Un tale che osservo da un po' di tempo

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Un tale che osservo da un po’ di tempo Someone I Have Been Observing for Some Time A cura di | Curated by Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli, Saverio Verini Artisti | Artists Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel, Jakub Woynarowski

Fondazione Pastificio Cerere, Roma 22 settembre - 14 ottobre 2017 | September 22 - October 14, 2017


Un tale che osservo da un po’ di tempo. Note a margine di un progetto

Un tale che osservo da un po’ di tempo. Notes to a project

Di Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli e Saverio Verini

By Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli and Saverio Verini

Un tale che osservo da un po’ di tempo è la mostra conclusiva del progetto What’s the Weather in Poland?, concepito come un’occasione di studio e osservazione della scena artistica polacca. Il progetto si è articolato nell’invito a noi quattro curatori italiani a prendere parte a un viaggio di studio di una settimana che ha toccato quattro città (Bytom, Cracovia, Varsavia e Łodz), dipanandosi fra studio visit ad artisti e visite a gallerie, fondazioni, musei: un programma molto intenso che, nonostante la breve durata, ci ha consentito di entrare in sintonia con il paese. È stato un viaggio per molti versi sorprendente: abbiamo scoperto un contesto incredibilmente vitale e una scena artistica in espansione. Alla conclusione dell’esperienza siamo stati invitati a scegliere quattro artisti appartenenti alla generazione nata negli anni Ottanta, successivamente protagonisti di due talk e di questa mostra. La nostra scelta è caduta su Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel e Jakub Wojnarowski. La Polonia ci ha affascinato per varie ragioni. È un paese che ha attraversato una fase di grande crescita negli ultimi anni, un processo accelerato con l’obiettivo di scrollarsi di dosso l’etichetta di “Eastern Europe”: un marchio nel quale molti polacchi non si riconoscono per le implicazioni storiche e identitarie (Est come sinonimo di Postcomunismo) e che ha portato a spostare il baricentro dal punto di vista politico a quello prettamente geografico, identificandosi maggiormente nella defini-

Un tale che osservo da un po’ di tempo (Someone I Have Been Observing for Some Time) is the final exhibition of What’s the Weather in Poland?, conceived as an occasion to study and observe the Polish art scene. The project started with the invitation to us, as Italian curators, to take part in a 1-week study trip to four different cities (Bytom, Krakow, Warsaw and Łodz). During such trip, we had the chance to visit artist studios and galleries, foundations, and museums: it has been quite an intense program which, despite our short stay, allowed us to empathize with the country. In many ways, it was an amazing trip: we discovered an incredibly dynamic environment and an expanding art scene. At the end of the experience, we were invited to select four artists of the 1980s generation, who would have later taken part in two talks and in this exhibition. Their names are Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel and Jakub Wojnarowski. Poland seduced us for a number of reasons. It is a country which has been experiencing a significant growth in the recent years, a process which was accelerated with the aim of getting rid of the label “Eastern Europe”; a label entailing historic and identity implications (East as a synonym for Post-Communism) which are rejected by many Poles. Therefore, we detected a shift of focus – from the political one to the geographical – meaning that those people better recognize themselves under the definition of “Central Europe”. While Polish art was more concerned about

zione di “Central Europe”. Se la dimensione politica era molto presente nell’arte polacca a ridosso della caduta dell’URSS, la nuova generazione di artisti cresciuta negli anni Novanta e con la quale ci siamo relazionati, più raramente mette al centro questioni specificamente storico-politiche che riguardano il proprio paese e, ancor più di rado, lo fa in maniera diretta. Il linguaggio adottato, di marca internazionale, tiene piuttosto conto di temi legati alla società globale o fa appello a una poetica personale, declinando sensibilità e interessi di ricerca molto soggettivi. Tuttavia, la situazione politica che la Polonia sta vivendo da qualche tempo, con spinte sempre più conservatrici che hanno portato solo qualche settimana fa a diffuse manifestazioni di dissenso in tutta la nazione, potrebbe essere il punto di partenza per nuove riflessioni sulle sfide che il paese deve sostenere nel suo immediato futuro e sull’interpretazione del suo passato più recente. Probabilmente qualcosa, dal punto di vista della ricerca e produzione artistica, si sta già muovendo in questa direzione. Ogni città visitata presenta delle peculiarità e dei tratti distintivi che ci hanno colpito: il fascino dimesso di Bytom, l’eleganza contenuta di Cracovia, la vitalità eclettica di Varsavia, il carattere post-industriale di Łodz. Naturalmente si tratta di immagini di sintesi, frutto di un contatto temporaneo, spesso fugace, che non ci ha tuttavia impedito di farci un’idea sui luoghi visitati – al di là degli spazi dedicati specificamente all’arte, quasi sempre molto belli, curati e frequentati. Varsavia – la capitale – crediamo rappresenti il contesto più vivace per un giovane artista, vista la presenza di spazi dedicati all’arte, non solo quelli istituzionali. Pur splendida per il suo retaggio storico, Cracovia ci è sembrata invece

