in banche, fondi e compagnie d’assicurazione, mentre negli anni Settanta la quota era pari solo al 5%. Se qualcuno si domandasse come mai, basta dare un’occhiata all’andamento delle remunerazioni nel mondo della finanza per capire come faccia il settore a risultare così “attraente” (vedi GRAFICI 4 E 5 ). A.BAR. GRAFICO 4 IL PREMIO SALARIALE NEL SETTORE DELLA FINANZA NEGLI USA

CREDITO AL SETTORE PRIVATO NELLE PRINCIPALI ECONOMIE AVANZATE 1980

2011

Spagna

75

204

Svizzera

1980 74

2011 136

Paesi Bassi

89

198

Canada

72

128

Usa

97

193

Italia

55

122

Uk

27

188

Francia

101

116

Svizzera

106

176

Germania

76

105

Giappone

129

170

Belgio

29

93

FONTE: BANQUE MONDIALE DATABANK. (EN % DU PIB, PAYS CLASSÉS SELON LE NIVEAU EN 2011)

approvato la cosiddetta Basilea III, che vuole incrementare le “riserve anti-crisi” delle banche. Col risultato che queste ultime si dichiarano pronte a chiudere ancor di più i rubinetti del credito, per compensare il capitale da accantonare. Più utile, conclude il think tank francese, sarebbe «ristabilire una proporzionalità ragionevole tra attività finanziarie

e attività economiche». In altre parole, ridurre la taglia dei colossi del settore. L’associazione Finance Watch ha proposto un tetto massimo tra 100 e 200 miliardi di dollari agli asset che può possedere un singolo soggetto. Ma, prosegue il Cepii, sarebbe utile anche ampliare il numero di Paesi che adottano una tassa sulle transazioni finanziarie.  | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 31 |


| finanzaetica | elezioni |

Banca Etica pronta a crescere ancora di Elisabetta Tramonto

Il 18 maggio Banca Etica rinnova il suo Consiglio di Amministrazione. Per Ugo Biggeri, presidente in carica, è tempo di bilanci. Molto è stato fatto e molto resta ancora da fare. E in un momento di crisi la finanza etica è un faro all’orizzonte

anca Etica ha portato a compimento il sogno originario di 18 anni fa. Nel 2012, per la prima volta, per ogni euro di risparmio raccolto abbiamo avuto un euro di credito accordato», descrive così il punto a cui è arrivata oggi Banca Etica, Ugo Biggeri, attuale presidente dell’istituto di credito. Lo sarà fino al 18 maggio, quando, a Firenze in occasione di Terra Futura, si terrà

«B

l’assemblea dei soci della banca e l’elezione del nuovo Consiglio di Amministrazione (e del nuovo presidente, ruolo per cui Biggeri si ricandida). «Ora Banca Etica può dire di fare veramente finanza etica al 100%, non solo nella modalità con cui porta avanti il modo di fare banca, ma anche nel tipo di progetti finanziati. Certo, poi, tra accordato e utilizzato esiste una differenza e, per fortuna, la banca si trova ad

Chi guiderà Banca Etica? I 20 candidati alle elezioni per il prossimo Consiglio di Amministrazione di Banca Popolare Etica (in ordine alfabetico). Appuntamento il 18 maggio a Firenze per l’assemblea dei soci. I curriculum completi su: www.bancaetica.it/assemblea Ugo BIGGERI (attuale presidente e unico candidato presidente)

Marco CARLIZZI

47 anni. Laureato in fisica, un dottorato in ingegneria elettronica. Attuale presidente di Banca Etica e di Etica Sgr; ex presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica (2003-2010) e di Mani Tese (1997-1999). È stato tra i soci fondatori di Banca Etica e ha una lunga esperienza in ambito sociale e ambientale.

Candidato dai soci dell’area Centro. 43 anni. Una laurea in giurisprudenza. Lavora come avvocato per grandi aziende, ma collabora anche con cooperative sociali e associazioni di volontariato e ha costituito realtà come Legale nel Sociale, Obiettivocomune e la Fondazione Liberi Tutti.

Alberto BORIN Candidato con la raccolta firme, 49 anni. Da 15 anni consulente per organizzazioni non profit, cooperative e anche per Banca Etica in ambito giuridico, fiscale, progettuale, finanziario. Vanta un’ampia conoscenza della banca, fin dal progetto di avvio. È responsabile nazionale per il terzo settore del partito “Italia dei valori”.

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Gianpietro CAVAZZA Candidato con la raccolta firme, su iniziativa del Git di Modena. 55 anni. Laureato in scienze agrarie. Da 15 anni lavora per Aretés, società di Ricerca, Progettazione e Comunicazione per la Qualità Sociale, occupandosi di attività diverse: responsabilità sociale d’impresa, marketing sociale, programmazione delle politiche sociali e dell’innovazione del welfare negli enti locali. E molto altro.


| finanzaetica |

avere una liquidità maggiore. Ma da punto di vista ideale il risparmio coincide con il concordato: quasi 800 milioni di euro».

Perché è così significativo aver raggiunto la parità tra raccolta e impieghi concordati? Perché significa che d’ora in poi la modalità con cui Banca Etica crescerà deve essere diversa. Abbiamo sempre “rincorso” la capacità di fare credito rispetto alla capacità di raccogliere. Oggi abbiamo dimostrato che riusciamo a fare impieghi pari alla raccolta. E d’ora in avanti la vera sfida sarà imparare a far crescere in modo equilibrato capitale sociale, risparmio e impieghi. Insieme alla quarta gamba: la partecipazione. La crescita della banca non deve farci dimenticare la partecipazione.

Entrando nel merito del lavoro del CdA, in questi tre anni che cosa le ha dato più soddisfazione?

Giuseppe (Pino) DI FRANCESCO Candidato dei soci fondatori di Banca Etica: in particolare dall’Arci. 54 anni. Una lunga esperienza nel mondo del terzo settore. Dal 1991 responsabile dell’Ufficio Amministrazione della Direzione Nazionale Arci. Ha seguito la storia di Banca Etica sin dalla nascita, prima con Arci, poi come socio individuale, come cliente e dal 2000 anche come Consigliere di Amministrazione (2000-2010). Anna FASANO (consigliere uscente) Candidata dell’Area Nord-Est. 38 anni. Una laurea in Economia bancaria e un master come “Responsabile formazione e gestione delle organizzazioni del terzo settore”. Da oltre dieci anni collabora con associazioni e realtà non profit del Friuli Venezia Giulia e si è focalizzata sul tema dell’housing sociale, contribuendo all’attivazione di nuovi percorsi “dal basso”.

La sensazione di essere riusciti a tenere insieme l’attenzione all’efficienza e ai costi con l’attenzione al senso di quello che facevamo. Abbiamo i conti in ordine e, rispetto a quanto sta accadendo oggi a banche della nostra dimensione, siamo messi bene. Ma non abbiamo mai dimenticato il senso del nostro agire. Un progetto di cui vado fiero è l’internazionalizzazione, con la spagnola Fiare. Chiudiamo il mandato con una domanda in corso a Banca d’Italia per aprire un’unità operativa in Spagna. Sarà una grande opportunità per Banca Etica, per ripensarsi e crescere. Per rinnovare anche a livello europeo la finanza etica. È un progetto che non è nato per motivazioni commerciali o di espansione della banca, ma su iniziativa della realtà spagnola che ha coinvolto Banca Etica. Ed è stato portato avanti un vero processo cooperativo.

Dario GUERINI

Quali sono le prime questioni che affronterebbe se fosse rieletto?

Paolo MASCELLANI

C’è ancora tanto da fare nella riorganizzazione di Banca Etica perché sia più efficiente. Un nodo importante è quello della partecipazione, dei soci e di tutti i portatori di interesse. Più cresce la banca e più è importante regolare la partecipazione e l’interazio-

Candidato tramite la raccolta firme. 68 anni. Per quarant’anni si è occupato di economia (auditing, strategia, finanza e bilancio) e di organizzazione aziendale. Oltre che dell’insegnamento universitario: insegna Bilancio, Finanza e Gestione aziendale all’Università di Bergamo e alla Bocconi di Milano. È stato anche assessore al Comune di Bergamo dal 2004 al 2009. Gianfranco MARZOCCHI (consigliere uscente) 60 anni. Da oltre 35 attivo nella cooperazione sociale come imprenditore sociale e dirigente del movimento cooperativo. Ha partecipato alla fase costituente di Banca Etica come socio fondatore e componente del primo CdA. Da oltre dieci anni collabora con il mondo accademico attraverso Aiccon (Associazione Italiana per la promozione della Cultura della Cooperazione e del Nonprofit).

Candidato con la raccolta firme. 55 anni. Laureato in ingegneria. Quasi quarant’anni di lavoro e consulenza nel settore Ict. Ha accumulato esperienza su tutti gli aspetti (contabilità al bilancio, gestione dei rapporti produttivi e personali, ecc.) di gestione di una cooperativa ad alta motivazione ideale. Ha una conoscenza approfondita del terzo settore.

Rita DE PADOVA (consigliere uscente)

Sergio MORELLI (consigliere uscente)

Candidata dei soci dell’area Sud. 58 anni. Insegnante di matematica alle scuole medie e superiori con distacco dal 1999 presso la Comunità sulla strada di Emmaus. Un’ampia conoscenza del mondo delle associazioni e delle cooperative sociali nel Sud Italia. Conoscenza della realtà di Banca Etica approfondita nei 6 anni come Consigliere di Amministrazione.

72 anni. 30 passati a lavorare in banca (Banca Popolare di Milano e Banca Agricola Milanese), in vari settori. Esperienza che può permettere di dare un contributo nel comparto fidi di Banca Etica. In una delle banche dove ha lavorato coordinava l’attività delle filiali estere, esperienza utile in vista dell’apertura di una filiale di Banca Etica in Spagna.

Nicoletta DENTICO

Roberto MUSEO (consigliere uscente)

Candidata tramite la raccolta firme. 51 anni. Giornalista, una storia professionale dedicata al mondo del non profit e alla cooperazione internazionale. È stata direttore generale di Medici senza frontiere e ha ricoperto ruoli direttivi in Amref e Mani Tese. Ha partecipato alla Campagna Banche Armate e alla campagna Zerozerocinque per conto dell’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale.

44 anni. Laureato in economia e commercio. È il direttore del Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato. 15 anni di lavoro al servizio del non profit. Socio attivo del Git de L’Aquila e da 3 anni membro del CdA di Banca Etica, all’interno del quale ha partecipato anche al gruppo di lavoro creato per la revisione del documento sulla governance della Banca.

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Giacinto PALLADINO Candidato dei soci fondatori di Banca Etica, per la Fiba-Cisl. 49 anni. Ha partecipato alla stesura dell’Appello per la riforma dei mercati finanziari e per un’economia civile e solidale. Fa parte dei gruppi di lavoro della campagna ZeroZeroCinque. È presidente di Fiba Social Life per cui organizza iniziative per il contrasto alle mafie, la diffusione delle rinnovabili, l’economia solidale, la finanza etica. Cristina PULVIRENTI

IL CDA SI AUTO-ESAMINA Alla fine del suo mandato il Consiglio di Amministrazione di Banca Etica ha fatto un bilancio del suo operato. Eccone un estratto (la versione integrale sul sito www.valori.it). Sostenibilità di Banca Etica in un contesto di crisi • il capitale sociale è incrementato da 28.152 a 42.790 (*) • la raccolta diretta è incrementata da 640.609 a 777.152 (*) • gli impieghi accordati sono incrementati da 577.879 a 812.714 (*) • il rapporto cost/income è passato da 85,3% a 67,3% * (periodo maggio 2010 - dicembre 2012, importi in migliaia di euro)

Candidata dei soci dell’area Nord-Ovest. 47 anni. Ha un’ampia conoscenza del mercato del credito, della struttura e dei processi bancari, grazie all’attività sulle segnalazioni di vigilanza (audit della Banca d’Italia). Ottima padronanza degli aspetti di corporate governance e analisi del rischio (in particolare Basilea 2). Conosce bene le cooperative mutualistiche (Confidi) e il terzo settore.

Organizzazione Interna • è stato definito il nuovo contratto per i banchieri ambulanti • sono stati assunti dal maggio 2010 a dicembre 2012 7 dipendenti • sono state aperte le filiali di Ancona, Perugia, Trieste e Bergamo • è stata incrementata la presenza su web e lanciato il conto online.

Francesca RISPOLI

Il Governo di Banca Etica • il CdA è stato impostato con una particolare attenzione alla collegialità, garantendo che i dibattiti consiliari fossero aperti e liberi

Candidata dei soci fondatori di Banca Etica, per conto del Gruppo Abele. 33 anni (la più giovane). Dieci anni di esperienza nel terzo settore. A 23 anni esordisce nell’associazione Acmos, lavorando sull’educazione alla cittadinanza e alla legalità democratica. Dal 2007 responsabile nazionale di Libera Formazione. Dal 2008 membro del CdA del Gruppo Abele Onlus. Oggi è anche direttrice nazionale di Libera.

La partecipazione in Banca Etica • si sono gettate le basi verso Banca Etica spagnola, coinvolgimento la base sociale di Banca Etica e quella di Fiare. La Banca Trasparente • sono stati inviati a tutti i soci i rendiconti delle sedute del CdA • sono stati resi pubblici gli emolumenti di presidente e consiglieri.

Mariateresa RUGGIERO Candidata tramite la raccolta firme. 45 anni. Dal 2008 direttrice della Fondazione Culturale Responsabilità Etica e dal 2012 direttore editoriale del mensile Valori. Ha partecipato al progetto Banca Etica, contribuendo a definire il percorso istituzionale e operativo che ha portato alla sua nascita e all’avvio dell’operatività bancaria. Un lungo impegno nel volontariato e nella cooperazione internazionale. Pedro Manuel SASIA SANTOS Candidato dell’area Spagna. 51 anni, spagnolo. Laureato in chimica. Lavora per Fiare, la fondazione nata nei Paesi Baschi che si occupa di finanza etica, grazie a cui Banca Etica sta aprendo una filiale in Spagna. Ha collaborato attivamente al progetto di integrazione tra Banca Etica e Fiare (nel 2012 è iniziato il processo di integrazione tra le basi sociali delle 2 realtà). Sabina SINISCALCHI (consigliere uscente) 60 anni. Una laurea in Economia e diritto internazionale. Una lunga esperienza nel terzo settore, nella finanza etica e nella cooperazione internazionale maturata in Italia e in Europa. È stata Segretario nazionale di Mani Tese; dal 2003 al 2006 direttrice della Fondazione Culturale Responsabilità Etica; dal 2006 al 2008 parlamentare; dal 2010 membro del CdA di Banca Etica.

Giulio TAGLIAVINI (consigliere uscente) 53 anni. Professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Parma, ex direttore del Master in finanza per lo sviluppo. Dal 2000 componente del Comitato Etico e del CdA di Etica Sgr. Dal 2010 membro del CdA di Banca Etica, grazie alla sua storia professionale è considerato un consigliere “tecnico”.

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ne tra i soci e i vertici. Servono regole precise e serve un percorso di maturazione. Paradossalmente perché la partecipazione si sviluppi pienamente bisogna limitarla. Può sembrare una contraddizione, ma non è così. Finché i numeri di Banca Etica erano piccoli, un socio poteva chiamare il presidente e riferirgli la sua idea. Ma nel momento in cui la banca diventa una realtà con 5 aree territoriali, una all’estero, con 220 dipendenti, quasi 800 milioni di euro di crediti deliberati, non è più possibile. Bisogna trovare la modalità per far funzionare la partecipazione. Deve essere ben regolamentata. Probabilmente bisogna mettere in piedi percorsi decentrati per cui livelli di partecipazione si intrecciano con livelli di struttura adeguati. Per esempio ci sarà un livello in cui i gruppi locali interagiscono con la filiale e altri in cui i gruppi locali fanno arrivare le proprie istanze al Cda. Non è per ostacolare la partecipazione, anzi. È per farla funzionare bene.

Che ruolo può avere oggi Banca Etica nel contesto economico italiano? Non bisogna dimenticare che Banca Etica ha dimensioni limitate. Detto questo, può indicare delle piste, delle idee, essere un modello da seguire, anche in base a quello che è riuscita a sperimentare in questi anni. Dobbiamo trasmettere la consapevolezza che se tratti i risparmi in modo intelligente, diventano bene comune, partecipano come te alla creazione di un mondo migliore. La finanza non è un servizio, è uno degli elementi che governano il mondo. Se indirizziamo il risparmio verso cooperative sociali, Mag, investimenti sul territorio, Banca Etica, allora stiamo partecipando. E i nostri soldi diventano un acceleratore di economia civile. 


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Dieci anni di Terra Futura: «Noi, l’alternativa alla crisi» di Valentina Neri

Terra Futura compie dieci anni. Quasi la metà trascorse in tempi di crisi. La ricetta per risollevarsi? Altra economia, ambiente e una riforma della finanza. Se ne discute alla Fortezza da Basso a Firenze, dal 17 al 19 maggio on provare a nascondere la crisi, ma, al contrario, metterla al centro della propria riflessione. Presentare l’altra economia con come una minoranza, bensì come un’alternativa reale, capace di affrontare le distorsioni del sistema e costruire dal basso qualcosa di nuovo. È questo l’ambizioso obiettivo dei promotori di Terra Futura, che per la decima edizione (auguri!) hanno scelto il tema: “Dieci anni dopo: oltre la crisi, per una nuova Europa”. Con un programma culturale frutto di un gioco di squadra che coinvolge la Fondazione culturale responsabilità etica, Arci, Acli, Legambiente, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Caritas. Attori profondamente diversi fra di loro per storia e natura, che si incontrano per scambiarsi esperienze e competenze.

N

Una crisi annunciata da tempo... da cui è ora di uscire Per circa metà delle sue edizioni Terra Futura ha “vissuto” la crisi. Anzi, meglio

dire le crisi: finanziaria, ma anche economica, sociale, ambientale e di democrazia, descritte bene dal position paper di quest’edizione della fiera. I promotori della manifestazione lanciavano l’allarme già da molto prima. «Dieci anni fa parlavamo di Tobin Tax, delle distorsioni del sistema finanziario, della necessità di un nuovo modello europeo», spiega Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale responsabilità etica. «All’epoca eravamo inascoltati, ma i fatti ci hanno dato ragione». Quali sono le risposte dell’associazionismo, dell’attivismo e del terzo settore? Bisogna ripartire dall’ambiente, innanzitutto. In primo luogo perché le conseguenze del cambiamento climatico si fanno sentire: lo dimostra il dossier che verrà presentato da Legambiente e Caritas sui profughi ambientali, quei sei milioni di persone che ogni anno sono costrette ad abbandonare i propri luoghi d’origine, resi invivibili dal climate change. E poi per-

APPUNTAMENTO ALLA FORTEZZA Terra Futura torna anche quest’anno, dal 17 al 19 maggio, alla Fortezza da Basso a Firenze. E festeggia il suo decimo compleanno. L’anno scorso la mostraconvegno internazionale sulle buone pratiche e gli stili di vita sostenibili aveva tagliato il traguardo degli 80 mila visitatori. Dodici le sezioni espositive, che spaziano dalla mobilità sostenibile al commercio equo, dai viaggi all’edilizia a basso impatto ambientale, senza trascurare l’agricoltura biologica a km zero, i diritti umani e la salute. CI SARÀ ANCHE VALORI , ALLO STAND DI BANCA ETICA ché la tutela del territorio offre reali opportunità di crescita: «La green economy – spiega Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente – è costituita da tantissime realtà legate, ad esempio, alle energie alternative, al risparmio energetico e all’edilizia ecosostenibile. Realtà che forniscono una risposta concreta in termini di lavoro e rilancio dell’economia».

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| finanzaetica |

«Dobbiamo smettere di dire che non c’è lavoro», gli fa eco Stefano Biondi, segretario regionale di Fiba Cisl Toscana. «Bisogna mettere in sicurezza il Paese dal punto di vista idrogeologico, sistemare le scuole, tutelare il patrimonio artistico. Liberiamo il lavoro dai ricatti della corruzione e puntiamo alla vera crescita, che è quella dei beni comuni». È lo stesso obiettivo delle Acli, che quest’anno puntano i riflettori sul servizio civile.

