Guida del Parco - Percorso 15

Ente Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

ISBN 978-88-8497-417-4

VI Itinerario LA SELVA, LE CAVE E LE MASSERIE DI CHIAIANO

Parco Metropolitano delle Colline di Napoli Guida agli aspetti naturalistici, storici e artistici a cura di Leonardo Recchia e Renato Ruotolo

VOL. I

Percorso 15

I CASALI DI POLVICA E CHIAIANO

redazione Leonardo Recchia impaginazione grafica Tommaso Lubrano Lavadera art director Leonardo Recchia

restyling impaginazione 2022 Francesco Schioppa (PMCN) Stampato nel mese di febbraio 2010 per conto delle edizioni CLEAN dalle Officine Grafiche Francesco Giannini e Figli S.p.A. Napoli Copyright © 2010 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it info@cleanedizioni.it Tutti i diritti riservati è vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-417-4

Gli autori di quest’opera intendono ringraziare tutti coloro che li hanno aiutati nella sua realizzazione, accogliendoli nelle proprie case e nei propri terreni, fornendo notizie documentarie e testi, tramandando episodi e ricordi personali, aiutandoli a comprendere meglio la struttura e lo spirito del territorio descritto. Senza il loro contributo questo testo sarebbe risultato molto più povero e impreciso.

Purtroppo di alcuni non conosciamo neppure il nome, degli altri forniamo l’elenco, in ordine alfabetico, sperando di avervi incluso tutti e chiedendo scusa a tutti quelli che, per dimenticanza ma non per ingratitudine, ne fossero rimasti fuori.

Pertanto gli autori ringraziano: Suor Luisa Alfieri delle Povere Figlie della Visitazione, Maria Teresa Angiulli, Famiglia Auzzino, Giovanni Baiano, Gaetano Barbarulo, Gennaro Bellafiore, Elisabetta Belli, Carlo Bocchetti, Berta Borrato, Bruno Brillante, Monica Bruno, Gabriele Carannante, Franca Chef, P. Umberto Ciotola, Antonio Colantuono, Domenico Contessa, Francesco Coppola, Franco Covino, Ileana Creazzo, Antonio Crosta, Nicola D’Amore, P. Carlo De Angelis, P. Claudio De Caro, Domenico De Luca, Giuseppe Della Corte, Suor Giovanna De Palo delle Betlemite, P. Carlo Diaferio, Ugo Di Furia, Mario Di Guida, Antonio Di Mauro, Marco Di Mauro, Giosuè Di Maro, Carmine Di Ruggiero, P. Pasquale Donvito, P. Ugo Dovere, P. Antonio D’Urso, Alberto Ercolano, Biagio Esposito, Rosaria Esposito,

Salvatore Esposito, Madre Fabia delle Suore Brigidine, Ebe Faggella, Michele Falco, Michele Fiore, Gaetano Fioretti, P. Raffaele Galdiero, Annamaria Gei, Tina Giacci, Maria Cristina Gioia,

Umberto Giordano, P. Salvatore Giuliano, Antonio Illiano, Francesco Imbriani, P. Filippo Jappelli, Guido Liotti, Carolina Lubrano, Francesco Luccio, Alberto Magone, Mario Marasco, Wanda Marasco, Giustiniano Matteucig, P. Francesco Minervino, Gaetano Mirone, Ciro Napoletano, Nino Nicoletti, P. Valentino Orefice, Mario Pacchioli, Gianni Palmers, Cataldo Patruno, Michelangelo Perretti, Luciano Pignataro, Giuseppe Polverino, Silvana Ponticelli, Luciano Riccio, Piero Riccio, Giuseppe Rusciano, Claudio Salerno, Giovanni Santoro, P. Pancrazio Scanzano, Guido Sciaudone, Ciro Sepe, Lucia Simone, Luciano Striano, Angela Tesone, Isabella Valente, Salvatore Varchetta, Francesco Varone, Antonio Vassallo, P. Pasquale Vicidomini, Massimo Visone Enti e Associazioni Associazione Amici della Vigna di San Martino, Associazione Asfodelo, Associazione Fondi Rustici, Biblioteca Nazionale di Napoli, Comunità La Sorgente, Diocesi di Napoli, Diocesi di Pozzuoli, Gran Priorato di Napoli e Sicilia del Sovrano Militare Ordine di Malta, Gruppo Archeologico Napoletano, Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali, Società Napoletana di Storia Patria.

Si ringrazia Padre Eduardo Parlato della Curia Vescovile di Napoli per la fattiva collaborazione.

Si ringrazia Fernanda Capobianco, Direttore dell’Archivio Fotografico della Soprintendenza Speciale per il Patrimono Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli. autori delle schede Giovanni Baiano Elisabetta Belli* Elio Cipriani Agostino Di Lorenzo Clemente Esposito Maurizio Frassinet Luisa Fucito* Gianni Palmers Laura Piano Leonardo Recchia* Renato Ruotolo* Amelia Verrilli *in questo volume

Il repertorio bibliografico è stato curato da Renato Ruotolo Il repertorio Iconografico è stato curato da Leonardo Recchia La campagna fotografica per la guida è stata realizzata da Leonardo Recchia altre referenze fotografiche Massimo Velo, Napoli p. 50; Carmine Guarino, Mugnano p. 84; Antonio Niego, Napoli p. 152; Archivio Fonderia Storica Chiurazzi pp. 127, 128, 129, 131, 133. © Ministero per i Beni e le Attività Culturali per le opere conservate in archivi, biblioteche e musei statali © Progetto Orto Immagine Regione Campania, scala 1:500, 2004.

Introduzione degli autori

L

a Guida del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli deriva da un nostro progetto accolto con entusiasmo dall’architetto Agostino Di Lorenzo, presidente dello stesso Parco, che ha partecipato con fattivo interesse alle varie fasi della sua realizzazione, redigendo, come esperto dei luoghi, l’itinerario di Chiaiano.

Non è semplice raccontare la genesi di quest’opera, frutto non solo di ricerche bibliografiche ma soprattutto della conoscenza diretta del territorio, in parte pregressa, in parte acquisita con lunghe passeggiate a piedi o a bordo di uno scooter, percorrendo strade urbane ma anche sentieri sterrati e tracciati di campagna senza nome. Una fatica premiata sempre dal ritrovamento di qualche antica masseria o dall’apparire di inediti tagli di paesaggio o di incredibili brani di campagna, ancora coltivata a poca distanza dalle moderne costruzioni. Ogni percorso è stato costruito non soltanto battendo il territorio ma anche appoggiando la ricerca sul campo con quella cartografica: mappe e piante, databili dal Sette al primo Novecento, sono risultate fondamentali per individuare tracciati da tempo dismessi, per recuperare elementi di una toponomastica ormai in disuso, per dare un nome ad antichi edifici, spesso in abbandono e ritrovati grazie alla segnalazione delle carte. Naturalmente non va ignorato l’apporto dato alla ricerca da alcuni testi, mai dedicati all’intero territorio

studiato ma a singole parti di esso, testi a volte di notevole valore scientifico, spesso di portata locale ma non meno meritevoli di menzione. Di questa bibliografia si è data la giusta segnalazione al termine di ciascun itinerario. Quel che è più difficile segnalare è il rapporto avuto con la gente del posto, contadini, operai, professionisti, sacerdoti, che spesso si sono adoperati per segnalare percorsi ed edifici isolati, per raccontarci avvenimenti, ricordare personaggi. Questo attingere alla memoria dei luoghi è stato essenziale per gli autori e traspare in più punti nei testi. Difficile ringraziare all’interno del testo così tante persone per la loro disponibilità, l’unico possibile segno di gratitudine nei loro confronti è costituito dal lungo elenco di ringraziamenti, posto all’inizio del primo volume.

Un doveroso ringraziamento, infine, va rivolto a quegli studiosi, esperti di differenti materie, che generosamente hanno offerto i loro consigli agli autori e, in alcuni casi, hanno redatto schede tematiche su argomenti di carattere storico, naturalistico, biografico, artistico, inserite nei testi degli itinerari, al fine di renderne più completa e approfondita la trattazione.

Per concludere, gli autori si augurano di aver reso, come era nelle loro intenzioni, un servizio alla città, facendone meglio conoscere alcuni luoghi e aspetti poco noti se non del tutto ignorati. Ma questa conoscenza può essere alla base del recupero e della valorizzazione delle varie e differenti aree del territorio del Parco soltanto se tutte le parti interessate, cittadini ed Ente Parco, riusciranno a stabilire un continuo e fiduciario rapporto di collaborazione, al fine di preservarne l’identità e di riconoscersi in essa.

I curatori Leonardo Recchia Renato Ruotolo

*I testi degli itinerari sono stati completati nel gennaio 2008

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vi itinerario

la

Selva, le Cave e le Masserie di Chiaiano

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Alle pagine precedenti, Pietro Fabris (attr.), Una cava di tufo a Casalnuovo.

Pianta settentrionale della provincia di Napoli (part.), prima metà secolo XIX, Napoli, Biblioteca Nazionale.

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Il sesto itinerario si svolgerà attraverso il territorio del quartiere di Chiaiano, non di tutto, però, in quanto i Guantai, Nazareth e l’antica zona dell’Orsolone con gli Ospedali saranno inseriti nel VII itinerario sia perché più strettamente legati a quella parte della collina dei Camaldoli che in esso si illustra sia perché conservano solo in parte l’originario carattere rurale, profondamente modificato o del tutto cancellato dapprima dalla costruzione dei grandi ospedali, poi dall’espansione edilizia del secondo Novecento. Anche la parte che visiteremo insiste sulle pendici dei Camaldoli e ha visto proliferare un po’ dovunque costruzioni abusive e legali, tuttavia presenta ancora forti i segni dell’antica civiltà

La Selva, le Cave e le Masserie di Chiaiano

contadina e, dove questa è ormai scomparsa, ne conserva strutture e tracce culturali che ci permettono di entrare in contatto con un passato vivo e vitale fino a qualche decennio fa e che soltanto il ritmo incalzante dei moderni cambiamenti ci fa apparire remoto.

