Guida del Parco - Percorso 18

Ente Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

ISBN 978-88-8497-417-4

VIII Itinerario I CASALI DI SOCCAVO E PIANURA

Parco Metropolitano delle Colline di Napoli Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

VOL. I

Percorso 18 SOCCAVO

redazione Leonardo Recchia impaginazione grafica Tommaso Lubrano Lavadera art director Leonardo Recchia

restyling impaginazione 2022 Francesco Schioppa (PMCN) Stampato nel mese di febbraio 2010 per conto delle edizioni CLEAN dalle Officine Grafiche Francesco Giannini e Figli S.p.A. Napoli Copyright © 2010 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it info@cleanedizioni.it Tutti i diritti riservati è vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-417-4

Gli autori di quest’opera intendono ringraziare tutti coloro che li hanno aiutati nella sua realizzazione, accogliendoli nelle proprie case e nei propri terreni, fornendo notizie documentarie e testi, tramandando episodi e ricordi personali, aiutandoli a comprendere meglio la struttura e lo spirito del territorio descritto. Senza il loro contributo questo testo sarebbe risultato molto più povero e impreciso.

Purtroppo di alcuni non conosciamo neppure il nome, degli altri forniamo l’elenco, in ordine alfabetico, sperando di avervi incluso tutti e chiedendo scusa a tutti quelli che, per dimenticanza ma non per ingratitudine, ne fossero rimasti fuori.

Pertanto gli autori ringraziano: Suor Luisa Alfieri delle Povere Figlie della Visitazione, Maria Teresa Angiulli, Famiglia Auzzino, Giovanni Baiano, Gaetano Barbarulo, Gennaro Bellafiore, Elisabetta Belli, Carlo Bocchetti, Berta Borrato, Bruno Brillante, Monica Bruno, Gabriele Carannante, Franca Chef, P. Umberto Ciotola, Antonio Colantuono, Domenico Contessa, Francesco Coppola, Franco Covino, Ileana Creazzo, Antonio Crosta, Nicola D’Amore, P. Carlo De Angelis, P. Claudio De Caro, Domenico De Luca, Giuseppe Della Corte, Suor Giovanna De Palo delle Betlemite, P. Carlo Diaferio, Ugo Di Furia, Mario Di Guida, Antonio Di Mauro, Marco Di Mauro, Giosuè Di Maro, Carmine Di Ruggiero, P. Pasquale Donvito, P. Ugo Dovere, P. Antonio D’Urso, Alberto Ercolano, Biagio Esposito, Rosaria Esposito,

Salvatore Esposito, Madre Fabia delle Suore Brigidine, Ebe Faggella, Michele Falco, Michele Fiore, Gaetano Fioretti, P. Raffaele Galdiero, Annamaria Gei, Tina Giacci, Maria Cristina Gioia,

Umberto Giordano, P. Salvatore Giuliano, Antonio Illiano, Francesco Imbriani, P. Filippo Jappelli, Guido Liotti, Carolina Lubrano, Francesco Luccio, Alberto Magone, Mario Marasco, Wanda Marasco, Giustiniano Matteucig, P. Francesco Minervino, Gaetano Mirone, Ciro Napoletano, Nino Nicoletti, P. Valentino Orefice, Mario Pacchioli, Gianni Palmers, Cataldo Patruno, Michelangelo Perretti, Luciano Pignataro, Giuseppe Polverino, Silvana Ponticelli, Luciano Riccio, Piero Riccio, Giuseppe Rusciano, Claudio Salerno, Giovanni Santoro, P. Pancrazio Scanzano, Guido Sciaudone, Ciro Sepe, Lucia Simone, Luciano Striano, Angela Tesone, Isabella Valente, Salvatore Varchetta, Francesco Varone, Antonio Vassallo, P. Pasquale Vicidomini, Massimo Visone Enti e Associazioni Associazione Amici della Vigna di San Martino, Associazione Asfodelo, Associazione Fondi Rustici, Biblioteca Nazionale di Napoli, Comunità La Sorgente, Diocesi di Napoli, Diocesi di Pozzuoli, Gran Priorato di Napoli e Sicilia del Sovrano Militare Ordine di Malta, Gruppo Archeologico Napoletano, Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali, Società Napoletana di Storia Patria.

Si ringrazia Padre Eduardo Parlato della Curia Vescovile di Napoli per la fattiva collaborazione.

Si ringrazia Fernanda Capobianco, Direttore dell’Archivio Fotografico della Soprintendenza Speciale per il Patrimono Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli. autori delle schede Giovanni Baiano Elisabetta Belli* Elio Cipriani Agostino Di Lorenzo Clemente Esposito Maurizio Frassinet Luisa Fucito* Gianni Palmers Laura Piano Leonardo Recchia* Renato Ruotolo* Amelia Verrilli *in questo volume

Il repertorio bibliografico è stato curato da Renato Ruotolo Il repertorio Iconografico è stato curato da Leonardo Recchia La campagna fotografica per la guida è stata realizzata da Leonardo Recchia altre referenze fotografiche Massimo Velo, Napoli p. 50; Carmine Guarino, Mugnano p. 84; Antonio Niego, Napoli p. 152; Archivio Fonderia Storica Chiurazzi pp. 127, 128, 129, 131, 133. © Ministero per i Beni e le Attività Culturali per le opere conservate in archivi, biblioteche e musei statali © Progetto Orto Immagine Regione Campania, scala 1:500, 2004.

Introduzione degli autori

L

a Guida del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli deriva da un nostro progetto accolto con entusiasmo dall’architetto Agostino Di Lorenzo, presidente dello stesso Parco, che ha partecipato con fattivo interesse alle varie fasi della sua realizzazione, redigendo, come esperto dei luoghi, l’itinerario di Chiaiano.

Non è semplice raccontare la genesi di quest’opera, frutto non solo di ricerche bibliografiche ma soprattutto della conoscenza diretta del territorio, in parte pregressa, in parte acquisita con lunghe passeggiate a piedi o a bordo di uno scooter, percorrendo strade urbane ma anche sentieri sterrati e tracciati di campagna senza nome. Una fatica premiata sempre dal ritrovamento di qualche antica masseria o dall’apparire di inediti tagli di paesaggio o di incredibili brani di campagna, ancora coltivata a poca distanza dalle moderne costruzioni. Ogni percorso è stato costruito non soltanto battendo il territorio ma anche appoggiando la ricerca sul campo con quella cartografica: mappe e piante, databili dal Sette al primo Novecento, sono risultate fondamentali per individuare tracciati da tempo dismessi, per recuperare elementi di una toponomastica ormai in disuso, per dare un nome ad antichi edifici, spesso in abbandono e ritrovati grazie alla segnalazione delle carte. Naturalmente non va ignorato l’apporto dato alla ricerca da alcuni testi, mai dedicati all’intero territorio

studiato ma a singole parti di esso, testi a volte di notevole valore scientifico, spesso di portata locale ma non meno meritevoli di menzione. Di questa bibliografia si è data la giusta segnalazione al termine di ciascun itinerario. Quel che è più difficile segnalare è il rapporto avuto con la gente del posto, contadini, operai, professionisti, sacerdoti, che spesso si sono adoperati per segnalare percorsi ed edifici isolati, per raccontarci avvenimenti, ricordare personaggi. Questo attingere alla memoria dei luoghi è stato essenziale per gli autori e traspare in più punti nei testi. Difficile ringraziare all’interno del testo così tante persone per la loro disponibilità, l’unico possibile segno di gratitudine nei loro confronti è costituito dal lungo elenco di ringraziamenti, posto all’inizio del primo volume.

Un doveroso ringraziamento, infine, va rivolto a quegli studiosi, esperti di differenti materie, che generosamente hanno offerto i loro consigli agli autori e, in alcuni casi, hanno redatto schede tematiche su argomenti di carattere storico, naturalistico, biografico, artistico, inserite nei testi degli itinerari, al fine di renderne più completa e approfondita la trattazione.

Per concludere, gli autori si augurano di aver reso, come era nelle loro intenzioni, un servizio alla città, facendone meglio conoscere alcuni luoghi e aspetti poco noti se non del tutto ignorati. Ma questa conoscenza può essere alla base del recupero e della valorizzazione delle varie e differenti aree del territorio del Parco soltanto se tutte le parti interessate, cittadini ed Ente Parco, riusciranno a stabilire un continuo e fiduciario rapporto di collaborazione, al fine di preservarne l’identità e di riconoscersi in essa.

I curatori Leonardo Recchia Renato Ruotolo

*I testi degli itinerari sono stati completati nel gennaio 2008

I Casali di Soccavo e Pianura 124

viii itinerario

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Nelle pagine precedenti, Veduta a volo d’uccello delle conche di Soccavo (a destra) e di Pianura sovrastate dal costone meridionale dei Camaldoli da Antonio Niego, I quartieri di Napoli, Napoli 1985.

In primo piano l’interno del cratere degli Astroni e sulla sinistra la conca di Agnano. Nella foto, dei primi anni Ottanta, si nota un pianoro formato da una colmata di materiale di risulta proveniente dall’Italsider, coperta ai nostri giorni da un vigneto. Questo spazio ha occupato la parte superiore dell’antico Cavone degli Sbirri che collegava Soccavo con Agnano.