Buone pratiche: dalla teoria alla pratica Il metodo di Terra Futura, ormai collaudato, è quello di affiancare teoria e pratica: «Si può seguire il convegno sui cambiamenti climatici e, all’uscita, incontrare l’addetto che spiega come installare i pannelli solari sul tetto di casa», racconta Andrea Baranes. Un modello preso a prestito dalla “sorella maggiore” della mostra-convegno toscana, la Fiera delle Utopie concrete che si tiene a Città di Castello ogni autunno da venticinque anni, e che partecipa attivamente al gruppo dei partner. «Noi proponiamo soluzioni calibrate sull’Alto Tevere, nella prospettiva che siano paradigmatiche per altre realtà italiane», spiega il coordinatore Karl Ludwig Schiebel. A Terra Futura si farà lo

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stesso, ma su un contesto più ampio. E con un’eco internazionale: le conferenze ospitano Claus Offe come Vandana Shiva e il pubblico arriva anche da lontano. Difficile etichettare tutte queste realtà come nicchie marginali. Eppure, a guardare i media mainstream o l’agenda politica (non solo italiana), il rischio c’è. Lo ribadisce Baranes: «Le buone pratiche sono percorsi obbligati. Ad esempio, quello che normalmente chiamiamo finanza è un gigantesco casinò e la finanza etica non è un’alternativa per eccentrici, ma fa quello che le banche dovrebbero fare: sostiene l’economia, il lavoro, l’ambiente». Ma l’altra economia, facendosi strada dal basso, deve fare i conti con «trent’anni di pensiero unico». E con una politica che, continua, «spende ancora soldi per le grandi opere e i cacciabombardieri», invece di rendersi conto che bisogna puntare su un modello opposto. «Chi mira al bene comune – conclude Stefano Biondi – dovrebbe essere avvantaggiato, a livello normativo, amministrativo e fiscale, rispetto a chi si pone come obiettivo solo il profitto. Terra Futura per noi è un laboratorio: dimostra che una medicina funziona e che dunque vale la pena di costruirla e promuoverla su larga scala».



| numeridellaterra |

Il Paese della diseguaglianza di Paola Baiocchi

INDICE DI STATO FISICO (PCS) [2005]

1

VALLE D’AOSTA

LIGURIA TOSCANA UMBRIA

2

VALLE D’AOSTA

Bolzano Trento

PIEMONTE

PERSONE CON ALMENO IL DIPLOMA SUPERIORE [2011]

Minore di 49,31 49,31 - 49,85 49,85 - 50,38 50,38 - 50,92 50,92 - 51,11 Dato mancante

LIGURIA TOSCANA UMBRIA

LAZIO

SARDEGNA

BASILICATA

SICILIA

1

Salute

4

TOSCANA UMBRIA

TOSCANA UMBRIA

Minore di 8,31 8,31 - 18,8 18,8 - 29,29 29,29 - 39,79 39,79 - 44,31 Dato mancante

SICILIA Istruzione e formazione

2

PIEMONTE LIGURIA TOSCANA UMBRIA

CALABRIA

Lavoro e SICILIA conciliazione tempi di vita

VALLE D’AOSTA Minore di 30,45 30,45 - 36,7 36,7 - 42,95 42,95 - 49,01 Dato mancante

Bolzano Trento

PIEMONTE LIGURIA TOSCANA UMBRIA

SARDEGNA

CALABRIA

4

MOLISE

BASILICATA

SARDEGNA

CALABRIA

RelazioniSICILIA sociali

Minore di 3,15 3,15 - 3,37 3,37 - 3,6 3,6 - 3,82 3,82 - 4,01 Dato mancante

LAZIO MOLISE

BASILICATA

3

6

LAZIO

| 38 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

BASILICATA

FIDUCIA NEL PARLAMENTO ITALIANO [2012]

Bolzano Trento

MOLISE

BenessereSICILIA economico

SARDEGNA

BASILICATA CALABRIA

VALLE D’AOSTA

LAZIO

SARDEGNA

LIGURIA

Minore di 52,22 52,22 - 61,92 61,92 - 71,62 71,62 - 76,01 Dato mancante

MOLISE

5

Bolzano Trento

LIGURIA

PIEMONTE

LAZIO

MOLTO SODDISFATTI PER LE RELAZIONI FAMILIARI [2012]

INDICE DI RISCHIO DI POVERTÀ RELATIVA [2011]

PIEMONTE

Bolzano Trento

MOLISE

CALABRIA

VALLE D’AOSTA

Minore di 50,3 50,3 - 56,42 56,42 - 62,53 62,53 - 66,31 Dato mancante

LAZIO MOLISE

SARDEGNA

3

VALLE D’AOSTA

Bolzano Trento

PIEMONTE

TASSO DI OCCUPAZIONE 20-64 ANNI [2011]

5

BASILICATA CALABRIA

Politica SICILIA e istituzioni

6


Con il Bes, il sistema di valutazione del Benessere equo e sostenibile, possiamo guardare da vicino la nostra società (vedi pag. 40). Messo a punto da Istat e Cnel per segnare dove intervenire più rapidamente, il Bes fotografa un’Italia profondamente diseguale: tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra partecipazione e disimpegno, tra abusivismo e legalità. Un Paese dove la formazione non è ai livelli europei, anche se è migliorata, ma non serve da ascensore sociale: sempre più chi proviene da famiglie che “possono” continuerà gli studi, mentre si fermerà prima chi parte da più in basso. Nelle mappe è stato scelto un solo indicatore per ognuna delle 12 dimensioni che formano il benessere: uno dei dati che ci accomuna di più, anche se non è un segnale positivo, è la sfiducia nei rappresentanti delle istituzioni.

SODDISFAZIONE PER LA PROPRIA VITA [2012]

TASSO DI BORSEGGI [2011]

7

VALLE D’AOSTA

VALLE D’AOSTA

Bolzano Trento

PIEMONTE LIGURIA TOSCANA UMBRIA

Minore di 1,63 1,63 - 4,6 4,6 - 7,58 7,58 - 10,51 Dato mancante

LIGURIA TOSCANA UMBRIA

SARDEGNA

SICILIA

7

Sicurezza

AREE CON PROBLEMI ] IDROGEOLOGICI [2007

Minore di 2,78 2,78 - 7,82 7,82 - 12,86 12,86 - 17,9 17,9 - 19,41 Dato mancante

BenessereSICILIA soggettivo

BASILICATA

8

J

BASILICATA

PIEMONTE LIGURIA TOSCANA UMBRIA

Paesaggio SICILIA e patrimonio culturale

Minore di 40,24 40,24 - 46,94 46,94 - 53,65 53,65 - 58,81 Dato mancante

Bolzano Trento Minore di 0,88 0,88 - 1,74 1,74 - 2,41 Dato mancante

PIEMONTE LIGURIA TOSCANA UMBRIA LAZIO

MOLISE SARDEGNA

MOLISE

BASILICATA

SARDEGNA

CALABRIA

Ricerca SICILIA e innovazione

9

LISTE D’ATTESA [2010] VALLE D’AOSTA

Bolzano Trento

CALABRIA

SICILIA

SARDEGNA

CALABRIA

TASSO DI INNOVAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO [2010]

MOLISE

Ambiente

TOSCANA UMBRIA

Minore di 20,79 20,79 - 41,71 41,71 - 62,62 62,62 - 68,31 Dato mancante

MOLISE

LAZIO

LAZIO

SARDEGNA

LIGURIA

CALABRIA

VALLE D’AOSTA

Bolzano Trento

TOSCANA UMBRIA

PIEMONTE

LAZIO

BASILICATA

CALABRIA

LIGURIA

Minore di 22,02 22,02 - 29,5 29,5 - 36,98 36,98 - 44,46 44,46 - 51,94 51,94 - 61,91 Dato mancante

Bolzano Trento

MOLISE

BASILICATA

PIEMONTE

VALLE D’AOSTA

LAZIO MOLISE

VALLE D’AOSTA

9

Bolzano Trento

PIEMONTE

LAZIO

SARDEGNA

TASSO DI ABUSIVISMO EDILIZIO [2011]

8

BASILICATA CALABRIA

J

SICILIA Qualit dei servizi

Q

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 39 |

FONTE: WWW.MISUREDELBENESSERE.IT

| indice di benessere equo e sostenibile |


FONTE : BES 2013 - IL BENESSERE EQUO E SOSTENIBILE IN ITALIA - SINTESI

economiasolidale

Indice di sviluppo umano. La riscossa del Sud > 45 Gas lombardi al microscopio > 49 Il legno tricolore s’è perso nel bosco > 51 | 40 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |


| nuovi indicatori del benessere |

Un’immagine tratta dal rapporto dell’Istat sul Bes 2013, il benessere equo e sostenibile in Italia.

Stiamo meglio

Il Bes, il misuratore del Benessere equo sostenibile è nato, attraverso un percorso partecipato, con l’esigenza di avere un’analisi più completa della società rispetto al Pil. Tra i suoi indicatori, il “tempo di gioco dei genitori con i bambini” e “paesaggio e patrimonio culturale”

se condividiamo di Paola Baiocchi i sono voluti due anni di lavoro per mettere a punto il Bes, il sistema di analisi del Benessere equo e sostenibile, ma ora questo strumento di valutazione della società italiana, che affiancherà e aggiungerà molte informazioni a quelle fornite dal Pil, è pronto ed è a disposizione per chi voglia conoscerlo e cominciare ad utilizzarlo. Il percorso intrapreso dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) e dal Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del Lavoro) per arrivare al Bes in realtà è stato molto più lungo e inserito in un dibattito internazionale avviato almeno dal

C

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 41 |


| economiasolidale |

LE 12 DIMENSIONI DEL BENESSERE 1. Salute 2. Istruzione e formazione 3. Lavoro e conciliazione tempi di vita 4. Benessere economico 5. Relazioni sociali 6. Politica e istituzioni

tiva, ma anche qualitativa. «Lo abbiamo chiamato benessere equo e sostenibile, perché pensiamo non basti che migliori in media il benessere, ma è necessario che si riducano le disuguaglianze», spiega Linda Laura Sabbadini, coordinatrice del progetto per l’Istat. «Non basta star bene oggi, ma è fondamentale non intaccare il capitale economico, sociale e naturale che tramanderemo alle altre generazioni». «Il Bes viene determinato – precisa Tommaso Rondinella, ricercatore dell’Istat che ha lavorato al progetto – a partire da 12 aree, definite “dimensioni del benessere”. Ognuna di queste aree, poi, è descritta da indicatori (in tutto 134) per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale, includendo la valutazione della diseguaglianza e della sostenibilità».

7. Sicurezza

Non solo tecnici

8. Benessere soggettivo

La scelta di avere un set di indicatori che andasse oltre la dimensione produttivi-

9. Paesaggio e patrimonio culturale

stica, che ha dimostrato di essere dannosa sia per la salute che per l’ambiente, non è partita dalla politica, a differenza di quanto è successo in altre nazioni. E sono stati molto originali anche lo schema seguito per condurre lo studio e la scelta dei settori, eseguita non solo in modo tecnico, ma anche consultando la società per capire che cosa questa pensa sia il benessere per la collettività. Il Cnel ha al suo interno rappresentanti delle parti sociali come sindacati, organizzazioni di categoria, il terzo settore, l’associazionismo femminile. «Tutte queste componenti e altre organizzazioni della società civile come Sbilanciamoci! o ItaliaNostra – continua Tommaso Rondinella – hanno formato presso il Cnel un comitato d’indirizzo con il compito di definire che cosa è il benessere, perché per poterlo misurare bisogna prima capire di che cosa si tratta. Il tavolo di consultazione ha portato alla definizione di 12 domini di analisi, sui quali è intervenuta una commissione scientifica formata da 80

10. Ambiente 11. Ricerca e innovazione

COSÌ NEGLI ALTRI PAESI

12. Qualità dei servizi

• Canadian Index of Well Being (Canada) Un “superindice” basato su otto domini, ciascuno con otto indicatori. • Measuring Australia’s Progress (Australia) Pubblicazione on line periodica dell’Australian Bureau of Statistics, basata su un “cruscotto” di diversi indicatori. Anche in Australia un blog raccoglie il dibattito nazionale. • L’Office for National Statistics (Gran Bretagna) Ha lanciato l’iniziativa “Measuring national well-being” che nel novembre 2012 ha pubblicato il suo rapporto Life in the UK 2012. • Centre for Bhutan Studies (Butan) Ha reso disponibili on line i dati relativi alla ricerca “Gross National Happiness” 2010. L’indagine, svolta da aprile a dicembre 2010, è basata su un campione di 8.700 individui rappresentativo di tutto il territorio nazionale e le interviste sono state realizzata faccia a faccia da rilevatori. I nove domini oggetto di rilevazione sono stati: il benessere psicologico, la salute, l’uso del tempo, l’educazione, la cultura, il buon governo, l’ecologia, la vitalità della comunità e gli standard di vita. • La Nef, New Economics Foundation (Gran Bretagna) Il think tank londinese ha pubblicato il report 2012 sull’Happy Planet Index, un indice di benessere sostenibile che integra dati sulla felicità, la speranza di vita e l’impronta ecologica per 151 paesi. L’Happy Planet Index ci dice quanto le nazioni stiano facendo per sostenere la qualità della vita dei propri cittadini, garantendo le stesse condizioni in futuro anche al resto del mondo. • Quars, Indice di qualità regionale dello sviluppo (Italia) Nel 2003 Sbilanciamoci! pubblica il Rapporto Quars annuale. Basato su sette dimensioni – Ambiente, Economia e lavoro, Salute, Diritti e cittadinanza, Istruzione e cultura, Pari opportunità, Partecipazione – al cui interno sono distribuiti 41 indicatori statistici. I dati sintetizzano classifiche sui comportamenti più o meno virtuosi delle regioni italiane nelle sette dimensioni considerate.

GLI INDICATORI CONTENUTI NELLA DIMENSIONE 9: PAESAGGIO E PATRIMONIO CULTURALE 1. Dotazione di risorse del patrimonio culturale 2. Spesa pubblica comunale corrente pro-capite in euro destinata alla gestione del patrimonio culturale (musei, biblioteche e pinacoteche) 3. Indice di abusivismo edilizio: numero di costruzioni realizzate illegalmente per 100 costruzioni autorizzate dai Comuni 4. Indice di urbanizzazione delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico 5. Erosione dello spazio rurale da dispersione urbana (urban sprawl ) 6. Erosione dello spazio rurale da abbandono: Percentuale delle aree interessate da abbandono [7] sul totale della superficie regionale 7. Presenza di paesaggi rurali storici 8. Valutazione della qualità della programmazione dello sviluppo rurale (Psr regionali) in relazione alla tutela del paesaggi 9. Densità di Verde storico e Parchi urbani di notevole interesse pubblico 10. Consistenza del tessuto urbano storico 11. Insoddisfazione della qualità del paesaggio del luogo di vita 12. Preoccupazione per il deterioramento delle valenze paesaggistiche | 42 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

FONTE: WWW.MISUREDELBENESSERE.IT; WWW.SBILANCIAMOCI.ORG

2004, come la cronologia che pubblichiamo racconta. Nei suoi contenuti ha molte analogie con le rivendicazioni avanzate negli anni ’70 e ’80 dalle lotte operaie sulla qualità del lavoro e della vita, come se ci fosse stato un ideale passaggio di testimone dalla fabbrica ai luoghi della produzione intellettuale. A differenza del Pil, che fotografa una società attraverso la produzione di beni e servizi e la rappresenta con un numero, qui la società è vista da molte sfaccettature e la valutazione non è solo quantita-


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tecnici sia dell’Istat che delle università, con il compito di individuare gli indicatori statistici in grado di descrivere quei fenomeni. Il confronto finale tra i due tavoli ha completato la definizione del set di indicatori».

Decisori fatevi avanti! Sono stati attivati anche altri strumenti di consultazione molto ampia con i cittadini: un quesito su quanta importanza si dà a una serie di elementi del benessere è stato inserito nell’indagine “Multiscopo” dell’Istat che coinvolge 24 mila famiglie. È stato quindi eseguito un questionario on line sul sito dell’Istat e anche un blog. A partire da un post di Slow Food, per esempio, è stata aggiunta tra gli indicatori di benessere la qualità del cibo. E, grazie a questi contributi partecipativi, è stata considerata parte del benessere di una società la fiducia nelle istituzioni e negli altri. Dove questa fiducia viene meno, la qualità della vita è peggiore. Il Bes può dare una valutazione anche su questi aspetti: devono accorgersene i decisori. In che modo metterlo alla prova? «Il nostro Paese presenta ancora profonde diseguaglianze», risponde Maria Teresa Salvemini, che ha coordinato il progetto per il Cnel. «Il Bes – aggiunge – dovrebbe essere utilizzato per valutare gli effetti delle politiche settoriali. E anche per misurare qualcosa che non viene mai valutato: l’efficacia dell’uso delle risorse pubbliche, per arrivare a un utilizzo più mirato quando si prendono le decisioni». 

PIL E BES COS’È IL PIL Il Prodotto interno lordo (in inglese Gdp, Gross domestic product) esprime il valore totale dei beni e dei servizi prodotti in un Paese dagli operatori economici residenti e non residenti nel corso di un anno. Il Pil considera incorporata nel valore dei beni finali la produzione di beni intermedi destinati ai consumi industriali, ossia quei prodotti scambiati tra le imprese. Le critiche al Pil nascono principalmente dal fatto che tiene conto solo delle transazioni legali avvenute in denaro, escludendo quindi quelle a titolo gratuito (non profit e intra-familiari) e quelle illecite, e che come indicatore non misura il miglioramento della qualità della vita. La criminalità, l'inquinamento e gli incidenti stradali, ad esempio, tendono ad incrementare il Pil, pur essendo chiaramente eventi di carattere negativo che penalizzano il progresso di una nazione. COS’È IL BES È un sistema di analisi del benessere in Italia, costituito da un insieme di indicatori messi a punto da Istat e Cnel, attraverso un lungo lavoro di selezione dei 134 indicatori, coinvolgendo sia i tecnici che i rappresentanti delle parti sociali e della società civile. Il Bes viene determinato a partire da 12 aree, definite le dimensioni del benessere, che contengono in tutto 134 indicatori, per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale, includendo la valutazione della diseguaglianza e della sostenibilità.

Misuriamoci sul benessere di Paola Baiocchi

Tavoli di confronto con le associazioni femminili, con i sindacati, con gli ambientalisti, con Sbilanciamoci!, con le associazioni di categoria, con il volontariato. Il lungo lavoro di ricerca, coordinato da Istat e Cnel, è ora uno strumento a disposizione della politica l percorso del Bes è iniziato con una novità assoluta: abbiamo capito che lo studio scientifico sottostante avrebbe avuto più senso se combinato con l’individuazione delle esigenze attraverso l’ascolto della società civile e dei cittadini». Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali dell’Istat e coordinatore del progetto Bes per l’Istituto nazionale di statistica, ha spiegato a Valori i molti punti originali nella ricerca compiuta da Istat e Cnel per il Bes. «Con Maria Teresa Salvemini del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) – continua Linda Laura Sabbadini – abbiamo coordinato il progetto, consultando l’associazionismo femminile, il volontariato, gli ecologisti, tutti i sindacati, Sbilanciamoci!, tutte le associazioni di categoria, Confindustria, Confcommercio e così via. All’unanimità siamo arrivati a definire le dimensioni e gli indicatori. Il valore aggiunto di questo tipo di ricerca è enorme. A questo punto è la politica che deve fare proprio questo processo condiviso».

«I

Anche questa è una novità: in altre situazioni è stata la politica a dare il via a studi simili… Non c’è stato l’imprimatur politico, come con l’incarico conferito da David Cameron in Inghilterra all’ONS (l’Office for National Statistics). Non è stato come in Francia con la Commissione Stiglitz istituita da Sarkozy: non c’è stato un investimento da parte della politica, il processo è stato all’inverso. Proprio per questo motivo abbiamo scelto un percorso condiviso con la società civile e con i cittadini, perché più le misure sono condivise più potranno essere usate ai fini delle politiche. Il Bes non ci serve per descrivere, vorremmo fosse usato come punto di riferimento degli obiettivi della politica, per riscoprire punti di forza e di debolezza e a agire conseguentemente. | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 43 |


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La copertina del supplemento “Social Watch” al n. 75 dicembre 2009/ gennaio 2010 di Valori

C’è un interesse anche locale, per cui dal Bes siamo passati all’UrBes: alcune grandi città si sono messe insieme e si sta cercando di combinare quegli indicatori a livello comunale.