Il territorio di Chiaiano, trovandosi molto vicino all’area flegrea, divenne tramite fra la piana di Quarto e Marano e i Camaldoli, i suoi canaloni fin dall’antichità svolsero il ruolo di vie di comunicazione fra le due zone, conservandolo in parte ancora fino al secolo XIX. La vocazione agricola di questo territorio è antica, forse precedente all’età romana quando la colonizzazione fu intensa, testimoniata da resti di edifici rurali, da ambienti ipogei e reperti sparsi. Che qui in età imperiale vi fossero degli abitati, forse di ridotta estensione, è anche attestato dalla decisione presa nel 537 da Belisario, generale bizantino, che, dopo aver conquistato Napoli con grande strage dei cittadini, per ripopolarla vi trasferì gente dalle località vicine, tra le altre da Playano e Publica, antenate di Chiaiano e Polvica. Questi, fino alle soglie dell’età moderna, furono i due centri principali del territorio, poco popolati se agli inizi del XVI secolo non superavano ciascuno il numero di 150-200 abitanti. Ancora nel 1600 il primo ne contava 250 e il secondo 400 e, soltanto alla fine del Settecento, Chiaiano arrivò a toccare il migliaio di anime. Ma in quel lasso di oltre un secolo la situazione era mutata e si erano manifestati dei caratteri destinati a perpetuarsi: l’accresciuta richiesta di generi alimentari, proveniente da Napoli, sempre più popolata, e la conseguente volontà dei padroni delle terre di sfruttarle al meglio, avevano provocato, a partire dal XVI-XVII secolo, il sorgere di masserie isolate e di alcuni piccoli nuclei abitati, destinati ad accogliere i contadini. Il principale fu quello di S. Croce che, unito all’Orsolone, contò alcune centinaia di anime, mentre il Tirone e l’Arco di Polvica non ebbero mai una tale consistenza e gravitarono sui due centri più antichi, rimanendone però sempre fisicamente separati. Protagonisti di questa ripresa dello sfruttamento agricolo furono gli ordini religiosi e le grandi famiglie napoletane, proprietari della maggior parte delle terre.

Fiori di Pesco magni-petali a corolla porporina in Giorgio Gallesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Pisa 1817-1839.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

A fronte, Touring Club Italiano, Pianta di Napoli (part.), Milano, inizio XX secolo.

Il confronto fra questa e la pianta precedente, evidenzia un territorio rimasto inalterato rispetto alla sua antica articolazione policentrica.

Ai primi del Novecento la stessa via tra Marano e Napoli, aperta mezzo secolo prima, e le sue più tarde diramazioni per Chiaiano e Polvica non hanno ancora determinato lo sviluppo dei due centri e la loro fusione.

A meridione si vedano le nuove strade, aperte a fine Ottocento, che collegavano il borgo di S. Croce con l’Orsolone e questo con i Guantai.

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Dalla lettura delle pagine di questo itinerario emergeranno nomi prestigiosi dell’aristocrazia, particolarmente dei Caracciolo, e poi dei Piscicelli, dei Bisogni, dei Salernitano, alcuni dell’alta borghesia, e quelli dei grandi Ordini religiosi, primi fra tutti i Gesuiti, i Certosini, i Barnabiti di S. Carlo alle Mortelle, la Casa Santa dell’Annunziata. Tanto per citarne soltanto qualcuno.

Dunque si configurò una situazione territoriale formata dai due casali, dai villaggi di S. Croce, del Tirone e di Nazareth, trattato nel seguente itinerario, da piccoli nuclei sparsi e da una quantità di masserie, collegati fra loro da antichi tracciati che seguivano l’andamento orografico o le vie scavate dal defluire delle acque meteoriche. Alla frammentazione degli abitati corrispose anche il loro differente stato giuridico e amministrativo, infatti Chiaiano, casale di Napoli, e il villaggio di S. Croce furono sempre demaniali mentre Polvica, dal 1631, divenne feudo della famiglia Salernitano, pervenendo nel 1761 ai Mauri. L’ultimo marchese di Polvica, Carlo Mauri, aderì alla Repubblica Partenopea e fu decapitato nel 1799. Ancora nel 1807 questa situazione policentrica era immutata e, quando si trattò di dare un nome alla nuova entità amministrativa allora creata, non si trovò denominazione più appropriata che quella di “Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e Santa Croce”. Soltanto a metà Ottocento si posero le premesse per migliorare i collegamenti fra le diverse frazioni e con Napoli e i paesi vicini grazie al taglio della via che collegava Qualiano e Marano a Napoli e al riassetto dell’altra che andava da Miano ad Agnano. Entrambe erano marginali agli abitati ma risultarono potenti attrattori del loro sviluppo: negli anni Ottanta del secolo XIX una nuova strada provinciale, l’attuale corso Chiaiano, e una sua deviazione, ora via XX Settembre, univano Polvica e Chiaiano alla via per Napoli, ora S. Maria a Cubito, costituendo inoltre gli assi di espansione dei due ex casali che, ormai nel primo Novecento, intorno a essi si sarebbero fusi in un unico aggregato.

La maggior distanza e le difficoltà orografiche contribuirono a tenere sempre separati dal centro il Tirone e S. Croce che conobbe un suo sviluppo verso la zona Ospedaliera, anch’essa

La Selva, le Cave e le Masserie di Chiaiano

in parte posta in territorio di Chiaiano, approfittando delle nuove strade aperte entro il 1891, nuovi tracciati che emarginarono gli antichi sentieri, consentendo un più rapido contatto con i Guantai, i Cangiani e, quindi, Marano e l’area collinare di Napoli. Ma il vero sviluppo edilizio, spesso incontrollato e abusivo, è avvenuto dopo l’annessione del Comune di Chiaiano a Napoli (1926), in particolare nel secondo Novecento, accentuandosi dopo il terremoto del 1980, grazie a interventi pubblici e privati.

Allora lungo un nuovo asse, la via Nuova Toscanella, aperto negli anni Cinquanta per migliorare le comunicazioni fra le parti settentrionali e meridionali del quartiere, si costruì in modo sempre più intenso avvicinandosi agli Ospedali. In questo periodo si consumò anche un’altra violenza ai danni del territorio chiaianese, in quanto fu dato un forte incremento all’attività estrattiva, praticata da secoli ma ora attuata in maniera dissennata, con conseguenti pericoli di dissesti idro-geologici, perdite di porzioni di selva e di terreni coltivabili e con la drastica alterazione della stessa fisionomia dell’ambiente.

Contemporaneamente si affermava il terziario, il cui sviluppo è in parte da porre in rapporto con le strutture sanitarie limitrofe, mentre l’economia agricola entrava in crisi, dimostrando però una notevole resistenza agli attacchi della speculazione, grazie a una cultura fortemente radicata e al territorio accidentato, come vedremo nel corso della nostra visita.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Bibliografia essenziale: F. Schiattarella, Breve storia della parrocchia di S. Giovanni Battista, in Giubileo sacerdotale, Napoli 1967.

A. Rigillo, Chiaiano e Polvica, in C. De Seta, I Casali di Napoli, Roma-Bari 1984.

A. Degetto, S. Croce ai Camaldoli 1688-1988, Napoli 1987 D. De Luca, Mons. Gennarino Salzano De Luca, 50° di sacerdozio, Napoli 1992.

D. De Luca, Marchese Carlo Mauri feudatario di Polvica giustiziato dai Borbone nel 1799, Napoli 1993 G. Boenzi-E. De Carolis-M. Giglio-A. Guarino, Rinvenimenti di superficie nell’area «La Contessa», Campi Flegrei (NA), in “Archeologia Uomo Territorio”, n° 13, 1994 Napoli Sacra, 15° itinerario, Napoli 1997.

Il parco della Selva e delle Cave, in “Urbanistica”, 1997, n° 109.

G. Barbarulo, Masserie e ville dei Gesuiti nella Napoli del ‘700, I, in “Societas”, n° 5-6, 1998.

AA.VV., Chiaiano. “Cenni storici e specificità del quartiere”, Napoli 1999.

D. De Luca, Ode. Cupa Vrito e le Cave di Chiaiano, Napoli 2002.

G. Baiano, La ciliegia a Napoli e in Campania, Napoli 2002.

D. De Luca, Municipio di Chiaiano ed Uniti. Registro 1883, Napoli 2004.

A. Di Lorenzo, Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano. Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Facoltà di Architettura, Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro, XVII ciclo, gennaio 2006.

N. Pilone, Il ciliegio, una coltura strategica, in Il paesaggio tra cultura e natura. Serie I quaderni del Parco, Napoli 2006.

A. Di Lorenzo, Paesaggi rurali e reti ecologiche in ambito urbano, in “Urbanistica”, LIX (2007) n. 132.

B. Brillante-C. Minopoli, Napoli rurale. Itinerari nel verde segreto della città, Napoli s.d.

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I casali di Chiaiano e Polvica

Cartografia utilizzata: G.A. Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze, 1793.

G. Porpora, Pianta Topografica del Casale di Polvica, 1779.

Officio Topografico di Napoli, Carta topografica ed idrografica dei contorni di Napoli levata per ordine di S.M. Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie, Napoli 1817-19.