political issues shortly before and after the fall of the URSS, the new generation of artists who grew up in the Nineties and with whom we got in touch rarely address historical and political issues of their country, which are even more rarely dealt with in a direct manner. Rather, the international language they use takes into account issues linked to the global society or draws from their personal poetics, letting highly subjective sensibilities and interests emerge. Nevertheless, the political situation Poland has been experiencing since a while, marked by increasingly conservative impulses which culminated in widespread protests throughout the nation only a few weeks ago, might be the starting point for new reflections on the challenges the country will have to face in the near future as well as for interpreting the most recent past. As far as research and artistic production are concerned, something is already being moving in that direction. Any of the cities we visited had its peculiarities and many distinguishing features which fascinated us; Bytom’s decaying charm, Krakow’s discreet elegance, Warsaw’s eclectic dynamism, Łodz’s post-industrial style. They obviously are synthesized images, the result of a temporary and often transient contact which, nevertheless, did not prevent us from getting an idea of the places we visited – besides the art-related venues, which are generally very beautiful, cared for, and well attended. We consider that Warsaw – the capital city – constitutes the most dynamic environment for young artists, given the presence of many spaces dedicated to art, both institutional and non-institutional. Despite its amazing historical legacy, which makes of it an enchanting city, Krakow seems to be less prone to contemporary streams. In Łodz we could only visit the Sztuki Museum, an excellent way


meno caratterizzata sul versante contemporaneo. Di Łodz abbiamo avuto modo di vedere soltanto il Museo Sztuki – peraltro ottimo per conoscere la storia affascinante dell’avanguardia polacca. Infine siamo rimasti molto colpiti anche da Kronika, un centro espositivo e di ricerca incredibilmente vitale e sperimentale con sede a Bytom, ex polo minerario nella regione dell’alta Slesia (una realtà “problematica” dal punto di vista sociale), dove abbiamo incontrato artisti molto giovani eppure con una poetica forte e strutturata, presentata in modo sorprendentemente consapevole. La mostra rappresenta il capitolo conclusivo di questa esperienza. Il titolo fa riferimento a una poesia dell’autrice polacca Wisława Szymborska e allude alla fase di osservazione, intesa tuttavia non solo come uno sguardo esterno ma come un rapporto di scambio, condivisione e conoscenza reciproca che si è venuto a creare con i quattro artisti invitati a far parte di questo progetto, scelti secondo criteri condivisi e in qualche modo rappresentativi di tre contesti culturali e artistici diversi: Bytom, Cracovia e Varsavia. Ciò che ci ha convinto di ciascuno è stata la solidità della ricerca: di Alicja Bielawska abbiamo apprezzato il rigore di un’investigazione fondata sugli aspetti materiali della vita di ogni giorno e sulle relazioni tra oggetti, interni e memorie, tradotta in sculture e installazioni dove forme e colori sono perfettamente calibrati; la pittura di Poniatowski ci ha affascinato per il suo lessico di forme fantastiche, spesso sconfinanti nello spazio; Dominik Ritszel ci ha sorpreso per l’approccio visivo carico di tensione in cui trovano forma i concetti di controllo e disciplina; motivo di fascinazione nel lavoro di Jakub Wojnarowski è stata la capacità di saper unire il piano teorico e quello visi-