Il territorio di questi due ex casali occupa la parte più occidentale del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli e geograficamente fa parte dei Campi Flegrei. Le due entità, un tempo separate sotto il profilo amministrativo e ora unite in una stessa municipalità, sono chiaramente definite dal giro dei crateri in cui si sono sviluppate: più ampio quello di Pianura, meno l’altro, ma entrambi formatisi in circostanze simili, coi versanti percorsi da cavoni scavati dalle acque piovane e caratterizzati da un medesimo tipo di vegetazione. Di modesto 126

I Casali di Soccavo e Pianura

Pietro e Francesco La Vega (dis.), Jean Guillaume Drouet e Jean Terrier (inc.), Carte du golfe de Pouzzoles avec une partie des Champs Phlégréens dans la terre de Labour, 1778-1780.

Si nota la particolare conformazione del territorio flegreo caratterizzato da una serie di vulcani molto ravvicinati.

L’incisione mostra sulla destra il lago di Agnano confinante a est con la conca di Soccavo, a nord con quella di Pianura e a ovest con il cratere degli Astroni.

rilievo, come tutti i vulcani dei Flegrei, a causa del breve periodo della loro attività eruttiva, questi crateri spuntarono nell’immensa caldera dell’Archiflegreo, il più antico dei vulcani dell’area, del quale la collina dei Camaldoli costituisce la parte supersite, e accanto a essi altri ne emersero, fra i tanti quelli di Agnano, degli Astroni, della Senga, tanto per citare solo quelli confinanti con i due che c’interessano. Simili nella forma e nell’origine, i territori di Pianura e Soccavo lo sono, naturalmente, anche per quel che riguarda la costituzione: 127

Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

G. A. Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze, 1793 (part.). La pianta rappresenta in maniera indicativa l’organizzazione del territorio con la segnalazione del compatto nucleo urbano di Pianura e di quello frammentato in vari abitati di Soccavo.

Questa situazione resterà immutata sino alla prima metà del XX secolo.

materiali piroclastici come tufi di vario tipo, pozzolana e piperno.

Cave di tufo e, soprattutto, di piperno si aprivano nei versanti dei Camaldoli e al piperno è ancora legata la fama dei due villaggi: di qui, per secoli, almeno a partire dal XV e fino al XX secolo, quando l’estrazione fu interrotta, giunsero a Napoli i blocchi della pregiata roccia che veniva scolpita e sagomata, per dare vita a portali e cornici, oppure solo squadrata, per costituire i rivestimenti o le parti più resistenti delle strutture degli edifici.

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I Casali di Soccavo e Pianura

Dunque una economia basata sull’attività estrattiva e su quella agricola, complementari fra loro, si riscontra in entrambi i casali, accomunati anche dal fatto di gravitare su strade di origine pre-romana che si dipartivano da quella principale, la via per colles che univa Neapolis e Puteoli, e che, tramite una serie di diverticoli, servivano il vasto territorio di Soccavo e Pianura, spingendosi verso Quarto, Fuorigrotta, Agnano e verso i Camaldoli e le aree limitrofe.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Ville rustiche e case rurali sorsero nelle due conche vulcaniche fin dall’antichità ma nel corso del Medioevo gli insediamenti si accentrarono nella parte settentrionale, verso i Camaldoli, per il parziale impaludamento della piana. Ma di questi fatti tratteremo in seguito, nelle introduzioni dedicate ai singoli quartieri. Qui va piuttosto ricordato il comune epilogo della loro storia: aggregati nel 1926 alla città di Napoli e sommersi nel secondo Novecento da una immane colata di cemento, dovuta a interventi di edilizia pubblica e, in larga misura, alla speculazione privata, con altissime percentuali di abusivismo.

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I Casali di Soccavo e Pianura

Antonio Valmagini, Carte dei dintorni di Napoli, 1837-48 (part.), Firenze, Istituto Geografico Militare. La rappresentazione ottocentesca ci conferma la sostanziale staticità dei centri di Pianura e Soccavo rimasti immutati rispetto alle piante settecentesche.

Ben evidente, grazie all’ accurata resa grafica, la fitta rete di strade principali e secondarie che raccordavano i due casali ai centri vicini e al territorio agricolo circostante popolato da masserie sparse.

A fronte, Rhinanthus Palustris da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc.

I, Napoli 1788.

Le parti pianeggianti delle due conche sono state intensamente urbanizzate ma lungo i margini degli antichi crateri si sono conservate aree agricole e masserie e gli stessi nuclei degli antichi casali sono sopravvissuti in buona parte, spesso in stato di degrado, annegati fra le costruzioni moderne.

Queste parti superstiti sono state comprese nell’area del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli e saranno oggetto della nostra visita.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Bibliografia essenziale: M. Scherillo, Soccavo, Napoli, 1887.

N. Del Pezzo, I casali di Napoli, in “Napoli nobilissima”, I (1892).

D. Chianese, I casali antichi di Napoli, ivi 1938.

R. Telleria, Alcuni ricordi di S. Alfonso a Soccavo, in “S. Alfonso”, XXVIII (1957).

A. Scherillo, Suolo e sottosuolo di Napoli, in Storia di Napoli, vol. I, Napoli 1967.

A. Giannetti-B. Gravagnuolo, Soccavo, in C. De Seta, I Casali di Napoli, Roma-Bari 1984.

G.E. Rubino, Pianura, in C. De Seta, I Casali di Napoli, Roma-Bari 1984.

W. Johannowsky, L’assetto del territorio, in Napoli antica.

Catalogo della mostra, Napoli 1985.

C. Guarino, Gli spazi rurali, persistenze di paesaggio agrario. Parti I e II, Napoli 1992.

R. Mele-S. Varchetta, Pianura angolo dei Campi Flegrei, Napoli 1992.

Napoli Sacra, fascicolo 12, Napoli 1996.

G. Barbarulo, Masserie e ville dei Gesuiti nella Napoli del ‘700, I, in “Societas”, n° 5-6, 1998.

M.L. Minotti-E. Castiglione, Soccavo. Lineamenti di storia e vita religiosa. La parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Pozzuoli 1999.

V. Campolo-R. Stefanelli, I nuovi parchi e giardini pubblici, in Parchi e giardini di Napoli, ivi 1999.

Gruppo Archeologico Napoletano, Soccavo. Masserie, proprietari e contadini in un casale napoletano, Napoli 2000.

L. Pagano, Periferie di Napoli. La geografia, il quartiere, 300

Pianura e i Pisani

l’edilizia pubblica, Napoli 2001.

S. Del Prete, Le cave ipogee di piperno, in Grotte e speleologia della Campania, Napoli 2005.

A. Di Lorenzo-A. di Gennaro (a cura di), Una campagna per il futuro. La strategia per lo spazio rurale nel Piano territoriale della Campania, Napoli 2008.

B. Brillante-C. Minopoli, Napoli rurale. Itinerari nel verde segreto della città, Napoli s.d.

Cartografia utilizzata: G. Carafa, duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775.

P. e F. La Vega- J. G. Drouet, Carte du golfe de Pouzzoles avec une partie des Champs Phlégréens dans la terre de Labour, 1778-80.

G.A. Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze, 1793.

Officio Topografico di Napoli, Carta topografica ed idrografica dei contorni di Napoli levata per ordine di S.M. Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie, Napoli 1817-19.

A. Valmagini, Carte dei dintorni di Napoli, Napoli 1837-48.

301

Soccavo

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viii itinerario i parte

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TORRE DEI FRANCHI

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LE CORTIGLIE

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CROCE DI PIPERNO via Filippo Bottazzi

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MASSERIA CINTIA

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MASSERIA DEL BORRO

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CHIESA SS. PIETRO E PAOLO omeo

CAVA DI PIPERNO DEL VERDOLINO

MASSERIA CASA DI S. ALFONSO

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MASSERIA VARRIALE

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MASSERIE DEL MONTE CONTIERO

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MASSERIA TORRE DELLA LOPA via Contie

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CAVA DI TUFO

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CHIESA S. MARIA DI MONTEVERGINE

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MASSERIA TORRE DI S. DOMENICO

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Alle pagine precedenti, Ortofoto della città di Napoli (part.), il territorio di Soccavo.

Giovanni Carafa duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775 (part.). La rappresentazione di Soccavo, posta a margine della grande Mappa, è la più antica di questo territorio e ce ne mostra la valenza prevalentemente agricola. Molte delle masserie segnalate esistono tuttora, mentre la vasta piana coltivata è stata completamente cancellata nel corso del secondo Novecento.

A fronte, dall’alto verso il basso, disegni di Pera Rossa, Pera Burè, Pera Campana, Pera Bunè, Fica Albanera e Pera Iazzole da una tavola ottocentesca raffigurante varie specie di frutta, Napoli, Biblioteca Nazionale

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Il quartiere di Soccavo occupa il fondo pianeggiante di uno di quei vulcani flegrei sorti in tempi diversi l’uno accanto all’altro, talvolta squarciando e demolendo in parte i crateri preesistenti. Non a caso, dunque, la conca di Soccavo confina con i vulcani di Pianura e di Agnano e il suo recinto settentrionale è costituito dal versante dei Camaldoli, cioè da una parte della caldera dell’Archiflegreo. Questo tratto si erge ripido, fino agli oltre 450 metri s.l.m. dell’Eremo, solcato da valloni e cavoni scavati dalle acque meteoriche defluenti, un tempo utilizzati come vie di comunicazione naturali e oggi trasformati in fogne o resi inagibili da frane e sversamenti di materiali. Esemplare la fine dell’alveo detto Arena di S. Antonio, o Lacco, il cui percorso iniziava sui Camaldoli, non lontano dalla casa dei Gesuiti, si arricchiva di vari affluenti e, attraversata la conca di Soccavo sfociava a Fuorigrotta. Adesso è soltanto una fogna coperta.