A. Valmagini, Carte dei dintorni di Napoli, Napoli 1837-48.

Istituto Geografico Militare, Pianta di Napoli, fol. 184, 1907.

Pianta settentrionale della Provincia di Napoli, Napoli prima metà del secolo XIX. Touring Club Italiano, Pianta di Napoli, Milano inizio XX secolo.

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vi itinerario iii parte

I casali di Chiaiano e Polvica 285

MASSERIA BASELEGA

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PALAZZO CUOMO

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Nelle pagine precedenti: l’area degli antichi casali di Polvica e Chiaiano in un’ortofoto.

Primula Columnae da Michele Tenore, Flora Napolitana.

Descrizione delle Piante Indigene del Regno di Napoli, Napoli 1811-15.

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Questa terza parte del sesto itinerario ci condurrà attraverso un territorio che occupa le ultime pendici della collina dei Camaldoli, digradando da ovest a est, dai 180 metri s.l.m. di Polvica o dai 171 di Chiaiano fino ai 150 circa delle masserie Campodisola e Galletta, poste ormai in una zona quasi pianeggiante, ai limiti della Terra di Lavoro. Percorreremo le strade degli antichi casali di Polvica e Chiaiano, fra chiese, palazzetti e modeste fabbriche, un tempo abitate da contadini e artigiani, con qualche deviazione in zone rurali, o già rurali, limitrofe, non toccate nei due precedenti itinerari.

I due casali, accomunati da sempre dal tipo di economia e di società, prevalentemente agricole, risultano pertanto simili nei loro caratteri edilizi e nell’impostazione urbanistica, molto semplice, con i piccoli nuclei abitati disposti lungo una strada edimmediatamente collegati con la campagna circostante.

Comuni anche le origini, legate allo sfruttamento della terra: già in età romana ville rustiche e sparsi abitati dovevano sorgere su questo territorio, come dimostra la presenza di mausolei romani

I casali di Chiaiano e Polvica

I casali di Polvica e Chiaiano inseriti nel contesto territoriale nelle rappresentazioni di G. A. Rizzi Zannoni, Topografia dell’Agro Napoletano con le sue adiacenze del 1793, della Carta Topografica ed Idrografica de’ contorni di Napoli, 1817-19, del Real Officio Topografico (a fronte), e della Pianta di Napoli, del 1907, dell’Istituto Geografico Militare.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Ramo fiorito di ciliegio.

Caratteristica produzione del territorio di Chiaiano è la ciliegia di cui si coltivano diverse varietà fra cui la più pregiata è la recca.

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a Mugnano, nella Masseria del Torriciello, un tempo parte di Chiaiano, e a Marano, oltre che nella stessa Selva di Chiaiano.

La loro storia corre separata ma simile fino al XVII secolo, quando Polvica viene infeudata ai Salernitano. Ma di questi e altri fatti qui non parliamo per non ripetere quanto detto nell’introduzione generale.

Il moderno visitatore non si rende conto che fino ai primissimi anni Cinquanta del XX secolo Polvica e Chiaiano conservavano il loro carattere rurale e che i loro nuclei, ancora nei primi decenni dello stesso secolo, per quanto vicini, risultavano separati. Solo negli anni Ottanta dell’Ottocento

I casali di Chiaiano e Polvica

furono create le premesse della loro saldatura con l’apertura della via Provinciale per Polvica, poi corso Chiaiano, e di via XX Settembre, che collegavano i due ex casali con la via S. Maria a Cubito. Lungo questi assi si è sviluppata un’intensa attività costruttiva, pubblica e privata, che ha portato all’unificazione dei due antichi centri, ormai circondati da un’edilizia moderna, talvolta abusiva, spesso di mediocre qualità e in stridente contrasto con quella preesistente, non necessariamente eccelsa ma sempre progettata in rapporto alla funzionalità e alla rappresentatività richieste.

Fiori di Pesco brevi-petali a corolla porporina in Giorgio Gallesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Pisa 1817-1839.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

La situazione urbanistica attuale del quartiere di Chiaiano in un’ortofoto. È evidente l’avvenuta saldatura fra i due antichi casali che lo costituiscono e la moderna espansione verso la via S. Maria a Cubito.

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unto di partenza del nostro percorso può essere la Stazione Chiaiano della Metropolitana Collinare, facile da raggiungere e vicina al nucleo principale del quartiere. Basterà percorrere verso nordovest le vie Scaglione e poi S. Maria a Cubito, denominazioni assunte da questo tratto della strada che da Napoli va a Marano e Qualiano, aperta negli anni Cinquanta del secolo XIX. Essa

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I casali di Chiaiano e Polvica

facilitò le comunicazioni fra i casali settentrionali e la città, provocando il loro sviluppo verso il nuovo asse viario e rendendo marginale una parte dell’antica viabilità. Da uno slargo semicircolare parte il rettilineo corso Chiaiano, tagliato nei primi anni Ottanta del secolo XIX appunto per collegare la nuova arteria a Polvica e, tramite la via XX Settembre, a Chiaiano. La sua prima denominazione fu via Provinciale per Polvica.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Vista del tracciato tardo ottocentesco di Corso Chiaiano.

Si notino gli edifici che delimitano lo slargo semicircolare all’incrocio con via S. Maria a Cubito.

A fronte, particolare della decorazione in stucco del palazzetto tardo floreale.

All’imboccatura del corso fu conferito più tardi un certo tono con la costruzione dei due bassi edifici curvi e del palazzo, posto a filo di via S. Maria a Cubito e a fondale del corso. L’unità ambientale così definita è stata alterata dopo la demolizione e la ricostruzione in modeste forme moderne dell’edificio curvo di destra. L’altro, a due piani e simmetrico al precedente, è tuttora integro e mostra una semplice decorazione in stucchi, concentrata nelle volute sui timpani del primo piano, nell’ornato con una testa fra rami sul portoncino (n.1 a), nello stemma angolare in stucco, poco leggibile, con la data incompleta 192(.), che ci fa intendere come questo spazio assumesse l’attuale definizione negli anni Venti del XX secolo.

Intorno a quegli stessi anni risale la decorazione in stucco del grande palazzo a tre piani, posto al n.616 294

I casali di Chiaiano e Polvica

di via S. Maria a Cubito, in parte rovinata ma ancora evidente nei motivi geometrici e nelle teste, posti nelle lesene che scandiscono le superfici della facciata, e nei motivi floreali sul portale, chiuso da battenti lignei intagliati con figure di cervi in un paesaggio esotico.

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I casali di Chiaiano e Polvica

Imbocchiamo il corso che si svolge dapprima fra omogenee cortine edilizie a un piano, interrotte da più alte fabbriche moderne, sorte in sostituzione o sul posto di aree verdi. Comunque in questo primo tratto si intuisce l’iniziale carattere residenziale attribuito alla nuova via e si osserva tuttora un certo rapporto fra giardini, palazzi e strada, con le macchie dei vari toni di verde e di giallo di aranci, nespoli, fichi, ciliegi che si affacciano oltre i muri di cinta, in particolare lungo il lato sinistro. Uno di questi giardini ci appare all’incrocio con via Arco di Polvica e altri più avanti, collegati spesso a palazzi degli anni VentiTrenta del Novecento che caratterizzano la via: uno, datato 1935, dalle linee dignitose, con bei ferri ai balconi e portale stuccato, sorge al civico 43, di fronte allo sbocco di via XX Settembre; poco oltre, di fronte, con ingresso al n.2 di una traversa, è un villino a un piano, con una graziosa pensilina liberty in ferro e vetro sul

Edifici su Corso Chiaiano.

A fronte, portale su via S. Maria a Cubito.

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I casali di Chiaiano e Polvica

Edifici degli anni Trenta e, a fronte, portone intagliato su Corso Chiaiano.

portoncino e nel retro un giardinetto. Proseguendo un altro palazzo, all’incirca degli anni Trenta, al 44 c, esibisce un bel portone intagliato, mentre di fronte, al 49, corrisponde un edificio a un piano, dello stesso periodo, di linee eleganti e con le superfici lavorate a finto mattone, circondato da un fitto giardino di ciliegi, aranci, palme, abeti. Infine sulla destra, al 46, un villino, malamente sopraelevato, la cui data sul portale, XIV anno dell’Era fascista, ci dà un’ulteriore conferma del momento in cui sorsero le varie costruzioni finora viste.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Il palazzo tardo ottocentesco già sede del Municipio del soppresso Comune di Chiaiano Polvica e S. Croce.

Stemma dell’antico Comune incorporato in Napoli nel 1926.

A fronte, Monumento ai Caduti presso l’edificio comunale.

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Dopo aver incontrato la via Vecchia Napoli, il corso svolta verso sinistra. All’incrocio fra le due strade sorge il Palazzo Comunale, iniziato nel 1883 su progetto dall’ingegnere Francesco Fallanca per ospitare le scuole di Polvica e Chiaiano. Esso era agevolmente raggiungibile dagli alunni dei due ex casali, grazie alla posizione equidistante e alle nuove strade che li collegavano. Nel 1889 lo stesso Fallanca aggiunse all’edificio un piano, destinato ad accogliere la nuova casa municipale dei Comuni riuniti.

Assorbita nel 1926 questa entità amministrativa dal Comune di Napoli, qui rimasero gli uffici comunali che ancora vi si trovano. La struttura non presenta particolare interesse, sulla sua destra si leva un piccolo monumento ai caduti. Poco dopo si trova la Scuola elementare Giovanni XXIII, realizzata nel 1958 con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, composta da tre edifici paralleli raccordati da un altro trasversale. In essi è anche ospitato il Liceo Scientifico Sbordone.

