Guida del Parco - Percorso 16

Ente Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

ISBN 978-88-8497-417-4

VII Itinerario LA COLLINA DEI CAMALDOLI

Parco Metropolitano delle Colline di Napoli Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

VOL. I

Percorso 16

GLI ANTICHI VILLAGGI: DALLA CAPPELLA DEI CANGIANI ALL'ORSOLONA

redazione Leonardo Recchia impaginazione grafica Tommaso Lubrano Lavadera art director Leonardo Recchia

restyling impaginazione 2022 Francesco Schioppa (PMCN) Stampato nel mese di febbraio 2010 per conto delle edizioni CLEAN dalle Officine Grafiche Francesco Giannini e Figli S.p.A. Napoli Copyright © 2010 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it info@cleanedizioni.it Tutti i diritti riservati è vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-417-4

Gli autori di quest’opera intendono ringraziare tutti coloro che li hanno aiutati nella sua realizzazione, accogliendoli nelle proprie case e nei propri terreni, fornendo notizie documentarie e testi, tramandando episodi e ricordi personali, aiutandoli a comprendere meglio la struttura e lo spirito del territorio descritto. Senza il loro contributo questo testo sarebbe risultato molto più povero e impreciso.

Purtroppo di alcuni non conosciamo neppure il nome, degli altri forniamo l’elenco, in ordine alfabetico, sperando di avervi incluso tutti e chiedendo scusa a tutti quelli che, per dimenticanza ma non per ingratitudine, ne fossero rimasti fuori.

Pertanto gli autori ringraziano: Suor Luisa Alfieri delle Povere Figlie della Visitazione, Maria Teresa Angiulli, Famiglia Auzzino, Giovanni Baiano, Gaetano Barbarulo, Gennaro Bellafiore, Elisabetta Belli, Carlo Bocchetti, Berta Borrato, Bruno Brillante, Monica Bruno, Gabriele Carannante, Franca Chef, P. Umberto Ciotola, Antonio Colantuono, Domenico Contessa, Francesco Coppola, Franco Covino, Ileana Creazzo, Antonio Crosta, Nicola D’Amore, P. Carlo De Angelis, P. Claudio De Caro, Domenico De Luca, Giuseppe Della Corte, Suor Giovanna De Palo delle Betlemite, P. Carlo Diaferio, Ugo Di Furia, Mario Di Guida, Antonio Di Mauro, Marco Di Mauro, Giosuè Di Maro, Carmine Di Ruggiero, P. Pasquale Donvito, P. Ugo Dovere, P. Antonio D’Urso, Alberto Ercolano, Biagio Esposito, Rosaria Esposito,

Salvatore Esposito, Madre Fabia delle Suore Brigidine, Ebe Faggella, Michele Falco, Michele Fiore, Gaetano Fioretti, P. Raffaele Galdiero, Annamaria Gei, Tina Giacci, Maria Cristina Gioia,

Umberto Giordano, P. Salvatore Giuliano, Antonio Illiano, Francesco Imbriani, P. Filippo Jappelli, Guido Liotti, Carolina Lubrano, Francesco Luccio, Alberto Magone, Mario Marasco, Wanda Marasco, Giustiniano Matteucig, P. Francesco Minervino, Gaetano Mirone, Ciro Napoletano, Nino Nicoletti, P. Valentino Orefice, Mario Pacchioli, Gianni Palmers, Cataldo Patruno, Michelangelo Perretti, Luciano Pignataro, Giuseppe Polverino, Silvana Ponticelli, Luciano Riccio, Piero Riccio, Giuseppe Rusciano, Claudio Salerno, Giovanni Santoro, P. Pancrazio Scanzano, Guido Sciaudone, Ciro Sepe, Lucia Simone, Luciano Striano, Angela Tesone, Isabella Valente, Salvatore Varchetta, Francesco Varone, Antonio Vassallo, P. Pasquale Vicidomini, Massimo Visone Enti e Associazioni Associazione Amici della Vigna di San Martino, Associazione Asfodelo, Associazione Fondi Rustici, Biblioteca Nazionale di Napoli, Comunità La Sorgente, Diocesi di Napoli, Diocesi di Pozzuoli, Gran Priorato di Napoli e Sicilia del Sovrano Militare Ordine di Malta, Gruppo Archeologico Napoletano, Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali, Società Napoletana di Storia Patria.

Si ringrazia Padre Eduardo Parlato della Curia Vescovile di Napoli per la fattiva collaborazione.

Si ringrazia Fernanda Capobianco, Direttore dell’Archivio Fotografico della Soprintendenza Speciale per il Patrimono Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli. autori delle schede Giovanni Baiano Elisabetta Belli* Elio Cipriani Agostino Di Lorenzo Clemente Esposito Maurizio Frassinet Luisa Fucito* Gianni Palmers Laura Piano Leonardo Recchia* Renato Ruotolo* Amelia Verrilli *in questo volume

Il repertorio bibliografico è stato curato da Renato Ruotolo Il repertorio Iconografico è stato curato da Leonardo Recchia La campagna fotografica per la guida è stata realizzata da Leonardo Recchia altre referenze fotografiche Massimo Velo, Napoli p. 50; Carmine Guarino, Mugnano p. 84; Antonio Niego, Napoli p. 152; Archivio Fonderia Storica Chiurazzi pp. 127, 128, 129, 131, 133. © Ministero per i Beni e le Attività Culturali per le opere conservate in archivi, biblioteche e musei statali © Progetto Orto Immagine Regione Campania, scala 1:500, 2004.

Introduzione degli autori

L

a Guida del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli deriva da un nostro progetto accolto con entusiasmo dall’architetto Agostino Di Lorenzo, presidente dello stesso Parco, che ha partecipato con fattivo interesse alle varie fasi della sua realizzazione, redigendo, come esperto dei luoghi, l’itinerario di Chiaiano.

Non è semplice raccontare la genesi di quest’opera, frutto non solo di ricerche bibliografiche ma soprattutto della conoscenza diretta del territorio, in parte pregressa, in parte acquisita con lunghe passeggiate a piedi o a bordo di uno scooter, percorrendo strade urbane ma anche sentieri sterrati e tracciati di campagna senza nome. Una fatica premiata sempre dal ritrovamento di qualche antica masseria o dall’apparire di inediti tagli di paesaggio o di incredibili brani di campagna, ancora coltivata a poca distanza dalle moderne costruzioni. Ogni percorso è stato costruito non soltanto battendo il territorio ma anche appoggiando la ricerca sul campo con quella cartografica: mappe e piante, databili dal Sette al primo Novecento, sono risultate fondamentali per individuare tracciati da tempo dismessi, per recuperare elementi di una toponomastica ormai in disuso, per dare un nome ad antichi edifici, spesso in abbandono e ritrovati grazie alla segnalazione delle carte. Naturalmente non va ignorato l’apporto dato alla ricerca da alcuni testi, mai dedicati all’intero territorio

studiato ma a singole parti di esso, testi a volte di notevole valore scientifico, spesso di portata locale ma non meno meritevoli di menzione. Di questa bibliografia si è data la giusta segnalazione al termine di ciascun itinerario. Quel che è più difficile segnalare è il rapporto avuto con la gente del posto, contadini, operai, professionisti, sacerdoti, che spesso si sono adoperati per segnalare percorsi ed edifici isolati, per raccontarci avvenimenti, ricordare personaggi. Questo attingere alla memoria dei luoghi è stato essenziale per gli autori e traspare in più punti nei testi. Difficile ringraziare all’interno del testo così tante persone per la loro disponibilità, l’unico possibile segno di gratitudine nei loro confronti è costituito dal lungo elenco di ringraziamenti, posto all’inizio del primo volume.

Un doveroso ringraziamento, infine, va rivolto a quegli studiosi, esperti di differenti materie, che generosamente hanno offerto i loro consigli agli autori e, in alcuni casi, hanno redatto schede tematiche su argomenti di carattere storico, naturalistico, biografico, artistico, inserite nei testi degli itinerari, al fine di renderne più completa e approfondita la trattazione.

