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3.1 Richard Hamilton

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2.1 Peter Blake

2.1 Peter Blake

Richard Hamilton

Richard Hamilton (1922-2011) è stato il fondatore della Pop art e un visionario che ne ha delineato gli obiettivi e gli ideali. Le sue giustapposizioni visive degli anni Cinquanta sono state le prime a catturare l’energia frenetica della televisione e ci ricordano quanto dovevano sembrare strani l’aspirapolvere, il registratore e la radio per le prime generazioni che li hanno sperimentati. “La pop art”, dichiarò l’artista britannico, sarebbe stata: popolare, transitoria, spendibile, a basso costo, prodotta in serie, giovane, spiritosa, sexy, ingegnosa, glamour e Big Business. 23 Fu Hamilton a gettare le basi della Pop art e a definirne per primo gli obiettivi e gli ideali. La definizione di questo linguaggio è fornita da Lawrence Alloway nel suo saggio The Arts and The Mass Media:

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usai originariamente questo termine e anche pop culture, per riferirmi ai prodotti dei mass media, e non alle opere che si riferivano alla cultura popolare. In seguito, tra il 1954 e il 1957, il termine entrò nel linguaggio comune.24

Hamilton ha introdotto l’idea dell’artista come consumatore attivo e collaboratore della cultura di massa. Fino a quel momento (soprattutto negli ambienti dell’Espressionismo astratto) l’opinione prevalente era che l’arte dovesse essere separata dal commercio. Hamilton diede agli altri artisti il permesso di considerare tutte le fonti visive, specialmente quelle generate dal settore commerciale. Non c’è idea più influente nell’arte di oggi.

Per Hamilton, la Pop art non era solo un movimento, ma uno stile di vita. Significava un’immersione totale nella cultura popolare: film, televisione, riviste e musica. Come dimostra il suo allineamento con i Rolling Stones e i Beatles riuscì a colmare questo divario tra arte alta e cultura di consumo, aprendo la strada a numerosi artisti.

Hamilton ci ricorda che la Pop art è nata in Inghilterra. Egli faceva parte di un gruppo di giovani artisti, architetti e critici britannici che si riunirono negli anni Cinquanta per discutere gli aspetti della cultura visiva che non erano considerati parte della formazione di un artista tradizionale: film di cowboy, fantascienza, cartelloni pubblicitari ed elettrodomestici. La maggior parte di questi aspetti erano importati dall’America, il che li rendeva particolarmente affascinanti. Prima di arrivare al Pop, il termine usato per il movimento era “il nuovo brutalismo”, più descrittivo dell’assalto deliberato ai temi e alle rappresentazioni dell’arte generale che si ritrova nell’immaginario di Hamilton.

Quasi tutti gli artisti coinvolti nella prima ondata della Pop britannica sono stati plasmati in modo significativo dalla visione di Hamilton per il futu-

23 Benjamin H. D. Buchloh, Hal Foster, Richard Hamilton, Tate Gallery Pubn , Londra 2014. 24 Lawrence Alloway, The Arts and the Mass Media, Architectural Design, Londra 1958.

ro del movimento. Il suo impatto sui suoi allievi britannici Peter Blake e David Hockney è particolarmente evidente, ma ha lasciato il segno anche sugli artisti Pop americani come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, che ha conosciuto e con cui ha occasionalmente collaborato quando ha visitato gli Stati Uniti durante gli anni Sessanta. Il suo gusto per lo spettacolo pubblico, il genuino amore per il kitsch e l’approccio irriverente alle icone culturali rivivono nel lavoro dei giovani artisti britannici degli anni ‘90.

Richard Hamilton, Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different So Appealing?, 1956 Questo collage è stato creato da Hamilton per il catalogo della fondamentale mostra del 1956 alla Whitechapel Gallery di Londra, “This is Tomorrow”. È in questo esperimento espositivo che Hal Foster descrive:

l’arte pop spinge la pittura al limite, spesso per misurare gli effetti della cultura del consumismo (brillanti annunci pubblicitari, immagini cinematografiche fortemente iconiche, schermi televisivi e così via)… Proprio questo interscambio tra alto e basso consente alla pop art di mantenersi in contatto con “la pittura della vita moderna” definita un secolo prima da Charles Baudelaire come un’arte che si sforza di “distillare l’eterno dal transitorio”.25

La mostra è oggi generalmente riconosciuta come la genesi della Pop art, e già nel 1965 quest’opera in particolare fu descritta come “la prima vera opera Pop”. Al suo interno si trovano un Adamo e un’Eva contemporanei, circondati dalle tentazioni del boom consumistico del dopoguerra. Adamo è un uomo muscoloso che si copre l’inguine con un lecca-lecca grande come una racchetta. Eva è appollaiata sul divano con indosso un paralume.