INSERZIONE PUBBLICITARIA

Un dominio come quello del paesaggio e del patrimonio culturale è molto innovativo. È una novità assoluta: quando Salvatore Settis, come rappresentante di ItaliaNo-

Non c’è stato l’imprimatur della politica, ma il Bes dovrà orientarne le azioni

siamo il primo Paese come presenze turistiche straniere. Per le politiche questo deve voler dire che è un punto di forza da valorizzare.

stra ha proposto di inserirlo riferendosi all’articolo 9 della Costituzione, all’inizio ha sconcertato, perché nessun Paese ha un dominio “paesaggio e patrimonio culturale”. Eppure siamo il Paese con il maggior numero di siti Unesco, ma non

I lavori sono terminati? Sono in corso: per esempio abbiamo 15 indicatori per il lavoro. Vorremmo arrivare a una misura che li sintetizzi. Perché ora questo studio sugli indicatori di benessere? Per non disabituarci a considerarli dei diritti? Se andiamo a vedere il complesso delle dimensioni che misuriamo, ritroviamo che fanno riferimento a tanti articoli della nostra Costituzione. È un invito per l’Italia a tirare su la testa? Assolutamente. 

CRONOLOGIA • Novembre 2004, Palermo: Primo forum mondiale dell’Ocse “Statistics, Knowledge and Policy” • Giugno 2007 Istanbul: Secondo forum mondiale dell’Ocse • 2007: nasce il Global Project on Measuring the Progress of Societies • Novembre 2007: l’Unione europea lancia Beyond Gdp • Luglio 2009, L’Aquila: Riunione del G20 • Settembre 2009: pubblicate le raccomandazioni della Commissione Stiglitz • Ottobre 2009: l’Unione europea pubblica la comunicazione della Commissione europea “Non solo Pil” • 2009: Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, lancia il gruppo di lavoro Sponsorship Group • Ottobre 2009, Busan (Corea): terzo forum mondiale dell’Ocse • Ottobre 2012, Delhi (India): quarto Forum mondiale dell’Ocse • Marzo 2013: Cnel e Istat presentano il primo rapporto sul Benessere Equo e sostenibile


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La riscossa del Sud di Corrado Fontana

Il Sud del mondo cresce molto più rapidamente del Nord, ma per chiudere il gap ci vorranno decenni. Lo decreta l’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, che fotografa un progresso mai visto prima, con molti nuovi protagonisti è una rivoluzione in corso. I (rassicuranti) modelli che dividevano il Pianeta tra Paesi ricchi e poveri, sempre gli stessi, associandoli alla distinzione Nord-Sud, sono messi in discussione ogni giorno. Tanto più per chi avesse letto il Rapporto sullo sviluppo umano 2013, pubblicato dalle Nazioni Uni-

C’

te con un sottotitolo che dice molto, L’ascesa del Sud: il progresso umano in un mondo in evoluzione. A New York, per esempio, hanno così chiaro il concetto che i responsabili del Centro per le opportunità economiche, ente deputato a identificare strategie educative, sanitarie e lavorative contro la diffusione della povertà, prima di lanciare il proprio programma di aiuto economico Opportunity NYC: Family Rewards hanno visitato Toluca, in Messico, per verificare come funzionasse l’analogo programma federale messicano Oportunidades. Non solo. I newyorkesi hanno aderito a una sessione di studio internazionale su esperienze simili in America Latina, Indonesia, Sud Africa e Turchia. Nulla è più unidirezionale, insomma, come

Antonio Vigilante, direttore del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) Ufficio di Bruxelles

ci ricorda Antonio Vigilante, direttore del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) a Bruxelles, sottolineando che l’Angola (148° posto nella classifica dell’Indice di sviluppo umano-Isu, vedi BOX a pag. 48), in tempo di crisi internazionale «trasferisce grandi risorse in Portogallo (43° posto), mentre i portoghesi emigrano in Angola».

IL RAPPORTO IN PILLOLE Pillola 1 Le Nazioni Unite stimano che nel 2025 salirà a 30 miliardi di dollari il consumo annuo nelle economie dei mercati emergenti: erano 12 miliardi nel 2010. A Sud abiteranno i tre quinti delle famiglie che guadagnano più di 20 mila dollari l’anno. Pillola 2 Tra il 2000 e 2010, la media di crescita annuale dell’uso di Internet ha superato il 30% in circa 60 Paesi in via di sviluppo. A settembre 2012 il social network Facebook ha registrato 1 miliardo di utenti attivi al mese: quattro dei cinque Paesi con il maggior numero di utenti di Facebook sono al Sud (Brasile, India, Indonesia e Messico). Pillola 3 La quota di popolazione mondiale di età superiore a 15 anni che non ha un’istruzione formale (cioè impartita attraverso istituzioni scolastiche e segnata da diplomi o qualifiche riconosciute) è prevista ridursi dal 12% del 2010 al 3% nel 2050.

Pillola 4 Le percentuali più elevate di spese militari sul Pil si trovano nei Paesi con un maggior Isu. Ma non è una regola. A spendere meno dell’1% di Pil in questo modo sono Austria, Islanda, Irlanda e Lussemburgo. Costa Rica, che non ha un esercito dal 1948, nel 2009 ha investito il 6,3% del Pil in istruzione e il 7% in ambito sanitario: il suo Isu è cresciuto da 0,621 del 1980 a 773 nel 2012. Pillola 5 Otto dei venti Paesi con gli incrementi maggiori in numero medio di anni di scuola tra 1980 e 2010 sono arabi. Non appare perciò casuale che la maggior parte dei Paesi protagonisti delle recenti “primavere arabe” (Tunisia, Algeria, Egitto e Libia) compaiano in basso nel quadrante destro del grafico che raffronta proprio grandi guadagni nel livello di istruzione con un’occupazione sotto la media in rapporto alla popolazione.

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 45 |


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GLOSSARIO WASHINGTON CONSENSUS L’espressione nasce nel 1989 grazie all’economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica specifiche che egli considerava il pacchetto standard da destinare a Paesi in via di sviluppo in crisi economica. Queste direttive erano promosse da organizzazioni internazionali con sede a Washington D.C., come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America.

Si fa presto a dire sviluppo di Corrado Fontana

Nuovo cast, finale da riscrivere L’Angola si trova al quinto posto nella classifica dei Paesi a maggiore crescita (+2,56% nel biennio 2010-2012) nell’Indice Isu 2013, insieme a una nutrita schiera di nazioni in rapida e straordinaria risalita. Basti pensare che, mentre durante la rivoluzione industriale dell’Ottocento ci vollero 150 anni per raddoppiare il reddito pro capite di una decina di milioni di abitanti, Cina e India da sole l’hanno fatto per una popolazione 100 volte superiore in soli 20 anni. E tra il 1990 e il 2010, secondo i calcoli dell’Undp, anche la povertà estrema è stata dimezzata, dal 43,1% della popolazione mondiale del 1990 al 22,4% del 2008: oltre a mezzo miliardo di cinesi, sono usciti da questa condizione milioni di persone in diversi Paesi (Indonesia, Messico, Turchia, Bangladesh, Cile, Ghana, Uganda, Corea, Vietnam, Mauritius, Tunisia), senza contare gli altri Brics (ovvero Brasile, Russia, India, Sud Africa). «Ci siamo chiesti – spiega Vigilante – quale sia la base comune tra Paesi così diversi nella crescita dello sviluppo umano e abbiamo individuato tre elementi: primo, avere uno Stato impegnato nello sviluppo a lungo termine, creando servizi pubblici e istituzioni funzionali a questo scopo; secondo, la capacità di catturare mercati globali, intercettando possibilità di sviluppo industriale e di commercio sul piano internazionale. Terzo elemento comune, gli investimenti a lungo termine sulle persone, sperimentando politiche sociali innovative che hanno permesso coperture sanitarie e nel campo dell’istruzione, o programmi sociali differenti per combattere la povertà, come in Brasile e Messico». | 46 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Cresce la necessità delle istituzioni internazionali di adottare valutazioni “flessibili” dello sviluppo territoriale. Ma il miracolo cinese emerge da ogni angolazione: e dopo la democrazia barattata con la crescita economica arriva la sfida della middle class a Cina, anche se mantenesse questi tassi di crescita straordinari, nel 2050 avrà ancora un Pil pro capite circa la metà di quello attuale degli Stati Uniti. Il mondo come lo conosciamo, con questa enorme distanza tra Paesi ricchi e poveri, rimarrà tale per molti anni, nonostante in questa fase i secondi stiano crescendo assai di più di quelli avanzati». Il tema è quello della diseguaglianza tra Paesi emergenti e Paesi sviluppati e la sintesi è nelle parole di Emilio Colombo, docente di Economia politica all’università Bicocca di Milano. Ma il professor Colombo va oltre, sottolineando che «la diseguaglianza rimane profonda all’interno

«L

Tra il 1990 e il 2010 la povertà estrema è stata dimezzata. Fondamentali per lo sviluppo umano: uno Stato che investe nel futuro; catturare mercati globali; politiche sociali innovative La chiave economica D’altra parte nella composizione multidimensionale dell’Isu la voce del reddito rimane determinante, soprattutto rispetto alle diseguaglianze interne ai singoli Stati. Sul piano globale, infatti, il divario economico Nord-Sud si riduce in fretta, o addirittura inverte le sue proporzioni. Il peso della bilancia commerciale degli scambi tra le nazioni del Sud del mondo è ormai equiparabile alla quota del commercio mondiale Nord-Nord. Manco a dirlo la Cina è protagonista assoluta e il rapporto le attribuisce nel 2050 il 40%

della produzione mondiale insieme a Brasile e India (più di quanto faccia oggi il G7 di Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada). Non solo. Negli ultimi 10 anni si è invertita la proporzione di accumulo delle riserve mondiali di valuta straniera tra Nord e Sud: prima erano due terzi nel Nord e un terzo del Sud, oggi è praticamente il contrario, andando a creare, specie tramite la costituzione dei Fondi sovrani (vedi Valori 108, aprile 2013) una sorta di auto-assicurazione contro future eventuali recessioni o crisi finanziarie. Infine, la somma del Pil di otto tra i principali Paesi in via di sviluppo (Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Sud Africa e Turchia) è già uguale al Pil della maggiore economia nazionale del mondo, gli Stati Uniti.

Cambio della guardia Una crescita economica in grande scala, quindi, che però non sempre segue lo svi-


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no basate semplicemente sul cosiddetto Washington Consensus (vedi GLOSSARIO ): non ci può essere un approccio unico e già oggi la Banca Mondiale sta adottando politiche che coinvolgono in maniera molto più partecipata le comunità locali e la società civile, per creare i programmi di sviluppo, sostituendo al consueto approccio top-down un altro di tipo bottom-up, cioè dal basso verso l’alto. E la crescita della middle class nelle aree povere del Sud potrà sostenere questa visione... La sfida è quella di creare uno sviluppo che non sia tanto trainato dalle esportazioni quanto dalla creazione di una domanda interna: da questo punto di vista

DEVIAZIONE DALLA PERFORMANCE ATTESA PER LE DIMENSIONI NON REDDITUALI DELL’ISU, 1990-2012**

NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI LE OPPORTUNITÀ DI LAVORO NON HANNO TENUTO IL PASSO DEL LIVELLO DI ISTRUZIONE

0,3

85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20

0,1 0,0 -0,1 -0,2 -0,3

FONTE: ELABORAZIONE HDRO

Uganda Tunisia Indonesia Brasile Turchia Bangladesh Messico Corea, Rep. Vietnam Ghana Malaysia India Thailandia

Cina

Mauritius Cile

Nota: Basato su un campione bilanciato di 96 paesi. Le nazioni classificate costituiscono un campione rappresentativo a livello regionale che ha ottenuto un alto sviluppo umano e di cui si discute più in dettaglio in tutto il capitolo. [*Crescita del Rnl pro capite, 1990-2012 (%)]

-0,4 -0.04 -0.02 0 0.02 0.04 Paesi con elevati miglioramenti nello sviluppo umano

0.06

0.08 Altri

* RNL = REDDITO NAZIONALE LORDO ** LE DIMENSIONI NON REDDITUALI SONO RELATIVE A ISTRUZIONE E ASPETTATIVE DI VITA

luppo complessivo della società. Se è vero che quasi la metà delle rimesse inviate a casa dagli emigrati del Sud provengono oggi da lavoratori che vivono in altri Paesi in via di sviluppo, l’Isu corretto, tenendo conto della diseguaglianza (economica e di genere) e calcolato su 132 Paesi, nel

0.10

Qatar

[Percentuale di occupati in rapporto alla popolazione]

0,2

[Deviazione dalla performance attesa per le dimensioni non reddituali dell’Isu, 1990-2012]

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD: IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

Non c’è un rischio di relativizzazione eccessiva del concetto di sviluppo? Il rischio è semmai che da un indice come quello dello sviluppo umano derivino delle policy implications (degli indirizzi politici, ndr) o iniziative vere e proprie che lo considerino come l’unico modo per rappresentare la realtà. Questa considerazione potrebbe essere la base di partenza per attuare politiche di sviluppo che non sia-

Emilio Colombo, docente di Economia politica all’Università Bicocca di Milano

la Cina sta facendo grandissimi progressi. Questo processo, d’altra parte, necessita non solo del consolidamento economico ma anche del traino del ceto medio e di un consolidamento sociale e politico e in questo la Cina è molto diversa dal Brasile o dall’india. In Cina c’è un equilibrio politico molto molto instabile e dubito che questa classe media possa affermarsi senza chiedere maggiore democrazia. La Cina è il solo dei Paesi socialisti che sta adottando una transizione che potremmo appunto definire “alla cinese”, cioè estremamente graduale: tuttora ci sono molti settori dell’economia sotto il controllo dello Stato e prezzi regolati dalle istituzioni, e molti diritti non sono ancora stati concessi alla popolazione. Le autorità hanno scommesso che questa situazione possa essere tollerata nella misura in cui venga garantito un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini attraverso lo sviluppo economico, attuando una sorta di baratto implicito tra democrazia e sviluppo. Prima o poi ciò dovrà cambiare e l’azzardo è che ciò possa avvenire senza grossi scossoni. 

United Arab Emirates

Bahrain Mediana

Sudan Syrian Arab Republic

Yemen

Algeria Jordan

Iraq

Nota: L’analisi copre 141 paesi. L’occupazione per indici di popolazione sono per l’anno più recente disponibile durante il periodo 2006-2010

-1

Libya Saudi Arabia Egypt Tunisia

Morocco

0

1

Stati Arabi selezionati

2012 perderebbe ben il 23% medio del proprio valore: cioè il declino dei divari nella salute e nell’istruzione viene compensato in peggio dall’aumento delle diseguaglianze di reddito. Nella sostanza, traduce efficacemente Vigilante: «Un bambino che nasce og-

[Cambiamento nella media di anni di scuola frequentati (periodo 1980-2010)]

Mediana

2

3 Altri

4

5

6

7

FONTE DATI DI PARTENZA: CAMPANTE AND CHOR (2012)

gi in Giappone e uno che nasce nella Sierra Leone hanno un’aspettativa di vita che differisce di ben 35 anni, 82 invece di 48. Un bambino del Mozambico va a scuola per circa un anno e mezzo di media contro i 13 del bambino statunitense. Se guardiamo il reddito annuo | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 47 |

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD: IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

dei singoli Paesi. Il problema è allora quale significato dare a questa diseguaglianza: l’Indice di sviluppo umano svolge una valutazione multidimensionale che considera tre aspetti principali, sanità e aspettativa di vita, educazione e sviluppo economico/reddituale, ma, a seconda dell’importanza che vogliamo dare a ciascuna dimensione, cambierà il ranking dei singoli Paesi. Così ad esempio si comporta il Better Life Index dell’Ocse (vedi BOX a pag. 48), che permette una valutazione dinamica dello sviluppo, a seconda del peso che conferiamo a ciascun elemento. Un criterio di valutazione che mi sembra più efficace».


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pro capite, quello di un cittadino norvegese è circa 150 volte superiore a quello di un abitante della Repubblica Democratica del Congo, per non fare il confronto con un abitante del piccolo Qatar rispetto al quale il congolese ha un reddito 350 volte inferiore». La sfida si sposta allora sul fronte di uno sviluppo più equilibrato possibile, di cui è buon sintomo – ma anche causa – l’esplosione al Sud di quella classe media un tempo privilegio dei Paesi avanzati: l’Undp sostiene che la middle class mondiale passerà da 1,8 miliardi a 5 miliardi di persone nel giro dei prossimi 20 anni, con l’80% di essa che potrebbe trovarsi nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto Cina e India, nel 2030. Un cambiamento epocale che avrà ripercussioni profonde, trasferendo la prospettiva decisionale su come produrre, cosa e quando da Occidente a Oriente. 

LE TANTE VIE DELLO SVILUPPO: ISU, BES E BLI In tempi di crisi di rappresentatività del Pil (Prodotto interno lordo) per valutare efficacemente lo “stato di salute” complessivo delle nazioni sono almeno tre – in parallelo – i sistemi impiegati dalle istituzioni internazionali: ISU • Indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index), elaborato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq e seguito dal più noto economista indiano Amartya Sen, è utilizzato, accanto al Pil, dalle Nazioni Unite a partire dal 1993. Compone aspettativa di vita, livelli d’istruzione e livelli di reddito e si calcola in millesimi decrescendo da 1 a 0, distribuendo i Paesi in quattro gruppi per ogni 250 millesimi di differenza (a sviluppo umano molto alto, alto, medio, basso). BES • Benessere equo e sostenibile: il set di indicatori, sviluppato dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) e dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Vedi gli articoli nelle pagine precedenti. BLI • Better Life Index è l’indice presentato a maggio 2011 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse o Oecd in inglese) in linea con le raccomandazioni della cosiddetta “Stiglitz-Sen-Fitoussi Commission”, in nome dei noti economisti che vi hanno partecipato. Il Bli si applica ai 34 Paesi Ocse e prende in considerazione 20 diversi indicatori in 11 categorie: e dal sito www.oecdbetterlifeindex.org è possibile, attraverso una sorta di mixer virtuale, attribuire più peso all’uno o all’altro elemento, variando così la valutazione complessiva cui le nazioni possono aspirare.

SVILUPPO UMANO ALTO

SVILUPPO UMANO MOLTO ALTO

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD: IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

48 49 50 51 52 52 54 55 56 57 57 59 59

Indice di sviluppo umano (Isu)

BAHRAIN BAHAMAS BIELORUSSIA URUGUAY MONTENEGRO PALAU KUWAIT RUSSA, FEDERAZIONE ROMANIA BULGARIA ARABIA SAUDITA CUBA PANAMA

0.796 0.794 0.793 0.792 0.791 0.791 0.790 0.788 0.786 0.782 0.782 0.780 0.780

Posizione Isu 1 2 3 4 5 6 7 7 9 10

Indice di sviluppo umano (Isu)

NORVEGIA AUSTRALIA STATI UNITI PAESI BASSI GERMANIA NUOVA ZELANDA IRLANDA SVEZIA SVIZZERA GIAPONE

0.955 0.938 0.937 0.921 0.920 0.919 0.916 0.916 0.913 0.912

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD: IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

GLI SCAMBI MONDIALI DI MERCI SUD-SUD SONO PIÙ CHE TRIPLICATI NEL PERIODO 1980-2011, MENTRE QUELLI NORD-NORD SONO DIMINUITI

BRASILE, CINA E INDIA INSIEME SONO PROIETTATE VERSO IL 40% DELLA PRODUZIONE GLOBALE ENTRO IL 2050, DAL 10% DEL 1950

60

60

[Quota degli scambi mondiali di merci (%)]

FONTE: ELABORAZIONI HDRO BASATE SU DATI UNSD (2012)

50

50

40

40

30

30

20

20

10

Nota: Per il 1980 il Nord includeva Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda, Stati Uniti ed Europa occidentale.