Le altre parti della caldera di Soccavo, saldate al più antico moncone dell’Archiflegreo, non ne raggiungono l’altezza, essendo il prodotto di un’attività prevalentemente esplosiva e di breve durata. Esse non toccano i 100 metri d’altezza e sono composte da tufi e pozzolane, mancando il piperno che è tipico del versante dei Camaldoli. Anche qui le acque piovane defluenti hanno scavato dei cavoni, utilizzati anche come vie, il più importante dei quali era il Cavone degli Sbirri che giungeva fino al lago di Agnano. Anche il suo percorso è stato in parte modificato da colmate di materiali.

Soccavo

I due percorsi prima menzionati si inserivano in una complessa rete viaria che nell’antichità poneva in comunicazione Napoli con Pozzuoli e Cuma, il cui asse principale era costituito dalla via Puteolis-Neapolim per colles, detta nel Medioevo via Antiniana, che, dopo esser discesa dal Vomero, passava per Terracina e Agnano. Da questa via, già in uso almeno dal V secolo a.C., si doveva staccare all’altezza di Agnano un diverticolo che, costeggiando a Nord il lago, superava il monte S. Angelo attraverso il Cavone degli Sbirri, quindi percorreva la conca di Soccavo fino all’attuale via Pigna e risaliva ad Antignano. Questo in sintesi il percorso che è tuttora ricalcato dalla rete viaria più antica di Soccavo. Esso appare nella Mappa del Duca di Noja, indicato come “Strada di Succava”, nel tratto fra La Cintia e la Torre di S. Domenico, e come “Strada che porta a Succava”, di qui fino a via Case Puntellate. Questa strada incrociava le vie per Pianura e per Fuorigrotta e, attraverso molte traverse, era collegata agli abitati posti ai piedi dei Camaldoli e nella vasta conca coltivata. Sono queste strade che nel corso della nostra visita tenteremo di percorrere il più possibile.

La possibilità di collegamento coi centri maggiori della costa e la fertilità del suolo dovette portare al sorgere di qualche abitato rurale, attestato da ritrovamenti e da poche strutture del IV secolo a.C., sottoposte ad altre d’età romana.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Real Officio Topografico, Carta Topografica ed Idrografica de’ contorni di Napoli, 1817-19 (part.).

Rappresentazione del territorio di Soccavo nei primi decenni del XIX secolo.

A questa risalgono il colombario di via Pigna, qualche muro emerso nelle fondamenta della chiesa parrocchiale e alcune colonne riutilizzate in palazzi e masserie. Non più di tanto, finora. Né maggior numero di informazioni abbiamo sul primo periodo medioevale, quando parte della conca impaludò. Di certo nel secolo XI, a opera di conventi e nobili napoletani, era in atto la ripresa dell’attività agricola e, con ogni probabilità, anche quella estrattiva, tanto che il luogo da allora si trova nominato come “suptus caba”, cioè sotto la cava e, quindi, Soccavo. Che si trattasse delle cave di piperno non è del tutto ovvio anche se è possibile che allora fossero già sfruttate. Di certo lo furono intensamente dal XV secolo e contribuirono decisamente alla economia del posto, insieme all’agricoltura che recuperò i terreni paludosi e si arrampicò con terrazzamenti lungo i versanti del cratere.

In relazione alle due principali attività sorsero masserie e piccoli nuclei abitati, sicché la struttura di Soccavo si articolò in un centro principale, sede della chiesa parrocchiale, e in altri piccoli nuclei, sorti in prossimità di cave o in zone coltivate. Questo policentrismo, ben evidente nella Mappa del Duca di Noja del 1775, resistette 138

Soccavo

Orchis Pallens da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc.

I, Napoli 1788.

fino al secondo dopoguerra, neppure intaccato dalle poche costruzioni sorte fra Otto e Novecento lungo alcune strade.

Fra Sette e Novecento la storia di Soccavo subisce varie svolte decisive: dopo esser stato per secoli, fin dal Medioevo, un casale di Napoli, mai infeudato, nel 1806 era diventato un comune autonomo e nel 1926 fu aggregato alla città di Napoli. Da allora ne subì le scelte urbanistiche e, grazie a interventi pubblici e privati, spesso abusivi, si trasformò nel grande ammasso di cemento che ora vediamo. Non intendiamo ulteriormente approfondire questo tema ma non possiamo tacere sul fatto che, in anni recenti, molte strade antiche hanno visto sostituire le loro denominazioni con altre prive di qualsiasi senso, a dimostrazione della totale indifferenza verso la storia del luogo da parte di chi ha preso la decisione.

Che senso può avere, ad esempio, la sostituzione dell’antico toponimo via dei Monti con il nuovo via del Triumvirato?

La nostra visita ci porterà alla ricerca di quanto resta delle antiche strade, dei nuclei sparsi e dell’antica civiltà contadina.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Masseria di Torre S. Domenico con la torre, la cappella e il corpo principale prospettanti sul cortile.

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Q

uesto ottavo itinerario ha inizio da via Vicinale S. Domenico che, partendo da via Cilea e Corso Europa, collega il Vomero con Soccavo. Al numero 132 di questa strada si apre un arcone che immette nel vasto complesso della Masseria di Torre S. Domenico, posto al limite del quartiere di Soccavo, un tempo isolato nella vasta campagna e al centro di una rete di strade minori che lo collegavano a quelle che portavano al Vomero, a Soccavo e a Fuorigrotta.

Questa rete viaria, ampliata e modernizzata, sussiste tuttora, con l’aggiunta del raccordo della Tangenziale per via Epomeo che passa alle spalle della masseria, mentre sono quasi scomparsi i campi che la circondavano e che costituivano la vasta proprietà fondiaria dei Domenicani di S. Domenico Maggiore.

Al loro posto moderni edifici, spesso sorti come abusivi, e soltanto pochi fazzoletti di verde, coltivati da rari amanti della vita agreste, più per passione che per fini di lucro. Giungendo sul posto siamo colpiti da un frutteto, coltivato ad agrumi, albicocchi, ciliegi, con qualche parte a orto, posto sulla destra

Soccavo

Giovanni Carafa duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775 (part.). La rappresentazione settecentesca della masseria domenicana ci segnala alcune parti oggi scomparse: sulla sinistra dell’ingresso il porticato e a destra la cisterna circolare.

della strada, di fronte al lato sinistro dell’antica masseria. Ma veniamo ora alla storia del complesso, accuratamente ricostruita da Gaetano Barbarulo che ne sottolinea l’origine medioevale, un tempo attestata da una data, 1211, leggibile su una pietra, ora scomparsa, di una parete interna, e ipotizza la preesistenza di strutture romane. Di certo questo territorio, con casa e vigneto, cisterna e palmento, apparteneva da prima del 1280 alla famiglia Capuano che, circa un secolo dopo, lo vendette a Nicola Brancaccio. Da questi, nel 1284, passò a Errichello Siginolfo detto Passarello che ristrutturò le fabbriche e diede nuovo impulso all’attività agricola. Il suo discendente Tristano, nel 1487, vendette il tutto al Convento di S. Domenico Maggiore che lo possedette fino al 1809, quando furono soppressi i monasteri e incamerati i loro beni. Pochi anni dopo Francesco Ricciardi, conte di Camaldoli, acquisì il complesso che, nel corso del secolo XX, fu ceduto a diversi proprietari.

I segni di tanta storia sono ancora evidenti nelle strutture, nonostante le modifiche, non sempre 141

Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Veduta della Torre di S. Domenico dalla via omonima.

Si notino le alterazioni e le superfetazioni subite dal complesso.

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congrue, da esse subite per adeguarle ad appartamenti. Già l’osservazione del fianco sinistro, lungo via S. Domenico, alterato da superfetazioni, con costruzioni addossate alla parete e nuove aperture, ce ne lascia supporre la portata. Il grande spazio interno è diviso in due parti da un corpo sporgente sulla destra e chiuso da edifici sorti in momenti diversi ma entro la metà del secolo XVIII. Il primo cortile presenta nel lato sud l’arcone d’ingresso, sulla destra una grande cisterna circolare, ora in disuso, e l’arco in piperno, datato 16(..), che immetteva ai campi, sul lato sinistro un edificio molto rifatto di recente e, a sinistra dell’accesso una costruzione ottocentesca al cui posto nel 1775 la Mappa del Duca di Noja ci rappresenta un portico mentre le piante del secondo Ottocento già ci mostrano una fabbrica compatta.

Il secondo cortile è chiuso sul fondo, verso nord, dal grande edificio usato dai Domenicani come casa di villeggiatura, affiancato sulla sinistra dalla grande torre e dalla cappella. La torre è composta da tre livelli, separati da cornici marcapiano a toro in piperno: nel primo si apre un arcone, negli altri due delle finestre. In alto un giro di beccatelli e di merli.

Soccavo

La datazione di questa torre non è certa ma una targa, già apposta sulla facciata e scomparsa, recava la data 1654, forse riferibile alla sua costruzione. Essa è simile ad altre sorte nell’area flegrea per difendere il territorio e la sua merlatura ricorda quella che corona l’abside di S. Domenico Maggiore. Sulla sinistra vediamo la chiesetta, dedicata a S. Domenico, eretta sul finire del Cinquecento, epoca a cui sembra risalire il portale in piperno. Dopo circa un secolo dovettero essere aperte o modificate la finestra e la nicchia sovrapposta, dalle forme mistilinee. In quest’ultima era posta una scultura trecentesca, raffigurante un Angelo reggicortina, rubata una ventina d’anni or sono.