Hamilton ha utilizzato immagini tratte da riviste americane. In Inghilterra, dove gran parte della classe media stava ancora lottando in un’economia lenta del dopoguerra, questo spazio affollato con i suoi lussi all’avanguardia era una parodia del materialismo americano. Nel redigere un elenco dei componenti dell’immagine, Hamilton ha

25 Hal Foster, Pop Art: pittura e soggettività nelle prime opere di Hamilton, Lichtenstein, Warhol, Richter e Ruscha, Postmedia Books, Milano 2020.

sottolineato l’inclusione di “fumetti (informazioni di immagini), parole (informazioni testuali) e registrazioni su nastro (informazioni sonore)”. Egli è chiaramente consapevole del lavoro dell’arte del fotomontaggio Dada, ma non ne sta facendo una dichiarazione di guerra contro questo movimento. Il tono del suo lavoro è più leggero. Si prende gioco delle fantasie materialiste alimentate dalla pubblicità moderna. L’intero collage anticipa le opere dei futuri artisti Pop. Il dipinto sulla parete di fondo è essenzialmente un Lichtenstein, il leccalecca ingrandito è un Oldenburg, il nudo femminile è un Wesselman, il prosciutto in scatola è un Warhol.

I Beatles un anno dopo nel 1968, affidano il concept del loro nuovo album “The Beatles” (pag. 73) a Richard Hamilton. Il suo design fu rivoluzionario per la sua semplicità. In contrasto con l’estetica sovraccarica delle sue immagini precedenti, questa copertina è completamente bianca e presenta solo le parole “The BEATLES” leggermente in rilievo e tipograficamente decentrate. Su ogni album era inoltre impresso un numero di serie individuale. Hamilton dichiarò in seguito di aver voluto creare “la situazione ironica di un’edizione numerata di qualcosa come cinque milioni di copie”. Era una specie di gioco, come ha spiegato lo stesso Hamilton:“Si collega davvero a quel senso di esclusività, alta pretesa estetica, ma anche allo stesso tempo, questo senso di reale individualità, e di connessione personale a qualcosa”.26

Alcune idee iniziali avevano delle sottili aggiunte al bianco: in un’intervista, Hamilton ha ricordato di aver suggerito: “Forse potremmo stampare un anello di macchia marrone per far sembrare che una tazza di caffè sia stata lasciata sopra”. Una seconda idea fu ispirata dal concettualista svizzero Dieter Roth. McCartney ha ricordato che Hamilton avrebbe ricevuto lettere “spalmate di cioccolato” da Roth e l’artista si è chiesto se ci fosse un modo per fare qualcosa di simile con una mela, in un cenno giocoso al nome della società Apple Corps dei Beatles. L’obiettivo era quello di “far rimbalzare una mela su un pezzo di carta e ottenere una sbavatura, una leggerissima macchia verde con un po’ di polpa”27, ha detto il cantante.

È un’opera d’arte e un oggetto quotidiano che è diventato parte della cultura popolare a pieno titolo. In questo modo, l’artista getta un ponte tra arte e design, cultura alta e bassa, produzione di massa e individualità. Il disegno di Hamilton contrasta fortemente con la copertina di Sgt. Pepper, esuberantemente colorata e movimentata, disegnata da Peter Blake, artista pop allievo di Hamilton. Forse perché la copertina di Blake è così profondamente ispirata a Hamilton (è molto più “Hamiltonesca” della

26 Ezio Guaitamacchi, Leonardo Follieri, Giulio Crotti, Rock & Arte: copertine, poster, film, fotografie, moda, oggetti , U. Hoepli, Milano 2018. 27 Antonio Gaudino, LP cover : copertine di dischi tra mito e storia, Electa, Milano 2004.

copertina del White Album), egli si è ribellato al suo stesso stile, scegliendo linee semplici per il White Album che lo rendono diverso dalla maggior parte dell’arte Pop prodotta in questo periodo, compresi gli altri lavori di Hamilton, e più simile al Minimalismo, ricordando un’opera concettuale, qualcosa che può essere assimilabile ai lavori che venivano esposti nelle gallerie proprio in quel periodo come le opere di Robert Ryman.