0

10

STIMA

[Quota della produzione globale (%)]

FONTE: INTERPOLAZIONI HDRO DI DATI STORICI TRATTI DA MADDISON (2010) E PREVISIONI BASATE SUL PARDEE CENTER FOR INTERNATIONAL FUTURES (2013)

Nota: La produzione è misurata in dollari 1990 a parità di potere d’acquisto.

0 1980 Nord-Nord

1985

1990

1995

Sud-Nord

| 48 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Sud-Sud

2000

2005

2011

1820

1860

Brasile, Cina e India

1900

1940

1980

2010

Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e USA

2050

FONTE: RAPPORTO SULLO SVILUPPO UMANO 2013 - L’ASCESA DEL SUD: IL PROGRESSO UMANO IN UN MONDO IN EVOLUZIONE (UNPD)

Posizione Isu


| economiasolidale | indagine |

Gas lombardi al microscopio di Corrado Fontana

ANDREA CALORI. UN MOMENTO NEI CAMPI AL GASOTTO

In Lombardia la prima ricerca scientifica sui Gruppi d’acquisto solidale. Alla scoperta dei “gasisti” tra capitale di relazioni e cambiamento degli stili di vita e di consumo, tra partecipazione e scoperta dei prodotti locali e stagionali

l mondo dei Gruppi d’acquisto solidale lombardi è una minoranza, ma incide – in profondità – sul contesto economico e sociale in cui attecchisce. Questa ci sembra la fotografia d’insieme che emerge dalla ricerca appena chiusa nell’ambito del progetto Dentro il capitale delle relazioni, condotto dall’Osservatorio Cores (gruppo di ricerca su consumi, reti e pratiche di economie sostenibili) dell’Università degli studi di Bergamo. Un lavoro importante: solo 4 o 5 anni fa si parlava di 180-200 Gas in Lombardia (la regione che ne conta di più in Italia), mentre l’indagine ne ha censiti 450, di cui 193 hanno risposto ai questionari. Ma il rilievo non è solo numerico (3 anni di impegno, 6.800 famiglie coinvolte di cui quasi il 25% ha partecipato al progetto). C’è anche l’aspetto metodologico innovativo: grazie alla stretta

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collaborazione con il Tavolo Res (Reti di economia solidale) e al rapporto diretto con un gasista particolarmente attivo e motivato, impiegato come “facilitatore locale”, lo studio ha potuto spuntare soglie di partecipazione all’indagine vicine al 30%, alte per ricerche simili. E c’è il livello inedito di scandaglio del profilo economico e culturale dei “gasisti” e dei loro stili di vita, prima e dopo l’incontro con i Gas.

Esclusione e partecipazione E le sorprese non mancano. «I risultati migliori dell’attività di un Gas (percepiti dai gasisti, ndr) non sono tanto quelli di diffondere pratiche di consumo e stili di vita sostenibili, bensì di aver aiutato i piccoli produttori a sopravvivere e prosperare e di aver ricreato relazioni sociali tra le persone». Una percezione positiva, ci dice

Francesca Forno, direttrice scientifica del progetto e docente di Sociologia dei consumi all’università di Bergamo, che fa il paio con un’attenzione particolare verso l’economia territoriale, anche quella dei negozi di vicinato e delle piccole cooperative di consumo. Contemporaneamente emerge però l’insoddisfazione per la «scarsa capacità di coinvolgere persone al di fuori di un certo segmento sociale. Le caratteristiche dei gasisti – prosegue la Forno – sono sostanzialmente omogenee: appartengono perlopiù alla classe media, magari in calo di potere d’acquisto, ma con un elevato capitale culturale, con un altissimo livello d’istruzione media, quindi con le capacità intellettuali per cercare alternative e non dover necessariamente diminuire la qualità della propria spesa». Ecco l’anima controversa dei Gas, ben rappresentata nella distribuzione dei redditi e dei titoli di studio: il 76% dei gasisti lombardi guadagna oltre i duemila euro mensili e il 49,3% di chi ha compilato i questionari ha una qualifica pari o superiore alla laurea triennale. Il mondo dei Gas lombardi – vedremo se le analoghe ricerche in corso lo confermeranno per Sicilia e Friuli Venezia Giulia – pare perciò vissuto soprattutto da un’élite. Un’élite economica e culturale, che mette tra le motivazioni per entrare in un Gas per primi gli aspetti della salute (82%) e poi quelli di rete, che siano relazionali (63,7%) o una voglia di partecipare con un’azione concreta (63,5%) o di sostegno diretto ai piccoli produttori locali (79,6%). | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 49 |


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Chi respira Gas cambia la vita

LA VOCE DEI GAS Abbiamo ragionato sul mondo Gas e sui risultati della ricerca del Cores con due persone che da anni vivono l’esperienza dei Gruppi d’acquisto solidale VINCENZO VASCIAVEO, membro dello storico Gas milanese di Baggio (fondato 12 anni fa) e del Distretto di economia solidale rurale del Parco agricolo Sud Milano Tra le motivazioni per la scelta di un produttore trovo significativo che il 97% indichi la qualità. Invece di fare un salto in avanti, verso un cambiamento sociale, con un’attenzione al territorio e alla trasformazione del modello agricolo, verso il chilometro zero, si sta un po’ troppo indugiando sulla qualità del prodotto e sul biologico. I principi fondativi dei Gas ci sono (la salvaguardia dei diritti alla salute, dell’ambiente e sociali), ma dando troppo peso ad un aspetto mi sembra non ci sia l’evoluzione necessaria. I Gas risultano frequentati da persone con reddito e istruzione medio alti... La mia esperienza lo conferma. Il problema – a me pare tale – c’è. Come posso avere più consapevolezza sul prezzo e riuscire ad abbassarlo cosicché i Gas non siano appannaggio di una fascia socioeconomica così limitata? Costruendo economie locali che controllo, in cui posso concertare la divisione del valore nella filiera. Nel nostro distretto abbiamo dimostrato che si può fare con la filiera del grano: siamo arrivati a un prezzo finale di un pane biologico di alta qualità più basso di quello del pane comune, pur remunerando il produttore più del doppio di quanto facciano le filiere tradizionali. Merito dell’interazione con ogni fase del processo. Partecipare a un Gas porta a un cambio degli stili di consumo? Con l’adesione al Gas nella mia famiglia si consuma molta meno carne. Ed è aumentato il consumo di cibi stagionali, con conseguenze positive sulla salute e sull’ambiente. Nel nostro Gas abbiamo organizzato corsi di alimentazione con l’Istituto dei tumori di Milano. Molti hanno modificato i propri comportamenti.

LAURA NORBIS, gasista e coordinatrice della Rete Gas di Bergamo Far parte di un Gas, per me, ha significato entrare in una rete di relazioni che consentono innanzitutto di acquistare prodotti con un valore che supera quello di semplice merce: sono buoni, hanno una storia da raccontare, non creano ingiustizie etico-sociali e promuovono la creazione di lavoro equo, legale, per i giovani e che rispetta l’ambiente. Osservi la realtà in modo diverso, con un approccio più critico rispetto a comportamenti prima abituali. Ho imparato quanto siamo pilotati nei nostri acquisti al supermercato, e oggi mi sento molto più libera. E l’aspetto del risparmio? La spinta iniziale di solito non viene dalla volontà di risparmiare, bensì dalla ricerca di prodotti di qualità migliore. Per quanto riguarda però il biologico, il fatto di essere in gruppo e di comprare grandi quantità poche volte l’anno aiuta a risparmiare. Perché acquistare attraverso il Gas una bottiglia di succo a 6 euro invece che a 1 euro e mezzo al supermercato? So come nasce il prezzo di 6 euro. So che una quota va al produttore, che paga i suoi lavoratori che so essere in regola, e che coltiva un campo biologico, quindi senza forzare la produzione e perciò con una resa inferiore; so che una quota di quel prezzo sostiene altri progetti di carattere sociale sul territorio; so che il trasportatore ha lavorato il numero di ore corretto e non ha compiuto percorsi aggiuntivi; e so che tutti questi dati sono trasparenti e che su alcuni posso intervenire. Quindi mi chiedo: a scapito di chi o di cosa va il prezzo inferiore del supermercato?

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E se Giorgio Gaber scriveva “libertà è partecipazione”, secondo il Cores è coerente che chi oggi fa acquisti condivisi tramite Gas abbia una storia recente di forte impegno politico e sociale: il 93,7% dei gasisti ha avuto altre esperienza associative, partecipando inoltre nei due anni precedenti a diverse campagne d’opinione (acqua pubblica 80%; no al nucleare 64,1%; scuola pubblica 51,7%). E quella “libertà” si traduce anche in un “cambiamento” della propria spesa, sia negli ingredienti che nelle modalità. Insieme ai 42,5 gasisti su 100 che, ad esempio, hanno diminuito il proprio consumo di carne, ce ne sono parecchi altri che hanno aumentato significativamente l’acquisto di alcuni prodotti: 80,6 quello di prodotti locali, 79,4 di biologici, 68,1 di stagionali, 50,4 di verdura. Dati notevoli, seppure misurati su una popolazione limitata, che potrebbero risvegliare qualche agenzia di marketing o un interesse mirato delle imprese; tanto più se si affiancano alle cifre che registrano la percentuale di chi, entrato in un Gas, ha introdotto ex novo nel sacchetto della spesa i detergenti ecologici (25%) o gli alimenti bio (7,7%). «Partecipando a un Gas – sostiene Francesca Forno – ripensi ai tuoi modelli di consumo attraverso il consumo critico collettivo, che funziona come una “lente pedagogica” grazie alla quale concetti astratti (legalità, sostenibilità, tutela ambientale, ecc.) acquistano un significato concreto». Una teoria ripresa dalla studiosa Michele Micheletti dell’università di Stoccolma che spiega anche perchè l’adesione ai Gas abbia convinto il 41,4% dei membri a ridurre gli acquisti al supermercato o l’uso dell’auto (17,6%), a darsi all’autoproduzione (34,8%), a dedicarsi a riciclo e riuso (32,5%) o a coltivare l’orto (16,2%). Una piccola rivoluzione silenziosa, che potrà forse incidere su larga scala se riuscirà a rompere gli argini della classe sociale. 

SITI INTERNET www.unibg.it/cores www.cittadinanzasostenibile.it www.retecosol.org


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Il legno tricolore s’è perso nel bosco di Emanuele Isonio

Negli ultimi cinque anni, hanno chiuso 10 mila aziende e sono sfumati 30 mila posti di lavoro. Intanto in Italia le aree boschive crescono inutilizzate. Danneggiando l’economia, le opportunità di sviluppo delle comunità locali e l’ambiente iù che una filiera in crisi rischia di passare alla storia come una “filiera mancata” quella che riunisce le aziende del comparto legno in Italia. Un settore complesso, che dalla materia prima arriva fino al prodotto finito. Un vero tesoro nascosto che potrebbe fare la fortuna di molte comunità locali e dare concretezza al concetto, troppo spesso vago, di sviluppo sostenibile. E invece il comparto rimane sottovalutato e parcellizzato in migliaia di microimprese che, soprattutto in momenti di difficoltà, non riescono a reggere la concorrenza internazionale.

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Realtà diverse ma tutte in calo «Quando si parla di filiera legno – precisa Andrea Sartirani, vicepresidente del gruppo lavorazione legno di Federlegno – si riuniscono realtà molto diverse tra loro». Si parte dalla gestione forestale, per passare alle attività di raccolta, alla prima trasformazione in semilavorati o materiali per edilizia e imballaggi, fino ad arrivare a una seconda fase che racchiude i prodotti finiti. Della filiera fanno oggi parte oltre 35 mila imprese che danno lavoro a poco più di 150 mila persone. Ci-

NELL’EMILIA POST SISMA UN ESEMPIO DI UNIONE CHE FA LA FORZA I risultati che si potrebbero ottenere se le aziende del settore legno riuscissero a fare sistema hanno avuto un esempio concreto a Finale Emilia, uno dei comuni più colpiti dal terremoto del 20 e 29 maggio dell’anno scorso. Per garantire una nuova scuola al Paese, alcune aziende di FederlegnoArredo hanno lanciato un’idea: unirsi per costruire un nuovo complesso scolastico di 1.600 metri quadri che ospiterà 240 bambini divisi in due sezioni di nido e sei di scuola materna. Una struttura realizzata interamente in legno, ecologica, antisismica, a elevato risparmio energetico, che coniuga tre diversi metodi costruttivi. Il progetto è stato reso possibile perché ogni realtà ha contribuito secondo la propria competenza: dalle fondamenta, ai pilastri, ai pannelli per le pareti, alle travi per la copertura, fino ai pannelli fotovoltaici per l’energia elettrica e gli inverter per il condizionamento. «Sono orgoglioso di questa iniziativa – commenta il presidente di FederlegnoArredo Roberto Snaidero – perché è una grande testimonianza del fatto che il nostro “fare impresa” ha sempre come prospettiva il bene comune e lo sviluppo del nostro Paese».

fre che salgono rispettivamente a 80 mila e quasi mezzo milione di unità se al gruppo si aggiungono le realtà operanti nel settore carta e arredamento. Nonostante le differenze interne, i dati confermano che, soprattutto per le prime fasi della filiera, i problemi non mancano. E i principali indicatori, se prendiamo a riferimento l’ultimo quinquennio, hanno davanti a sé – tutti, nessuno escluso –

il segno meno (vedi TABELLA a pag. 52): -40% il fatturato alla produzione, -5% le esportazioni, -45% il consumo interno, -17% gli addetti, -10% il numero di imprese. Un quadro nero, che, secondo gli operatori, proseguirà anche nel 2013: a gennaio scorso il 60% delle imprese dichiarava ordinativi ancora in flessione, stagnazione per un altro 30%, crescita solo per il 10% delle realtà produttive. | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 51 |


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I molti padri di una sconfitta

FONTE: CONFERENZA INTERMINISTERIALE SULLA PROTEZIONE DELLE FORESTE IN EUROPA (MCPFE 2007) SU DATI FAO 2006

Le sconfitte, soprattutto in Italia, sono spesso orfane di padre. Mai come in questo caso però nessuno pare esente da colpe. «I nostri imprenditori – spiega Sartirani – continuano a vedersi reciprocamente come una minaccia anziché sviluppare forme di collaborazione». Tante microimprese malate di individualismo e diffidenza, con una media di quattro dipendenti ciascuna, troppo piccole per fare investimenti in ricerca e sviluppo o per accedere al credito. «Ad esse si aggiungono enti pubblici spesso incapaci di valorizzare il patrimonio nazionale o stimolare gli acquisti di prodotti locali; il sistema bancario poi non premia i progetti migliori, ma si preoccupa solo di avere garanzie di natura patrimoniale; i professionisti del settore edile il più delle volte non conoscono i vantaggi del legno rispetto ad altri materiali e di conseguenza non lo consigliano ai consumatori, che a loro volta sono spesso disattenti». Una sintesi spietata, ma lucida. Che, senza correttivi rapidi, porta a una conseguenza inevitabile: perdita di maestranze locali qualificate, diminuzione della nostra competitività internazionale, ulteriore diminuzione della ricchezza in territori in cui gli alberi hanno rappresentato nei secoli scorsi

Legno-Edilizia [valori in milioni di euro a prezzi correnti]

2007

2008

2009

2010

2011

2012*

Fatturato alla produzione (a)

16.001

14.796

11.924

12.195

11.814

10.308

9.545

Esportazioni (b)

2.022

1.878

1.430

1.624

1.863

1.928

2.049

Importazioni (c)**

2.433

2.101

1.608

1.949

2.003

1.751

1.628

-411

-223

-178

-326

-141

177

421

Consumo interno apparente (a-b+c)

16.412

15.018

12.103

12.520

11.955

10.131

9.124

Export/fatturato (% b/a)

12,6%

12,7%

12,0%

13,3%

15,8%

18,7%

21,5%

Addetti

182.408

181.105

169.736

167.190

163.680

159.424

151.134

Imprese

44.045

42.723

41.557

40.407

39.765

38.209

35.220

Saldo (b - c)

2013*

* PRE-CONSUNTIVI ELABORATI A NOVEMBRE 2012. * PROIEZIONI ELABORATE A MARZO 2013. ** ESCLUSO COMMERCIO DI TRONCHI E SEGATI COMPRENDE: SISTEMA PRIME LAVORAZIONI DEL LEGNO, SISTEMA PANNELLI, SISTEMA SEMILAVORATI PER ARREDI, SISTEMA IMBALLAGGI E SISTEMA EDILIZIA ARREDO FONTE: CENTRO STUDI COSMIT/FEDERLEGNOARREDO

Le aziende italiane importano oltre il 60% della materia prima. Ma al tempo stesso il nostro patrimonio boschivo aumenta di superficie: +100% in un secolo. La presenza di proprietà troppo piccole non ne facilita lo sfruttamento una risorsa di vita oltre che un patrimonio ambientale da difendere.

I boschi crescono… inutilizzati A questo si aggiunge un paradosso: i 2/3 del fabbisogno della nostra filiera legno-arredo sono garantiti dalle importazioni. Un fenomeno assurdo se si pensa che – come rive-

la il Piano della filiera legno 2012-2014 elaborato dal ministero delle Politiche agricole – «più di un terzo del territorio nazionale è ricoperto da boschi e nell’ultimo secolo si è assistito a un aumento della superficie». Detto in parole povere: negli ultimi cento anni – secondo i dati Inea (Istituto nazionale di Economia agraria) – i boschi italiani hanno raddoppiato la loro estensione, soprattutto a causa dell’abbandono di terreni agricoli. Ma al tempo stesso non sfruttiamo una materia prima preziosa che abbiamo in casa. «Il livello di prelievo delle foreste italiane – si legge nel rapporto del Mipaf – risulta uno dei più bassi della Ue, con un ammontare annuo pari alla metà di quello di Francia, Spa-

SUPERFICIE FORESTALE: +100% IN UN SECOLO

LA PRODUTTIVITÀ DEI BOSCHI ITALIANI (M3 DI LEGNO/PERSONE PER ANNO) Svezia Finlandia Austria Francia Estonia Portogallo Belgio Slovenia Gran Bretagna Germania Irlanda Spagna Lettonia Danimarca Olanda Repubblica Ceca Polonia Ungheria Lituania Romania Italia Slovacchia Bulgaria Cipro

FONTE: INVENTARIO NAZIONALE DELLE FORESTE E DEI SERBATORI FORESTALI DI CARBONIO, 2005

200

1200

| 52 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

2200

3200

4200


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gna e Portogallo (4 mc/ettaro/anno) e notevolmente inferiore rispetto a Germania e Gran Bretagna (5,5 mc/ettaro/anno)». Motivo? «Le proprietà forestali sono spesso troppo piccole (in media appena tre ettari)», spiega Filippo Brun, docente di Politica ed economia montana all’università di Torino. «C’è una carenza di infrastrutture che rende complicato prelevare il legname, situazioni geografiche difficili, una scarsità di investimenti che rende la produttività della manodopera più bassa che altrove. Tutti fattori che riducono la remunerazione e quindi la possibilità di sviluppo». La conseguenza per le aziende di trasformazione è facilmente immaginabile: «Con materiale legnoso disomogeneo, forniture discontinue e in limitate quantità – prosegue il rapporto Mipaf – le industrie italiane non riescono a massimizzare il profitto. Nella maggior parte dei casi trovano quindi più conveniente l’approvvigionamento all’estero senza che vi sia una valorizzazione del made in Italy». Al danno economico si associa quello ambientale. Perché senza l’intervento dell’uomo il rischio di dissesto idrogeologico cresce a dismisura. Da qui un appello: «Difficile superare questi ostacoli – prosegue Brun – senza un intervento pubblico». Idea condivisa da Diego Florian, segretario generale dell’Fsc Italia (uno dei due schemi di certificazione forestale sostenibile): «Dobbiamo prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di obbligare alla gestione attiva i proprietari forestali». Un’esigenza sentita e condivisa dagli addetti ai lavori ma che lascia fredda l’opinione pubblica: «i cittadini – commenta Sartirani – sono ancora convinti che tagliare un albero equivalga a un assassinio. Al contrario, gestire bene i boschi significa aiutare sia le aziende che possono approvvigionarsi usando materiale del proprio territorio evitando così la dipendenza dall’estero, le comunità locali che possono costruire nuove opportunità di lavoro, l’ambiente perché si evitano disastri naturali con cui dobbiamo convivere praticamente a ogni pioggia». Una strategia in cui tutti potrebbero vincere. Che per una volta cresce davvero sotto gli alberi. 