In alto, nel timpano triangolare si aprono le due finestrelle della cella campanaria. L’interno, a una navata, con volta a botte, conserva sull’altare un quadro seicentesco con La Madonna di Costantinopoli, e, murato nella controfacciata, un bassorilievo del secolo XIV, raffigurante S. Domenico. Sulla destra della torre si stende un corpo di fabbrica a tre livelli, accessibile con due scale esterne che portano a due portali in piperno databili fra ‘500 e ‘600. La facciata è coronata da una fascia di archetti pensili. Questa parte, insieme al corpo che si innesta a destra, formando una L e alla scomparsa torre medioevale, costituisce il nucleo più antico della masseria anche se non ne conserva l’aspetto in quanto i domenicani vi apportarono varie modifiche, particolarmente nel corso del XVII secolo.

Tra l’altro il braccio di destra fu reso indipendente dal principale e dotato di scala esterna per l’accesso.

Nei sotterranei restano ancora tracce del palmento con un grande torchio a pressione e dei cellai mentre i livelli superiori sono stati trasformati in moderni appartamenti. Lungo il lato occidentale del cortile ci sono varie costruzioni in rovina o in disuso, come un forno, e ambienti già occupati dalle stalle e dal centimolo. Nei pressi si vede una delle due bocche di cisterna.

Disegno dall’alto verso il basso di Pera Moscarellone, Criso di Germania, C. Sanguigno, Pera Rosate e Pruna Pappacode da una tavola ottocentesca raffigurante varie specie di frutta, Napoli, Biblioteca Nazionale.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Incrocio tra via Risorgimento e via Vicinale Verdolino che si dirama sulla destra. Sullo sfondo il versante meridionale dei Camaldoli.

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Lasciamo questa masseria e percorriamo dapprima la via Vicinale S. Domenico che sottopassa il raccordo della Tangenziale e confluisce nella strada Vicinale Arena S. Antonio. Una deviazione sulla vicina via Pigna ci porterà nei pressi dei ruderi di un Colombario romano, posto a filo di strada e in parte distrutto per il suo ampliamento. Ritorniamo sui nostri passi fino a incontrare sulla destra la rettilinea via Risorgimento, fiancheggiata da palazzi del primo Novecento e moderni. Da notare, al civico 23, il Palazzo Tramontano, del 1938, ornato da stucchi, e subito dopo una vecchia costruzione rurale, con scala esterna, ristrutturata. Dopo poche centinaia di metri si stacca sulla destra la via Vicinale Verdolino I tratto che si dirama poi sulla destra in via Bucoliche.

Stiamo seguendo un antico tracciato, già visibile nella Mappa del Duca di Noja del 1775, che conduceva ai piedi del colle dei Camaldoli attraverso un ininterrotto

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Uno degli edifici della Masseria Verdolino prima delle recenti ristrutturazioni.

Sotto la scala si nota l’ingresso al cellaio.

Disegno di una Mela da una tavola ottocentesca raffigurante varie specie di frutta, Napoli, Biblioteca Nazionale.

susseguirsi di campi. Questi percorsi si denominavano Cupa o via Nuova Verdolino, nome documentato già dal primo Seicento e forse derivato da quello di un’antica famiglia del posto. Di recente questi antichi toponimi sono stati sostituiti dagli attuali.

Adesso ci muoviamo fra moderne abitazioni e vecchie strutture rurali, intervallate da aree verdi che diventano sempre più continue mano a mano che si procede. Sottopassato un ponte della Tangenziale, al civico 8 troviamo la Masseria Verdolino, documentata fin dalla metà del secolo XV, quando apparteneva alla famiglia Boccaplanula, nobile di Napoli, da cui passò per matrimonio a un altro nobile, Vitillo Spina, che nel 1492 la vendette al convento di S. Domenico Maggiore che ampliò in tal modo i suoi già vasti possessi in zona. Da allora questa masseria seguì le stesse vicende dell’altra di S. Domenico e ora il suo territorio appartiene a diversi proprietari. Al momento del passaggio ai frati pare che anche qui sorgesse una torre, di cui non restano tracce; i terreni erano coltivati a vite, frutteto e orto, come ancora ai giorni nostri, mentre le parti meno acclivi erano selvose. Le fabbriche rurali esistenti nel Quattrocento furono riedificate verso il 1710 145

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La zona del Verdolino a cui si giunge da via Le Bucoliche, già via Cupa Verdolino. Sul fondo le pendici dei Camaldoli e un gruppo di case moderne costruite presso e sull’area di una cava di tufo dismessa come si vede nell’immagine a fronte.

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ma di esse vediamo ben poco a causa delle drastiche ristrutturazioni moderne. Il nucleo settecentesco era recintato da un muro aperto da un arco d’accesso, scomparsi da qualche decennio, e compreso da tre abitazioni a un piano disposte intorno all’aia. Di esse una posta a sinistra, sfiorata dal cavalcavia della Tangenziale, conserva ancora, nonostante le recenti rifazioni, dei tratti originari nella scala esterna; altre testimonianze della vita della comunità contadina sono la bocca della cisterna, un forno, un cellaio.

Si riprende via Le Bucoliche che sale verso uno sperone dei Camaldoli alla cui base si biforca. Il breve tratto che va a destra attraversa dei frutteti e si arresta di fronte a un cancello che chiude un ampio piazzale di cava, cinto da pareti tagliate a picco in cui si aprono alcune bocche di cave di tufo. Nello spazio è stato sistemato un agrumeto, intorno sorgono varie abitazioni moderne, qualcuna anche addossata alla parete tufacea. Sulla destra del cancello un sentiero sterrato si arrampica lungo il versante, fra rare querce e arbusti e fra terrazzamenti con viti e alberi da frutto. Lungo la salita ci si schiude una veduta sulla piana di Soccavo e sul fianco sud-orientale dei Camaldoli, dominato dalle antenne della RAI e dalla

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parte posteriore dell’Eremo. Mano a mano che si sale il panorama si amplia, includendo il cratere degli Astroni, monte S. Angelo, Bagnoli e Posillipo con l’isola di Nisida.

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Il sentiero si perde nei campi ma noi non lo seguiremo fino in cima e, ripercorsi i nostri passi fino al bivio, imbocchiamo ora il tratto di sinistra di via Bucoliche, quello che si inoltra fra case moderne e i campi già della Masseria del Verdolino, fino a un cancello, oltre il quale il fondo diventa sconnesso e solo per un tratto asfaltato. Sulla destra le pareti ripide di tufo nudo sovrastano la strada e sono evidenti i segni di frane, la più recente delle quali ha bloccato l’ingresso di una cava di tufo, adibita a deposito di materiali edili. Più avanti altre frane e sversamenti di materiali vari hanno modificato il livello del fondo e reso poco agevole il cammino che si insinua in un profondo anfratto, il vallone del Verdolino, che monta fin sopra ai Camaldolilli, seguito sulla sinistra da un alveo, scavato dalle acque dilavanti. Le pareti dirupate mostrano a tratti i segni dei violenti eventi geologici che hanno sconvolto questo territorio,

Veduta della piana di Soccavo dalle pendici dei Camaldoli presso la cava di tufo di via Le Bucoliche.

Si notino il nastro rettilineo della tangenziale, il centro abitato e in fondo, da sinistra, il Capo di Posillipo, l’isola di Nisida e il cratere degli Astroni.

A fronte, la via che conduce alle cava di piperno e tufo e al Vallone del Verdolino.

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con stratificazioni riconducibili a diverse fasi delle eruzioni flegree. Il Vallone, per quanto presenti segni di degrado, è ancora ricco di vegetazione arborea (castagni, lecci, robinie, querce), di arbusti e di piante di sottobosco. Non potendolo percorrere in piena sicurezza, conviene arrestarsi all’inizio e attraversare un ponticello in legno, posto a cavallo dell’alveo, poco dopo la cava ostruita. Esso ci conduce in un bellissimo campo, dove albicocchi, susini e altri alberi da frutto hanno sostituito una cinquantina

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d’anni or sono le viti, da cui si ricavava un vino mediocre. Ai margini del frutteto vediamo una serie di arnie. Qui il terreno è quasi pianeggiante e sul fondo termina contro una parete a picco, di roccia dal colore rossastro, in cui si apre la cava di piperno del Verdolino, anch’essa appartenuta ai Domenicani che l’avevano chiusa già nel secolo XVII, forse per esaurimento. Attualmente è inaccessibile per uno smottamento di terreno che ne ha ostruito in parte l’ingresso.

Sperone tufaceo nel vallone del Verdolino 151

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Vari aspetti del Vallone del Verdolino: a) folta vegetazione del sentiero di accesso; b) ramo di pesco in fiore; c) cava di tufo ostruita da una frana; d) stratificazioni riconducibili a varie fasi eruttive dei Flegrei su un costone; e) frutteto presso l’antica cava di piperno; f) parete in cui si apre la cava di piperno.

A

B

C

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E

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Facciata novecentesca della Chiesa della Madonna delle Grazie.