to get to know the fascinating history of the Polish avant-garde. We also got struck by Kronika, a dynamic and experimental exhibition and research centre based in Bytom, a former mining centre of the Upper Silesia region (a socially “problematic” realty), where we met very young artists with a strong and well-defined poetics which they presented in a surprisingly conscious manner. The exhibition constitutes the final chapter of this experience. The title refers to a poem by the Polish writer Wisława Szymborska. It alludes to the observational phase, meant not only as an external process but rather as a relationship based on exchange, sharing, and mutual understanding which has developed with the four artists who have been invited to be part of this project as a result of shared criteria and because they represented three diverse cultural artistic environments: Bytom, Krakow, and Warsaw. The decision to choose them was due to the solidity of their research. Alicja Bielawska had carried out a rigorous investigation on the material aspects of everyday life and on the relationship between objects, interiors, and memories, which she translates into sculptures and installations where shapes and colours are in a perfect balance; Poniatowski’s paintings struck us for their language, made of imaginary and often unlimited shapes; Dominik Ritszel surprised us with his visual approach charged with tension, control and discipline; in the case of Jakub Wojnarowski, it was amazing to see how he connects the theoretical approach to the visual one, reinterpreting the history of art. Rather than identifying a common thread shared by the invited artists, the exhibition means to acknowledge and emphasize the wide range of approaches and issues dealt with by them, underlining both the similarities and the differences, in a “game” invol-

vo, con una personale rilettura della storia dell’arte. Piuttosto che identificare una linea di connessione tra gli artisti invitati, la mostra intende riconoscere ed enfatizzare la molteplicità di approcci e temi affrontati, sottolineando sia le assonanze che le discordanze, in un “gioco” che coinvolge mezzi espressivi differenti: dall’installazione alla pittura, dal video fino al disegno e all’architettura. Nell’obiettivo di restituire la fase di osservazione e approfondimento del lavoro degli artisti, abbiamo voluto dedicare una porzione del percorso espositivo ai materiali di ricerca e studio che rappresentano la matrice ideativa da cui scaturiscono le diverse linee espressive degli artisti invitati. Questo perché è fondamentale sottolineare quanta importanza abbia avuto per noi, sin dal momento della scelta, la possibilità di guardare da vicino gli studi, le fonti e i riferimenti culturali, le metodologie e i processi adottati da ciascun artista. Un tale che osservo da un po’ di tempo si concentra sul tempo sfocato dell’osservazione come metodo di conoscenza e cura, all’interno di un percorso immersivo che abbiamo compiuto all’interno di una scena artistica nuova ai nostri occhi; una scena che, proprio attraverso un lungo processo di avvicinamento, siamo riusciti in qualche modo a raccontare, seppur in maniera parziale e non lineare. Consapevoli che quello che presentiamo è solo un brano di una narrazione ben più complessa, Un tale che osservo da un po’ di tempo è un’occasione per restituire quella pluralità di voci, intuizioni e suggestioni che ha fatto da sfondo al nostro viaggio e che oggi trova un’ulteriore estensione negli spazi della Fondazione Pastificio Cerere.

ving a number of media; from installations to paintings, from videos to drawings, to architecture. With the objective of making visible to the audience our process of observation and analysis, we decided to dedicate part of the exhibition path to a selection of research and study materials by the invited artists, which are the source of their expressive styles. We did so because it is vital to underline how important is and has been – since we made our choice – the possibility to look closely to the artistic research, as well as to the sources, the cultural references, the methods, and the processes put in place by each artist. Un tale che osservo da un po’ di tempo focuses on observation as a method of understanding and curating, within the immersive journey we made all through an art scene new to us. An art scene which, after a long process which allowed us to get closer to it, we achieve to describe, albeit in a partial and non-linear manner. Conscious that what we are presenting is anything but an excerpt of a far more complex narration, Un tale che osservo da un po’ di tempo is an occasion to give a shape to the plurality of voices, intuitions, and suggestions which served as a backdrop to our journey and which now further expand in the exhibition space of the Fondazione Pastificio Cerere.


