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La più grande minaccia per l'uomo è l'uomo, di Susanna Petrone Riflessioni sull'Antropocene, di Letizia Pampana 77

La più grande minaccia per l'uomo è l'uomo

di Susanna Petrone

I1 grillo di cespuglio delle Gran Canarie (Evergoderes cabrerai) è stato dichiarato e~to nel 1966. La sua scomparsa non ha suscitato scalpore né ha riempito le pagine dei giornali, eppure gli insetti, questi esserini che spesso suscitano fastidio o persino ribrezzo, sono di essenziale importanza per la vita sulla Terra. Nei numerosi studi susseguitisi negli ultimi anni è emerso che entro la fine di questo secolo ben il 40% degli insetti sarà estinto.

Parliamoci chiaro: la situazione è critica per tutti. Che siano mammiferi, anfibi, piante, animali marini: l'uomo ha alterato tutti gli ecosistemi, dalle foreste alle zone umide, dagli oceani alle zone più fredde del pianeta La perdita di biodiversità mette in pericolo i fragili equilibri ambientali che si sono formati in milioni e milioni di anni, ma ad essere a rischio è anche lo sviluppo economico e sociale di noi esseri umani. La biodiversità ci mette a dispo-· sizione cibo, acqua, energia, medicinali, ci protegge da inondazioni e tempeste. Eppure, non ci poniamo problemi a sfruttare la Terra senza pensare alle conseguenze.

Ma torniamo agli insetti: stiamo assistendo ad un'accelerazione spaventosa, in cui i più piccoli esseri del mondo animale stanno scomparendo con una velocità otto volte maggiore rispetto alle altre specie. Quando parliamo della perdita di biodiversità, parliamo anche di questo: migliaia e migliaia di specie che non esisteranno più Una moria che rischia di mettere in ginocchio la stabilità degli ecosistemi mondiali. Non solo: quando si parla di perdita di biodiversità, non ci si può dimenticare di nominare la crisi climatica che stiamo vivendo. Non si può escludere la perdita di habitat naturali. Non si può non ricordare come gli oceani, per quanto ci appaiano immensi, stiano soffocando nella plastica

Certo, fa più scalpore leggere dell'ennesimo studio che conferma che l'orso polare scomparirà dalla faccia della Terra entro la fine del secolo. Ed è un fatto grave. Lo è a livello emotivo, perché non ci si capacita di come sia possibile che il più grande predatore delle Terre del nord non sopravviverà né a noi, né alle nostre azioni; tuttavia questo bellissimo animale si trova in

cima alla catena alimentare, per cui la sua estinzione potrebbe nell'immediato - non colpire in modo grave il suo ecosistema "Perdita di biodiversità" significa tentare di avere una visione molto ampia del problema: dagli esseri più piccoli, quali insetti e krill, ad animali di più grandi dimensioni, come il rinoceronte nero occidentale (una sottospecie del rinoceronte dichiarata estinta nel 2018). Significa affrontare l'eccessivo sfruttamento ittico dei nostri mari, la scomparsa delle zone umide, l'uso smodato di pesticidi che non solo uccidono api e farl'alle, ma impoveriscono anche il suolo e inquinano le nostre acque. Questo articolo non potrà trattare tutte le tematiche, tuttavia cercherò di mantenere questa visione ampia, necessaria alla comprensione del fenomeno e dell'importanza del dibattito sulla biodiversità.

Come rappresentanti della specie che di fatto si sta andando a schiantare contro la sesta estinzione di massa (della quale siamo sia i responsabili che gli acceleratori), abbiamo il dovere di cambiare le cose. Siamo la prima generazione che assisterà ai devastanti cambiamenti dovuti alla moria di migliaia di specie e agli elevati livelli di C02 emessi nel nostro clima; siamo la prima generazione a dover prendere in mano la situazione, senza probabilmente avere l'occasione di osservare gli effetti del proprio operato. Perché la verità è che le temperature continueranno a salire nei prossimi decenni, e la vita come la conosciamo cambierà; ci sarà però una possibilità per gli esseri umani? Lo scopriranno solo le generazioni a venire.

C,os'è la biodiversità?