Per concludere, gli autori si augurano di aver reso, come era nelle loro intenzioni, un servizio alla città, facendone meglio conoscere alcuni luoghi e aspetti poco noti se non del tutto ignorati. Ma questa conoscenza può essere alla base del recupero e della valorizzazione delle varie e differenti aree del territorio del Parco soltanto se tutte le parti interessate, cittadini ed Ente Parco, riusciranno a stabilire un continuo e fiduciario rapporto di collaborazione, al fine di preservarne l’identità e di riconoscersi in essa.

I curatori Leonardo Recchia Renato Ruotolo

*I testi degli itinerari sono stati completati nel gennaio 2008

la Collina dei Camaldoli

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vii itinerario

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Alle pagine precedenti, Giacinto Gigante, I Campi Flegrei dal belvedere dell’Eremo dei Camaldoli. In basso si vede il lago di Agnano, poi prosciugato, sulla destra Capo Miserno e le isole di Procida e Ischia.

Con i suoi 458 metri di altezza il colle dei Camaldoli svetta fra i rilievi vulcanici dei Campi Flegrei ed emerge oltre quelli del Vomero e di Capodimonte, dominando da lontano la città di Napoli, di cui l’Eremo costituisce il punto più elevato. Esso fa parte del complesso vulcanico dei Campi Flegrei e costituisce il relitto più consistente di un antichissimo cratere, denominato l’Archiflegreo, che comprendeva quasi tutto il territorio dei Campi Flegrei. Circa 35.000 anni fa

Veduta di Ischia e Procida dai Camaldoli incisa da C. Heath su disegno di E.F. Batty e tratta da The Scenary of Italy di Views in Europa.

una sua immane eruzione coprì la pianura campana di tufo grigio (ignimbrite campana) e il conseguente svuotamento del serbatoio magmatico provocò il collasso dell’enorme vulcano, la cui superficie fu occupata in seguito dai vari vulcani flegrei. La collina dei Camaldoli è composta in prevalenza da tufo bianco e giallo, da piroclastiti sciolte e da inserti di piperno, presenta pendii ripidi a sud e sud ovest, verso Pianura e Soccavo, e più digradanti verso settentrione e oriente, dove il suo territorio è compreso in gran parte nel quartiere di Chiaiano e un po’ nel Comune di Marano.

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La collina dei Camaldoli

Il nome deriva dalla presenza dei camaldolesi, dimoranti nell’Eremo fin dal 1585, ma in precedenza il colle si denominava Monte Prospetto, o, per seguire Benedetto de Falco e la sua “Descrittione dei luoghi antiqui di Napoli”, scritta nel 1535, del “Salvatore ad aspectum, donde, per l’eminenza del monte che sta sopra Pezzuolo, si vede di lontano tutta Terra di Lavoro e verso il mare quasi infino in Sicilia”. Un po’ di esagerazione nell’allargare l’orizzonte panoramico appare evidente ma, se escludiamo la veduta verso la Sicilia, non ci mancherà quella della pianura campana e delle isole Pontine, naturalmente in una giornata limpida.

Dunque monte del SS. Salvatore a Prospetto, il secondo termine derivato dalla veduta, tuttora notevole, l’altro dalla presenza di una chiesetta dedicata al Salvatore, fondata quassù da S. Gaudioso sul finire del secolo V. Di essa non vi sono tracce e forse la sua esistenza va relegata nella leggenda.

Tuttavia vi sono segni di una presenza medioevale di monaci ed eremiti sul colle, luogo impervio e fuori mano, pertanto gradito agli spiriti contemplativi e mistici. Queste tracce si riscontrano lungo il versante fra Nazareth e Pianura e anche in zone di pertinenza del Comune di Marano. Ma i monaci non furono i primi a giungere quassù, li precedettero i romani che vi costruirono qualche masseria per sfruttare le selve e la terra, attestata da pochi resti di muri e da qualche ritrovamento di frammenti ceramici d’età imperiale.

Alle pagine seguenti, Giovanni Carafa duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775 (part.).

Si nota la fitta rete di sentieri che fino alle soglie del Novecento ha collegato fra loro e con la città i vari villaggi e masserie dei Camaldoli. Il loro tracciato è in parte ricalcato dalle attuali strade.

Molti degli edifici rurali segnati esistono tuttora.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

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La collina dei Camaldoli

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Real Officio Topografico, Carta Topografica ed Idrografica de’ contorni di Napoli, 1817-19.

La pianta presenta la situazione della collina dei Camaldoli non dissimile da quella del Duca di Noja, salvo alcuni interventi ottocenteschi come il Muro Finanziere aggiunti in una versione successiva a quella della prima edizione. Sono state evidenziate le emergenze urbanistiche e architettoniche oggetto della trattazione.

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Fino agli anni centrali del XX secolo la collina fu rivestita di boschi, coltivata, popolata di masserie e piccoli borghi rurali. La realizzazione della zona ospedaliera, l’apertura di nuove strade e il miglioramento della preesistente viabilità, l’allacciamento all’acquedotto e interventi di edilizia pubblica, verificatisi soprattutto fra gli anni Venti e Sessanta del Novecento, diedero l’avvio all’urbanizzazione di vaste aree, cui contribuì, e tuttora contribuisce, l’edilizia abusiva. Il fenomeno interessa tutta la collina che, tuttavia, conserva ancora estese aree boschive, da poco tutelate nel Parco Urbano dei Camaldoli, e terreni coltivati. Ma di questi argomenti tratteremo meglio nelle due parti dell’itinerario che comprende la maggior parte del territorio della collina. Alcune ne resteranno escluse in quanto trattate in altri itinerari, particolarmente in quello

La collina dei Camaldoli

riguardante Chiaiano, perché a essi più omogenee.

La Mappa del Duca di Noja registra nel 1775 un reticolo di sentieri che risale i Camaldoli. Noi qui seguiremo quelle strade che convergono verso l’Eremo o che raccordano le parti alte della città a Marano e Chiaiano, strade che, spesso, conservano la memoria degli antichi tracciati, resi carrozzabili, rettificati e ampliati nel corso del Novecento. E raggiungeremo quelli che erano piccoli villaggi, poco popolati, posti lungo le pendici dei Camaldoli, e chiesette e masserie, trovando anche aree ancora coltivate a vite, a orto e a frutteto, talora assediate da villette e palazzine moderne. Non trascurando, naturalmente, quelle cave di tufo che a lungo costituirono una delle attività economicamente più rilevanti della zona.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Bibliografia essenziale:

M. Arcopinto, Camaldoli di Napoli. Memorie complete, Napoli 1955.

M. Guarino, Notizie sulla collina e sull’Eremo de’ Camaldoli, Napoli 1969.

E. Noviello, Appunti sulla storia dei Camaldoli di Napoli, ivi 1973.

A. Crocco, L’Eremo di Camaldoli, Napoli 1984 G. Giacci, Gli affreschi ci sono, ma nessuno interviene, in “Bell’Italia”, luglio 1987.

C. Guarino, Gli spazi rurali. Persistenze di paesaggio agrario, parte I, Napoli 1992.

F. Maniscalco-M. Ruggiero, Gli affreschi della cappella di San Giovanni Battista ai Camaldoli di Napoli, in “Bollettino d’Arte”, n. 82, novembre-dicembre 1993.

E. De Carolis-M. Giglio-R. Serafino, Rinvenimenti di superficie nell’area dei Camaldoli (Napoli), in “Archeologia Uomo Territorio”, n° 15, 1996.

Napoli Sacra, fascicoli 13 e 15, Napoli 1996 e 1997 M. di Mauro, Il casale di Case Puntellate ed il borgo della Pigna, Napoli 1997.

A. Giannetti, Itinerari, in Parchi e giardini di Napoli, ivi 1999.

G. Dispoto con G. De Nigris e F. Ferranti, Parco dei Camaldoli, in Parchi e giardini di Napoli, ivi 1999.

G. Paradiso, Arenella e dintorni. Ville e chiese, a cura di N. Della Monica e M.R. Guglielmelli, Napoli 2000.

A. Di Lorenzo, Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano. Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Facoltà di Architettura, Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro, XVII ciclo, Gennaio 2006.

