Mensile Valori n. 94 2011

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Anno 11 numero 94. Novembre 2011. € 4,00

valori JASON REED / REUTERS

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Dossier > Serve un nuovo modello economico: industria, fisco, energia, efficienza

Manuale anticrisi Finanza > Dopo oltre un anno la riforma della finanza Usa è ferma in un cassetto Economia solidale > Agricoltori in crisi attendono la nuova Pac, valida dal 2014 Internazionale > Non solo Libia, la Francia punta alla conquista dell’Africa Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.


r1_10.2011

Perché Perché “biodegradabili”? “biodegradabili”? Sì grazie! grazie! Cer Certificati tificati e compost compostabili. abili.

| editoriale |

Redistribuzione

Crescita di qualità di Fritjof Capra*

I

Solo i prodotti prodotti compostabili, compostabili, possono essere essere utilizzati per la raccolta raccolta differenziata diffeerenziata dell’umido perché, perché, dopo il ciclo di compostaggio, compostaggio, si trasformano terra. trasffor o mano in humus per la terra. Per compostabile Per esempio esempio i sacchetti sacchetti in bioplastica compostabile sono europea no conformi conffor o mi a una norma norma europea recepita recepita in Italia Italia come UNI EN 13432 che che trovi trovi indicata indicata sul sacchetto. sacchetto. Il mondo ndo si può cambiare cambiare anche anche partendo partendo dai piccoli gesti: esigi i prodotti odotti compostabili. compostabili.

L’AUTORE

COMPOSTABILE

EcoComunicazione.it oComunicazione it oComunicazione.it

UNI EN 13432

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Fritjof Capra, Nato nel 1939 a Vienna. È un fisico e saggista austriaco. Vive negli Stati Uniti ed è docente all’università di Berkley, dove ha fondato il Center for Ecoliteracy, un’organizzazione non profit dedicata all’educazione al vivere sostenibile. È stato anche consulente del ministero dell’Ambiente in Brasile per l’alfabetizzazione ecologica. Tra i suoi scritti più famosi, “Il Tao della fisica”, nel 1975. www.ecoliteracy.org www.fritjofcapra.net

PRINCIPALI PROBLEMI del nostro tempo sono interconnessi tra loro: povertà, riscaldamento globale, energia,

terrorismo, salute. Lester Brown lo dimostra nel suo libro, Piano B, da cui ho estrapolato uno ad uno tutti i problemi citati, disegnando una mappa, da cui ho evidenziato le interconnessioni. Ho quindi cercato di seguire a ritroso i legami e sono giunto alla conclusione che, all’origine della rete di problemi della nostra società, c’è l’illusione di una crescita economica illimitata. Il modello economico basato su tale crescita illimitata ha bisogno di essere alimentato da un continuo aumento dei consumi e, quindi, dello sfruttamento delle risorse; da un’economia del “buttare via” (e non del riciclo), che produce un’enorme quantità di sprechi. Si basa sul consumo di combustibili fossili, che provoca il problema dell’approvvigionamento energetico e del riscaldamento globale. Dunque, tutti problemi legati tra loro. Mi sono quindi chiesto quale potesse essere la soluzione e ho realizzato che dobbiamo interrompere questa crescita economica. C’è chi pensa a una crescita negativa: in Italia si parla di “decrescita”, ma non credo che sia la soluzione. La crescita è un aspetto essenziale della vita biologica, caratterizza tutti gli organismi viventi, ma non tutto cresce contemporaneamente e continuamente. Un organismo, per esempio un bambino o una giovane pianta, attraversa una fase di crescita, ma, raggiunta una certa maturità, cessa la crescita esteriore e ne inizia una in termini di maturità: un aumento della complessità. È la crescita qualitativa. Lo stesso principio si può applicare all’economia: come in natura, alcuni settori crescono, altri declinano e scompaiono. Altri ancora devono essere convertiti a nuove attività produttive. Ciò che “muore” può essere riciclato e usato come nutrimento per una nuova crescita, come le foglie che cadono e diventano humus per altri alberi. Una leva fondamentale per spingere questa “selezione naturale” è la tassazione. È necessario un sistema fiscale ecologico, che, da un lato, tassi le attività produttive dagli elevati costi ambientali e sociali e, dall’altro, detassi il lavoro. Non deve avvenire un aumento delle imposte, ma una redistribuzione del peso fiscale. I settori destinati a terminare la loro vita saranno espulsi o auto-espulsi: dal cessare della convenienza economica delle loro attività (soprattutto con un sistema di tassazione ecologico); dalla regolamentazione (che dovrà vietare alcune attività); dalla ricerca di vantaggi economici nell’agire ecologico. Uno dei settori che dovrebbe essere ridimensionato è quello finanziario, cresciuto negli ultimi anni in modo incontenibile. Wall Street ha convinto la Casa Bianca, con Bush e poi con Obama, che le banche sono al centro dell’economia. Invece devono tornare ad avere un ruolo ausiliario rispetto all’impresa. L’equilibrio ecologico richiede anche equità sociale: la fame non porta a produrre cibo in modo ecologico, ma solo economico. Per avere equità sociale non basta ambire alla crescita qualitativa, è necessaria una redistribuzione della ricchezza, grazie a un’adeguata politica sociale da parte dello Stato. Servono interventi pubblici a sostegno dei più poveri. Robert Reich, economista statunitense, segretario al Lavoro per l’amministrazione Clinton, sostiene che i governi, tanto democratici quanto repubblicani, hanno sistematicamente trasferito ricchezza dai poveri, riducendo i servizi sciali, ai ricchi, con sussidi e tagli fiscali. Ma aumentare la ricchezza dei ricchi non aiuta l’economia di un Paese, perché quei soldi non verranno spesi, ma investiti. In questo modo ci sono sempre meno fondi in circolazione, si comprano meno beni e aumenta la disoccupazione. Un esempio opposto, di trasferimento di denaro dai ricchi ai poveri, arriva dal Brasile. Durante la sua presidenza, Lula, anche grazie a un programma di distribuzione di denaro ai poveri, la Bolsa Familia, è riuscito a dimezzare la percentuale di povertà estrema nel suo Paese e a rafforzarne l’economia. L’Europa purtroppo sta adottando il modello americano. È la cosa più sbagliata che possa fare. Di fronte alla crisi bisogna redistribuire la ricchezza: dai ricchi ai poveri, dalle banche alle imprese.

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* Frutto di un’intervista di Elisabetta Tramonto a Fritjof Capra, a Milano lo scorso 5 ottobre, al termine del “20° Europa Symposium di Bioarchitettura, vertice europeo del costruire ecologico verso l’era solare”. www.bioarchitettura.org |

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Il presidente americano Barack Obama arriva ad Asheville, nel North Carolina, lo scorso 17 ottobre, per promuovere la manovra volta a favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. Una questione che sarà al centro della prossima campagna elettorale.

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anno 11 numero 94 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005

globalvision

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dossier Economia anno zero Cambiare marcia non serve: cambiamo strada Intervista a Guido Viale: «Ecco come possiamo rivoluzionare il modello di sviluppo» Riconversione verde. Inizia un nuovo ciclo economico I vantaggi (palesi e occulti) di investire in efficienza Tassare il danno. Premiare la virtù

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Ritorno sulla terra Una Politica agricola per i piccoli coltivatori Carne bovina, un settore a rischio “default” Urge una filiera che premi la qualità Intervista a Walter Ganapini: «Sostenibilità è vivere oggi con un occhio sul domani» Dall’energia all’economia. Le vie dell’alternativa

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finanzaetica Dodd-Frank. Uno spettro si aggira per l’America Tassa sulle transazioni finanziarie, l’ora della verità Francia: la mappa degli enti locali sommersi dai prestiti tossici L’Europa scommette sull’impresa sociale

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internazionale La mia Africa. Neocolonialismo in salsa francese Safari d’impresa da Parigi al Continente africano Egitto, il rischio che il futuro sia uguale al passato Nicaragua. Sempre e solo Daniel Ortega Cile, capolavoro liberista

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Anno 11 numero 94. Novembre 2011. € 4,00

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valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Anno 11 numero 94. Novembre 2011. € 4,00

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portamenti e le strategie di business dell’industria finanziaria internazionale. Le banche hanno ripreso a fare ciò che facevano prima della crisi subprime e, quel che è peggio, sembra che non sappiano fare altro. Il perseguimento a qualunque costo, vale a dire con qualunque rischio, del massimo profitto a breve termine per i propri azionisti rimane il loro unico dogma.

Dexia: 10 miliardi di aiuti

Dossier > Serve un nuovo modello economico: industria, fisco, energia, efficienza

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Manuale anticrisi

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Finanza > Dopo oltre un anno la riforma della finanza Usa è ferma in un cassetto Economia solidale > Agricoltori in crisi attendono la nuova Pac, valida dal 2014 Internazionale > Non solo Libia, la Francia punta alla conquista dell’Africa

Finanza > Dopo oltre un anno la riforma della finanza Usa è ferma in un cassetto Economia solidale > Agricoltori in crisi attendono la nuova Pac, valida dal 2014 Internazionale > Non solo Libia, la Francia punta alla conquista dell’Africa

Finanza > Dopo oltre un anno la riforma della finanza Usa è ferma in un cassetto Economia solidale > Agricoltori in crisi attendono la nuova Pac, valida dal 2014 Internazionale > Non solo Libia, la Francia punta alla conquista dell’Africa

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di forte rallentamento dell’economia internazionale, la crisi bancaria, almeno nell’area euro, è ancora il tema più scottante dell’attualità economica. Un tema già rilevante in sé (gli attivi delle prime due banche di ciascun Paese europeo superano la ricchezza nazionale) assume ulteriore importanza in quanto si intreccia con la crisi irrisolta, almeno dalla primavera 2010, dei debiti sovrani. I titoli dei Paesi “a rischio” costituiscono, infatti, una quota non indifferente del patrimonio delle banche. La dimensione e la complessità del problema è tale che non è possibile immaginare una soluzione rapida e indolore. Nonostante queste criticità è sconfortante verificare che nulla è cambiato riguardo i comENTRE CONTINUANO I SEGNALI

TOMASO MARCOLLA

Fai un pacco alla camorra

ministratori in quanto deriva dal clamoroso squilibrio fra gli investimenti a lungo termine e le coperture a breve degli stessi e, più in generale, per le dissennate strategie di sviluppo perseguite da questo gruppo bancario nella sua relativamente breve vita.

Crisi di fiducia

Emblematico a questo proposito è il “caso Dexia”, che rappresenta il primo fallimento bancario sul territorio europeo dalla crisi Lehman in poi. Si tratta, infatti, di una banca già salvata nel settembre 2008 grazie a una ricapitalizzazione di 6,4 miliardi di euro e che ora deve essere nazionalizzata (almeno nel suo ramo belga) con un costo ulteriore di almeno 4 miliardi, ancora una a basso rating (titoli di stato greci). volta a carico della autorità pubblica e Ma la vicenda Dexia non è spiegabile quindi, in definitiva, del contribuente. In solo con la forte esposizione di tale banca tre anni i dirigenti di quella banca non so“ai rischi sovrani” recentemente emersi. Il no stati in grado di “smontare” quel porfallimento chiama in causa gli attuali amtafoglio di titoli tossici, pari a 95 miliardi di euro (circa il 20% Finora il corto circuito è stato dell’attivo!), in cui si sono mievitato grazie agli interventi schiati “vecchi” mutui subpridella Bce. Ma questi non me e “nuovi” bond governativi potranno proseguire all’infinito |

Purtroppo, in un’ottica macroeconomica, la vicenda che ha coinvolto la banca franco-belga non può che far esplodere la già latente crisi di fiducia presente sui mercati. Il rischio è un nuovo blocco, come nel 2007-2008, del mercato interbancario, ossia una crisi di liquidità che finirà per colpire i finanziamenti agli investimenti, in definitiva la ripresa dell’economia reale. Finora il corto circuito è stato evitato grazie ai ripetuti interventi della Bce. Ma questi non potranno proseguire all’infinito proprio come la pazienza degli indignados di tutto il mondo di fronte alla reiterata irresponsabilità economico-sociale dei mercati finanziari.

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Obiettivo “prato verde”, ovvero la conclusione della bonifica, in vista: entro il 2025 lo smantellamento degli ultimi siti atomici italiani dovrebbe giungere al termine. Al costo di 4,8 miliardi di euro per il decommissioning vero e proprio (1,7 mld per lo smantellamento delle centrali, 0,9 mld per il riprocessamento del combustibile, 1,4 mld per il mantenimento in sicurezza degli impianti, 0,8 mld per il conferimento a deposito dei manufatti condizionati) e di altri 2,5 miliardi destinati a Deposito nazionale e Parco tecnologico. Questo dice la Sogin (società pubblica di Enel preposta allo scopo), che ha presentato il Piano industriale 2011-2015 dichiarando di aver avviato le operazioni di trasferimento da Saluggia in Francia dell'ultimo 2% di combustibile irraggiato presente in Italia. Finalmente. Dopo anni di accantonamento di denaro ricavato dalle bollette elettriche, controversie sulla società pubblica e il suo precedente gruppo dirigente, tensioni per la frettolosa designazione del sito di Scanzano Jonico come sede del deposito nazionale e dopo l’ultimo referendum. Nei prossimi 4 anni le demolizioni delle parti convenzionali degli impianti in decommissioning (cioè in via di smantellamento) ed entro l'anno la decontaminazione dell’impianto Fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo, il primo a raggiungere il “fine lavori”; poi toccherà a Trino Vercellese e via via a Garigliano, Rotondella, Casaccia e Caorso (nella foto la turbina in fase di dismissione). Resta la questione della localizzazione, realizzazione e gestione del Deposito nazionale, che dovrà accogliere in via definitiva circa 80 mila metri cubi di rifiuti radioattivi di bassa e media attività (più altri 500 metri cubi l’anno, derivanti per il 70% dagli impianti nucleari in dismissione e per il restante 30% dalle attività di medicina nucleare, industriali e della ricerca) e custodire temporaneamente 12.500 metri cubi di rifiuti di alta attività. [C.F.] | 8 | valori |

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ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

Nucleare 7,3 miliardi di euro per chiudere il capitolo in Italia

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Si è aperto lo scorso 11 ottobre, a New York, il processo a carico di Viktor Bout, l’ex maggiore dei servizi segreti russi arrestato tre anni or sono a Bangkok, Thailandia, con l’accusa di traffico illegale di armi (e in seguito anche di riciclaggio). Una tappa fondamentale nell’ambito di un’operazione che ha creato forte tensione diplomatica tra Mosca e Washington. Ma anche, e soprattutto, l’inizio della definitiva resa dei conti per colui che i giornalisti Stephen Braun e Douglas Farah – autori nel 2007 di un noto best seller – non avevano esitato a descrivere come il più grande “mercante di morte” del mondo. Nato a Dushanbe (Urss, odierno Tajikistan), nel 1967, Bout aveva saputo dare una svolta alla sua carriera già all’età di 26 anni quando, forte delle conoscenze accumulate, aveva potuto dare il via a uno dei più clamorosi affari di tutti i tempi: la dismissione dell’immenso, e ormai largamente inutile, arsenale sovietico. Per 15 anni, ha sostenuto l’Onu, l’ex agente del Kgb sarebbe diventato il minimo comune denominatore di qualsiasi conflitto armato post guerra fredda, violando ogni genere di embargo Onu in almeno tre continenti. Tra i suoi clienti, l’ex presidente della Liberia Charles Taylor e i leader del Ruf (la milizia ribelle della Sierra Leone), ma anche l’esercito degli Stati Uniti (di cui una sua società apparentemente legale era stata contractor) e i narcoterroristi colombiani delle Farc EP. Ed era stato proprio in occasione di una trattativa con questi ultimi che Bout si era ritrovato in trappola nel marzo del 2008, quando gli agenti della Dea, l’agenzia antidroga statunitense, lo avevano catturato nella capitale thailandese. Le autorità di Bangkok avevano concesso l’estradizione negli Usa circa un anno e mezzo più tardi con un verdetto definito “illegale” dal governo russo. [M.CAV.] | 10 | valori |

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SUKREE SUKPLANG / REUTERS

Traffico di armi New York, inizia il processo al “mercante di morte”

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I charity shop iniziano a prendere piede anche in Italia con l'inaugurazione, lo scorso 13 ottobre, del Good Shop di Coopi a Milano (nella foto). Si tratta di punti vendita che offrono a un prezzo “equo” capi d'abbigliamento e oggetti donati da aziende e case di moda, ma anche semplicemente da chi si vuole liberare in modo “solidale” degli abiti in disuso che ingombrano gli armadi. In Italia questo è uno dei primi esperimenti, ma altrove i charity shop sono una realtà radicata. Negli Usa Goodwill Industries conta 2.235 negozi e ne ricava 2,69 miliardi di dollari l'anno; ma non mancano realtà più piccole come Arc Thrift Stores (che con 19 punti vendita dà lavoro a 800 persone) e le associazioni religiose. Ma a fare da protagonista è il Regno Unito. Il primo charity shop della storia nasce proprio nella Londra bombardata dai nazisti, nel 1941, per iniziativa della Croce rossa. Oxfam arriva sette anni dopo e ora gestisce 700 dei circa 9 mila shop diffusi fra Gran Bretagna e Irlanda. Ogni settimana quasi due milioni di famiglie d'Oltremanica regalano a questi negozi i prodotti inutilizzati: arrivando a 363 mila tonnellate di capi d'abbigliamento e 20 mila di libri all'anno. Oltre a cd, dvd, giocattoli e mobili. E i 140 nuovi shop che hanno aperto i battenti dimostrano come si tratti di un settore che non patisce la crisi: anzi, aiuta ad affrontarla, visto che i prezzi sono inferiori rispetto ai punti vendita tradizionali. Per le 75 associazioni britanniche intervistate dalla Charity Shop Survey 2011, i profitti complessivi (che finanziano progetti di cooperazione) sono saliti del 12% rispetto al 2010, arrivando a 153,1 milioni di sterline. Senza contare, poi, che riutilizzare gli oggetti non ha alcun impatto ambientale: per ogni chilo di vestiti si evita la produzione di 29 kg di CO2 rispetto a quelli che sarebbero necessari per il riciclo e di 33 kg rispetto allo smaltimento. Il risultato è che ogni anno i charity shop inglesi evitano l'immissione nell'atmosfera di circa 6,3 milioni di tonnellate di CO2. [V.N.] | 12 | valori |

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UGO PANELLA

Solidarietà I Charity Shop approdano a Milano

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dossier

SEAN GARDNER / REUTERS

a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Emanuele Isonio

Cambiare marcia non serve: cambiamo strada >16 Viale: «Ecco come rivoluzionare il modello» >18 Riconversione verde. Inizia un nuovo ciclo economico >20 I vantaggi di investire in efficienza >22 Tassare il danno, premiare la virtù >24

Un bambino gioca a Long Beach, nel Mississipi. È il 12 maggio del 2010: la costa da tre settimane è minacciata dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico. Uno dei tanti “effetti collaterali” di un modello di sviluppo insostenibile.

Crisi di sistema

Economia anno zero

È inutile continuare a sostenere un modello che ha dimostrato di non saper produrre benessere Serve un cambiamento di paradigma. Industria, fisco, edilizia, agricoltura: ecco cosa si può fare | 14 | valori |

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| dossier | Inversione di rotta |

VERSO IL DISASTRO CON L’ATTUALE MODELLO DI “SVILUPPO”

VERSO IL PROGRESSO CON UN CAMBIO DEI SISTEMI PRODUTTIVI

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delle crisi” degli ultimi anni: dal crack delle Borse del 1987 a quello delle casse di risparmio negli Usa un anno più tardi. E ancora la crisi La crisi attuale non è passeggera: è il modello di sviluppo che ha fallito. Ma il cambiamento è a portata di mano: occorre redistribuire, perseguire il benessere, adottare una fiscalità ecologica. E rifondare l’industria

giapponese, l’affondamento dello Sme, il Messico, la Russia, la bolla di internet, l’Argentina e infine l’ultima crisi dei “subprime”. A ciò va aggiunto il fatto che neppure la prosperità che il capitalismo ha concesso a pochi fortunati ha potuto incidere su fattori fondamentali come l’aspettativa di vita: da 5 mila a 50 mila dollari di Pil pro capite si vive comunque, in media,

DAL COSTA RICA ALLA NORVEGIA, LA SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA NON CAMBIA

Speranza di vita alla nascita (anni)

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Costa Rica Cile

Malta

Nuova Zelanda Bahrain

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Islanda Irlanda Norvegia Regno Unito Stati Uniti

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Federazione Russa Gabon Sud Africa Botswana

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REGNO UNITO

USA

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68,8 67,5 67,3

ITALIA

sorse naturali e alla produzione di rifiuti; prezzi che comprendano l’impronta ecologica; incentivi alla produzione di beni durevoli e riparabili; campagne di informazione per premiare i prodotti di qualità; un uso più efficiente delle riserve naturali; filiere imperniate su produzioni locali. In poche parole: far sì che il sistema si metta al servizio delle reali esigenze dell’umanità, e non il contrario, come accaduto finora.

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negatività irripetibili. Lo conferma un brevissimo ripasso di “storia

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tratta né di una sfortunata coincidenza, né dell’azione congiunta di

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70,3 66,2 67,2

Sulle spalle di ciascuno di noi. E la crisi è diventata sociale. Ma non si

70

50,8

colpito i debiti sovrani, costretto i governi a manovre d’emergenza.

80

63,6 61,7 57,7

esplosa nel 2008 negli Usa ha in breve contagiato l’economia reale,

2015

2010

Pil pro capite Emissioni effetto serra

1995

83,8 76,9 77,0

materiale infinita si è rivelata una chimera. La crisi finanziaria

lo stesso numero di anni (vedi GRAFICO ). Mentre il rapporto tra salari reali e Pil dal 1995 al 2007 - quindi prima della crisi del 2008 - è sceso ovunque nel mondo (ad eccezione dell’India, vedi GRAFICO ). “La ragione più profonda di tali storture – spiega Jean-Paul Allétru presentando il libro Sortir de la Crise (Attac France) – è nello scarto crescente tra i bisogni sociali dell’umanità e i criteri propri del capitalismo”. Il corto circuito è scattato quando il sistema non ha avuto più la capacità di autoalimentarsi: il teorema di Schmidt, secondo cui “i profitti di oggi sono gli investimenti di domani e i posti di lavoro di dopodomani”, è imploso. Una massa crescente di ricavi non è stata investita, bensì distribuita sotto forma di rendite finanziarie. Da ciò discende l’esigenza di un cambiamento. Radicale. Anche perché un modello alternativo di sviluppo (e non di crescita), di perseguimento del benessere (e non del Pil) esiste.

2005

Rapporto debito/Pil

90

39,7

P

iaccia o no, siamo alla fine di un’epoca: l’idea di una crescita

Disoccupazione Povertà

2035

ANDAMENTO DEI SALARI IN RAPPORTO AL PIL

52,3 51,9

di Andrea Barolini ed Emanuele Isonio

FONTE: EXITING FROM THE CRISIS: TOWARDS A MODEL OF MORE EQUITABLE AND SUSTAINABLE GROWTH, EUROPEAN TRADE UNION INSTITUTE (ETUI), 2011

Pil pro capite Emissioni effetto serra

2030

2025

2020

2015

67,2 75,0 74,1

Cambiare marcia non serve: cambiamo strada

FONTE: VICTOR, P. 2008 MANAGING WITHOUT GROWTH: SLOWER BY DESIGN NOT DISASTER. EDWARD ELGAR

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20 10 0 CINA

COREA

GIAPPONE

INDIA

CANADA

l’1% della popolazione si è intascato il 75% dell’aumento del Pil, la classe media ha perso potere d’acquisto compensandolo con l’indebitamento, il che ha condotto alla bolla finanziaria del 2007». Analisi confermata anche da Jean Paul Fitoussi: «Quando la gente non ha i mezzi per consumare, diminuisce l’acquisto di beni e servizi. Così vengono abbassati i tassi. E i privati s’indebitano».

Primo: redistribuire

Dalla quantità alla qualità

“Dobbiamo partire da una grande fase di redistribuzione della ricchezza, rompendo la logica del capitalismo finanziario”, ricorda Allétru. “Anche a costo di alimentare un po’ di inflazione”, aggiunge l’economista Roberto Romano. Redistribuire per ridurre i divari economici e consentire al sistema di ripartire: in Italia – fonte Bankitalia – il 10% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza (mentre la metà degli italiani gode di meno del 10% della ricchezza). Un circolo vizioso: «Negli ultimi vent’anni – spiega l’economista Loretta Napoleoni –

Una redistribuzione dunque serve. Ma, da sola, non basta. «Dobbiamo indirizzarci verso un’economia qualitativa anziché quantitativa», suggerisce Domenico Sturabotti, direttore di Symbola. La produzione di massa, infatti, ha dimostrato di incontrare una domanda ormai satura: “Se utilizziamo la curva ad ‘S’ di Schumpeter, possiamo intuire come sia stato raggiunto il picco: ora le opportunità di crescita delle imprese si contraggono”, spiega Romano in un documento intitolato Studiare lo sviluppo per uscire dalla crisi. Per questo oc-

FRANCIA

GERMANIA

BRASILE

Una riconversione epocale

corre abbandonare la speranza di rilanciare i rami morti dell’economia. «In Italia esistono aziende destinate al declino. Come può pensare la Fiat di rilanciarsi con i Suv?», si domanda l’economista Guido Viale (vedi INTERVISTA a pag.18).

Per l’industria, dunque, serve un epocale piano di riconversione. Agevolato, magari, da nuove regole fiscali che orientino in senso sostenibile le scelte di consumatori e produttori. E altrettanto dovrà fare la finanza, che da pericolo dovrà diventare risorsa per le economie reali. Ancora, si potrebbero liberare risorse virtuose da settori che, nell’ottica di una riconversione, risulterebbero straordinari volani di sviluppo e benessere. L’immobiliare, ad esempio, disincentivando il consumo di suolo in favore di una grande opera di ristrutturazione finalizzata al risparmio e all’efficienza energetica (i consumi di un edificio di classe A sono 12 volte inferiori a quelli di una casa di classe G). Una manna dal cielo per un Paese come il nostro, in cui un edificio su due ha più di 40 anni e un altro 30% è stato costruito tra il ‘70 e il ‘90. Oppure l’agricoltura, superando la logica dello sfruttamento intensivo, scegliendo le colture locali e la tutela della biodiversità. «In Europa abbiamo le più alte importazioni nette al mon-

Progredire senza necessariamente crescere Già nel 2008, Peter Victor, economista della York University di Toronto, aveva previsto (nel suo Managing without growth) che l’attuale modello di “sviluppo” sarebbe andato in tilt. Secondo la sua analisi, riferita al Canada, ma valida per molte realtà occidentali (vedi GRAFICO ), a fronte di un Pil ormai stabile, entro il 2025 i livelli di disoccupazione triplicheranno rispetto a quelli del 2005. Seguiti, dieci anni dopo, dai tassi di povertà. Per invertire la rotta Victor propone un cambio radicale dei sistemi produttivi. Una ricetta costruita con molti ingredienti: nuovi criteri di misurazione del progresso; riduzione delle disuguaglianze; diminuzione dell’orario di lavoro; limiti all’uso di ri-

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| dossier | Inversione di rotta |

do di risorse per persona», denunciava settimane fa alla Conferenza Green Market di Berlino il commissario europeo all’Ambiente, Janez Potočnik. «Entro il 2050, la domanda di cibo, mangimi e fibre dovrebbe aumentare del 70%. Eppure il 60% degli

ecosistemi alla base di queste risorse sono attualmente degradati». E ancora: riqualificazione del territorio, chimica verde, energie sostenibili, mobilità ecologica. E, perché no, sulla cultura: in Italia – dati Mibac – abbiamo 20mila centri

storici, 45 mila castelli e giardini, 30 mila dimore storiche, 100 mila chiese, duemila siti archeologici, 3.500 musei, centinaia di biblioteche ed archivi. Siamo sicuri che da una loro adeguata valorizzazione tireremmo fuori solo gli spiccioli?

L’economista e scrittore Guido Viale alla ventesima Fiera internazionale del Libro di Torino, in una foto del maggio del 2007.

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Viale: «Ecco come possiamo rivoluzionare il modello di sviluppo»

poi questo comportasse, ad esempio, una riduzione dei redditi monetari, ma con un contemporaneo miglioramento delle condizioni di vita e del benessere, allora il cambiamento funzionerebbe.

L’economista Guido Viale: «Serve una grande riconversione. Via i rami secchi: così risparmiamo per redistribuire.

Gli ammortizzatori costano cari... Ma potremmo finanziarli proprio tagliando i trasferimenti agli anelli morti. E colpendo i grandi patrimoni, lottando contro l’evasione.

di Andrea Barolini Qualsiasi speranza di ritornare alla crescita nel breve periodo è inimmaginabile. Stiamo entrando in fase di deflazione e recessione, in particolare in Italia, visti i nostri impedimenti strutturali.

G

Ora, però, è inevitabile concentrarsi sull’emergenza-debito.. E invece si tratta di un errore: tutte le operazioni finalizzate al pareggio di bilancio sono votate all’insuccesso. Hanno il solo effetto di

Fino ad ora le manovre anti-crisi sono state per lo più un tentativo di rianimare il sistema. Benzina in un modello che, però, è sempre più in discussione.

FACCIAMO IL PRIMO PASSO: EDUCHIAMOCI UN CAMBIAMENTO STRUTTURALE del nostro modello di sviluppo non potrà essere effettuato senza un drastico ripensamento dei nostri stili di vita. Di più: non ci sarà un nuovo corso se ciascuno di noi non comincerà a vedere il mondo da un altro punto di vista. Dimenticando, ad esempio, gli sprechi del consumismo sfrenato e la ricerca ossessiva del profitto. Sarà necessaria, dunque, una gigantesca campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Questo nell’immediato. Nel medio-lungo periodo, occorrerà educare le giovani generazioni, che potranno così trovarsi preparate di fronte al nuovo corso. Lo hanno compreso appieno in Svezia, Paese storicamente non nuovo ad accelerazioni lungimiranti. Karl-Henrik Robèrt, oncologo, da anni ha fondato l’organizzazione non profit “The Natural Step”, con l’eloquente slogan Educating a nation. Presentando il suo progetto, nel 1989, Robèrt utilizzò queste parole: «Immaginate il seguito: gli scienziati di un’intera nazione comprendono i problemi del nostro ambiente. Il Capo di Stato li appoggia. Viene adottata una strategia educativa per insegnare a ciascun adulto e a ciascuno studente le basi del vivere sostenibile. Poi artisti e celebrità vanno in televisione a promuovere e celebrare la nascita del nuovo progetto nazionale di riorganizzazione del nostro modo di vivere». Ventidue anni dopo, The Natural Step (www.naturalstep.org) è diventato un punto di riferimento internazionale: presente in 11 Paesi, lavora insieme a compagnie private, enti pubblici, istituti accademici e Ong in tutto il mondo. Spiegando che un modello di sviluppo sostenibile può portare nuove opportunità, ridurre i costi e, soprattutto, gli impatti ambientali e sociali. Un lavoro gigantesco, che ha fruttato riconoscimenti come il Blue Planet Award nel 2000 (considerato il “Premio Nobel per l’Ambiente”). E anche in Italia ci si muove: proprio nei giorni scorsi è stata avviata la nuova edizione del progetto “Scuole per Kyoto – Pratiche di sostenibilità: dalla scuola al condominio”, promossa dal Kyoto Club, per spiegare agli studenti le vie di un’economia efficiente e rispettosa dell’ambiente (www.scuoleperkyoto.it). A. Bar.

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impoverire le classi lavoratrici, i pensionati, le amministrazioni locali e quelle imprese virtuose che avrebbero bisogno di sostegno.

I grandi capitali fuggirebbero. Forse. Ma quelli immobiliari non possono scappare.