il viaggio | the journey


talk | the talks


artisti | the artists

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1. Jakub Woynarowski one of preparation mindmaps for Novus Ordo Seclorum project including works by William Blake, Sandro Botticelli, Pieter Bruegel the Elder, Athanasius Kircher, Robert Smithson, Vladimir Tatlin and Frank Lloyd Wright 2017, courtesy of BWA Warszawa and z2o Sara Zanin Gallery, Rome

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2. Alicja Bielawska from the series Lines on a walk, 2014 coloured pencil on paper 42 x 59,4 cm 3. Dominik Ritszel Instructions 5, 2017 drawing on paper 29 x 42 cm 4. Cezary Poniatowski Everything is lovely, 2017 charcoal on paper 21cm x 29.7cm

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Alicja Bielawska Oggetti della vita di ogni giorno e minimi gesti ad essi correlati rivivono nelle opere di Alicja Bielawska (Varsavia, 1980; vive e lavora a Varsavia), alterati nelle loro forme e funzioni originarie, in uno slittamento tra i linguaggi del design, dell’architettura e dell’arte visiva che genera forme di affascinante enigmaticità. Attraverso un processo di riduzione e détournement, che enfatizza il ruolo strutturale della linea, quello percettivo del colore e quello sensoriale dato dall’utilizzo e mescolanza di materiali dalle proprietà diverse, l’artista parte da elementi legati a memorie personali sintetizzati in forme geometriche e poi sottoposti a un processo di trasformazione che genera nuove figure, astratte, leggere, spesso combinate tra loro in modo da suggerire l’immagine di un colorato parco giochi abitato da presenze invisibili. Nelle sue opere rivivono echi del Neoplasticismo olandese – Bielawska si è formata all’Università di Varsavia e poi alla Gerrit Rietveld Academie di Amsterdam – filtrati attraverso una personale sensibilità che instaura di volta in volta un dialogo specifico con i luoghi in cui è invitata a intervenire, passaggio nel quale la purezza formale si stempera nelle imperfezioni e discontinuità dello spazio vissuto. La linea diventa così non solo l’elemento fondante per la composizione della figura, ma un orizzonte che costruisce e delimita lo spazio, offrendone una percezione sempre nuova, originando un ritmo visivo che dalla superficie si allarga all’ambiente circostante. La continuità tra la pratica del disegno e la realizzazione di sculture e installazioni è un fattore chiave; non relegato a una dimensione puramente progettuale, il disegno è per Bielawska un mezzo complementare di

Everyday objects and related minimal gestures regain life in Alicja Bielawska’s works (Warsaw, 1980; she lives and works in Warsaw), altered in their original forms and functions in order to reveal an unexpected combination of design, architecture and visual art languages that gives birth to fascinating and enigmatic images. Through a process of reduction and the tactic of the détournement, which emphasize the structural role of the line, the perceptive aspect of colour and the sensorial input guaranteed by the use and mixing of materials with diverse properties, the artist avails herself of elements linked to personal memories, synthesizing them into geometrical forms and subsequently submitting them to a transformation process. The output are new, abstract, light figures which are combined in such a manner to suggest the image of a colourful playground inhabited by invisible presences. Her works echo the Dutch Neoplasticism – Bielawska studied at the Warsaw University and at the Gerrit Rietveld Academie of Amsterdam – but filtered by her personal sensibility, which allows her to dialogue with the spaces where she is asked to intervene. Moreover, it is precisely through this filtering process that formal purity is diluted by imperfections and the discontinuity of the inhabited space. As a consequence, the line turns into the pivotal element of the composition and, above all, in a horizon which defines and circumscribes the space, providing an always new perception and originating a visual rhythm that, from the surface, invades the surrounding environment. Continuity between the drawing practice and the production of sculptures and installations is a key factor. Far from being confined to the pure preparatory work, for Bielawska

riflessione e di azione grazie al quale dare una forma concreta alle proprie visioni, spesso rievocate attraverso un’accurata scelta dei titoli. Tessuti, metalli, legno e ceramica sono alcuni dei materiali che l’artista pone in sintonia e in tensione tra di loro e nello spazio, giocando sull’ambiguità tra industriale e artigianale, alludendo a forme riconoscibili cui tuttavia è difficile dare una definizione univoca e sollecitando sensi e memoria con piglio delicato e deciso al tempo stesso. [AT]

drawing is a complementary medium for reflection and action and it is able to concretely give shape to her visions, often echoed by carefully chosen titles. Textiles, metals, wood and ceramics are only some of the materials used by the artist. Playing on the ambiguity between industrial and hand-made and calling to mind recognizable shapes which, nevertheless, eschew a univocal meaning, she creates a sense of harmony and tension between the chosen materials, stimulating one’s feelings and memories in a delicate yet resolved manner. [AT]