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Dall’Eremo dei Camaldoli a Largo dei Cangiani

Cartografia utilizzata:

G. Carafa, duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775.

G.A. Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze, 1793.

Officio Topografico di Napoli, Carta topografica ed idrografica dei contorni di Napoli levata per ordine di S.M. Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie, Napoli 1817-19.

A. Valmagini, Carte dei dintorni di Napoli, Napoli 183748.

F. Schiavoni, Pianta di Napoli, Napoli 1872-80.

Touring Club Italiano, Pianta di Napoli, Milano inizio XX secolo.

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Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolone

vii itinerario i parte

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SEDE DEL PARCO METROPOLITANO DELLE COLLINE DI NAPOLI

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Alle pagine precedenti: Ortofoto della Città di Napoli, (part). Si notano le ampie aree verdi circondate dalle costruzioni del quartiere Chiaiano e del Vomero Alto.

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Questa prima parte del settimo itinerario si svolge nella parte settentrionale della collina dei Camaldoli, compresa fra il viale S. Ignazio di Loyola, la strada Comunale Guantai ad Orsolone e via Leonardo Bianchi. Siamo nel territorio dell’antico casale di Chiaiano al limite del quartiere Arenella, al quale appartiene il Largo dei Cangiani. Qui le pendici del colle sono ancora in parte coperte da aree selvose o coltivate, tuttavia nelle zone più vicine agli Ospedali e dove i collegamenti sono stati resi particolarmente agevoli con la sistemazione dei vecchi percorsi e con il taglio di nuove strade l’edilizia abitativa si addensa, dando vita sia ad agglomerati compatti sia a insediamenti meno concentrati, fatti di case o palazzine di ridotte dimensioni, talora con minimi spazi verdi accanto. E l’abusivismo trionfa.

Come abbiamo già fatto in precedenza, anche adesso tenteremo il più possibile di seguire i percorsi antichi, impresa in questo caso non troppo difficile in quanto tanto il Largo dei Cangiani quanto il viale S. Ignazio di Loyola e le vie Comunali Guantai ad Orsolone e Guantai a Nazareth ricalcano strade che collegavano fra loro e con altri punti della città e dei Casali alcuni villaggi, sparsi lungo le pendici dei Camaldoli. Questi villaggi costituiscono il tema della nostra passeggiata e queste vie ne rappresentano una sorta di fil rouge.

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

L’antica cartografia e quel che rimane del loro impianto ci mostrano come questi abitati fossero di minime dimensioni, popolati in prevalenza da contadini e composti da poche case rurali, da una cappella e, semmai, da una masseria padronale. Infatti un’origine simile accomuna almeno due di questi villaggi, sorti in momenti diversi ma pur sempre per volontà dei padroni delle terre circostanti: Nazareth, forse già nel XIII secolo a opera dei Diano, signori feudali del posto; Cappella dei Cangiani, nel XV secolo sulle proprietà della famiglia Cangiano. Il terzo abitato, i Guantai, ha uno sviluppo molto più tardo ma, ci pare, sempre legato agli interessi di una famiglia, i Di Marino. Dunque storie simili, che approfondiremo a suo luogo, edun destino simile, quello che sta sotto ai nostri occhi: le poche case dei villaggi sono sommerse, quando non sostituite o sfregiate, dalla moderna edilizia, spesso abusiva, e campi e selve di castagni sopravvivono a stento, continuamente erosi dal cemento e in qualche punto scempiati da piazzole per parcheggi improvvisati o da versamenti di materiali edili e di risulta.

Questa parte dei Camaldoli è riprodotta nel 1775 nella Mappa del Duca di Noja. Ebbene dobbiamo notare come molte delle fabbriche indicate allora stanno ancora al proprio posto, talora pesantemente travisate, in qualche raro caso ancora discretamente conservate. La visita di queste masserie risulta di grande interesse e ci lascia intendere la loro centralità nell’organizzazione e nella gestione delle zone agricole e selvose del colle e l’importanza della loro produzione per l’approvvigionamento della città.

Grande fu anche l’importanza della coltivazione delle cave di tufo, largamente praticata, come del resto in tutta l’area collinare, come abbiamo già visto negli itinerari precedenti.

Qui abbondano cave in grotta o a cielo aperto, ormai tutte dismesse e in alcuni casi divenute discariche di materiali di risulta.

Hakea Lanigera da Michele Tenore, Flora Napolitana.

Descrizione delle Piante Indigene del Regno di Napoli, Napoli 1811-15.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Il villaggio dei Cangiani e la rete stradale che vi convergeva nella pianta settecentesca del Duca di Noja e in quella ottocentesca dello Schiavoni (a fronte). L’immagine più recente registra le modifiche apportate, nel secondo quarto dell’Ottocento, dalla costruzione del Muro Finanziere e dalla sistemazione della nuova via dei Canapi, che collegava Miano al lago di Agnano.

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I

niziamo questa passeggiata da Largo dei Cangiani, facilmente raggiungibile con vari autobus oltre che con la Metropolitana Collinare, tramite le non lontane stazioni di Rione Alto e Policlinico.

In esso convergono varie strade, alcune moderne, altre di antica origine e già presenti nel 1775 nella Mappa del Duca di Noja dove, qui vicino, è segnato un piccolo borgo, denominato Cappella dei Cangiani in quanto sorto almeno dal XV secolo su terre di proprietà della famiglia Cangiano, che verso il 1575 vi aveva eretto anche una cappella, dedicata a S. Maria di Costantinopoli. Questo sito, ai piedi della Collina dei Camaldoli, a circa 280 metri s.l.m., costituiva un importante nodo stradale, punto di incrocio dei percorsi che conducevano da Agnano a Miano, al villaggio di Nazareth e all’Eremo, allo Scudillo, all’Arenella e al casale di Chiaiano. Percorsi spesso malagevoli e sterrati, migliorati soprattutto a partire dagli anni Venti del Novecento, in relazione allo sviluppo della zona Ospedaliera che portò anche al taglio della nuova via Fontana, il cui tratto che giunge ai Cangiani si chiama ora via Semmola, e, dal 1934, di via Leonardo Bianchi. Naturalmente alle nuove opere di urbanizzazione si è accompagnato, dagli anni

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

del secondo dopoguerra, il proliferare di una fitta edilizia abitativa che in questa zona ha cancellato i campi e le poche case isolate.

Presso il villaggio passava la cosiddetta via dei Canapi, che collegava Agnano a Miano, seguita lungo il lato interno dal Muro Finanziero che qui segnò il confine daziario fra Napoli e Chiaiano dal 1831 fino al 1926, anno in cui il vicino comune fu accorpato alla città. Ancora al loro posto, all’imbocco di via Cangiani, fanno da sentinella due piccoli edifici ottocenteschi, molto manomessi, i soli superstiti del posto doganale aperto nel Muro: in quello a un piano era sistemato l’ufficio di controllo, nell’altro, composto dal solo piano terra, c’era il posto di guardia.

Adesso l’uno accoglie un negozio di abiti da sposa, l’altro una tabaccheria. Attraverso la via Cangiani, passata la località Ponte di S. Martino, scomparsa per la costruzione del Pascale, si raggiungeva la Cupa dei Gerolamini e di lì, per Due Porte, la città bassa.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

In basso e a fronte antichi edifici del Villaggio dei Cangiani.

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La via Cangiani, dopo pochi metri, si allarga in un piccolo spazio triangolare, corrispondente all’antico nucleo del Villaggio dei Cangiani, così come ce lo mostrano le piante dal XVIII secolo in poi. Anche qui, come a Due Porte, erano attive molte lavandaie che facevano il bucato per le famiglie della città; le ultime hanno smesso la loro attività una quarantina d’anni or sono. Se l’impianto del larghetto è rimasto immutato, le case rurali che lo circondavano sono ormai irriconoscibili, qualche traccia di antichità si individua negli arconi del livello terra del palazzo di sinistra, e lo stesso ambiente della cappella, al n.32, ora sede di un gruppo sportivo, con la fabbrica che la ingloba, è di aspetto moderno. Essa fu sostituita da un edificio sacro più capiente, posto nello stesso largo, la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, disegnata dall’ingegnere Alfredo Pastacalda, aperta nel 1914, elevata a parrocchia nel 1925 e ristrutturata nel 1951.