Cosa servirebbe quindi? Per Paesi come l’Italia c’è un’unica via: un default controllato. Che, certamente, dev’essere selettivo, differenziando la riduzione dei rimborsi. Sarebbe la fine dell’euro? Alcuni economisti associano il fallimento all’uscita dalla moneta unica. Io non credo che sarebbe necessario. Ma un default, anche parziale, farebbe crollare il settore finanziario. Di certo le banche sarebbero le più esposte. Per questo l’Ue dovrebbe adottare misure di sostegno. Questo nell’immediato. Nel medio termine invece? Dobbiamo riconvertire l’economia. Partendo dal basso. Esistono realtà che oggi sono ancora piccole, ma che in futuro saranno il perno di tale trasformazione: i comitati territoriali, le organizzazioni dei lavoratori, il terzo settore. Si dovranno tagliare molti “rami secchi”. Esistono produzioni costosissime che non rendono nulla in termini di benessere. Pensiamo all’industria delle armi, che non dà nulla alla popolazione, contribuisce ad alimentare

Quali altri potranno essere i volani del nuovo sviluppo? Innanzitutto l’agricoltura, promuovendo i prodotti a km zero, che hanno potenzialità di impiego anche a brevissimo termine. Poi si dovrà puntare sulla manutenzione del territorio: potenziando le competenze, che oggi sono invece impegnate in grandi opere di dissesto del territorio, a partire dalla Tav. Infine l’edilizia: potremmo rimettere in sesto un patrimonio gigantesco di edifici pubblici, a cominciare dalla scuole.

TANIA / A3 / CONTRASTO

UIDO VIALE, ECONOMISTA e scrittore, autore di La conversione ecologica - There is no alternative, è convinto che l’attuale modello sia destinato inevitabilmente a morire. E disegna un’alternativa.

le guerre nel mondo e, in più, nel caso italiano è attraversata da ogni forma di corruzione. Ma anche l’automotive è spacciato: c’è una sovracapacità produttiva che non può durare nel lungo periodo. Dunque è inutile tentare di rilanciare un’azienda come la Fiat? Parliamo di riconversione e la Fiat punta sui Suv energivori e inquinanti. E chiude l’unica azienda che produce autobus per il trasporto pubblico, la Irisbus di Valle Ufita. È una politica insostenibile. Se la Fiat è spacciata, che ne sarà degli operai? L’intero settore potrebbe puntare sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Utilizzando la forza lavoro per produrre rotori per pale eoli-

che o componenti per impianti di micro e macro generazione. E poi pannelli fotovoltaici. Tutte strutture che l’Italia compra dall’estero.

Non c’è il rischio che fondi hedge e banche d’affari si gettino sui nuovi business? Il rischio c’è se si vendono i servizi pubblici nazionali e locali a imprese estere che perseguono solo il profitto. Occorre invece che le comunità territoriali possano disporre di tali strumenti di politica economica.

Giusto. Ma come convinciamo le persone a fare a meno dell’auto? Serve una grande campagna di sensibilizzazione, si tratta del principale impegno che dovranno assumere le forze sociali. Occorrerà investire moltissimo anche sulla formazione. È un passaggio fondamentale, certamente.

Eppure numerosi economisti parlano di rilancio dell’attuale sistema. Come se lo spiega? Il problema è che, nel mondo politico come tra gli economisti, c’è una gigantesca crisi culturale. Oggi il liberismo permea la stragrande maggioranza del pensiero. Ma è solo questione di tempo.

Sì, ma nell’immediato cosa si risponde alle probabili contrazioni occupazionali? Serviranno ammortizzatori sociali, redditi di cittadinanza: un grande piano di sostegno. Se

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FONTE: A. MADDISON

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| dossier | Inversione di rotta |

PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO (PIL/ORE LAVORATE) 1870-1996 1870

IN 12 PAESI EUROPEI: AUSTRIA, BELGIO DANIMARCA, FINLANDIA, FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, OLANDA, NORVEGIA, SVEZIA, SVIZZERA, GRAN BRETAGNA

+1,58%

1913 1950

CRESCITA DEL PIL PRO CAPITE A PREZZI COSTANTI (1820-1996)

+3,07% +5,86%

1820 - 1870

0,9

1870 - 1913

0,9

1913 - 1950

1973

+ 16,47%

1996

MEDIA ARITMETICA

1973 - 1996

LO SCORSO GIUGNO il settimanale The Nation, rivista dell’area liberale e socialista-riformista statunitense, ha posto a 16 intellettuali e attivisti la domanda “Come reimmaginare il capitalismo?”. Le risposte sono state pubblicate sul giornale on line e vanno dalla tassazione sulle speculazioni finanziarie alla partecipazione azionaria dei dipendenti alla piena occupazione garantita dal pubblico. Poi si è aperto il sondaggio ai lettori, che hanno mandato i loro commenti mostrando di essere più disposti a tagliare i ponti con il capitalismo piuttosto che a riformarlo in senso “inclusivo” o democratico. Nei post mandati a The Nation la transnazionalità della crisi è evidente: le critiche e le preoccupazioni dei lettori statunitensi potrebbero essere state scritte da quest’altra parte dell’Atlantico. Uguale anche la mancanza di rappresentatività dei ceti medi negli organi decisionali. William Greider, opinionista di The Nation, commenta che le idee (intelligenti) e le proposte (concrete) – non trovano nessuno schieramento politico disposto a farsene carico, perché i repubblicani sono troppo persi in un’idea di semplificazione e riduzione del governo. Mentre i democratici insistono su una regolamentazione che serva a riparare quello che si è rotto, ignorando che proprio le regole hanno generato la catastrofe. http://www.thenation.com/article/161267/reimaginingcapitalism-bold-ideas-new-economy Pa. Bai.

IN 12 PAESI EUROPEI: AUSTRIA, BELGIO DANIMARCA, FINLANDIA, FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, OLANDA, NORVEGIA, SVEZIA, SVIZZERA, GRAN BRETAGNA

0,7

1950 - 1973 + 26,74%

IL CAPITALISMO NON È RIFORMABILE. PAROLA DI THE NATION

TASSO MEDIO COMPOSTO ANNUO DI CRESCITA

5,2 2,3

Riconversione verde Inizia un nuovo ciclo economico La green economy può offrire una possibilità di uscita dalla crisi, se assieme al cambio di produzioni si immagina un’alternativa in cui la tecnologia sia un bene pubblico e un fattore di benessere sociale.

Recuperando il protagonismo dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Ma l’Italia è parecchio in ritardo. ve regole per l’impresa privata che regolamentano e facilitano l’accesso ai capitali di investimento, il pubblico si impegna a incoA NATIONAL DEVELOPMENT AND raggiare le imprese e i capitali privati a partereform commission, organismo cipare alla ricerca e ai programmi nazionali di di programmazione economica industrializzazione. Dimostrando chiaracinese sotto il controllo del Consiglio di Stamente che la Cina vuole essere la “fabbrica to, il 23 luglio ha annunciato un piano quindel mondo” non solo per le produzioni a basquennale in dieci punti, contenente misure so costo, ma in settori ad alto valore aggiunper incoraggiare le imprese private a investito, dove intende affermare la leadership nelre nei settori emergenti della green economy. Si l’innovazione. parla di risparmio energetico, nuove tecnoloDue mesi dopo in Italia sono gli imprengie dell’informazione, biotecnologie, produditori a dettare le regole al governo: cinque zione di attrezzature di fascia alta, energie rinpunti in cui Confindustria chiede la svendita novabili, nuovi materiali, produzione di dei beni pubblici, meno controllo pubblico veicoli ad energia alternativa. Assieme a nuonel privato, la riduzione (anche retroattiva) delle pensioni, granTRE GENERAZIONI DI FER: di opere e nuove privatizzazioni. FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI Visti i risultati economici delFer I: la Cina, non saremo “leggertecnologie consolidate e disponibili per lo sfruttamento come la geotermia ad alta e media temperatura, mente” in controtendenza? l’idroelettrico e la combustione di biomasse; Oriella Savoldi, responsabile Fer II: Ambiente e territorio della Cgil, tecnologie diventate recentemente commerciabili così risponde: «Confindustria come l’eolico, il fotovoltaico e il solare termico; avanza proposte per l'equilibrio Fer III: di bilancio attraverso ulteriori tatecnologie ancora in fase di sperimentazione come il fotovoltaico a concentrazione, lo sfruttamento gli agli stessi soggetti, ma non sta delle onde e delle maree, i sistemi geotermici avanzati inventando niente sul fronte dele una serie di sviluppi nel campo delle bioenergie per quanto riguarda i nuovi biocombustibili l’imprenditoria dove invece doe l’implementazione del concetto di bioraffinerie. vrebbe intraprendere iniziative

di Paola Baiocchi

L

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per il raggiungimento degli obiettivi Ue 2020-20 attraverso la green economy, un campo dinamico e produttivo di risultati positivi». Scelte industriali che confermano per l’Italia il ruolo di consumatore di prodotti verdi o di produttore su brevetti altrui.

Settore in crescita Secondo la definizione di Ocse e Eurostat, economia verde vuol dire attività che producono beni e servizi volti a misurare, limitare, minimizzare o correggere i danni ambientali prodotti all’acqua, all’aria, al suolo e all’ecosistema in generale. Comprende le energie rinnovabili, i nuovi materiali e le nuove tecniche costruttive che possono ridurre i consumi di energia e i rischi ambientali. Spiega l’economista Roberto Romano: «Si tratta di capire che è finito un ciclo economico, che le potenzialità di crescita della produzione di massa, unita all’introduzione della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (Ict), incontrano una domanda satura e praticamente di sostituzione. Tra il 2010 e il 2011, mentre tutti gli investimenti nei beni manufatti classici restano fermi, la crescita degli investimenti nelle rinnovabili a livello globale è stata del 32%. Tra il 2007 e il 2010 la crescita degli investimenti è stata pari al 63,6%. Si passa da 160 miliardi di dollari del 2009 a 211 mi-

liardi di dollari nel 2010. Gli investimenti – conclude Roberto Romano – sono per lo più legati alle tecnologie Fer di II generazione (vedi BOX ): tra il 2007 e il 2010 l’eolico ha tassi di crescita dell’85%, il solare del 19,7%, il geotermico del 5,3%». La Cina rappresenta il 34% sul totale degli investimenti, l’Europa il 24,7%, il Nord America il 21,1%. Investimenti dove il pubblico sta svolgendo un importante ruolo di indirizzo: la spesa pubblica a livello mondiale in ricerca e sviluppo delle rinnovabili è cresciuta tra il 2007 e il 2010 del 253%. Secondo l’Istituto Wuppertal è la Germania il maggiore investitore europeo nei settori verdi, che pesano nel Pil per il 31% (per la Francia è il 21%). Settori dove si registrano numeri importanti anche a livello occupazionale. Secondo il rapporto 2010, commissionato dal Ministero dell’Ambiente tedesco, i settori delle rinnovabili e dell'efficienza energetica a fine 2009 davano lavoro a 340 mila persone: un raddoppio degli occupati avvenuto nel giro di 4 anni.

La tecnologia come bene pubblico Risultati tangibili sono a portata di mano, ma è corretto parlare di nuovo paradigma produttivo per la sola introduzione di innovazione tecnologica o deve essere ac-

compagnato anche da una riconversione sociale? L’ecologista francese Hervé Kempf, che non parte da posizioni marxiste, nel suo libro “Per salvare il Pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo” individua le contraddizioni nella meccanica del sistema: «Gli impianti eolici non mutano il quadro della situazione energetica. Come si spiega questo paradosso? Perché il capitalismo non li mette in funzione per rispondere al mutamento climatico, ma per realizzare un profitto e la ricerca del vantaggio per l’ambiente resta secondaria». La tecnologia, cioè, non è neutrale ma deve essere sottoposta al controllo e all’indirizzo politico, se vogliamo che diventi fattore di benessere sociale. «Si sa fin dai tempi dei luddisti che l’innovazione tecnologia genera disoccupazione – ricorda l’economista Emiliano Brancaccio – perché si introducono innovazioni di processo finalizzate ad aumentare la produttività di ogni lavoratore (vedi GRAFICO ). Le imprese, potendo produrre le stesse merci con un numero minore di lavoratori, di norma tendono a licenziare». Come risolvere il problema? «La cancelliera tedesca Angela Merkel – riprende Oriella Savoldi – nel proporsi di realizzare una produzione dell'80% del fabbisogno energetico interno con rinnovabili, ha dichiarato che

occorrerà inventarsi qualcosa per garantire l'occupazione e ha parlato di riduzione dell’orario di lavoro. Un tema che in Italia fa venire il mal di pancia, ma non pensare oggi a politiche per accompagnare la transizione ci condanna all'impoverimento e alla disoccupazione stabile»

Tradurre la crisi in trasformazione sociale «Diverso sarebbe – continua Brancaccio – se gli input di moneta passassero per il settore pubblico e servissero perché la ricerca e lo sviluppo tecnologico diventassero patrimonio collettivo, non legato a un’immediata generazione di profitti, ma puntassero a diminuire le tariffe e a offrire servizi più efficienti ai cittadini». Per costruire questa logica alternativa mancano però dei protagonisti, i lavoratori: «Le rappresentanze sociali e politiche del lavoro – riprende Brancaccio – risultano drammaticamente silenti, per usare un eufemismo. Questo costituisce un problema colossale, perché la possibilità di tradurre la crisi in un’opportunità di trasformazione sociale è sempre passata per la presa di coscienza e l’iniziativa delle rappresentanze del lavoro. O si passa dai sindacati e dai partiti o si resta in un assetto oligarchico definito».

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EFFICIENZA ENERGETICA: BOLLETTE TAGLIATE MISURE DI ECODESIGN

[ IN TWh ALL’ANNO ]

RISPARMI STIMATI

Illuminazione domestica

39

Illuminazione di strade e uffici

38

MISURE DI ECODESIGN

RISPARMI STIMATI

Sistemi di stand-by Decoder

6 9

Frigoriferi e refrigeratori

6

Trasformatori/convertitori

Lavatrici

2

Motori elettrici

Lavastoviglie

2

Circulators

Televisioni

43

35

RISPARMI TOTALI

135 25 340

Paolo Bertoldi, Jcr: «Interventi di efficienza energetica nel settore dell’illuminazione (domestica e non) potrebbero portare a un drastico taglio dei consumi energetici: da 80 Terawattora (peggiore dei casi) fino a 266 Terawattora (migliore dei casi), cioè circa 45 grandi centrali elettriche da 1GW»

I vantaggi (palesi e occulti) di investire in efficienza

QUANTE VIE DI FUGA PER IL CALORE NELLE CASE COLABRODO

AUTO E AEREI, DIETA (ECOLOGICA) A BASE DI CARBONIO

PERDITE DELLA CALDAIA 10 - 12%

TETTO/SOLAIO DELL’ULTIMO PIANO 10 - 15%

FONTE: CASACLIMA

FONTE: JRC - WWW.EEPOTENTIAL.EU

| dossier | Inversione di rotta |

PARETI ESTERNE 20 - 25%

FINESTRE 20 - 25%

CANTINA 5 - 6%

Elettrodomestici, agricoltura, edilizia, motori: in ogni settore si può ottenere di più consumando meno risorse.

VIAGGIARE LEGGERI, per ridurre i costi e per tutelare l’ambiente. Si può sintetizzare in questo modo l’avvento della fibra di carbonio nel mercato dell’automobile e nell’industria aeronautica civile. Dopo averla adottata da tempo per migliorare le prestazioni nelle auto da corsa, le grandi case automobilistiche stanno pensando di utilizzare tale fibra al posto delle leghe tradizionali. Il carbonio ha, infatti, il vantaggio di essere molto più leggero e estremamente più resistente. Così la tedesca BMW ha costruito uno stabilimento per la produzione della fibra leggera a Moses Lake, negli Usa, e ha lanciato la nuova Serie “i”, che comprenderà una city car e una sportiva, entrambe elettriche, “snellite” di 250-350 chilogrammi: a vantaggio dei consumi e, quindi, dell’ecologia. Ma anche il mondo dell’aeronautica inizia a puntare sul carbonio. Nelle scorse settimane Boeing ha consegnato alla compagnia di bandiera del Giappone, la Ana, il primo esemplare del 787 Dreamliner, un nuovo aereo che sfrutta le fibre di carbonio, garantendo una riduzione del 20% del consumo di carburante. Il nuovo apparecchio costa 200 milioni di dollari: la stessa Boeing ha fatto sapere di aver già ricevuto 820 ordini. A. Bar.

AERAZIONE 20 - 30%

economisti esperti di problemi ambientali. Ogni tonnellata di CO2 emessa apporta un danno di 893 dollari. Quaranta volte più alto di quanto stimato dal governo di Washington. Una sottostima che spiega la minore attenzione degli Usa verso i temi ambientali. In Europa (forse) va un po’ meglio. La Commissione europea, per decidere le politiche da adottare sul fronte del risparmio energetico e del consumo di risorse, si avvale del

di Emanuele Isonio OPO IL NUMERO 53, ci vorrebbero undici zeri per scrivere i costi sociali che, ogni anno, gli Stati Uniti d’America sopportano per le emissioni di CO2: 5,3 trilioni di dollari. O, se preferite, 5.300 miliardi. Un terzo del Pil a stelle e strisce. Il calcolo è dell’Economics for equity and environment network, una rete di oltre 200

D

Joint Research Center che ha sede a Ispra: suo il compito di misurare i consumi energetici delle diverse attività umane e l’impatto che avrebbero gli interventi di efficientamento. Elettrodomestici, illuminazioni, edilizia, motori elettrici, agricoltura. Non c’è settore che non possa produrre benefici enormi. Ma in molti casi il loro impatto è del tutto sconosciuto all’opinione pubblica.

Elettrodomestici DIRETTIVA EDIFICI, BRUXELLES ALZA LA VOCE A QUANTO PARE, PER L’ITALIA collezionare procedure d’infrazione è un record di cui andare fieri. L’ultima, decisa dalla Commissione di Bruxelles, riguarda la mancata applicazione delle norme comunitarie sull’efficienza energetica degli edifici. Di certo non un fulmine a ciel sereno: l’Ue aveva rilevato già un anno fa alcune gravi mancanze delle leggi italiane che recepivano la direttiva 2002/91/CE. La norma comunitaria prevedeva che, nelle compravendite e negli affitti di appartamenti, fosse obbligatorio fornire la certificazione energetica (sette classi da G ad A) e che ad emettere il certificato fossero tecnici abilitati. La legge italiana ha sostituito quell’obbligo con una semplice autocertificazione, purché il locale fosse inserito nella classe di efficienza peggiore. Una scelta che, secondo Bruxelles, non permette di conoscere la reale performance energetica dell’immobile e che di certo non stimola l’adozione di strumenti di risparmio energetico. Altra nota dolente riguarda gli affitti: la norma italiana limita l’obbligo di certificazione energetica ai soli edifici di nuova costruzione. Nella direttiva invece l’obbligo era totale. Rilievi anche per gli impianti di condizionamento: in Italia infatti non c’è un sistema di verifiche periodiche che permetta di introdurre gli opportuni interventi di efficientamento. Tanti motivi che hanno spinto la Commissione europea a inviare a Roma un parere motivato e una formale richiesta di applicare tutte le norme contenute nella direttiva 2002/91. Se entro sessanta giorni il governo italiano non fornirà risposte convincenti (e atti concreti), la parola passerà alla Corte di giustizia europea: e per il nostro Paese, ancora una volta, potrebbero arrivare multe con parecchi zeri. Oltre, ovviamente, a un ulteriore discredito tra i partner Ue. Em. Is.

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E il settore più avanti con i risultati. Da quando è entrata in vigore la classificazione energetica (da G ad A+), i vecchi apparecchi sono scomparsi dai negozi. Dalla sostituzione si è ottenuto una calo del 20% dei consumi del settore (che rappresentano il 20% dei consumi residenziali).«Ormai sono stati quasi tutti sostituiti dai classe LIBRI A+ e presto si troveranno in commercio solo gli A++», spiega Paolo Bertoldi, ricercatore del Jcr. Solo dalle “lucine” degli stand-by si Hermann Scheer possono risparmiare Imperativo energetico 35 TWh (come 5 100% rinnovabile ora! Come realizzare centrali da 1 GW). la completa «Quanto avvenuto riconversione del nostro sistema con gli elettrodomeenergetico e come farlo subito. Prefazione di Gianni Silvestrini Edizioni Ambiente

stici – osserva Domenico Sturabotti, direttore di Symbola – dimostra l’estrema importanza di una classificazione chiara dei prodotti, perché permette ai consumatori di distinguerne la qualità e quindi di orientare il mercato con le proprie scelte».

Edilizia Più che un patrimonio immobiliare, un colabrodo. La maggior parte delle case italiane (il 60%) è nata tra il 1946 e il 1981. Al Nord il consumo annuo di energia degli edifici è pari a 18-20 litri di gasolio per metro quadro (o 1820 metri cubi di gas). La media nazionale è di 12-14 litri. Da qualche tempo, anche qui è entrata in vigore la classificazione. Peccato che l’Italia abbia interpretato a modo suo la direttiva Ue, vedi BOX . «Una casa in classe G ha costi di gestione che si aggirano sui tremila euro l’anno», spiega Oscar Stuffer, architetto dello studio SolarRaum. «Una casa di classe B li ridurrebbe del 70%, una di classe A del 90%». Un toccasana sia per le famiglie, sia per la bolletta elettrica nazionale, visto che l’Italia è il secondo importatore mondiale d’energia. Non è un caso che molti attendano con ansia gli effetti della direttiva Ue 2010/31: entro il 2018 le costruzioni pubbliche ed entro il 2020 i nuovi edifici privati dovranno essere a zero emissioni. Il Jcr calcola che, intervenendo sul ricaldamento con politiche piuttosto blande,

stazione a favore dei pascoli, un altro 6% per la fermentazione del letame e un ultimo 6% per il metano emesso dai ruminanti. Inevitabile pensare ad alternative basate su modelli di produzione su piccola scala. Meglio se biologici. Gli obiettivi di mitigazione fissati dalla Commissione Ue per il settore agricolo prevedono un calo del 42-49% entro il 2050. «Il traguardo sarà possibile – spiega il presidente di Aiab, Andrea Ferrante – solo investendo sull’efficienza, il recupero energetico dei residui agro-zootecnici e il successivo impiego nei campi dei loro sottoprodotti, ottimizzando i vantaggi dell’agricoltura estensiva, riducendo i fertilizzanti, stimolando il commercio di prodotti locali».

si risparmierebbero 298 TWh. Con policies più stringenti si salirebbe a 664 TWh: come chiudere 90 centrali e non accorgersene.

Illuminazione Forse non tutti sanno che incide per il 15% dei consumi elettrici nazionali. Non solo abitazioni. Ma anche scuole, ospedali, uffici, industrie. Da qui gli esperti si attendono grandi risultati. Spiega Bertoldi: «Al Jcr abbiamo calcolato che, se tutte le lampade fossero sostituite con i nuovi led, si potrebbe risparmiare il 10% dei consumi europei». Una cifra pari a 266 Terawatt/ora. Tanto o poco? È l’energia prodotta da 45 grandi centrali elettriche da 1 GW. Il consumo annuo dell’Italia si aggira sui 300 TWh. Giudicate voi.

Motori elettrici Agricoltura

Alzi la mano chi sapeva che incidono per il 20% dei consumi elettrici totali in Europa. Ammodernandoli si possono risparmiare 135 TWh ogni anno. «Pompe, ascensori, scale mobili e molti strumenti dell’industria usano motori molto inefficienti» rivela Bertoldi. «La cosa assurda è che costano duemila euro. Quelli ad alta efficienza già in commercio ne costano 500 in più. E nel loro ciclo di vita ne farebbero risparmiare 30 mila. Purtroppo, soprattutto le piccole imprese considerano solo il costo iniziale». E nel tessuto industriale italiano le Pmi sono in maggioranza.

Secondo la Fao, è responsabile del 30% del global warming (per capire: i trasporti pubblici e privati si fermano al 17%). Dito puntato contro gli allevamenti intensivi, responsabili del 18% dell’effetto serra: il 6% per la deforeLINK UTILI www.e3network.org www.agenziacasaclima.it

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FONTI SPORCHE, GLI AIUTI CRESCONO

I COSTI OCCULTI DELLE CENTRALI A CARBONE

MENTRE C’È CHI SI DANNA L’ANIMA per aprire l’era della tassazione ecologica, gli inquinatori continuano a ottenere lauti aiuti. Che, anzi, sono anche in crescita. Lo rivela l’International Energy Agency: nel 2010 le fonti fossili sono state sostenute con 409 miliardi di dollari di soldi pubblici. In aumento di 97 miliardi rispetto al 2009. Solo il settore petrolifero ne ha ricevuti 193. Continuando così, si arriverà a 660 entro il 2020 (lo 0,7% del Pil mondiale). Un danno triplice: economico, ecologico e sociale. A denunciarlo è l’Ocse, nel recente rapporto Inventory of estimated budgetary support and tax expenditure for fossil fuels: tagliare questi aiuti – secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo – permetterebbe di ridurre i debiti degli Stati, concentrare la spesa pubblica sui settori effettivamente rilevanti per il benessere collettivo e migliorare l’ambiente: il solo taglio agli aiuti alle fonti sporche provocherebbe una riduzione delle emissioni del 6%. Nel rapporto ci sono critiche anche per l’Italia: l’anno scorso abbiamo speso 816 milioni di euro per i contributi-acquisto carburante degli agricoltori, 492 in favore delle compagnie di navigazione, 95 milioni in favore del trasporto su gomma.

SPESSO (VOLUTAMENTE) DIMENTICATE dalle lobby degli inquinatori, le esternalità, se effettivamente calcolate nel prezzo di produzione di un tipo di energia, potrebbero spingere a imboccare con decisione la strada dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Uno studio apparso l’estate scorsa sull’American Economic Review ha quantificato l’impatto sull’ambiente delle centrali a carbone statunitensi: per ogni kw/ora prodotto, se ne causano due sotto forma di danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. Un fiume di dollari: 53 miliardi ogni anno, per la precisione. Ma solo prendendo in considerazione i danni delle emissioni aeree. E non calcolando i danni economici legati al global warming. Le centrali a carbone, solo negli Usa, incidono per il 25% di tutte le esternalità negative prodotte dalle attività umane: biossido di zolfo e polveri sottili hanno, infatti, impatti drammatici sui livelli di mortalità. Ne sanno qualcosa dall’altra parte del globo. In Cina – rivelava anni fa Greenpeace – le esternalità negative causate dalle centrali a carbone (dalle quali proviene il 60% dell’energia prodotta) corrispondono a circa il 7% del Prodotto nazionale lordo. Chi ha ancora dubbi che la crescita economica non corrisponde al livello di qualità di vita?

Tassare il danno Premiare la virtù Una rivoluzione della leva fiscale per collegare i livelli di tassazione all’inquinamento prodotto, al consumo di risorse e alla biodiversità perduta. Economisti ed esperti di sostenibilità concordano: gli strumenti tecnici esistono. di Emanuele Isonio se le imesperti in sostenibilità ambientale, gli econoposte a carico di un’azienda misti ecologici, e tutte le aziende che stanno variassero in funzione delle coraggiosamente investendo sui prodotti a emissioni prodotte e della quantità di risorse basso impatto: «Il metabolismo sociale internaturali sfruttate? E come si comporterebbe viene sul capitale naturale e ne massacra la caun consumatore che, comprando una cassa pacità di rigenerazione» denuncia Gianfranco d’acqua minerale, si vedesse conteggiare sulBologna, direttore scientifico del WWF. «Doblo scontrino un’Iva a seconda della CO2 biamo partire da questo presupposto, se vogliamo costruire un modello di progresso soemessa da quella specifica marca e durante il stenibile, in cui il deficit economico è trasporto dal luogo di imbottigliamento? collegato a quello ecologico». Senza dubbio le aziende avrebbero un motivo in più per selezionare materie prime e tecniche di produzione con minore impronta Internalizzare ecologica. I consumatori avrebbero un tani costi ambientali gibile vantaggio economico a scegliere chi Da qui l’esigenza di collegare i sistemi di inquina meno. E la collettività ne risentirebtassazione al consumo di risorse e alla be positivamente, se non altro per il passo avanti nella La delegazione italiana a Rio ’92 riduzione dei gas serra. propose di introdurre sistemi Un effetto-domino. Sul di calcolo dell’impatto di beni quale da anni insistono gli e servizi. Tra lo sconcerto generale

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HE COSA ACCADREBBE

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quantità di emissioni. «Dobbiamo riuscire a tassare il danno e ad aiutare i virtuosi», propone Bologna. Il principio è semplice: chi usa le risorse naturali deve pagare. «Servono meccanismi che sappiano selezionare l’impatto dei diversi beni e servizi». In tre parole: internalizzare i costi ambientali. «Una proposta – racconta Bologna – che già lanciammo alla conferenza di Rio ’92 ma che molti vedevano col fumo negli occhi». Il perché è facilmente comprensibile: finora i grandi inquinatori hanno goduto di incentivi, più o meno palesi. E molti ne beneficiano tuttora (vedi BOX ).

Accise o Iva differenziata? L’approccio teorico è chiaro. Ma una domanda è più che legittima: in che misura (e con quali strumenti) si può trasformare in realtà? Secondo Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze all’università di

FONTE: INTERNATIONAL ENERGY AGENCY

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QUEGLI INCENTIVI FOLLI A SOSTEGNO DI CHI INQUINA

310 NEL 2009 409 NEL 2010 660 NEL 2020 [STIMA] I MILIARDI SPESI NEL MONDO COME AIUTI PUBBLICI ALLE FONTI FOSSILI (VEDI BOX NELLA PAGINA A FIANCO)

Di tutti i sistemi di calcolo dei danni ambientali, l’impronta ecologica è quello che gode di maggiore credito tra la comunità scientifica e gli organismi ufficiali Milano Bicocca, «di strumenti per introdurre una tassazione ecologica ce ne sono parecchi». Due le strade: intervenire sulle tasse che agiscono sui fattori produttivi (gli input) oppure su quelle applicate agli output. «Nel primo caso, si punta a rendere più costoso l’uso di materie prime ad alto impatto», spiega Santoro. Esempio tipico: le accise. «Tassando determinate materie prime posso disincentivarne l’uso e spingere a sostituirle con altre meno impattanti». C’è però un rischio, soprattutto nei settori oligopolistici: che l’aumento di prezzo legato alle accise finisca solo per riflettersi sul portafoglio dei consumatori. Nondimeno, qualche Stato sta già usando questo strumento: nel nuovo piano di austerità, il governo francese ha introdotto un’accisa sullo zucchero (circa un centesimo a lattina) per disincentivare l’uso di bibite gassate e ipercaloriche. Risvolto della medaglia: la Coca Cola ha congelato il proprio investimento da 17 milioni previsto per la fabbrica provenzale di Pennes-Mirabeau. L’altra strada è quella di associare la tassazione ai consumi. «In tal caso – osserva Santoro – sarebbe più evidente per i consumatori il motivo dell’aumento del prezzo di un prodotto. E l’effetto pedagogico sarebbe immediato». L’ipotesi più affascinante? Una ristrutturazione dell’Iva. Che ovviamente vedrebbe entusiasti i rappresentanti del mondo produttivo “virtuoso”: «Sarebbe una scel-

METALLI, CRESCONO LE ALTERNATIVE E CROLLANO I PREZZI GRUPPI DI IMPORTANZA PLANETARIA come Toyota Motor Corp. e General Electric stanno riducendo drasticamente l’utilizzo di alcune materie rare, diminuendo quindi gli ordinativi. Il risultato, riferisce un’analisi dell’agenzia Bloomberg, è che elementi come il cerio, utilizzato nella produzione delle leghe di alluminio e di alcuni acciai, e il lantanio, necessario nella messa a punto dei vetri, stanno subendo un netto calo sul mercato globale. «E potrebbero scendere – spiega Christopher Ecclestone, analista di Hallgarten & Co. – anche del 50% nei prossimi 12 mesi». A dare il là alla dinamica virtuosa è stata la Cina, che, nel luglio del 2010, ha annunciato una netta riduzione dell’export di metalli (dei quali è il principale fornitore al mondo), provocando un deciso aumento del costo di tali materie prime. Di conseguenza i costruttori di auto come di turbine eoliche ne hanno limitato decisamente l’utilizzo, invertendo in tal modo l’andamento dei prezzi (quelli dei principali otto metalli utilizzati nell’automotive sono scesi così del 13% solo negli ultimi tre mesi). Non a caso proprio la Toyota costruirà motori a induzione, che non utilizzano leghe tradizionali: «In tutto il Giappone si spinge verso il riciclo e la riduzione dell’utilizzo dei metalli», osserva Dudley Kingsnorth, amministratore delegato di Industrial Minerals Co. of Australia. Allo stesso modo General Electric ne sta riducendo l’uso per le proprie turbine eoliche.

ta fondamentale e assolutamente fattibile», commenta entusiasta Giovanbattista Zorzoli. «Se un’impresa sceglie un ciclo produttivo e materie prime che donano un valore all’ambiente, è giusto che riceva un premio», aggiunge Antonio Brunori, segretario generale del Pefc Italia, il sistema di certificazione delle foreste gestite in modo responsabile. «Certo, di strada da fare ce n’è molta. Quando anni fa sondammo l’ipotesi di avanzare una simile proposta alla Commissione Ue ci hanno riso in faccia». «Ma – avverte Santoro – quello europeo è il solo ambito in cui si può decidere una rimodulazione dell’Iva, che è una tassa regolamentata a livello comunitario. Tra l’altro: per costruire un sistema fiscale credibile, servono tecniche attendibili per valutare l’impatto di ciascun prodotto, così da stabilire quanta Iva applicarci. E devono essere sistemi semplici. Il fisco non tollera meccanismi troppo complessi».

dell’Informazione ambientale. «Tecnicamente non è un difficile calcolare l’impatto di un prodotto. Certo, bisogna decidere quali parametri utilizzare». Alcuni suggeriscono l’impronta idrica (la quantità di acqua usata nel ciclo produttivo): «Ma ci sono imprese molto impattanti che però non ne consumano molta», ammonisce Masullo. Si può calcolare l’energia consumata: «Ma è un indicatore che ci informa sulla quantità di energia usata. Ma non dice nulla sulla sua qualità. E se l’energia fosse prodotta solo da fonti rinnovabili, la quantità usata non sarebbe il primo problema». C’è chi propone un set di indicatori: «Ma gli indicatori aggregati aumentano il livello di arbitrarietà, perché bisogna decidere quale peso dare ai vari fattori considerati. E le pressioni delle lobby sarebbero enormi». E allora? «L’indicatore più accreditato tra la comunità scientifica e ormai anche presso gli organismi ufficiali è l’impronta ecologica». In pratica, un sistema che conteggia quantità di energia, emissioni di CO2, perdita di bioproduttività dei terreni, consumi di acqua e di materie prime. «Tra l’altro ha il vantaggio di essere facilmente comprensibile anche tra i non addetti ai lavori». Un aspetto da non sottovalutare nell’ottica di coinvolgere l’opinione pubblica. In fondo, anche Albert Einstein ripeteva spesso: “Non hai capito veramente una cosa finché non sei in grado di spiegarla a tua nonna”.