Alicja Bielawska Perpendicular View on the Horizon 2017, cotton, acrylic, ceramic 260x164x6 cm. Photo: Frederik Gruyaert Courtesy of the Artist and Kasia Michalski.


Cezary Poniatowski Prima ancora di varcare la soglia d’ingresso, avevamo avuto il presentimento che non si sarebbe trattato di una normale sala del museo. Interamente dipinto di nero, l’ambiente era illuminato solamente da pochi fasci di luce che fuoriuscivano da enigmatici elementi turriformi. I bagliori erano velati da una nebbia che rendeva indistinti i contorni delle cose. Con la stessa pervasività, ci avvolgeva un suono elettronico imminente. Nella sospensione d’incredulità in cui eravamo precipitati, emergeva una grande figura, un essere a metà fra umano e animale. La visita alla mostra Kompost di Cezary Poniatowski (Olsztyn, 1987; vive e lavora a Varsavia) al Castello Ujazdowski di Varsavia ci ha rivelato un artista capace di fare mondi. Poniatowski ci era stato presentato come un pittore: da poco la sua pittura era uscita dai limiti della tela per investire lo spazio. Il giorno successivo abbiamo visitato lo studio dell’artista, in un complesso di stabilimenti chimici dall’aura post-sovietica. Qui abbiamo finalmente incontrato la sua pittura che si fa beffe delle categorie di astrazione e figurazione, governata da un segno che sintetizza fonti assai diverse, dal fumetto ai graffiti alla grafica. Siamo diventati familiari con il suo repertorio di forme ricorrenti, sospese fra geometria e peristalsi, e la tavolozza ristretta a quelli che sono classificati come i non-colori: bianco, nero e grigio. Dalla scrivania occhieggiavano libri di narrativa americana contemporanea. Notandoli, abbiamo pensato alle possibili qualità narrative delle tele, il cui dipanarsi non era tuttavia mai immediatamente decifrabile. L’artista ci ha raccontato del suo percor-

Yet before crossing the entrance threshold, we had the impression that it wouldn’t be a normal room of the museum. Fully painted in black, the room was only enlighten by a few light beams coming out from enigmatic tower-like elements. Glare was veiled by the fog which blurred the profile of things. In a seemingly pervasive way, we were wrapped by an impending electronic sound. In the suspension of disbelief in which we were plunged, a big figure appeared, halfway between a human being and an animal. Our visit to the exhibition Kompost by Cezary Poniatowski (Olsztyn, 1987; he lives and works in Warsaw) at the Ujazdowski Castle in Warsaw, revealed an artist able to make worlds. Poniatowski was introduced to us as a painter: more recently his paintings have started growing outside the limits set by the canvas and to invade the space. The following day we visited the artist’s atelier, located in a compound of chemical buildings with a post-soviet aura. Here we finally met his paintings, which eschew any abstraction and figuration categories and which are governed by a sing synthesizing a range of sources; from comics to graffiti to graphics. We have become acquainted with his repertoire of recurring forms - suspended between geometry and peristalsis – as well as with his palette which only comprises those colours which are defined as “non-colours”: white, black, and grey. Contemporary American narrative books peeped out from his desk. They made us think about the possible narrative qualities of his canvas, whose disentanglement was never that clear. The artist told us about his graphic studies, which we could trace in the austerity to the palette, the prevalence of two-dimension,

so di formazione nel campo della grafica, che ci sembrava di poter leggere nell’austerità della tavolozza, nella prevalenza di una misura bidimensionale, nella capacità di amministrare le superfici, nel frequente ricorso a scritte. La visita si era conclusa con la visione del suo lavoro nell’ambito del disegno: dagli schizzi tracciati sul taccuino, tracce per future composizioni su tela, ai collage in cui erano rielaborati frammenti d’immagini preesistenti, in direzione di quella «nobile conquista dell’irrazionale» profetizzata da Max Ernst. [SC]

the administration of the surfaces and the frequent use of writings. Our visit ended with him showing us his drawing-related works; from the sketches he made on his notebook – which served as the basis for future compositions on canvas – to the collages re-elaborating pre-existing images, towards the “noble conquest of the irrational” prophesized by Max Ernst. [SC]