Murata nella facciata, sulla destra, è una lapide seicentesca proveniente dalla località Ponte di S. Martino. Nell’interno, a una navata, la seconda cappella a sinistra fu eretta a spese del notaio Giuseppe Paradiso e di sua moglie Ida Postiglione che vi posero nel 1928 una statua lignea di S. Antonio da Padova, opera di Vincenzo Avallone, ora riportata nella cappella di Villa Paradiso.

Il dipinto tardo cinquecentesco con La Madonna di Costantinopoli, già esposto

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

nella antica cappella dei Cangiano, fu di qui trasferito nella nuova parrocchia, recante lo stesso titolo, costruita negli anni 1969-1976 nella vicina via Semmola. In essa si conserva anche un importante Crocifisso ligneo dei primi anni del XVII secolo, già nella Chiesa dell’Incoronata a via Medina.

Ritorniamo nella piazza dei Cangiani.

Fra le strade che vi convergono ricordiamo che le vie Jannelli e Montesano sono tratti della via Miano Agnano, o dei Canapi, sistemata a metà Ottocento seguendo tratti di percorsi preesistenti,

La lapide, murata sulla facciata della chiesa del Villaggio, proviene dalla località scomparsa di Ponte S. Martino.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Facciata laterale della Villa Torno Aldana.

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mentre il viale S. Ignazio di Loyola segue in buona parte il tracciato dell’antica Cupa Pastore, poi detta Cupa Nazareth, che saliva ai Camaldoli e che sta segnata nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja. Sulla sua destra, subito dopo la piazza, una breve salita privata ci conduce a un grande edificio, ai tempi del Noja isolato nei campi, identificabile con la Villa Torno Aldana, costruzione a tre piani con un corpo angolare ad arconi e contrafforti, forse un rafforzo dopo un dissesto statico. La struttura è stata ferocemente alterata con aggiunte di balconi e di altre superfetazioni che non ne hanno però cancellato alcuni elementi originari: nel cortile, dove un tempo si aprivano stalle, depositi e, nelle fabbriche basse su tre lati, le case dei contadini, il corpo principale mostra delle finestre sfalsate, corrispondenti alla scala che dava agli appartamenti

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

padronali. Essa è stata da poco rimodernata ma dimostra l’origine seicentesca del complesso, documentata ancora negli anni fra le due guerre dalla data 1615, letta dal notaio Paradiso su uno dei pilastri, ormai scomparsi, posti all’inizio della salita. Sull’altro si vedeva lo stemma dei Torno Aldana. Lo stesso Paradiso ci tramanda il ricordo di un Antonio Torno, ultimo del suo casato, forse lo stesso cui si riferiscono le iniziali AT, poste nella rosta in ferro del portale (secoli XIX-XX), che diede grande incremento alla sua masseria dove produsse vini di un certo pregio.

Adesso di quelle terre, già ridimensionate negli anni Trenta del XX secolo per l’apertura di via Leonardo Bianchi, sopravvive solo qualche misero fazzoletto, il resto è occupato da palazzine moderne. Soltanto alle spalle del palazzo potrete contemplare degli ordinati filari di ortaggi e noci, susini, fichi, curati in un piccolo campo da un anziano contadino, e sul davanti un altro spazio, con filari di viti che si affacciano sul muro di contenimento all’inizio di via Leonardo Bianchi.

Adesso il nostro itinerario seguirà una delle antiche vie che portavano verso Nazareth, denominata ancora nei primi del Novecento via Cupa Pastore, perché passava presso le case di questa famiglia, poi Cupa Nazareth e infine, dal secondo dopoguerra, viale S. Ignazio di Loyola, per la presenza di una casa dei Gesuiti. La strada si svolge in salita, con varie curve, a tratti incassata fra una parte del colle che monta fin verso i 380 metri s.l.m. per poi declinare a nord verso Chiaiano, e un’altra che si porta fino a oltre 400 metri s.l.m. prima di scendere a sud e a est verso il Vomero e Soccavo. Sulla destra un muro contiene la scarpata, invasa da robinie, acacie e altri arbusti, interrotto ogni tanto da case basse e palazzine. Alle loro spalle vi sono ancora vaste aree coltivate a frutteto o semiabbandonate, delimitate a nord dalla strada Comunale Guantai ad Orsolone, non visibili dalla strada in quanto poste a un livello superiore e perché gli accessi sono accuratamente serrati. Quando possibile cercheremo di gettarvi uno sguardo.

Allium carneum da Michele Tenore, Flora Napolitana.

Descrizione delle Piante Indigene del Regno di Napoli, Napoli 1811-15.

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Foto aerea della Casa S. Ignazio e dei territori circostanti.

In basso, panorama di Napoli verso settentrione ripreso dai tetti della Casa Gesuitica. Si noti la Torre degli Istituti Biologici del II Policlinico e sullo sfondo il profilo dei rilievi appenninici.

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Più facile sarà farsi un’idea del territorio sul lato sinistro della via, dove il colle declina verso il Vomero Alto. Qui si incontra ben presto il moderno edificio del 13° Circolo Didattico cui segue, al civico 51, l’ingresso alla Casa S. Ignazio, tenuta dai padri Gesuiti che nel 1954 acquistarono dai fratelli D’Alessio l’antica masseria Pastore, già segnata sulle piante del 1793, e altri terreni circostanti, per costruirvi un centro di formazione per i giovani Gesuiti, trasformato già nel 1963 in centro di

spiritualità e di convegni. Il grande edificio, a sette piani, progettato dall’architetto Antonio Monizi, fu eretto fra il 1955 e il 1959; dall’alto dei suoi terrazzi si gode di un ampio panorama che dal primo piano, dove si vedono i palazzi del Vomero Alto e tutti i vari Ospedali ubicati nella zona, si spinge fino a comprendere in basso tutta la città fino a Fuorigrotta. Dopo le case del Vomero si ha una inconsueta veduta del Castel S. Elmo appena emergente tra la marea edilizia moderna. Sulla destra un versante

Facciata della Chiesa dei Gesuiti su via S. Ignazio di Loyola.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Veduta panoramica del Vomero dalla Casa Gesuitica.

Si noti l’intensa urbanizzazione del territorio e sul fondo la sagoma di Castel Sant’Elmo che a stento si distingue. Sullo sfondo la penisola sorrentina.

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dei Camaldoli preclude la visione dei Campi Flegrei ma per il resto lo sguardo spazia senza ostacoli sul golfo, con la Costiera, Capri e Posillipo visto dall’alto, il Vesuvio e la pianura fino a Caserta, con l’Aeroporto e il giro degli Appennini. L’antico fondo rustico è stato trasformato dai Gesuiti in un parco ricco di pini, cedri, castagni, palme, lecci, magnolie, e percorso da viali; in quello d’ingresso è posta una statua marmorea del Redentore, scolpita nel 1921 da Edgardo Simone. Soltanto la parte più bassa è tenuta a frutteto e orto mentre la Masseria Pastore, posta sulla sinistra del nuovo edificio, fu demolita.

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

Il ricordo dei Pastore sussiste ancora nel nome di una via che si apre sulla destra del viale S. Ignazio, di fronte al cancello dei Gesuiti, la’ Ascesa dei Pastori che si svolge a saliscendi fra palazzetti moderni e qualche pezzo di terra, sulla destra, e un costone coperto da castagni e robinie, sulla sinistra. Si tratta di un antico percorso, già segnato nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja, che collegava la Cupa Pastore alla via che portava a Orsolone, ora Guantai ad Orsolone. Quel che resta di questo tracciato si biforca: prendendo sulla destra, ci si immette nella parte terminale di un altro antico percorso rurale, la via Comunale Montelungo, ormai chiusa e inagibile, seguita sulla sinistra da un fitto castagneto che ricopre un rilievo e si affaccia per un certo tratto sulla via Guantai ad Orsolone.