I casali di Chiaiano e Polvica

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Villa Angiulli, il più interessante esempio di architettura floreale conservatosi a Chiaiano.

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Ancora sul corso Chiaiano, di fronte alla scuola, al civico 61, vediamo la Villa Angiulli che spicca nel contesto per la qualità degli ornati e delle strutture e che si può considerare come la migliore architettura del primo Novecento presente a Chiaiano. Fu voluta da Giuseppe Angiulli, prima come casa di campagna, poi come villino residenziale, assumendo le forme attuali verso il 1916, data che si legge sul fermo del cancello del giardino. L’edificio ha due piani, al livello del primo gira una balconata su colonne e al centro del secondo spicca un balconcino semicircolare fra due finestre.

Sul lato destro si eleva un terzo piano che termina in fondo con una torretta ottagonale merlata. Le superfici della facciata e del lato destro sono rivestite di stucchi di buona qualità: festoni sopra e sotto le finestre, una protome femminile sotto la girata della balconata, uno scudo e del fogliame sotto al balconcino, festoni e putti che giocano, in parte dipinti, nel fregio e serie di teste sui fittoni della balaustra del terrazzo. In alcuni riquadri fra i due piani ornati piatti di gusto arabeggiante.

Non la struttura ma gli ornati in stucco, il disegno dei ferri delle ringhiere e della recinzione, le curve del cornicione e dei balconi conferiscono al villino l’elegante e inconfondibile tono liberty.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Cortile rustico di un tipico edificio dell’antico casale su via Napoli a Chiaiano, e, a fronte, si noti la scala interna che conduce al loggiato del primo piano.

Nelle pagine seguenti: Palazzo Marseglia, decorazione in stucco della volta dell’androne.

Il corso Chiaiano prosegue fino a piazza Nicola Romano fiancheggiato da palazzi moderni. Noi non lo seguiremo e dirigeremo i nostri passi nella traversa che corre lungo il lato destro del palazzo comunale, cioè nella via Napoli, parte iniziale di un antico percorso che, diretto verso sud-est, univa il nucleo del casale di Chiaiano al Frullone e a S. Rocco e di qui, tramite la vecchia via di S. Rocco, a Capodimonte e al centro di Napoli. Salvo un’interruzione determinata dal taglio del corso Chiaiano, questo tracciato esiste ancora e con il nome di via Vecchia Napoli termina in via Scaglione, cioè nella via che da Qualiano va a Napoli e che, da metà Ottocento, l’ha reso marginale.

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I casali di Chiaiano e Polvica

Via Napoli ci conduce nel cuore antico del casale di Chiaiano, ai suoi lati case dal carattere rurale che in origine confinavano coi campi retrostanti, come si vede nella pianta Idrografica del 1817-19 e ancora in quella dell’I.G.M. del 1907. Scomparsi i contadini che le abitavano, queste costruzioni, in gran parte del Sette e Ottocento, sono state adattate a funzioni diverse dalle originarie, mediocremente conservate e spesso alterate da superfetazioni moderne. Fermiamoci a guardarne qualcuna fra le meno modificate, come quella contrassegnata dal civico 22, settecentesca, col cortile rustico percorso al piano terra da arconi a sesto ribassato, con loggiato al primo piano e al secondo pilastri che reggono la tettoia, scale esterne. Il numero 18 ci introduce all’ala destra dello stesso edificio con scala esterna, di qui si accedeva a un giardino e ai campi, sostituiti da edifici moderni. Un giardino con fichi, aranci e altri alberi da frutto, si conserva ancora al civico 31, recante la scritta “Villa Giulia”, applicata su una facciata rifatta.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

La via Napoli finisce in piazza Margherita ma noi vi giungeremo più tardi, preferendo adesso imboccare la via della Chiesa dove, subito sulla destra, ad angolo con via Napoli, al civico 39 troviamo un palazzo a un piano che le fasce piatte in stucco che profilano le superfici della facciata curva e i timpani curvi delle aperture farebbero datare intorno alla metà del secolo XVIII. Poco oltre, sulla sinistra, al n.28, vediamo il Palazzo Marseglia, sorto sul luogo del cosiddetto “Cortile della Monica”, di proprietà del feudatario di Polvica, il marchese Carlo Mauri, a cui fu confiscato nel 1799. La fabbrica fu trasformata

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I casali di Chiaiano e Polvica

nell’attuale palazzo probabilmente nei primi decenni del XX secolo, come farebbe pensare lo stile architettonico e degli ornati in stucco. La facciata, a un piano di balconi, sorge su un basamento listato ed è scandita da lesene con capitelli a fiori, il portale è decorato da una testa e da rami fioriti, il soffitto piano dell’androne da un ovale e da rami di rose. La parete listata si prolunga sulla sinistra nel muro di cinta del giardino, cui si accede, al civico 32, da un bel cancello in ferro fuso, recante la scritta “Villa Marseglia”. Il giardino, esteso fino a via Tiglio, è ricco di camelie, palme, yucche.

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Palazzo Marseglia, ingresso al giardino.

A fronte, il portale e una parte della decorazione in stucco su un balcone della facciata.

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I casali di Chiaiano e Polvica

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La facciata e, a fronte, l’interno della Chiesa di S. Giovanni Battista a Chiaiano.

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La via della Chiesa termina in via Cocchia, di fronte alla Chiesa di S. Giovanni Battista, l’antica parrocchia del casale di Chiaiano, documentata a partire dal 1542 ma certamente più antica. Nella prima metà del Settecento fu ampliata e dotata di altari in marmo e in legno, grazie alla munificenza e alla devozione della contessa De Juliis, moglie del principe Francesco Caracciolo. Parzialmente ricostruita verso il 1860, la chiesa subì altri “restauri” nel corso del Novecento, assumendo l’aspetto attuale.

Sul suo sagrato si riunivano gli Eletti del Casale fino al 1806.

La facciata, priva di interesse, ha sul portale un Agnus Dei, scultura in marmo del primo Settecento,

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Decorazione pittorica del soffitto della Chiesa di S. Giovanni Battista, opera di Francesco Iodice.

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proveniente dalla Chiesa di S. Giovanni Battista delle Monache e attribuita a Nicola Fumo da Gennaro Borrelli. L’interno, a una navata, con quattro altari per lato, è di aspetto moderno, decorato nel soffitto da pitture a tempera di Francesco Iodice (1953), raffiguranti L’incontro della Madonna con S. Elisabetta, L’incontro di Gesù con S. Giovanni Battista, Gesù e S. Giovanni bambini. L’altar maggiore, del 1744, in marmi policromi, è sormontato dalla statua lignea di San Giovanni Battista, in origine composta dal solo busto, scolpito nel 1723 dal Fumo, completato in tempi recenti con l’aggiunta della parte inferiore del corpo. Dietro l’altare è la lapide sepolcrale del principe Francesco Caracciolo di Castagneto.

Sul primo altare di destra è un Crocifisso ligneo, eseguito negli anni Cinquanta del Novecento da Vincenzo Moscato, uno scultore dilettante locale; sul secondo una statua lignea di San Raffaele Arcangelo con Tobiolo che una lapide dice eseguita a spese del

I casali di Chiaiano e Polvica

parroco Luigi Pafundi negli anni Sessanta del XIX secolo; il terzo altare fu eretto dai principi Caracciolo di Castagneto, proprietari di vasti terreni nella zona, come propria cappella gentilizia e rifatto nel 1747. Il loro stemma appare sull’altare; nella cona è una tela raffigurante La SS. Trinità ed i Santi Ignazio e Francesco Saverio, databile al secondo quarto del Seicento. A sinistra dell’altare maggiore è posto il Fonte battesimale, ricavato in un capitello marmoreo del II secolo d. C., proveniente dall’abside della Chiesa di San Giovanni Maggiore. Reca sulla base la data 1575, forse riferibile a un rifacimento della chiesa. Il quarto altare a sinistra conserva la balaustra in marmi policromi della prima metà del secolo XVIII; della stessa epoca è il terzo altare a sinistra, in marmi commessi, su cui è posta una tela con San Francesco che riceve le stimmate, del secondo Ottocento; sul primo altare, busto ligneo di Sant’Anna con la Vergine, del XVIII secolo. Nel 1742 fu eretta accanto alla parrocchia la Congrega del 313

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Il ponte su via Cocchia che collegava il Palazzo Caracciolo di Castagneto e i suoi giardini.

A fronte, Pietà, maiolica del 1755 posta nell’edicola sotto al ponte del Palazzo.

Stemma della famiglia Caracciolo di Castagneto posto sull’altare gentilizio nella Chiesa di S. Giovanni Battista.

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Santissimo Rosario, il cui ingresso, posto sulla sinistra del sagrato, è sormontato da una finestra mistilinea in stucco. Su un marmo la data 1742 che può riferirsi anche ai graziosi stucchi della decorazione interna. Alle pareti una tela raffigurante la Madonna con San Domenico e Santa Caterina, del secolo XVIII. La via Cocchia, seguendo il lato della chiesa, giunge a via Tiglio; dal lato opposto, invece, effettua una

I casali di Chiaiano e Polvica

serie di curve verso nord e poi sud-est, incontrando dapprima la via Comunale Cupa Spinelli, che sbocca in via S. Maria a Cubito, e poi il corso Chiaiano, dove ha termine. Il tracciato della strada è molto antico, esso girava intorno al nucleo di Chiaiano e collegava la zona del Tirone con le vie che conducevano a Marano e a Napoli.