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Ritorniamo in via Vicinale Verdolino I tratto che, percorsa verso destra, ci porta in un incrocio dove prospetta la Chiesa della Madonna delle Grazie la cui storia si collega anch’essa alla presenza domenicana in quest’area. Eretta intorno al 1600, fu abbandonata a seguito della peste del 1656, quindi ampliata nel 1666. Appartenuta al Convento di S. Domenico fino alla soppressione del 1809, insieme agli altri possessi già dei Domenicani, passò al Conte di Camaldoli che la lasciò decadere. Fu ristrutturata nel 1887 e poi nel 1900, eretta a sede parrocchiale nel 1946. La facciata novecentesca presenta un corpo centrale, concluso da timpano triangolare e aperta in

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alto da una trifora, l’interno è a una navata e sull’altare conserva una Madonna delle Grazie, opera molto ridipinta, forse del XVIII secolo. Sulla sinistra della chiesa un cancello chiude l’ingresso a un sentiero, già segnato nel 1775, che portava alla Cava del Verdolino; di fronte, lungo via Madonna delle Grazie, sorge un lungo edificio a un piano, presente nella Mappa del Duca di Noja del 1775, fortemente rimaneggiato e, nella parte verso la chiesa, arricchito di una balaustrata di gusto Liberty. Via Madonna delle Grazie termina in un largo, dove affluisce anche via Risorgimento, dominato dalla dignitosa facciata del Palazzo Migliore, databile intorno al 1910, data leggibile sul fermo del cancello.

Edificio di fronte alla Chiesa della Madonna delle Grazie già esistente nel 1775 con elementi decorativi del primo Novecento.

Giovanni Carafa Duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775 (part.). Il territorio qui rappresentato si riferisce alla zona di Casalesio erroneamente segnalata come podere di S. Maria delle Grazie. Il percorso da noi proposto segue sostanzialmente l’andamento delle antiche strade.

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La via Contieri fiancheggiata dal neo-gotico Oratorio del Sacro Cuore di Gesù.

In basso, veduta del fianco destro dell’antica Masseria Varriale.

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Superata la chiesa percorriamo la via Alveo Contieri e la via Contieri, di antico tracciato. Questa nel suo tratto di sinistra conserva un grande edificio, la Masseria Varriale contrassegnato dal civico 3, che la Mappa del Duca di Noja ci mostra inserito in un vasto spazio agricolo, superstite ancora in parte.

Il portale a sesto ribassato immette in una lunga corte su cui si aprono abitazioni rurali raggiungibili con scale esterne. Purtroppo molte aggiunte e modifiche hanno alterato la lettura dell’insieme e soltanto il fianco destro della fabbrica si presenta abbastanza integro nella sua rustica essenzialità. Esso affaccia su un’area coltivata ad agrumi e altre piante da frutto, recintata lungo la strada da un bel muro antico in tufo che si raccorda al lato sinistro dell’Oratorio del Sacro Cuore di Gesù, prospettante sul tratto superiore di via Contieri. Si tratta di un grazioso tempietto di gusto neo-gotico,

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fondato nel 1909 da Giuseppe Cavaliere, uno dei proprietari della zona, e ora chiuso. Originaria è la facciata a capanna, con portale e trifora archiacuti, decorata da stucchi di buona qualità, raffiguranti il Redentore, nel timpano, e due Angeli, ai lati. Grezze appaiono le superfici del piccolo campanile, coperto da cuspide piramidale e con un solo piano di finestre gotiche.

Muro di cinta con albero di agrumi della Masseria Varriale lungo via Contieri.

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Corte interna di uno degli edifici, adibito ad abitazione, già di proprietà del Monte Contiero.

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La via Contieri segue la parte terminale del corso di un antico alveo pluviale che inizia sui Camaldoli col nome di Vallone Castelluccio. Essa attraversa la zona detta Casalesio per le proprietà che vi possedeva una famiglia D’Alessio che, ai primi del Seicento, ne donò una parte alla parrocchia dei SS. Pietro e Paolo.

Casalesio è uno dei tanti nuclei sparsi che costituivano in passato l’abitato di Soccavo e conserva ancora in parte il suo carattere fisico e una certa identità sociale, nonostante i radicali cambiamenti subiti dal territorio.

Molti degli edifici che lo costituiscono appaiono già segnati nel 1775 nella Mappa del Duca di Noja con accanto la scritta “Podere de’ P.P. di S. M. della Grazia”. Si tratta di un errore in quanto a quel tempo, e fin dalla metà del secolo XVIII, la terra e le principali costruzioni di cui ci occuperemo appartenevano al Monte Contiero, istituito da Gennaro Contiero, morto nel 1734, per dotare fanciulle povere. Disciolto questo Ente agli inizi del XX secolo, i suoi beni furono ceduti a privati. Invece la Chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli possedeva terreni nella zona detta Le Cortiglie. Gli Edifici del Monte Contiero si identificano nei due fabbricati contrassegnati dai

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Arco di accesso ai campi della Masseria del Monte Contiero.

Rosmarinus Officinalis da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc.

I, Napoli 1788.

civici 8 e 6, contigui fra loro e con accesso sul lato destro della strada. Il primo è costituito da una vasta corte murata, chiusa sul fondo da un edificio a L adibito adesso, come anche nel passato, a esclusivo uso abitativo. Un portale, fiancheggiato da due antiche colonne in pietra e in granito, si apre sulla strada. Aggiunte moderne hanno alterato le strutture originarie più che nella costruzione adiacente, al civico 6, che pure ha perso il portale in piperno dell’ingresso, rimosso dopo il sisma del 1980. Qui una costruzione a L si affaccia sulla corte, chiudendola sul lato opposto all’ingresso e a sinistra: nel pianterreno si aprono cellai, depositi e cantine, un tempo le stalle; il primo piano è adibito ad abitazioni, collegate da un ballatoio su arconi. Interessante la soluzione della scala esterna, innestata nel punto d’incontro dei due bracci. Verso la strada sorge un’aia sopraelevata, nel muro opposto si apre un arco che conduce nei campi: sulla sua destra un cellaio dalla copertura a volta. I terreni, un tempo del Monte Contiero, confinano con quelli già facenti parte della tenuta domenicana del Verdolino, da cui li separa un alveo, detto Alveo Contieri, essi sono attraversati su cavalcavia dalla Tangenziale e sono tuttora in buona parte coltivati a ulivi, agrumi, viti, alberi da frutto e orto.

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Portale di accesso e corte della Masseria di Giuseppe Cavaliere.

A fronte, in basso, tondo in gesso riproducente La Madonna della seggiola di Raffaello nella corte della Masseria Cavaliere.

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Dopo la visita al Complesso Contiero, diamo uno sguardo ad altri edifici posti lungo la via Contieri e che formano l’abitato di Casalesio. Sul lato sinistro della via, al civico 9, si apre l’arcone in piperno, sulla cui sinistra è murata una colonna di marmo, della Masseria di Giuseppe Cavaliere, lo stesso che

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fondò il vicino Oratorio del Sacro Cuore. Anch’essa risulta esistente nel 1775 ma l’arco d’accesso, che pare del primo Seicento, la dichiara di origine più antica mentre un tondo in stucco, riproducente la Madonna della Seggiola di Raffaello, posto nel pennacchio fra due archi, lascia pensare a qualche intervento fra Otto e Novecento, dovuto forse al Cavaliere, che modificò di poco l’aspetto della costruzione.

L’edificio posto sul lato Nord del cortile, percorso dagli archi di sostegno del ballatoio, accoglieva al primo piano la casa padronale, raggiungibile con una scala esterna, e sotto quelle dei coloni; sulla destra dell’ingresso c’era un forno, ora semidiruto, sugli altri due lati stalle e depositi. A sinistra del fabbricato un passaggio voltato conduceva nei campi, conservatisi ancora in piccola parte. Subito dopo questa masseria si ritrova un’altra struttura rurale, abbastanza degradata, anch’essa esistente già nel 1775, e poco oltre, quasi di fronte al civico 6, una costruzione molto rifatta che ha conservato sul lato verso la strada un’edicola con La Madonna di Montevergine, dipinto murale settecentesco.

Edicola settecentesca con la raffigurazione dipinta della Madonna di Montevergine, lungo la via Contieri.

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La via Contieri continua a salire fra semplici case rustiche otto-novecentesche e altre moderne e fra terreni ancora in parte tenuti a vigneto e a frutteto, quindi svolta sulla sinistra assumendo la denominazione di strada Vicinale Paradiso che ci porta in località Paradiso dove troviamo, sulla sinistra, la Masseria Torre della Lopa, rappresentata nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja con la scritta “Case di Alesio” e sulla Pianta Idrografica del 181719 con la denominazione “Torre Ciotola”, derivata dal nome della famiglia che allora la possedeva. La grande masseria era fortificata, la parte ritenuta la torre è posta nel lato meridionale e costituisce il braccio più breve dell’impianto a L. Essa non spicca per altezza rispetto al braccio lungo ma con la sua posizione sul ciglio di una scarpata dominava la conca di Soccavo e, ora, il campo di calcio Paradiso.

Forse la torre era in origine più alta e preesisteva all’altra struttura, che sembra del primo Settecento, occupata nell’unico piano da abitazioni, collegate da un ballatoio raggiungibile tramite una scala esterna la cui prima rampa si innesta ortogonalmente alla facciata. Al livello inferiore si aprivano i locali per le stalle e i cellai. Aggiunte di strutture e modifiche di vario genere non hanno cancellato il carattere del complesso che, in origine, era circondato da terreni, adesso occupati in gran parte da palazzine e dal campo di calcio.