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La salita sterrata che svolta a sinistra, denominata via Vicinale De Mellis, risale lungo il crinale del costone destro di un vallone, denominato Cugnolo o, dai locali, “’o cugnulo”, al cui fondo si accede da una deviazione, posta appena inizia via De Mellis.

Passiamo fra piccoli spazi tenuti a orto e alberi da frutto: noci, susini, albicocchi, ciliegi; le viti (falanghina e piedirosso) si scaglionano lungo il costone, sui terrazzi che calano verso il fondo del vallone. Il confine sulla destra è costituito dalla selva di castagni, di cui abbiamo già costeggiato il limite inferiore sulla via Montelungo. Un altro fitto castagneto riveste il costone opposto del vallone; a un certo punto una ferita di terra e detriti lo percorre

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dall’alto, una discarica che ha anche nascosto l’ingresso di una cava di tufo in grotta. Altre, aperte più innanzi, sono in parte ostruite da frane e detriti; in esse, dopo l’8 settembre del 1943, le truppe tedesche depositarono materiale bellico e derrate e, qui vicino fucilano partigiani e altri prigionieri. Procedendo il vallone incontra anche una grande cava a cielo aperto. Sulla sua sommità, poco prima della discarica, spicca la sagoma della Masseria Pinto, che raggiungeremo per un’altra strada. Intanto la nostra salita ci porta alla Masseria D’Andria, già registrata nelle piante settecentesche, che una lapide con stemma, murata all’esterno del muro di cinta, dice fondata da don Pietro D’Andria nel 1775. È questa una delle masserie meglio conservate del territorio chiaianese, tuttora abitata e al centro di un fondo coltivato. Un arcone, aperto nel muro di cinta, introduce nella corte chiusa su due lati da una struttura a due piani, articolata in più corpi raccordati da terrazze e scale esterne di piacevole gusto scenografico. Al di sotto i cellai, tuttora in uso, e sulla destra un locale già adibito a stalla e i pozzi collegati alle cisterne. Di quassù, fra le cime degli alberi, si vedono gli ospedali Monaldi, Policlinico e Cotugno e il Vesuvio coi paesi che montano sui suoi versanti.

Masseria D’Andria, A fronte, lo stemma della famiglia D’Andria e una veduta d’insieme della masseria ripresa dalla Masseria Pinto. In alto, l’interno del muro di cinta con l’arco d’accesso.

Alle pagine seguenti, la Masseria D’Andria. Di rilievo l’articolazione dei volumi e lo svolgimento delle rampe con i terrazzi.

I campi circostanti coltivati a frutteto e a vigneto con uve piedirosso e falanghina.

Ancora in uso una scala di antico modello, molto diffuso un tempo nelle campagne napoletane.

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Uno scorcio della Masseria Pinto fortemente alterata nella sua originaria immagine da superfetazioni e dalla presenza di nuove costruzioni.

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Ripercorriamo a ritroso il nostro cammino fino a ritrovare la salita del viale S. Ignazio. Sulla destra il solito muro sovrastato da acacie e robinie viene interrotto ogni tanto da qualche casa e dai cancelli chiusi che difendono campi e parchi. Sulla destra, al civico 110, fra un gruppo di case basse e senza pretese si svolge una salita che ci porterà alla Masseria Pinto, di origine settecentesca ma profondamente alterata, che soltanto nel muro basamentale del retro mostra la sua antichità. Da questa parte essa si leva sull’orlo del Vallone “Cugnulo” e fronteggia le terre della Masseria D’Andria.

Si riprende via S. Ignazio che, all’altezza della via Vicinale Agnolella, che proviene sulla sinistra dai Camaldolilli, è seguita per un poco sulla destra da filari di viti e da un gruppo di susini. Dopo il numero 130 un viottolo sterrato porta a un ampio frutteto, popolato da noci, ciliegi, peri, susini, e a un vigneto. Intanto sulla sinistra, dopo il civico 194, si infittisce la vegetazione, con prevalenza di castagni: stiamo costeggiando, e costeggeremo a lungo, il confine del Parco Urbano dei Camaldoli che tratteremo nel corso della successiva passeggiata. Per ora limitiamoci a contemplarlo dall’esterno e a superarne vari cancelli, tutti chiusi salvo uno. Intanto sulla destra aumentano le costruzioni a fil di strada e al numero 310 troviamo la sede del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli, ubicata in un edificio moderno, affacciato nel retro su una grande selva di castagni, quasi impenetrabile, che copre il declivio fino alla strada Comunale Guantai ad Orsolone e alle case che la bordano. Sulla destra la voragine di una cava di tufo

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a cielo aperto, inattiva. Oltre la selva, sulla sinistra guardando, campi con alberi da frutto che si raggiungono dalla antica Masseria Reggente, collegata da una traversa al viale S. Ignazio e segnata dal civico 264. La fabbrica, che appare già nelle piante del primo Ottocento, consta di un corpo a un piano, dotato di una scala esterna, affacciato su una corte rettangolare chiusa da tre corpi bassi e coperti da terrazza. In quello maggiore si apre l’arcone d’ingresso.

Nei pressi della Masseria sorge qualche palazzina moderna, qualche viottolo sterrato porta ai campi. Sulla destra una costruzione quadrata, emergente per circa un metro, costituisce la parte emergente di un’antica cisterna la cui copertura, cintata da un muretto, fungeva da aia.

Ripreso il viale S. Ignazio si trova subito, di fronte a un ingresso del Parco Urbano, la via Vicinale Reggente,

In alto, la sede del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli.

In basso, l’ingresso dell’antica Masseria Reggente.

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Foto aerea del territorio circostante la Masseria Reggente con l’omonima via che conduce da via S. Ignazio al Villaggio di Nazareth.

E’ evidente il disordinato sviluppo urbanistico subito dal territorio che ancora presenta vaste aeree coltivate o coperte da castagneti.

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che giunge fino a piazzetta dei Guantai a Nazareth, svolgendosi tutta curve e saliscendi, talora incassata. Per chi volesse effettuarvi una deviazione diremo che essa si svolge a tratti fra villette e gruppi di palazzine, non sempre sorte all’insegna della legalità, così come evidentemente abusive sono le discariche di materiali che ogni tanto la bordeggiano. Tuttavia questa strada ci consente ancora di muoverci fra terreni coltivati, situati prevalentemente sul lato destro. Qui in alcuni tratti ci accompagnano filari di viti, mentre più dietro, sulle balze digradanti del colle, troviamo impianti di alberi da frutto, spesso susini, e fichi, noci e qualche castagno, talvolta anche i solchi regolari di qualche orto. A volte sul breve rilievo a sinistra un

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sipario di castagni lascia immaginare una selva che non c’è, sostituita da villini o terra coltivata. Il pendio è percorso da qualche strada che si inoltra a raggiungere gruppi di edifici moderni e che ritorna più innanzi sulla stessa via Reggente.

Ritornati su viale S. Ignazio, presso un accesso chiuso del Parco Urbano troviamo, protetta da oleandri, una piccola cappella dedicata nel 1956 alla Vergine. La fine del lungo tratto in salita è segnata sulla destra da un grande noce; poco oltre il viale svolta sulla destra e si continua nella via S. Romualdo, chiusa fra moderne palazzine basse e giardinetti fino al suo sbocco nel tratto terminale di via Comunale Guantai a Nazareth. L’ampia curva e l’inizio di via S. Romualdo costeggiano sulla destra un vasto appezzamento articolato lungo il pendio ad ampie balze e ben coltivato a vigneto e frutteto, con noci, susini, fichi e altre piante. Lungo il sentiero d’accesso al campo, sul lato sinistro, è piantata una spalliera di castagni che cela in parte la mediocre edilizia moderna sorta su un lato di una confinante strada cieca che conduce al campo di calcio “Mellini”.

Particolare di un vigneto, di uva falanghina, in via Reggente

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Il Villaggio di Nazareth e le strade che vi afferivano nella pianta settecentesca del Duca di Noja.

Ornithogalum montanum da Michele Tenore, Flora Napolitana.