Percorriamo per un paio di centinaia di metri questo tratto della via, fin dove essa è scavalcata da un ponte che metteva in comunicazione il Palazzo Caracciolo di Castagneto, posto sulla destra, con i giardini, gli edifici di servizio e i campi di proprietà della famiglia. Per la presenza di questo ponte la via era detta in passato via Ponte di Castagneto. Il palazzo (n.17) ha un impianto a L, con la corte aperta verso la strada, i due lati sono percorsi da una serie di arconi sui quali corre il ballatoio che raccorda i balconi del primo piano. Appartenuto ai Caracciolo fin dal XVII secolo, il palazzo raggiunse il massimo splendore nel XVIII secolo poi, non più abitato dai principi dal 1828, decadde e fu trasformato in un modesto condominio. Sotto il ponte, in un’Edicola settecentesca, è posto un pannello maiolicato del 1755 raffigurante la Deposizione di Cristo, con il casale di Chiaiano sullo sfondo.

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Ripercorriamo via Cocchia fino alla Chiesa di S. Giovanni Battista e seguiamola nel suo ultimo tratto. Sulla sinistra, al civico 49, troviamo il Palazzo Lucina, già esistente nel 1646 e appartenuto ai Sanfelice che, tra Sei e Settecento, lo cedettero ai marchesi Lucina.

L’attuale aspetto risente di una rifazione databile a poco dopo la metà dell’Ottocento: a un piano, con basamento listato e bugne angolari, con una colombaia sul tetto, a sinistra. Sulla destra, segnata con il n.53, è la cappella del palazzo, col portale chiuso da una porta a balaustri e sormontato da un’edicola in cui è una 316

I casali di Chiaiano e Polvica

Crocifissione, dipinto murale semi-cancellato.

La via Cocchia termina in via Tiglio che ci conduce in piazza Margherita, cuore pulsante del casale di Chiaiano fino agli anni Quaranta del Novecento.

A causa della presenza del forno comunale, fu denominata via del Forno almeno dal XVII secolo e fino ai primi del XIX, quando divenne piazza del Municipio per poi essere dedicata, verso il 1890 alla regina Margherita di Savoia, che di qui era transitata.

Per molti rimase a lungo, e in parte rimane, “mmiez’ ‘o furno”.

Nella piazza Margherita si trovavano oltre al forno comunale, il corpo di Guardia e botteghe di proprietà del Comune, anch’esso ubicato con i suoi uffici in un basso edificio, tuttora esistente sul lato sinistro della piazza, sormontato da un orologio pubblico, posto nel 1839. Attualmente l’edificio è abitato in quanto fin dal 1889 la sede comunale fu trasferita al corso Chiaiano. Di fronte, negli anni Sessanta del secolo XX, furono eretti il convento delle Suore di Gesù Eucaristico e l’annessa Cappella di S. Angelo, dopo aver abbattuto un’antica costruzione a portici e la preesistente cappella, ricordata fin dal 1542 ma più antica.

Veduta di piazza Margherita. Lungo il lato sinistro il primo Palazzo Municipale dei Comuni Riuniti, di fronte la Cappella di S. Angelo.

A fronte, facciata di Palazzo Lucina e portale d’ingresso alla Cappella.

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Facciata del palazzo detto Il Campo su piazza Margherita. A fronte, veduta del cortile.

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Sul lato occidentale della piazza prospetta il grande palazzo detto Il Campo, la cui facciata a un piano presenta nelle cornici delle finestre decorazioni in stucco risalenti al secondo Settecento, alquanto danneggiate. Il portale, a tutto sesto, è fiancheggiato da due finestre e immette nell’androne, coperto da volte archiacute, e in un vasto cortile, nei cui locali di pianterreno, ai tempi in cui il palazzo era il cuore di una estesa area agricola, si conservavano derrate e attrezzi agricoli, erano ubicati stalle e cellai.

Adesso vi troviamo officine, garages e depositi. Le stesse aperture dei due piani sono state alterate con la trasformazione di qualche finestra in balcone e soltanto alcune incorniciature delle finestre dell’ex appartamento padronale conservano gli ornati in stucco settecenteschi, simili a quelli visti in facciata.

La stessa integrità della corte è stata alterata con la demolizione di parti del braccio di fondo con la conseguente scomparsa di un arco che immetteva ai campi. Un altro arco, a sesto ribassato, si apre sul lato destro collegando il complesso con via Pendino.

Nel cortile è stato collocato un Crocifisso ligneo, opera

I casali di Chiaiano e Polvica

di Vincenzo Moscato, uno scultore dilettante locale degli anni Cinquanta del Novecento, già esposto nella piazza in una edicola, da tempo scomparsa.

Attraversiamo il varco un tempo coperto dall’arco demolito e portiamoci a dare uno sguardo all’antico appezzamento. Subito si presentano ai nostri occhi case moderne e brutte alterazioni apportate alle antiche strutture, tuttavia l’area agricola sopravvissuta è ancora molto vasta, svolgendosi lungo il tratto terminale della via Comunale Margherita e confinando all’interno con il Vallone della Fragolara.

La coltivazione prevalentemente a frutteto, tipica della zona, con aree a coltura erbacea e a castagni, pini e noccioli, era qui già sviluppata nel XVII secolo, quando il territorio del Campo, detto “Il Gaspo”, apparteneva ai Caracciolo, duchi di Resigliano e Apollosa, che lo ebbero almeno dalla metà di quel secolo e fino a parte dell’Ottocento.

Sulla sinistra del Palazzo Il Campo ha inizio la via Comunale Margherita che scende, lasciandosi

Alle pagine successive: i terreni coltivati di pertinenza del Palazzo Il Campo, a sinistra, e di Palazzo Cuomo, a destra, separati dalla via Comunale Margherita in un’ortofoto.

Particolare del muro di contenimento del fondo Cuomo.

Edicola con la Deposizione di Cristo su via Croce.

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sulla destra i terreni de Il Campo e sulla sinistra il lungo muro di contenimento dell’antica masseria dei Cuomo. Il bel paramento in tufo svolta in via Croce, all’inizio dell’ex Casale di Polvica, dove, sulla sinistra, è l’edicola con un pannello in maiolica raffigurante la Deposizione di Cristo con il casale di Polvica sullo sfondo, in origine settecentesco ma rifatto nel tardo Novecento dopo il furto dell’originale senza riprodurre la veduta.

Poco dopo, al civico 28, si apre l’ingresso del grande Palazzo Cuomo, sormontato dallo stemma marmoreo con la scritta “Villa Guglielmo Cuomo 1764”.

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La lunga facciata ha un corpo a un piano da cui si accede al terrazzo di copertura di un altro più basso, percorso dai pilastri di un pergolato, ormai scomparso. Intorno al grande cortile, detto Cortile di sopra o meglio “Curtiglio ‘e coppa”, si susseguono case rurali a un piano con scale esterne, al centro rimane l’aia mentre sulla destra si vede il vecchio forno per il pane. In quest’ampio spiazzo ai tempi dell’effimera Repubblica Partenopea del 1799 si svolgevano le esercitazioni delle truppe. Dal fondo si accede alla vasta area agricola, delimitata dal muro visto in precedenza e dalle case di piazza Margherita.

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I casali di Chiaiano e Polvica

L’area pianeggiante è tenuta a orto e frutteto, con una produzione pregiata di prugne, loti, ciliegie, noci, accuratamente coltivati. Prevalgono i ciliegi di nuovo impianto ma sono state conservate alcune piante ultracentenarie e anche un vecchio pero, della varietà mastantuono. All’attività agricola si affianca l’allevamento di animali da cortile, di alcuni cavalli, pecore e mucche. In alcuni ex ambienti rurali sono state ubicate delle strutture d’accoglienza, collegate all’agriturismo “Masseria Cortile Grande”, creato dagli stessi coltivatori del terreno.

La grande corte del Palazzo Cuomo in un’immagine aerea.

A fronte, facciata di Palazzo Cuomo e iscrizione inserita in uno pseudo-stemma marmoreo.

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Veduta della Masseria Cortile Grande con orto, frutteto e allevamento di cavalli. Si notino un albero di ciliegio ultracentenario e i tronchi tagliati di antichi ciliegi.

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Il Ciliegio

Ramo di ciliegio in fiore.

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Il ciliegio è originario delle aree eurasiatiche, nel corso dei secoli si è diffuso in buona parte dell’Europa.

La sua coltura passò dalle aree di coltivazione originarie alla Grecia e poi all’Egitto. Secondo Plinio il Vecchio la specie venne introdotta a Roma dal generale Lucullo nel 71 a.C. da Cerasunte, l’attuale Giresun, in Turchia. È una specie arborea a triplice attitudine: da frutto, da legno e ornamentale-paesaggistica.

Ciliegio è il nome comune delle numerose varietà di alberi da frutto appartenenti alla famiglia delle Rosaceae e al genere Prunus. Ne distinguiamo diverse specie: il Ciliegio Dolce, di Monte o Comune (Prunus avium, L.; Cerasus avium, Moench); il Ciliegio Acido (Prunus cerasus, L; Cerasus vulgaris, Miller); il Ciliegio da Fiore (Prunus pseudocerasus, L.), coltivato per scopi ornamentali.

Il Ciliegio dolce è una specie lucivaga e termofila,

Il Ciliegio

Ciliegio sul ramo.

predilige le pendici solatie e i terreni calcarei. Può raggiungere i venticinque metri d’altezza e presenta una buona longevità, intorno ai cento anni. Il tronco è eretto, la chioma è tendenzialmente globosa, le foglie sono alterne pendule a lamina sottile, i fiori sono bianchi con petali rotondeggianti e smarginati e fiorisce da aprile a luglio. Il frutto è una drupa pendente di forma varia, la polpa è dolce e di colore molto variabile. Il legno è semiduro, lucido ed elastico, è usato per la fabbricazione dei mobili, per liste da pavimenti, doghe per botti e come combustibile.