Impronta ecologica al servizio del Fisco In sostanza: avviare l’era della tassazione ecologica non è solo questione di volontà politica ma anche un problema di strumenti per calcolare l’impatto delle attività umane. La sfida è persa in partenza? «Nient’affatto» rassicura Andrea Masullo, docente di Sostenibilità ambientale, a margine del suo intervento al nono Forum internazionale Greenaccord

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Pac dopo il 2014

Fischia lo “spin”

Effetto democrazia

Sussidi ai campi da golf

di Paola Baiocchi

dall’ombelico dell’Europa Roberto Ferrigno

15 ANNI in Italia circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati, dicono i dati della campagna Stop al consumo di territorio (www.stopalconsumoditerritorio.it). Una bulimia edificatoria ingiustificata a fronte dell’indice di natalità italiano che è tra i più bassi al mondo, 1,2 figli per donna. Un consumo di territorio che lascia almeno 8 milioni di vani vuoti. È più difficile, invece, calcolare il consumo di territori mentali, quegli spazi che perdiamo, per esempio, quando si dismette una parola o un termine subisce uno spin, una rotazione, l’effetto che i giocatori bravi riescono a impartire alla palla che poi va a cadere dalla parte opposta rispetto al previsto e lascia l’avversario con un palmo di naso. Quando vanno al rimessaggio le parole? Quando si perde l’uso degli oggetti o delle funzionalità alla quale sono collegate. Per esempio non si “imburchia” (aiutare qualcuno con suggerimenti a dire o fare qualcosa) più nessuno, perché del burchio (barca a fondo piatto a remi o a vela) si è persa la memoria. Quindi ora cosa si fa? Si facilita oppure si influenza. Bisognerebbe avere negli occhi il moto di un burchio sull’acqua per capire esattamente la sfumatura del termine, perché sinonimi completamente sovrapponibili non esistono. Si sente, invece, il fischio di uno spin attorno alla parola democrazia: anche in ambienti dove l’aria che si respira dovrebbe essere democratica, sono sempre più numerose le voci critiche rispetto ai limiti o addirittura al fallimento della democrazia rappresentativa per la quale è giunto il momento di essere sostituita da una forma partecipativa nella gestione dei beni comuni (non del bene comune, attenzione). I danni della troppa delega sarebbero evidenti osservando l’antipolitica, che mette tutti i partiti e tutta la politica allo stesso livello, e la diminuzione vertiginosa del numero degli elettori che si presentano alle urne. Mi allarma sentir criticare la democrazia partecipativa quando non ne restano che dei brandelli, avendo il maggioritario consegnato la possibilità di scegliere i candidati alle segreterie di partito e avendo i partiti rinunciato nella loro quasi totalità alla democrazia interna, per diventare strutture verticistiche più rappresentative delle imprese che dei cittadini. La critica “con l’effetto” sposta il problema in un luogo inaspettato: invece di puntare il dito sull’impotenza in cui il cittadino viene messo dal maggioritario, invece di rimuovere le incrostazioni che ci hanno sottratto una Costituzione considerata tra le più inclusive e democratiche al mondo, si chiede una gestione partecipativa in cui sia protagonista la cittadinanza “attiva”. Escludendo quindi la “cittadinanza passiva”, che si è già visto essere formata da soggetti più deboli perché meno istruiti, meno informati o meno organizzati. Difficile pensare che sia un passo avanti rispetto a “una testa un voto” senza distinzioni di sesso, cultura o ricchezza.

12 OTTOBRE la Commissione ha pubblicato la versione definitiva della proposta per il mercato agricolo europeo dopo il 2014. La stesura del documento è stata tormentata da continue “fughe” delle varie bozze in discussione che hanno dato modo alle lobbies più potenti – inclusi i governi di Francia, Gran Bretagna e Germania – di intervenire per imporre le proprie esigenze. Dopo che negli scorsi anni molto si è fatto per deregolamentare settori chiave quali lo zucchero e il latte, con l’abolizione delle quote nazionali, il Commissario Ciolo ha annunciato candidamente che, nel periodo 2014-2020, la “nuova” Pac opererà un trasferimento di circa il 7% di sussidi diretti dagli agricoltori francesi a quelli dell’Est Europa. I pagamenti diretti alle imprese più grandi saranno limitati a 300 mila euro, mentre gli agricoltori che traggono fino al 95% del proprio reddito da altre attività continueranno a beneficiare dei pagamenti diretti. Così i campi da golf dichiarando un minimo di produzione agricola continueranno a godere dei generosi sussidi che hanno permesso loro un boom senza precedenti negli ultimi 10 anni. Le tanto sbandierate misure “verdi” si riducono a poche iniziative: rotazione delle colture e mantenimento del set-aside pari al 7% dei terreni delle aziende. Queste iniziative, che potrebbero generare il 30% in più di sussidi, sono volontarie e non soggette a controlli obbligatori da parte delle autorità nazionali. Nell’attuale regime gli agricoltori che non rispettano degli obblighi “verdi” puntuali sono passibili di sanzioni, ancora da definire nella nuova proposta. Il solo elemento che potrebbe stravolgere lo status quo della “nuova” Pac è il coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale. Ma anche qui le lobbies, come quella dei bio-carburanti, sono al lavoro. Il trasferimento diretto dei soldi dalle tasche dei cittadini alle potenze agro-alimentari potrebbe ulteriormente distruggere la biodiversità europea.

EGLI ULTIMI

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O SCORSO

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Bielorussia, un Paese in ginocchio >31 Tassa sulle transazioni finanziarie, l’ora della verità >32 L’Europa scommette sull’impresa sociale >34

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Dodd-Frank

Uno spettro si aggira per l’America

La più importante riforma legislativa della finanza Usa è stata approvata nel luglio del 2010. Ma le sue norme sono ancora disapplicate. Tra la mancanza

di regole attuative e il pericolo del “lobbysmo” elettorale. di Matteo Cavallito 48 PAGINE, 1.601 SEZIONI, 16 mesi di vita e un pressoché sconfinato universo di regole attuative ancora da scoprire. Ecco i numeri chiave del Dodd Frank Act, il mastodontico complesso normativo che dovrebbe dare nuova disciplina al settore finanziario della prima economia del mondo. È la legge delle leggi, si dice, quella che dovrebbe influire più di qualsiasi altra imposizione normativa sulla vita di ogni broker, fondo di investimento o istituto di credito americano. Un po’ come il Patriot Act, contestatissimo, eppure inossidabile, provvedimento spartiacque della storia statunitense. E se allora, si disse, che c’era stato un prima e un dopo 11 settembre, oggi, è noto, contano soprattutto un prima e un dopo Lehman. Con la necessità, va da sé, di impedire a quel “dopo” di materializzarsi ancora. La parola d’ordine è quella di sempre, riproposta come allora con la certezza, o l’illusione, di una nuova consapevolezza. “Adesso basta”, sembra mormorare quel faldone firmato solenne-

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LUCAS JACKSON / REUTERS

Un dimostrante del movimento Occupy Wall Street si tappa la bocca con una banconota da un dollaro nello Zuccotti Park, a pochi passi dal distretto finanziario di New York. A partire dal 17 settembre, per settimane, i manifestanti hanno “occupato” le strade intorno al luogo simbolo del mercato globale, prendendo di mira i “bankster”, i banchieri gangster considerati tra i principali responsabili di un modello di sviluppo iniquo e pericoloso.

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REGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA UE: ADESSO LONDRA FA CAUSA ALLA BCE UN’INIZIATIVA MAI VISTA PRIMA che potrebbe dare il via ad una clamorosa escalation in quel perenne conflitto che contrappone Londra e Bruxelles sul terreno della regolamentazione finanziaria. Con un annuncio datato metà settembre, il ministero del Tesoro del Regno Unito ha decretato un’azione legale contro la Banca centrale europea, responsabile, nell’occasione, di voler imporre agli operatori del mercato dei derivati di centralizzare le proprie transazioni nelle piattaforme di Eurolandia qualora i prodotti scambiati siano denominati in euro. Una regola che danneggia la City londinese, principale piazza finanziaria dell’Unione e tuttora sede privilegiata del trading sui derivati. L’iniziativa assunta dal Regno Unito rappresenta una novità assoluta in sede Ue. È la prima volta, infatti, che l’istituto centrale europeo M. Cav. si trova costretto a fronteggiare una querela da parte di un’istituzione finanziaria pubblica di un Paese membro.

PRESIDENZIALI 2012 I CONTRIBUTI DI WALL STREET AI CANDIDATI

PRESIDENZIALI 2008 TOP 10 DEI CONTRIBUTI DEL SETTORE FINANZIARIO DATI IN MILIONI DI DOLLARI DONATORE CONTRIBUTO Goldman Sachs 6,07 Citigroup 5,01 JPMorgan 4,61 National Assoc. of Realtors 4,35 Morgan Stanley 3,93 UBS AG 3,17 American Bankers Assoc. 3,16 Merrill Lynch 3,03 Bank of America 2,99 PricewaterhouseCoopers 2,74

DATI IN DOLLARI USA MITT ROMNEY

4.938.297 BARACK OBAMA

2.411.030

IL CONTROLLO SUI DERIVATI? “UN ASSIST ALLA SPECULAZIONE” LA CENTRALIZZAZIONE degli scambi sul mercato dei derivati potrebbe dare una spinta senza precedenti allo sviluppo del cosiddetto trading algoritmico, favorendo inevitabilmente la speculazione ad esso associata. Ne sono convinti alcuni operatori di mercato interpellati sulla questione dal magazine specializzato Hedge Funds Review. «In un mondo dove una crescente fetta degli scambi è condotta elettronicamente e sempre più ridotte sono le differenze tra domanda e offerta – ha spiegato a H.F. Review il direttore della divisione cambi di Royal Bank of Scotland, Tim Carrington – gli operatori avranno minori margini di manovra per competere tra di loro sui prezzi. Per questo dovranno concentrarsi sulla capacità di offrire ai clienti un accesso migliore al mercato. E il trading algoritmico sarà la chiave di questa strategia». L’ipotesi, in sostanza, è che una maggiore trasparenza degli scambi possa favorire la concorrenza spingendo al ribasso i margini di profitto e costringendo i trader a cercare nuovi vantaggi competitivi. Con la sua capacità di minimizzare i tempi tra le diverse transazioni (la cosiddetta latency), lo scambio su modelli algoritmici, o high frequency trading, potrebbe diventare la risorsa chiave per attrarre una clientela desiderosa di cercare significativi rendimenti attraverso lo sfruttamento delle continue oscillazioni di prezzo favorite dallo scambio veloce. La ricaduta speculativa tipica delle operazioni ad alta frequenza finirebbe così M. Cav. per essere il più imprevisto paradosso della nuova stretta regolamentare.

più problematica la discussione sul fronte derivati. Nelle intenzioni dei legislatori americani c’è il superamento dell’attuale struttura dei mercati over the counter, le piazze extraborsistiche sulle quali è notoriamente impossibile imporre un controllo vero e proprio. In queste piazze “libere”, ha rivelato a settembre il rapporto trimestrale dell’Office of the Currency Comptroller, quattro istituti americani (JPMorgan Chase, Citibank, Bank of America e Goldman Sachs) scambiano tuttora qualcosa come 235 mila miliardi (trilioni) di dollari in prodotti derivati, un controvalore equivalente a oltre un terzo del nozionale complessivo riscontrato sul mercato mondiale nonché, ma qui siamo all’esercizio di stile, al 1.600% del Pil Usa. Il Dodd-Frank si è posto l’obiettivo di regolamentare questo genere di transazioni, sottoponendole all’intermediazione delle cosiddette clearing houses, le “stanze di compensazione” dove un’agenzia ad hoc vigila sulle operazioni, facendo da garante. Ma anche qui, tuttavia, la legge resta disapplicata. Dopo la concessione di una proroga semestrale da parte della Commodities Futures Trading Commission, la norma dovrebbe entrare in vigore il prossimo 31 dicembre. E, mentre sulla scena si affacciano anche alcune inquietanti prospettive sui possibili effetti collaterali che una simile norma produrrebbe sul fronte speculativo (vedi BOX ), ai regolatori delusi resta una sola consolazione: la certezza che le difficoltà non mancano nemmeno sull’altra sponda dell’Atlantico. In risposta ad analoghi provvedimenti di centralizzazione promossi in sede Ue, la Gran Bretagna è diventata ufficialmente il primo Paese membro nella storia dell’Unione a portare in tribunale la Bce (vedi BOX ).

L’incognita elettorale Le norme “in attesa” non si esauriscono

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TIM PAWLENTY

BIELORUSSIA, UN PAESE IN GINOCCHIO

RON PAUL

163.372 NEWT GINGRICH

152.200 RICK SANTORUM

102.600 HERMAN CAIN

74.075 GARY JOHNSON

14.500 FRED KARGER

6.530 JARED BLANKENSHIP

4.000 RANDALL TERRY

1.000

REPUBBLICANI 25% 37% 39% 42% 41% 45% 57% 52% 43% 53%

FONTE: FEDERAL ELECTION COMMISSION, MAGGIO 2009. CITATO IN CENTER FOR RESPONSIVE POLITICS, WWW.OPENSECRETS.ORG.

995.330

DEMOCRATICI REPUBBLICANI

CHARLES ROEMER

400 qui. A far discutere, tra i capitoli del Dodd-Frank, ci sono anche i requisiti minimi di capitale da imporre alle banche con l’obiettivo di ridurre i rischi sistemici e scongiurare futuri salvataggi a spese dei contribuenti. I punti del contendere anche qui non mancano e l’imminenza della contesa elettorale (tra un anno le presidenziali) inizia a pesare. Quattro anni fa Wall Street scommise apertamente

FONTE: FEDERAL ELECTION COMMISSION, OTTOBRE 2011. CITATO IN CENTER FOR RESPONSIVE POLITICS, WWW.OPENSECRETS.ORG

mente da Barack Obama nel Tra le norme “sospese” c’è luglio del 2010. Mai più, no la Volcker Rule, che vieta di usare more. No more Gordon Gekko, i capitali dei risparmiatori no more Bernie Madoff. No moper investire in prodotti rischiosi re subprime, too-big-to-fail, over dei risparmiatori per investire in prodotthe counter e proprietary trading. È tutto ti (come i derivati) o in veicoli (come i scritto lì, in quelle pagine che nessun confondi hedge) ad alto tasso di rischio. In gressista o senatore ha presumibilmente pratica si tornerebbe alla regola generale letto da cima a fondo. Norme fondamentali, si dice, ma anche del tutto aleatorie. del passato, quella che distingueva in modo netto le attività di retail (bancarie Visto che ad oggi, ed è questo il punto centrale dell’intera questione, si tratta di in senso stretto) dall’investment banking (investimento finanziario). Una separaregole ancora disapplicate. zione sancita nel lontano 1933 (GlassSteagall Act) e abolita sul finire del XX seAspettando Volcker colo (nel 1999) dall’allora presidente Il caso più clamoroso si chiama Volcker Clinton. Non è azzardato affermare che, Rule, la norma che sarebbe dovuta entrasenza quell’abrogazione, non avremmo re in vigore in via definitiva lo scorso 18 mai assistito all’invasione silenziosa di ottobre, ma che tuttora resta ostaggio dei regolatori chiamati ad implementarla. prodotti strutturati e titoli tossici. E, di conseguenza, alla trasformazione di una Un vero peccato visto che, di fatto, si semplice bolla immobiliare in una devatratta forse dell’innovazione più signifistante crisi globale. cativa. Per lo meno dal punto di vista dei correntisti. Al cuore della norma c’è il famoso divieto di proprietary trading, la Derivati in stallo proibizione, cioè, di utilizzare i capitali In attesa di ulteriori sviluppi resta ancora

DEMOCRATICI 75% 63% 61% 58% 59% 54% 43% 47% 56% 47%

È UN CONCENTRATO di populismo e autoritarismo quello attuato dal presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko. Una “cura” che sta mettendo in ginocchio il suo Paese. Il leader europeo ha tentato di rispondere alla crisi globale con un “socialismo di mercato”, che ha messo insieme nazionalizzazioni, manovre di avvicinamento a Cina e Russia e operazioni d’emergenza. I risultati parlano da soli: il deficit è ormai ingestibile (al 16% del Pil). Mentre l’inflazione ha toccato a luglio un tasso record del 36,2% rispetto a gennaio, nonostante l’esecutivo abbia calmierato a più riprese i prezzi di alcuni beni. Da parte sua, la banca centrale ha fissato i tassi al 30%: il livello più alto del mondo. Ma neppure questo, unito a continue e ripetute svalutazioni del rublo, ha concesso respiro all’economia. Come se non bastasse, la politica antidemocratica del leader bielorusso ha isolato il Paese da buona parte della comunità internazionale, rendendo impossibile un aiuto da parte del Fmi. Così, Lukashenko si è rivolto a Cina, Russia e Iran. Mosca, nell’aprile scorso, ha promesso una linea di credito da un miliardo di dollari. A metà giugno, inoltre, il vice-premier bielorusso Anatoli Kozik ha annunciato «tre accordi con la banca d’import-export cinese (Eksimbank), per un totale di 731 milioni di euro», grazie ai quali la Bielorussia ha dichiarato di voler costruire nuove fabbriche, ammodernare la rete stradale ed elettrificare parte di quella ferroviaria. Con Teheran, infine, si sta negoziando un prestito di 400 milioni di dollari (secondo il presidente della banca centrale bielorussa, Nadejda Ermakova, «un accordo di base è già stato raggiunto»). Ma per le agenzie di rating i titoli di Stato emessi da Minsk rimangono junk (spazzatura). E dire che il presidente del Consiglio italiano Berlusconi, nel novembre del 2009, al termine di una visita ufficiale a Minsk, annunciò: «Abbiamo posto le basi per relazioni industriali ed economiche tra i nostri Paesi e le nostre compagnie più importanti». Quando si dice la lungimiranza... A. Baro.

sui democratici (vedi TABELLA ), garantendo al solo Obama finanziamenti diretti per 43 milioni di dollari, contro i 31 offerti al suo principale avversario, il senatore repubblicano John McCain. Il totale dei contributi del settore al mondo politico Usa avrebbe sfondato nello stesso anno quota mezzo miliardo. E, di fronte all’impegno che l’attuale amministrazione è stata costretta ad assumersi sul fronte |

riforme, non è difficile immaginare quanto un simile atto di “generosità” possa essersi tradotto in conclamata delusione. Dall’inizio dell’anno a oggi Obama ha intascato da Wall Street circa 2,4 milioni di dollari. La metà di quanto elargito dalla stessa al repubblicano Mitt Romney. Il tempo per far cambiare idea ai donors non manca. Le potenziali contropartite, purtroppo, nemmeno.

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PRIMAVERA IRLANDESE, AUTUNNO PORTOGHESE

EURO: PER BERLINO UN AFFARE DA 60 MILIARDI

È PRESTO PER PARLARE di rinascita, per lo meno nel senso pieno del termine. Ma l’inversione di tendenza è comunque evidente e le prospettive di lungo termine, disastrose fino a poco tempo fa, sembrano ora magicamente in grado di offrire più di una speranza. Nel terzo trimestre dell’anno in corso il rischio sovrano, calcolato in base al prezzo dei derivati assicurativi sui titoli di Stato (i sovereign credit default swaps, Cds), è aumentato per tutte le nazioni del Pianeta con una sola, incredibile e paradossale eccezione: l’Irlanda. I numeri, resi noti a inizio ottobre dagli analisti di Cma Vision, uno dei principali monitor globali del mercato dei derivati, parlano chiaro. Nel periodo in esame i Cds sulle obbligazioni statali irlandesi hanno subito un calo di prezzo pari al 4,7%. Tradotto: per assicurare 10 milioni di credito con Dublino erano necessari lo scorso 29 settembre poco più di 754 mila euro contro i 791 mila circa di fine giugno. A metà luglio, dopo una clamorosa impennata, la cifra era addirittura salita attorno a quota 1.200 punti base (1,2 milioni di spesa per assicurarne 10) collocando il rischio irlandese sullo stesso livello del Portogallo. A distanza di tre mesi il prezzo dei Cds di Lisbona viaggia più o meno alla medesima quota, rimarcando quelle difficoltà di ripresa che l’Irlanda, al contrario, sembra avere almeno in parte superato. Nel 2011, sostengono le rispettive banche centrali, l’economia irlandese crescerà dell’1% (+1,8 nel 2012), quella portoghese M. Cav. si contrarrà dell’1,9% (-2,2 nel 2012).

DALL’ORMAI FUORI MODA OSTALGIE, lo struggente ricordo della vecchia Ddr, alla più moderna nostalgia del marco, il rimpianto dei bei tempi andati dell’orgogliosa valuta nazionale. Una transizione di pensiero più che comprensibile per quegli ottanta milioni di tedeschi chiamati a sostenere, in nome del comune destino, i disgraziati conti pubblici delle periferie europee. Ma anche un’evoluzione ingiustificata, per lo meno di fronte ai dati pubblicati a settembre dall’istituto statale KfW Bankengruppe di Francoforte in un rapporto ripreso dal quotidiano Die Welt. L’adozione della moneta unica, sostengono da KfW, avrebbe fatto guadagnare all’economia tedesca qualcosa come 60 miliardi di euro soltanto negli ultimi due anni, quando il Paese, nonostante i riflessi della crisi mondiale, è andato incontro a ritmi di crescita che non si vedevano dai tempi della riunificazione (ottobre 1990). Una crescita sostenuta soprattutto dalle esportazioni che hanno trovato ampi spazi di sfogo negli Usa e in Cina grazie anche a un contesto monetario piuttosto favorevole. L’ipotesi, secondo gli analisti, è che in un simile scenario il vecchio Deutschmark avrebbe sperimentato un apprezzamento ben superiore a quello subito dall’euro con conseguenti danni all’export. Senza contare, verrebbe da aggiungere, il coinvolgimento che una moneta così solida avrebbe presumibilmente patito nella corsa al rialzo dei prezzi dei “beni rifugio”. Un’esperienza, questa, ben nota M. Cav. ultimamente a Giappone e Svizzera.

FRANCIA 5.500 AMMINISTRAZIONI “CONTAGIATE”

LA MAPPA DEGLI ENTI LOCALI FRANCESI SOMMERSI DAI PRESTITI TOSSICI MAGGIORMENTE COLPITI

NORD-PASDE-CALAIS

MEDIAMENTE COLPITI SCARSAMENTE COLPITI PICARDIE HAUTENORMANDIE LORRAINE

BASSENORMANDIE

PARIGI ÎLE-DE-FRANCE CHAMPAGNEARDENNE

BRETAGNE

ALSACE

PAYS-DE-LA-LOIRE CENTRE

BOURGOGNE

FRANCECOMTÉ

POITOUCHARENTES LIMOUSIN AVERGNE

Tassa sulle transazioni finanziarie, l’ora della verità

RHÔNE-ALPES

AQUITAINE

sono ormai in prima linea. La società civile parteggia senza remore. Numerosi governi si stanno convincendo della necessità di non rinunciare a un’opzione che potrebbe garantire capi-

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tali insperati per rimpinguare le casse pubbliche. E perfino François Pérol, presidente della Federazione che rappresenta gli interessi dei banchieri francesi – pur contrastando il progetto se applicato solo a livello europeo – ha dichiarato di

JOUYET (AMF): «FINANZA, “OSCURO” IL 75% DELLE TRANSAZIONI» ALMENO 50 SU 100 delle transazioni finanziarie che vengono realizzate ogni giorno in tutto il mondo sono effettuate in modo oscuro, su piattaforme non ufficiali, e per questo sfuggono agli organismi di vigilanza. A lanciare il nuovo atto d’accusa nei confronti della finanza è stato il presidente dell’Autorità per i Mercati Finanziari (Amf) francese, Jean-Pierre Jouyet. Il dirigente ha affidato la sua denuncia a un’intervista rilasciata alla fine di settembre all’emittente Europe 1: «È possibile affermare che una percentuale compresa tra il 50 ed il 75% delle transazioni si basa su accordi presi tra le parti, senza che i regolatori siano in alcun modo informati e senza che su tali affari possano essere esercitati i normali poteri di vigilanza». «È estremamente chiaro che esiste una concezione liberale di stampo anglosassone che domina il mondo finanziario», ha aggiunto il presidente dell’Amf, puntando il dito contro il laissez-faire. Al contrario, ha concluso, «occorre una cooperazione a livello europeo ed internazionale dal punto di vista regolatorio». A. Baro.

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«non essere contrario in linea di principio». Per la tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), insomma, vale davvero la pena di dire: «Se non ora, quando?».

Avanti tutta da Bruxelles Non stupisce che proprio nelle scorse settimane la Commissione di Bruxelles abbia imposto l’ennesima accelerazione. Dopo mesi di studio, l’organismo esecutivo dell’Ue ha illustrato la propria proposta ufficiale: un’imposta dello 0,1% sugli scambi azionari e obbligazionari e dello 0,01% su quelli legati a prodotti derivati. Percentuali esigue, ma che porterebbero comunque nelle casse pubbliche dell’Ue oltre 50 miliardi di euro all’anno. I ministri delle Finanze di Germania e Francia, Wolfgang Schäuble e François Baroin, in una lettera inviata ai responsabili Ue lo scorso 9 set-

FONTE: LE MONDE

di Andrea Barolini ARIGI E BERLINO

PROVENCE-ALPES CÔTE D’AZUR

MIDI-PYRÉNÉES

La Commissione europea ha presentato la sua proposta. Ora la parola passa ai governi.

LANGUEDOCROUSSILLON

CORSE

“IL VOSTRO COMUNE, la vostra regione, il vostro dipartimento. E perfino l’ospedale dietro l’angolo o il vostro sindacato. Le istituzioni che vi circondano possono essere state tutte ‘contaminate’ dai prestiti tossici”. Il tono che i media francesi stanno utilizzando in questi giorni è apocalittico. E non si tratta di sensazionalismo. Dal 1995 al 2009 le banche hanno concesso enormi quantità di crediti tossici agli enti locali. Nel mirino, più di ogni altra, c’è la francobelga Dexia (arrivata poi sull’orlo del fallimento, tanto da richiedere un intervento congiunto di Parigi e Bruxelles). Secondo quanto rivelato dal quotidiano Liberation, l’istituto ha letteralmente messo in ginocchio 5.500 amministrazioni transalpine. Il giornale cita un documento confidenziale ricevuto da fonti interne alla banca, nel quale si specifica il conto astronomico che tali enti sono chiamati a pagare: 3,9 miliardi di euro. Qualche esempio: la città di Antibes, in Costa Azzurra, ha ricevuto in prestito 60 milioni di euro, ed ora deve restituire 21 milioni oltre a tale somma. Allo stesso modo, il Dipartimento della Loira deve rimborsare 22 milioni per un prestito da 96 milioni. Qualche sindaco non ha perso tempo e si è rivolto agli avvocati: il comune di Rosny-sur-Seine, piccola cittadina di cinquemila abitanti nella regione dell’Île-de-France, ha depositato alla fine di settembre una denuncia contro Dexia presso il tribunale di Versailles, costituendosi parte civile. Le accuse sono pesantissime: secondo le informazioni raccolte dal quotidiano Le Parisien si parla di “frode, associazione a delinquere e truffa”. A. Baro.

tembre hanno ricordato poi che, con una percentuale bassa, “si minimizzano i rischi di elusione”. Sarà complicato, inoltre, aggirare la norma: «Anche le transazioni realizzate su sistemi esteri saranno tassate – ha spiegato il commissario europeo incaricato della fiscalità, Algirdas Šemeta – a patto che uno solo degli istituti coinvolti abbia sede sul territorio dell’Ue». La Commissione, infine, ha anticipato all’1 gennaio 2014 la data della possibile entrata in vigore (le prime ipotesi parlavano di 2018) e confermato che non saranno colpiti i piccoli investitori, né le operazioni effettuate sui titoli di Stato.

Favorevoli e contrari Un progetto nel complesso prudente e sufficientemente equilibrato, dunque. Che i cittadini dell’Ue hanno dimostrato di apprezzare: un recente sondaggio indica come il 65% degli europei si sia dichiarato favorevole. «Pensiamo quanto sarebbe stato meglio per un Paese come l’Italia trovare in questo modo i capitali necessari per l’ultima manovra, anziché aumentare l’Iva al 21%», ha commentato Andrea Baranes, portavoce della campagna Zerozerocinque. «Ciò nonostante, il governo italiano continua a non prendere posizione», denuncia Leonardo Domenici, eurodeputato che da anni si batte per la Ttf. |

Nel frattempo, però, il fronte dei contrari – che comprende Gran Bretagna, Svezia, ma anche il presidente uscente della Bce, Jean-Claude Trichet – non demorde: «Applicare la tassa solo in Europa indebolirebbe la nostra concorrenzialità», ripetono. Un pericolo che però è stato smentito da numerosi studi: basti pensare che un’analisi commissionata dall’associazione umanitaria francese Unitaid non solo conferma la fattibilità tecnica di tale misura a livello europeo, ma afferma che si potrebbe applicare perfino a livello nazionale. In Francia garantirebbe capitali per 12 miliardi di euro l’anno: una manovra finanziaria. E senza toccare le tasche dei cittadini.