Descrizione delle Piante Indigene del Regno di Napoli, Napoli 1811-15.

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La via Comunale Guantai, superato l’incrocio con via Mandracchio, si conclude in via dell’Eremo che inizia all’altezza dell’antico Villaggio di Nazareth, posto a circa 417 metri s.l.m., che ora ci porteremo a visitare. Da questo abitato partiva l’antica via che menava all’Eremo, sostituita da quella moderna ma ancora esistente. La percorreremo nel corso della seconda parte di questo itinerario. Una lunga costruzione, sulla destra di via dell’Eremo, resa irriconoscibile da aggiunte di balconi, corpi pensili, sopraelevazioni e quant’altro possibile, costituisce quel che resta di una grande proprietà rustica dei signori di Nazareth, ultimi della serie i Verusio che qui ebbero interessi e terreni ancora fino alla metà del Novecento.

Il loro nome si legge inciso nella scritta “Villa Verusio”, murata sull’arco d’accesso al profondo androne che, sottopassando il palazzo, immette nel villaggio. Questo edificio appare già nel 1775 nella Mappa del Duca di Noja così come l’altro, posto in fondo alla via che parte dritta dall’androne. Le altre costruzioni sorsero dopo ma, comunque, questo fu sempre un piccolo villaggio, popolato da pochi contadini, da cavatori e da addetti alla manutenzione delle selve vicine. Il suo territorio, abitato nel 1714 da appena 21 famiglie con un centinaio

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di anime, si sviluppò soltanto dal secondo dopoguerra, in relazione all’urbanizzazione delle aree circostanti: negli anni Cinquanta-Sessanta furono costruite la scuola e quattro palazzine popolari a opera del Comune; seguirono i privati, edificando palazzi, villini e palazzetti, spesso in totale abuso.

Prima di inoltrarci nel piccolo nucleo antico dell’abitato, conviene darne qualche cenno storico, risalendo agli inizi del XIII secolo, quando tutta la parte superiore del colle dei Camaldoli apparteneva alla nobile famiglia dei Diano che nella prima metà del XV secolo diede a Napoli gli arcivescovi Nicola e Gaspare. Furono i Diano a fondare, in un anno imprecisabile, la chiesetta dedicata alla Sacra Famiglia di Nazareth, da cui il villaggio prese il nome. Il titolo di Signori di Nazareth passò in seguito ad altre famiglie, le più importanti i Capece e i Crispo, ultima quella dei Verusio che l’acquisì

Palazzo Verusio, particolare dell’ingresso all’antico abitato di Nazareth. In basso, la grande casa rurale che caratterizza l’antico villaggio.

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Chiesa dell’Immacolata di Nazareth, portale seicentesco.

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per matrimonio nel XIX secolo. Dei Crispo va ricordato Giovan Battista, giureconsulto celebre ai suoi tempi, che nella seconda metà del XVI secolo costruì quassù una sontuosa villa, ormai scomparsa, e donò ai Camaldolesi il terreno per costruire l’Eremo, come vedremo nella passeggiata successiva.

Dunque portiamoci all’interno del villaggio per constatare che anche la parte retrostante del palazzo dei Verusio è stata abbastanza alterata anche se se ne riconosce l’originario carattere rurale, con varie scale aperte che danno alle abitazioni. Lì presso sorgono alcune case rurali. Lungo la via Nazareth, che parte dritta dall’ingresso, sono sorte fabbriche senza pretese laddove, ancora nei primi decenni del secolo XIX, si vedevano soltanto dei campi e un grosso blocco edilizio, già segnato dal Duca di Noja nel 1775, ma alquanto più antico. La grande costruzione era destinata a varie funzioni in relazione alle attività agricole, da abitazione dei coloni a deposito a stalle. Nonostante modifiche e superfetazioni, presenta un certo interesse nel gioco delle scale aperte e nella posizione, ben percepibile dalla via Mandracchio a Nazareth da dove si vede la mole articolata, sorgente a picco su uno sperone dei Camaldoli che guarda verso Pianura e dominata nell’angolo di destra da un corpo più alto, una sorta di torrione. Questo si nota anche in facciata

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dove, sulla destra, una struttura montante e aperta da finestre maschera la scala aperta che vi conduce. Altre scale più semplici e tipiche portano ad altre abitazioni, poste intorno alla corte; ad altre si accede dall’esterno, dal lato sinistro e dal retro.

Uscendo dal cortile notiamo sulla sinistra una viottola in discesa, da cui si giungeva alla cappella di S. Giovanni, di cui diremo dopo, e a destra l’antica salita per l’Eremo, che percorreremo nella seconda parte di questo itinerario. Intanto giriamo lungo il lato sinistro, percorrendo una viuzza panoramica che ci porta su uno spiazzo, affacciato sull’orlo del declivio e cinto da un basso muro. Di qui lo sguardo spazia sui Campi Flegrei, con Capo Miseno e le isole del golfo, e risale, se il cielo è ben terso, lungo la costa fino al Massico, al Circeo e alle isole di Ponza e Ventotene. In basso Pianura, chiusa fra il costone a picco dei Camaldoli e la cerchia del suo cratere.

Fatalmente la bellezza del paesaggio ci ha attratti e distratti per cui è il caso di volgergli le spalle e di osservare la parte posteriore dell’edificio dove si aprivano altre dimore rustiche e fra esse la Chiesa della Sacra Famiglia di Nazareth, ora dedicata all’Immacolata.

Fondata dai Diano in un anno imprecisabile, ma certo collocabile entro il secolo XIV, essa appartenne ai signori di Nazareth fino al 1927, quando Francesco Verusio la cedette alla Curia di Napoli.

Chiesa dell’Immacolata di Nazareth, particolare dell’interno con le antiche volte gotiche.

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Chiesa dell’Immacolata di Nazareth, Madonna col Bambino, bassorilievo del XIV secolo.

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Presenta all’esterno un malconcio portale in piperno del XVII secolo ma nell’interno si legge la complessità della sua storia.

Due parti, diverse per stile e dimensioni, giustapposte fra loro, formano la navata: la più interna e stretta, composta da due campate gotiche, sembra risalire alla fondazione dei Diano; l’altra, composta da due campate più larghe, sembra il frutto di un ampliamento settecentesco.

Il tutto è uniformato da una decorazione novecentesca, con Angeli e Scene Sacre dipinti nelle vele e nelle lunette; un rilievo in marmo, raffigurante La Madonna col Bambino, murato a sinistra dell’ingresso, ci riporta al XIV secolo.

Pertinente al villaggio di Nazareth è un’altra cappella di origini medioevali, abbandonata a seguito di un parziale crollo e in parte sommersa da terreno e vegetazione. Fu riscoperta nel 1866 ma continuò a versare nell’incuria. Benchè sia quasi irraggiungibile, ci sembra opportuno ricordarla, riprendendone la descrizione fatta da chi l’ha vista e pubblicata qualche anno fa, sperando in tal modo di contribuire al suo recupero. Si tratta della Cappella di S. Giovanni Battista, posta nella parte alta di un vallone che scende su Pianura dove confluisce nel Vallone di S. Antonio. Sarebbe stata fondata, secondo alcune fonti, dai Capece, successori dei Diano nel possesso di Nazareth, ma si deve piuttosto ritenere che questi si limitassero a restaurarla, in quanto varie pitture superstiti risalgono ai tempi dei Diano mentre altre sono successive al 1585, anno in cui la cappella passò ai padri Camaldolesi. La

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navata rettangolare, coperta a botte, si conclude con un’abside scavata nel tufo, ancora ricoperta da affreschi.

Il centrale rappresenta Il Battesimo di Gesù ed è opera di un maestro napoletano dei primi decenni del XIV secolo; le altre scene, L’annunciazione, La natività, La crocifissione, sono di gusto tardo-gotico e dei primi decenni del secolo XV, mentre della fine del Quattrocento sembra la Madonna col Bambino. Alle pareti, un altro Battesimo di Cristo e i SS. Brunone e Romualdo, risalgono alla fine del XVI secolo, quando la chiesetta apparteneva ai Camaldolesi.