Per la maggior parte delle persone il termine "biodiversità" rappresenta qualcosa di astratto, ma che in realtà così astratto non è. Quando vediamo un albero, un prato, delle montagne, una spiaggia o un passerotto, beh, quella è tutta biodiversità. Lo è anche quel ragnetto tutto indaffarato nel tessere la sua tela, praticamente un'opera d'arte architettonica, nell'angolo del salotto di casa nostra

In parole povere: ogni essere vivente e ogni pianta sono biodiversità, definita tradizionalmente come la varietà della vita sulla Terra in tutte le sue forme. Essa comprende il numero di specie, la loro variazione genetica e l'interazione di queste forme di vita all'interno di ecosistemi complessi. Purtroppo, in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato l'anno scorso, gli esperti hanno avvertito che, su un totale stimato di otto milioni di specie,

un milione risulta a rischio di estinzione, di cui molte specie nel giro di pochi decenni

Ma cosa è accaduto? Flora e fauna convivono in stretta simbiosi da migliaia di anni Nel mondo, tutto ha la sua ragion d'essere. Anche noi ne facciamo parte. Noi però abbiamo una particolarità: a dispetto delle altre specie, plasmiamo il nostro habitat in modo massiccio. I nostri antenati, ovviamente, con il loro ingegno e istinto di sopravvivenza ci hanno portati alla vita che conosciamo oggi (un po' di fortuna avrà anche aiutato). Oggi possiamo creare cose inimmaginabili. Possiamo salvare vite, ma anche distruggerle.

Purtroppo, negli ultimi secoli siamo gli unici ad aver dato luogo a cambiamenti così drastici da mettere a rischio interi ecosistemi. Siamo la causa principale della perdita di biodiversità su vasta scala e della crisi climatica. Come specie, la possibilità a nostra disposizione è duplice: continuare nell'inerzia, condannando la nostra specie, e con noi tante altre, all'estinzione. Oppure decidere di agire: conosciamo gli hotspot e gli habitat da proteggere, sappiamo quali specie sono essenziali per l'equilibrio mondiale, abbiamo le tecnologie per cambiare rotta e, cosa più importante, abbiamo ancora tempo.

C'è una fìnestra temporale da cogliere a livello globale e da sfruttare per valutare, programmare e ripristinare gli equilibri naturali.

Qual è la causa della perdita di biodiversità?

Per avere una visione più o meno completa del problema, bisogna controllare le relazioni pubblicate da centinaia e centinaia di esperti nel mondo: dall'IPCC ai resoconti dei singoli Paesi, dalle pubblicazioni su riviste scientifiche alle indagini delle organizzazioni ambientaliste. Il Living Planet Report del WWF, oggetto di pubblicazione biennale (qui trovate l'ultima versione edita a metà settembre di quest'anno https:/ / livingplanetpandaorg/) documenta lo stato del pianeta, ivi inclusi la biodiversità, gli ecosistemi e la domanda di risorse naturali, e cosa ciò significhi per l'uomo e la fauna selvatica. Questo rapporto sintetizza svariate ricerche al fìne di fornire una visione globale della salute della Terra, e non solo: offre anche delle soluzioni su cui lavorare. Sicuramente è tra i report più completi che ci siano.

Oramai è dimostrato che stiamo spingendo il nostro pianeta sull'orlo del baratro. Il modo in cui ci nutriamo, in cui viaggiamo, in cui riscaldiamo le

nostre case e in cui gestiamo le risorse messe a nostra disposizione da Madre Terra non è più sostenibile. Le attività antropiche più critiche includono: le emissioni di C02 per via dell'utilizzo costante di combustibili fossili, la perdita e il degrado dell'habitat, l'eccessivo sfruttamento della fauna selvatica, così come la pesca e la caccia sovradimensionate. Tutto ciò ha portato ad un drastico calo delle specie, siano esse mammiferi, uccelli, pesci, rettili o anfibi. I dati raccolti mostrano un declino globale del 68% nella dimensione delle popolazioni di vertebrati che, in pratica, si traduce in un crollo di più della metà in meno di 50 anni.

Si tratta di dati che possono spaventare. Anzi, che devono spaventare. Gli allarmi lanciati da ogni angolo della Terra ci ricordano che è arrivato il momento di cambiare rotta e di compiere uno sforzo collettivo per salvare il nostro pianeta.