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Le 11 mosse promesse dall’Ue

L’Europa scommette sull’impresa sociale

Accesso al credito, visibilità e nuove leggi. Un aiuto alle imprese sociali. di Elisabetta Tramonto

La Commissione ha riconosciuto il ruolo fondamentale delle imprese sociali nell’economia europea e le difficoltà che incontrano queste realtà: prima tra tutte l’accesso al credito. «Fare impresa in modo responsabile produce più crescita in Europa», ha dichiarato il commissario per il Mercato interno, Michel Barnier. di Elisabetta Tramonto COMMISSIONE EUROPEA chiama, Bruxelles. Le risposte verranno pubblicate a il mondo dell’imprenditoria sobreve sul sito della Commissione europea ciale risponde. In 111 hanno (Valori terrà informati i suoi lettori tramite il partecipato alla consultazione pubblica, lansito internet www.valori.it). Intanto, fanno ciata lo scorso 13 luglio dal commissario per sapere da Bruxelles, «la Commissione sta il Mercato interno e i Servizi, Michel Barnier, analizzando i dati emersi dalle risposte per intitolata The social business initiative: prosupportare il lavoro su una proposta legislamoting social investment funds (“Iniziativa per tiva, prevista per la fine dell’anno». l’imprenditoria sociale: promuovere fondi di investimento sociali”, anticipata da Valori Il nodo dell’accesso al credito sul numero di ottobre). Scopo della ComLa consultazione era, quindi, incentrata sul missione, attraverso la consultazione pubtema dell’accesso al credito, uno dei problica, era capire meglio il mondo dell’imblemi principali per le imprese sociali. Lo prenditoria sociale, rilevarne le necessità e i hanno sottolineato le due le realtà italiane bisogni insoddisfatti e “individuare possibi- che hanno risposto alle domande della li misure da parte dell’Ue per agevolare inCommissione europea: la Fondazione culvestimenti privati” a sostegno di questa par- turale di Banca Etica e Avanzi, società di ticolare categoria economica. Entro la consulenza per la sostenibilità d’impresa. scadenza del 14 settembre «sono arrivati “Soprattutto le imprese sociali più piccole contributi da imprese sociali, investitori in incontrano enormi problemi nell’accesso attività sociali, da chi opera in fondi di investimento, da geL’impresa sociale ha bisogno stori di fondi tradizionali e andi investitori responsabili, che da alcune amministrazioni felici di ricevere un ritorno tanto pubbliche», fanno sapere da sociale quanto economico

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E IMPRESE SOCIALI contribuiscono a una crescita intelligente, rispondendo con l’innovazione sociale a bisogni non ancora soddisfatti; creano una crescita durevole, prendendo in carico il proprio impatto ambientale, con una visione di lungo termine; e sono il cuore di una crescita inclusiva, grazie all’accento posto sulle persone e sulla coesione sociale”. Sono questi i meriti delle imprese sociali, descritti dalla Commissione nella Comunicazione al Parlamento europeo, presentata il 25 ottobre e intitolata: “Iniziativa per l’imprenditoria sociale. Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali, elemento chiave dell’economia e dell’innovazione sociale”. Meriti che, però, incontrano numerosi ostacoli, perché la vita per un’impresa sociale è tutt’altro che facile. “Il potenziale di crescita e di diffusione di questo modello imprenditoriale […] è limitato”, spiega la Commissione, che individua le tre cause principali: la difficoltà dell’accesso al credito, il basso riconoscimento (anche da parte di investitori) e una normativa che non considera la “diversità” delle imprese sociali. E su questi tre settori Bruxelles ha promesso di intervenire, con undici azioni chiave per favorire lo sviluppo delle imprese sociali, che saranno lanciate entro la fine del 2012.

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Il Commissario europeo al Mercato interno e ai Servizi, Michel Barnier, il 25 ottobre scorso, durante la conferenza stampa di presentazione del pacchetto di iniziative per l’imprenditoria sociale.

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al credito”, si legge nel documento inviato a Bruxelles dalla Fondazione di Banca Etica. “Quello finanziario è l’aspetto più critico per un’impresa sociale”, scrive Avanzi nel suo contributo. E continua: “Gli investitori tradizionali non sono a proprio agio con la maggior parte delle imprese sociali perché queste realtà operano in un’area di innovazione e quindi, per definizione, affrontano un rischio superiore; perché spesso sono troppo piccole per coprire i costi di valutazione e di due diligence e perché la loro gestione è guidata dai valori piuttosto che da interessi economici”. “L’impresa sociale – continua Avanzi – ha bisogno di una tipologia particolare di fornitori di capitale, per esempio investitori responsabili che sono felici di ricevere un dividendo misto, composto da un ritorno tanto sociale quanto economico”. Dalla regolamentazione europea Avanzi si aspetta un intervento, soprattutto rivolto a modificare il sistema di tassazione. “Il paradosso – si legge ancora nella risposta della società – è che le imprese sociali sono sog-

gette allo stesso regime fiscale delle imprese socialmente irresponsabili”.

Per una crescita solida La Commissione europea sembra intenzionata a trovare delle soluzioni ai problemi delle imprese sociali, per quanto riguarda l’accesso al credito, ma non solo. Il 25 ottobre ha presentato una Comunicazione al Parlamento europeo (vedi ARTICOLO a fianco), dove si legge: “Per favorire un’economia sociale di mercato altamente competitiva la Commissione europea ha posto l’economia sociale e l’innovazione sociale al centro delle sue preoccupazioni […] per la capacità delle imprese sociali di portare risposte innovative alle sfide economiche, sociali e in alcuni casi ambientali, creando posti di lavoro duraturi e poco de localizzati, integrazione sociale, il miglioramento di servizi sociali locali”. Alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa il commissario Barnier ha dichiarato: «Un modo responsabile di fare impresa produce più crescita in Europa».

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Misure per migliorare l’accesso al credito delle imprese sociali: 1. Introdurre, entro la fine del 2011, una nuova regolamentazione sui fondi di investimento sociale (considerando le risposte alla Consultazione pubblica, vedi pagina precedente). 2. Facilitare lo sviluppo del microcredito in Europa, soprattutto favorendo la nascita di una legislazione adeguata sul tema (dal 2014 al 2020). 3. Stanziare 90 milioni di euro per creare uno strumento finanziario europeo che faciliti l’accesso al credito delle im|

prese sociali (operativo dal 2014). 4. Introdurre una priorità di investimento per le imprese sociali nella regolamentazione dell’Erdf (Fondo di sviluppo regionale europeo) e dell’Esf (Fondo sociale europeo) come proposto nel pacchetto di riforme del Fondo struttuale 2014-2020. Misure per migliorare la visibilità delle imprese sociali: 5. Tracciare una mappa delle imprese sociali in Europa per identificare le buone pratiche e i modelli replicabili (dal 2012). 6. Creare un database pubblico dei marchi e delle certificazioni applicabili all’imprenditoria sociale in Europa per migliorare la visibilità e il confronto tra le diverse realtà (dal 2012). 7. Promuovere un apprendimento reciproco da parte delle amministrazioni regionali e nazionali per mettere in atto strategie integrate di supporto all’imprenditoria sociale, soprattutto attraverso Fondi strutturali (dal 2012). 8. Creare un’unica piattaforma-dati elettronica multilingue per imprenditori sociali, incubatori di impresa, investitori sociali, per pubblicizzare meglio queste realtà e migliorare l’accesso a programmi europei di sostegno all’imprenditoria sociale. Misure per migliorare la normativa riguardo l’imprenditoria sociale: 9. Semplificare le regole per redigere lo Statuto di una società cooperativa e per le fondazioni. 10. Aumentare il peso dell’elemento qualitativo nel sistema di assegnazione dei contratti nei bandi pubblici, in particolare per quanto riguarda i servizi sociali e sanitari. E inserire l’elemento delle condizioni di lavoro delle persone coinvolte nei processi produttivi (dal 2012). 11.Semplificare le regole sugli aiuti pubblici ai servizi sociali e locali, di cui potrebbero beneficiare diverse imprese sociali (dal 2012).

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Voti pesanti

Agenzie di rating: il vero problema?

TOMASO MARCOLLA

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di Luca Martino* U VALORI DI SETTEMBRE AVEVAMO DENUNCIATO GLI STRALI che molti politici indirizzano da tempo contro le agenzie di rating: davvero l’unica riforma per favorire un risanamento del sistema economico e finanziario globale è una maggior disciplina del settore del rating? Proviamo a capirlo partendo dal concetto di rating e dall’uso che se ne fa oggi nei mercati. Alcune imprese (pochissime rispetto al totale) si quotano in Borsa e, tra queste, un’altrettanto esigua minoranza (aziende con fatturato minimo pari a centinaia di milioni di euro) emette obbligazioni e altri titoli di debito di tipo cosiddetto “primario”. Di queste imprese solo le banche e poche altre istituzioni finanziarie emettono anche

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titoli di debito, di tipo cosiddetto “secondario”, per lo più collegati a operazioni di finanza strutturata e di cartolarizzazione di attivi. A questa tipologia di imprese – non più di 3-4 mila nel mondo, la maggior parte negli Stati Uniti, meno di 100 in Italia – si aggiungono gli Stati (e i Comuni, le Regioni e i vari enti nazionali di tipo sovrano), che emettono periodicamente titoli di debito di varia natura per finanziare il loro regime di spesa interno e partecipare ad alcuni enti sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Centrale Europea. Per i risparmiatori o per chiunque voglia investire in obbligazioni o altri strumenti finanziari più complessi, proposti al mercato dalle imprese e dagli enti sovrani di cui sopra, è importante disporre anche di un giudizio di merito quanto più accurato e indipendente possibile circa la solvibilità di suddette entità e l’affidabilità dei rispettivi titoli di debito. Il rating d’emittente (issuer rating, quello della Fiat per intenderci) e il rating d’emissione (issue rating, relativo a un bond specifico emesso da Fiat), quindi, non sono altro che una stima della capacità di ripianamento del debito da parte delle entità emittenti con un orizzonte temporale tipicamente di un anno.

Chi dà i voti?

vizio (per gli Stati la procedura è, diciamo, d’ufficio), e che vengono divulgati al mercato solo dopo il consenso da parte delle aziende stesse (cosa che non accade sempre, come nel caso di aziende anche piuttosto floride come l’italiana Luxottica). Tali rating, inclusi quelli degli enti sovrani e quelli d’emissione, vengono oggi assegnati e monitorati periodicamente da circa una quindicina di aziende, società pubbliche e d’interesse pubblico, ma a capitale esclusivamente privato, che, nell’accuratezza e nell’efficacia dei propri rating, hanno per così dire il loro scopo sociale: tra queste, le principali sono Moody’s, azienda americana quotata facente parte della galassia di Warren Buffet, unico investitore istituzionale che ne detiene poco più del 5%; Standard & Poor’s, anch’essa americana, controllata per intero da McGraw-Hill, leader mondiale nell’editoria di tipo economico e finanziario, e Fitch, di fatto l’unica azienda europea, essendo controllata dalla francese Fimalac, società attiva in numerosi altri servizi di consulenza nell’ambito della gestione del rischio, la cui quota di mercato è di gran lunga inferiore rispetto a quella delle due agenzie americane. Sia S&P, la più antica, che Moody’s hanno una storia centenaria, fondano le loro origini negli studi di gestione d’impresa e di

I rating cui comunemente si fa riferimento, propriamente detti public soliciI voti assegnati dalle agenzie ted issuer rating, sono valutaziodi rating indicano la capacità ni di merito che vengono ridi ripagare un debito, non sono chieste dalle stesse imprese, che consigli di investimento ne pagano i relativi costi di ser| 36 | valori |

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finanza aziendale nei quali molti economisti americani si cimentavano a partire dalla seconda metà dell’Ottocento soprattutto in relazione all’allora nascente settore delle costruzioni delle grandi ferrovie e strade transnazionali: fu infatti Henry Varnum Poor, con la sua “Storia delle ferrovie e dei canali”, pubblicato nel 1860 a gettare le basi della statistica operativa come fondamento dei modelli di gestione scientifica delle imprese, approccio che di fatto è ancora oggi tra i pilastri del processo di rating.

L’importanza attribuita al rating… Nel corso dei decenni, di pari passo con l’evolversi e lo specializzarsi degli studi e delle tecniche di analisi e di valutazione aziendale, le agenzie hanno identificato nel rating la sintesi più efficace di quel complesso processo di valutazione quanti-qualitativa dell’affidabilità creditizia, da parte di organismi indipendenti e certificati, che le stesse aziende ritenevano necessario nel relazionarsi con le banche, per la richiesta di un credito, o con il mercato, per l’emissione di un bond. Sette le macro classi di giudizio – identificate con le lettere AAA, AA, A, BBB, BB, B e CCC (ci riferiamo qui alla master scale di S&P, di più facile lettura data l’assenza di elementi alfanumerici) – attraverso cui si è arrivati a misurare il cosiddetto “merito creditizio” degli enti emittenti i vari titoli di debito, con uno spettro di giudizi che va dall’estremamente forte (AAA), all’adeguato con minimi rischi di suscettibilità al deterioramento delle condizioni economiche (BBB), fino al precario con elevata vulnerabilità all’insolvenza (CCC). In quanto all’uso che se ne dovrebbe fare, si noti che i rating non forniscono indicazioni sul “premio per il rischio” cui prezzare i titoli di debito di una specifica entità emittente, né hanno mai inteso essere raccomandazioni all’investimento o previsioni relative ai corsi azionari o ai rendimenti di

* Ha lavorato 3 anni in Standard & Poor’s, non come analista dell’agenzia di rating ma come responsabile quantitativo dei modelli per gli unsolicited rating per le piccole e medie imprese.

talune società o fondi d’investimento. A tal vi è stato quello di aver pensato ai public rating come pilastro fondamentale per i criteri fine esistono i rating Morningstar, i credit dedi controllo dell’adeguatezza patrimoniale fault swap e le equity research delle banche delle istituzioni finanziarie, introducendo d’affari, sui quali nutrirei molte più perplesperaltro, con Basilea 2, l’uso dei rating intersità rispetto ai giudizi delle agenzie di rating, ni (rating autocertificati dalle banche stesse sia in termini di accuratezza che di integrità. in relazione al proprio portafoglio impieghi), Il rating rimane un giudizio sulla capacità cui sono stati fissati parametri di ponderadi un’emittente di ripagare il proprio debito zione per il rischio troppo bassi. e come tale deve essere considerato. Il fatto che un peggior giudizio di rating sia correlato a un maggior tasso di interesse richiesto …e il peso delle agenzie dalle banche e dagli investitori per concordi rating dare specifiche operazioni di credito o che Detto ciò, a chi si chiede se i rating funziouna revisione del rating anticipi o segua un nino, è doveroso rispondere che sì, almeno corso azionario al rialzo o al ribasso è dovuquelli in uso nei mercati primari, funzionato all’uso, talvolta distorto, che il mercato fa no, anche se ovviamente non sono infallidei rating. In tal senso l’approccio che gli orbili. Non si tratta di un’opinione personale, ganismi di vigilanza dei mercati hanno adottato negli ultimi anI rating influenzano il destino ni nei confronti del rating ha di dell’economia un Paese, fatto favorito una concezione ma banche d’affari e relative sbagliata: tra gli errori più gravi lobby sono più potenti |

ma di una deduzione sulla base di dati oggettivi e inconfutabili. Studi di dominio pubblico (come pubbliche sono da tempo le metodologie di analisi adottate dalle varie agenzie) dimostrano che la frequenza di insolvenza per una categoria più “bassa”, per esempio la BBB di S&P, è superiore a quella di categorie di rating superiore, come la A. Accade da decenni, per quasi tutti i settori geografici e industriali, anche considerando la più granulare scala a 21 livelli e non a 7 (le AA+ e AA- usate da S&P per la classe AA). Ma allora, si chiedono in molti, come si spiegano i casi Enron, Parmalat, Worldcom o Lehman Brothers? In quei casi i rating non hanno funzionato perché si è trattato di vere e proprie frodi contabili, peraltro immense, ideate da grandi speculatori che hanno approfittato della complicità di dirigenti interni, consulenti e revisori e della leggerezza degli organi di vigilanza, dalle commissioni di controllo delle Borse ai dipartimenti di Stato, dal fisco fino alla magistratura, che, contrariamente alle agenzie di rating, potevano e dovevano eseguire per tempo controlli adeguati e ispezioni rigorose. Tutto da prendere come oro colato quindi quello che ci viene riportato dalle agenzie di rating? Ovviamente no, non escludo affatto la possibilità di un affinamento dei criteri o delle definizioni: ho sempre nutrito molte perplessità ad esempio sulla granularità della master scale di rating a 21 livelli oppure circa l’opportunità stessa dei rating, almeno nella loro filosofia attuale, nei mercati secondari o in settori specifici come quello sovrano o anche quello finanziario se, come è accaduto negli ultimi tre anni, le perdite di bilancio anche ingenti delle banche vengono ripianate dai rispettivi governi. Non precluderei inoltre un maggiore controllo della governance esterna e interna delle agenzie di rating, anche se va ricordato che il settore del rating è già oggi tra i più regolamentati e autodisciplinati. Ma, a chi paventa come i rating possano influenzare drammaticamente i destini dell’economia, è doveroso ricordare che, nel variegato teatro dell’economia e della finanza globale, le agenzie di rating sono davvero delle piccole comparse, al più degli attori non protagonisti, il cui impatto è infinitamente più marginale rispetto a quello, ad esempio, delle banche d’affari e delle relative lobby di potere. todebate@gmail.com

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9,3 87,6

1,9

2,6 2,3

2,2

RUSSIA BBB+ GERMANIA AAA

PORTOGALLO BBB-

ITALIA A GRECIA CC

GIAPPONE AA-

CINA AA-

0,1

SPAGNA AA

8,5

6,3

FRANCIA AAA

STATI UNITI AA+

HONGKONG AAA

65,7

JUNK SPAZZATURA

ALTAMENTE SPECULATIVO

SPECULATIVO

QUALITÀ MEDIA

QUALITÀ MEDIA INFERIORE

AA A AA + A+ AA A A BB A- AB+ BB BB + B+ BB B B B B B CC B- B- B-

RATING FINANZIARIO SECONDO STANDARD &POOR’S

MASSIMA SICUREZZA

REGNO UNITO AAA

2,1

63,9

90,5

2,2

100

CANADA AAA

QUALITÀ ALTA O BUONA

80,1

120,2

83 4,2

Un mondo di debiti

FONTE: STANDARD & POOR’S, FMI - ILLUSTRAZIONE: DAVIDE VIGANÒ

| i voti delle agenzie di rating | 229

| i numeri della terra |

di Matteo Cavallito di rating misura il rischio associato alle obbligazioni emesse dagli Stati per finanziarsi. Più il voto è basso, più l’investimento è rischioso, ovvero maggiori sono le probabilità che lo Stato non riesca a ripagare i suoi creditori. Un giudizio negativo spinge verso l’alto il tasso di interesse sui titoli, ovvero il premio richiesto dagli investitori e, ovviamente, il valore del debito stesso (maggiori interessi significa più soldi da pagare alla scadenza delle obbligazioni). La grandezza effettiva di un debito statale è misurata in rapporto al Pil. In questo senso, il debito giapponese resta il più grande del mondo, anche se la sua sostenibilità è garantita soprattutto dalla concentrazione “domestica” (il 95% dei creditori è giapponese). Un aumento dell’inflazione riduce il valore reale del debito poiché implica un deprezzamento della valuta in cui il medesimo è espresso.

I

L GIUDIZIO SOVRANO DELLE AGENZIE

SINGAPORE AAA

BRASILE BBB-

AUSTRALIA AAA

DEBITO PUBBLICO NEL 2011 IN % SUL PIL (STIME) INFLAZIONE ANNUALE NEL 2011 IN % (STIME)

.

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Una pagella sui debiti dei Paesi di tutto il mondo. A stilarla sono le agenzie di rating, da Standard & Poor’s (in questa mappa) a Moody’s, i cui voti sono di solito allineati. Da un giudizio sulla capacità di un Paese di ripagare i propri debiti derivano le scelte degli investitori internazionali e, quindi, i tassi di interesse che quello Stato si troverà a pagare. Giudizi pesanti quindi che si riflettono sulle economie nazionali. |

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economiasolidale

| economiasolidale |

Carne bovina: un settore a rischio “default” >46 Biologico, summit in Corea. Obiettivo sostenibilità >50 Dall’energia all’economia. Le vie dell’alternativa >52

| La nuova PAC |

Ritorno

sulla terra

I terreni della fattoria Di Vaira, nel comune di Petacciato (Campobasso), che segue i dettami dell’agricoltura biodinamica. Dal 2007 è gestita da un team guidato da Ecor NaturaSì.

Avviata la discussione sulla futura Politica agricola comunitaria, la sfida è assicurare il cibo all’Europa del futuro e introdurre criteri di equità:

tra grandi e piccoli produttori, tra Paesi fondatori e ultimi arrivati. Mentre la riforma diventa un po’ più “verde”. di Corrado Fontana ER COMPRENDERE l’importanza della riforma della Politica agricola comunitaria (Pac) servono i numeri. Non tanto quelli del bilancio, bensì i dati del Censimento agricolo 2010 dell’Istat, che denunciano, negli ultimi dieci anni, una perdita in Italia di 300 mila ettari di superficie agricola utilizzata (Sau) e un milione e mezzo di ettari in meno di superficie agricola totale (Sat), oltre alla chiusura del 32,2% delle aziende. E, poiché le cattive notizie non vengono mai da sole, allargando il quadro all’Europa, uno studio finanziato dal WWF Olanda del novembre 2010 (Farmland Abandonment in the EU: an Assessment of Trends and Prospects) registra l’abbandono significativo di terra coltivabile in molte parti del Vecchio Continente negli ultimi decenni, soprattutto dove era meno produttiva (aree remote e montagnose o con suoli poveri e climi rigidi), anche a causa di dinamiche speculative sulle materie prime da parte del mercato internazionale (vedi gli articoli sul land grabbing su Valori numero 92, di settembre scorso). Secondo la ricerca olandese entro il 2030 andrà perso il 3-4% del-

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P

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| economiasolidale |

| economiasolidale | ultimi arrivati, la Pac dovrebbe segnare un progresso. E, anzi, qualcuno parla addirittura di “trasformazione culturale”, viste le proposte in discussione che riconoscono l’accesso (facoltativo) a un regime di contributi dedicato alle piccole aziende. Peccato che i cinquecento o i mille euro l’anno loro destinati facciano pensare a un “contentino”. E, più che un riconoscimento della specificità di un modello produttivo, il nuovo sistema sembra una certificazione di fragilità per le aziende di piccola taglia. Ma il dibattito continua. E l’ulteriore introduzione di un tetto (capping) agli aiuti per le grandi aziende indirizza davvero verso una certa rimodulazione delle risorse (sebbene il limite a 300 mila euro sia alto e per il calcolo dei beneficiari si possano decurtare le spese per gli stipendi pagati ai salariati). Nella guerra tra gli Stati membri all’ultimo euro della torta della Pac siamo invece alle prime scaramucce: i dettagli del riparto finanziario sono, infatti, ancora da definire. L’obiettivo dichiarato del commissario Ciolos è, però, quello di uniformare le sovvenzioni per ettaro, oggi ancora calcolate in parte sulla base di “titoli storici” legati alla produzione di un decennio fa e in cui i Paesi fondatori della Ue la fanno da padrone. Il passaggio da vecchio a nuovo regime (vedi GRAFICO ), il cosiddetto fading-out, è duro da digerire per molti ed è per questo che la Commissione europea non ha ancora potuto (o voluto) fare la voce grossa: si pensi che l’Italia, che perderà intorno al 5% delle vecchie quote, può aspettare ad attuarlo fino al 1° gennaio 2019, applicandolo così solo per gli ultimi due anni di questa Pac.

Antonio Onorati (Crocevia): il futuro testo deve riconoscerne i modelli di produzione, diffusissimi in molti Stati Ue.

UNICA VERA NOVITÀ positiva, se venisse confermata, è che, per la prima volta in 50 anni di Pac, si fa una distinzione tra grandi e piccoli, pensando un regime specifico per le piccole aziende». È il commento di Antonio Onorati, presi-

«L’ | 42 | valori |

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dente di Crocevia, Ong attiva sui temi della sovranità alimentare e degli interessi dei piccoli agricoltori. Sarà una specie di rivoluzione copernicana? Sono due le linee in campo. La linea tecnocratica considera le piccole aziende un problema di cui ci dovremmo liberare e |

GLOSSARIO

ec.europa.eu/agriculture/cap-post-2013 Commissione Ue per la Pac post 2013 cap2020.ieep.eu Dibattito pubblico sulla Pac verso il 2020 www.croceviaterra.it Ong Centro Internazionale Crocevia www.domusamigas.it Rete Domus Amigas pianodelcibo.ning.com/page/piano-del-cibo-pisa Piano del cibo della provincia di Pisa genuinoclandestino.noblogs.org Campagna Genuino clandestino www.agricolturacontadina.org Campagna nazionale dell’agricoltura contadina

DUMPING: procedura di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero (mercato di importazione) ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione) del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione).

AZIENDE AGRICOLE: IN EUROPA QUANTO SONO GRANDI? IN ITALIA CI SONO QUASI SOLO AZIENDE AGRICOLE DI PICCOLE DIMENSIONI, CON MENO DI 5 ETTARI L’UNA. E IN TUTTA EUROPA LE GRANDI AZIENDE SONO COMUNQUE POCHE

IN TERMINI DI ETTARI Prevalenza di aziende agricole di piccole dimensioni (2/3 hanno meno di 5 ettari) Prevalenza di aziende agricole di medie dimensioni (2/3 hanno tra 5 e 50 ettari) Prevalenza di aziende agricole di grandi dimensioni (2/3 oltre 50 ettari) Piccole/medie (insieme raggiungono l’80%) Piccoli/grandi (insieme raggiungono l’80%) Medio/grandi (insieme raggiungono l’80%) Miste N.d.

.

Una Politica agricola per i piccoli coltivatori di Corrado Fontana

SITOGRAFIA

propone un sostegno economico di tipo assistenziale, tanto per non farle morire subito. La seconda, che noi difendiamo, e in parte sostiene anche il commissario Cioloş, individua due modelli diversificati di agricoltura in Europa: quello industriale delle grandi aziende, fondato sulla capitalizzazione forte; e quello centrato sul lavoro e sulla piccola scala, che ha bisogno di

una politica agricola mirata che riconosca loro un modo di produzione proprio. Se la Pac distinguerà produzione “industrialista” e “contadina”, questa sì sarà una vera rivoluzione copernicana. Ma tale posizione è oggi assolutamente minoritaria, nonostante i due modi di produzione coesistano in tutti i Paesi: tranne in Inghilterra, in Danimarca e in parte in Olanda, l’Europa vanta la taglia media e piccolissima (sotto i 2 ettari, ndr) come modello dominante della produzione agricola. Il modello contadino di ridotta dimensione è, addirittura, quasi esclusivo in Polonia, Romania, Italia, Spagna e Francia.

Sulla questione del tetto agli aiuti (capping) e degli agricoltori attivi, qual è la posizione dei piccoli? Bisogna cambiare completamente la logica dell’ingiusta ripartizione del sostegno comunitario: chi prende di più non accetta i tetti massimi. Sarà una lotta all’ultimo sangue. Quanto ai cosiddetti “agricoltori attivi” (chi avrà titolo per avere i soldi della Pac, ndr), il problema è complicato perché in Italia, Francia, Spagna, Romania, Polonia e, in parte, in Ungheria l’agricoltura familiarecontadina è fatta di moltissimo part-time e, quindi, il calcolo per definire “l’agricoltore attivo” è difficile. Abbiamo sempre difeso il |

fatto che l’unico riferimento serio è l’impegno di lavoro, ma bisogna mettersi d’accordo: se si parla di un impegno teorico e formale il 90% della forza lavoro delle piccole aziende rimane fuori dal conto, perché proviene dal coniuge e dai familiari. Eppure in Italia gli occupati in agricoltura sono due milioni e mezzo (comprendendo aiutanti e lavoratori a giornata): è il secondo settore di occupazione dopo lo Stato e fornisce 180 milioni di giornate di lavoro. Non proprio marginalità. Secondo il Censimento sull’agricoltura 2010 l’Italia ha un milione e 25 mila aziende a conduzione diretta del coltivatore e 46 mila salariati, cioè niente. Le

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FONTE: INDAGINE EUROSTAT FARM STRUCTURE, 2007

la superficie agricola totale della La nuova Pac introduce Ue, tra 126 e 168 mila chilomeil greening: più soldi agli agricoltori tri quadrati. Cui andrebbe agattivi nella tutela del territorio. giunto il contributo di fenomeMa l’idea non convince le Ong ni di desertificazione in alcune regioni d’Italia, Grecia, Portogallo e Spagna. stato – soprattutto per la sua timidezza – da molte Ong ambientaliste: Eeb (European Environmental Bureau), Wwf, Ifoam (InterVerde slavato national Federation of Organic Agriculture Serve insomma una riforma per trovare il ciMovements), BirdLife International, Greenbo del futuro e la Politica agricola comunitapeace, Friends of the Earth sono le principaria 2014, come la precedente, punta a farlo li. Critiche piovono sul 7% di set-aside, percon un sistema di aiuti ai cosiddetti “agricolcentuale inferiore a quello stesso 10% tori attivi” e incentivi ai giovani coltivatori. suggerito dai ricercatori e, soprattutto, acMa non solo. All’interno della prossima Pac colto dalla Ue nel 2008 e poi accantonato. è abbozzata l’adozione di criteri eco-sosteniCritiche alla mancanza di incentivi specifici bili nella distribuzione del sostegno pubbliper la rotazione delle colture, che ridurrebbe co al settore. L’hanno chiamata greening (letl’impoverimento dei terreni. Critiche al teralmente “inverdimento”) ed è una piccola mantenimento dei sussidi per l’agricoltura rivoluzione. In base al greening le aziende intensiva e di forme di aiuti mirati a deteragricole riceveranno un 30% in più di conminate produzioni, che gli Stati membri potributi se rispetteranno tre parametri impotranno destinare anche ai biocarburanti o ad sti: la diversificazione delle coltivazioni (mialtre pratiche poco sostenibili. Critiche all’inimo tre, suddivise in due quote massime stituzione di fondi per coprire i rischi ecodel 70% e 25%, e una minima del 5%); il nomici, che potrebbero disincentivare gli mantenimento di prati e pascoli permaneninvestimenti in pratiche positive nella lotta ti; la destinazione di un 7% della superficie ai cambiamenti climatici. Critiche al manad aree di interesse ecologico (il cosiddetto tenimento di prati e pascoli permanenti, set-aside). Chi non rispetterà queste norme – che scatta solo nel 2014, lasciando perciò il anche se le sanzioni sono tutte da definire – tempo di convertirli prima a seminativi. Criperderà la “quota verde” e, a seconda della tiche, infine, al sistema sanzionatorio ancogravità della trasgressione, vedrà una decurra vago e all’assenza di aiuti dedicati alle aree tazione proporzionale del contributo base. “Natura 2000”, cioè habitat di pregio ecceLa grande novità positiva è però che tutte le zionale per la flora e la fauna in Europa. aziende certificate biologiche saranno ammesse in automatico e di diritto a beneficiare di questi contributi “verdi”. Nuovi equilibri cercansi Lo spirito eco-compatibile della Pac non Anche in tema di riequilibrio tra grandi e convince tutti, però, ed è fortemente contepiccoli produttori e tra Paesi Ue fondatori e


| economiasolidale |

| economiasolidale | BUDGET PER LE SPESE AGRICOLE STANZIAMENTI 2014-2020

MILIARDI DI € (A PREZZI COSTANTI 2011)

I pilastro - pagamenti diretti e spese di mercato 281,8 II pilastro - sviluppo rurale 89,9 Sicurezza alimentare 2,2 Aiuti agli indigenti 2,5 Riserva per le crisi del settore agricolo 3,5 Fonde europeo di adeguamento alla globalizzazione 2,5 Ricerca e innovazione nel settore alimentare e dell’agricoltura 4,5 TOTALE 386,9

Tre idee a confronto.

di Corrado Fontana BBIAMO CHIESTO a un agricoltore, un rappresentante dei Gruppi d’acquisto solidale e un ricercatore come i Gas potrebbero costituire un sostegno strategico per la sopravvivenza dei piccoli produttori e se tale ruolo di “cuscinetto contro la crisi” sia già una realtà e con quanta consapevolezza sia vissuto dai protagonisti di questa relazione. Ecco le loro risposte:

A

54.974

54.118

55.862

57.405

PESO DELLA PAC SUL BILANCIO EUROPEO (%)

39%

53.252

38%

52.199

37%

51.165

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36%

35%

50.152

34%

Quali sono, dunque, gli agricoltori attivi a cui dobbiamo prestare attenzione? Primo discrimine è la taglia. Vanno escluse tutte le aziende grandi, che, con i soldi della Pac, coprono più della metà del reddito familiare. In Italia le aziende che prendono più di 75 mila euro ricevono, in media, un contributo comunitario che rappresenta più del 60% del loro reddito. Per i piccoli, che prendono meno di 5 mila euro, i contributi comunitari rappresentano meno del 3,5% dei redditi aziendali. Bisogna capovolgere questa proporzione. Il blocco duro dell’agricoltura italiana è l’agricoltura familiare, diretto-coltivatrice. Punto. Il cosiddetto greening va in questa direzione… Nella bozza di riforma le parole chiave ci | 44 | valori |

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Antonio Onorati, presidente di Crocevia, ong impegnata nella sovranità alimentare e in difesa dei piccoli agricoltori

TEMPO DI VACCHE MAGRE. PAROLA DI DE CASTRO

IL 36% DELLE RISORSE comunitarie fino al 2020. 435,5 miliardi di euro in 7 anni. Questo è il peso complessivo della futura Politica agricola comunitaria (Pac): non proprio una voce di dettaglio nel bilancio dell’Europa a 27 Stati. Mesi di discussioni e votazioni al Parlamento, che si sono riversate nel lavoro della Commissione europea e hanno prodotto le prime proposte legislative, presentate il 12 ottobre scorso in pompa magna dal commissario per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale Dacian Ciolos. La struttura del provvedimento è la stessa dell’edizione precedente: con un primo pilastro, che tratta gli aiuti diretti agli agricoltori ed è finanziato in toto dalla Ue, e un secondo co-finanziato dagli Stati membri e dedicato allo sviluppo rurale, che comprende anche la ricerca e l’innovazione attraverso i cosiddetti Programmi di sviluppo rurale. La vera battaglia comincia ora e durerà fino all’entrata C.F. in vigore del testo definitivo il 1° gennaio 2014. E oltre.