Cezary Poniatowski No Center No Edges, 2016 exhibition view. Courtesy Galeria Piktogram, Warsaw.


Dominik Ritszel Il lavoro di Dominik Ritszel (Rybnik, 1988; vive e lavora a Katowice) trova la propria formalizzazione attraverso l’utilizzo del video. È grazie a questo mezzo espressivo che l’artista realizza film di breve durata, ma caratterizzati da un ritmo quasi ipnotico e da una tensione palpabile. L’intensità dei suoi lavori è data da alcuni elementi specifici: l’interesse ossessivo per il corpo e l’attività fisica, l’alternanza di campi larghi e inquadrature strette, la presenza spesso opprimente di architetture e luoghi che costituiscono delle allegorie manifeste del potere e dell’autorità. I film di Ritszel sono in costante bilico tra controllo e ribellione: ed è proprio da questa contrapposizione che i suoi lavori traggono linfa, portando l’osservatore a immergersi nelle immagini e nelle ambientazioni proposte dall’artista. Emblematico è, da questo punto di vista, Film About the School (2014). Girato all’interno della scuola media che Ritszel frequentava, il video contiene tutti gli aspetti che informano la poetica dell’artista: la centralità della figura umana e il suo rapporto con le istituzioni che regolano le nostre vite (in questo caso la scuola, primo avamposto della società con il quale fin da piccoli siamo chiamati a confrontarci); la cupezza e il carattere perturbante dei luoghi scelti come “set”; il gesto atletico come atto di disciplina e obbedienza da una parte e, dall’altra, come dichiarazione di vitalità e libertà d’espressione. La performance atletica è anche al centro di una delle più recenti opere di Ritszel, Adaptation (2017). La videoinstallazione mostra un uomo alle prese con degli esercizi fisici, svolti all’interno di una galleria d’arte: il rapporto conflittuale e ambiguo tra rigore e creatività, tra controllo e istinto,

Dominik Ritszel’s work (Rybnik, 1988; he lives and works in Katowice) reaches the peak of its formalization through the use of videos. It is thanks to this medium that the artist starts producing short films which, nevertheless, are characterized by an almost hypnotic rhythm and a palpable tension. The intensity of its works is guaranteed by some specific elements: an obsessive interest in the body and physical activity, the alternation between wide field and tight framing, the presence – often oppressive – of architectures and places which are manifest allegories of power and authority. Ritszel’s films always hang in the balance between control and rebellion; it is precisely this opposition which nourishes its work, leading the viewer to dive into the images and settings proposed by the artist. In this respect, Film About the School (2014) is an emblematic film. Shot in the secondary school Ritszel attended, the video contains all the distinguishing features of his poetic language: the centrality of the human figure and the relationship of the latter with the institutions governing our lives (in the case at issue the school, meant as the first outpost we have to confront with since en early age); gloomy and disturbing settings; the “athletic” gesture meant from the one hand as a form of discipline and obedience and, from the other hand, as a statement of vitality and freedom of expression. The athletic performance is also central to one of the latest works by Ritszel, Adaptation (2017). The video installation shows a man doing physical exercise within an art gallery: the controversial and ambiguous relationship between rigor and creativity, control and instinct, is emphasized by a rhythmic editing which once again stresses the

