FOJU
GIUGNO 2023
www.palazzoarcocadura.it
UN "CENTRO ALLARGATO"
LA CORTE; SOSTANTIVO FEMMINILE
DI ANTONIO TORRETTI
DI GIOVANNA FORTE
In questo numero di Foju si parla di centro storico, visto attraverso gli occhi di chi lo ha vissuto e lo vive quotidianamente, luogo fisico – e non solo – tra casa, ufficio, negozi, luoghi di culto ed ancora luoghi di intrattenimento, divertimento ed istruzione. Un centro vivo che si evolve e si trasforma, anche nel suo rapporto con le periferie, che a loro volta sono sì staccate del centro fisico della città, ma provano a diventare esse stesse dei nuovi centri autonomi. Ripartire dunque dalle periferie, che però non possono restare isolate dal centro storico divenuto anno dopo anno più attrattivo, chiudendosi al traffico, diventando il “salotto” tanto ammirato dai turisti ed anche dai comuni limitrofi. La nuova sfida ora è cercare di rendere il centro più facilmente raggiungibile dalle periferie, e viceversa, in un’idea di “centro allargato”, che non può prescindere da un forte intervento sulla mobilità sostenibile.
Da sempre l’uomo è i suoi spazi e gli spazi fanno l’uomo. Così le corti galatinesi sono state un tempo non solo una soluzione abitativa per molti, ma anche architettura d’affetti, luogo di condivisione e appartenenza. In cui le donne, insieme, sono state protagoniste assolute. Davanti alla “pila” trasportando insieme il pesante e bollente “caddarottu” e “lu cennaraturu” che ognuna di loro riceveva in dote. E poi “sullu stricaturu” a far rotolare i panni e anche i pensieri e poi a stenderli e poi ancora a raccoglierli e a piegare insieme le lenzuola. Passandosi fra le mani e di mano in mano il lievito madre per fare il pane di tutti. Come di tutti era l’acqua del pozzo e la salsa di pomodoro “alla manta” che profumava d’estate e colorava la corte di rosso. Così tutti i profumi della cucina si diffondevano nella corte mescolandosi ed era “peccatu” se qualcuno, specie se una donna incinta, avesse dovuto sentire un profumo piacevole e desiderato, proveniente da un’altra casa, senza poterne poi sentire anche il sapore. D’estate le chiacchiere fuori la porta di casa, ma nella corte, per elaborare i sogni o le tragedie non solo proprie. E ancora insieme a ricamare con la testa bassa che aiutava a confidare il femminile più intimo, i sogni più inconfessabili e a volte anche i travagli e le violenze più indicibili. Nessuna donna incinta o al momento del parto era sola, anche se da sola, perchè tutte le altre donne della corte erano pronte a occuparsi non solo di lei, ma anche della sua casa e se poi non poteva allattare c’era un’altra “mamma de latte” nella corte che lo
IL CENTRO STORICO DI A.BECCARISI E R.MELE
Ci siamo interrogate spesso io e Romina Mele sul ruolo del centro storico di Galatina. Abbiamo assistito negli ultimi venti anni ad una presa di coscienza collettiva del ruolo del centro storico, organismo vivente, nuovo elemento di sviluppo cittadino, luogo di aggregazione giovanile. Meta di un mercato immobiliare in forte crescita che non costruisce, ma ristruttura l’esistente con il risultato di far rivivere immobili di pregio o semplici case antiche. (continua a pag. 2)
RACCONTARE LE SCARPE DI GIOVANNA FORTE
Le scarpe. Testimoni dei nostri cammini, scolpite dai nostri passi, strali di Eros, arma di seduzione sociale, eterno feticcio di femminilità e anche di virilità, status symbol, segno di appartenenza, eccellenza italiana. Senza insegna, saracinesca aperta per metà, vetrina spoglia, luce fioca e tante tantissime scatole accatastate alla meglio che come un mare ti avvolgono e senti il profumo di storia. E mentre ti senti perso, ma nel posto giusto, appare Piero, l’erede di un patrimonio fatto di bellezza. E così ti accorgi che quello che sembrava abbandonato, indesiderato, vibra di vita intensa e racconta una profonda storia d’amore. Quella di Piero per le scarpe, per l’uomo che gli ha insegnato l’eleganza: Giacinto. È infatti Giacinto Vergine che nel 1939 apre questo negozio nel (continua a pag. 3) NUMERO MONOTEMATICO SUL CENTRO STORICO DI GALATINA
faceva per lei. Anche il sentimento religioso era patrimonio condiviso quando a ferragosto recitavano insieme le “cento avemarie” o insieme si recavano in chiesa o fuori dalla corte ad attendere la processione. E il telefono o la tv di chi poteva permetterselo diventava il telefono di tutti per ascoltare un parente lontano o la tv di tutti che da Sanremo trasmetteva le canzoni come per magia. E l’educazione e l’allevamento dei bambini che insieme giocavano nella corte era ancora affare di tutti. Corte in tempo di pace, ma anche corte in tempo di guerra quando le donne più insieme che mai, all’allarme antiaereo, tenendo per mano i loro bambini correvano per tenersi strette nello stesso rifugio o quando unite dallo stesso strazio ascoltavano quel telegramma che non tutte sapevano leggere, ma di cui tutte conoscevano la tragedia. Ma la corte era anche luogo di incomprensioni, gelosie e perfino tradimenti che però si doveva cercare di comporre perché lo spazio era vitale e lo spazio era uno solo. Ogni sposa, ogni soldato, ogni emigrante andava via non solo dalla sua casa, ma andava via dalla corte e il lutto di una famiglia diventava il “luttu de rispettu” delle altre. Luogo in cui poter essere soli senza essere dimenticati. E io che ho vissuto in una corte fino a ventuno anni e da cui sono dolorosamente andata via, so che alla mia corte devo la mia stessa vita. Alle donne della corte di via Tanza, a mia madre, a Luce.