SONO LE PAROLE di Paolo de Castro, presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale al Parlamento europeo, a delineare lo scenario in cui nasce la sfida della Pac 2014-2020: «Siamo in epoca di scarsità, in cui il mondo v a a caccia di terra e la compra in Africa per assicurarsi la produzione di cibo di domani. Non ci possiamo permettere nessun abbandono. Anzi, dobbiamo stare attenti a non utilizzare il terreno per altri scopi che non siano l’agricoltura e a non creare distorsioni con le energie rinnovabili, che sottraggono cibo all’alimentazione dell’uomo e degli animali d’allevamento. La domanda mondiale cresce ora a un ritmo sempre più sostenuto rispetto all’offerta. Non possiamo pensare C.F. a una Pac che non tenga conto di questo squilibrio».

Puntare sulle esportazioni non serve? Il protezionismo non è una parolaccia. Il mercato interno oggi è devastato dal fatto che è una copia del mercato globale, controllato da pochi grandi distributori. Ora che il mercato delle materie prime è governato dalla speculazione finanziaria è ragionevole pensare a una riconversione dell’agroalimentare europeo basato su materie

prime e prodotti trasformati europei. Un esempio banale: la provincia di Roma ha un import che varia tra 500 e 700 milioni di euro di prodotti agro-alimentari, grosso modo un terzo del valore totale dell’agricoltura della regione. Vorrei un capitalismo vero, che funzioni, in cui il mercato è il mercato. Non i monopoli sorretti con i soldi pubblici.

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2020

2019

2018

2017

2016

2015

PAC 2014-2020, EUROPA SUL CAMPO

sono tutte. Ma dobbiamo garantire la sovranità alimentare diminuendo la capacità di esportazione, di cui non abbiamo bisogno e che decresce da sola. E dare la priorità all’agricoltura familiare direttocoltivatrice spinta verso una sostenibilità ambientale, economica e sociale (benché a quest’ultima voce la riforma non faccia alcun riferimento preciso). |

2014

2013

33%

aziende agricole con una superficie agraria utile sono un milione e 79 mila.

Gas, risorsa anticrisi Come aiutare la piccola agricoltura?

«Da anni, ormai, i Gas pongono al centro della loro azione il sostegno a quelle piccole realtà contadine che sarebbero altrimenti destinate a soccombere, per via di una politica agraria comunitaria che favorisce l’agroindustria e non ha a cuore le sorti dell’agricoltura contadina. Personalmente non smetterò mai di ringraziarli perché la mia sopravvivenza come agricoltore è strettamente legata al mondo dei gruppi d’acquisto: il consorzio che abbiamo costituito quattro anni fa (Legallinefelici) vende quasi esclusivamente a loro. In merito alla consapevolezza, va detto che il “mondo Gas” negli ultimi anni è cresciuto assai, aggregando molte persone che non è detto che siano immediatamente coscienti dell’effetto “politico” della loro azione». Roberto Li Calzi, Arcipelago Siqillyàh

«Il contributo dei gruppi d’acquisto solidale può essere decisivo come “attivatori di filiere agricole autosostenibili”, basate sul consumo vicinale (km zero, agricoltura periurbana), sulla programmazione degli acquisti (con le cassette settimanali), la trasparenza dei costi e la partecipazione al rischio d’impresa (attraverso pagamento anticipato), che possono fare a meno dell’assistenza pubblica. Questi temi sono ancora “nella testa” di una minoranza di “gasisti”, ma la loro diffusione è cominciata: la nascita del Coordinamento lombardo per la terra e per il cibo (al festival Kuminda il 15 ottobre scorso), l’esperienza del Centro sperimentazione autosviluppo-Domus amigas in Sardegna e il Piano del cibo pisano rappresentano, tra gli altri, importanti segnali». Giuseppe Vergani, Distretto di economia solidale (Des) Brianza

«Oggi non siamo in grado di quantificare il reale peso di queste esperienze. Considerato però che ogni Gas comprende in media fra 20 e 50 famiglie, si può dire che rappresentano una buona parte di economia a sostegno dei piccoli produttori. Rispetto alle altre forme di acquisto collettivo, ritengo che sia proprio nel Dna dei Gas di cui parliamo la volontà di sostenere le piccole produzioni locali, che rischiano sempre più di restare sganciate dai territori, anche a causa di azioni di dumping portate avanti dalle grandi imprese dell’agroindustria. È estremamente chiara la consapevolezza che il sostegno reale alle produzioni locali passa dai nostri consumi». Mario Coscarello, Centro Studi per lo Sviluppo Rurale - università della Calabria |

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| economiasolidale | made in italy a rischio | nona puntata | Mucche “fortunate” al pascolo nel parco FanesSennes-Braies con vista sul gruppo del Cristallo.

Carne bovina: un settore a rischio “default”

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6.152,5

61

92.9

62,5

Toscana

Marche

72,3

Umbria

Abruzzo

298,7 Lazio

266,1

Sardegna

48,3 183,5

Molise

Puglia

452,3

Campania

94,7

Basilicata

IL PATRIMONIO BOVINO ITALIANO DATI IN MIGLIAIA DICEMBRE 2010

116,2 Calabria

354

Sicilia

I CONSUMI DEGLI ITALIANI

Allevatori price takers Niente di strano, in un settore in cui il numero medio di capi nelle aziende del Centro-Sud sfiora quota 40 e negli allevamenti intensivi delle regioni settentrionali 200400 capi. In gergo li si definisce price takers: gli allevatori non hanno possibilità di influenzare il prezzo imposto da altri anelli

KG/ANNO PRO CAPITE

25,5 24,5 23,5 22,5 21,5 2010

Emilia R.

Liguria

2009

Italia

560,4

14,8

2008

Veneto

828,9

Piemonte

2007

Lombardia

2006

94 820,3 Friuli V.G.

1.512,4

2005

182,8

Trentino A.A.

2004

NON CE NE VOGLIANO gli allevatori. Ma se i consumi di carne scendono c’è chi tirerà un sospiro di sollievo: la comunità scientifica è ormai concorde nell’affermare che l’abuso di carne (in particolare quella rossa dei ruminanti perché ricca di grassi trans) arreca più danni che vantaggi. Il messaggio è: va bene mangiarla, ma non più di tre porzioni a settimana. Vari studi epidemiologici hanno, infatti, evidenziato un aumento dei rischi cardiovascolari del 27% per chi fa diete ricche di grassi trans. «Ma il rischio maggiore – spiega Carlo La Vecchia, capo di Epidemiologia all’Istituto Mario Negri di Milano – è un incremento dei tumori al colon e all’intestino. Anche perché chi abusa di carne, di solito consuma poco pesce e verdura». C’è poi il problema dell’impatto ambientale degli allevamenti: oltre un quarto delle terre emerse è usato per nutrire il bestiame. E dal 1960 oltre un quarto delle foreste del Centroamerica è stato abbattuto per lasciar spazio ai pascoli. Una “bovino connection” culminata con l’omicidio del raccoglitore di gomma Chico Mendes, assassinato per una disputa sull’uso della foresta pluviale. A questo si aggiunge che la metà dell’acqua dolce consumata negli Usa è destinata a coltivazioni per il bestiame: 3.200 litri d’acqua per ogni chilo di manzo. «L’impronta ecologica di una persona che mangia carne – spiega Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance – è di 4 mila metri quadrati di terreno contro i mille di un vegetariano. E allo stato attuale, la disponibilità di terra Em. Is. coltivabile per ogni abitante è di 2.700 metri quadrati».

36,4

Val d’Aosta

della catena. E, nella filiera, di anelli ce ne sono molti: «Il canale di vendita principale – spiega Borelli – rimane il macellatore, che ha un peso molto forte nel determinare il prezzo di acquisto dell’animale. E in alcune realtà esiste ancora la figura del mediatore». Alla fine della filiera c’è poi la grande distribuzione. Sugli scaffali dei supermercati, e più ancora dei gettonatissimi discount, i prodotti italiani si scontrano con la concorrenza, spesso a prezzi inferiori, delle carni estere, il cui import nell’ultimo decennio è in graduale e costante aumento (a fronte di un export fermo a 157 mila tonnellate): l’anno scorso si è attestato su 713 mila tonnellate, l’88% da altri Paesi Ue. Francia, Olanda e Germania fanno da traino. Subito dietro, la Polonia, che ha decuplicato le quantità esportate (vedi GRAFICO ).

2003

POCA, MA BUONA. SALUTE E AMBIENTE RINGRAZIANO

E le voci che, da inizio anno, stanno causando il forte innalzamento dei costi sono i mangimi (+20%) e l’energia (+7%). «Quando i prezzi dei prodotti salgono, anche quelli degli input aumentano. Quando scendono, i costi si contraggono più lentamente». In parole povere: se si comparano costi di produzione e ricavi della carne venduta («il prezzo riconosciuto all’allevatore è fermo più o meno ai livelli del 1989», rivela Borelli) allevare mucche risulta un’attività antieconomica. «Siamo l’unico Paese – denuncia Adinolfi – in cui nell’ultimo anno i redditi agricoli sono scesi del 12%, mentre in Francia e Germania sono saliti del 4%. Scontiamo una struttura organizzativa rimasta ferma a 30 anni fa e un tessuto composto da moltissimi piccoli produttori ed esportatori che non hanno adeguato potere contrattuale rispetto alla Gdo (grande distribuzione organizzata, ndr)».

2002

Consumi, costi di produzione, remunerazione del lavoro, concorrenza estera, accesso al credito. Non c’è una, delle voci appena citate, che possa far tirare un sospiro di sollievo a chi alleva mucche, vitelli e vitelloni. In Italia si mangia sempre meno carne: è la prima verità con la quale fare i conti. E il calo non sembra (solo) una conseguenza della crisi economica. Nel 2010 il consumo pro-capite si è attestato a 23,5 kg (nel 2000 era di oltre 25): appena un chilo in più del picco negativo del 2001, in piena sindrome da mucca-pazza (vedi GRAFICO ). «Il calo è strutturale, frutto di un cambio di abitudini e della convinzione che troppa carne faccia male», commenta Umberto Borelli. «Certo – aggiunge Giorgio Apostoli, responsabile

2001

«S

Un tunnel con poche luci

2000

di svolta: o riusciremo a valorizzare le produzioni nazionali oppure, entro i prossimi dieci anni, rischiamo di perdere un settore». Olio, vino, latte, formaggi, pesce, pollo, pane, birra. E ora la carne bovina. Nella poco invidiabile classifica delle filiere agroalimentari a rischio, è probabilmente quest’ultima ad aggiudicarsi il primo posto sul podio. Le parole di Umberto Borelli, responsabile Zootecnia della Confederazione italiana agricoltori, fotografano lo stato d’ansia in cui versano i produttori e la condizione di un settore in cui i punti di forza rischiano di soccombere sotto il maggior peso degli aspetti critici. Perché il rischio default, in questo caso, è tutt’altro che un’ipotesi accademica. IAMO A UN PUNTO

FRANCESCA DE VINCENZI

di Emanuele Isonio

Zootecnia di Coldiretti – la stagnazione economica spinge all’acquisto di carni meno costose. Si può scoprire il livello di benessere economico di un Paese, leggendo i consumi di carne bovina». E, infatti, nell’ultimo anno, i consumi di carne suina sono passati da 38 a quasi 40 chili e quella avicola ha sfondato quota 20 chili. Lungi da noi l’idea che per salvare un settore ci si debba trasformare in voraci carnivori. I costi sanitari e ambientali sono ingenti e ormai acclarati (vedi BOX ). Ma per i produttori è un fattore con cui fare i conti. Così come ci si deve confrontare con un aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi di produzione. «Il settore bovino è tra i più esposti al fenomeno della volatilità dei prezzi», spiega Felice Adinolfi, docente di Economia ed Estimo rurale all’università di Bologna e membro dell’ufficio studi del Parlamento europeo. «Gli allevamenti hanno un’alta intensità di input». La spesa per l’alimentazione e per l’energia rappresenta oltre il 60% dei costi totali (vedi GRAFICO ). Nel 2011, i costi aziendali hanno fatto segnare un aumento medio annuo del 14,8%.

FONTE: ELABORAZIONE ASSOCARNI SU DATI DELL’ANAGRAFE BOVINA NAZIONALE

Consumi in calo strutturale, costi di produzione in salita, prezzi riconosciuti agli allevatori fermi ai livelli del 1989, rapporti con le banche sempre più complicati. E così la sopravvivenza di molti produttori è legata ai premi Pac, che presto però saranno drasticamente ridotti.

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La filiera “Pac-dipendente” A complicare la situazione c’è poi un rapporto sempre più complicato con il sistema creditizio: «La riduzione dei margini di profitto – spiega Borelli – ha portato alla chiusura di molte stalle e bloccato i processi di investimento di molte altre. Oggi il settore ha una forte esposizione nei confronti delle banche che detengono circa il 60% del valore delle aziende». «A me non risulta – obietta Adinolfi – che il settore zootecnico sia uno dei più esposti. Non c’è dubbio però che, con Basilea 2 e la scomparsa del credito agrario, ottenere finanziamenti è diventato più difficile anche perché il merito creditizio delle aziende di allevamento è di fatto stato declassato». Fare investimenti diventa una corsa a ostacoli: «Dal 1° gennaio 2013 – continua Adinolfi – dovremo rifare le gabbie per aumentare il benessere degli animali. Mi domando: senza credito, come faranno molte aziende a far fronte ai costi? ». Ad alleviare la situazione dei nostri allevatori ci pensano i premi Pac. Che oggi – rivela un’indagine europea – rappresentano anche il 30% del reddito di un’azienda zootecnica. Ma che ben presto cambieranno. Perché l’obiettivo della nuova Pac è di azzerare i premi speciali entro il 2019 e di adot-

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| economiasolidale | anni tre ministri dell’Agricoltura, che si presentano a Bruxelles con posizioni spesso diametralmente opposte l’uno dall’altro (Zaia contrario al pagamento delle multe delle quote latte, Galan favorevole) non aiuta ad aumentare la credibilità italiana al tavolo dei negoziati.

Politica agricola comune non sono ancora definitive. E i negoziati tra gli Stati proseguono alacremente. Tutto dipenderà da quanto i rappresentanti del governo italiano sapranno far valere le ragioni dei 140 mila allevamenti italiani. Certo, il fatto di aver cambiato in quattro

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COSTO MEDIO DI PRODUZIONE DEL VITELLONE PESANTE (2009)

LA CONCORRENZA SLEALE CHE FA IMPENNARE I PREZZI LO AVEVAMO GIÀ DENUNCIATO nei precedenti numeri di Valori: per agricoltori e allevatori c’è un ostacolo in più con il quale fare i conti nella lotta per sopravvivere. La tendenza ad affittare terreni per scopi non alimentari è un fenomeno in crescita: per collocare pannelli fotovoltaici; per produrre biomasse da trasformare in energia; per spargere i liquami in eccesso prodotti dagli allevamenti intensivi. Una tendenza deleteria per almeno tre motivi: sottrae terreni all’agricoltura; fa innalzare i prezzi d’affitto; inaridisce la terra con monocolture. «Il fenomeno si avverte da ormai 4-5 anni – rivela Umberto Borelli di Confagricoltura – e sta portando a un aumento dei costi. Non solo degli affitti di terreni privati, ma anche delle basi d’asta dei terreni pubblici». «Un ettaro di terreno in Lombardia, Veneto e Friuli arriva a costare anche il 50% in più. I produttori di energia da biomasse possono permettersi affitti più alti grazie agli incentivi che ricevono per produrre energia pulita. È una vera piaga che rischia di destrutturare il settore», ammette Giorgio Apostoli, responsabile Zootecnia di Coldiretti. «Ma se usiamo terreni per coltivazioni che poi vengono ridotte a biomasse sovvertiamo l’ordine naturale delle cose. Produciamo cibo che non è destinato a sfamare le persone». La soluzione ci sarebbe. E non appare nemmeno troppo assurda: «Gli usi non alimentari dei terreni agricoli non dovrebbero essere permessi», commenta l’economista Felice Adinolfi. «I contributi per produrre biogas ed energia dallo smaltimento dei reflui sono sacrosanti. Ma andrebbero limitati solo alle biomasse prodotte in autoconsumo». In pratica, niente incentivi se affitti un terreno per piantarci mais da usare negli impianti di biomasse. Altrimenti che green economy è? Em. Is.

NUOVA PAC: PIETRA TOMBALE SULLA ZOOTECNIA ITALIANA?

VOCI DEL COSTO

€/KG

Alimentazione Carburanti ed energia Spese veterinarle Altri costi* Costl diretti (esclusi salari) Lavaro familiare Lavoro salariato Lavoro Ammortamento macchine** Ammortamento fabbricati Ammortamenti Interessi sul capitale di anticipazione*** Interessi sul capitale fondiario Interessi sul capitale agrario Interessi passivi Costo totale al netto del costo di ristallo Acquisto bestiame Costo lordo totale Premi PAC Costa netto totale

1,23 0,08 0,08 0,22 1,61 0,13 0,16 0,29 0,06 0,05 0,11 0,03 0,03 0,01 0,07 2,08 0,51 2,59 0,84 1,95

%

47,5 3,1 3,1 8,5 62,1 5,0 6,2 11,2 2,3 1,9 4,2 1,2 1,2 0,4 2,7 80,3 19,7 100,0 24,7 75,3

FONTE: ELABORAZIONI CRPA

tare nuovi criteri di erogazione (vedi BOX ). Una spada di Damocle sul settore italiano, che già così ha margini di guadagno piuttosto risicati. «Senza quegli aiuti – rivela Adinolfi – il rischio dismissione per molte aziende è più che reale». Le norme che comporranno la nuova

* Escluso concimi, sementi, contoterzismo, ecc. ** Escluso macchine operatrici per la foraggicoltura. *** Interessi al 1,1% sul capitale di anticipazione.

Urge una filiera che premi la qualità Risparmio dei costi e aumento del valore dei prodotti: la riconversione bio aumenta i guadagni del 30%. di Emanuele Isonio

C’

tramandati da padre in figlio, finché Giuseppe, ultimo di molti discendenti, ha creato un’attività imprenditoriale all’avanguardia. La fattoria Sansoni, sei anni fa, ha abbracciato la strada del biologico. La riconversione, per

CAMBIA LA PAC E I RICAVI VANNO GIÙ EURO/CAPO

IPOTESI D’IMPATTO ECONOMICO SU ALLEVAMENTO IN VENETO CON 1200 ANIMALI 2013 2014 2015 2016 2017

Costo Prezzo di acquisto - Pagamento unico (Pac) - Art. 68 Ricavo Utile/perdita netto Utile/perdita lordo

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1.799 1.631 15 13 1.659 -168 -139

FONTE: ANALISI CRPA

ERA ANCORA il Papa Re quando la famiglia Sansoni, dinastia della nobiltà papalina, iniziava il proprio rapporto con la terra. I suoi territori di Nepi sono poi stati

l’azienda laziale, ha rappresentato una via di fuga dai problemi economici e dalla crisi di profitti. «La nostra terra – racconta il titolare Giuseppe Sansoni – è molto adatta al pascolo. La scelta del bio era naturale, anche perché volevamo smarcarci dalla filiera tradizionale». Che spesso costringe a vendere gli animali a prezzi inferiori ai costi di produzione. «Ci pagavano le vacche 4/5 euro al chilo. A quelle cifre – ammette Sansoni – i bilanci non quadravano. Il biologico offre possibilità commerciali decisamente migliori e riconosce la qualità e la sicurezza delle produzioni».

Biologico uguale risparmio In effetti, per le sue caratteristiche, il meto-

CON I NUOVI SISTEMI DI CALCOLO, i premi per gli allevatori italiani potrebbero ridursi del 90%. Una condanna a morte per molte aziende che già oggi hanno ricavi minimi. Più che a un temporale, somiglia alla tempesta perfetta. Il testo definitivo del regolamento comunitario sarà approvato solo fra qualche mese. Ma già gli analisti concordano che la riforma Pac, stando alle bozze che circolano, rappresenterà una novità nefasta per il futuro del settore bovino italiano, che già oggi deve la sua sopravvivenza agli aiuti comunitari. I nuovi criteri di erogazione dei premi in discussione a Bruxelles contengono novità molto negative per i nostri allevatori. Per capirne l’entità basta dare un’occhiata alla TABELLA nella pagina a fianco, in basso, estratta da uno studio che il Crpa (Centro ricerche produzioni animali) presenterà a Roma a metà novembre. Fino al 2013, con le vecchie norme Pac, i premi Ue aumentano di quasi il 10% i ricavi per ogni animale venduto (da 1.631 euro a 1.790), trasformando perdite per 140 euro a capo in utili di 18 euro. E dando un po’ di ossigeno alle casse degli allevatori. Dal 2014 tutto questo cambierà. I premi scenderanno da 145 a 29 euro ad animale. E poi, ancora a 25, 20 e 15. In pratica un crollo del 90% entro il 2017. A quel punto, invece di 18 euro di utili, si avranno 139 euro di perdite. Una contrazione così radicale degli aiuti comunitari è dovuta alla modifica delle regole su cui si calcola l’importo degli aiuti: «Dal 2014 si abbandonerà il sistema dei riferimenti storici – spiega Claudio Montanari, ricercatore di Crpa – che ripartiva i pagamenti in funzione delle quantità di carne prodotte nel periodo 2000-2002. Da quel momento, i plafond a disposizione per i premi saranno redistribuiti in modo omogeneo». Oltre a questo, ci saranno due criteri: saranno premiate le aziende in funzione degli ettari di terreno posseduti e gli allevatori delle regioni più svantaggiate. Due requisiti entrambi negativi per l’Italia: perché gli allevamenti intensivi, soprattutto al Nord, usano pochissima terra e nell’Est Europa le condizioni economiche sono peggiori. Infatti, di anno in anno, i premi continueranno a scendere. «La riforma Pac – commenta Umberto Borelli della Confagricoltori – rischia di essere un colpo mortale per i nostri allevatori». «Siamo alla vigilia di un cambiamento epocale», aggiunge Felice Adinolfi, economista dell’università di Bologna e membro dell’ufficio studi dell’Europarlamento. «Già oggi, con aiuti dieci volte maggiori di quelli futuri, Em. Is. i ricavi delle aziende sono spesso prossimi allo zero. Senza la Pac i redditi crolleranno». do biologico assicura un risparmio nei costi cati di alcune realtà della grande distribuzione e soprattutto nelle mense collettive, aziendali: «Il bio – spiega Caterina Santori, che rappresenterebbero un grande volàno di del comitato direttivo di Aiab – obbliga a far pascolare gli animali e così si riducono i co- crescita», rivela Santori di Aiab. C’è poi la questione delle incombenze sti di manodopera. La metà dei mangimi deburocratiche: un’infinità di obblighi imposti ve arrivare dagli stessi terreni della fattoria e così si risparmia nelle spese (sempre più al- dagli organismi di controllo. «La mancanza te) di alimentazione. Tutto questo fa calare i di una filiera dedicata è un problema reale, costi del 25%. Ai quali si aggiunge almeno ma il più grosso è quello dei controlli». Il miun altro 5% derivante dal maggior prezzo nistero delle Politiche agricole delega la verifica dei requisiti per la certificazione biologipagato per le produzioni biologiche». ca a organismi indipendenti. «Anche se i La carne biologica però oggi è ferma al riferimenti normativi sono gli stessi (i rego5% delle vendite in Italia. Il settore è giovalamenti Ue 834/2007 e 889/2008), ogni cerne (si è diffuso in Italia da una decina d’anni) e vari aspetti ne ostacolano la crescita. Su tificatore li interpreta a modo proprio. Una tutti l’assenza di una filiera strutturata: burocrazia micidiale che cela la mancanza di competenza da parte di molti tecnici. Po«Non riusciamo a vendere i nostri prodotti alla grande distribuzione – ammette Sanso- co addestrati e con pochissima esperienza, nascondono la propria incompetenza dieni – l’unica via è la vendita diretta, che sta dando ottimi risultati e ci permette di saltare intermediari». A frenare la crescita del settore, «Stiamo lavorando per riuscire a l’eccesso di obblighi burocratici, diffondere tali prodotti nei nespesso imposti da controllori gozi specializzati, nei supermercon scarsissima esperienza |

tro check list sempre più minuziose», denuncia Caterina Santori.

Aumentare il potere contrattuale Ma non tutti sono convinti che il bio, su larga scala, possa rappresentare una soluzione per il settore zootecnico. «Vendite dirette e carne bio sono idee affascinanti, ma anche dove sono più sviluppati, come negli Usa, rappresentano solo nicchie marginali del retail (vendita al dettaglio, ndr)» spiega l’economista Felice Adinolfi. «Piuttosto sarebbe utile agire sul profilo organizzativo. Il sistema cooperativo ha aiutato, ma le difficoltà sono evidenti. Abbiamo troppi piccoli soggetti e il loro potere contrattuale è inesistente. Il caso-carne non è dissimile da quello delle arance: in Sicilia la produzione è pari a quella dell’intera Spagna. Ma da noi abbiamo 500 piccoli esportatori. In Spagna sono 3 o 4. E questo facilita gli accordi. Possibile che in Italia arrivino container cinesi pieni di roba e debbano ripartire vuoti?».

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| intervista | economiasolidale |

Biologico Summit in Corea Obiettivo sostenibilità

Walter Ganapini, ex presidente di Greenpeace, da poco nominato presidente di Sisifo Italia, in un incontro con Giovanni Paolo II.

state come Vita o Valori per far crescere il consumo responsabile. È necessario diffondere tra i consumatori la consapevolezza del loro ruolo nell’indirizzare le scelte delle aziende.

Al congresso Ifoam di Namyangju il biologico si conferma uno dei settori anticrisi e rilancia la lotta ai cambiamenti climatici allargando l’impegno sull’impatto ambientale. I Sistemi di garanzia partecipata infiammano il dibattito.

Che cosa si fa oggi in Italia per la sostenibilità ambientale? Dal punto di vista della tutela dell’ambiente non siamo mai stati male come oggi. Abbiamo assistito a una distruzione sistematica delle normative e degli strumenti di tutela dell’ambiente, insieme agli organi di controllo, come le agenzie per l’ambiente.

di Corrado Fontana SE A DOVERSI CERTIFICARE fosse chi inquina l’ambiente, impiega pesticidi chimici e lascia i terreni svuotati delle sostanze vitali, invece che i contadini che praticano la sostenibilità? La domanda è rimasta solo nell’aria al congresso mondiale di Ifoam (il movimento mondiale dell’agricoltura biologica) il mese scorso a Namyangyu (Seoul), in Corea del Sud. Ma, in tre giorni di workshop e sessioni tematiche, visita alle aziende agricole locali e votazioni per l’elezione dei nuovi organi direttivi, la kermesse è andata ben oltre, mettendo a confronto le varie anime del biologico: dagli agricoltori ai certificatori, dalle associazioni scientifiche a chi commercia i prodotti della terra. Prospettive diverse, eppure concordi nel registrare la crescita sostanzialmente uniforme del settore nei cinque continenti anche per il 2011: 37 milioni di ettari di terreni certificati; 1 milione e 800 mila aziende in 160 Paesi (erano 86 nel 2000); un valore di mercato di circa 40 miliardi di euro. Tutto tranquillo, allora? In verità, ad agitare le acque sono emersi almeno due temi di dibattito: i Sistemi di garanzia partecipata (vedi Valori del mese scorso) e la sostenibilità. I cosiddetti Pgs (Participatory guarantee system) hanno infatti acceso la discussione sulla trasformazione dei certifica-

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GLOSSARIO CDM (Clean Development Mechanism). Il meccanismo di sviluppo pulito è previsto dal Protocollo di Kyoto (art. 12) e permette alle imprese dei Paesi industrializzati con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo e senza vincoli di emissione.

SITOGRAFIA

www.ifoam.org www.aiab.it www.viacampesina.org tori professionali da “controllori” a “facilitatori”: un cambio di ruolo che li rende utili a guidare le comunità rurali nell’apprendere e attuare in semi-autonomia il modello agricolo biologico. Non solo. Attraverso processi di certificazione meno “istituzionalizzati”, i Pgs aprono il biologico a soggetti più fragili (contadini poveri e territori distanti dai circuiti della certificazione) e sembrano capaci di rinsaldare le reti sociali esistenti o crearne di nuove. Quanto invece all’obiettivo della sostenibilità, il dubbio dei delegati Ifoam è stato: come fare un passo avanti, sapendo che i principi ispiratori del movimento sono più

CONTRADDIZIONI COREANE LA COREA è un Paese conosciuto per l’Ict (Information & communication technology) e per tassi di crescita straordinari, ma oggi comincia a porsi anche il problema della gestione ambientale, dell’aria e dell’acqua, ritagliandosi anche un ruolo di fornitore di cibo di qualità. Ma restano forti contraddizioni: nei giorni del congresso Ifoam, mentre veniva inaugurato il Namyangju Organic Museum, forse il primo museo al mondo dedicato all’agricoltura biologica, il movimento degli agricoltori biologici coreani perdeva la battaglia contro la costruzione di una diga (Four Rivers Restoration Project).

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ambiziosi delle pratiche acquisite e che ci sono difformità sui livelli di sostenibilità delle diverse aree e delle pratiche locali. Andrea Ferrante, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica, riconfermato vicepresidente di Ifoam, sottolinea che «bisogna superare il concetto del “residuo zero”, che non è pari all’aspettativa delle persone che richiedono il nostro sforzo nella lotta ai cambiamenti climatici, nella preservazione del paesaggio e della vitalità delle comunità rurali. Stiamo lavorando bene sulla biodiversità, ma meno su diritti sociali, acqua, energia». E, soprattutto, conclude: «Attenzione che il mercato dei crediti di carbonio rischia di essere uno strumento in mano alle istituzioni finanziarie per entrare massicciamente in agricoltura e generare altra attività speculativa, come sta avvenendo sulle commodities agricole (le materie prime, ndr), penetrate strutturalmente negli interessi degli hedge funds». Non per nulla Ifoam, che riconosce ai piccoli produttori biologici un contributo essenziale diretto (nella riduzione di emissioni di CO2) e sempre più articolato (sostenendo la biodiversità e praticando la sostenibilità sociale) contro il climate change, a Namyangyu ha messo tutto nero su bianco. Con la mozione sulla “esclusione dell’agricoltura dai meccanismi di mercato dei crediti di carbonio” si impegna a condurre attività di advocacy (tutela, ndr) contro un impiego distorto del mercato del carbonio, ricordando che meccanismi quali il Cdm (Clean Development Mechanism) «stanno già contribuendo a incrementare la pressione sulle terre dei piccoli produttori in molti Paesi in via di sviluppo per massimizzare la mitigazione dei cambiamenti climatici».

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Sostenibilità è vivere oggi con un occhio sul domani

Quali sono le principali emergenze da affrontare nel nostro Paese? Innanzitutto l’erosione di territorio. La cementificazione/impermeabilizzazione dei suoli raggiunge livelli inquietanti, anche a causa di condoni e regimi fiscali “al servizio” dei bilanci pubblici. Nel 2000 l’Autorità di bacino del Po calcolava che, solo per evitare potenziali perdite di vite umane per il dissesto idrogeologico, al Nord occorrerebbero investimenti per oltre 7 miliardi di euro; di più al Centro-Sud, dove il dissesto è più grave.