Di fronte alla masseria, sulla destra della via Vicinale Paradiso, una via senza sbocco sale fra case moderne, portandoci a un poggio su cui incombe non lontano il costone meridionale dei Camaldoli, dal pendio tagliato da pareti di tufo a picco, ricoperto di bassa vegetazione e coronato dalle solite antenne radio-televisive e dalla parte posteriore dell’Eremo. In basso corre un tratto della Tangenziale e si insinuano macchie di costruzioni moderne che hanno ricacciato indietro,

A fronte, scorcio della Masseria Torre della Lopa.

Lamium Bifidum da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc.

I, Napoli 1788.

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Veduta del costone meridionale dei Camaldoli e, in basso, veduta dell’abitato di Soccavo, chiuso sul fondo da Posillipo, Nisida e dal cratere degli Astroni. La ripresa è stata effettuata da un poggio, presso Torre della Lopa, posto a monte della Tangenziale di cui si vede un tratto nella pagina a fronte.

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a ridosso del colle, le poche aree coltivate che tuttora resistono. Ai loro margini, rispettivamente verso il limite di destra e di sinistra della macchia di cemento, emergono due antichi monumenti di Soccavo, la cosiddetta Casa di S. Alfonso e la Torre dei Franchi.

Se diamo le spalle al colle vediamo in basso la piana di Soccavo densamente costruita, gli edifici di via Manzoni e il promontorio di Posillipo con l’isola di Nisida, una parte del cratere di Pianura, verso il Pignatiello, gli Astroni e un tratto di mare.

Stacchiamoci da questa inconsueta veduta e portiamoci su via Vicinale Paradiso che svolta sulla destra, verso nord, divenendo una viuzza dal fondo mal tenuto che corre lungo il piede del colle fino

a raggiungere un gruppo di edifici rurali, corrispondente al civico 58, il più fatiscente dei quali è noto come Casa di S. Alfonso. Il percorso indicato, visibile già nel 1775, di recente è stato interrotto da un cancello, per cui siamo costretti ad aggirarlo prendendo

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Suggestiva immagine della masseria nota come Casa di S. Alfonso a ridosso di un costone dei Camaldoli.

via dell’Auriga, che attraversa un moderno parco di palazzi e corre parallela al sentiero interrotto, e poi svoltando a destra. All’inizio di via dell’Auriga abbiamo visto una mediocre costruzione, dotata di un’improbabile torre, posta dove in origine sorgeva la casa padronale di Ercole de’ Liguori, fratello di S. Alfonso, che ne entrò in possesso almeno a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo. La proprietà comprendeva anche il vasto appezzamento verso settentrione, ora in gran parte occupato da palazzine, e le fabbriche rurali presso cui siamo giunti. Il tutto appartenne ai de’ Liguori fino ai primissimi anni 166

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dell’Ottocento, quindi passò ai Morra e, alla fine del secolo XIX, ai Rispoli. Nella Pianta Idrografica del 1817-19 la costruzione con torre viene segnata come “Masseria Morra”, mentre la cosiddetta Casa del Santo come “cellaio”. Questa a fine Ottocento viene definita “Masseria Rispoli con cappella”, lasciando supporre che abbastanza tardi acquisisse anche un ruolo abitativo. Quanto detto in precedenza fa apparire piuttosto impropria la definizione dello stabile come Casa di S. Alfonso che, al massimo, può averlo frequentato per pregare nella cappella annessa.

Infatti, al livello del primo piano e con accesso dal 167

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Due vedute della Casa di S. Alfonso.

Si notino le aperture circolari che arieggiavano i cellai.

terrazzo, si trova l’ex cappella, coperta da volta a botte con unghie, priva ormai di qualsiasi suppellettile e in disuso da tempo immemorabile. Essa è stata ricavata nella parte superiore di un ambiente che, nella parte inferiore, è occupato da un cellaio. Non sappiamo quando ciò sia avvenuto né quale funzione svolgesse il grande spazio voltato; si potrebbe ipotizzare che esso fosse un edificio sacro, riutilizzato nel XVIII o XIX secolo. Tutto il piano terra della fabbrica è adibito a cellai, quello sottostante il terrazzo è coperto a volta e ancora occupato da grosse botti fuori uso, le pareti dei vari locali sono forate con tubi in terracotta per consentirne l’aerazione. Sul retro una scala esterna porta al primo piano, aggiunto nel XIX secolo e con le coperture sfondate, e al terrazzo con la cappella.

Di lato alla scala sono i resti di un forno. Sulla destra si vedono i ruderi di una stalla. Accanto a questa fabbrica ne vediamo un’altra, la Masseria Rispoli, di recente ristrutturata e ancora abitata. Essa fu costruita nel corso del XIX secolo e presenta le solite forme, con una scala esterna su due archi che 169

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conduce al piano delle abitazioni e un piano terra adesso abitato in parte ma in origine destinato a cellaio e stalla. Questi due edifici rurali hanno perduto gran parte del territorio agricolo di pertinenza, occupato da moderna e trista edilizia, conservandone soltanto la parte più a monte, sistemata alla base del versante meridionale dei Camaldoli.

Qui alcune parti sono incolte ma altre sono ancora tenute ad agrumeto, con pochi alberi da frutto e rare viti, ultime superstiti di quelle che fino a una quarantina d’anni fa popolavano tutti i terrazzamenti, insieme agli ulivi, consentendo una discreta produzione di vino bianco, dalle uve catalanesche, e rosso, dalle “per ‘e palumbo”.

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Giovanni Carafa Duca di Noja, Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni, Napoli 1775 (part.).

Rappresentazione del nucleo principale del Casale di Soccavo con le vicine Cortiglie erroneamente segnalate all’altezza della Torre dei Franchi.

A fronte, l’esterno e l’interno della cappella posta sul terrazzo della Casa di S. Alfonso.

Continuiamo la nostra visita alla parte di Soccavo più vicina al colle dei Camaldoli, ridiscendendo via dell’Auriga fino a incontrare sulla destra la strada Croce di Piperno che, sottopassata la Tangenziale, ci riporta verso il piede del colle, continuando dopo una svolta a sinistra in via Vicinale Torre di Franco. Tutto questo percorso è già tracciato nella Mappa del Duca di Noja, dove lo vediamo svolgersi fra vaste aree coltivate mentre adesso si insinua fra edilizia moderna, fra qualche giardino e pochi fazzoletti di terra. La via, nel punto in cui svolta bruscamente verso il centro dell’antico casale, incontra un gruppo di antichi edifici dominati dalla Torre dei Franchi, il più importante monumento del quartiere. All’altezza del civico 79 si apre un arcone, posto fra due case già esistenti nel 1775, ma ormai modificate. Esso immette in uno slargo dominato dalla torre, costruzione di grande prestigio, databile alla prima metà del XVI secolo, quando fu eretta molto 171

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La Torre dei Franchi in una veduta di scorcio e inserita nel contesto naturale.

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probabilmente dalla famiglia De Franco per difendere le vicine cave di piperno e come dimora fortificata.

La struttura si articola in tre ordini, separati da cornici marcapiano a toro e conclusi in alto da una simile cornice su cui si pone un giro di archetti pensili su mensole di piperno, in parte caduti. Il basamento a scarpa presenta gli spigoli rafforzati da blocchi di piperno, nei tre livelli si aprono finestre quadrate e rettangolari, incorniciate di piperno, affiancate nel basamento da aperture minori utili per la difesa. Sul lato est fu aperto un nuovo ingresso, raggiungibile con una scala di piperno, ciò a seguito di una vasta frana di roccia tufacea e terreno che nel 1854 si staccò dal fianco del colle e precipitò a valle, distruggendo alcune case e interrando parte della base della torre, come tuttora si può notare. L’aspetto esterno della torre risente delle sue secolari vicende, mostrando finestre murate, ridotte di misura o aperte ex novo, pareti scavate e in qualche punto aperte, lesioni, tuttavia conserva intatto il suo fascino e sarebbe facilmente recuperabile con un buon restauro.

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Campi a monte della Torre dei Franchi sulle falde dei Camaldoli.

A fronte, vista d’angolo della Torre dei Franchi.

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Anche all’interno conserva in buona parte l’originaria distribuzione degli spazi, con due livelli archivoltati compresi nel basamento e tre ambienti per piano, collegati da una scala interna. Ai lati nord e sud della torre sono addossate basse costruzioni.

I Di Franco erano originari di San Severino e sfruttavano fin dal XV secolo le cave di piperno aperte su questo versante dei Camaldoli, non lontano dalla torre. Ora i loro accessi sono chiusi e ostruiti da frane e smottamenti, ma ne restano i segni evidenti nei campi posti a monte della torre: qui giace ancora qualche blocco di piperno, ma, soprattutto, i massi sparsi sono stati utilizzati per realizzare i muretti di contenimento dei terrazzamenti. Tuttora questo territorio, che s’inerpica lungo le prime pendici meridionali dei Camaldoli, è coltivato da anziani contadini, in prevalenza ad agrumeto, vigneto e ortaggi. Dal punto più alto di questi campi si osserva la veduta verso il mare, con Posillipo e i palazzi di via Manzoni, Nisida e la conca di Soccavo tutta coperta di costruzioni.

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Antonio Valmagini, Carte dei dintorni di Napoli, 1837-48, (part.), Firenze, Istituto Geografico Militare.