è enfatizzato da un montaggio cadenzato che esalta ancora una volta le tensioni tra queste polarità. La produzione di Ritszel, dominata da alcune costanti e aspetti ricorrenti, si segnala anche per la componente autobiografica. L’artista è stato infatti per anni giocatore di hockey, nel ruolo di portiere: e con i suoi video – quasi degli autoritratti – sembra che Ritszel voglia mostrare il lato oscuro della pratica sportiva in generale, individuando delle corrispondenze esplicite tra la disciplina imposta agli atleti e le forme di controllo e pressione talvolta esercitate dalle convenzioni sociali. [SV]

existing tension between these poles. Ritszel’s production, which is dominated by some constants and recurring features, distinguishes itself also for its autobiographical component. In the past, and during many years, the artist was a hockey player and, more precisely, a goaltender: through his videos, which are almost self-portraits, it seems that Ritszel wants to unveil the dark side of sport in general, by explicitly comparing the discipline imposed to the athletes and the forms of control and pressure exercised by social conventions. [SV]

Dominik Ritszel Adaptation, 2017 HD video, 7’30”.


Jakub Woynarowski La ricerca artistica di Jakub Woynarowski (Stalowa Wola, 1982; vive e lavora a Cracovia) si caratterizza per una forte impronta teorica che è alla base di una intensa produzione di disegni, libri e installazioni. Da attento conoscitore dei riti e delle simbologie delle culture clandestine e segrete, quali massoneria ed esoterismo, Woynarowski combina storie e simboli differenti con l’obiettivo di svelare incoerenze e buchi neri nella storia dell’arte che conosciamo. La sua prassi parte da un lavoro maniacale di esplorazione di archivi visivi e di collezione di stampe antiche e moderne, attraverso il quale Woynarowski costruisce una vera e propria “teoria della cospirazione” con l’obiettivo di seminare dubbi e formulare interpretazioni discordanti dalla storia dell’arte ufficiale. La relazione inscindibile che si definisce tra l’aspetto teorico e quello visivo ci portano a guardare al lavoro di Woynarowski come ad un saggio visivo, un diagramma che esplica una teoria attraverso la disposizione allusiva di un rebus di simboli, immagini e testi. Così l’artista pone le basi per la formulazione di teorie e narrazioni inedite che egli intende attivare, dando luogo ad una specie di reazione paranoica a catena. Nell’opera presentata all’interno di questa mostra, Woynarowski adotta la presenza nello spazio della scala a chiocciola per aprire un’indagine sulla valenza dell’immagine della spirale nella storia dell’arte, nell’architettura e nell’occultismo. Un sistema di relazioni di senso connette Est e Ovest, il Monumento alla Terza internazionale di Tatlin e il Guggenheim Museum di Wright, comunismo e capitalismo.

Jakub Woynarowski’s artistic research (Stalowa Wola, 1982; he lives and works in Krakow) is characterized by a strong theoretical approach which constitutes the basis for his intense production of drawings, artbooks and installations. Being a sensitive connoisseur of the rituals and symbology of clandestine and secret cultures, such as Masonry and esotericism, Woynarowski combines a number of histories and symbols with the aim of unveiling incoherencies and black holes in the history of art as we know it. His practice originates from the obsessive study of visual archives and ancient and modern prints, after which he builds a real “conspiracy theory” in an attempt to spreading doubts and formulating interpretations which deny the official history of art. The indivisible relationship between the theoretical and visual component leads us to interpret Woynarowski’s work as a visual essay, a diagram which explicates a theory through the allusive arrangement of a rebus made of symbols, images and text. In such a manner, the artist lays the foundations of his still unknown theories and narrations which he wants to activate, thus triggering a sort of paranoiac chain reaction. In the work displayed in this exhibition, Woynarowski makes use of a spiral staircase to initiate an investigation on the value of the spiral as an image in the history of art, architecture and occultism. A system of meaningful relations links the East and the West, Tatlin’s Monument to the Third International and Wright’s Guggenheim Museum, Communism and Capitalism. With this primary balance as the starting point, the diagram gives origin to chain reactions between the images through cross