Due diligence e certificazioni: per un legno legale di Emanuele Isonio

Da marzo chi importa legname deve verificarne l’origine e il rispetto delle regole. Un passo avanti per il futuro. Ma intanto gli standard Fsc e Pefc garantiscono la corretta gestione del patrimonio forestale

Q

uando è entrata in vigore, il 3 marzo scorso, è stata salutata da più parti come una rivoluzione. In effetti di motivi per rallegrarsi dell’introduzione del regolamento europeo 995/2010 (meglio noto come Eutr o Regolamento legno) ce ne sono: la norma comunitaria impone agli operatori che importano legname estero di verificare la validità dei documenti che attestano l’origine legale del materiale che comprano (la cosiddetta “due diligence”). Chi commercia il prodotto dovrà poi conservare per cinque anni i registri con i nomi di fornitori e clienti. Obiettivo: garantire che l’intero processo di acquisto sia tracciabile e conformità alla legge vigente nel luogo di produzione. La preoccupazione delle istituzioni europee è comprensibile: una relazione del Parlamento europeo, nel 2010, ha rivelato che almeno il 20% del legname commercializzato all’interno dei confini della Ue proveniva da fonti illegali. Un problema che dovrebbe essere assai sentito in Italia: il nostro Paese è infatti il 4° importatore mondiale di legno di pregio, il primo per legno a scopi energetici. E il legname è la terza voce di importazione dopo petrolio e carne. Ma i rischi che tutto si risolva in ulteriore burocrazia per chi già rispetta le regole e non serva invece a debellare il fenomeno è concreto: «per chi lavora con materie prime provenienti da Est Europa, Asia e Africa con la due diligence cambierà molto» spiega Andrea Sartirani di Federlegno. «Ma se le nuove norme non saranno affiancate da sanzioni e controlli si tradurranno solo in altri costi per chi è già in regola». L’Italia come spesso le accade è in ritardo su questo fronte: il sistema sanzionatorio nazionale non è finora stato approvato e comunque dovrebbe limitarsi a prevedere multe pecuniarie in proporzione alla quantità di legno immesso sul mercato. | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 53 |


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Certificazione, due schemi sono troppi? Lo strumento che invece si è finora dimostrato più efficace a garantire l’effettiva gestione virtuosa del patrimonio boschivo e la diffusione di prodotti legnosi di origine certa è la certificazione forestale. Due gli standard che si dividono il mercato: il Pefc (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes) e l’Fsc (Forest Stewardship Council). Un’opportunità anche per i consumatori, che possono scegliere prodotti di sicura provenienza e tracciabilità. Ma la consapevolezza negli acquisti, soprattutto in Italia, è ancora ai primi passi. Qualche dato: le superfici boschive certificate sono appena il 9,2% del totale (il 94% di queste è certificato Pefc, il 2% Fsc e il 4% rispetta entrambi gli schemi). Se si passa dalle foreste alle aziende della filiera il discorso non cambia: appena il 2% dei circa 80 mila ope-

ratori ha deciso di certificarsi. Il trend è fortunatamente in crescita («300 nuove aziende fanno questa scelta ogni anno» rivela Diego Florian, segretario generale Fsc Italia), ma per ora le realtà virtuose rimangono una goccia nell’oceano. Colpa senza dubbio di una scarsa lungimiranza di molti operatori e della disattenzione dei clienti finali («questo tipo di certificazione – spiega Filippo Brun, docente di Politica ed economia montana all’università di Torino – dovrebbe reggersi sulla domanda, che in Italia ancora non c’è»). A questo si aggiunge un diffuso disinteresse degli enti statali a incentivare questo tipo di produzioni: «Un peccato – commenta Antonio Brunori, segretario generale del Pefc Italia – perché gli acquisti di beni da parte del settore pubblico incidono per il 17% del Pil. Potrebbero trasformarsi in un traino eccezionale per il mercato di prodotti certificati».

A rallentare il processo di certificazione incide probabilmente anche la presenza di due schemi differenti. Almeno di questo si lamentano vari addetti ai lavori: «seguire due certifica zioni significa un aggravio di costi e difficoltà tecniche» spiega Sartirani di Federlegno. «Il giorno che si riuscirà ad arrivare a un mutuo riconoscimento dei due schemi di certificazione l’intero settore ne gioverà. Le aziende che erano in dubbio, saranno incentivate a certificarsi». Sulla stessa linea Filippo Brun: «Spiace molto che ci sia scarsa collaborazione tra i due sistemi anche perché sono equivalenti, come sottolineato, già nel 2006, da una risoluzione dell’Europarlamento. Chi riuscirà ad avviare un confronto tra le due organizzazioni avrà fatto un favore all’ambiente e all’uso responsabile delle nostre risorse boschive». 

I furbetti della filiera legno. «Siamo certificati». Ma non è vero di Emanuele Isonio

La certificazione forestale è uno strumento di garanzia per il consumatore sulla provenienza dei prodotti acquistati. Ma i casi di violazione del marchio non sono rari Le aziende che hanno sposato la via della certificazione e della legalità, nel nostro Paese, non devono solo confrontarsi con una burocrazia complicata e con un settore pubblico che ancora poco agevola la diffusione della gestione forestale sostenibile. Devono (purtroppo) guardarsi anche da concorrenti disonesti che vendono prodotti falsamente certificati. Un esempio di cui chi scrive è stato suo malgrado testimone: Lauro Parati è un produttore di parquet che, sul sito disegnarecasa.com, pubblicizza pavimenti di legno in vendita diretta. Non solo: nelle sue pagine web, in un italiano a dire il vero non proprio impeccabile, dichiara di vendere parquet rispettoso dell’ambiente. Con tanto di logo Pefc (come si vede nell’ IMMAGINE qui accanto), corredato dal codice 04-31-1052 (ogni azienda ha una sorta di targa che la identifica). Un’ottima soluzione per chi vuole avere un rapporto diretto con il produttore, saltando i passaggi di intermediazione, con un occhio anche alla tutela ambientale. Ma a una verifica più approfondita, la realtà risulta essere ben diversa. «Il codice 04 appartiene a un’azienda tedesca – rivela Antonio

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Brunori, segretario generale Pefc Italia – che non è più certificata dall’agosto 2011. La Lauro Parati non è certificata Pefc. Anzi ha adoperato illegalmente un logo che non esiste più in circolazione». In pratica, «una violazione del marchio, contro la quale – annuncia Brunori – avvieremo un’azione di denuncia e di richiesta danni». Abbiamo chiesto chiarimenti all’azienda in questione che ha preferito non replicare. Al di là del caso singolo, però, il fenomeno è tutt’altro che marginale. «Purtroppo è all’ordine del giorno» ammette Diego Florian, segretario generale Fsc Italia. «Una concorrenza sleale per le aziende virtuose e soprattutto un danno di immagine per tutto il mondo della certificazione contro il quale i consumatori devono tenere gli occhi aperti». Come? Esigendo di ricevere la certificazione del materiale prima di effettuare qualsiasi pagamento. E, in caso di dubbi, verificando la correttezza del codice attribuito all’azienda sul sito dello schema di certificazione (fsc-italia.it e pefc.it).


| consumiditerritorio |

La Coca-colonizzazione

Lo 0,21% del Pil italiano è fatto di bollicine uno dei prodotti che vanta la maggiore riconoscibilità al mondo: basta vedere la silhouette della bottiglietta oppure un pezzettino dell’arabesco della scritta Coca-Cola, per associarla alla bibita gassata prodotta ad Atlanta. Altrettanto immediata è l’associazione con gli Stati Uniti e, più precisamente, con la bandiera a stelle e strisce: un binomio che ha quasi

È

di Paola Baiocchi

lo stesso peso simbolico, sia per gli europei che per gli statunitensi. Questa valenza la bevanda color moka l’ha conquistata seguendo l’armata americana sui fronti della seconda guerra mondiale. Il sociologo JeanPierre Keller nel suo Il mito Coca-Cola racconta il doppio sbarco degli alleati, spiegando la portata strategica della sua produzione che, durante la guerra, non ha mai subito nessun razionamento dello zucchero. Inoltre «la società può trasportare gratuitamente sulle navi militari la maggior parte degli impianti di imbottigliamento che monterà poi in Europa e negli altri teatri d’operazione. Non meno di 64 fabbriche verranno così scortate oltremare». Quando alla fine del conflitto, dice Keller, «la maggior parte delle truppe americane vengono rimpatriate, la Coca-Cola resta, per così dire, sul campo»: mentre Hiroshima e Nagasaki avevano appena subito il bombardamento nucleare, sei fabbriche di imbottigliamento smontate attendevano al largo delle coste giapponesi di poter scaricare i macchinari. L’esperimento di sbarco con sponsor ha dato un tale risultato economico e di colonizzazione culturale, da essere poi replicato in ogni operazione di “esportazione della democrazia” com-

Ma quanto pesa il marchio bianco e rosso in Italia? La società ha pubblicato lo scorso giugno la sua valutazione su dati dell’esercizio 2010, in cui sottolinea più volte che è «un’impresa prevalentemente locale», arrivando a queste conclusioni: il suo peso è lo 0,21% del Pil italiano con 3,163 milioni di euro di valore aggiunto, 45.300 posti di lavoro che rappresentano lo 0,18% del totale della forza lavoro nazionale e 1.251 milioni di euro versati sotto forma di tasse. Lo studio analizza l’impatto complessivo del mondo Coca-Cola in Italia, dove opera dal 1927. In particolare, si sofferma sulla qustione occupazionale: i dipendenti diretti sono 3.300 «mentre l’impatto occupazionale diretto e indiretto è pari a circa 45.300 posti di lavoro». In pratica «ad ogni posto di lavoro diretto corrispondono 13 posti di lavoro indiretti». Se si prendono poi in considerazione «anche gli stipendi percepiti che vengono spesi in consumi (l’impatto indotto) gli effetti aggiuntivi si traducono in ulteriori 14.400 posti di lavoro». Ma quanto pesano, in base a questi moltiplicatori, i 350 esuberi annunciati 5 mesi dopo questa pubblicazione a favore della sede di Sòfia (Bulgaria), «dove il costo del lavoro è molto più basso che in Italia» come recita il comunicato dell’azienda? 

La bevanda è in Italia da quasi un secolo: una storia di guerre, lavoro e scandali piuta dagli Stati Uniti; per cui la CocaCola ha stabilimenti di produzione in Vietnam, dove al momento è in osservazione per sospetta frode fiscale. Come tutte le multinazionali anche la Coca-Cola ha una lunga lista di cause intentate nei suoi confronti. A parte le accuse di Coca-colonizzazione culturale per aver fatto diventare americano anche Babbo Natale, Wikipedia ricorda un’indagine inquietante, che forma un cortocircuito con la storia oscura d’Italia: «Dal 2000 la filiale italiana della Coca-Cola Company avrebbe fatto riferimento a una società di investigazione di Firenze, la Polis d’Istinto, per far pedinare e controllare un proprio dirigente». Sul dirigente viene fabbricato un dossier, contenente false accuse di pedofilia, di cui si viene a conoscenza perché finisce nello scandalo delle intercettazioni Telecom-Sismi del 2006.

| ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 55 |


REUTERS / STRINGER

internazionale

Fotovoltaico cinese al bivio > 59 Tutti flessibili, anzi no > 61 Turchia. Alle porte dell’Europa > 64 | 56 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |


| il lato oscuro del solare |

Ventimila addetti in tutto il mondo, con sedi in Cina, Svizzera e Usa, Suntech ha annunciato lo scorso 20 marzo il fallimento della sua principale controllata, la Wuxi Suntech Power. Nel 2010 c’era stato l’accordo tra l’allora premier Silvio Berlusconi e il suo omologo cinese, Wen Jiabao, per sbloccare circa 2,5 miliardi di euro di capitali cinesi in Italia. Un terzo della somma, 800 milioni, destinati allo sviluppo del fotovoltaico nel nostro Sud.

Nuvole italiane

Dietro il fallimento che ha colpito il colosso del fotovoltaico Suntech, c’è anche lo zampino della criminalità organizzata italiana. Tra aziende sotto inchiesta e Bund falsi

sul sole made in China di Valentina Neri untech per anni è stata l’aziendasimbolo dello strapotere della Cina nel mercato del fotovoltaico. Lo scorso 20 marzo, dunque, non è stato solo il giorno della clamorosa bancarotta della sua principale controllata Wuxi Suntech Power. È stato anche il giorno in cui l’intero settore è stato obbligato a fare i conti con gli interrogativi che si affacciano sul suo futuro. Ma può stupire il fatto che le traversie del colosso asiatico arrivino, in parte, anche dal nostro Paese. Per la precisione, dal sole del Salento.

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I numeri del disastro Facciamo un passo indietro. Con sedi in Cina, Svizzera e Usa, Suntech consegna ogni anno più di 25 milioni di pannelli fotovoltaici in un’ottantina di Paesi e impiega ventimila persone, la metà delle quali nella città di Wuxi. A dicembre del 2007 – riporta il Financial Times – la sua capitalizzazione era di 15,3 miliardi e i suoi titoli erano quotati a più di 85 dollari. Mentre scriviamo questo numero di Valori, sono scesi sotto i 40 centesimi. Un declino vertiginoso, culminato quando, due giorni prima del fallimento, ha annunciato l’insolvenza di un pacchetto di obbligazioni in scadenza il 15 marzo, pari a 541 milioni di dollari. L’azienda nel 2010 incassava un utile netto di 237,9 milioni di dollari, per poi chiudere l’anno successivo con una perdita di oltre un miliardo. E, secondo Reuters, alla fine di marzo del 2012 aveva un debito totale di 2,2 miliardi. In questa cifra bisogna contare anche i prestiti (stimati in 1,44 miliardi) ricevuti dalle banche cinesi e i 50 milioni forniti da International Finance Corp, che dipende dalla Banca mondiale. Istituti che, dunque, ora risultano pericolosamente esposti. Così come tutti coloro che si trovano in mano le obbligazioni dell’azienda.

Brusco risveglio nel Belpaese La storia di Suntech si incrocia con quella del nostro Paese nel mese di ottobre del 2010, con l’incontro fra l’allora premier italiano Silvio Berlusconi e il suo omologo cinese Wen Jiabao, che sblocca circa 2,5 miliardi di euro di capitali cinesi in Italia. Un terzo della somma, pari a 800 milioni, è destinato allo sviluppo del fotovoltaico nel Sud. A questo punto entra in gioco Suntech: perché gli investimenti sono effettuati tramite il Global Solar Fund, un fondo con sede in Lussemburgo, gestito da Suntech con i capitali di China Development Bank. Il fondo nei mesi successivi compra una serie di società che operano nelle province di Lecce e Brindisi, ciascuna con una manciata di progetti già attivi. Ma lo scorso anno cinque di queste società finiscono nel mirino della procura di Brindisi. Stando agli inquirenti, al| 58 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Difficile stabilire la causa, per ora, ma il valore delle operazioni Suntech in Italia è molto vicino a quello del rosso che ha portato il colosso cinese al fallimento cuni campi fotovoltaici sarebbero stati “spezzettati” in tanti impianti inferiori al megawatt, in modo tale da poter presentare soltanto la Dichiarazione di inizio attività, senza dover sottostare al procedimento necessario per gli impianti più grandi, molto più complesso e rigoroso, che richiede anche l’Autorizzazione unica e la Valutazione di impatto ambientale. Per giunta, stando all’accusa, il Global Solar Fund avrebbe anche annunciato prima del dovuto di aver portato a termine la costruzione di determinati impianti, al fine di rientrare nelle scadenze necessarie per accedere agli incentivi. Ma i guai del colosso asiatico non finiscono qui. Suntech era già stata costretta a intervenire di tasca propria con 500 mila euro di acconto sugli stipendi non pagati di 400 lavoratori di Tecnova, un’azienda alla quale erano stati subappaltati da società terze i lavori in Puglia, travolta da una serie di denunce per le condizioni di lavoro massacranti alle quali sarebbero stati costretti gli operai, soprattutto stranieri senza permesso di soggiorno.

Una manciata di Bund… falsi Le disavventure italiane di Suntech raggiungono il culmine il 30 luglio 2011. China Development Bank aveva, infatti, stanziato i capitali per gli investimenti in Puglia e Sicilia tramite il fondo Solar Puglia II, controllato all’80% proprio da Global Solar Fund. A garanzia del prestito la banca aveva accettato titoli di Stato tedeschi per un controvalore di 560 milioni di euro. Ma quei Bund erano falsi. Suntech, che si è sempre dichiarata vittima della truffa, ha avviato un’indagine interna puntando il dito sullo spagnolo Javier Romero, manager del fondo. E, dopo lo scoppio dello scandalo, si è trovata a dover acquisire il controllo completo del Global Solar Fund. La que-

stione è ancora tutta da chiarire. Quel che è certo è che, a seguito dell’annuncio, le sue azioni hanno perso il 40% del loro valore in una settimana. Fin dal 2009 – riportano le fonti di stampa – il fondo di private equity italocinese Mandarin Capital Partners aveva lanciato ripetuti avvertimenti a China Development Bank. A detta degli analisti, investire in Italia era rischioso perché il settore delle rinnovabili risultava minacciato da frodi e irregolarità. E in gioco c’era un progetto che, nelle parole del direttore di Mandarin, era «faraonico» e «completamente irrealizzabile». Questi allarmi, che all’epoca erano rimasti inascoltati, ora non possono che saltare all’occhio. Da un lato, è impossibile stabilire un rapporto di causa-effetto. Né tantomeno si può ipotizzare che Suntech fosse in grado di prevedere i problemi in cui sarebbero incappate alcune società acquisite dal Global Solar Fund, tuttora al vaglio degli inquirenti. Ma, dall’altro lato, è vero che il valore delle operazioni di Suntech in Italia, così pesantemente compromesse, è molto vicino a quello del rosso che ha portato il colosso cinese al fallimento.

Vicini alla nazionalizzazione Mentre questo numero di Valori va in stampa, il destino di Suntech è ancora da scrivere. Nazionalizzazione? Fusione? Per ora è noto solo che, poco prima del default, la società ha estromesso dalla presidenza il fondatore Shi Zhengrong, che ancora ne detiene il 30% e si è visto vietare di uscire dai confini cinesi. È stato inoltre nominato nel board Weiping Zhou, fino ad allora presidente di Guolian Futures, una filiale del gruppo pubblico Wuxi Guolian Development. C’è chi dice, dunque, che il futuro di Suntech sia proprio quello di essere nazionalizzata dalla città di Wuxi. D’altra parte, ricorda Reuters, non sarebbe la prima volta in cui in Cina gli enti locali intervengono per evitare tracolli che rischierebbero di tradursi in disordini sociali. Una circostanza che, nel settore delle rinnovabili, si è già verificata: è stato il caso di LDK Solar, Shanghai Chaori Solar e CNPV Solar. E potrebbe concretizzarsi ancora. 


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Non solo Suntech: fotovoltaico cinese al bivio di Valentina Neri

I prossimi mesi saranno decisivi nello sviluppo del fotovoltaico: i maggiori produttori della Cina devono fare i conti con un dollaro di perdite ogni tre dollari di vendite. Per superare lo sbilancio, dovuto anche ai dazi adottati dagli Usa, si prevedono nuove acquisizioni di società europee del solare el settore delle energie pulite, i guai non coinvolgono solo Suntech. Stando ai dati di Maxim Group, citati dal Wall Street Journal, i dieci maggiori colossi cinesi del solare raggiungevano i 17,5 miliardi di dollari di debiti alla fine del primo trimestre del 2012. Secondo GTM Research, circa 180 aziende del fotovoltaico (54 delle quali sono cinesi) nel giro di tre anni sono destinate a chiudere o a essere acquisite. Ed entro il 2015 diremo addio a tre produttori su dieci. A dicembre – riporta il Wall Street Journal – il Consiglio di Stato ha promesso di favorire fusioni e acquisizioni affinché il settore delle rinnovabili si liberi dei produttori non più in attivo,

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concentrandosi su pochi colossi più solidi. Il New York Times riporta un’intervista rilasciata da Li Junfeng, per anni direttore generale delle politiche per l’energia e il clima alla Commissione nazionale per lo Sviluppo e le riforme. Un’intervista nella quale auspica che le banche finanzino solo le società più forti, lasciando fallire le altre. Ma, secondo il quotidiano newyorkese, gli istituti – che in certi casi sono stati incoraggiati a erogare i finanziamenti proprio dal governo – tenderanno piuttosto a sostenerle ulteriormente per permettere loro di rimborsare i prestiti e non trovarsi sommersi dai bad loans. E, stando a GTM Research, faranno lo stesso gli enti locali, «che Pechino lo approvi o meno».