Venditore di ciliegie maiatiche di Marano, gouache di Pelliccia, Napoli, Museo Nazionale di San Martino.

Alle pagine seguenti, albero di ciliegio in un affresco di età romana.

Vecchio albero di ciliegio con la caratteristica scala nel campo della Masseria Cortile Grande di Chiaiano.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Il Ciliegio acido è una pianta di poche esigenze, si adatta ai terreni più diversi. Raggiunge un’altezza massima di sei metri, la chioma ha una forma variabile, da piramidale a rotondeggiante, il fiore è bianco e ha l’emissione anticipata rispetto a quella della foglia, la fioritura avviene da aprile a maggio. Il frutto è una drupa pendente cuoriforme. Il legno è semiduro e idoneo ai lavori di tornio e intaglio.

Il Ciliegio canino (Prunus mahaleb, L.) è un piccolo albero, più spesso arbusto, che ha le drupe non eduli ma può essere utilizzato come portainnesto, e inoltre il suo legno è utilizzato per lavori di tornio e intaglio, per la produzione di pregiati bocchini di pipa, tabacchiere e bastoni da passeggio.

Il Ciliegio dolce si distingue in tre gruppi: selvatici, tenerine (o lustrine o acquaiole), duroni (o duracine o graffioni o bigarreau).

Il Ciliegio acido si distingue in: amarene, visciole, marasche.

La varietà di ciliegio dolce e acido è costituita da cultivar d’interesse generale e da quelle locali, autoctone.

In Campania sono coltivate molte cultivar di origine locale, tra queste anche la ciliegia di Chiaiano, coltivata nell’areale di Chiaiano, la cui drupa è sferoidale, di colore rosso intensovinoso, ricca di succo di colore rosso.

Laura Piano 328

Il Ciliegio

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La Ciliegia a Chiaiano

Ciliegia Napoletana in Giorgio Gallesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Pisa 1817-1839.

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In uno scritto dedicato agli spazi rurali urbani, Carmine Guarino, riprendendo un testo del Gasparini del 1845, descrive le colture della provincia di Napoli alla metà del secolo XIX, iniziando, e non a caso, proprio dal ciliegio: “da vari luoghi del contado arrivano sui mercati della città almeno dieci sorte di ciliegie: l’Acquaiola, la Duracina rossa, nera, gialla, la Napoletana detta Majatica, la Tostola, la Gamba corta. La Majatica veniva coltivata, specialmente al Vomero, mentre la Gamba corta lo era di più verso Capodimonte e le aree vesuviane”. Come si vede vengono citati solo il Vomero e Capodimonte, riteniamo solo a titolo indicativo, perché posti nelle immediate vicinanze della città, in quanto in passato sicuramente tutta l’intera collina dei Camaldoli, con il territorio di Chiaiano e di Marano, era terra di ciliegi, compresa anche quella zona in pianura che si stende ai suoi piedi. Noi riteniamo che in quell’epoca, oltre alle varietà citate dai suddetti autori, non potevano non essercene già anche altre, come l’Arecca, la Malizia, la Curnaiola, la Del Monte, la Mulignana e Mulignanella, la Campanara e la Campanarella, vale a dire tutte quelle che già negli anni Cinquanta del Novecento avevano conquistato i mercati della Sicilia e di altre Regioni

La Ciliegia a Chiaiano

d’Italia, come affermano i vecchi commercianti di Chiaiano (i Di Maro, i Rusciano, i Manco, i Di Guida, i Cerullo) e quelli di Marano (gli Spinosa, i Liccardi, i Simeoli e altri).

Forse la migliore varietà di ciliegia è l’Arecca, nata in una località di Marano, detta appunto Arecca, e propagatasi un po’ dovunque per le sue pregiatissime caratteristiche. La sua attuale denominazione potrebbe essersi sostituita a qualche altra per comodità dei coltivatori che, per meglio distinguerla e intendersi, potrebbero aver adottato il nome della zona d’origine a scapito di quello originario. Lo stesso potrebbe essere accaduto anche per altre varietà, come la Malizia il cui nome, secondo noi, deriverebbe proprio da una località di Marano, denominata Cupa Malizia.

Ma, ripetiamo, queste sono solo delle possibili ipotesi che facciamo per poterci spiegare il motivo per cui queste due varietà di ciliegie solo da circa un secolo sono state citate da alcuni autori, ma non compaiono ancora negli elenchi e nei libri scritti in precedenza.

Molti dei nomi citati nei testi del passato potrebbero essere scomparsi a seguito dell’estinzione di quelle varietà da loro contraddistinte. Diciamo questo perché così è avvenuto o sta avvenendo adesso per almeno altre quattro o cinque varietà (Zambrune, Cefrune, Corvine, Campanarelle, San Giuvannelle) che esistevano ancora una cinquantina d’anni or sono e che ora non ci sono più o stanno per sparire del tutto.

Una conferma dell’antichità della coltura della ciliegia nella zona di Chiaiano ci viene da Luigi Bosone, docente di scienze agrarie, il quale dimostra di saperne abbastanza, perché oltre a indicarci un elenco delle varietà coltivate fra Otto e Novecento e delle relative caratteristiche, ci fornisce perfino delle statistiche riguardanti le aree e il quantitativo prodotto nel Comune di Marano che allora comprendeva anche Quarto.

Fiore di Ciliegio Visciolino o Amareno in Giorgio Gallesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Pisa 1817-1839.

Tavola con disegno di una varietà di ciliegia Giulio o Salice coltivata nel fondo dei fratelli Turchio a Marano, Portici, Facoltà di Agraria.

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Tavola con disegno di una varietà di ciliegia di Chiaiano coltivata a Chiaiano nel fondo De Simone, già Paratina. Portici, Facoltà di Agraria.

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Queste statistiche dovrebbero riferirsi solo ad alcune zone e non all’intero territorio comunale (coltura mista 250 ettari, coltura promiscua 1219 ettari, produzione 671 quintali) e, a nostro avviso, sicuramente il quantitativo era superiore. Finalmente tra le varietà citate dall’autore c’è anche l’Arecca. L’elenco, tuttavia, non era completo, perché già un altro dotto maranese, mons.

Pasquale Orlando, che dal Bosone ha tratto molto, lo arricchì di queste altre varietà: l’Aspra, la Malizia, la Giulia o Salice, la Pagliarella e la Zuccherinella. Il monsignore, quando parla di questo frutto, afferma che: “la ciliegia è un’altra produzione della nostra Marano di primaria importanza”, e l’importanza era tale da indurlo a scrivere oltre dieci pagine in cui ci parla anche della provenienza, delle caratteristiche e, perfino, dei parassiti e delle relative malattie di questo frutto.

Nonostante ciò, siamo convinti che anche l’Orlando abbia omesso qualche varietà, perché non ci sapremmo spiegare come mai ai tempi della nostra gioventù (anni Quaranta-Cinquanta) nelle campagne di Chiaiano si trovavano ancora altre varietà non segnalate dagli autori maranesi e che i nostri genitori e tutti gli altri coltivatori di ciliegie della zona chiamavano: Cefruna,

La Ciliegia a Chiaiano

Sambruna o Zambruna, Campanara, Campanarella, Lettera, Mulignana e Mulignanella, San Giuvannella.

Oggi molte di queste varietà sono scomparse o stanno per estinguersi, perché essendo troppo tenere e poco resistenti, o troppo piccole, non vengono tanto richieste per l’esportazione in paesi lontani.

Adesso veniamo a esaminare più da vicino alcune delle varietà di ciliegie più presenti e ricercate fra quelle coltivate nel territorio di Chiaiano, cioè l’Arecca, la Malizia e la Curnaiola.

Ciliegie di Chiaiano.

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Disegno da sinistra, Ciliegie Maiatiche, Amarena Maiaticha, Tosole, Corvine, Cannamela e Forgione da una tavola ottocentesca raffigurante varie specie di frutta, Napoli, Biblioteca Nazionale

Tavola con disegno di una varietà di ciliegia Del Ruocco coltivata a Somma Vesuviana, Portici, Facoltà di Agraria.

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L’Arecca si distingue per la graziosa forma, per quel particolare e caratteristico sapore un po’ amarostico, però abbastanza gustoso, per il bel colore rosso o rosso-rubino, ma soprattutto per quella sua polpa e drupe assai compatta e resistente che ne permette la lavorazione e il trasporto in località anche assai lontane da quella di produzione.

Al gruppo delle Arecche appartengono diverse varietà: alcune, più grandi, di un colore rosso scuro, col peduncolo molto corto, non forniscono una soddisfacente produzione, altre, piccole, di un colore rosso vivo, col peduncolo più lungo, risultano molto più redditizie.

Le Malizie, invece, sono molto dolci, con una polpa assai succosa ma poco compatta e resistente, di un colore rosso scurissimo, con una forma e un aspetto elegante.

La Curnaiola è indubbiamente la più bella ed elegante con quella sua veste rosso-viola scura, anch’essa molto resistente e carnosa, ma di un sapore meno dolce della Malizia. Questa varietà ricorda vagamente la viola, sia per il colore che per il sapore.