Infatti l’altra principale tendenza sviluppatasi in pittura e scultura, in contemporanea alla Pop Art è il Minimalismo. Il minimal costituisce il lato freddo, industriale, rigoroso dell’universo caotico e della mitologia desiderante del pop. I minimalisti si distanziarono dagli espressionisti astratti eliminando dalla loro arte i suggerimenti biografici e qualsiasi tipo di metafora. Questa negazione dell’espressione, unita all’interesse per la realizzazione di oggetti che evitassero l’apparenza di opere d’arte, ha portato alla creazione di opere eleganti e geometriche che rifuggono volutamente e radicalmente dal fascino estetico convenzionale. Anche i readymade di Marcel Duchamp furono esempi ispiratori dell’impiego di materiali prefabbricati. Sulla base di queste fonti, i minimalisti crearono opere che assomigliavano a prodotti costruiti in fabbrica e che rovesciavano le definizioni tradizionali di arte il cui significato era legato a una narrazione o all’artista. L’uso di materiali industriali prefabbricati e di forme geometriche semplici e spesso ripetute, insieme all’enfasi posta sullo spazio fisico occupato dall’opera d’arte, ha portato ad alcune opere che costringono lo spettatore a confrontarsi con la disposizione e la scala delle forme. Gli spettatori sono stati portati a sperimentare le qualità del peso, dell’altezza, della gravità, dell’agilità o persino l’aspetto della luce come presenza materiale. Spesso si trovavano di fronte a opere d’arte che richiedevano una risposta fisica oltre che visiva. I minimalisti hanno cercato di abbattere le nozioni tradizionali di scultura e di cancellare le distinzioni tra pittura e scultura.

Robert Ryman (1930-2019) può essere considerato uno dei massimi esponenti della pittura minimalista, le cui opere tentano di svuotare il dipinto dal contenuto e dal colore per concentrarsi quasi interamente sulla forma e sul processo, un idioma in cui ha continuato a lavorare per circa sessant’anni, ben oltre la scomparsa del minimalismo come movimento d’avanguardia. Si può quindi definire uno dei più convinti aderenti al movimento.

Come gran parte dell’arte minimalista, il lavoro di Ryman spesso chiede allo spettatore di riconsiderare questioni più ampie sull’opera d’arte - la sua collocazione all’interno della galleria, il rapporto figura-terra, le sue qualità manifatturiere rispetto alla mano dell’artista, la sua permanenza e i suoi confini, e in molti modi i suoi dipinti diventano più simili a oggetti che a immagini piatte. La maggior parte delle opere di Ryman sono senza titolo e sono quasi universalmente caratterizzate dall’uso massiccio di pittura bianca (pag. 75) - quasi ad esclusione di tutte le altre tonalità - che tende ad essere lavorata in modo estremamente accurato per conferire alle superfici una qualità tridimensionale variegata, quasi tettonica, in modo che il suo pro-

cesso di lavorazione diventi chiaramente visibile:

escludendo qualsiasi forma riconoscibile, l’attenzione viene concentrata tutta sull’atto pittorico in sé. I colori, la composizione dei colori, l’apparente mancanza di colori dei suoi dipinti vanno di pari passo con la sperimentazione nella scelta dei supporti. Di preferenza quadrati, questi possono essere di diversi materiali : tela, alluminio, vinile, fibra di vetro, carta da giornale, plexiglas, acciaio o carta da parati. A contare non è ciò che si dipinge, ma come si dipinge.28

Robert Ryman, Untitled (1961-1967)

28 Richard Chance, Robert Ryman : più bianco di così non si può, 3 Aprile 2014, https://lavaligiadellartista.com/2014/04/03/ robert-ryman-piu-bianco-di-cosi-non-si-puo/.

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