Sovrapproduzione e concorrenza La strategia con cui la Cina ha sbaragliato la concorrenza, in sintesi, sembra vacillare. La domanda di pannelli solari e turbine eoliche cresce; ma la capacità produttiva cresce ancora più velocemente e non si riesce ad assorbirla. GTM Research stima che nel 2012 la capacità delle aziende cinesi sia arrivata ai 50 GW di pannelli. Ma il mercato domestico ne assorbe solo 4-5 GW e le esportazioni arrivano ad altri 18-19. Proprio per smaltire la sovrapproduzione si è scatenata una guerra dei prezzi che ha portato risultati tangibili: stando all’agenzia Bloomberg, il prezzo di una cella solare a ottobre del 2010 ammontava a 1,50 dollari a watt, mentre lo scorso 11 marzo era di 38 centesimi. Il risultato è che quest’anno, secondo il New York Times, i maggiori produttori cinesi devono fare i conti con un dollaro di perdite per ogni tre dollari di vendite. E, se davvero i governi locali interverranno per non farli | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 59 |


FONTE: HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM

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IL TITOLO SUNTECH IN BORSA 27 marzo 2013

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Resto del mondo

chiudere, il problema della sovrapproduzione rimarrà inalterato. A minacciare le aziende sono anche le misure protezionistiche adottate in Occidente. Risale a un anno fa la scelta del governo di Barack Obama di imporre un dazio sul fotovoltaico made in China. Ne ha fatto le spese anche un impianto di Suntech in Arizona, costretto a chiudere dopo soli tre anni dopo essersi visto imporre un dazio del 35,97% sulle celle di provenienza asiatica. A Bruxelles, intanto, si indaga sulle denunce per dumping e concorrenza sleale depositate dall’associazione Eu ProSun, che rappresenta l’industria solare del Vecchio Continente. Il 6 giugno arriveranno le prime decisioni ufficiali. Nel frattempo, a marzo la Commissione europea ha imposto la re| 60 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Entro il 2015 diremo addio a 3 produttori su 10. Circa 180 imprese del fotovoltaico (54 cinesi) nel giro di tre anni sono destinare a chiudere o a essere acquisite. Si delinea la formazione di pochi colossi gistrazione di tutti i pannelli e i componenti provenienti dalla Cina. Una manovra che potrebbe aprire la strada a dazi retroattivi.

Vicini a una guerra commerciale Sono in molti ormai a ritenere che all’orizzonte ci sia qualcosa di molto simile a una guerra commerciale. E ci si chiede

quali saranno le contromosse dei colossi asiatici. Ad esempio, «acquisire una società europea – ha dichiarato l’analista di GTM Research Shyam Mehta, citato dal Wall Street Journal – fornirebbe a un’azienda cinese una rotta per l’Europa priva di dazi doganali. A livello di bilancio le società cinesi sono in crisi, ma posso facilmente ipotizzare che un istituto come China Development Bank le possa finanziare per un’acquisizione strategica». China Development Bank d’altronde ha già garantito una linea di credito da un miliardo di dollari a JinkoSolar Holdings che vuole espandere la sua presenza estera. Anche Haenergy Group nell’arco di pochi mesi ha assorbito la tedesca Solibro e la statunitense MiaSole. I prossimi mesi, in sintesi, saranno cruciali per determinare lo sviluppo del fotovoltaico. In Cina e non solo. Gli investitori – nota il Guardian – sono di fronte a un bivio. Possono avere fiducia nel fatto che il crollo dei prezzi dei pannelli, pur avendo compromesso così pesantemente i profitti delle aziende, viceversa possa allargare i confini del mercato, innescando un circolo virtuoso. Oppure possono temere che quello di Suntech sia solo il primo capitolo di una serie di tracolli. E decidere di investire altrove. A quel punto, in gioco ci sarebbe molto di più del bilancio di un’azienda: a esserne coinvolti sarebbero gli equilibri del mercato dell’energia. E, con loro, le misure di contrasto al cambiamento climatico. 


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Tutti flessibili, anzi no di Corrado Fontana

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Anche i numeri contano Quattordicimila dipendenti del colosso telematico avranno tempo fino a giugno 2013 per riorganizzare le proprie vite e tornare a percorrere ogni giorno il consueto tragitto casa-ufficio, altrimenti rischiano il licenziamento. Ma la flessibilità, pana-

COMMONS.WIKIMEDIA.ORG

ersonalmente non do una valutazione positiva di questa decisione perché mi sembra antistorica», così Francesco Paoletti, professore associato di Organizzazione aziendale all’università Bicocca di Milano, bolla la recente decisione di Marissa Mayer, presidente e amministratore delegato di Yahoo! da luglio scorso, di togliere ai dipendenti l’opportunità del telelavoro (home working). Secondo il Bureau of Labor Statistics il 24% dei lavoratori americani lavorerebbe da casa almeno per qualche ora ogni settimana e il 63% dei datori di lavoro sosteneva nel 2012 di aver permesso ai dipendenti di operare in remoto (cioè a distanza, tramite una connessione telefonica). La decisione, improvvisa e contestatissima, della top manager punta invece a invertire la rotta e sarebbe ufficialmente nata dalla volontà di riavvicinare i lavoratori alla compagnia, ravvivando in loro entusiasmo e motivazione.

LE 5 DONNE PIÙ POTENTI DELL’HI-TECH DEL 2012 Sheryl Sandberg Dopo quattro anni come Coo (Chief Operating Officer, cioè direttore operativo) di Facebook e, dopo aver traghettato la società attraverso una criticatissima quotazione in Borsa da 100 miliardi di dollari, la Sandberg è entrata – prima donna – nel Consiglio di amministrazione della multinazionale di Zuckerberg a giugno 2012. È proprietaria di quasi 1 miliardo di dollari di stock options dell’azienda. È diventata un modello di riferimento per le donne che sperano di conciliare l’ambizione a un lavoro di alto profilo con la maternità.

UPLOAD.WIKIMEDIA.ORG

La nuova Ceo di Yahoo! Marissa Mayer ha detto no al telelavoro: perseguire il mantra globale della flessibilità frenerebbe i piani di rilancio della compagnia. Ma se i risultati economici sembrano darle ragione, le motivazioni non convincono

Virginia “Ginny” Rometty Nel mese di ottobre, con oltre 30 anni di carriera in Ibm, è stata scelta quale Amministratore delegato della compagnia, diventando la prima donna a guidare il gigante tecnologico fondato nel 1889. Nel suo primo anno come Amministratore delegato sta attuando una strategia quinquennale per penetrare nuovi mercati come quelli del cloud computing e del business analytics software, puntando a far crescere il fatturato di 20 miliardi di dollari entro il 2015. In Ibm ha iniziato nel 1981 come ingegnere dei sistemi. Ursula Burns Da tre anni Amministratore delegato di Xerox Corporation, cerca di convertire il business della compagnia dalla vendita di stampanti e fotocopiatrici all’offerta di servizi (la gestione di transazioni sui biglietti elettronici, pedaggi e parchimetri già porta metà di tutte le entrate della società). Iniziò a lavorare in Xerox nel 1980, con uno stage estivo, ed è stata la prima donna di colore a guidare una grande compagnia americana. Margaret “Meg” Cushing Whitman È presidente e amministratore delegato di Hewlett-Packard. Ex dirigente di The Walt Disney Company (vice presidente della pianificazione strategica nel 1980), DreamWorks, Procter & Gamble e Hasbro. Si candidò alle elezioni del 2010 per diventare governatore della California. Sta affrontando una situazione difficile in Hewlett-Packard, con le azioni HP crollate del 25% nel 2012 anche per ampie responsabilità della stessa Whitman, secondo Forbes. Marissa Mayer Dopo 20 anni alle dipendenze di Google, e un master in informatica presso la Stanford University, a luglio scorso è diventata il nuovo Amministratore delegato di Yahoo!. Ha dichiarato di voler spingere nell’offerta in franchising di servizi di posta elettronica, finanza e sport. Nel 2012 aveva solo 37 anni ed era una delle donne più giovani della classifica di Forbes. Nello stesso anno entrava nel suo primo Cda: quello della più ricca multinazionale del mondo (vedi Valori di aprile), Walmart.

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FONTE: HTTP://IT.FINANCE.YAHOO.COM

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IL TITOLO YAHOO! IN BORSA 24,20 10 aprile 22.00

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cea di tutti i mali, dove è finita? Forse tra l’incudine di un titolo azionario da anni in difficoltà – specie in confronto con il competitor di un tempo Google – e il martello della Mayer che avrebbe dichiarato: «Alcune delle migliori decisioni e intuizioni provengono dalle discussioni in corridoio e caffetteria, dalla possibilità di conoscere nuove persone e dalle riunioni in team improvvisati». Ma a spingere per un repentino cambio di politica organizzativa conta

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ancor di più un problema effettivo di produttività: secondo quanto rilevava Forbes a fine febbraio i 53.861 dipendenti di Google generavano 931.657 dollari di introiti per ogni addetto, il 170% in più rispetto ai 344.758 dollari di un dipendente Yahoo!. Una differenza imbarazzante che avrebbe indotto la decisione del quinto diverso Ceo della compagnia nel giro di 4 anni. E in soccorso della Mayer, neomamma, nota per essersi attrezzata una nur-

sery completa proprio accanto all’ufficio, da un lato corrono alcuni studi che sostengono come il telelavoratore sia sì più produttivo, ma meno innovativo, dall’altro persino Bank of America, che, dopo aver promosso un importante programma interno per il lavoro in remoto, nel 2012 ha chiesto di tornare in ufficio ai lavoratori che ricoprono certi ruoli strategici. Va poi detto che i conti di Yahoo! stanno migliorando: nei due trimestri finali del 2012 la performance economica ha battuto le previsioni degli analisti e le azioni a gennaio avevano guadagnato a Wall Street circa il 30% dalla metà dell’anno precedente, sebbene gli utili netti dell’ultimo trimestre 2012 fossero scesi del 7,9%, a 272,3 milioni di dollari.

Tele-bastone o tele-carota C’è però da chiedersi se la decisione della Mayer non miri anche a spingere qualcuno a farsi da parte: «Riguardo Yahoo! – prosegue Paoletti – non so se sia così, ma può essere una spiegazione. Queste strategie sono state messe in atto anche in passato: in Ibm, nel 1992, quando ci fu una grande ristrutturazione e l’azienda dovette

Così fan le multinazionali, anche in Italia di Corrado Fontana

Anche le multinazionali italiane del settore Ict (Information and Communication Technology) impiegano da anni il telelavoro, ciascuna secondo proprie regole interne. Ecco cosa succede: Microsoft Italia ha costruito il suo nuovo campus di Segrate (Mi) come ambiente di lavoro estremamente flessibile, dove le persone non sono tenute a recarsi se non ritengono di averne la necessità e non hanno bisogno neanche di comunicarlo di volta in volta ai responsabili. Possono restare a casa e gestire i ritmi di lavoro in modo auto-controllato o, se si recano in ufficio, prenotare l’uso di spazi dedicati a funzionalità diverse (ambienti con postazioni fisse oppure sale silenziose dove concentrasi, sale riunioni). Il campus di Segrate di Microsoft usa il cosiddetto desk hoteling:

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le persone non hanno fisicamente un loro tavolo di lavoro personale, hanno degli armadietti e uno spazio per lasciare poche cose; se hanno bisogno di documenti fisici questi vengono portati a richiesta da un apposito servizio che si occupa dell’archivio. Telecom Italia ha firmato un accordo coi sindacati che prevede, nel 2014, l’utilizzo graduale del telelavoro per 1.200 lavoratori oggi occupati in sedi dell’area commerciale che saranno chiuse. Un accordo per evitare trasferimenti territoriali che, per i disagi che comporterebbe, inciderebbe in negativo sulla produttività, aumentando i tassi di assenteismo del personale. I sindacati hanno cercato di ovviare al rischio di “alienazione” di questi lavoratori prevedendo un rientro in azienda una volta al mese per partecipare a sessioni di aggiornamento professionale.


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lasciare a casa circa metà dei propri dipendenti, una delle modalità utilizzate fu proprio l’imposizione del desk hoteling (scrivanie a rotazione, ndr), per cui molti che erano legati all’idea tradizionale di un proprio ufficio come spazio individuale chiuso decisero che a quelle condizioni sarebbero andati a lavorare altrove. E Yahoo!, per quanto ne so, non naviga in acque fantastiche, hanno provato a venderla più volte». Flessibilità croce e delizia, perciò, considerando pure che, ricorda Michele Azzola, Segretario nazionale Slc-Cgil, «una lunga fase in cui il lavoratore può operare da casa, non partecipando alla vita aziendale, non essendo direttamente coinvolto nelle sue evoluzioni, crea un distacco che comporta senz’altro minore motivazione e un depauperamento del know how della persona». Ma il telelavoro permette di conciliare meglio i tempi di vita, consente di abbattere i costi e i rischi di trasferimento (il cosiddetto commuting) e di risparmiare l’uso di risorse aziendali (spazi, energia, servizi). E quanto possa “far bene” ai conti delle imprese è certificato da uno studio del

Quattordicimila dipendenti di Yahoo! avranno tempo fino a giugno 2013 per riorganizzare le proprie vite e tornare a percorrere il tragitto giornaliero casalavoro. Pena il licenziamento febbraio scorso condotto dalla Stanford University su un campione di 250 dipendenti della società cinese Ctrip del settore turistico (16 mila unità, quotata sull’indice Nasdaq). L’indagine rileva un aumento complessivo del 13% delle prestazioni per chi lavora a domicilio (+9% per minuti di lavoro in più rispetto al turno assegnato, al netto di pause e malattia, e +4% per migliori prestazioni nell’unità di tempo), senza riscontrare ricadute negative per chi rimane in ufficio. I lavoratori a domicilio riferiscono inoltre di una maggior soddisfazione e presentano un tasso di abbandono della postazione ridotto di oltre il 50%. Insomma, la scelta della Mayer (a marzo 1,1 milioni di dollari di bonus), è difficile ancora da valutare, ma vedremo presto se farà tendenza. 

Alla Nokia Siemens Networks di Cassina de’ Pecchi (Mi) hanno ampliato il numero di dipendenti con possibilità di telelavoro nel 2010, mentre erano in atto agitazioni contro una pesante ristrutturazione aziendale. Le indicazioni al riguardo contemplavano il telelavoro esclusivamente nei weekend, nelle ore serali o durante gli scioperi, con ciò aprendo però la strada al successivo utilizzo regolamentato attraverso le policy già impiegate dai colleghi del Nord Europa: due giorni di home working al massimo per settimana, non consecutivi e non necessariamente fissi, a meno di particolari esigenze, concordati facendo richiesta ai propri dirigenti (circa 65 euro al bimestre il rimborso per pagarsi l’abbonamento internet/connessione da casa). Obiettivo della società: l’ulteriore evoluzione verso quello che viene definito modern office, in parte già introdotto, ovvero mantenere un 10-15% di postazioni fisse in meno rispetto al numero dei dipendenti (la cosiddetta “scrivania a rotazione”). L’introduzione massiccia del telelavoro in Nokia è andata di pari passo con il venir meno della registrazione della presenza quotidiana attraverso il badge e con la tendenza a rendere il tempo di lavoro una sorta di continuum scandito da obiettivi.

I TELELAVORI MEGLIO PAGATI SECONDO FORBES (sett. 2011) 1 • Medici e radiologi che svolgono attività di “telemedicina” Guadagni settimanali medi: 1.975 dollari 2 • Ingegneri informatici che svolgono consulenza software Guadagni settimanali medi: 1.549 dollari 3 • Consulenti finanziari Guadagni settimanali medi: 1.227 dollari 4 • Insegnanti a distanza Guadagni settimanali medi: 1.166 dollari 5 • Addetti alle ricerche di mercato Guadagni settimanali medi: 1.162 dollari 6 • Infermieri/e che svolgono assistenza telefonica Guadagni settimanali medi: 1.055 dollari 7 • Specialisti in relazioni pubbliche Guadagni settimanali medi: 1.126 dollari 8 • Scrittori e autori Guadagni settimanali medi: 987 dollari 9 • Consulenti fiscali Guadagni settimanali medi: 1. 061 dollari 10 • Grafici e disegnatori Guadagni settimanali medi: 890 dollari

La cancellazione del reparto Ricerca e sviluppo, con l’espulsione di centinaia di dipendenti, ha favorito l’introduzione del telelavoro, poco compatibile con le occupazioni che necessitano l’impiego di grandi attrezzature in laboratorio. Alla Ibm adottano due formule: un telelavoro a regime (dal 2009), regolato dal contratto, che contempla un minimo di 4 e un massimo di 20 giorni di telelavoro ogni 4 settimane, con due rientri al mese in azienda (anche qui fortemente voluti dal sindacato), da concordare col proprio capo di linea. Oppure c’è il telelavoro occasionale (dal 2011: al massimo 4 giorni al mese), che prevede una richiesta estemporanea da parte del lavoratore al proprio responsabile almeno un giorno prima della somministrazione. La società ha condotto una sperimentazione preventiva mettendo in telelavoro un intero gruppo di dipendenti, e oggi accoglie una commissione mista (tre delegati sindacali e tre aziendali) che si riunisce periodicamente per valutare l’andamento del telelavoro. Nel 2012 sono stati 100 sui 1.150 complessivi (oltre 800 in forze a Roma) i dipendenti Ibm in Italia (soprattutto a Roma) che hanno utilizzato il telelavoro.

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| internazionale | osservatorio medioriente/turchia |

Alle porte dell’Europa di Paola Baiocchi

Ponte tra il Mediterraneo e l’Asia, la Turchia accresce di giorno in giorno il suo ruolo di potenza mediorientale, schierata con la Nato. Forte anche di una crescita economica galoppante che non risente della crisi europea on più di 74 milioni di abitanti, la Turchia potrebbe essere il Paese europeo demograficamente più importante dopo la Germania, mentre dal punto di vista territoriale è grande una volta e mezza la Francia, il Paese più esteso dell’Unione. Queste due numeri, assieme ai dati sulla crescita economica turca, galoppante da almeno dieci anni con ritmi asiatici che non risentono della crisi europea, ma soprattutto insieme al fatto che circa il 98 per cento della sua popolazione è musulmana sunnita, hanno messo in stand by dal 2006 i negoziati sull’entrata della Turchia in Europa. Perché con il suo ingresso nell’Unione tutti i meccanismi di ponderazione dei voti in seno al Consiglio e la distribu-

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zione dei seggi all’interno del Parlamento europeo dovrebbero essere rivisti, perché la collocherebbero quasi a pari grado con la Germania. E di fronte a un simile gigante, in grado di esprimersi da una posizione di forza, il baricentro culturale dell’Europa si troverebbe messo in discussione e sarebbe costretto ad adattamenti che per il momento vengono rimandati. Nel frattempo si richiede alla Turchia di soddisfare tutti i cosiddetti “criteri di Copenaghen”, che prevedono il rispetto di determinate condizioni, per esempio di essere una democrazia con istituzioni stabili, che rispetti i diritti umani e le minoranze etniche. Ci vorrà del tempo, visto che la Turchia non ha nessuna intenzione di rinunciare alla

sua presenza sulla metà dell’isola di Cipro, occupata militarmente nel 1974, e visto che solo da poco si vedono degli spiragli nella questione curda (vedi BOX ).