La Ciliegia a Chiaiano

Stando all’esito delle nostre ricerche e tenendo presente il nome di tutti quegli agricoltori che hanno conseguito i premi nel corso della “Festa della ciliegia”, che si svolge ogni anno a Chiaiano, dobbiamo desumere che le migliori varietà di ciliegie di Chiaiano sono state prodotte dai Napolano, Giaccio, Ruggiero, Di Guida, Sarnelli, Di Maro, Rusciano, Festa, Severino, Fioretti, Marfella, Baiano, Arcopinto, Imbriano, Cerullo, Esposito, Iodice, Bianco, Varriale, Manco, Spinosa, Cerullo, Morrone, Di Lanno, Cuomo, e più precisamente nelle masserie del Tirone, Cesine e Cesinelle, Bellaria, Campo, Casaputana, Li Fuschi, Campodisola, Terravicina, Polvica, Toscanella, Frullone, Santacroce, Calori di Sotto e di Sopra, Turriciello, Baseleca.

Tavola con disegno di una varietà di ciliegia Pagliarella coltivata a Somma Vesuviana, Portici, Facoltà di Agraria.

Fiore di Ciliegio Visciolo in Giorgio Gallesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Pisa 1817-1839.

Giovanni Baiano.

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Il territorio originario della Masseria Paratina nella pianta dell’IGM del 1907.

A fronte, uno scorcio del muro di cinta della Masseria Paratina lungo via Barone e ortofoto della situazione attuale dell’area dell’ex masseria con le moderne lottizzazioni.

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Di fronte alla Villa Cuomo sbocca una strada moderna che passa attraverso un rione di case popolari, costruite dopo il terremoto del 1980 sui suoli della Masseria Paratina, che un muro di cinta separava da via Croce. Sul lato sinistro di questa si svolge una fila di modesti edifici di carattere rurale, alcuni in parziale abbandono, già esistenti ai primi dell’Ottocento. In particolare si menzionano quelli ai nn. 16 e 10, caratteristici esempi di un’architettura con corti e scale esterne, molto diffusa nei due casali che visitiamo e che ritroviamo anche nel vicino vico Croce. Spicca per le dimensioni un grande palazzo sulla destra, ad angolo con la piazza Nicola Romano su cui ha l’accesso. Esso appartenne nel secolo XIX ai Giordano e mostra nel disegno dei timpani e del cornicione lo stile di quel periodo.

Da piazza Romano si diparte verso sud la via Barone che costeggia quanto resta della Masseria Paratina, il cui ingresso è dal numero civico 12.

L’edificio, a due piani, è in abbandono e presenta segni di un radicale intervento collocabile intorno ai primi del Novecento. Dal profondo androne si accedeva ai terreni, in gran parte occupati dalle case

I casali di Chiaiano e Polvica

popolari, da strade, da parte del cimitero, da campetti di calcio e da altre fabbriche moderne. Ciò che ne resta, un’area recintata adiacente l’edificio, è in totale abbandono.

Due scritte ai lati del portale dichiarano il nome della proprietà, La Paratina, e dei proprietari, i De Simone Rossi, che l’acquisirono nel XX secolo. In precedenza la masseria era appartenuta ai padri di S. Teresa agli Studi che l’avevano comperata nel 1698, perdendola nel primo Ottocento a seguito delle soppressioni dei monasteri decretate da re Giuseppe Bonaparte. Il territorio dei carmelitani si estendeva verso sud dove si trovava un’altra costruzione rurale, la Paratina di sotto, tuttora esistente ma raggiungibile soltanto da via Nuova Toscanella, dove va a finire la via Barone. Di lì, in corrispondenza del n.183, una traversa sale fra terreni ancora in parte coltivati a frutteto e vigneto, raggiungendo l’antica masseria, in parte ristrutturata, in parte cadente.

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Il Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Dopo questa deviazione ritorniamo verso il centro di Polvica, in piazza Romano, dove prenderemo la via Chiesa di Polvica, fiancheggiata nel suo primo tratto da edifici a uno o due piani che in origine sul retro affacciavano o davano accesso ad aree agricole.

Per quanto alterati, alcuni conservano le tracce dell’originaria architettura rustica. Scendendo, sulla sinistra, preceduta da un sagrato, troviamo la Chiesa di S. Nicola di Bari, posta in posizione decentrata rispetto al nucleo del casale antico.

Una maiolica settecentesca, posta nell’edicola di via Croce, rifatta dopo un furto, mostrava la facciata della chiesa con bifore e rosone centrale, di gusto gotico, lasciandoci pensare che essa esisteva già nel tardo Medioevo. A conferma si vedeva all’esterno del transetto destro un’antica finestra murata. Di certo viene ricordata fin dal 1542 e subì notevoli restauri verso il 1860 e poi nel corso del Novecento, l’ultimo nel 1998. I segni di questi interventi si riscontrano nella facciata e nel campanile che non mostrano ormai segni di antichità.

L’interno aveva in origine un impianto a croce greca cui si aggiunsero in seguito due navate laterali. Quella di sinistra ha soltanto una campata, essendo state 338

I casali di Chiaiano e Polvica

Chiesa di S. Nicola a Polvica, tabernacolo in pietra di stile gotico e ciborio cinquecentesco.

A fronte, la facciata e il dipinto con la Madonna con i SS. Gennaro e Domenico opera di Filippo Falciatore.

le prime due inglobate nella sagrestia nel corso del Novecento. In una parete della sagrestia è murato l’elemento più antico conservatosi, un cippo funerario del I secolo d.C. della famiglia Pomponia. Ai lati dell’ingresso vediamo due acquasantiere seicentesche, all’inizio della navata destra la tela di Filippo Falciatore (1750 ca.), già nell’adiacente congrega, rappresentante la Madonna con i SS. Gennaro, Domenico ed una Santa; sul secondo altare è il busto 339

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ligneo di S. Nicola, del XVII-XVIII secolo. Nel transetto destro, sull’altare, è posto un bel ciborio cinquecentesco in marmo, della bottega dei Malvito, con angeli che sorreggono la Casa Santa; lo stesso altare è sormontato da un grande tabernacolo in pietra, del tutto ridipinto, ma che dalle forme sembra databile ai primi decenni del XV secolo. L’altare maggiore, in marmi policromi e con S. Nicola scolpito nel paliotto, risale alla metà del Settecento. Nel transetto sinistro due sculture lignee molto ridipinte: Sant’Anna con la Vergine, della metà dell’Ottocento, e S. Giuseppe, del XVIII-XIX secolo.

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La via continua fra edifici moderni e riceve sulla destra la via Vecchia Napoli, l’antico collegamento fra i due casali e il Frullone e Napoli. Percorriamolo per un breve tratto per recuperare la memoria di alcune antiche masserie che, sebbene giacenti sull’estremo lembo dei Camaldoli, abbiamo escluso dalla parte precedente dell’itinerario perché più facilmente raggiungibili da Polvica. La via Vecchia Napoli curva subito verso sud, lasciandosi sulla sinistra un vecchio edificio molto alterato e subito dopo, al n.11, la Villa Cecere, antica ma ristrutturata, con intorno un frutteto. Queste costruzioni sembrano corrispondere a un complesso che nella Carta Idrografica del 1817-19 era denominato “Li Mennilli”. Poco dopo una secca svolta verso est e nella curva la moderna Chiesa del Corpus Domini e il convento delle Suore di Gesù Eucaristico che prese il posto della Villa Finamore.

Facciata della Chiesa del Corpus Domini.

A fronte, interno e l’altare maggiore della Chiesa di S. Nicola a Polvica.

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La Masseria Giannone con i territori circostanti.

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Si sottopassa il cavalcavia del raccordo fra Polvica e l’Asse Mediano e, sulla sinistra, in fondo a un terreno coltivato a ortaggi, ciliegi e susini, al n.33, appare una Masseria che nel 1817-19 fu segnata come Giannone mentre negli anni passati era nota come “i teresuni”, pare perché vi abitasse una donna molto alta di nome Teresa. L’edificio è composto da due corpi di diversa altezza ed è preceduto da una scala esterna che raggiunge il ballatoio retto su due arconi. Più avanti una salita chiusa da cancello porta alla Masseria Severino (n.50), con impianto a L, ristrutturata e abitata. Appartenne fino al primo Novecento al convento di S. Pietro ad Aram ma agli inizi dell’Ottocento era segnalata come Cerullo. La via continua fra villini e aree a frutteto, passa sotto il ponte della Metropolitana e sulla destra, segnata dal civico 68, riceve una stradina che sale fra i frutteti, dove filari di viti si accompagnano a susini e ciliegi.

Sulla sinistra ci segue un antico muro di contenimento in tufo, scandito da contrafforti, in netto contrasto con quelli in cemento che vediamo di fronte.

La viuzza si biforca: il sentiero di destra, ora in disuso e invaso dalla vegetazione, confluiva nella Cupa Vecchia Napoli, ma è interrotto; quello di sinistra porta alla Masseria Il Barco che, per quanto ristrutturata, conserva ancora l’impianto originario, sviluppato intorno a una corte, cinta da corpi di fabbrica di differenti altezze: al principale, a due

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piani, coperto a solaio e con un terrazzo raggiungibile per una scala esterna, se ne contrappone uno a un piano e coperto a spioventi.

Le due strutture sono collegate da una costruzione a un solo livello, mentre a destra dell’ingresso sporge un’altra bassa fabbrica, la sola che mostri parte della muratura tufacea a vista.

Dall’esterno il complesso appare compatto, rafforzato da diversi contrafforti e appena elevato rispetto ai campi circostanti.

La via Vecchia Napoli continua e si conclude in via Scaglione. Noi non la percorreremo ma, ritornati al punto di partenza, prenderemo sulla destra la via Arco di Polvica, fiancheggiata da edifici in gran parte moderni, salvo qualcuno, già esistente ai primi dell’Ottocento ma in varia misura ristrutturato, come la Casa Marotta, al civico 26, o i palazzi posti intorno al largo che la via forma prima di immettersi nel corso Chiaiano, riportandoci al punto in cui abbiamo iniziato questa passeggiata.