Ovviamente, il WWF si occupa di salvare le specie a rischio di estinzione, stilando liste complete corredate da nomi di animali e piante. Forse dimentichiamo che tra queste specie ci siamo anche noi esseri umani, a rischio perché non abbiamo un altro pianeta su cui spostarci. Basandosi su circa 15.000 studi scientifici e rapporti governativi, la relazione del WWF risulta tra le più complete. Dire che le notizie sono cattive sarebbe un eufemismo: la situazione è seria, ci troviamo a dover affrontare la più grande sfida dell'umanità.

La rete di vita che ci sostiene si sta dipanando ad un ritmo sempre più allarmante a causa delle attività antropiche, con più di un milione di specie a rischio di estinzione nei prossimi decenni, molte delle quali includono specie da cui dipendiamo per il nostro nutrimento e per i servizi ecosistemici che sostengono la vita, quali l'impollinazione delle colture, l'acqua dolce e l'ossigeno nell'aria che respiriamo. Per quelli di noi che lavorano nell'ambito della conservazione, o seguono gli sviluppi sul campo, questa notizia non giunge proprio inaspettata, poiché il Llving Planet Report del WWF ha seguito e documentato queste tendenze negli ultimi 20 anni. L'ultima valutazione di oltre 300 scienziati delle Nazioni Unite, sostenuta dalla Piattaforma Intergovernativa Scienza-Politica sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBF.5) fa un'immersione enciclopedica di 1.500 pagine nello stato di declino della natura, facendo per la biodiversità ciò che il Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (IPCC) fa per l'atmosfera. E i dati parlano chiaro: per superare la crisi serve un'azione su scala globale.

Quali sono gli effetti della perdita di biodiversità su noi esseri. umani?

Non era mai successo nella storia dell'umanità, eppure nell'ultimo secolo il numero di specie terrestri è diminuito del 20% e la biodiversità sta scomparendo ad una velocità mai vista. Secondo il Living Planet Report "tre quarti della superficie terrestre e due terzi dei suoi oceani sono stati significativamente alterati dal crescente peso dell'umanità (717 miliardi di persone nel 2018). A sua volta ciò ha messo sempre più sotto pressione le risorse naturali, di cui ad oggi vengono estratte circ,;1 60 miliardi di tonnellate (sia rinnovabili che non rinnovabili) ogni anno, benché la produttività della Terra sia diminuita in quasi un quarto del globo, mentre ben 600 miliardi di dollari di produzione agricola sono a rischio a causa del declino degli impollinatori pipistrelli, uccelli, api e altri insetti".

La situazione è persino più drammatica se si considerano gli oceani: il 93% di tutti gli stock ittici viene pescato a livelli insostenibili o appena accettabili, le barriere coralline stanno morendo a causa dell'acidificazione e dello sbiancamento, e i vertebrati marini, dalle tartarughe marine alle balene, sono messi a repentaglio da plastica, rifiuti industriali e dal cocktail tossico degli inquinanti che scarichiamo nei nostri oceani.

Secondo il rapporto, i principali problemi sono i seguenti (in ordine di impatto): 1) il cambiamento di destinazione d'uso del terreno, ovvero la conversione degli habitat in terreni agricoli; 2) lo sfruttamento degli animali (ovvero la pesca eccessiva e il commercio illegale di parti di animali selvatici); 3) la crisi climatica; 4) l'inquinamento degli habitat terrestri, marini e d'acqua dolce; e 5) l'invasione di specie aliene - no, non di tipo extraterrestre, bensì di specie che fanno l'autostop da un continente all'altro per via della globalizzazione, sconvolgendo il delicato equilibrio della biodiversità nei luoghi in cui arrivano.

Per uscire da questa crisi è necessario uno sforzo immane a sostegno del Green New Dea!, che include l'interezza delle politiche di transizione verso un'economia verde e sostenibile. Tutti gli esperti sono infatti dello stesso avviso: la perdita di biodiversità va affrontata congiuntamente alla crisi climatica. Ridurre le emissioni di C02 senza prendere in considerazione nuovi programmi di ricostruzione per intere aree andate distrutte è impensabile. Nel 2018 queste furono le parole di Sir Robert Watson, ex presidente dell'IPCC e attuale presidente dell'IBF.5: "Non possiamo risolvere le minacce del cambiamento climatico indotto dall'uomo e della perdita di biodiversità in modo isolato. O risolviamo entrambi, o non risolviamo nessuno dei due".