L’Italia affronta la tutela dell’ambiente a mani nude. «Non abbiamo più strumenti per difenderlo», denuncia Walter Ganapini. di Elisabetta Tramonto

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NA VITA DEDICATA alla difesa del-

l’ambiente. Walter Ganapini, ex presidente di Greenpeace Italia, cofondatore di Legambiente, ex membro dell’Agenzia europea per l’ambiente e, dal 2008 al 2010, assessore all’Ambiente della regione Campania, da un mese è stato nominato presidente di Sisifo Italia, agenzia specializzata nella comunicazione “stratetica” (strategica ed etica), nell’organizzazione di eventi a basso impatto ambientale e nella responsabilità sociale d’impresa, da un mese nel gruppo editoriale Vita. Con Ganapini abbiamo discusso di sostenibilità e dei problemi ambientali dell’Italia.

ambientale. Significa democrazia: non c’è sostenibilità senza condivisione e partecipazione. Significa etica, superando il limite culturale, non solo italiano, in base al quale, come spiegano i sociologi, la persona umana ragiona su questioni vicine a sé nel tempo e nello spazio. L’ambiente è legato a grandi cicli naturali, necessita di guardare lontano nel tempo e nello spazio. Ma sostenibilità significa anche propensione all’innovazione, ripensando i processi produttivi per renderli puliti. La “sostenibilità” è anche usata dalle imprese per ripulire l’immagine… Il green washing è una pratica diffusa a livello internazionale, da parte di aziende che cercano di rivestire un prodotto sporco con un vestito pulito. È fondamentale il lavoro di te-

Sostenibilità, un termine di cui si è spesso abusato. Che cosa significa? Disegna un concetto di sviluppo che consenta alle future generaLa prima emergenza zioni un accesso alle risorse pari a ambientale che l’Italia deve chi li ha preceduti. È un tavolo a affrontare è l’erosione del suolo. tre gambe: sociale, economica e A rischio vite umane

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Quali politiche pubbliche servono? Serve un piano di manutenzione del Paese, altrimenti rischiamo di rendere irreversibile la distruzione del patrimonio paesaggisticoarchitettonico, risorsa preziosa riconosciuta anche dal mercato globale. Bisogna creare economie di presidio attivo e valorizzazione produttiva dei versanti appenninici e alpini, ridurre i prelievi lapidei da alvei fluviali e cave collinari/montane e di pianura (promuovendo il riciclo a materiali da costruzione di detriti di demolizione ed altri residui certificati), bloccare insediamenti in aree a rischio esondazione. Dovremmo prendere esempio dalla Germania, dove è vietato costruire ove già non edificato, imponendo così il riuso e la salvaguardia dei suoli. O dalla Francia, che ha introdotto la deduzione dal reddito imponibile di tutti i costi per il recupero del già costruito; l’Iva al 5,5% per opere di manutenzione di case con almeno 2 anni di vita, ed ecoincentivi per interventi di efficienza energetica in case costruite prima del 1990.

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| economiasolidale | Altre immagini del Parco dell’energia rinnovabile. A destra il fondatore, Alessandro Ronca, accoglie gli ospiti, che potranno diventare parte attiva del progetto tramite un'iniziativa di azionariato popolare.

A sinistra, il Natural Hotel del Parco dell'energia rinnovabile in Umbria. In alto, il mega impianto fotovoltaico di Castelfidardo, che sarà ampliato nei prossimi mesi (vedi BOX in basso).

Il Natural Hotel sorto tra Amelia e Todi è una struttura ricettiva che unisce soluzioni di risparmio energetico e fonti pulite

Dall’energia all’economia Le vie dell’alternativa Un Park hotel delle rinnovabili, una cittadella del fotovoltaico, una Onlus del solare: inizia il viaggio di Valori alla scoperta delle buone pratiche industriali. Redditizie, a basso impatto e capaci di proporre un modello economico partecipativo. di Valentina Neri abbandonato: poco più di un rudere in mezzo a un terreno di una decina di ettari sulle colline fra Todi e Amelia, in provincia di Terni. Inizia da qui un nuovo viaggio di Valori tra le buone econo-

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N VECCHIO CASALE

mie: una carrellata di esempi concreti di chi è riuscito a mettere in pratica un’economia diversa, redditizia e attenta all’ambiente. Un pizzico di ottimismo in un momento difficile per il nostro Paese. E non solo. Su ogni numero affronteremo un te-

CRESCE ANCORA LA CITTÀ FOTOVOLTAICA DI CASTELFIDARDO LA CHIAMANO “cittadella fotovoltaica”: ed è un esempio di come, anche producendo oggettistica per la casa in plastica, si possa dare un contributo alla tutela dell’ambiente. Si tratta dell’impianto fotovoltaico a tetto costruito da Energy Resources per gli stabilimenti del Gruppo Tontarelli a Castelfidardo (Ancona). I lavori sono iniziati nei primi mesi del 2010 e lo scorso settembre è stato annunciato un ulteriore ampliamento dell’impianto, che così crescerà ancora di circa tremila metri quadrati, raggiungendo – nell’arco di un paio di mesi – una superficie di oltre 60 mila metri quadrati: in pratica dodici campi da calcio ricoperti da pannelli fotovoltaici ad alta efficienza. Per l’installazione sono stati sfruttati i tetti di due capannoni industriali, bonificandoli dall’amianto, e le pensiline del vicino piazzale, riducendo al minimo l’impatto sull’estetica e la vivibilità degli spazi. Con questo ampliamento, che darà una potenza addizionale di 500 Kw, l’energia generata raggiungerà i 7,6 Mw complessivi, portando la struttura di Castelfidardo ai primi posti fra gli impianti fotovoltaici a tetto italiani. Attualmente la classifica è guidata dalla maxi-installazione da 12,3 Mw sul tetto del’interporto di Padova. Ma il fattore più importante senza dubbio è che, in questo modo, saranno evitate 5 mila tonnellate di sostanze nocive all’anno.

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ma diverso, questo mese tocca alle energie rinnovabili, raccontate partendo da tre esperienze concrete.

Parco e hotel ma non solo Una decina di anni dopo quel terreno è diventato il Parco dell’energia rinnovabile (Per) e quel casale è il Natural Hotel. Un progetto diverso da una comune struttura ricettiva. Il punto focale è l’energia, tema declinato in un modo del tutto personale che, precisa il fondatore Alessandro Ronca, «è solo una delle strade possibili, diametralmente opposta a quella che generalmente viene proposta da ingegneri e tecnici». Si parte, infatti, dal presupposto per cui l’energia, così come il denaro, sia molto più facile da risparmiare che da produrre. Per questo l’albergo è un edificio passivo (ovvero non ha bisogno di impianti di riscaldamento convenzionali), completamente isolato a livello termico. E per i consumi è stato scelto un ap-

In alto, due impianti costruiti da Retenergie a Savigno (Bologna) e a San Giuliano Monzese (Milano).

CITTADINI IN RETE PER L’ENERGIA PULITA ANCHE IN UN AMBITO a primo acchito “ostico” come quello dell’energia, non mancano le persone che vogliono diventare protagoniste delle proprie scelte. Lo dimostra la storia di Retenergie, che nasce a partire dall’esperienza “Adotta un kilowatt”, promossa dalla Onlus Solare Collettivo e culminata nella costruzione di un impianto fotovoltaico da 20 Kw a Mondovì, in provincia di Cuneo. Nel 2008 Retenergie fa un passo avanti e assume lo status di cooperativa. I suoi soci sovventori, versando una quota minima di 500 euro, finanziano la costruzione di impianti fotovoltaici, microidroelettrici ed eolici. Cinque quelli già realizzati; fra quelli in costruzione invece si annovera, ad esempio, un’installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di una scuola media in provincia di Savona. Una volta costruiti gli impianti, la missione dichiarata è quella di vendere ai soci la stessa energia che hanno contribuito a produrre, dando vita a una sorta di circolo virtuoso. E si può aderire anche solo come utenti (o “soci cooperatori”), versando una quota minore, pari a 50 euro. Tuttavia, spiega il presidente Marco Mariano, questo è «un obiettivo niente affatto semplice a livello burocratico e di gestione: contiamo di raggiungerlo in quattro anni». Per ora, quindi, per la distribuzione Retenergie si appoggia a un soggetto esterno, scelto sulla base di precisi criteri di sostenibilità sociale e ambientale: e garantisce un prezzo di favore ai propri soci che optano per questo fornitore. Perché, precisa Mariano, «la liberalizzazione ha permesso di poter cambiare operatore in modo facile e veloce: ma sono davvero in pochi a saperlo». I soci hanno anche la possibilità di diventare parte attiva dell’altro progetto della cooperativa, il Gruppo d’acquisto fotovoltaico. La logica è la stessa di qualsiasi Gas: un gruppo di persone o famiglie vogliono costruire per uso privato un impianto fotovoltaico e scelgono di collaborare per mettere in comune le conoscenze e ottenere prezzi più contenuti. www.retenergie.it

ti gli altri usi basta raccogliere la pioggia. proccio “orizzontale”, che, invece di sfruttare in misura intensiva una tecnologia, ne affianca diverse, tutte su piccola scala. L’acqua Verso un Per condiviso calda è assicurata da tre tipi di collettori soNon si può dire che ai fondatori del Per lari; l’elettricità arriva da un mini-generatomanchi lo spirito d’iniziativa. Quindi non re eolico e dai moduli fotovoltaici integrati stupisce che abbiano scelto di puntare in alnei tetti e sotto la costruzione è installata to: cercando, a partire dal loro esperimento, una sonda geotermica. Alcune pompe, alimentate da moduli Gli ideatori hanno lanciato una fotovoltaici, trasportano l’acqua campagna di azionariato diffuso: potabile dall’acquedotto posto bastano 50 euro per acquistare 1.200 metri più a valle e per tutuna quota dell’azienda |

di creare un piccolo modello economico alternativo. «Ad oggi il Per – spiega Ronca – è il risultato di un’interpretazione assolutamente personale di quello che sono le energie rinnovabili: è una sperimentazione sul campo che finora ha ottenuto buoni risultati, ma al tempo stesso è migliorabile dalla collettività». In questa direzione va la campagna di azionariato popolare lanciata in questi giorni, che permette, con cinquanta euro, di assicurarsi un cinquantamillesimo del Per. I tanti proprietari (privati, enti e associazioni, soltanto nella misura di una quota a testa) saranno costantemente informati sugli aspetti economici e di consumi e, durante i loro soggiorni, riceveranno consulenze energetiche gratuite. I promotori hanno faticato non poco per trovare una veste giuridica a un’idea inedita come questa. Ma si tratta di uno sforzo che, a detta loro, vale la pena di compiere. «Proprio le piccole dimensioni – continua Ronca – sono state il nostro limite: con quest’evoluzione, invece, creeremo innanzitutto posti di lavoro. Inoltre vogliamo sfruttare i tanti suggerimenti che già arrivano dai nostri ospiti, che spesso si appassionano al tema delle rinnovabili, cercando, nel proprio piccolo, di trovare soluzioni innovative. Gli “azionisti” saranno dunque liberi di mettere a disposizione la propria professionalità e candidarsi alle varie cariche, anche mettendo in discussione le figure di noi fondatori». www.per.umbria.it

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internazionale

| internazionale Spagna/Indignados. La partecipazione rappresentanza >58 Egitto: il rischio che il futuro sia uguale alsenza passato >58 E se ilin Sudafrica nazionalizzasse banche? >60 >60 Elezioni Nicaragua: sempre e sololeDaniel Ortega Crisi archiviata per i ricchi Cile, capolavoro liberista >63del Pianeta >62

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Ajdabiyah, 27 marzo 2011: la bandiera francese viene fatta sventolare sopra i resti di un carrarmato appartenente alle forze fedeli al colonnello Gheddafi.

La mia

Africa

Neocolonialismo in salsa francese La Francia agisce nel Continente africano con un vantaggio pregresso e con metodi già sperimentati. In competizione con la Cina per le materie prime. di Raffaele Masto è solo la più appariscente. La Francia in Africa non accetta affatto di perdere punti e postazioni. Anzi, reagisce e a volte esce vittoriosa. La semplificazione secondo cui, all’alba del terzo millennio, in Africa ci sono solo, o quasi, le imprese pubbliche e private cinesi è, appunto, uno schematismo che non rispecchia affatto la realtà. Basta guardare la vicenda libica: la Francia ci guadagna il fatto di essersi aperta la possibilità di investimenti in un Paese – ricco e vicino, sull’altra sponda del Mediterraneo – nel quale con Gheddafi non aveva quasi spazio. In Libia il protagonismo francese ha avuto una grande visibilità, ma in tutto il Continente a Sud del Sahara, Parigi negli ultimi anni non è stata da meno.

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A VICENDA LIBICA

SUHAIB SALEM / REUTERS

Aréva e l’uranio del Niger

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In Niger, per esempio, ha ingaggiato una “guerra all’ultimo sangue” con la Cina per il controllo delle immense miniere di uranio di cui il Paese è il più grande produttore mondiale. E alla fine l’ha vinta. Quando il Niger

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L’appoggio della Francia a uomini impresentabili

di cacao, buone miniere di oro nel Nord e ora – dopo le ultime prospezioni – anche con ricchi giacimenti di greggio. C’è poi la vicenda della Costa d’Avorio, un Ci sono poi Paesi nei quali la Francia tempo la perla dell’impero coloniale francenon ha mai perso la sua influenza da vecse in Africa. In questo Paese Parigi ha guidachia Madre patria anche a costo di sosteto la cordata della comunità internazionale nere uomini impresentabili, ma fedeli: il contro il presidente uscente Laurent GbagTogo nel quale il presidente è un certo Faubo, che, pur avendo perso le elezioni, non voleva lasciare il potere. La Francia ha ap- re Eyadéma, figlio dell’eterno presidente Eyadéma, al potere fino alla morte, per olpoggiato il suo rivale, Alassane Ouattara, e tre quaranta anni. Stessa storia ha ottenuto dall’Onu il consencon il Gabon, ricco Paese petroLIBRI so a intervenire militarmente lifero. Oggi il presidente, sostecon le proprie truppe a sostegno nuto e caldeggiato in campagna del presidente eletto. Alla fine elettorale, è il figlio di Omar Alassane Ouattara si è insediato Bongo, anche lui al potere per e, dopo alcune settimane di ben 42 anni. Altro presidente guerra civile, Laurent Gbagbo è indubbiamente filo-francese è stato arrestato e i suoi miliziani Raffaele Masto quello del Congo ex Brazzaville, resi inoffensivi. Ora Parigi e le Buongiorno Africa. Denis Sassou Nguesso, anche sue imprese hanno tutte le creTra capitali cinesi lui con qualche decennio di denziali per presentarsi dal pree nuova società civile potere sulle spalle, mantenuto sidente Ouattara, che è a capo di Edizioni Bruno con l’alta protezione, nemmeun Paese più che allettante: Mondadori, 2011 no troppo celata, di Parigi. maggiore produttore mondiale

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ROUGIER

BNP PARIBAS

BOUYGUES

CFAO

TUNISIA

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MAROCCO

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ACCOR

BOLLORÉ

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EGITTO

VINCI BNP PARIBAS

CFAO

BNP PARIBAS

ROUGIER BNP PARIBAS

GEOCOTON BOLLORÉ

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SOCIETÉ GÉNÉRALE

SAHARA OCCIDENTALE

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TOTAL

BOLLORÉ

CASTEL

CASTEL

TOTAL

TOTAL

LE PRINCIPALI IMPRESE FRANCESI IN AFRICA

SOCIETÉ GÉNÉRALE

BOLLORÉ

BOUYGUES

ACCOR: ALBERGHIERO, VIAGGI, RISTORAZIONE

SOCIETÉ GÉNÉRALE BNP PARIBAS TOTAL

BNP PARIBAS

ARÉVA

ARÉVA: NUCLEARE, ENERGIA

ACCOR

MAURITANIA

BNP PARIBAS: BANCARIO

BOLLORÉ

EDF

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CFAO

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BOLLORÉ: LOGISTICA, PIANTAGIONI, TRASPORTI, COMUNICAZIONE

BOLLORÉ

SUDAN CASTEL

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BOLLORÉ

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CASTEL

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GAMBIA SENEGAL

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BURKINA FASO

GUINEA BISSAU

ETIOPIA

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CFAO

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BOLLORÉ

TOTAL

NIGERIA

BOLLORÉ

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GHANA

REPUBBLICA CENTRAFICANA

BOLLORE

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CFAO ACCOR

EDF: ENERGIA CASTEL

ACCOR

GÉOCOTON: COTONE

BOLLORÉ

BOLLORÉ

ROUGIER: LEGNAME UGANDA

GUINEA EQUATORIALE

SOCIETÉ GÉNÉRALE

BNP PARIBAS

CASTEL: BEVANDE CFAO: DISTRIBUZIONE FARMACEUTICA, AUTOVEICOLI, CONTROLLATA DEL GRUPPO PINAULT

CFAO

COSTA D'AVORIO

BOLLORÉ

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GUINEA

BOUYGUES: COSTRUZIONI, TRASPORTI, TELECOMUNICAZIONI. ENERGIA E SERVIZI

CASTEL

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SOMALIA

SOCIETÉ GÉNERALE: BANCARIO, ASSICURATIVO

TOTAL

ACCOR BOLLORÉ

ACCOR

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BNP PARIBAS

BOLLORÉ

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SOCIETÉ GÉNÉRALE

BOUYGUES

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ACCOR

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VEOLIA: ACQUA, SERVIZI AMBIENTALI

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

BOLLORÉ

BNP PARIBAS BNP PARIBAS

VINCI: COSTRUZIONI, CONCESSIONI.

KENYA

RUANDA BOLLORÉ

TOTAL: PETROLIO E GAS

CFAO

CFAO

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GABON

SOCIETÉ GÉNÉRALE

CFAO

Gli investimenti diretti francesi sono tornati a crescere negli ultimi tre anni. Nelle materie prime e nei servizi.

VEOLIA

ROUGIER

LIBIA

BOLLORÉ

Safari d’impresa da Parigi al Continente africano

LE NUOVE BANDIERE DEL COLONIALISMO

VINCI

BOLLORÉ

BOUYGUES CFAO

VEOLIA VINCI GEOCOTON

BOLLORÉ

CFAO

TANZANIA

ANGOLA

CASTEL CASTEL

SOCIETÉ GÉNÉRALE

CASTEL CFAO

CFAO

GEOCOTON

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CFAO BOLLORÉ

CASTEL ROUGIER

ROUGIER

ZAMBIA

TOTAL BOLLORÉ

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SOCIETÉ GÉNÉRALE

SOCIETÉ GÉNÉRALE

ARÉVA

ACCOR

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CASTEL CFAO

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TOTAL BOLLORÉ

BOLLORE BNP PARIBAS

MADAGASCAR

VINCI

GEOCOTON CFAO

FONTE: ELABORAZIONE DI VALORI

cercò il miglior acquirente sul mercato nigerino si presentarono, oltre naturalmente alla francese Aréva (presente storicamente nel Paese), anche multinazionali dall’India, dal Sudafrica, dal Canada, dall’Australia e, soprattutto, dalla Cina. Parigi, che non poteva permettersi di rinunciare all’uranio nigerino, ottenne, al doppio del prezzo applicato precedentemente, in regime di quasi monopolio, il diritto di prospezione (analisi preventiva del terreno) e sfruttamento da parte di Aréva, del più importante sito minerario, quello di Imouraren, una superficie di otto chilometri di lunghezza e due e mezzo di larghezza. Si tratta della più grande miniera africana di uranio e il maggior progetto industriale mai realizzato in Niger, con la creazione di poco meno di 1.500 posti di lavoro e un investimento di un miliardo e 200 mila euro. Certo la Francia non è più sola, come in passato. I cinesi hanno infatti ottenuto diritti di prospezione e sfruttamento su altri importanti territori, ma Parigi ha mantenuto la posizione.

BOLLORÉ

MOZAMBICO

NAMIBIA

CFAO

BOLLORÉ

CFAO

ZIMBABWE

di Federico Simonelli

CASTEL

SOCIETÉ GÉNÉRALE

BOLLORE

CASTEL BOUYGUES

BNP PARIBAS

BOLLORÉ EDF

OUYGUES, Vinci, Cfao, Rougier,

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i dati forniti dalla Banca di Francia, gli investimenti diretti del Paese in Africa sono tornati a crescere negli ultimi tre anni.

Total, Castel, Dagris. E poi chiaramente Bolloré e CmaCgm, Veolia, Accor, Air France, Bnp PariBen collocata nei Paesi bas, Société Générale. E ancora i giganti più promettenti Aréva e Edf. No, non è la lista delle blue chip Nel 2009 i flussi d’investimento hanno sudell’indice di Borsa parigino, anche se poperato i 60 miliardi di dollari. Attualmente, co ci manca. Sono le società francesi presecondo Africa attractiveness review 2011 di senti da anni in Africa. Ernest & Young, la Francia è fra i primi cinColossi e non, che nei decenni hanno que investitori esteri nella Repubblica deconsolidato il loro potere nel Continente mocratica del Congo, in Egitto, Marocco, africano. Se sono lontani i tempi in cui, duNigeria, Senegal, Tunisia e Uganda. Paesi rante la guerra fredda, i gruppi francesi controllavano più della metà dei mercati in Gabon, Costa d’AvoLibération a settembre ha rio, Camerun o Senegal, negli pubblicato una lettera del Cnt ultimi anni stiamo assistendo a libico che prometteva il 35% del un ritorno di fiamma. Secondo petrolio in cambio dell’appoggio | 56 | valori |

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che, secondo la società di revisione contabile, offriranno le migliori opportunità di investimento estero in Africa nei prossimi cinque anni. Fra i colossi d’oltralpe uno dei più attivi è Aréva, il leader mondiale dell’energia nucleare. In Africa la società statale realizza il 2% del suo fatturato globale, con presidi in Costa d’Avorio, Namibia, Niger, Sud Africa, Sudan. Gli investimenti più pesanti sono proprio quelli nelle miniere di uranio nigerine: Aréva qui estrae circa un terzo del minerale di sua competenza. Uno dei risultati più importanti è l’accordo con il Governo di Niamey per il giacimento di Imouraren: un investimento iniziale da 1,2 miliardi di euro per una produzione a regime di 5 mila tonnellate.

Total realizza il 32% della produzione in Africa Altro peso massimo è quello di proprietà di Vincent Bolloré. Il socio di Mediobanca è il numero uno della logistica nel Continente con la sua Bolloré Logistics Africa. Nonostante lo stop forzato in Costa d’Avorio, la divisione nel primo semestre 2011 ha realizzato un giro d’affari di 965 milioni, in crescita del 2,4% rispetto al 2010. Il settore della logistica negli anni è cresciuto a scapito di quello delle piantagioni, gestite tramite Socfin, che comunque mantengono il loro valore. Nel primo semestre 2011 il risultato netto della divisione ha superato i 100 milioni. Poi ci sono gli idrocarburi, con Total. Il colosso transalpino del petrolio realizza in Africa il 32% della sua produzione ed è il

CFAO

ROUGIER

BOTSWANA

BOLLORÉ

CFAO SOCIETÉ GÉNÉRALE

ROUGIER EDF

ARÉVA

BOLLORÉ

SWAZILAND

ACCOR

TOTAL

TOTAL

BOUYGUES ROUGIER VEOLIA

BNP PARIBAS ROUGIER SOCIETÉ GÉNÉRALE

VINCI TOTAL

VEOLIA

SUD AFRICA CASTEL

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VINCI

primo distributore di prodotti raffinati. L’anno scorso la società de la Défense ha realizzato investimenti in conto capitale nel continente per 4,8 miliardi. Ricavi totali in Africa per il comparto Oil &Gas: 12,5 miliardi. Uno dei mercati più fiorenti è quello algerino, dove la Francia continua a mantenere rapporti privilegiati. Ma anche la vicina Libia, dove il peso di Eni è (forse meglio dire era) ben maggiore di circa quat|

tro volte, costituisce un boccone ghiotto, con i suoi 40 milioni di greggio stipati nel sottosuolo. Non a caso a settembre Libération ha pubblicato una lettera in cui il Cnt prometteva alla Francia il 35% del petrolio libico in cambio della sua leadership militare al fianco della ribellione. Le smentite sono fioccate da tutte le parti, ma il dubbio resta. E la lista delle francesi d’Africa non termina qui: ci sono le miniere d’oro in Ghana, l’idroelettrico in Burkina, le telecomunicazioni. I tempi del pré-carré (cortile di casa) africano non sono poi così lontani.

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Il rischio che il futuro sia uguale al passato Prime elezioni dopo la caduta di Mubarak: il 28 novembre si vota per il rinnovo della Camera bassa.

Il meccanismo elettorale sembra fatto apposta per permettere agli uomini del vecchio regime di riciclarsi nel nuovo Parlamento. di Federico Simonelli ne, ma le scelte fatte nel periodo successivo sono state sbagliate. Per questo credo che sia davvero importante la transizione del potere con le elezioni». A pensarla come l’autore di “Palazzo Yacoubian” in Egitto sono in tanti ed è per questo che le manifestazioni e gli scontri, a fronte del rischio di una nuova deriva autoritaria da parte del Consiglio militare, nelle ultime settimane sono all’ordine del giorno. Tra cui la carneficina durante una manifestazione di copti nel quartiere Maspiro della capitale, con dinamiche ancora tutte da chiarire, fra chi parla di conflitto confessionale e chi invece ci vede un segnale della crescente repressione poliziesca.

Un’economia in stallo In questo Paese di 82 milioni di abitanti, con un’età media di 24 anni, la rivoluzione è solo il primo passo di un lungo cammino. Ma ora all’instabilità politica rischia di saldarsi, nuovamente, quella economica. Il Fondo monetario internazionale, nel suo ultimo rapporto sul Paese, ha dipinto un quadro preoccupante: la crescita rallenta, il debito pubblico sta

IL PAESE IN CIFRE Popolazione: 82 milioni Confessione religiosa: 90% musulmani, 9% copti, 1% altre fedi cristiane. Età media: 32,7% della popolazione da 0 a 14 anni; 62,8% da 15 a 64 anni; 4,5 % over 65. Incremento demografico: +1,96% nel 2011. Popolazione urbana: 43,4% del totale. Alaa-Al-Aswany, lo scrittore egiziano autore di Palazzo Yacoubian, grande successo editoriale pubblicato nel 2002, dai contenuti fortemente critici verso il regime di Mubarak. Nelle altre foto Il Cairo.

Tasso di alfabetizzazione: 71,4% complessivo. L' 83% degli uomini sa leggere e scrivere, contro il 59,4% delle donne (dato 2005). Pil (Ppa): 497,8 miliardi di dollari nel 2010 Crescita Pil: +5.1% nel 2010 Stima 2011 (fonte Fmi) +1,5% Composizione Pil: 14% agricoltura, 37,5% industria, 48,3% servizi Tasso di disoccupazione 2010: 9%; giovanile: 24.8%; fra le donne: 47.89% (dato aggiornato 2007)

FONTE: CIA - THE WORLD FACTBOOK

FEDERICO SIMONELLI

«Q

UESTA É TUTTA GENTE

che ha corrotto e rovinato la vita politica in Egitto per trent’anni. Se ne devono andare. Il Consiglio militare però su questo punto non dice nulla». Alaa Al Aswany è il più noto scrittore egiziano, ma non ha abbandonato la sua professione originaria di dentista. Avvolto in un camice blu, nel suo studio al quarto piano di un palazzo di El Diwan, al Cairo, poco distante dall’ambasciata italiana, aspira una boccata dall’ennesima sigaretta. Il dottor Al Aswany si riferisce al progetto di legge elettorale che il consiglio militare egiziano, al potere dalla caduta di Mubarak, sta mettendo a punto in vista delle elezioni, le prime libere dopo trent’anni di regime. Salvo imprevisti (e non è detto che non ce ne siano) la prima tornata elettorale, quella per la Camera bassa, si terrà a partire dal 28 novembre. La bozza di legge, approvata nelle scorse settimane, prevede un 70% di voti di lista e un 30% di voti per i candidati individuali: una scelta fortemente condannata da molti dei nuovi movimenti politici, i quali temono che, così facendo, gli uomini del vecchio regime possano riciclarsi nel nuovo Parlamento. «Il problema – continua Al Aswany – è che il Consiglio militare non ha il concetto chiaro della rivoluzione. Hanno supportato la rivoluzio-

MOVIMENTO 6 APRILE: «LIBERTÀ DI OPINIONE, MA NON SULL’ESERCITO»

IL SINDACATO: «ABUSO DI CONTRATTI BREVI E SALARI BASSI»

AHMED MAHER, 31 anni, è uno dei più noti attivisti e rivoluzionari egiziani. Fondatore del movimento 6 aprile, ha avuto un ruolo centrale nelle proteste che hanno portato alla caduta di Mubarak. «Dobbiamo solo continuare a lottare», spiega seduto a un tavolino del noto caffè El Bostan del Cairo. Come vedi il futuro dell’Egitto? Stiamo vivendo un periodo di transizione. Abbiamo gli stessi squilibri e instabilità di altri periodi post rivoluzionari: c’è poca sicurezza, cattive condizioni salariali. Ma abbiamo una particolarità: lo Scaf (il Consiglio militare) che sta chiaramente cercando di mantenere il potere. Per questo la nostra rivoluzione deve andare avanti. Ci vorranno forse due o tre anni, ma riusciremo a raggiungere i nostri obiettivi. Cosa farà il Movimento 6 aprile per le elezioni? Parteciperete? No, non siamo un partito politico. Ma non siamo neanche una Ong, siamo qualcosa che sta a metà strada. Una delle scelte più contestate dello Scaf è quella di estendere la legge di emergenza. Le ultime manifestazioni indette contro questa legge però non sono state molto partecipate. Non credo sia un problema. Abbiamo cominciato le nostre manifestazioni, anni fa, con cinque o sei persone. E a gennaio in piazza eravamo milioni. Anche se ci sarà poca gente per strada noi continueremo a non rispettare la legge. Quello che mi preoccupa di più è il periodo elettorale, quando temo che la giunta cercherà di usare il pugno di ferro: ma sarà una scelta pericolosa perché noi continueremo a lottare. E loro lo sanno. Come sono cambiate la libertà di parola, di opinione, di stampa, dopo la rivoluzione? Ora si può dire più o meno ciò che si vuole. Ma da un paio di mesi il Consiglio militare sta tirando il freno. Vorrebbero F. S. che si potesse parlare di tutto ma non dell’esercito.

CINQUANTASEI ANNI, corporatura minuta, sguardo deciso e gentile. Kamal Abbas con il suo Ctuws (Center for trade unions and workers service), una Ong che si batte per i diritti dei lavoratori, da più di vent’anni fornisce servizi, assistenza legale, cure, fa quello che dovrebbe fare il sindacato ufficiale invece corrotto e controllato dal regime. Per questo è finito numerose volte in carcere, subendo interrogatori e torture. Ora sta giocando un ruolo centrale nella nascita dei nuovi movimenti dei lavoratori. Lo incontriamo in un ufficio vicino a piazza Tahrir. Mr. Abbas, a che punto crede che sia il cammino dell’Egitto verso la democrazia? Siamo in un periodo di transizione, non possiamo dire che le richieste del popolo siano state soddisfatte. Ci sono leggi ingiuste che non sono state abolite, come quella sulla libertà di associazione, non abbiamo ancora avuto elezioni libere. Insomma siamo all’inizio di un cammino. Il Governo che promesse vi ha fatto? Il ministro del Lavoro ha annunciato una legge per rendere libere le associazioni dei lavoratori. In seguito a ciò una serie di sindacati indipendenti ha cominciato a organizzarsi. Fatto sta che la legge per ora non l’abbiamo vista. Quali sono le condizioni del lavoro in Egitto? È una situazione complicata: c’è abuso di contratti a tempo determinato e nel settore privato questo si unisce a un’estrema facilità di licenziamento. I salari sono bassi. Manca poi una contrattazione collettiva, per cui c’è scarso dialogo fra le parti. Il sindacato ufficiale controllato dallo Stato, l’Etuf, è entrato in un processo di dismissione. Chi prenderà il suo posto? Spero i sindacati indipendenti... Sono molti quelli che stanno nascendo in questi mesi? Sì e con tanti problemi da affrontare: il più grosso è la sfiducia che in questi decenni i lavoratori hanno maturato nei confronti dei sindacalisti, visti come pedine nelle mani dello Stato. F. S.

raggiungendo livelli di guardia e gli investimenti stranieri non ripartono. Nel 2011, secondo l’Fmi, l’economia egiziana crescerà solo dell’1,5% e il 2012 rischia di fare poco meglio. Il clima di incertezza post rivoluzione ha portato a una fuga degli investitori. Gli investimenti diretti esteri, secondo le proiezioni della Banca centrale egiziana, rischiano un crollo del 67,6% a quota 2,2 miliardi di dollari, rispetto ai 6,7 dell’anno fiscale 2010-2011. «Il Pil – ha spiegato al quotidiano Al Masry Al Youm, Angus Blair, capo economista della banca d’investimento egiziana Beltone financial – deve crescere dal 5 al 7% annuo, o non si riescono ad assorbire i nuovi ingressi nel mondo del lavoro». Nel frattempo l’inflazione rimane elevata (al 10,9% l’anno prossimo secondo un monitoraggio Reuters), ma i salari minimi restano fermi, intorno ai 700 pounds egiziani (circa 80 euro). Per non parlare del crollo del turismo, un

settore che dà lavoro al 10% della popolazione: nel primo trimestre dell’anno si è quasi dimezzato e per fine 2011 rischia un calo del 25%. Nello splendido mercato medioevale di Khan El Kalili, il più famoso del Cairo, i turisti si contano sulla punta delle dita. «C’è meno lavoro, questo è un dato di fatto», spiega Ahmed trentadue anni, studente dell’Università Al Ahzar con una figlia e un lavoro da aiutante in un negozio di vasellame. «Da quando Mubarak è caduto il turismo è diminuito e molta gente fa fatica ad arrivare a fine mese, io sto a galla perché ho il supporto della mia famiglia. Ci sarebbe bisogno di un nuovo inizio, di fare riforme, di creare posti di lavoro, invece ogni venerdì si va in piazza Tahrir».