La distensione petrolifera tra turchi e curdi Alla metà di marzo otto militari turchi, ostaggi del Pkk, il Partito del lavoratori del Kurdistan, sono stati liberati e consegnati in Iraq a una delegazione guidata da due deputati turco-curdi del Bdp, partito filocurdo per la Pace e la democrazia. L’avvenimento, considerato il primo atto di pace tra la Turchia e il Partito dei curdi turchi, è frutto di una serie di intensissimi contatti nel carcere di massima sicurezza dell’isola di Imrali nel Mar di Marmara tra il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, lì detenuto dal 1999, con dirigenti del Mit (il servizio segreto di Ankara), con deputati turco-curdi del Bdp e altri emissari. Alla consegna dei prigionieri ha fatto seguito il messaggio di Ocalan ai mili-


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IL MILITARE NELLA COSTITUZIONE La Repubblica di Turchia è stata proclamata il 29 ottobre 1923 dal generale Mustafa Kemal dopo aver sconfitto i greci e riportato l’unità nei territori anatolici dello scomparso Impero Ottomano. Il governo autoritario di Kemal, poi onorato con il titolo di Atatürk il “Padre dei turchi”, ha introdotto ampie riforme di stampo occidentale: abolendo il califfato, istituendo il suffragio universale e la parità tra i sessi, adottando l’alfabeto latino e codici ispirati al diritto svizzero e italiano. Il ruolo dei militari è previsto fin dalla Costituzione di Atatürk e continua ad essere determinante nella vita politica dello Stato. I golpe si sono susseguiti nel 1960, nel 1971 e nel 1980, quando le forze armate hanno sciolto le Camere, abrogato la Costituzione e formato un governo militare. La nuova Carta del 1982 ha ripristinato il regime parlamentare, ma il controllo militare ha continuato ad essere forte. Nel 1997 l’esercito ha contribuito alle dimissioni dell’esecutivo e allo scioglimento dell’allora partito di governo ad orientamento islamico, con un’azione definita “colpo di Stato post moderno” perché incruenta. Un tentativo di golpe, invece, è stato sventato nel 2010. La Turchia è intervenuta militarmente a Cipro nel 1974, contrastando la presenza greca sull’isola, dove da allora agisce come Stato autoproclamato della “Repubblica turca di Cipro del Nord”, che solo la Turchia riconosce. Dopo iniziali buoni rapporti con l’Unione sovietica, che aveva dato il suo sostegno ad Atatürk nella riunificazione, la Turchia ha aderito alle Nazioni Unite nel 1945 e ha partecipato alla guerra in Corea. Nel 1952 è diventata un membro della Nato a guardia di un suo confine con l’Urss e un importante alleato degli Stati Uniti. Nel 1964, la Turchia è diventata membro associato della Comunità europea. Negli ultimi dieci anni si è impegnata in numerose riforme per rafforzare la democrazia e l’economia, ma i negoziati di adesione con l’Unione europea, iniziati nel 2005, sono in fase di stallo. Pa. Bai.

tanti di «abbandonare il territorio turco»e di «mettere fine alla lotta armata» letto alla folla di Diyarbakir, in piazza nel giorno del Nevroz, il capodanno curdo. Dietro a questa distensione, riporta l’agenzia cattolica AsiaNews, c’è un accordo petrolifero molto particolare, concluso tra il presidente curdo dell’Iraq Jalal Talabani e il presidente della regione del Curdistan iracheno Massud Barzani col governo di Erdoğan: dal Curdistan iracheno è iniziata l’esportazione diretta di greggio sui mercati mondiali attraverso la Turchia. L’esportazione avviene al momento con camion, ed è considerata illegale da Baghdad, che accusa la Turchia di voler «creare una crisi irreparabile tra i due Paesi». Il nuovo approvvigionamento è doppiamente strategico per la Turchia: da una parte le garantisce una nuova fonte proprio quando sono in crisi i suoi rapporti con l’Iran a causa dell’appoggio del governo di Recep Erdoğan agli opposito-

LA QUESTIONE CURDA

I tre confini turchi più caldi della Turchia – Siria, Iran e Iraq –coincidono con il Curdistan, la regione geografica abitata principalmente da curdi e ricca di petrolio. I curdi sono una popolazione di 30 milioni di persone circa, la maggior parte dei quali (poco più di 12 milioni) concentrati in Turchia. Rivendicano il riconoscimento alla propria autodeterminazione dalla fine dell’Impero Ottomano. Nei loro confronti sono state attuate violente repressioni in Turchia e in Iraq dove Saddam Hussein li ha attaccati anche con armi chimiche. In Turchia il conflitto con il Pkk, fondato nel 1978, ha causato 35.000 vittime e tre milioni di rifugiati, secondo i dati del Cir (Comitato italiano rifugiati).

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L’Arca della Nato Il Paese dove si sarebbe arenata l’Arca (il Monte Ararat è la cima più alta della Turchia) esce rafforzato dal percorso di pace con il Pkk, che prevede molti passi: dalla modifica della Costituzione richiesta da Ocalan, al disarmo che dovrebbe avvenire in forma pubblica di 100 guerriglieri del Pkk. Mentre 2.500/3.000 militanti del Pkk lasceranno le regioni turche di Tokat e Dersim per passare con le forze del leader iracheno dei curdi, Massoud Barzani. Ma c’è un’altra distensione che preoccupa molto il presidente siriano Bashar al Assad, tanto da avergli fatto dichiarare che è un accordo contro di lui: sono le scuse presentate telefonicamente durante la visita di Barack Obama in Israele da Benjamin Netanyahu al premier Erdoğan, per l’attacco alla Mavi Marmara. I rapporti tra i due Paesi erano in crisi dal maggio

del 2010, quando truppe speciali israeliane avevano attaccato la nave che portava aiuti verso la striscia di Gaza, uccidendo sette attivisti turchi. I timori di Assad,

però, sono fondati, perché il riavvicinamento di Turchia ed Israele vuol dire ripristino della cooperazione militare bilaterale tra i due Paesi e con la Nato. 

IL PAESE IN CIFRE Ordinamento politico: Repubblica parlamentare Capitale: Ankara Superficie: 785.347 kmq Indipendenza: 29 ottobre 1923, con la creazione dello Stato successore dell’Impero Ottomano Popolazione: 74.724.269 (censimento 2011) Gruppi etnici: turchi 65,1%; curdi 18,9%; arabi 1,8%; azerbaigiani (azeri) 1; Yoruk 1%; altri 12,2% Lingue: turco, lingua ufficiale; arabo, armeno, curdo greco Religione: musulmani sunniti 97,5%; non religiosi/atei 2%; altri 0,5% per lo più cristiani o ebrei Moneta: lira turca Alfabetizzazione*: media 87,4% (maschi 95,3%; femmine 79,6%) Mortalità infantile: 23,07 morti/1.000 nati Speranza di vita alla nascita: 72,77 anni Disoccupazione: 10,7%; femminile 30,6% (2010) Popolazione al di sotto della soglia di povertà: 16,9% (2010) Industria: tessile, alimentare, automobili, elettronica, estrattiva: carbone, cromo, rame, boro; siderurgia, petrolio, turismo, edilizia, legname, carta Pil: 783,1 milioni $ (stima 2012) Pil pro capite: 15.000 $ (stima 2012) Debito pubblico: 40,4% del Pil (stima 2012) Inflazione: 9,1% (stima 2012) * popolazione di 15 o più anni in grado di leggere e scrivere.

FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE SU DATI CIA WORLD FACTBOOK 2013; ATLANTE DE AGOSTINI

ri di Assad in Siria. Dall’altra accelera l’integrazione economica del Curdistan iracheno nel quale a tutt’oggi le società turche hanno investito miliardi di dollari, conferendogli autonomia rispetto a Baghdad.


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Social Impact Bond

Da un problema sociale a un’opportunità finanziaria n Inghilterra ci sono 7.160 bambini in attesa di adozione, il 15% in più rispetto a un anno fa. Mentre è relativamente semplice trovare famiglie per i neonati e i più piccoli, è più difficile per i gruppi di fratelli e sorelle, per i bimbi con più di quattro anni e per minori appartenenti a minoranze etniche e in condizioni di salute precarie. Questi aspettano l’adozione per anni,

I

di Andrea Vecci

restando in carico al welfare state britannico. The Consortium of Voluntary Adoption Agencies (CVAA), un gruppo di agenzie per l’adozione, ha sviluppato un metodo per migliorare le performance di questo processo sociale, investendo nella formazione delle famiglie, nel supporto psicologico e nella mediazione culturale. E ha convinto il governo a finanziare, con 52.000 sterline, ogni adozione andata a buon fine. Il risparmio stimato della spesa sociale per ciascun bambino adottato sarà di 800.000 sterline nel medio lungo periodo. La novità è che, associato a queFONTE DELL’IMMAGINE: SOCIAL IMPACT BONDS. sto progetto che mira a incremenTHE ONE* SERVICE. ONE YEAR ON. EDITO DA SOCIAL FINANCE LTD tare il numero di bambini adottati ogni anno, verrà emesso il primo adop- Un strumento finanziario tion social impact bond: investitori pri- innovativo per sostenere vati potranno acquistare obbligazioni il sociale. Pochi casi al mondo per finanziare direttamente CVAA. I bond saranno remunerati solo in caso di manchino investitori, quanto modelli successo e se sarà chiaro e misurabile il e garanzie sul meccanismo di remunemiglioramento della spesa pubblica. razione. Conoscendo la propensione Nella figura in questa pagina viene del mercato finanziario a costruire descritto il modello del primo social bolle speculative, la prudenza in queimpact bond emesso da Social Finance sto caso è due volte più opportuna. in Gran Bretagna, da cui tutti stanno Aderire a prodotti finanziari del genetraendo ispirazione. A livello mondiale re significa, infatti, cambiare la vita esistono pochissimi casi, non perché delle persone, migliorare l’impatto sul-

la spesa pubblica e ottenere un ritorno dell’investimento. C’è chi sostiene che strumenti come i social impact bond debbano essere concepiti al di fuori della finanza tradizionale. La finanza sociale si basa sulla trasparenza e sulla condivisione dei big data, processi che l’industria finanziaria ha sempre promosso controvoglia arrivando ad applicare modelli di rating e di valutazione dei rischi tanto complessi da sembrare opachi. Il tema della trasparenza tocca però anche allo Stato, che deve ammettere, seguendo l’esempio britannico, di non sapere e di non potere più realizzare quell’innovazione sociale che il terzo settore si candida a gestire in modo misurabile. Per non enfatizzare l’attenzione più sul fronte finanziario che su quello dell’impatto sociale, occorre che gli attori in gioco, lo Stato, l’investitore e l’operatore sociale, condividano garanzie e rischi comuni poiché quando un’adozione non andrà a buon fine, tutti e tre gli attori, con ruoli e misure diverse, se ne facciano carico.  Approfondisci il tema sul blog Social Innovation di Valori.it | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 67 |


altrevoci MYANMAR, LE APERTURE DEL REGIME SONO PER LE COMPAGNIE PETROLIFERE Per ora siamo alle ipotesi ma in futuro, chissà, potrebbe arrivare la svolta. Attraversata dalle (timide) riforme politiche e ormai impegnata in un processo di apertura verso il resto del mondo, la Birmania (o Myanmar, come è stata ribattezzata dal regime militare) potrebbe aver trovato una nuova strada per il definitivo riavvicinamento all’Occidente: gli investimenti nel petrolio. «Le compagnie petrolifere internazionali si stanno mettendo in fila per ottenere i diritti di esplorazione nelle acque al largo delle coste del Myanmar» scrive il Wall Street Journal. «Ma le incertezze sulle modalità di gestione dei progetti da parte di quello che un tempo era un Paese isolato e sulla sua capacità di rispettare gli impegni minacciano di frenare gli entusiasmi e di rimandare nel tempo introiti assai preziosi per una delle economie più povere dell’Asia». Nel Myanmar, dove esistono contratti precedenti alle sanzioni economiche con le compagnie straniere Chevron, Daewoo e Total, la gestione di una quota dei progetti dovrebbe essere affidata all’azienda di Stato Myanma Oil & Gas Enterprise, già criticata dalla leader dell’opposizione locale Aung San Suu Kyi (nonché dal senatore Usa John McCain e dal suo ex collega della camera alta Joe Lieberman) per i suoi legami con la giunta militare e la scarsa trasparenza. [M.CAV.]

SCAVA, SCAVA... AFRICA, COME TI ANNACQUO IL BOOM ECONOMICO La carenza di risorse idriche rischia di trasformarsi in un ostacolo enorme sulla strada dello sviluppo, ovvero nel “killer”, più o meno silenzioso, dell’espansione economica africana. È la denuncia lanciata da Bloomberg ad aprile evidenziando le cifre di un problema tuttora irrisolto. «La mancanza d’acqua costituisce una delle principali questioni da affrontare per la popolazione urbana dell’Africa, destinata, secondo le stime delle Nazioni Unite, a crescere del 66% fino a 1,2 miliardi di persone da qui al 2050» scrive Bloomberg. Un problema aperto che coinvolge la rete di distribuzione e che rischia di compromettere l’ascesa di alcune delle economie più promettenti a cominciare dal Ghana, 35 miliardi di dollari di prodotto interno lordo e un tasso di crescita dell’8% per il 2013 (che garantisce un’espansione superiore alla media dei Paesi subsahariani per il sesto anno consecutivo). Nonostante gli effetti positivi della stabilità politica (oltre 20 anni di elezioni democratiche senza sussulti) e gli introiti delle materie prime come oro, cacao e petrolio, il Paese, denuncia il suo presidente Dramani Mahama, possiede una rete idrica vecchia di un secolo e incapace di raggiungere adeguatamente la capitale Accra. Ormai, precisa «non facciamo più i conti con l’urgenza, ma con l’emergenza». [M.CAV.] | 68 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Ben 1.574 imprese, di cui il 99,5% di dimensioni da piccolissime a medie, con un giro d’affari che si aggira intorno ai 40 miliardi di euro, pari al 2% del Pil. I numeri sono quelli del settore estrattivo delle materie prime non energetiche in Italia elaborati dall’università degli studi di Milano-Bicocca nell’ambito della ricerca Il settore estrattivo in Italia. Analisi e valutazione delle strategie competitive per lo sviluppo sostenibile condotta dal CRIET, Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio. Le attività estrattive si concentrano per lo più nel Nord Italia, con una preponderanza in Lombardia sia per numero di aziende che per fatturato prodotto, e il grosso dell’estrazione riguarda materiali per l’edilizia: ghiaie, sabbie, argille e caolino (50,5%); pietre ornamentali e da costruzione, calcare, pietra da gesso, creta e ardesia (40,5%); pomice e altri materiali (6,6%). L’analisi dei ricercatori ha valutato lo stato di salute economico-industriale del settore, registrando dati di bilancio ufficiali in contrazione per la progressiva diminuzione dei ricavi di vendita (-0,5% sul 2011) e degli utili (-18,83%). Con una situazione decisamente più critica per le imprese a valle nella filiera, che svolgono le prime lavorazioni delle materie estratte: l’utile del 2011 è calato del 71,46% rispetto all’anno precedente e gli indici di redditività mostrano una perdita di competitività del settore. [C.F.]

WHIRLPOOL CI PRENDE GUSTO A settembre scorso avevamo parlato del farmer market a chilometro zero Mercato a un passo sbarcato nell’area dello stabilimento e degli uffici di Whirlpool a Cassinetta di Biandronno. Ma alla multinazionale degli elettrodomestici pare esser piaciuto l’esperimento e così si rinnova questo sodalizio originale tra grande economia industriale e piccola economia agricola attraverso un altro mercatino, ospitato a Comerio (Va) ogni giovedì pomeriggio dalle 14, nel centro direzionale di Whirlpool per la regione che comprende Europa, Africa e Medio Oriente. Green economy, quindi, ma anche venata di social responsibility in senso stretto, visto che gli ortaggi che approdano al centro, raccolti e venduti in giornata a prezzo moderato, sono coltivati nei terreni dell’azienda I Mirtilli, che impiega ex detenuti, soggetti provenienti dall’area del disagio sociale e persone con disabilità in un programma di reinserimento chiamato Ricominciamo dalla terra. Coltivazioni con metodi naturali e senza impiego di agenti chimici, oltre a formaggi, salumi, confetture, miele e riso dei produttori del territorio: tutto è a disposizione dei dipendenti che fanno la spesa a Comerio, ma non solo, perché verdure di stagione e prodotti naturali da qualche tempo arrivano anche direttamente in ufficio, attraverso gli acquisti online sul sito dell’azienda agricola (www.imirtilli.it). [C.F.]


| LASTNEWS |

TTF, L’OFFENSIVA DELLA LOBBY BANCARIA

EUROZONA, LA NUOVA MINACCIA È LA DEFLAZIONE SALARIALE Esiste una nuova minaccia che incombe sulla zona-euro: si chiama deflazione salariale. A spiegarlo è un’analisi dell’Osservatorio francese sulla congiuntura economica (Ofce) che precisa: non si tratta solamente di un pericolo potenziale per il futuro. Al contrario, i suoi primi effetti nefasti sono già presenti in alcuni Stati. A mettere ancora una volta in pericolo i Paesi che adottano la moneta unica europea è infatti il “mix” costituito, da un lato, dalla mancata uscita dalla crisi, dall’altro dalle ricette imposte dai governi a base di austerity draconiana, che contribuiscono ad allontanare la ripresa. Tra non molto, spiega l’ Ofce, i tassi di disoccupazione involontaria potrebbero diventare talmente elevati da non consentire agli Stati di riuscire a farvi fronte attraverso i sussidi di disoccupazione. Il rischio, dunque, è che le politiche ferree sui bilanci possano impedire ai governi di rimpiazzare i mancati redditi attraverso gli ammortizzatori sociali: il risultato sarebbe un ulteriore crollo del potere d’acquisto delle famiglie, con un conseguente nuovo avvitamento delle spirali recessive. In particolare, il rischio riguarda per prima la Spagna, che secondo Xavier Timbeau, direttore del dipartimento Analisi e Previsioni dell’ Ofce, è «la principale economia in fase di deflazione salariale», a causa proprio degli sforzi anti-deficit senza precedenti adottati in nome del “dio-rigore”. E se Madrid crollasse, l’Eurozona potrebbe trovarsi di nuovo nella tempesta. [A.BAR.]

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L’impatto sui mercati finanziari sarebbe drammatico e le conseguenze sul piano dei finanziamenti necessari al funzionamento degli enti pubblici e delle imprese devastanti. Con queste (solite) argomentazioni – riferisce l’agenzia Reuters – la lobby bancaria ha deciso di lanciare a metà aprile una campagna contro la tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), con l’obiettivo dichiarato di convincere l’Unione europea a desistere dal progetto di introdurre l’imposta negli Stati che ne hanno fatto richiesta (Germania, Austria, Belgio, Spagna, Estonia, Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) attraverso una cooperazione rafforzata. Secondo la Commissione di Bruxelles grazie alla Ttf i governi che la applicheranno raccoglieranno introiti fiscali pari a 35 miliardi di euro all’anno. Capitali estremamente utili nell’attuale momento di grande crisi. E che, soprattutto, proverranno in larga parte dai soggetti che hanno contribuito in modo determinante a creare la crisi che il mondo intero attraversa dal 2008. Argomentazioni che il settore finanziario contesta sottolineando gli effetti che la tassa provocherebbe sul volume delle transazioni e sui costi delle stesse che ricadrebbero sui loro clienti. Studi di Bruxelles, tuttavia, dimostrano come l’impatto sul Pil sarà, sul lungo termine, minimo, e che non si registreranno conseguenze negative né sulla crescita né sull’occupazione. [A.BAR.]