Partendo da questo equilibrio primario, il diagramma costruisce relazioni a catena tra le immagini presenti con rimandi e allusioni che si distribuiscono spazialmente anche sulla scala, all’apice della quale si trova un’immagine quadripartita dell’Occhio della provvidenza, mentre sui gradini la parola “Tacet” viene disposta dall’artista per trentatrè volte. Ancora una combinazione di sensi acuta e misteriosa che cita John Cage (4’33”) all’interno di un sistema di segni che si riferisce al percorso massonico verso l’illuminazione. [MT]

references and allusions which distribute themselves also on the staircase, on the top of which we find a quartered image of the Eye of Providence, whilst the word “Tacet” is placed by the artist on the steps thirty-three times. Once again, we are besides a sharp and mysterious combination of senses quoting John Cage (4’33”) within a system of signs referring to the Masonic path towards the enlightenment. [MT]

Jakub Woynarowski De Nive Sexangula, from the cycle Novus Ordo Seclorum 2015, digital print, 23 x 23 cm courtesy of BWA Warszawa and z2o Sara Zanin Gallery, Rome.


Un tale che osservo da un po’ di tempo Someone I Have Been Observing for Some Time Mostra | Exhibition Fondazione Pastificio Cerere, Roma 21 settembre-14 ottobre 2017 | September 21 – October 14, 2017 A cura di | Curated by Simone Ciglia, Alessandra Troncone, Marco Trulli, Saverio Verini Artisti | Artists Alicja Bielawska, Cezary Poniatowski, Dominik Ritszel, Jakub Woynarowski La mostra chiude il progetto What’s the Weather in Poland?, ideato da Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere, e da Ania Jagiello, responsabile del programma d’arte contemporanea dell’Istituto Polacco. Il progetto si è articolato in due parti: un viaggio di ricerca in Polonia (9-15 aprile 2017) e un ciclo di due talk presso la Fondazione Pastificio Cerere a Roma, seguiti da Dj set. The exhibition is the final part of the project What’s the Weather in Poland?, conceived by Marcello Smarrelli, artistic director of Fondazione Pastificio Cerere and by Ania Jagiello, head of the contemporary art program at the Polish Institute in Rome. The project consisted of two main parts: a research trip to Poland (April 9-15, 2017) and a two-talk cycle at Fondazione Pastificio Cerere in Rome, each followed by a Dj set. Programma dei talk | Talks program: Alicja Bielawska e | and Cezary Poniatowski in conversazione con | in conversation with Simone Ciglia e | and Alessandra Troncone Dj set Lutto Lento 12 giugno 2017 | 12th of June 2017 Dominik Ritszel e | and Jakub Woynarowski in conversazione con | in conversation with Marco Trulli e | and Saverio Verini Dj set Raffica Soundsystem 16 giugno 2017 | 16th of June 2017 Service audio/video | AV Service KGE Event Management Allestimento | Exhibition set up SauroArt

Stampa | Printed by LCL s.a.s. Ringraziamenti | Thanks to Kuba Gawkowski Raffica Soundsystem BWA Warszawa Gallery, Warsaw Galeria Piktogram, Warsaw Kasia Michalski Gallery, Warsaw Kronika - Centre for Contemporary Art, Bytom Z2O Sara Zanin gallery, Rome Il progetto è stato reso possibile grazie al supporto dell’Istituto Polacco di Roma e rientra nelle iniziative organizzate nell’ambito dell’Anno della Vistola. | This project was made possible with the kind support of the Polish Institute in Rome and it is included in the Anno della Vistola program activities.

Orari di apertura | Opening hours Fondazione Pastificio Cerere Via degli Ausoni 7, Roma Lunedì – Venerdì 15.00-19.00, Sabato 16.00-20.00 | Mon-Fri 3-7 pm, Sat 4-8 pm Ingresso libero | Free admission Info Fondazione Pastificio Cerere Claudia Cavalieri, Emanuela Pigliacelli +39 06 45422960 info@pastificiocerere.it www.pastificiocerere.it Istituto Polacco di Roma Ania Jagiello +39 06 36004641 / +39 06 36000723 a.jagiello@instytutpolski.org www.istitutopolacco.it Ufficio stampa | Press Office press@pastificiocerere.it

Grafica | Graphic design Francesco Ciavaglioli Eliza Olszanska Documentazione fotografica talk | Photo documentation talks Lorenzo Costantino Traduzioni | Translations Arianna Cinque e | and Valentina Moriconi

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