Manifestazioni contro il potere dei militari Eppure le manifestazioni e il dissenso per tanti egiziani, anche per quelli lontani dalla poli|

tica, sono indispensabili. La paura è che con un Consiglio militare sempre più arroccato sulle sue posizioni si finisca peggio di come si stava prima. «Ci troviamo nel guado – racconta la dottoressa Seif, archivista della American University del Cairo – tutti hanno paura che il Consiglio militare da temporaneo diventi permanente e anch’io lo temo. Per questo penso che ci saranno altri confronti di piazza in futuro». I segnali in questo senso non mancano. Nella notte di sangue del 9 ottobre qualcosa si è rotto: secondo alcuni è la paura, che ha portato in piazza i copti, tradizionalmente abbastanza distanti dall’attivismo. La polizia ha fatto una strage, ma loro non si sono fermati. «Quello che è successo – ha scritto su internet il noto blogger Sandmonkey – è l’inizio della fine del potere dei militari. I giorni del governo dello Scaf sono contati. E non perché non lo vogliano più, ma perché non hanno altra scelta».

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TRA ALBA E CAFTA, ALLA RICERCA DEL RILANCIO ECONOMICO

Nicaragua Sempre e solo Daniel Ortega

IL 23 FEBBRAIO DEL 2007 il Nicaragua ha aderito formalmente all’Alba, il programma della Alternativa Bolivariana para América promosso dal presidente venezuelano Hugo Chávez. Tra gli effetti dell’accordo, l’avvio di esportazioni di greggio a prezzo scontato da Caracas a Managua (su un totale di oltre 40 mila barili al giorno), ma anche la costituzione di una joint venture petrolifera (Albanisa) tra i due Paesi. Parte dei proventi di quest’ultima finanziano la costruzione di infrastrutture nell’ambito di programmi di sviluppo sociale con risultati a quanto pare apprezzabili, nonostante l’ancora scarsa trasparenza delle operazioni (vedi BOX ). Secondo le stime della Banca centrale di Managua, il valore complessivo degli investimenti effettuati da Caracas nel Paese centroamericano tra il 2007 e il 2010 corrisponde a circa 1,6 miliardi di dollari. L’avvicinamento politico a Chávez ha probabilmente influenzato un certo approccio diplomatico “disinvolto” e a tratti provocatorio. Al pari di appena altri cinque capi di Stato di Paesi Onu, Ortega ha riconosciuto ufficialmente le autoproclamate repubbliche di Ossezia meridionale e Abkhazia, ha difeso apertamente le ragioni di Gheddafi e si è spinto a definire “fraterna” la rivoluzione islamica che ha plasmato l’attuale regime di Teheran. Eppure, nonostante tutto, ha voluto conservare con Washington un atteggiamento piuttosto cauto scegliendo, ad esempio, di non recedere dall’accordo di libero scambio con gli Usa (il Cafta) firmato dal suo predecessore Enrique Bolaños. Tra il 2005 e il 2010 il Nicaragua è stato il 16° beneficiario mondiale (su 143 Paesi) di aiuti allo sviluppo commerciale provenienti dagli Stati Uniti (oltre 175 milioni di dollari, secondo lo U.S. Government Accountability Office). Per la prima volta nella storia la principale associazione di categoria delle imprese private nicaraguense ha scelto nelle ultime settimane di non dare M.Cav. indicazioni di voto per il 6 novembre.

Alle elezioni presidenziali del 6 novembre scontata la vittoria del leader sandinista. Che molti ex compagni di governo e di rivoluzione giudicano ormai troppo potente. di Matteo Cavallito N QUELLA CHE FU CERTAMENTE una gioventù “ribelle”, nel senso pieno del termine, il leader del Frente Sandinista (Fsln) Daniel Ortega aveva già rischiato la sua vita più volte. Ma in nessun altro caso – è certo – la sua condanna era sembrata così vicina come in quella tranquilla serata di inizio ’79. Mentre il rivoluzionario viveva nascosto sulle montagne, il dittatore del Nicaragua Anastasio Somoza Debayle e la sua amante ufficiale, Dinorah Sampson, stavano cenando nella prestigiosa cornice del Palm Bay Club di Miami, Flori-

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da, in compagnia di un terzetto da antologia: il deputato democratico del Texas e futuro “eroe dell’Afghanistan”, Charles Wilson; la sua compagna dell’epoca, Tina Simos, e la leggendaria scheggia impazzita della Cia, Ed Wilson (l’omonimia è casuale), l’uomo che si vantava di essere riuscito a catturare e uccidere, tredici anni prima, niente meno che Ernesto Che Guevara1. Quando gli amici americani gli 1 La storia che segue è incredibilmente vera.

Si veda George Crile, “My Enemy's Enemy: The Story of the Largest Covert Operation in History: the Arming of the Mujahideen by the CIA”, 2003. Edizione italiana: “Il nemico del mio nemico”, Il Saggiatore, 2005. |

garantirono senza esitazioni di poter far fuori anche quel “piccolo stronzo” di guerrigliero, per usare le parole dell’ambizioso congressista di Washington, Somoza fu talmente sopraffatto dall’entusiasmo da commettere un errore fatale. Ebbro di gioia, e di alcool, il tiranno non trovò niente di meglio che abbandonarsi alle danze insieme alla ragazza di Charlie. E fu così che la sua compagna, una che certe mosse proprio non le sopportava, decise semplicemente di non tollerare oltre. Come la più classica delle amanti ferite, Dinorah si scagliò contro il dittatore, gli fece volare a terra gli occhiali e, successiva-

mente, glieli calpestò con tutto lo spregio di cui era capace. Fu probabilmente per reagire all’umiliazione subita, quindi, che una volta informato dei costi previsti per l’operazione (100 milioni di dollari), il presidente del Nicaragua congedò i due Wilson con la risposta più sintetica e perentoria possibile: «Non se ne parla». Il 17 luglio dello stesso anno Somoza atterrò nuovamente a Miami. In fuga, questa volta, dalla capitale Managua, ormai in mano alle forze ribelli del Frente Sandinista.

Elezioni senza storia

Managua, 2009. L’immagine di Daniel Ortega sul cartellone nel quartiere popolare, celebra il 30mo anniversario della vittoria dei sandinisti sul dittatore Anastasio Somoza.

IL PAESE IN CIFRE Repubblica del Nicaragua Popolazione: 5,66 milioni Capitale: Managua Pil pro capite: 3.000 $ Tasso di crescita 2010: 4.5% Rapporto debito Pil: 78% Tasso d’inflazione: 5,5% Disoccupazione: 7,8% Alfabetizzazione*: 67,5% Mortalità infantile: 22,64 morti/1.000 nati Speranza di vita: 71 anni FONTE: CIA - THE WORLD FACTBOOK 2011

SUSAN MEISELAS / CONTRASTO

| internazionale | l’altra America/1 |

All’alba del XXI secolo il Nicaragua ha aderito all’iniziativa Heavily Indebted Poor Countries (HIPC), il programma di Fmi e World Bank dedicato alla ristrutturazione del debito nei Paesi caratterizzati dai bilanci più disastrati. Sotto la presidenza di Enrique Bolaños (2002-07), i dati macroeconomici contabili sono migliorati sensibilmente (il rapporto debito Pil è passato dal 200% al 55%, l’inflazione si è mantenuta bassa e il livello delle riserve è aumentato), ma la diffusione della povertà è rimasta invariata. Negli ultimi anni il Paese ha scontato gli effetti della crisi negli Stati Uniti, di gran lunga il principale partner commerciale. Nel 2009 il Pil è andato addirittura in contrazione (-1,5%). Con l’eccezione di Haiti, il Nicaragua si conferma tuttora la nazione più povera del continente americano. * percentuale della popolazione con più di 15 anni di età in grado di leggere e scrivere.

A trentadue anni di distanza da quella sce|

na di gelosia che forse gli salvò la vita, Daniel Ortega è più che mai sulla breccia. Il 6 novembre il Nicaragua andrà al voto (chi legge questo articolo potrebbe già sapere com’è andata a finire) e, salvo clamorose sorprese, permetterà al suo presidente uscente di ottenere un nuovo mandato. Il terzo, dopo quelli conquistati nel 1984 e nel 2006. L’esito, si dice, è piuttosto scontato, perché i sondaggi, spiega un giornalista locale, “saranno pure da prendere con cautela”, ma ciò non toglie che i numeri siano obiettivamente notevoli. “Alcuni osservatori internazionali – prosegue – attribuiscono a Ortega dal 43 fino a oltre il 50% delle preferenze, con un vantaggio enorme sugli altri candidati: il leader dell’Alianza Partido liberal independiente (Alianza Pli), Fabio Gadea Mantilla, e il suo avversario Arnoldo Alemán, numero uno del Partido liberal constitucionalista (PLC)”. Mantilla, che compirà 80 anni tre giorni dopo il voto, è un volto storico della politica nicaraguense. A sostenerlo, l’intramontabile Eduardo Montealegre, fautore, nelle scorse elezioni – che lo videro soccombere dietro a Ortega – della storica spaccatura in seno al fronte liberale. I due hanno chiesto inutilmente il ritiro dalla competizione di Arnoldo Alemán, il candidato “impresentabile” per antonomasia. Già presidente dal 1997 al 2002, Alemán era stato condannato a 20 anni di carcere, dopo essere stato insignito del titolo di 9° leader più corrotto del Pianeta dalla Ong Transparency International. All’inizio del 2009, la Corte suprema di Managua lo ha assolto da ogni accusa, garantendogli l’opportunità di una nuova corsa elettorale. Alcuni mesi più tardi lo stesso tribunale ha legittimato la candidatura di Ortega, reinterpretando a modo sua la norma costituzionale che gli avrebbe vietato il terzo mandato.

L’ombra del Pacto Quella decisione, sostengono molti nicaraguensi, sarebbe stata la definitiva prova dell’efficacia del Pacto, il contestatissimo accordo non ufficiale per la spartizione del potere. Candidati scelti esclusivamente all’interno dei partiti; riduzione al 35% del quorum per la vittoria al primo turno, pieno controllo del Consiglio supremo eletANNO 11 N.94

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CREATA NEL 2007, l’azienda petrolifera Albanisa è una joint venture partecipata al 51% dalla compagnia statale venezuelana Pdv Caribe, filiale del gigante nazionale PdvSa, e al 49% dalla nicaraguense Petronic. Il suo programma operativo prevede il trasferimento di un quarto dei profitti agli enti pubblici del Nicaragua, affinché questi ultimi li utilizzino per la costruzione di infrastrutture e l’avvio di programmi sociali. Questa operazione è però svolta da un intermediario, la società finanziaria Cooperativa de Ahorro y crédito caja rural nacional, meglio conosciuta come Alba-Caruna, un ente controllato dal Frente sandinista, che in origine contava su non più di tremila dollari di depostito. L’intesa tra Caracas e Managua, in altre parole, ha permesso a quella che un tempo non era altro che una piccola banca cooperativa di trasformarsi di colpo in una società finanziaria chiamata ad amministrare 300 milioni di dollari l’anno. Il tutto, per altro, in condizioni di scarsa trasparenza, come ha denunciato l’organizzazione indipendente Fundación grupo cívico etica y transparencia di Managua, in un rapporto datato marzo 2011 e mai pubblicato, a quanto ci spiegano, per mancanza di fondi. Il dubbio, a tutt’oggi, è che i finanziamenti agli enti locali abbiano comportato un indebitamento da parte degli stessi con Alba-Caruna. Albanisa, al tempo stesso, resta ancora un oggetto misterioso. “L’impresa – spiega la relazione – è governata da un’assemblea degli azionisti, la cui giunta direttiva è formata da funzionari di governo nominati dai presidenti e non dalla giunta stessa. La sua composizione e il suo statuto sono sconosciuti”. M. Cav.

torale: al culmine di un’intesa perfezionata in dieci anni di lavoro, dicono gli oppositori, sandinisti e liberali hanno promosso nel Paese una sorta di bipartitismo di fatto se non, addirittura, una sostanziale “dittatura bipartisan”.

Sandinismo o danielismo? Molti ex compagni (di lotta e di governo) hanno condiviso l’aspra critica dell’eroina

della rivoluzione Mónica Baltodano, che ha apertamente accusato Ortega di aver sostituito il sandinismo con il “danielismo”. Qualcun altro, invece, chiama in causa il sempreverde “caudillismo”, vera e propria malattia politica di un’America centrale dove le oligarchie e i personalismi sanno sempre emergere con forza, a destra come a sinistra. Di certo – ma non è detto che sia un me-

rito – allo storico leader del Fsln va riconosciuto un senso strategico particolarmente spiccato, caratteristica, quest’ultima, alla base di una tendenza alla realpolitik che ha trovato nell’economia – sorretta ad oggi tanto dagli aiuti statunitensi quanto da quelli venezuelani – i riscontri più evidenti (vedi BOX nella pagina precedente). Ma l’esasperato pragmatismo ha avuto ovviamente il suo rovescio della medaglia. Alla vigilia delle elezioni del 2006, il Fsln ha votato compatto per l’abolizione dell’aborto terapeutico, una misura sanitaria consentita quasi in tutto il mondo. L’interruzione di gravidanza, quand’anche motivata dalla necessità di salvare la vita della madre, è diventata così illegale. Una norma che ha risolto, almeno in parte, quel conflitto trentennale tra la Chiesa più conservatrice e il sandinismo dei “preti guerriglieri”, ma che ha avuto ovviamente alcune prevedibili conseguenze. Uno studio condotto dalla Ong Ipas Centroamérica denunciava, a un anno dell’entrata in vigore della legge, già 115 casi di decessi che si sarebbero potuti evitare ricorrendo all’aborto. Amnesty International ha avviato da tempo una campagna per chiedere al governo nicaraguense di tornare sui suoi passi. Senza successo.

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Santiago del Cile, luglio 2003 - Manifestazione contro la privatizzazione del rame: un giovane manifestante indossa una maglietta con il ritratto del musicista e poeta Victor Jara, ucciso subito dopo il golpe dell’11 settembre 1973, nello stadio della capitale cilena. CLEMENTE BERNAD / CONTRASTO

L’ENIGMA ALBANISA

Cile, capolavoro liberista Finita la dittatura di Pinochet ma non l’assetto economico socialmente diseguale costruito in quegli anni. di Paola Baiocchi ER UNO SCHERZO DEL DESTINO i no 200 mila cileni sono stati costretti a due uomini che hanno conscappare dal Paese. trassegnato più profondaNon c’è altrettanta disapprovazione nei mente il Cile contemporaneo sono morti a confronti di Friedman, l’economista della distanza di pochi giorni l’uno dall’altro: Milscuola di Chicago che ha sperimentato in ton Friedman il 16 novembre 2006, il 10 dicorpore vivi sul Cile le sue terapie shock, poi cembre Augusto Pinochet, il generale che ha adottate in molte altre parti del mondo, dalretto la sanguinaria dittatura dopo il golpe l’Argentina di Videla alla Gran Bretagna dell’11 settembre del 1973, nel quale hanno della Thatcher, alla Polonia del dopo Muro. trovato la morte Salvador Allende, il presiEppure le due forme di trattamento sodente democraticamente eletto, e il progetno state complementari perché l’economia to di società della coalizione socialista-codello sviluppo, che negli anni ’70 il Cono munista di Unidad popular. del Sud stava vivacemente costruendo come Anche se non è stato possibile procesmodello alternativo, proprio nel “cortile di sare Pinochet, il mondo ricorda che sono casa” degli Stati Uniti, fosse sostituita dal caindissolubilmente legate alla sua dittatura polavoro liberista della scuola di Chicago. la scomparsa di almeno 3.200 persone, che ci sono stati 80 mila imprigionati, si sono Il miracolo cileno registrati 30 mila di casi di tortura di attiviLa Cia, la centrale statunitense di intelligence, sti politici, sindacalisti, contadini, operai o giovani che Gli studenti che protestano avrebbero potuto rappresentare chiedono una scuola pubblica una voce di dissidenza nei congratuita e di qualità, e la riforma fronti del regime, mentre almedella Costituzione pinochettista

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redige sul suo sito World Factbook dei profili di ogni Paese del mondo, aggiornati quasi in tempo reale. Al Cile dedica un ritratto che suona compiaciuto: “economia di mercato con un elevato export, con reputazione finanziaria e politica solida, che gli vale il miglior rating sulle obbligazioni sovrane di tutto il Sudamerica. Le esportazioni rappresentano un quarto del Pil, con le commodities che costituiscono circa i tre quarti dell’export totale [...] Durante i primi anni ’90 la reputazione del Cile come modello di riforma economica si è rafforzato, quando il governo democratico di Patricyo Aylwin (il primo presidente eletto dopo la dittatura di Pinochet, ndr) – succeduto ai militari nel 1990 – ha confermato le riforme economiche avviate dai militari. Dal 1999 la crescita è stata in media del 4% annuo”. Ci domandiamo: quali sono state le riforme avviate dai militari?

Chicago boys e carabineros Privatizzazioni, deregulation e tagli alla speANNO 11 N.94

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| internazionale | sa sociale. La triade illustrata in Capitalismo e libertà di Friedman è contenuta nel “Mattone”, il voluminoso documento che la giunta militare trova sul suo tavolo il giorno dopo il golpe e che comincia a mettere in atto, mentre iniziano le esecuzioni nei due stadi di Santiago e nel resto del Paese i cadaveri si ammucchiano ai bordi delle strade. «I Chicago Boys – scrive Naomi Klein in Shock Economy – in precedenza avevano cercato di introdurre queste idee in modo pacifico, entro i confini del dibattito democratico, ma avevano incontrato una schiacciante opposizione. Ora erano tornati nuovamente alla carica, in un clima politico nettamente più favorevole al loro radicalismo. Non c’era bisogno che qualcuno fosse d’accordo con loro, fatta eccezione di un manipolo di uomini in uniforme. I loro oppositori politici più convinti erano in prigione o morti o in fuga: lo spettacolo dei jet da combattimento e delle carovane della morte bastavano a tenere a bada tutti gli altri». In pochi anni vennero privatizzate l’istruzione, la sanità, le banche e le industrie di Stato. Nel 1981 il Cile è il primo paese al mondo a stabilire un sistema di pensioni amministrato totalmente da privati.

IL PAESE IN CIFRE Nome: Repubblica del Cile Indipendenza: 18 settembre 1810, dalla Spagna Costituzione: 11 settembre 1980 Forma di governo: repubblica presidenziale Popolazione: 16.888.760 (stima, luglio 2011) Tasso di natalità: 1,88 nati per donna Mortalità infantile: 7,34 morti/1.000 nati

Milton Friedman, fondatore della scuola monetarista, è stato insignito del premio Nobel per l’Economia nel 1976.

LIBRI

bloccato». Ne è una prova l’indice Gini, il coefficiente che misura la diseguaglianza tra i redditi: il Cile è al 16mo posto con indice 52.1 (2009). La Norvegia, per esempio, è al 134mo posto con indice 25.0 (2008) e l’Italia è al 104mo posto con indice 32.0 (dato 2006). Una forbice tra le classi particolarmente evidente nel sistema educativo, al centro delle rivendicazioni degli studenti che da mesi occupano le piazze cilene, chiedendo la riqualificazione e la gratuità dell’istruzione pubblica: per mandare un figlio all’università, anche pubblica, le famiglie si indebitano.

Il futuro con un passato che non passa

FONTE: CIA - THE WORLD FACTBOOK

C’è chi ha visto un’opportunità nella dittatura: José Piñera, economista figlio di un Aspettativa di vita Patricia Mayorga alla nascita: noto esponente della Democrazia cristiana Il Condor nero. 77,7 anni cilena, al momento del golpe decise di laL’internazionale sciare Harvard “per contribuire a fondare fascista e i rapporti Alfabetizzazione: segreti con il regime 95,7% della un nuovo Paese”. Diventò ministro del Lapopolazione di Pinochet voro e delle Miniere con Pinochet, e globe Sperling & Kupfer, Pil nominale: trotter del modello Chicago-cileno. Suo fra2003 $ 146.789 milioni tello Sebastián dal marzo 2010 è presiden(2009) te del Cile, il primo eletto di centro-destra Pil pro capite: dopo gli anni della Concertación. «La LIBRI $ 8.678 (2009) maggior parte dei membri del gabinetto Dal 7 maggio 2010 il presidenziale – dice a Valori Jaln Lagos Gli anni della Concertación Cile fa parte dell’Ocse Nilsson, editore e giornalista che ha dovuPatricia Mayorga, giornalista e saggista, che to lasciare il Cile nel 1974 e ora vive in Arha dovuto lasciare il Cile nel 1975, spiega: gentina – viene dal mondo degli affari o «I governi della Concertación, il blocco di dagli studi legali ad essi connessi. Direi che centro-sinistra che ha governato dal 1990 al Patricia Mayorga tutti devono la loro fortuna alla dittatura». 2010, hanno mitigato qualcosa: hanno inLa donna del riscatto. Se non addirittura a periodi storici precetrodotto un moderato programma di saMichelle Bachelet, denti, altrettanto oscuri: il Senato cileno nità, ma non ci sono state riforme sostanpresidente del Cile ha recentemente adottato la Convenzione ziali e la società cilena è profondamente Edizioni Lavoro, 2007 Upov 91 che stabilisce la possibilità di acdiseguale, con un dinamismo tra le classi quistare la proprietà di semi o di nuove specie vegetali. ImIL CILE: POTENZA AGRICOLA EMERGENTE E SPERIMENTAZIONE OGM mediatamente è circolata la notizia che Erik von Baer, paÈ LA FRONTIERA FRA DUE OCEANI e tre continenti, l’estremo Sud dell’America, tra Pacifico e Atlantico: dre di Ena von Baer ministra affacciato sull’Antartide, di cui ne rivendica una parte, il Cile arriva fino in Oceania con l’Isola di Pasqua, che gli appartiene. Il principale prodotto minerario esportato è il rame (il 36% del mercato mondiale). portavoce del governo, avrebDi importanza rilevante anche molibdeno, platino e oro. “Lungo” 4.300 chilometri e largo di media be acquisito la proprietà della appena 180 chilometri, il Cile è una potenza agricola emergente (9,4 miliardi di euro nel 2008) che Quinoa, l’antico cereale chiadall’attuale 17ma posizione punta a diventare entro il 2015 il decimo esportatore agricolo mondiale. mato il “grano degli Inca”. I Grazie alla controstagionalità il Cile fornisce grandi volumi all’emisfero Nord: è il principale esportatore al mondo di uva da tavola, il secondo di kiwi e avocado e tra i principali esportatori di mele, pere siti anti Ogm cileni hanno e drupacee (pesche). Il Cile conta per il 2% in ambito di produzione cerasicola mondiale, ma se commentato ironicamente si considera solo la produzione di ciliege fuori stagione, la percentuale sale all’80%. Da almeno 20 anni pubblicando la foto dell’anteil Cile ha aperto all’importazione di Ogm; resta un mistero la quantità di terreni destinati alle coltivazioni nato “inca” della famiglia von biotecnologiche. L’esportazione di salmoni, allevati intensivamente nell’Oceano, è seconda per volumi a quella del rame: anche sui salmoni è stata avviata la sperimentazione transgenica. Pa. Bai. Baer: lo zio Bern, insignito della Croce di ferro nazista.

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USA, LA RIFORMA SANITARIA PERDE I PEZZI

TERZO MONDO, NON SI FERMA LA MINACCIA DELLA FAME

DALLA CINA AL CILE, DIGHE CONTROVERSE

L’UE PONE I REVISORI DI BILANCIO NEL MIRINO

STATI UNITI, LA SEC APRE UN’INCHIESTA SU S&P

Un colpo notevole, capace da solo di far vacillare uno dei più ambiziosi progetti dell’amministrazione Obama: la riforma del sistema sanitario. Con un annuncio a sorpresa, la Casa Bianca ha infatti reso noto l’abbandono del “Community Living Assistance Services and Supports” (Class), il progetto assistenziale pensato per garantire una copertura assicurativa a milioni di americani che ne sono tuttora privi. La motivazione ufficiale, manco a dirlo, risiede nella carenza di fondi determinata a sua volta dalla necessità di ripianamento del budget federale. In estate, democratici e repubblicani avevano trovato faticosamente un’intesa sull’aumento del tetto di debito scongiurando quello che di fatto sarebbe stato un vero e proprio default tecnico di sistema. La contropartita, ovviamente, consiste ora nei tagli ai diversi capitoli di spesa. L’abbandono del programma Class, che mirava a offrire ad ogni nuovo assicurato una copertura di spesa pari a 50 dollari giornalieri, dovrebbe garantire un risparmio da 86 miliardi nel prossimo decennio, compensando così circa i 2/3 dei tagli previsti per il settore (124 miliardi).

Non stupisce che l’Indice globale della fame redatto dall’Ifpri (Istituto di ricerca internazionale di politica alimentare) quest’anno sia focalizzato sulle impennate e sulla volatilità dei prezzi dei beni alimentari. Non stupisce: perché tale fenomeno nasce soprattutto nelle piazze borsistiche o dalle scelte dei pochissimi Stati che dominano le esportazioni (Stati Uniti, ma anche Cina, Francia, Brasile e Argentina). E va a pesare soprattutto su chi ha meno mezzi per difendersi. Vale a dire sui 59 Paesi classificati ad un livello compreso fra “grave” ed “estremamente allarmante”. Spingendo nella povertà estrema 70 milioni di persone solo nel biennio 2010-2011. Dunque, sostiene il rapporto, per combattere la piaga della fame i progetti di cooperazione, da soli, non bastano. Serve un impegno coraggioso e coordinato a livello internazionale: per scoraggiare la speculazione sui beni alimentari, garantire un’informazione trasparente sui prezzi, rivedere le politiche sui biocarburanti, trovare una struttura equilibrata per il mercato delle esportazioni.

In Myanmar (ex Birmania guidata dalla dittatura militare) il presidente Thein Sein ha sospeso la costruzione, finanziata dalla Cina, della diga idroelettrica di Myitson (6 mila MW; 3,6 miliardi di dollari), nello Stato di Kachin. La sospensione segue una protesta pubblica che denuncia la minaccia del progetto alla sorgente del fiume Irrawaddy e si oppone all’allagamento di siti d’importanza storicoculturale, oltre a 766 Km quadrati di area boschiva. Intanto, dopo le inondazioni provocate a Loikaw, capitale dello stato birmano del Kayah, dai rilasci “controllati” d’acqua dalla diga di Moebye, dovuti alla pressione delle forti piogge del periodo, le popolazioni locali chiedono anche l’interruzione del progetto delle dighe sui fiumi Salween (600 MW), Pawn (130 MW) e Thabet (110 MW). Previste da un accordo tra Myanmar e la società statale cinese China Datang Corporation, le dighe provocheranno lo sfollamento di quasi 40 mila persone. Nel frattempo in Cile avanza il progetto HidroAysén (cinque dighe sui fiumi Baker e Pascua; 3 miliardi di dollari; 2.750 MW di energia elettrica; 23 miglia quadrate sommerse): i giudici hanno infatti respinto 7 obiezioni al progetto presentate dagli ambientalisti.

Deloitte, PwC, Ernst & Young e KPMG, le quattro principali società di consulenza e di revisione di bilancio, sono finite nel mirino delle autorità europee. Queste ultime, infatti, potrebbero adottare una serie di misure che avrebbero la conseguenza di costringere le “big four” a scindersi. Secondo un progetto di direttiva citato dall’agenzia di stampa Reuters nelle scorse settimane, la Commissione europea ha proposto il divieto per i revisori dei bilanci di fornire anche consulenze. Una misura volta a sanare un conflitto di interessi che troppe volte si è manifestato, e che mina la sicurezza del sistema finanziario europeo. Secondo i rumors raccolti a Bruxelles, il commissario ai Servizi Finanziari Michel Barnier potrebbe proporre ufficialmente il testo entro la fine di novembre. Proprio il divieto di esercitare la “doppia” attività potrebbe imporre una separazione delle quattro società. Ma anche negli Usa, dopo gli scandali legati a Enron e Worldcom, in molti avevano indicato la necessità di bloccare le attività di consulenza. Eppure un vero divieto non è mai arrivato: segno che la strada della direttiva europea potrebbe essere colma di ostacoli.

A quattro anni dall’esplosione della crisi subprime e dal crollo di giganti finanziari apparentemente sani, per la prima volta le autorità americane sembrano voler porre sotto i riflettori l’operato delle agenzie di rating. La Securities and Exchange Commission sembra infatti intenzionata a “valutare le valutazioni”, cercando di comprendere, ad esempio, come sia stato possibile arrivare a casi “estremi” come quello di Lehman Brothers, che presentava giudizi lusinghieri fino a poche decine di ore prima del clamoroso fallimento. L’organismo di controllo borsistico statunitense ha già inviato un avviso di un’imminente azione civile (secondo la procedura richiesta in questi casi) nei confronti di McGraw Hill, casa ‘madre’ di Standard & Poor’s. Tra gli obiettivi c’è anche quello di analizzare i rating dell’agenzia su alcuni particolari strumenti finanziari ad alto rischio, i Cdo (Collateralized debt obligations), che hanno contribuito fortemente al crollo del sistema finanziario globale.

FAO, SI TRATTA PER RIACQUISTARE IL DIRITTO ALLA TERRA La terra è una risorsa inalienabile. Come l’aria che respiriamo, come la vita stessa. Appartiene dunque ai contadini, ai lavoratori. Oltre 50 delegati delle organizzazioni sociali e contadine di tutto il mondo sono sbarcati a Roma, nella seconda settimana di ottobre, per reclamare un diritto alla terra troppe volte negato. Per ribadire un secco “no” al land grabbing (l’accaparramento di terreni da parte di grandi aziende, principalmente occidentali). E per chiedere il rispetto dei bisogni fondamentali delle popolazioni indigene, dei contadini, dei pastori e delle comunità di pescatori. In occasione dell’assemblea generale del Comitato per la Sicurezza Alimentare (CSA) della Fao, i rappresentanti dei lavoratori hanno discusso l’adozione di Linee Guida che dovranno disciplinare l’accesso alla terra (mentre questo numero di Valori va in stampa, ne saranno pubblicati i contenuti). Anche se la loro applicazione sarà effettuata solo su base volontaria. «Nonostante ciò, si tratterà di un documento fondamentale per lanciare un segnale», ha commentato Luca Colombo, del Comitato italiano per la sovranità alimentare. [A.BAR.]

[V.N.]

[M.CAV.]

[A.BAR.]

[A.BAR]

news

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NORTH STREAM OPERATIVO DALL’8 NOVEMBRE LOTTA AI PARADISI FISCALI E AI “NON COOPERATIVI”: PER LE ONG IL G20 È IN PANNE La lotta contro i paradisi fiscali? È in panne. E gli elenchi dei Paesi “non cooperativi” dell’Ocse sono troppo “buoni”. A denunciare le difficoltà delle grandi potenze mondiali nel proseguire lo sforzo contro i tax havens è l’associazione francese Ccfd-Terre Solidaire (il Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo), in un rapporto pubblicato a metà ottobre nel quale si lancia un appello ai governi affinché non smettano di combattere l’opacità nella finanza. Il documento – redatto in vista del summit di Cannes dei prossimi 2 e 4 novembre, quando sarà presentato ufficialmente – afferma che i paradisi fiscali e il segreto bancario non solo non sono scomparsi, ma non sono neppure stati ridimensionati negli ultimi anni. Contrariamente a quanto lasciato intendere dalle liste grigia e nera pubblicate dopo il vertice dei Venti tenuto a Londra nel 2009. «In due anni, 37 territori sono stati tolti dagli elenchi dell’Ocse, solamente grazie al fatto che hanno accettato di avviare una serie di scambi di informazioni», si legge nel rapporto. Il che significa che è bastato ratificare un pugno di accordi bilaterali. Un elenco stilato dalla rete di Ong Tax Justice Network indica infatti che i Paesi “opachi” sono perfino aumentati negli ultimi due anni, passando fa 60 a 73. Va detto però che si tratta di una lista creata utilizzando criteri particolarmente rigidi, che infatti arriva a comprendere Paesi come il Regno Unito e il Giappone. [A.BAR.]