PER RILANCIARSI LA MAFIA FA LA SPENDING REVIEW NASDAQ, “PASTICCIO” FACEBOOK: PAGANO I MANAGER L’implicita responsabilità sui problemi tecnici che hanno accompagnato il collocamento azionario di Facebook Inc. pesa sulle tasche dei manager del Nasdaq, la società di gestione dei titoli tecnologici della Borsa di New York. Con un annuncio diffuso ad aprile, la società ha comunicato di aver tagliato rispettivamente del 62% e del 53% i bonus destinati al Ceo, Robert Greifeld, e alla vice presidente della divisione global technology solutions, Anna Ewing, citando tra le motivazioni della decisione proprio il collocamento del colosso social. Accompagnato da un entusiasmo senza precedenti, l’esordio di Mark Zuckerberg a Wall Street risale allo scorso 18 maggio quando il titolo Facebook è stato collocato con un’offerta pubblica iniziale (Initial public offering, Ipo) di 38 dollari per azione, giudicato eccessivamente alto da diversi analisti (undici mesi dopo il titolo viaggia attorno ai 26 dollari). Una Ipo “pasticciata” come l’ha definita il NY Times ricordando i problemi tecnici occorsi proprio al Nasdaq che produssero almeno mezz’ora di ritardo nell’avvio delle contrattazioni provocando ingenti perdite agli operatori. Bersagliata dalle richieste di rimborso, Nasdaq OMX Group ha promesso di pagare risarcimenti complessivi per 62 milioni di dollari. [M.CAV.]

Per i giornali stranieri la scoperta di una nuova organizzazione mafiosa siciliana, culminata con l’arresto di 36 mafiosi l’8 aprile, è stata una ghiotta occasione per ironizzare sulla spending review della mafia. Secondo Tom Kington di The Scotsman, quotidiano di Edimburgo, il cinquantunenne Antonio Sciortino, da poco uscito dal carcere dopo 11 anni di reclusione senza aver collaborato con la magistratura «era stato incaricato da Cosa nostra di tagliare i costi e migliorare l’efficienza dell’organizzazione, più o meno come ha fatto il presidente del consiglio Mario Monti». Sciortino era stato tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine dopo la fine della sua detenzione mentre lavorava al progetto di creare il supermandamento di Camporeale per unire due territori mafiosi storici: San Giuseppe Iato, ex feudo della famiglia Brusca, e Partinico, zona senza direzione dopo l’arresto dei Vitale. Sempre secondo Kington «prima dell’arresto il “saggio” della mafia stava aiutando le famiglie criminali a tagliare le spese, proprio come il governo tecnico sta cercando di snellire la burocrazia italiana per risparmiare». Se l’operazione condotta da Sciortino fosse arrivata a compimento, grazie ai contatti con la politica (arrestato anche il sindaco di Montelepre) e con le famiglie di New York, si sarebbe realizzato un nuovo supermandamento capace di imporsi con forza sulle altre articolazioni mafiose palermitane, anche grazie alle economie di scala. [PA.BAI.] | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 69 |


| ECONOMIAEFINANZA | a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

LA CULTURA MANAGERIALE È CRESCIUTA CON L’ITALIA Giorgio Brunetti Artigiani, visionari e manager Bollati Boringhieri, 2012

In questo libro per descrivere l’evoluzione dell’imprenditoria italiana si parte da molto lontano, dall’Arsenale veneziano, esempio cinquecentesco di grande insediamento industriale produttivo e al tempo stesso luogo di confronto e discussione sulla complessità. A Venezia nasce anche la prima scuola italiana di economia e management, Ca’ Foscari, che affronta i temi urgenti posti dall’economia contemporanea. L’evoluzione della cultura manageriale italiana accompagnerà il miracolo economico del secondo dopoguerra, l’ascesa e il declino della grande impresa pubblica, l’affermarsi di un tessuto economico polverizzato e ipervitale, costituito da piccole e medie imprese fino all’ascesa della finanza degli ultimi anni. In tutti questi passaggi i protagonisti sono stati artigiani, imprenditori, manager e visionari che con la loro azione hanno influito sul tessuto economico del Paese.

IL MICROCREDITO HA RIDATO FIDUCIA AL PAESE

PROPRIETÀ PRIVATA E BENI COMUNI

LA POVERTÀ DELLE NAZIONI DIPENDE DAI GOVERNANTI

Il microcredito nel pieno della crisi economica gioca un ruolo centrale a favore dell’inclusione sociale dei soggetti «non bancabili»: l’ammontare di credito concesso, grazie a questo strumento, nel 2011 ha fatto segnare una crescita del 42 per cento rispetto all’anno precedente. Il grande merito del microcredito è aver ricostituito un rapporto di fiducia nell’intero sistema, permettendo alle famiglie di affrontare impreviste difficoltà finanziarie, alle imprese (tra cui le start-up) di sostenere le proprie attività produttive e a molti studenti di avere accesso all’università o ai corsi post lauream. Il volume presenta dunque le analisi più recenti su una materia che coinvolge molti soggetti pubblici (dallo Stato centrale fino alle amministrazioni comunali) e privati (fondazioni bancarie, associazioni, enti religiosi e istituti di credito nazionali e locali ecc.) nella promozione e nella realizzazione di programmi differenziati per target e obiettivi. In Italia il microcredito è un fenomeno in ascesa che ha ormai raggiunto risultati quantitativi non più trascurabili, rappresentando uno degli strumenti più efficaci a sostegno della piccola imprenditoria.

Stefano Rodotà, politico e docente universitario, con questo libro fornisce una chiave di lettura contemporanea a un tema che da sempre caratterizza la sua vita di studioso: il concetto di proprietà e la sua disciplina nei sistemi giuridici moderni. Beni, patrimoni, forme societarie, corpo, ingegno, identità, privacy possono essere tutte declinazioni del concetto di proprietà, intesa sia in senso materiale che immateriale. Il primo presidente italiano dell’Autorità garante della privacy, in questo classico rivisitato ai tempi della globalizzazione, affronta il problema della proprietà privata e il suo rapporto con i beni comuni, la cui salvaguardia è inserita nei programmi di molti partiti politici, forum sociali e culturali. Una riflessione approfondita e dedicata ad un valore, quello dei beni comuni, oggetto di una delle più recenti battaglie culturali e politiche combattute dallo stesso autore.

Perché ci sono paesi che diventano ricchi e paesi che restano poveri? Per quale ragione nel mondo convivono prosperità e indigenza? Alcuni rispondono chiamando in causa il clima e la geografia. Ma il caso del Botswana, che cresce a ritmi vertiginosi mentre paesi africani vicini, come Zimbabwe, Congo e Sierra Leone, subiscono miserie e violenze, smentisce questa interpretazione. Altri si concentrano sulla cultura. Ma allora come si spiegano le enormi differenze tra il Nord e il Sud della Corea? E che dire di Nogales, Arizona, che ha un reddito pro capite tre volte più alto di Nogales, Sonora, città gemella messicana? Le origini di prosperità e povertà risiedono nelle istituzioni politiche ed economiche che le nazioni si danno. Dall’Impero romano alla Venezia medievale, dagli inca e ai maya, distrutti dal colonialismo spagnolo, al devastante impatto della tratta degli schiavi sull’Africa tribale, dalla Cina assolutista delle dinastie Ming e Qing al nuovo assolutismo di Mao Zedong, dall’Impero ottomano alle autocrazie mediorientali, le élite dominanti preferiscono difendere i propri privilegi ed estrarre risorse dalla società che avviare un percorso di benessere per tutti.

C. Borgomeo&co, CamCom Universitas Mercatorum Fiducia nel credito Donzelli, 2013 | 70 | valori | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 |

Stefano Rodotà Il terribile diritto Il Mulino, 2013

Daron Acemoglu, James A. Robinson Perché le nazioni falliscono Il Saggiatore, 2013


| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

GLI ARTIGIANI MESSINESI SI RIUNISCONO NEL SALOTTO CREATIVO Quindici artigiani messinesi e un’associazione che li mette in contatto offre uno spazio per esporre i loro prodotti, organizza mostre e workshop. Un’associazione che si chiama Salotto Creativo ed è gestita da Marilena Cannavò e Zivì, una stilista che lavora soprattutto con il riuso di tessuti vintage. Salotto Creativo ad aprile ha tagliato il traguardo dei due anni di attività: due anni di iniziative fantasiose unite dall’obiettivo di diffondere l’artigianato siciliano. È il caso di Sensi Unici, che ha animato il centro di Messina con alcuni happening rivolti ai cinque sensi. Per l’olfatto le essenze profumate delle candele, per l’udito la musica, per il tatto la lavorazione dell’argilla; per la vista e il gusto sono state predisposte rispettivamente un’estemporanea di pittura e una degustazione di prodotti locali. E l’idea probabilmente sarà replicata nei prossimi mesi. «Ci attiviamo – spiega Marilena – per promuovere la sicilianità che ha tanto da offrire, ma spesso è lasciata da parte. La Sicilia ha molte opportunità, ma nulla che le sostenga. Noi riusciamo ad autofinanziarci con difficoltà, ma nessuno ci dà un aiuto, una sovvenzione, nemmeno un patrocinio gratuito. Non è facile, ma le nostre soddisfazioni ce le prendiamo da chi entra nella nostra sede e resta a bocca aperta di fronte alle opere degli artigiani». www.facebook.com/salotto.creativo

NASCE A MILANO LA TV DELLA SOSTENIBILITÀ A VILLA PARADISO I BISCOTTI CHE FANNO BENE

DAL CARCERE ALLA GANG DEL TRUCIOLO

Per uscire dalla dipendenza da alcool e droghe bisogna intraprendere un percorso tutt’altro che semplice. All’ultima edizione di Fa’ la cosa giusta! a Milano abbiamo incontrato qualcuno che cerca di addolcirlo: sono gli operatori di Villa Paradiso, il centro di riabilitazione a Besana in Brianza gestito dalla Onlus Comunità Nuova, presieduta da don Gino Rigoldi. “Addolcirlo” nel vero senso della parola: perché i ragazzi ospiti della struttura si mettono alla prova con uova, burro e farina per realizzare tante golose varietà di biscotti. Gli ingredienti – racconta Federica Raccuglia, che segue la comunicazione della Onlus – sono tutti a km zero. In particolar modo le marmellate, preparate con la frutta raccolta nell’orto della comunità. E le ricette sono quelle di Maurizio Santin, il pluripremiato pasticcere del Gambero Rosso che, in via gratuita e volontaria, segue i ragazzi del laboratorio e fa da “testimonial” all’iniziativa. Per ora per acquistare i biscotti c’è il sito di e-commerce: ma proprio Fa’ la cosa giusta! si è rivelata un’occasione preziosa perché, racconta Federica, «abbiamo incontrato tanti Gas e piccoli negozi interessati ai nostri prodotti». www.shop.idolcidelparadiso.com

Poco più di un anno fa su Valori abbiamo raccontato la storia della Banda Biscotti, il laboratorio dolciario animato dai detenuti delle case circondariali di Verbania e Saluzzo. Proprio in quei mesi, nel frattempo, esordiva l’esperienza di un progetto “cugino”. Il carcere è sempre quello di Saluzzo e l’idea è sempre della fondazione Casa di carità arti e mestieri, un’agenzia piemontese di formazione professionale. Stavolta, però, i detenuti si rimboccano le maniche in falegnameria. L’iniziativa si chiama “La gang del truciolo” e nasce con un corso di formazione finanziato dalla Provincia di Cuneo. Anche per riuscire a dare un sostegno economico ai lavoratori, nel tempo si è evoluta con la produzione e vendita di tanti prodotti, tutti in legno: arredi urbani come panchine e bacheche, mobili su ordinazione per clienti privati, opere di recupero del pallet. «È ancora un work in progress », racconta Flavia Morra della Fondazione Casa di carità. «Stiamo lavorando anche con un consorzio di artigiani locali per capire quali siano i prodotti sui quali valga la pena di puntare». www.casadicarita.org

Una televisione di tutti: è questo l’ideale che ha spinto l’associazione milanese Libero Laboratorio (LibLab) a intraprendere un cammino nato dall’idea di Gast. Sta per Gruppo di acquisto di spazi televisivi: se in un Gas le famiglie si mettono in rete per comprare frutta, verdura o carne, in un Gast si acquista uno spazio televisivo, ci si dota di telecamere, microfoni e tutto l’occorrente per trasmettere prodotti giornalistici e autorali indipendenti. Gli spazi pubblicitari sono venduti a prezzi calmierati a piccole realtà sostenibili e non ai grandi inserzionisti che dominano i canali tradizionali. È una Tv a basso impatto, trasmessa con un metodo innovativo che usa semplici sim telefoniche in 3G e 4G. «Abbiamo ridotto il carrozzone televisivo: per una news bastano un paio di persone, per un evento una quindicina», spiega Antonello Galimberti. E ci si svincola dagli studi tradizionali: una puntata è andata in onda da Fa’ la cosa giusta!, ma è possibile trasmettere ovunque. Per ora sono stati prodotti due format: The Village, un talk show dedicato alla sostenibilità, e Pubblica Elezione, un confronto coi candidati alle ultime politiche. Ma in cantiere ci sono anche show su ricette e prodotti biologici a km zero e sugli sport “minori”. «In Tv – continua Galimberti – la sostenibilità di norma non passa come un contenuto importante, mentre noi cerchiamo di renderla piacevole anche per chi cerca soprattutto intrattenimento. La sfida è quella di non parlare solo a chi è già automaticamente interessato». www.liblabsrl.it www.thevillagedocfestival.com | ANNO 13 N. 109 | MAGGIO 2013 | valori | 71 |



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Remunerazioni

La City al lavoro per ovviare al tetto sui bonus

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dal cuore della City Luca Martino

moderno stato di diritto, enormi sperequazioni e disparità sociali caratterizzano ancora i sistemi economici occidentali, forse anche più di quanto accadeva nella Roma dei Cesari o ad Atene ai tempi di Cimone e Pericle. Il World Institute for Development Economics Research – tra i più autorevoli centri studi internazionali, promotore di ricerche e analisi sulla creazione e la redistribuzione del benessere e della ricchezza nel mondo – stima che l’1% della popolazione mondiale, un club ristretto di qualche milione di persone tra i quali moltissimi banchieri, possieda circa la metà di tutte le attività materiali e finanziarie, e dei profitti che da queste derivano. Di questi tempi, ad inizio primavera, nel club si fa festa: nella City, come a Wall Street e Francoforte, vengono erogati i bonus dei bankers decisi a inizio anno sulla base, ma non solo, dei risultati finanziari dell’anno precedente. La sola Barclays, nonostante un 2012 a dir poco difficile, ha annunciato di avere a libro paga circa 500 impiegati per un impegno annuo individuale superiore al milione di sterline e di aver appena elargito bonus per ulteriori 2 miliardi di sterline. Quello che accade negli altri giganti del credito e della finanza è molto simile, tutto praticamente uguale a quanto

componente variabile della remunerazione non potrà superare il 100% dello stipendio fisso, o al massimo il 200% previo il consenso della maggioranza qualificata degli azionisti. «Abbiamo firmato il più grande pacchetto di regolamentazione del settore», ha detto il conservatore austriaco Othmar Karas, che più di altri si è speso nella mediazione con i contrariati inglesi. Un entusiasmo che suona esagerato: ci vorrebbe ben altro per correggere i difetti di un settore ancora in crisi e ancora fortemente concentrato, nel quale i 15 più grandi gruppi europei detengono più della metà di un mercato che rappresenta una volta e mezzo il Pil complessivo dei Paesi dell’area euro, un livello triplo rispetto a soli 10 anni fa. Peraltro, persa la prima battaglia, le lobby bancarie sono già al lavoro per ovviare a questa (ipotesi di) riforma: si ribilancerà la componente fissa della retribuzione, verrà aumentata la parte della componente variabile differita negli anni in cambio di un più favorevole trattamento fiscale di altri benefit e dei contributi pensionistici, si definiranno forme di remunerazione a carico delle filiali in Asia e Dubai. Un passo alla volta, almeno fino alla prossima crisi finanziaria. 

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osa possono le leggi là dove solo il denaro ha potere?», esclamava duemila anni fa Tito Petronio, che pure di mestiere faceva l’arbiter elegantiorum alla corte di Nerone. Oggi, a più di due secoli di distanza dalla Rivoluzione francese e da quella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che doveva rappresentare il fondamento del

L’Ue chiede di imporre limiti ai premi per i banchieri. Le lobby cercano già di aggirarli succedeva fino al 2007, nonostante la crisi e malgrado, nei 5 anni appena trascorsi, il costo del salvataggio delle banche a carico dei sudditi di sua maestà (che “sopravvivono” con uno stipendio lordo medio di circa 20 mila sterline annue, oltre 23 mila euro) ammonti a 350400 miliardi di sterline (400-470 miliardi di euro). Eppure, nonostante i bonus e gli indici azionari tornati ai livelli precrisi, la festa quest’anno è turbata da una notizia appena arrivata da Bruxelles: seppur con le tempistiche e le modalità usate in questi casi dalla burocrazia europea, la Commissione ha impegnato gli Stati membri a fissare un tetto ai bonus dei banchieri a partire da gennaio del prossimo anno, quindi a valere dalla primavera del 2015, quando la

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| resistenze |

Donne e uomini, imprese che si indignano, protestano, resistono alla crisi

Autoproduzioni anticrisi

Il design ai tempi della recessione hi si ribella si autoproduce», sostiene il designer Alessandro Guerriero. Si apre con questa citazione il sito di Milano Makers (www.milanomakers.com), neonata associazione senza fine di lucro che ha lo scopo di promuovere e valorizzare “produzioni non seriali e autonome nell’ambito del design”. In occasione dell’ultimo salone del mobile di Milano i lavori del collettivo Milano Makers sono stati esposti alla Fabbrica del Vapore, spazio post-industriale recuperato dal Comune. “Bla Bla” il nome della mostra, che ha messo in fila prodotti di uso comune in terracotta lavorata a mano, terra cruda, resine naturali, legno di recupero fino alle opere di Recession design, realizzate a partire da materiali e utensili “facilmente reperibili in negozi e catene per il fai da te” e realizzabili seguendo semplici istruzioni di montaggio. Parole d’ordine: autoproduzione, riuso, riciclo e, soprattutto, prossimità delle materie prime. Del resto, spiegano gli espositori di “Terra Cruda”, «la terra è viva e alla portata di tutti perché si trova proprio lì dove serve, a portata di mano, basta scavare». Basta sporcarsi le mani e le unghie, riprendere la confidenza con la materia, con il lavoro manuale. Ridonare le braccia al design e poi, eventualmente, all’agricoltura. Ora, finito il salone, i manufatti unici e originali si possono trovare in vendita sul portale Ulaola, “la boutique online del made in Italy autoprodotto”. Cuscini, orecchini, lampade, vasi, sedie, tazze, quadri, abiti, anelli, specchi, corredati da un codice QR che si può puntare con lo smartphone per capire che cosa c’è dietro: l’artista, il concetto, i materiali. Fermo restando che non ho mai visto nessuno puntare lo smartphone sui codici QR per capire alcunché, l’iniziativa sembra l’espressione di un moto di resistenza genuino, che cerca e trova spazi autonomi e autogestiti. In fuga dal paludato Salone del Mobile, lontano dalle lusinghe – e dai prezzi sempre più alti – del “fuorisalone”, Milano Makers ha esposto in uno spazio indipendente. Per partecipare bastava versare 50 euro: la quota di adesione all’associazione. Quattro soldi rispetto alle cifre che girano nei circuiti ufficiali. L’importante è che rimanga un moto di resistenza e non diventi il primo passo verso un futuro fuori-fuorisalone, preludio a un ben più preoccupante fuori-fuori-fuorisalone. L’unica consolazione è che molto probabilmente, come cantano i Nomadi, “noi non ci saremo”. 

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di Mauro Meggiolaro

Milano Makers Scopo sociale L’Associazione ha lo scopo di promuovere, sostenere, consolidare tutte le attività di carattere sociale, civile e culturale, che pongono al centro il tema delle autoproduzioni, intese come momento di affermazione sociale dei rispettivi autori. L’Associazione promuove la gestione partecipativa di spazi aggregativi e dimostrativi; reti sociali finalizzate alle autoproduzioni; accompagnamento, integrazione sociale e lavorativa attraverso l’autoproduzione di soggetti a rischio d’esclusione sociale. Soci fondatori Cesare Castelli, Duilio Forte, Nuala Good-man, Alessandro Guerriero, Maria Christina Hamel, Francesco Mendini, Franco Raggi. Contatti e link www.milanomakers.com www.ulaola.com Il rendering di uno dei progetti del collettivo Milano Makers, esposti alla Fabbrica del Vapore a Milano durante il Fuori Salone 2013

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