Lasciamo questo luogo suggestivo e percorriamo in discesa la via Vicinale Torre di Franco, dominata in alto dalla grande torre e fiancheggiata da case moderne e piccoli pezzi di terra tenuti a vigneto e ad agrumeto. Sottopassata la Tangenziale, troviamo sulla destra la via Vicinale Palazziello e un rione di case popolari fra le quali sale sulla destra la via Berenice che porta a due edifici, già segnati nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja senza alcuna indicazione e corrispondenti sulla Pianta Idrografica del 1817-19 a delle costruzioni segnalate con la scritta “Grimaldi”, certo dal nome dei proprietari di allora. Intorno si vedevano soltanto aree coltivate, ora sostituite da palazzi. Anche i due edifici sono stati rimodernati ma uno di essi conserva delle finestre che lo farebbero ritenere almeno di origine cinquecentesca.

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Orchis Nicodemi da Domenico Cirillo, Plantarum Rariorum Regni Neapolitani, fasc.

I, Napoli 1788.

Riprendiamo a scendere la via Vicinale Torre di Franco e proseguiamo in via del Triumvirato, già via dei Monti, che ci conduce in un altro degli abitati che costituivano in passato Soccavo, cioè alle Cortiglie, denominazione derivata dalla presenza delle case a corte. Gli edifici e le terre circostanti appartennero a lungo alla parrocchia dei SS. Pietro e Paolo e ad altri enti ecclesiastici napoletani, come il Conservatorio del Soccorso e S. Maria delle Grazie a Caponapoli, passando nel secolo XIX a privati e, infine, al Comune di Napoli che ne ha promosso il restauro con i fondi della legge 219 del 1982. Il nucleo, documentato dal primo Seicento, ma sviluppatosi a partire dal secolo XVI, conserva ancora in parte un aspetto setteottocentesco, con qualche emergenza più antica. Gli edifici si presentano aggregati intorno a corti e coi 177

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Padre Eterno benedicente, scultura rinascimentale riutilizzata in una nicchia all’esterno dell’Ospizio dei Padri Camaldolesi posto all’inizio della località Le Cortiglie (a fronte).

piani serviti da scale esterne, secondo la consueta tipologia presente nella zona, alcuni conservano elementi decorativi e architettonici di un certo interesse: uno (part. 6) presenta il portale in piperno con stemma cinquecentesco (sole e luna) e timpani in stucco settecenteschi sulle finestre; un altro (part. 19) ha le cornici in piperno di una finestra e di una porta databili al XVI secolo. Al termine del piccolo abitato, o all’inizio se si sale da via Bottazzi, si trova l’Ospizio dei Camaldolesi, dal portale a sesto ribassato sormontato da una nicchia contenente una scultura raffigurante Il Padre Eterno, databile al secondo Quattrocento. Questo edificio era detto anche Ospizio di S. Egidio, nome derivato non da quello del santo ma dalla famiglia Egidio che negli anni fra il XVI e il XVII secolo aveva ceduto ai Camaldolesi i terreni della Masseria Cintia, si dice a patto che si recassero a Soccavo a esercitare il loro ministero. Pertanto i Padri costruirono l’ospizio che nella denominazione ricorda il loro rapporto con gli Egidio.

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Scorcio di via Bottazzi, corrispondente a un tratto dell’antica strada di Soccavo che attraversava il nucleo principale del Casale.

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Dopo pochi metri la via dei Monti termina in via Bottazzi che è parte di un antico tracciato, già segnato nella Mappa del Duca di Noja con la denominazione di “Strada che porta a Succava”, tracciato conservatosi fino a oggi e contrassegnato da toponimi diversi (via Scherillo, via IV Novembre). Da esso si staccava verso sud la via Pia, che adesso collega via Bottazzi a via Epomeo. Lungo queste due strade si trovava il principale nucleo abitato del casale, con la chiesa parrocchiale e alcuni edifici, aperti verso i campi. Adesso di questi resta solo qualche traccia: già fra Otto e Novecento delle costruzioni cominciarono a sorgere ai lati delle strade, nel secondo Novecento i palazzi invasero la maggior parte dei terreni liberi, sommergendo le antiche costruzioni. Alcune di queste si conservano sul lato sinistro di via Pia, altre formano una bassa cortina lungo il lato meridionale di

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via Bottazzi, che percorreremo verso sinistra. Queste fabbriche a corte, in parte modificate, sono le stesse che la Mappa del Duca di Noja ci presenta nel 1775: da notare ai civici 63 e 53 dei portali seicenteschi in piperno e al 31, prospiciente al sagrato della chiesa, un edificio col portale settecentesco in piperno, a sesto ribassato, che immette in un cortile intorno al quale si situano le abitazioni, raggiungibili con scale esterne e interne. Questo complesso nel corso dei secoli XVII-XVIII appartenne alla vicina parrocchia, così come il palazzo adiacente, su via Bottazzi.

Il largo antistante la parrocchia dei SS. Pietro e Paolo sulla cui sinistra si vede l’Oratorio della Confraternita di S. Francesco.

Siamo giunti nel largo antistante la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, eretta a parrocchia verso il 1540, anno in cui fu costruita sul posto di una Chiesa di S. Pietro, già esistente nel XIII secolo. Una serie di interventi, databili fra il XVII e il XX secolo, conferì alla chiesa l’aspetto attuale: ricordati da lapidi murate presso l’ingresso sono i restauri del 1785, del 1859-60 e quelli seguiti al terremoto del 1980, oltre che la 181

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Veduta della parte orientale di Soccavo delimitata sul fondo dal piede della collina dei Camaldoli oltre il quale appaiono gli edifici del Vomero.

In primo piano il campanile della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo.

Il quadrante maiolicato dell’orologio posto sulla facciata della chiesa parrocchiale.

consacrazione del 1778 e la benedizione del 1861. I segni di questa storia travagliata si leggono già all’esterno, nella facciata dal profilo dritto, conclusa da una cella campanaria.

Qui il portale in piperno, concluso da timpano triangolare, risale al momento cinquecentesco, mentre il quadrante dell’orologio, in maiolica, è del tardo Settecento e il pannello maiolicato, raffigurante I SS. Pietro e Paolo, fu realizzato a Vietri nel 1985. Sulla sinistra emerge la parte superiore del campanile, nelle cui facce si aprono tre monofore e un oculo. Essa sostituì nel 1946 i due moduli a pianta ottagonale e coperti a piramide, danneggiati dal sisma del 1930.

Si conserva invece il basamento, con membrature e 182

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finestre in piperno, che una scritta nel fregio del lato settentrionale fa datare al 1600 e attribuire ai mastri Santolo Antonio Fiorentino e Domenico Seve.

L’interno ha tre navate, con quattro altari per lato e abside semicircolare, tre degli archi della navata, liberati dall’intonaco, mostrano le loro membrature in piperno, probabilmente seicentesche; per il resto le decorazioni dei timpani delle finestre e le lesene che scandiscono le superfici del primo ordine e dell’abside si

Portale cinquecentesco in piperno della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo.

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La navata della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo.

Il versante meridionale dei Camaldoli visto dal terrazzo della Casa Canonica.

collegano al restauro condotto nel 1859-60 dall’architetto Andrea Rispoli che modificò anche l’impianto della chiesa, ampliandola. ll cassettonato del soffitto è infine frutto di un restauro del 1956. Un ultimo intervento, reso necessario a seguito dei danni subiti per il sisma del 1980, ha portato alla scoperta di mura romane, in opus reticulatum, nelle fondamenta.

Nella chiesa si conservano alcune opere di un certo interesse storico e artistico, dall’acquasantiera seicentesca in marmo all’altar maggiore, composto con pannelli marmorei del secondo Settecento e

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recante nel paliotto un rilievo con i SS. Pietro e Paolo, alla tela che lo sormonta, La Madonna col Bambino ed i SS. Pietro e Paolo, dipinta nel 1867 da Nicola Corvo e voluta dai cittadini come ex voto per aver scampata l’epidemia di colera del 1865 e 1866. Nella prima cappella a destra si vede una statua in legno e cartapesta dell’Immacolata, di metà Ottocento, nella seconda le statue lignee dei SS. Pietro e Paolo, del secolo XVIII, nella quarta una tela del secondo Settecento raffigurante S. Luca che dipinge la Vergine, ed una Madonna coi SS. Pietro e Paolo, su tavola, molto ridipinta, recante in basso la data 1509 che mi pare contrasti con lo stile dell’opera, meglio situabile a metà del secolo XVI. In un ambiente sulla sinistra dell’abside si trovano varie sculture ottocentesche e un Ecce homo, del primo Settecento.

Sul quarto altare di sinistra è posta una S. Anna, statua lignea del primo Ottocento; ai lati del terzo una tela con S. Nicola di Bari, dei primi del secolo XVIII, e altre due del secolo XVII raffiguranti Il compianto sul Cristo morto e l’Ecce homo; sul secondo la statua lignea

Stemma marmoreo con le chiavi incrociate, attributo di S. Pietro posto sull’ingresso della Casa Canonica.

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Mattonella maiolicata raffigurante l’emblema francescano murata sulla facciata dell’Oratorio.

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settecentesca di S. Antonio di Padova.

Usciti dalla chiesa vedremo che il lato destro del largo antistante è chiuso dalla Casa Canonica, con l’ingresso al civico 27 sormontato dallo stemma con le chiavi incrociate, scolpito in marmo nel XV secolo, e dal fianco dell’Oratorio della Confraternita di S. Francesco di Assisi, sorto nel 1637 ma ricostruito nel 1776 e modificato in seguito. La facciata è sormontata dalla cella campanaria e presenta un portale architravato in piperno. Sulla parete alla sua sinistra e sul fianco sinistro, presso il portale laterale, sono murati due emblemi francescani (le braccia incrociate di Cristo e di S. Francesco) su mattonelle maiolicate del 1831.