Dopo 25 anni di infruttuoso dibattito con i negazionisti della crisi climatica finanziati dall'industria del combustibile fossile, ora dobbiamo accelerare la transizione dai combustibili fossili che determinano il cambiamento climatico verso il solare, l'eolico e altre energie pulite rinnovabili.

Dobbiamo anche ripensare il modo in cui coltiviamo i nostri alimenti (insieme a quanti ne sprechiamo dopo averli coltivati); come riformulare la cultura del "toss-away" (usa e getta) che sta avvelenando i nostri fiumi, le zone umide e gli oceani con plastica e altri inquinanti; e, come se tutto ciò non bastasse, come possiamo aiutare i Paesi in via di sviluppo a fare altrettanto.

Certo, ci costerà molto, ma mai quanto perdere i 125mila miliardi di dollari di servizi ecosistemici fomiti annualmente dalla natura, stanti le stime del rapporto di The Living Planet

I modelli economici del mondo così come li conosciamo andranno stravolti? Certo. Ma se questo è il prezzo da pagare per lasciare ai nostri figli un pianeta in cui vivere, allora ne sarà valsa la pena

Le cause

La distruzione degli habitat

Tra gli habitat che più hanno subito e stanno ancora subendo un drastico cambiamento diretto per mano dell'uomo figurano le foreste pluviali. Basti pensare ai devastanti incendi che hanno colpito il Brasile, ai Paesi che operano massicce deforestazioni e agli Stati in crescita che convertono le proprie foreste pluviali in monoculture prive di vita. Questi luoghi quasi magici ospitano le più grandi varietà di specie di flora e fauna al mondo, senza contare le specie sconosciute da noi mai osservate. Non solo: trasformano l'anidride carbonica in prezioso ossigeno e regolano il clima Insomma: se respiriamo, lo dobbiamo in gran parte agli alberi. Se il nostro pianeta gode di un clima vivibile, lo dobbiamo sempre a loro: gli alberi. Ed ecco la cattiva notizia: negli ultimi 50 anni abbiamo perso oltre il 20% di questi polmoni verdi, abbattuti per ottenere legname, far spazio all'agricoltura o erigere nuove città e miniere. Ma le foreste non ospitano solo giaguari, gorilla e anfibi rari: sono terreno fertile anche per pericolosi agenti patogeni. La crisi sanitaria provocata dal Covid19 affonda le proprie radici nell'errato utilizzo delle foreste pluviali. Lo sfruttamento intensivo di tali terreni ci mette in

contatto con questi virus, che esistono da milioni di anni e sempre esisteranno. Ma quando alteriamo un ecosistema, siamo anche noi a pagarne le conseguenze.

Anche le zone umide rappresentano degli ecosistemi essenziali. Il 10% di tutti gli esseri umani vive vicino ad un fiume, un lago o nei pressi di una zona umida, eppure tutti questi habitat costituiscono meno dell'1% della superficie terrestre. L'inquinamento, le dighe e l'elevato consumo idrico ne stanno mettendo a rischio l'esistenza.

L'acqua dolce è l'elemento che rende il nostro pianeta così speciale nell'universo, senza acqua non potremmo sopravvivere. E in questa sede è necessario tornare a parlare del Sudamerica: basti pensare che il 20% delle acque dolci della Terra confluisce nella regione del Rio delle Amazzoni, il più grande sistema fluviale al mondo, messo tuttavia a rischio dall'uso di pesticidi e dalle mastodontiche dighe erette per la generazione di energia elettrica

La situazione delle zone umide è addirittura peggiore: secondo uno studio pubblicato quest'anno, negli ultimi 100 anni in Europa abbiamo perso il go% di questi ecosistemi, ovvero le aree che riforniscono gli esseri umani del 70% dell'acqua usata per irrigare i nostri campi, frenano le inondazioni lungo le crn,i:e e sono di vitale importanza per uccelli, anfibi, pesci e insetti.

Il commercio di animali selvatici

A livello mondiale stiamo vivendo una crisi sanitaria mai vista nell'ultimo secolo. A causa del Covid19 si è iniziato per la prima volta a parlare del commercio di animali in modo diverso, prendendo in considerazione i pericoli legati al salto di specie e, di conseguenza, al pericolo corso da noi esseri umani.