In questo slargo nel 1799 i Repubblicani locali eressero l’albero della libertà.

Masseria Il Barco.

La facciata di Casa Marotta.

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Masseria Galletta, scorcio della facciata, veduta del cortile e, a fronte, le antiche stalle e un anello per legare gli animali.

A questo punto la visita al nucleo antico dei casali di Polvica e Chiaiano può dirsi conclusa, però crediamo opportuno inserire in questa terza parte quella porzione di territorio posta a nord-est, oltre la via S. Maria a Cubito, ai confini con Marianella e

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Mugnano, già di pertinenza del casale di Chiaiano. Pertanto, dopo l’incrocio col corso Chiaiano, percorriamo via S. Maria a Cubito verso nord-ovest fino a incrociare sulla destra la via Comunale Cupa Spinelli, antico percorso che si snoda fra edifici moderni, piccoli giardini, avanzi di spazi rurali, in un territorio ormai pianeggiante, intorno ai 150 metri s.l.m. Sulla destra incontra la via Francesco Compagna dove, segnata dal civico 27, prospetta la Masseria Galletta, già citata con questo nome all’inizio del secolo XIX. La facciata è a un piano, la corte è chiusa da ali in parte a un piano, raggiungibile con scale esterne, in parte composte dal solo livello terraneo coperto da terrazzo. Gli antichi depositi sono ormai abitati, ma a ricordarci l’antica funzione dell’edificio sono ancora un pozzo e i locali seminterrati, già adibiti a stalle, che conservano ancora in vista mangiatoie, archi e volte settecenteschi. Proseguendo, sulla sinistra, è la piccola Masseria Carletta, fra campi tenuti a orto e frutteto.

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Masseria Terravicino, la facciata sul cortile e il portale d’accesso su via S. Maria in Cubito.

A fronte, resti di un padiglione dell’ex giardino e anello per legare gli animali.

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Ritorniamo su via S. Maria a Cubito e, proseguendo verso nord-ovest, sul lato sinistro, al civico 537, troviamo la Masseria Terravicino, appartenente nel XVIII secolo al monastero di S. Gaudioso. Quando, poco dopo la metà dell’Ottocento, la nuova via da Qualiano a Napoli sfiorò la costruzione, le si volle conferire un aspetto meno rustico, dotandola di un nuovo portale d’ingresso, in piperno, a sesto ribassato, con bugne nella parte inferiore degli stipiti e ricca chiave di volta, e mascherando il lato verso la strada con un semplice paramento architettonico.

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La facciata è in parte a un piano e si prolunga verso sinistra in un corpo basso col terrazzo. Il cortile è chiuso sulla destra da un edificio composto da un alto basamento, in cui si apre il portale e si cela la scalinata, e da due piani, il primo dei quali aperto da una loggia a tre archi che dà sul terrazzo di copertura del basamento, cinto da una ringhiera in ferro e da pilastri in piperno. Ai lati sporgono due corpi, in quello di destra si sviluppa la scala. Questa struttura conserva un tono da residenza padronale di campagna e mostra ancora un impianto settecentesco, solo in parte alterato da interventi successivi. Di fronte a essa la parete del cortile s’incurva, formando un invito per il giardino murato, ormai sostituito da palazzine ma certo accuratamente progettato, come lascerebbe pensare l’unico suo

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Resti di una costruzione rurale con un antico forno nel cortile della Masseria Terravicino.

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elemento superstite, un padiglione posto sul fondo.

Il prospetto del piccolo edificio in tufo presenta due semicolonne tuscaniche reggenti un architrave e fiancheggiate da nicchie e pareti concave. L’interno ha una copertura a ombrello e nicchie alle pareti. È probabile che il padiglione risalga a poco dopo la metà dell’Ottocento, quando l’edificio fu in parte rimodernato per adeguarlo al nuovo ruolo impostogli dalla vicinanza della strada per Napoli. Nel cortile, di fronte all’ingresso, sorgeva una masseria, demolita dopo il sisma del 1980, di cui restano soltanto parte del muro perimetrale e un arco con il forno. Intorno si conservano ancora i terreni, estesi fino alla Cupa Spinelli, tenuti a frutteto.

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Alle spalle della Masseria Terravicino si conserva un’altra interessante costruzione rurale, nota come La Porchiera, raggiungibile da una stradina che parte dal civico 567 di via S. Maria a Cubito. Essa ha in comune la storia con la Masseria Campodisola, della quale faceva parte, restandone fisicamente separata negli anni Cinquanta del XIX secolo, a seguito del taglio della via da Qualiano a Napoli. Il suo impianto è formato da un lungo corpo di fabbrica a un piano, raggiungibile con scale esterne, la centrale a doppia rampa, le due laterali a una. In origine, forse già nel XVIII secolo, doveva trattarsi di un edificio abitato dal personale addetto alla campagna, con stalle al piano terra, da cui la denominazione. Nel secondo Ottocento i conti Desiderio ristrutturarono La Porchiera, ricavandone case per villeggiatura e denominandola Villa Maria.

A questo momento si possono datare le finestre centinate, sormontate dagli oculi del sottotetto.

Veduta di scorcio della Porchiera.

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Dalla parte opposta di via S. Maria a Cubito, in corrispondenza del numero 728, parte una strada privata che porta alla Masseria Campodisola, accessibile, fino all’apertura della nuova strada per Napoli, soltanto dalla via Antica di Chiaiano che corre lungo il confine fra il quartiere di Chiaiano ed

Il territorio di Campodisola nella Carta Topografica ed Idrografica de’ contorni di Napoli, 1817-19, del Real Officio Topografico, e nella Pianta di Napoli, del 1907, dell’Istituto Geografico Militare.

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il Comune di Mugnano nel cui territorio ricade la cappella di S. Maria di Campodisola, appartenente agli stessi proprietari della masseria che da essa trae il nome. Questa antica masseria, appartenuta nel XVII secolo ai Caracciolo, passò nel 1637 ai Conti Lucina che la tennero fino ai primi dell’Ottocento, quando venne in possesso dei Conti di Vaglio, per poco tempo, ma sufficiente per far assumere alla zona la denominazione “abbasc e cant a vaglie”.

In seguito fu dei marchesi Quarto che nel 1871 la vendettero al conte Francesco Desiderio. Tuttora nel muro di cinta dello spazio che precede la facciata si apre, in asse col portale, il varco antico, chiuso dal cancello ottocentesco. Fingiamo di entrare da questa parte, e non dall’ingresso attuale, posto a sinistra, per avere una più corretta lettura del complesso. La facciata, posta sul fondo della corte, tenuta ad agrumi, presenta al centro il portale a sesto ribassato e sui lati

Facciata laterale della Masseria di Campodisola con l’annessa Cappella.

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Il giardino della Masseria Campodisola.

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due corpi più alti, a due piani: quello di sinistra, aggettante rispetto al fianco, fu costruito ai primi del Novecento per sistemarvi una nuova scala. Negli stessi anni sorse lungo il lato destro della corte una costruzione che accolse una scuola elementare e di “arti donnesche”, come recita una lapide, e uno spazio teatrale a essa collegata. Questa scuola, gratuita, fu voluta dai conti Desiderio per dare una minima educazione ai ragazzi poveri della zona, durò una ventina di anni, fin verso il 1920, e fu affidata alle suore di Gesù Redentore che vennero ospitate in un’ala dell’edificio, abitato dagli stessi Desiderio.

Il cortile dell’edificio si presenta nelle forme assunte verso il 1926 quando fu costruito il ballatoio e furono ristrutturati i locali terranei, un tempo usati come stalle. L’antico cellaio era già scomparso nel 1908, sostituito dalla cappella

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Dipinti raffiguranti l’Immacolata, S. Francesco e la Madonna di Campodisola opera di Cesare Desiderio.

A fronte, cancello di ingresso al cortile del Palazzo di Campodisola.

che ancora si vede nel cortile, in fondo a sinistra. La scala che conduce al piano del braccio destro presenta ai lati due pitture murali, raffiguranti l’Immacolata e S. Francesco d’Assisi, dipinte a fine Ottocento da Cesare Desiderio. Lo stesso eseguì anche una copia della Madonna di Campodisola, a tempera su intonaco, posta nella scala a destra nell’androne. Sul fondo del cortile si apre il cancello del secondo Ottocento che dà al giardino, ormai in abbandono, del quale restano la vasca tonda centrale e qualche pianta, ad esempio il bambù bianco e nero, sopravvissuta. Scomparsi i viali e un viale dei mandarini, rimasto nel ricordo, ormai crescono senza ordine apparente 355

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Masseria di Campodisola, la facciata.

A fronte, l’edificio del Teatro, il portale della Cappella e un antico strumento per separare il grano dalla crusca.

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agrumi e pungitopo, pini, abeti, nespoli, noccioli e castagni. Sul lato sinistro della costruzione si trova la facciata della cappella novecentesca, col portale architravato e una cella campanaria. Intorno il territorio pianeggiante, intorno ai 150 metri s.l.m., ormai già parte della Terra di Lavoro, coltivato a susine, ciliegie, pesche, pere e altra frutta.

A questo punto la nostra visita a Polvica e Chiaiano può considerarsi conclusa e basterà soltanto ricordare che, proseguendo verso Marano lungo via S. Maria a Cubito, al civico 800, si diparte un viale che porta alla Masseria Baselega, molto trasformata da moderne ristrutturazioni ma di antiche origini, ricordata col nome di Baselice nel 1742, quando era di proprietà di Giuseppa d’Amato, principessa di Castagneto.

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Parco Metropolitano delle Colline di Napoli VI Itinerario

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