Cappella di S. Giovanni Battista, Battesimo di Cristo, particolare di un affresco della prima metà del XIV secolo.

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Cappella di S. Giovanni Battista, La Crocifissione, frammento di affresco del primo Quattrocento.

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La figura del Battista, particolare di un affresco della prima metà del XIV secolo; Battesimo di Cristo, affresco della fine del XVI secolo.

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Con questa improbabile deviazione termina il breve giro nell’ambito del borgo e ci riportiamo su via dell’Eremo fino a incontrare la via Mandracchio a Nazareth, aperta sulla veduta dei Campi Flegrei e da cui si ha una bella visione del Villaggio di Nazareth.

A partire dal civico 35 la strada assume il nome di via Vicinale Piscinelle che scende verso la Cupa Soffritti e la Decina, lasciandosi dapprima sui lati una serie di moderne costruzioni, poi immergendosi nel verde.

All’inizio di questo secondo tratto, al numero civico 7, incontriamo il Centro di accoglienza “Il Parnaso”, ubicato nella ristrutturata Masseria Casore, presente fin dal 1793 nella Pianta del Rizzi Zannoni. Di grande impatto il panorama che si gode dagli spazi attrezzati all’aperto, disposti lungo il costone, articolato in balze collegate da gradini e vialetti. Ricchissima la vegetazione, formata da essenze locali ed esotiche, da pini, cedri, cipressi, jucche, querce, da glicini posti a copertura di un bel grillage. Di grande bellezza il paesaggio, simile a quello visto da Nazareth, con il cratere di Pianura in basso e i Campi Flegrei, da Nisida a Capo Miseno, alle isole di Procida e Ischia, e più a Nord le coste fino al Circeo e le isole di Ponza e Ventotene.

Si ritorna su via dell’Eremo da cui parte la via Comunale Nazareth ai Guantai che ci porterà in discesa fino alla piazzetta dei Guantai a Nazareth, posta a 387 metri s.l.m. Anche questa via segue in parte un antico tracciato, reso più agevole e rettificato

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Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze, Napoli 1793.

Particolare con il Villaggio di Nazareth, l’Eremo dei Camaldoli e sulla sinistra l’abitato di Pianura.

negli anni 1884-1891. Come le altre percorse in precedenza, è fiancheggiata da edifici moderni, spesso villini o palazzine, talora dotati di piccoli giardini da cui emergono essenze locali come castagni, noci o pini, affiancate da un ampio campionario esotico di palme, cedri, jucche, araucarie e altro. Le parti coltivate non si differenziano molto da quelle già viste, con viti e alberi da frutto, fra cui i ciliegi, molto più frequenti nelle altre parti del territorio di Chiaiano, già visitate nel precedente itinerario. Ogni tanto vediamo apparire la cima del Vesuvio e quelle appenniniche.

Vista panoramica dal Parnaso. In basso, le case di Pianura, sullo sfondo i rilievi vulcanici dei Campi Flegrei.

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Facciata della Chiesa Regina Paradisi ai Guantai.

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Il Villaggio dei Guantai, considerato sempre in passato come una frazione di Nazareth, è di formazione abbastanza recente. Ancora negli anni fra le due guerre il notaio Paradiso lo descrive come “un villaggetto di poche anime, abitato da pacifici campagnoli”. Soltanto nel secondo dopoguerra si è verificato un certo sviluppo edilizio, intensificatosi dopo il 1980, e l’originaria vocazione campestre si è quasi estinta. La prima segnalazione cartografica di un sito detto “Li Guantari” risale al 1794 (Rizzi Zannoni): allora vi si vedeva soltanto una masseria, posta a filo della strada proveniente dall’Orsolona e di fronte all’imbocco di un sentiero che corrisponde all’attuale via Reggente. Più tardi, prima però degli anni 1817-19, dirimpetto sorgerà un’altra costruzione e negli anni Settanta del secolo XIX sarà costruita la chiesa, a spese del sacerdote Luigi Di Marino su terreni della sua famiglia, proprietaria pure degli altri edifici citati.

La parte più “antica” dell’abitato si sviluppa intorno e presso una piazzetta vagamente triangolare in cui confluiscono le vie Camillo Guerra, Comunale Guantai ad Orsolone e Comunale Nazareth ai Guantai. Su di essa si affaccia la Chiesa Regina Paradisi che un’iscrizione murata a destra dell’ingresso dice eretta nel 1877 dal padre Di Marino e divenuta parrocchia nel 1925.

La facciata, dal profilo a capanna, ha sul portale un’edicola

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con una Madonna in stucco. L’interno, a una navata, conserva sull’altar maggiore un Crocifisso ligneo seisettecentesco e nella nicchia di destra un S. Giuseppe, in legno e cartapesta, firmato da Antonio Lebro. Alla parete destra della navata è posto un quadro di metà Ottocento raffigurante la Madonna Regina del Paradiso, considerata la patrona del villaggio, copia di un miracoloso dipinto ritrovato e venerato a Sieti, nel salernitano, pervenuta al sacerdote Di Marino che a essa si ispirò per l’intitolazione della chiesa.

Sul fianco destro della chiesa è addossata un’abitazione rurale ottocentesca, del solito tipo a un piano, con gli ingressi delle case collegate da un ballatoio su archi a sesto ribassato e raggiungibile con una scala esterna. Lì vicino e alle spalle della chiesa è un frutteto. Il piccolo largo antistante la chiesa si apre in fondo come un belvedere, tagliato sul declivio settentrionale del colle. Se si eviterà di dare un’occhiata di sotto, verso un triste parcheggio e mediocri fabbriche, e se l’aria sarà limpida, si potrà ammirare una veduta della pianura campana verso Caserta col giro degli Appennini e, in basso, gli abitanti di Marano e Chiaiano.

Masseria di Marino ai Guantai.

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Resti di un torchio conservato nell’androne di un grande edificio rurale ai Guantai.

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Sulla destra un antico edificio, col tetto a spioventi tagliato in avanti da un terrazzo panoramico, corrisponde alla Masseria Di Marino, la sola costruzione qui esistente già nel 1775. L’accesso avviene dal numero 178 di via Guantai ad Orsolone, tramite un arco che immette in un cortile rustico, sulla cui sinistra una scala esterna si innesta ortogonalmente al centro del ballatoio su archi che percorre il primo piano. Nei primi anni dell’Ottocento i Di Marino dovettero incrementare l’attività agricola e costruirono, di fronte alla masseria, un grande edificio per abitazioni e attività di trasformazione dei prodotti, lo stesso che chiude il lato sinistro del largo e al quale si accede da una salita senza nome, contrassegnata dal civico 3 a, che parte dall’inizio di via Nazareth ai Guantai. In effetti le varie modifiche hanno tolto all’esterno della fabbrica il suo carattere originario, ancora in parte percepibile nell’androne e nel cortile. Infatti, appena superato il portone d’ingresso, in un ambiente aperto sulla destra, vediamo un grande torchio ligneo ottocentesco, mancante purtroppo della vasca e di qualche elemento, in disuso da tempo immemorabile, a dire dei vecchi del posto. Qui l’abbondante produzione di uva dei dintorni veniva trasformata in vino. Il cortile è vivacizzato da una scala aperta che porta coi suoi archi rampanti al livello delle singole abitazioni, con un curioso effetto scenografico, purtroppo privato dell’originaria semplicità da dipinture, rivestimenti in pietra e altre manomissioni.

Oltre questo edificio sorgono case moderne e, poco oltre, sulla destra, emerge per poco più di un metro una costruzione quadrata e isolata, coperta da un terrazzo accuratamente rivestito da battuto e cinto da un muretto

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basso. Si tratta della sommità di un’antica cisterna, da tempo fuori uso, il cui tetto veniva usato come aia.

Adesso il posto di paglia, ceci e altri prodotti affini è stato usurpato da bastoni e cordicelle che reggono i panni ad asciugare. La breve salita termina, chiusa da un cancello, nella via Vicinale Reggente che ha origine da via Guantai ad Orsolone, sul lato dell’edificio. Questa via, già descritta in precedenza, in questo primo tratto costeggia i terreni già di pertinenza delle masserie Di Marino, ancora coltivati a vigneto e frutteto.