All'inizio della pandemia le ipotesi formulate erano numerose: si parlava di pipistrelli, si è menzionato il pangolino. Fatto sta che i "wet markets" ovvero i mercati umidi asiatici, ma anche africani e sudamericani, nei quali gli animali selvatici vengono venduti vivi o macellati sul posto, costituiscono il ponte che collega noi esseri umani agli agenti patogeni pericolosi esistenti nei vari ecosistemi del mondo. Per chi è del mestiere, che ciò potesse accadere era solo questione di tempo, come già per la SARS, l'H1N1 Oa cosiddetta febbre suina) o l'Aviaria

Il traffico illegale di animali selvatici e piante rappresenta però un grosso problema anche per quanto concerne la perdita di biodiversità nel mondo, e

ne è infatti una delle principali cause: basti pensare che ogni anno milioni e milioni di animali rari vengono strappati al proprio ambiente naturale per essere venduti a peso d'oro sui mercati clandestini.

Le zanne degli elefanti, il corno dei rinoceronti, le code delle giraffe e le pinne degli squali sono solo la punta dell'iceberg di un traffico illegale che frutta miliardi a bracconieri e rivenditori. Purtroppo, in diversi Paesi del mondo, alcune parti di animali o piante rare vengono ancora utilizzate nella medicina tradizionale (anche se gli studi dimostrano l'inefficacia di questi intrugli).

In Cina, per una questione di status personale, i potenti spendono cifre esorbitanti pur di avere manufatti ornamentali in avorio, coralli, carapaci çli tartarughe, conchiglie e farfalle, per non parlare poi di chi è disposto ad acquistare capi o scialli ricavati da pellicce di animali in via d'estinzione.

A complicare ulteriormente la situazione, è scoppiata la moda degli animali da compagnia esotici: molti cuccioli, come succede agli orangotanghi, vengono cacciati e rivenduti vivi per essere usati come animali da compagnia

Agricoltura intensiva

Forse a volte non ci rendiamo conto dell'importanza del suolo. Viviamo in città asfaltate e, ammettiamolo, molti di noi non saprebbero dove mettere le mani per coltivare la terra, però le modalità con cui pratichiamo l'agricoltura intensiva si ripercuotono sulla qualità del suolo e anche sulla biodiversità a livello globale. L'uso massiccio di pesticidi e concime, per esempio, ha determinato un drastico calo della presenza di insetti, tra cui le api, informazione che dovrebbe spaventarci se consideriamo che proprio queste ultime impollinano il 75% delle piante di cui ci nutriamo. Non solo: uno studio tedesco ha evidenziato come in Germania sia scomparso il 75% della biomassa degli insetti Un dato sconvolgente, che più che un campanello d'allarme rappresenta un vero e proprio punto di non ritorno.

In Europa la consapevolezza dell'opinione pubblica sta smuovendo un po' gli animi, ma la situazione resta drammatica A livello globale sono numerosi gli studi che comprovano gli eccessivi livelli di pesticidi nei corsi d'acqua, sulle piante, nel latte, nei cortili degli asili nido dei nostri figli L'impatto sull'ambiente è devastante, e lo è anche per la salute.

La moria delle api ha il maggiore impatto, ma gli insetti che muoiono sono molti. E con la loro morte viene a mancare il cibo per migliaia di uc-

celli. E se questi si nutrono meno, depongono meno uova, e così via. Il sistema è sempre il ~edesimo: la biodiversità ha le sue regole e ogni essere vivente ha la sua ragion d'essere.

I pesticidi costituiscono un pericolo anche per la salute di noi esseri umani: calo della fertilità maschile, cocktail di ormoni che rendono alcuni virus più resistenti all'interno del nostro corpo, senza contare l'influenza di tali pesticidi sullo sviluppo dei feti, sull'aumento di tumori di vario tipo (come quello al seno) e degli effetti di un'esposizione prolungata sui bambini.