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A fronte, in basso, vista del campanile della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo.

A fianco, il primo e secondo ordine del campanile della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, rispettivamente seicentesco e novecentesco.

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Il Palazzo sede dell’ex Municipio di Soccavo.

A fronte, il Monumento ai Caduti in piazza S. Pietro e la seicentesca Croce di Piperno.

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Continuando la via Bottazzi, sulla sinistra, ad angolo con la piazza S. Pietro, dove si vede un modesto Monumento ai Caduti della Prima guerra mondiale, sorge il Palazzo Municipale del comune di Soccavo, aggregato a Napoli nel 1926. Fu costruito negli anni 1870-76 in forme dignitose, con un rivestimento di bugnato liscio nel basamento e una serie di balconi al primo e unico piano. Sul portale lo stemma di stucco di Soccavo è abraso, ma il ricordo dell’originaria funzione dello stabile si evince ancora dalle lettere MS (Municipio di Soccavo) poste nella rosta di ferro del portale. Alla via Bottazzi fa seguito la via Canonico Scherillo, che si svolge fra edifici moderni, lasciandosi sulla sinistra sempre il costone meridionale dei Camaldoli. Come abbiamo detto in precedenza, questa via segue un antico tracciato, evidente nella Mappa del Duca di Noja, il cui tratto finale, ora denominato via IV Novembre, conduceva alla Chiesa di S. Maria delle Grazie, innestandosi poi nelle vie che portano al Vomero e a Fuorigrotta.

La via Scherillo raggiunge un incrocio con un largo dove è collocata, protetta da una edicola in vetro e metallo, la Croce di piperno, uno dei monumenti emblematici di Soccavo, importante non tanto dal punto di vista artistico quanto da quello storico e sociale. Essa, infatti, ci attesta non solo la devozione dei cittadini ma l’esistenza di un forte nucleo di cavatori di piperno e di scalpellini che, insieme ai loro colleghi di Pianura, hanno contribuito in maniera decisiva alla

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definizione dell’aspetto della città di Napoli fra il XV e il XVIII secolo.

La Croce fu scolpita nel 1613 e mostra la figura del Cristo, i simboli della Passione, la colomba dello Spirito Santo e, nei bracci corti, i SS. Pietro e Paolo. Continuando per via Scherillo si giunge nella zona detta nel XVIII secolo “Il fondaco di Soccavo”. Qui a un incrocio confluisce da sinistra, proveniente da Casalesio, la via Paolo Grimaldi, al cui inizio, sulla destra, si vede ancora una casa a corte, segnata nel 1775 sulla Mappa del Duca di Noja. Di fronte scende la via Montevergine che ci porta su via Epomeo, arteria moderna che attraversa tutta la conca e l’abitato di Soccavo. In continuazione con via Scherillo procede la via IV Novembre, fiancheggiata da qualche dignitoso palazzo di fine Ottocento. Noi prenderemo la via Montevergine per raggiungere la Chiesa di S. Maria di Montevergine, costruzione moderna che prese il posto di una più antica, già documentata nel 1685, ampliata nel 1816, eretta a parrocchia nel 1969 e ricostruita nelle forme attuali negli anni Settanta del Novecento. Nella precedente chiesetta si conservava una scultura in marmo, raffigurante la Madonna di Montevergine, opera del XVII secolo adesso situata sull’altare di sinistra della nuova chiesa.

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Sopra e a fronte, due vedute dell’edificio rurale settecentesco che precede il corpo principale della Masseria Cintia.

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Di fronte alla chiesa, oltre via Epomeo, la via detta Pacifico, che conduce alla Stazione della Circumflegrea, ricorda la denominazione di una località dell’antica Soccavo, formata nel 1775 soltanto da un paio di casamenti colonici fra le campagne e ora sommersa dalla marea edilizia moderna. Per continuare la nostra visita dobbiamo raggiungere l’estremità occidentale del quartiere e lo potremo fare sia percorrendo la via Epomeo in direzione di Pianura fino al moderno ufficio postale, sia riprendendo le vie Scherillo e Bottazzi verso Ovest, cioè seguendo l’antico tracciato. In questo caso arriveremo comunque presso le poste e su via Epomeo che attraverseremo, per riprendere il vecchio percorso interrotto, denominato in questo tratto via Comunale Cintia. Questa passa lungo il lato sinistro della Masseria Cintia, il cui accesso è posto al numero 106 della via Cintia che segue in parte il tracciato di una antica via che collegava Fuorigrotta a Pianura. Il nome Cintia non deriva dal latino, pertanto va letto come si scrive, bensì dal fatto che i terreni erano

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recintati per evitare l’accesso di animali ed estranei.

Questo complesso nel secolo XVI era di proprietà della famiglia Egidio una cui rappresentante, Aloisia, sposata a Geronimo Piscitello, lo cedette negli anni a cavallo fra Cinque e Seicento ai padri dell’Eremo dei Camaldoli che lo possedettero fino al 1807, anno in cui i loro beni furono incorporati nel Demanio, finendo poi privatizzati. I terreni, misuranti oltre 124 moggia, erano coltivati a frutteto e ortaggi, a orzo e miglio, e producevano anche legname e vino; adesso sono occupati da palazzi moderni. Una strada, la via Criscuolo, corre fra il muro di cinta dell’antico orto e le fabbriche della masseria, portando all’ingresso della corte, costituito da un arcone a tutto sesto in piperno.

Prima di giungervi ci lasciamo sulla sinistra un edificio rurale a un piano, parte integrante della masseria, che

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Ingresso al cortile della Masseria Cintia. Sulla destra il muro che cingeva l’orto.

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conserva ancora buona parte del carattere originario.

Esso prospetta su via Cintia dove è aperto in basso da un arco che immette in un piccolo atrio in cui sono un portone e l’ingresso a un vano terraneo, le finestre del primo piano hanno i davanzali in piperno sagomato. Dalla strada privata si accede a un cortile interno, chiuso dai corpi di fabbrica e dal muro di cinta, con bella scala esterna che porta al piano delle abitazioni. Questo impianto appare del tutto simile nella Mappa del Duca di Noja. Lo stesso può dirsi anche per la disposizione delle fabbriche intorno al cortile principale della masseria ma alla conservazione dell’impianto non corrisponde che in parte quella delle strutture, modificate per dar loro nuove funzioni abitative. Sul lato di fondo una palazzina moderna ha preso il posto di un corpo basso già adibito a stalle e il giardino che vi è annesso occupa la superficie di un’aia, lungo il lato sinistro e parte di quello verso

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l’ingresso sorgono altre abitazioni ricavate modificando l’edificio principale della masseria, accresciuto di un secondo piano ricavato dagli antichi granai. Questo era la fabbrica più rappresentativa e accoglieva la casa padronale, come dimostrato anche dalla presenza di alcuni elementi architettonici superstiti di un certo rilievo, ad esempio le incorniciature seicentesche in piperno di due portali, sormontati da finestrine mistilinee settecentesche, e di due finestre, trasformate in balconi. La struttura più rilevante, collocata nel braccio sul lato dell’ingresso, è la scala interna che si svolge a rampe dritte, coperte da volte a botte, interrotte da pianerottoli, coperti a crociera e inquadrati verso il cortile da due arconi a sesto ribassato. Quest’opera si inquadra in quella vasta tipologia di scale aperte elaborata a Napoli nel corso del secolo XVIII e si deve ritenere che poco prima della metà di quel secolo la masseria dovette subire delle ristrutturazioni, testimoniate da alcune finestre mistilinee e dalla facciata della cappella, posta sul lato destro del cortile. Essa è dedicata a S. Maria delle Grazie, esisteva già nei primi decenni del Seicento ma il profilo polilobato del finestrone e le linee del portale in piperno lasciano pensare a un restauro settecentesco. Accanto alla cappella, nel muro di destra, si apre un cancello che un tempo portava ai campi, scomparsi da qualche decennio.

Cappella settecentesca di S. Maria delle Grazie nel cortile della Masseria Cintia.

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Di fronte alla Masseria Cintia, sul lato opposto della omonima via, sale la via Ventilabro, nome moderno attribuito alla strada Vicinale Cavone degli Sbirri che, seguendo il percorso naturale dell’omonimo cavone, si dipartiva dalla strada per

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Pianura, superava monte S. Angelo e conduceva al lago di Agnano. La via Ventilabro si svolge fra aree coltivate a vigneto, raggiungendo un paio di masserie, già segnate sulla Mappa del Duca di Noja. La prima è la Masseria del Borro, la cui struttura si conserva ancora in parte, posta al centro di un’ampia tenuta, coltivata a uva falanghina e piedirosso, da cui si ricava un buon vino, e a ulivi. Da quassù la vista spazia sulla conca di Agnano e sul Golfo con il capo di Posillipo, Nisida e Capri. La Masseria Montefusco, posta più innanzi, era anch’essa presente nella mappa settecentesca ed è tuttora compresa in una zona in parte coltivata. La nostra passeggiata ci ha portato oltre i limiti del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli e qui ha termine.

Il vigneto della Masseria del Borro e, a fronte, un edificio porticato della stessa.

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Gli edifici che delimitano la corte della Masseria del Borro. Sullo sfondo i Camaldoli.

Vista del vigneto e dell’oliveto della Masseria del Borro. Sull’estrema destra l’edificio corrispondente all’antica Masseria Montefusco.

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Parco Metropolitano delle Colline di Napoli VIII Itinerario

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