L’ultimo tratto del nostro itinerario ci condurrà in piazza Ruggeri, davanti al Monaldi, dopo aver percorso la via Comunale Guantai ad Orsolone, fiancheggiata da costruzioni moderne ma anche da aree verdi, specie sulla destra dove in alcuni punti si affaccia la selva di castagni che abbiamo visto dalla via dell’Ascesa dei Pastori.

La strada segue un antico percorso, già leggibile nella Mappa del Duca di Noja (1775), che con il Ponte dei Calciaioli superava il Cavone di S. Croce. Sulla destra una breve salita conduce alla Masseria Sica, già segnata nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja. Nonostante qualche modifica è ancora possibile distinguere la struttura originaria, articolata intorno a un cortile con due corpi a un piano, servito da scala esterna, su due lati e col solo livello terra negli altri due. Forno, lavatoio e pozzo in comune erano sistemati nella corte e adoperati fino a pochi decenni fa. Sulla sinistra il terreno scende verso il Vallone Cugnolo, coltivato a piccoli orti per uso domestico e a modesti vigneti.

Ingresso della Masseria Sica. Si noti il carattere “fortificato” della struttura, riscontrabile anche in molte altre simili costruzioni

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Villa Antonelli, facciata verso il giardino.

A fronte, ripresa aerea degli ospedali Monaldi e Cotugno.

Si noti la presenza di vaste estensioni di verde intorno ai due nosocomi.

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Si ritorna sulla via principale e poco dopo, sempre sulla destra, dal civico 3 parte una salitella che porta a Villa Antonelli, anch’essa esistente già nel 1775, passata agli Antonelli a fine Ottocento e da essi in parte ristrutturata.

In origine ai livelli inferiori erano ubicati depositi e cellai ma attualmente l’edificio ha l’aspetto di un palazzetto, in parte a due piani e in parte coperto da terrazzo panoramico. Il giardino, segnato sul Duca di Noja, esiste ancora in parte e confina col Vallone Cugnolo, rivestito di castagni lungo il versante. Scomparsa è invece la chiesetta, posizionata nella stessa Mappa del 1775 nei pressi dell’edificio, dove ora sorge un’altra fabbrica più moderna.

La via Comunale Guantai ad Orsolone si lascia sulla sinistra una traversa privata, corrispondente al civico 54.

Essa porta in breve all’antica Masseria Brancaccio, acquistata a fine anni Trenta del Novecento dai Di Marino ma già presente nella Mappa del Duca di Noja.

La struttura è stata fortemente alterata nel 1958 e di settecentesco mostra soltanto i cantinati con i cellai, coperti a volta. Alle spalle un lungo e basso edificio, pur esso modificato, era adibito a stalle per i cavalli.

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Riprendiamo a scendere la via principale che, più o meno all’altezza dell’attuale INPS, passava sul Ponte dei Calciaioli, scomparso nel secondo dopoguerra, quando la via, già sistemata nel tardo Ottocento, fu rimodernata.

Giungiamo a piazza Ruggeri dove si apre l’ingresso principale dell’Ospedale Monaldi, in origine intitolato “Principe di Piemonte”, eretto fra il 1931 e il 1938 ed entrato in funzione nel 1939. Si trattava di un sanatorio antitubercolare che si scelse di costruire ai piedi dei Camaldoli in quanto qui l’aria era molto salubre e il territorio circostante non ancora urbanizzato e campestre. Per la costruzione fu necessario procedere a grandi sbancamenti e colmate per livellare il terreno, nel corso di questi lavori scomparve il tratto iniziale del Cavone di S. Croce che drenava le acque piovane di questa parte della collina, scaricandole nel Vallone di S. Rocco. Un’altra vittima illustre

In basso, ingresso laterale su via S. Croce ad Orsolone, interessante esempio di architettura degli anni Trenta del XX secolo.

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Il complesso dell’Orsolone con i giardini e le campagne circostanti nella Pianta del Duca di Noja del 1775.

In basso e a fronte, due immagini dello scomparso complesso dell’Orsolone in foto d’epoca.

fu un antico e grande edificio, denominato l’Orsolone, appartenuto, come gran parte del territorio su cui sorse l’ospedale, alla Certosa di S. Martino che l’aveva acquistato dagli Origlia nel 1575. Passato nel 1806 al Demanio a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi, fu rilevato da privati. La vasta proprietà certosina misurava oltre 200 moggi, parte coltivati e parte a selva, e includeva l’Orsolone, importante punto di riferimento topografico in quanto situato dove si incrociavano le vie per i Guantai, la Cappella dei Cangiani, S. Croce e Chiaiano, del cui ambito amministrativo faceva parte. Per la sua posizione ai piedi della collina dei Camaldoli, l’Orsolone dovette accogliere vari ospiti illustri che si recavano in visita all’Eremo: di certo vi sostò nel 1777 Ferdinando IV. Le foto degli anni Trenta del Novecento ce lo mostrano come un grande palazzo, con il portale e il pozzo del primo Settecento, abitato da contadini; la descrizione del Paradiso ci ricorda una sala decorata da ritratti di nobili, 60

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

un’altra sala con una meridiana del 1773, la cui lista di marmo sul pavimento era affiancata dai segni zodiacali in maiolica, e la cappella, con altare e quadri antichi. Tutto fu demolito negli ultimi anni Trenta del secolo scorso per dar luogo alla piazza antistante il Monaldi dove sboccò anche la nuova strada Leonardo Bianchi.

L’Ospedale Monaldi è circondato da un vasto spazio verde, ricco di pini, cedri, eucalipti, il suo nucleo principale è monumentale ma di linee abbastanza convenzionali.

Più interessanti due dipendenze, più facilmente

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Scorcio dell’edificio principale dell’Ospedale Cotugno con alle spalle gli edifici del Monaldi e in fondo le propaggini settentrionali della collina dei Camaldoli.

raggiungibili dall’ingresso laterale, posto al n.28 di via S. Croce ad Orsolone, che presentano motivi architettonici di gusto razionalista, tipici dell’architettura dell’età fascista.

La prima costruzione, ora pericolante, sorge sulla destra dell’ingresso, l’altra lungo il viale, subito dopo il casotto di guardia. Questa mostra un impianto basato su un corpo centrale convesso fra due bracci obliqui, è a un solo piano, percorso da una balconata continua, e dominata al centro da una torretta con l’orologio.

Di fronte al Monaldi, sull’altro lato della via S. Croce ad Orsolone, sorge l’Ospedale Cotugno, specializzato in malattie infettive, il cui ingresso principale è da via Quagliariello 54. Il suo progetto, affidato all’architetto napoletano Giulio De Luca e realizzato negli anni 1955-58, è fra i più innovativi del tempo, al passo con l’architettura europea. L’impianto somiglia a una H con le due aste parallele di misure differenti: in quella più lunga sono sistemati i degenti, nell’altra laboratori e uffici. La facciata è percorsa in verticale da elementi di cemento che sostengono le file orizzontali e continue dei balconi e 62

Gli antichi villaggi: Dalla Cappella dei Cangiani all’Orsolona

animata dal ritmico iterarsi delle aperture, sempre uguale su ogni piano e solo modificato nella mansarda, e dal rapporto cromatico fra il grigio del cemento e il rosso dei mattoni.

In via Comunale S. Croce ad Orsolone, presso un ingresso secondario del Cotugno, sorge una delle tante testimonianze della devozione popolare, la piccola Cappella del Crocifisso, in muratura, eretta dopo la guerra del 191518 da Luigi Morra come ringraziamento per il ritorno dei suoi figli. Egli ogni sera veniva qui ad accendere dei lumini e qui vicino una sera morì. La cappella sostituì una semplice croce in metallo. Sull’altare, rifatto più tardi, si leva un Crocifisso novecentesco, dipinto su una sagoma di legno.

A questo punto poniamo fine alla prima parte del VII itinerario.

Allium cilianim da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc. I, Napoli 1788.

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Parco Metropolitano delle Colline di Napoli VII Itinerario