Bisogna puntare sull'agricoltura biologica, eliminando leggi assurde che impongono per esempio agli agricoltori europei di scartare le carote che non abbiano una data lunghezza e forma Ad oggi il 75% degli alimenti consumati dall'uomo è fornito da quattro piante: riso, mais, grano e patate. Al contrario, la soia, per la cui coltivazione si sacrificano sempre più le foreste pluviali, viene utilizzata per nutrire gli animali negli allevamenti intensivi. L'impoverimento delle specie vegetali è però pericolosissimo, poiché vanno perse le piante che invece potrebbero reagire meglio ai periodi di siccità e ai cambiamenti climatici. Solo grazie ad un alto livello di biodiversità si garantisce la fertilità del terreno. Se perdiamo questa memoria genetica, potremmo avere difficoltà a nutrire il pianeta

La crisi climatica

Partiamo subito da alcuni fatti certi: se non riduciamo quanto prima le emissioni di C02, nei prossimi decenni una specie terrestre su cinque è condannata a scomparire per sempre. Dobbiamo azzerare le emissioni di C02 entro il 2030 (attenzione, dieci anni passano in fretta]), altrimenti gli effetti saranno catastrofici: l'innalzamento del livello del mare sommergerà non solo le città costiere come Venezia e Amsterdam, da sempre a rischio, bensì anche parte della pianura Padana, e tutte le città costiere quali New York, Mumbai o Miarni scompariranno.

L'incremento delle ondate di calore, dei periodi di intensa siccità, delle alluvioni: questi fenomeni avranno un impatto su milioni di persone, soprattutto sull'esistenza di chi già oggi vive in regioni vulnerabili come Africa e Asia. La produzione alimentare sarà a rischio e aumenteranno le guerre. I ghiacciai alpini svaniranno. Il Polo Nord cambierà per sempre aspetto: si verificheranno estati in cui non vi sarà nemmeno l'ombra dei ghiacci. Molte aree della Terra non potranno più essere utilizzate perché desertificate, e

l'intero Mediterraneo figura tra le zone interessate maggiormente a rischio. Numerose regioni africane non vedranno una goccia d'acqua per anni, costringendo milioni e milioni di persone a fuggire, se non dalla siccità, dalle inondazioni provocate dalle piogge incessanti. E ciò che descrivo sta avvenendo già ora: basti pensare che è proprio l'Africa a dover far fronte in modo sempre più devastante a periodi di prolungata siccità.

Si calcola che entro i prossimi dieci anni un terzo della popolazione mondiale vivrà in un'area interessata da scarsità idrica. Anno dopo anno, la California, i Paesi del Mediterraneo, il Brasile e l'Australia devono far fronte a incendi sempre più devastanti (quest'anno gli incendi in Brasile sono aumentati del 28% rispetto al 2019, dato raccolto ad agosto); persino i Paesi scandinavi e la Siberia registrano un numero di incendi boschivi mai visto in passato, in zone finora completamente scevre da questi fenomeni.

La NASA ha calcolato che in passato ogni anno si verificavano circa mille eventi climatici intensi (tra cui anche tornado e uragani), mentre oggi se ne registrano quattro volte tanti. In altre parole: tali eventi stanno aumentano in quantità ed intensità.

Gli orsi polari e i trichechi, che necessitano della banchisa del Polo Nord per sopravvivere, presto non potranno più procacciarsi del cibo. Negli ultimi anni gli avvistamenti dell'orso polare nelle vicinanze degli insediamenti umani sono infatti aumentati: non potendo raggiungere la banchisa, cerca nutrimento tra i rifiuti abbandonati dall'uomo. Questo animale così solitario oggi non disdegna il rovistare in un bidone della spazzatura con altri suoi simili. Pur essendo in grado di nuotare fino a dieci ore senza sosta, quelle dieci ore oggi non gli bastano più, e quindi muore annegato o semplicemente non si mette in viaggio.

Il permafrost in scioglimento libera ulteriore anidride carbonica nell'atmosfera, peggiorando la situazione. Un cane che si morde la coda.

I climatologi del mondo sono certi di una cosa: non solo dobbiamo far sì che le temperature globali non aumentino troppo, dobbiamo anche tenerci al di sotto dei due gradi e mezzo per evitare di superare il punto di non ritorno oltre il quale non si potrà più fare nulla, con la morte di migliaia di specie di flora e fauna. Ma la fine che avremo segnato sarà anche la nostra. La crisi climatica è sicuramente tra i problemi più grandi da affrontare nei prossimi anni.