Il gasdotto North Stream, che partendo dalla Russia approvvigionerà direttamente l’Europa occidentale passando per il mar Baltico, entrerà in servizio il prossimo 8 novembre. Ad annunciarlo è stato Alexei Miller, dirigente del colosso dell’energia russa Gazprom. «La costruzione della prima condotta è terminata – ha spiegato – e siamo pronti alla fase di lancio». Il gasdotto ha una lunghezza di 1.224 chilometri e dovrà permettere di trasportare 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno da Vyborg alla città tedesca di Greifswald costeggiando Finlandia, Svezia, Danimarca, Repubbliche Baltiche e Polonia. La costruzione è stata realizzata da un consorzio composto da Gazprom (che ne controlla la maggior parte del capitale, il 51%), Ruhrgas (15,5%), Wintershall (15,5%), NV Nederlandese Gasunie (9%) e Gaz de France-Suez (9%).

[A.BAR.]

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A CURA DI MICHELE MANCINO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

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ESISTE ANCHE UN CAPITALISMO NATURALE E PIÙ SOSTENIBILE

WELFARE, INNOVAZIONE E CONCORRENZA IN LUIGI EINAUDI

LA LOTTA ALLA POVERTÀ? MEGLIO SPERIMENTARLA

UN DIARIO DI PASSIONE PER CAMBIARE IL MONDO

PUGNI E SVASTICHE CHE DEMOLISCONO IL RAZZISMO

Questo libro lo raccomandò vivamente nientemeno che l’ex presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton. Gli autori: un ecologista (Paul Hawken) e due dei fondatori (Amory Lovins e L. Hunter Lovin) del Rocky Mountain Institute, organismo indipendente di ricerca sui temi della politica delle risorse e incubatore di iniziative imprenditoriali innovative e tecnologicamente avanzate, affrontando il tema del capitalismo naturale, hanno dato vita a un classico del pensiero contemporaneo legato al concetto di sostenibilità. Gli imprenditori e le persone in genere che si sono ispirate ai loro concetti hanno prodotto business riducendo gli sprechi e migliorando l’efficienza dei loro processi produttivi. Pubblicato per la prima dodici anni fa, la nuova edizione del volume fa il punto della situazione concentrandosi sulle storie di successo dell’ultimo decennio, e delinea il percorso che occorre seguire per garantire alle nuove generazioni un futuro sostenibile e prospero: meno consumi di materie prime, più efficienza e rifiuti azzerati.

«Non tutti gli uomini – scriveva Luigi Einaudi nel 1942 – hanno l’anima del soldato o del capitano disposti ad ubbidire o a lottare ogni giorno quant’è lunga la vita. Molti, moltissimi, forse tutti in un certo momento della vita sentono il bisogno di riposo, di difesa, di rifugio. Vogliono avere un’oasi dove riposare, vogliono sentirsi per un momento difesi da una trincea contro l’assillo continuo della concorrenza, della emulazione, della gara». Fino a che punto la concorrenza possa governare la società senza strapparla e fino a che punto il welfare state la possa proteggere senza appiattirla sono interrogativi di Einaudi che oggi ritrovano un’acuta attualità. Utilizzando approcci diversi – storia, economia, epistemologia, linguistica – gli autori di questo libro affrontano i temi della giustizia sociale, dell'uguaglianza dei punti di partenza, della capacità di innovare non solo dell'economia, ma della società intera. Con la prefazione di Mario Draghi.

“Il libro che avete in mano è diverso dai precedenti, non è motivato dall’esigenza di approfondire alcuni nodi teorici, ma è nato quasi di getto, sull’onda di due emozioni forti: indignazione e irritazione”. Carlo Formenti nella prefazione avverte, dunque, il lettore che non si troverà di fronte una dissertazione accademica. L’argomento che affronta è di quelli che tengono banco nel dibattito pubblico: il rapporto tra capitale e lavoro ai tempi della rete. Molti guru, infatti, giurano che il capitalismo sta per lasciare il campo a un nuovo modo di produrre, a una società in cui mezzi di produzione e chance di arricchimento saranno ampiamente ridistribuiti, mentre le vecchie gerarchie lasceranno il campo ai network orizzontali di produttori-consumatori. La realtà però ci rimanda un altro scenario fatto di redditi che vengono erosi sempre di più, diritti dei lavoratori più compressi, concentrazioni monopolistiche, inasprimento delle leggi sulla proprietà intellettuale. La rete, dunque, secondo l’autore non ha reso più docile e malleabile il capitalismo; ne ha al contrario esaltato la capacità di cavalcare l’innovazione per sfruttare la creatività e il lavoro umani. In questi anni è stata allevata una generazione di lavoratori della conoscenza flessibili, disciplinati e convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili. Felici e sfruttati. Con l’avallo anche di una sinistra che teme di prestare il fianco ad accuse di nostalgie classiste.

Cosa ha prodotto la lotta alla povertà in questi anni? I risultati ottenuti sono stati proporzionali alla massa di forze mobilitate? Non tutti i progetti sono finiti a buon fine, molti sono falliti, nonostante le buone intenzioni. Esther Duflo ha messo in atto una nuova strategia, un nuovo modo di pensare e operare che permette di valutare rigorosamente i tipi di intervento necessari. Come? Verificando sul campo, attraverso esperimenti controllati, l’efficacia dei diversi interventi. L’ha fatto in India, Africa, Messico. È andata sul campo, si è posta le domande giuste e ha allestito gli esperimenti necessari. I risultati sono sorprendenti. Non solo hanno spesso sfatato luoghi comuni, ma hanno prodotto effetti positivi a lungo termine. Una rivoluzione pragmatica e concettuale che ha pochi precedenti. Duflo non si è posta il compito di sradicare la povertà nel suo complesso, ma di dare risposte rigorose a singoli problemi: come rendere più efficaci le vaccinazioni? Come migliorare l’istruzione dei bambini con il minor investimento? Come combattere la malaria in modo semplice ed efficace? Così facendo ha avviato un circolo virtuoso che sta contagiando studiosi di tutto il mondo.

Luciana Castellina racconta un periodo cruciale per l’Italia, partendo dalla sua storia personale. Militante comunista dal 1947 e poi tra i fondatori del “manifesto” nel 1969, l’autrice propone al lettore un affresco di vita, importante per lo sviluppo della persona: il passaggio dall’adolescenza alla gioventù. Quelli tra il 1943 e il 1947 sono anni difficili e determinanti non solo per la sua vita di adolescente, ma anche per l’Italia che usciva da vent’anni di dittatura fascista e una guerra distruttiva. Le vecchie pagine del diario spalancano le porte della storia, alternandosi alle riflessioni legate al presente. La scoperta del mondo coinciderà con l’incontro con l’organizzazione comunista. «A me, innanzitutto, il Pci ha evitato di restare stupida, come sarei stata se non fossi uscita dal mio ghetto di provenienza, se non avessi avuto la possibilità di condividere con i miei compagni “diversi” la passione più bella: quella di cercare di cambiare il mondo».

Una storia ambientata nella Londra degli anni Trenta. Una metropoli scossa da tensioni antisemite, tra bassifondi, palestre, club equivoci e ville dell’alta società. Un pugile senz’anima a caccia di scarabei nella sperduta Romania, patetici convegni fascisti nella campagna inglese, una lettera autografa del Führer, una scia di omicidi. Due piani temporali alternati, un racconto grottesco che demolisce senza appello il razzismo eugenetico hitleriano e fascista, seppellendolo con una risata. In questo scenario si muove un gruppo di personaggi curiosi: Seth “the Sinner” Roach, un pugile, ebreo, omosessuale. Un concentrato di rabbia, violenza e anarchia. Philip Erskine, entomologo velleitario, filofascista dedito a ricerche di eugenetica. Evelyn Erskine, aspirante bohemienne, di buona famiglia, iniziata al sesso da Seth Roach. Fishy, il nerd, collezionista di memorabilia naziste, vittima di un’imbarazzante patologia che lo fa puzzare di pesce. Un killer, un magnate dell’edilizia, una cameriera e uno scarabeo molto pericoloso, con una svastica sul dorso.

CARLO FORMENTI FELICI E SFRUTTATI

ESTHER DUFLO I NUMERI PER AGIRE

Egea, 2011

Feltrinelli, 2011

PAUL HAWKEN, AMORY LOVINS, L. HUNTER LOVIN CAPITALISMO NATURALE

A CURA DI ALFREDO GIGLIOBIANCO LUIGI EINAUDI: LIBERTÀ ECONOMICA E COESIONE SOCIALE

Editori Laterza, 2011

Edizioni Ambiente, 2011

CAPITALE E DIRITTI DEI LAVORATORI AI TEMPI DELLA RETE

LUCIANA CASTELLINA LA SCOPERTA DEL MONDO

Nottetempo, 2011

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narrativa

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DODICI DONNE IN CITTÀ PER SCRIVERE LA VITA

LE BELLE SPERANZE PERDUTE E RICORDATE Cinque racconti a struttura circolare con al centro una generazione – i ventenni degli anni Ottanta – che ha pagato il prezzo più alto per una giovinezza rimasta tale, cristallizzata dalle sue maledizioni, eroina e aids. Persone, appunto, di belle speranze, che hanno dovuto abdicare all’esistenza troppo presto. «Li vedevo – dice lo scrittore – girare nel paese. Erano belli, pieni di avvenire, per noi più piccoli, dei miti. Chissà cosa sarebbero diventati. Chissà cosa avrebbero fatto». In questo romanzo – perché è tale, nonostante l’autore lo abbia travestito da raccolta di racconti – ci sono alcuni feticci del nostro tempo: il calcio di periferia (ricordate “Fùtbol” di Osvaldo Soriano?), il prete e la parrocchia, il militare, l’agente segreto che utilizza il nome dell’autore (questa è la seconda furbata), il clochard. E poi c’è la scrittura. Ielmini usa le parole con responsabilità. Mai a caso. Fuori posto c’è poco o nulla. Allenarsi da poeta, dunque, gli è servito molto. Figlio di uno “stanco democristiano”, con i suoi 38 anni, Riccardo Ielmini è qualcosa di più di una bella speranza.

Dodici voci femminili che intrecciano altrettante città. Un viaggio cullato da una scrittura evocatrice e da una profondità segnata da scatti fotografici d’autore. Come spiegano le due autrici, “Dodecapoli” (www.dodecapoli.it) non è solo un libro, ma è un progetto che porterà una mostra fotografica “nel cuore di dodici luoghi”. Si può raccontare il mondo partendo dai dettagli, perché nelle piccole cose si nascondono le grandi. Così come nella minuscola spirale del dna si nasconde la vita dell’universo umano. Laura Ricci allarga così il suo sguardo sulle storie che attraversano le città con una delicatezza che non si sottrae mai al richiamo imposto dalla realtà del presente e del passato, felice o doloroso che sia, senza essere schiava del minimalismo secondo una tendenza letteraria fin troppo di moda. E poi c’è il formato del libro, quadrato (21x21), elegante quanto inusuale. “Ci sono cose che non si buttano mai”. Sicuramente questa “piccola minuta bellezza”.

LAURA RICCI AMBRA LAURENZI DODECAPOLI

LietoColle, 2011 RICCARDO IELMINI BELLE SPERANZE

Pietro Macchione Editore, 2011

NED BEAUMAN PUGNI, SVASTICHE E SCARABEI

Sironi Editore, 2011

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IN UMBRIA C’È UN TURISMO CHE AIUTA LA FORESTA Per una vacanza alternativa, invece di un comune soggiorno in hotel, si può scegliere una casa di un antico borgo immerso nella foresta di Pietralunga, nel cuore della Valle del Tevere Umbro. Si chiama Borgo Coloti e nasce da un’intuizione di Franco Micchia e dei suoi soci, che da anni lavoravano nel mondo della cooperazione e hanno tentato di rivitalizzare un territorio pressoché incontaminato che rischiava di restare nell’abbandono. «Vogliamo coniugare due principi: sostenibilità e low cost. Per raggiungere questo scopo basta puntare sulla semplicità e sul fattore umano», afferma Franco Micchia. Il che significa studiare soluzioni specifiche per le cooperative, prestare particolare attenzione agli ospiti disabili, organizzare laboratori didattici nel vicino osservatorio astronomico. E collaborare con le associazioni locali per una serie di iniziative: come riscoprire rocche abbandonate o tracciare mappe dei sentieri della foresta, «che è un territorio demaniale – continua Micchia – e quindi di tutti: questo per noi è un punto di forza, perché ci è stato affidato il compito non solo di gestirlo, ma anche di tutelarlo e valorizzarlo».

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A CURA DI VALENTINA NERI | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A NERI@VALORI.IT

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LEZIONI DI BIOARCHITETTURA PER GLI STUDENTI DI LAMEZIA

VERSO UNA MODA A IMPATTO ZERO

L’area Sviluppo industriale di Lamezia Terme, ora come ora, è una zona dalle potenzialità immense e poco sfruttate, in cui non mancano pesanti problematiche di natura ambientale. Perciò necessita di un radicale intervento di riconversione, che potrebbe essere affidato a un gruppo di vere e proprie “nuove leve”: ruoterà intorno a questo tema la dodicesima edizione del Laboratorio progettuale in bioarchitettura, promosso dall’Associazione Bioarchitettura Onlus in collaborazione con il Consorzio per lo sviluppo industriale di Catanzaro e il Dipartimento di architettura e pianificazione territoriale dell’Università di Bologna. «Si tratta di una buona occasione per parlare dei problemi attuali e rimediare ai danni del passato, rilanciando quest'area verso un turismo fiorente, perché il luogo lo merita», spiega Giovanni Renda, a cui è affidata l’organizzazione del laboratorio. Gli studenti si metteranno all’opera già alla fine di novembre. E, al termine di un denso ciclo di lezioni e workshop, prepareranno un master plan d’intervento da proporre all’amministrazione locale, per creare un nuovo distretto tecnologico e polo turistico: naturalmente all’insegna delle soluzioni architettoniche green.

«Il nostro obiettivo fondamentale è ridurre al minimo l’impatto ambientale». Va dritta al punto Vania Silvestri, fondatrice di Kyo Cashmere, un’azienda tessile che nasce nel 2004 in provincia di Padova per poi espandersi sul territorio con diversi punti vendita. E ridurre l’impatto ambientale significa innanzitutto scegliere cotone biologico, lavorato esclusivamente in Italia e perciò sottoposto a controlli rigorosi. Ma le fasi della produzione dell’abbigliamento sono tante e, spiega, «bisogna calibrare una lunga serie di elementi». Ad esempio i trattamenti dei capi, effettuati con un processo a circuito chiuso, che riduce al minimo l’utilizzo di acqua. Ma queste scelte costano: «abbiamo letteralmente dimezzato il volume d’affari – spiega Vania Silvestri – perché la moda segue circuiti di marketing che non prendono minimamente in considerazione queste tematiche». Per calmierare i prezzi per i clienti si è scelto di intervenire sui passaggi intermedi, occupandosi in prima persona della distribuzione dei prodotti nei negozi e, a breve, anche tramite internet.

www.bioarchitettura.org/laboratorio

UNA COPPOLA IN TESTA CONTRO LA MAFIA Combattere la mafia significa anche avere il coraggio di riprendersi i propri simboli e le proprie tradizioni. È questa, in estrema sintesi, la filosofia che ha animato la mostra Tanto di coppola, che nel 1999 ha invitato stilisti e designer di fama internazionale a disegnare la propria versione del copricapo siciliano. Da qui nasce La Coppola Storta, prima di tutto un’azienda che ha scelto di mantenere una serie di passaggi artigianali e impiegare manodopera dei piccoli paesi dell’entroterra siciliano, in cui la disoccupazione è un male endemico. In seguito, con i suoi punti vendita, La Coppola Storta ha portato questo copricapo dalla Sicilia a Vienna, Berlino, Kobe e – da poche settimane – a Torino. Ma, soprattutto, fin dall’inizio della propria attività, lavora in stretta collaborazione con Addio Pizzo. E di recente ha dedicato ad Amnesty International una “edizione limitata” i cui proventi vengono in parte devoluti alla campagna “Io pretendo dignità”, per la tutela della salute femminile. www.lacoppolastorta.it

www.kyocashmere.it

A CURA DI FRANCESCO CARCANO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

future

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PARIGI CHIUDE IL SITO CHE DENUNCIA GLI AGENTI

VENTO IN POPPA CAMMINANDO SULLE NUVOLE Life at the Speed of Rail è un concorso internazionale che vuole raccogliere progetti di mobilità su linee veloci. L’architetto Tiago Baros ha conquistato pagine sui blog internazionali e stupito la giuria presentando un progetto, tecnicamente apprezzabile, per camminare sulle nuvole. Un sistema di trasporto decisamente amico dell’ambiente, basato su una serie di palloni tra loro collegati, che viaggiano portati dal vento. Sicuramente veloci, se le condizioni meteo lo permettono, ma altrettanto imprevedibili in quanto a direzione. Più che una soluzione tecnica ai problemi del viaggiare veloci, una riflessione teorica e pratica sul senso del viaggio e della sostenibilità. Ora che i voli low cost fanno parte delle nostre abitudini e si sommano ore di volo, consumi di carburante e sovraffollamento acustico, ripensare da zero il senso del viaggio in termini ecologici può essere uno spunto interessante. Passino Cloud, questo il nome del progetto, è stato sostenuto dal dipartimento Affari culturali di New York.

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BAKERFRAME, IL MAGAZINE OPENSOURCE SU IPAD L’editoria elettronica negli Stati Uniti ha superato il 12% del mercato e anche i piccoli editori, per i quali i costi e le opportunità di distribuzione sono maggiormente complessi, sono alla ricerca di soluzioni alternative per portare i loro magazine sugli store elettronici. Bakerframe, sviluppato da un team che annovera talenti italiani all’estero, è una soluzione opensource basata su Html5 che consente, senza costi di diritti software (ma sono molto gradite le donazioni ondine), di debuttare sul mercato dell’editoria elettronica portando riviste su iPhone e iPad. Gli autori del software non fanno distinzione tra progetti profit e non profit: il software è libero per tutti. In rete si trovano quindi codici, tutorials e quanto serve. Gli autori sono raggiungibili per informazioni e consigli via mail o Twitter. Armati di idee, visioni, una non proibitiva fotocamera HD e un software di fotoritocco, i creativi non hanno più scuse. La nuova rivoluzione dell’editoria è iniziata ed è, questa volta, opensource.

SE IL VIRUS NEL COMPUTER LO PIAZZA LO STATO Entrato ormai nella mitologia hacker, il collettivo Chaos Computer Club (CCC) di Berlino ha annunciato di aver scoperto un “trojan di Stato”, un applicativo che viene inserito nelle falle di Windows per raccogliere informazioni sugli utenti e che rigirerebbe i dati in automatico a centrali legate agli apparati di Sicurezza tedeschi. Backdoor:W32/R2D2.A, questo il nome del malware, è in grado di aprire una porta in Windows attraverso cui far fuoriuscire i dati catturati all’utente, inclusa la lista di siti visitati, registrare le chiamate via Skype e gran parte delle attività svolte al computer. Secondo Chaos Computer il trojan è sicuramente opera di apparati di Sicurezza tedeschi, versione ovviamente complessa da dimostrare e che al momento resta in attesa di maggiori prove. L’esistenza del malware è stata intanto confermata dalle aziende che producono software antivirus che hanno inserito Backdoor:W32/R2D2.A nella black list. Anche in Italia recentemente si è assistito a una clamorosa indagine su un faccendiere di altissimo livello, Luigi Bisignani, intercettato per settimane da una Procura italiana grazie all’installazione di un trojan inviato come allegato ad una e-mail. Le intercettazioni hanno consentito di disegnare un’inedita mappa del potere in Italia. L’esistenza del trojan “Querela”, in questo caso, è stata confermata e spiegata dagli inquirenti.

Copwatch ha come obiettivo documentare su internet le violazioni dei diritti umani compiute dalle forze dell’ordine. Dall’inizio degli anni Novanta il sito descrive, inizialmente in Stati Uniti e Canada e ora anche in molti Paesi europei, episodi di violazione e degradazione dei diritti umani e ha attirato a più riprese le critiche degli organi di Polizia. In Francia il governo ha ora ottenuto dal Tribunale il blocco dell’intero sito di Copwatch. La querelle che si è sviluppata è da un lato tecnicamente giuridica, dall’altra strettamente legata ai temi della libertà di informazione. Il Ministero degli Interni infatti aveva chiesto che una dozzine di pagine del sito, giudicate diffamatorie o portatrici di informazioni in grado di mettere a repentaglio la sicurezza di agenti di polizia, fossero oscurate. Il Tribunale ha deciso di oscurare invece l’intero sito, ritenendo troppo elevati i costi tecnici per un intervento selettivo. Sono così state bloccate centinaia di pagine web su cui non vi era alcuna contestazione. Conseguente l’allarme delle associazioni che si battono per la difesa dei diritti di espressione e per la libertà della Rete.

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Ispirazioni

C’è un complotto nel complotto di Luigi Grimaldi

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Un’azione di guerra potrebbe anche nascere da questa storiella del complotto iraniano, che pare per la verità molto meno organizzata della bufala sulle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, messa su dagli Usa per giustificare la guerra in Iraq. L’indagine è stata condotta dalla Dea e dall’Fbi: uno degli obiettivi sensibili sarebbe stato l’ambasciatore saudita a Washington, Adel al-Jubeir, con l’appoggio logistico dei narcos messicani. Gli agenti iraniani avrebbero preparato anche attentati contro le ambasciate di Israele e Arabia Saudita in Argentina. La storia fa acqua da tutte le parti: in base alle prime ricostruzioni, gli investigatori sarebbero arrivati a scoprire l’esistenza del “complotto” dopo aver incastrato un cittadino americano di origini iraniane che si era messo in contatto con un investigatore statunitense, credendo fosse un uomo legato ai narcotrafficanti messicani. Il compenso per i narcos che avrebbero dovuto mettere in atto l’attacco all’ambasciatore saudita a Washington avrebbe dovuto essere di 1,5 milioni di dollari: cifra credibilissima. A questo fine sarebbero stati versati all’investigatore finto narcos due anticipi per quasi (e qui si sfiora il ridicolo) 50 mila dollari. Uno dei più stretti collaboratori del presidente Mahmoud Ahmadinejad ha, infatti, parlato di «scenario precostituito per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica americana dai problemi interni agli Stati Uniti». Che ci sia un complotto dietro al complotto?

ECONDO ALCUNI “ESPERTI” americani (subito seguiti da emuli europei), tra cui il no-

chiede a gran voce al premier iraniano di “farla finita di screditare la nostra organizzazione con le sue ridicole teorie su una cospirazione americana”. Benissimo! Al Qaeda dice a chiare lettere ai fautori della teoria del complotto di piantarla di dire sciocchezze sul complotto americano, perché “siamo stati noi!” Peccato che l’attendibilità di al Qaeda è molto prossima allo zero assoluto. Anzi va detto che di fronte al potenziale destabilizzante dell’ipotesi del complotto made in Usa, a 10 anni dal fatto, il serpeggiare del dubbio sarebbe arma assai più efficace – nelle mani di una spietata organizzazione terroristica – del fatto stesso. Ma no, la “rivista” in lingua inglese edita dall’impero del male ci tiene a mettere sotto pressione il leader iraniano per sostenere quanto rafforza negli Usa i suoi stessi più acerrimi nemici, gli stessi di Mahmud Ahmadinejad. Questa rivelazione ne precede un’altra (ma guarda i casi alle volte) dei giorni scorsi su un “complotto iraniano”. Eh già, perché, mentre non si era ancora spenta l’eco delle rivelazioni di Inspire, gli Usa hanno rivelato di aver sventato un complotto ordito sul suolo americano, organizzato dall’Iran per colpire obiettivi sauditi e israeliani negli Usa. Il ministro della Giustizia, Eric Holder, ha rivelato che: «il complotto è stato concepito, finanziato e diretto dall’Iran e costituisce una flagrante violazione delle leggi americane e internazionali». Il segretario di Stato, Hillary

TOMASO MARCOLLA

to William Langewiesche, finalmente c’è una significativa smentita alle “teorie” del complotto segreto di matrice Usa/Israele all’origine dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Sarebbe chiaro che l’attacco alle Twin Towers non fu opera della Cia e del governo americano, magari con l’aiuto del Mossad: una fonte spacciata per super attendibile ha, infatti, pubblicamente criticato in modo aspro il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, per avere ripetuto all’ultima assemblea generale delle Nazioni Unite la sua convinzione che l’attacco dell’11 settembre fu una messa in scena dal governo americano per lanciare le guerre in Afghanistan e Iraq. Niente di nuovo, non fosse che “la fonte” è la rivista Inspire, organo ufficiale d’informazione in inglese dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden: al Qaeda. L’articolo pubblicato da Inspire

Clinton, ha subito confermato i sospetti sulla matrice iraniana del piano: «È stato un brillante risultato per la nostra giustizia e intelligence. Rifletteremo assieme ai partner internazionali su come inviare un messaggio chiaro e forte per dire che azioni come questa, contrarie ad ogni norma internazionale, devono finire». «Sul tavolo ci sono tutte le opzioni e non si può escludere anche una risposta militare», ha tuonato il presidente della Commissione parlamentare sulla Sicurezza interna degli Usa, Peter King, citato dalla Cnn. |

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L’AZIONE IN VETRINA GLAXOSMITHKLINE 12 OTT 2011

GSK.L 1379,50

Il rendimento in borsa di GlaxoSmithKline negli ultimi dodici mesi, confrontato con l’indice S&P 500 (in arancione)

^GSPC 1155,46

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Riparatori R iparatori d dii giustizia giustizia eenergie, nergie, m memoria emoria e rresponsabilità esponsabilità ssociale ociale contro le mafie.

1144 n novembre ovembre 22011 ore 110) 0) 011 ((ore Camera di Commercio Svizzera in Italia Sala Meili Palestro, vvia ia P alestro, 2 Milano M ilano

Esortazione E sortazione civile civile pper er llaa rraccolta accolta ffondi ondi per per ilil recupero recupero ddella ella casa casa cconfiscata onfi fisscata alla alla ‘‘ndrangheta ndrangheta a C ermenate. Cermenate. Proseguiamo nel territorio un percorso di formazione popolare contro le mafi fiee nelle costruzioni, nel credito, nel mondo del lavoro e nella società.

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L’AZIONISTA DEL MESE

a cura di Mauro Meggiolaro lettere, appelli, mozioni e voti in assemblea. Alla fine GlaxoSmithKline (GSK), la terza compagnia farmaceutica del mondo, ha ceduto: gli azionisti attivi hanno avuto la meglio sull’accesso ai farmaci nei Paesi poveri. Una storia a lieto fine, raccontata dalla società di asset management F&C – una delle più impegnate nell’azionariato attivo al mondo – nel suo ultimo rapporto trimestrale sull’engagement. Ora GSK ha creato un’unità che si occupa esclusivamente di accesso ai farmaci nel Sud del mondo (Developing Countries and Market Access Unit) e ha lo scopo di adattare l’offerta di medicinali e le strategie di prezzo alle esigenze dei 50 Paesi più poveri. Ora però è necessario alzare l’asticella: F&C ha chiesto a Glaxo di integrare il suo Cda con membri provenienti da Asia, Africa e America Latina. “Siamo convinti che l’esperienza internazionale del board sia fondamentale per migliorare l’accesso ai medicinali nel Sud del mondo e passare dalla filantropia a nuovi modelli commerciali sostenibili che aumentino i volumi di vendita e migliorino l’accessibilità ai farmaci e alle cure mediche”, spiega una nota di F&C. L’attivismo continua.

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ECINE DI INCONTRI,

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Sede

1861 › 2011 › › 150° 150° aanniversario nniversario U Unità nità d d’Italia ’Italia

IIntroduzione ntroduzione di di Padre Padre Antonio Antonio Garau Garau Presidente di “Jus Vitae” Battista Villa B attista V illa Presidente del Centro Studi Sociali contro le mafie “Progetto San Francesco” Fabio F abio Silva Silva Presidente della Società Cooperativa Editoriale Etica, editrice del mensile «Valori»

www.fandc.com Londra – Regno Unito

IInterventi nterventi di di Umberto U mberto Ambrosoli Ambrosoli Av vocato Ugo Biggeri U go Biggeri Presidente di Banca Popolare Etica – Etica sgr Raffaele Raff ffaaele B Bonanni onanni Segretario Generale della Cisl alabresi Mario C Mario Calabresi Direttore del quotidiano «La Stampa» Maria F alcone Maria Falcone Presidente della Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone” IIvan van Lo Bello Bello Presidente di Confindustria Sicilia Giuseppe Pignatone Giuseppe Pignatone Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria

Tipo di società Società di gestione indipendente quotata alla borsa di Londra Asset gestiti circa 120 miliardi di euro L’azione su Glaxo F&C ha fatto pressione per molti anni sulle maggiori compagnie farmaceutiche, chiedendo di valutare le strategie di mercato che adottano nei mercati emergenti per cercare nuove soluzioni per un vero accesso ai farmaci nel Sud del mondo, invece che pensare ai Paesi poveri solo come destinatari di azioni di beneficenza. GlaxoSmithKline (GSK) è una delle società che ha risposto meglio, dimostrando un impegno crescente per rendere l’accesso ai farmaci una realtà. Altre iniziative Nel 2010 F&C ha votato circa 72 mila mozioni nelle assemblee di oltre 5.700 imprese in 63 Paesi, adottando strategie di engagement diretto (incontri con il management, lettere, mozioni, ecc.) con un centinaio di imprese, soprattutto su temi legati alla governance.

GlaxoSmithKline [GSK] Sede

Londra -UK

Coordina C oordina G iacinto Palladino Palladino Giacinto Segretario Nazionale della Fiba Cisl

Rendimento negli ultimi 12 mesi + 11,05% Attività

GSK è la terza compagnia farmaceutica al mondo dopo Johnson&Johnson e Pfizer.

A ccura ura di di Alessandro de de Lisi Lisi Alessandro Direttore del Centro Studi Sociali contro le mafie “Progetto San Francesco”

Azionisti Azionariato diffuso. Blackrock 5,62%, Legal & General 3,74% Perché interessa agli azionisti responsabili? Nel 2003 la maggioranza degli azionisti di GSK ha respinto la proposta di pagare un bonus di 22 milioni di sterline al Ceo JP Garnier. Per la prima volta gli azionisti inglesi si sono ribellati in massa contro una grande corporation. GSK è stata oggetto di critiche e campagne anche per i suoi test sugli animali, il monopolio nella distribuzione dei retro virali anti-Aids e per essere stata sospettata di aver pagato tangenti al regime di Saddam Hussein (lo scandalo oil for food). Ricavi (miliardi di sterline) Utile (miliardi di sterline) Numero dipendenti in tutto il Gruppo (2009)

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www.gsk.com

Borsa LSE – London Stock Exchange

Numeri

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F&C

Saluti S aluti ddii Roberto Formigoni Roberto Formigoni Presidente della Regione Lombardia Maria Maria Grazia Grazia Guida Guida Vicesindaco di Milano Alessandro Alessandro Marangoni Marangoni Questore di Milano

Ott

Glaxo costretta a cedere sull’accesso ai farmaci

UN’IMPRESA AL MESE

FONTE: THOMSON REUTERS

| action! |

2010 28,4 1,85 99.000

P er partecipare partecipare alla Per alla giornata giornata èn ecessario iscriversi necessario iscriversi cchiamando hiamando allo allo 02 02 24426235 24426235 d alle 110 0 aalle lle 1122 e dalle dalle 15 15 alle alle 17. 17. dalle

PROGETTO PROGETTO SAN SAN FRANCESCO FRANCESCO

CENTRO CENTRO STUDI STUDI SOCIALI SOCIALI CONTRO CONTRO LE LE M MAFIE AFIE CERMENATE CERMENATE

Comune di Cer menate

Strumenti Strumenti Sociali


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