La pesca eccessiva

Ogni anno nei mari di tutto il mondo si pescano milioni di tonnellate di pesce; come contropartita, ogni anno gettiamo nelle loro acque circa 12 milioni di tonnellate di plastica. In alcuni casi le quantità delle catture sono talmente alte che gli stock ittici non sono più in grado di riprendersi: molte popolazioni di pesci sono oramai prossime al collasso. Un terzo degli stock ittici globali è sfruttato al di sopra dei livelli di sostenibilità, due terzi sono sfruttati a pieno regime. La pesca non sostenibile e la pesca illegale hanno messo in ginocchio i nostri oceani, e se a ciò si aggiungono anche la distruzione degli habitat e la cattura accidentale di specie in via d'estinzione, risulta chiaro che la situazione attuale non possa essere sostenuta ulteriormente. Nel Mediterraneo il rischio è serio, poiché secondo le stime il 93% degli stock è soggetto a sovrasfruttamento.

Un'ulteriore minaccia per i mari proviene dall'inquinamento da materie plastiche, che hanno oramai invaso l'intero ambiente marino. Siamo riusciti a creare un nuovo continente fatto di spazzatura che galleggia nell'Oceano Pacifico ed è composto da circa due milioni di tonnellate di rifiuti. Nessun'altra specie ci sarebbe riuscita.

Il go% degli uccelli marini ha già ingerito particelle di plastica, mentre ogni anno circa un milione di esemplari perde la vita a causa del pattume: scambiando sacchetti e frammenti di materiale per cibo, questi animali muoiono in modo atroce per soffocamento. Lo stesso crudele destino è riservato a migliaia di tartarughe marine e alle balene, e sono stati rivenuti dei frammenti anche negli organismi marini più microscopici. Nei prossimi decenni sarà praticamente impossibile gustarsi un piatto di pesce senza ingerire nanoparticelle di plastica.

Uno studio dello stesso WWF ha infatti scoperto che ogni essere umano ingerisce settimanalmente circa 2 mila particelle di plastica (250 grammi l'anno), per via del consumo di pesce, ma soprattutto attraverso l'acqua: persino nelle Fosse delle Marianne, a quasi 11 mila metri di profondità, sono stati trovati frammenti di questo materiale. Se non cambiamo rotta, entro il 2050 le probabilità di pescare bottigliette di plastica al posto dei pesci saranno molto elevate: si stima infatti che a quel punto il numero di bottigliette in mare ammonterà al doppio del numero di pesci.

Le soluzioni per Jermare la Sesta Estinzione?

Di soluzioni ne esistono tante, e sarà necessario adottarne tante, ma la cosa positiva è che queste soluzioni esistono. Tra gli altri, il WWF è attivo sul campo da decenni con migliaia e migliaia di progetti (è sufficiente visitare un qualsiasi sito del WWF per scoprire la pletora di progetti in corso, dalla reintroduzione del gipeto sulle Alpi svizzere alla riforestazione del Madagascar: wwfch).

In ogni angolo del mondo, lì dove c'è una specie a rischio, lì dove si identifica un hotspot essenziale per mantenere vivo questo fragile e bellissimo ecosistema che è la nostra Terra, ci sono organizzazioni, volontari, attivisti che lottano per salvare il nostro straordinario e particolare pianeta Molti di loro perdono persino la vita, dovendo confrontarsi con bracconieri e predatori senza scrupoli. Ma questi sforzi hanno anche portato all'aumento di esemplari di tigri, di elefanti africani da foresta e alla creazione di zone protette, sia terrestri che marine.

Ognuno può fare la propria parte. Ognuno può decidere un giorno di alzarsi (meglio prima che poi) e non sprecare più cibo, può decidere che le fragole a Natale non servono, può decidere di acquistare e consumare pietanze regionali e di stagione, di spegnere la luce uscendo dalla stanza, può decidere che non serve stirare ogni calzino, che invece di passare un fugace weekend a Londra a bordo di un aereo si può anche fare due passi fuori dalla propria città alla scoperta di ciò che regala il territorio, può scegliere di non aver bisogno di carne tutti i giorni, né tantomeno di pesce. Ma soprattutto può scegliere di votare rappresentanti che abbiano ben compreso l'importanza di raccogliere il grido d'aiuto che Madre Terra ci sta inviando. Al contempo, né il problema posto dalla crisi climatica né quello della perdita di biodiversità possono essere lasciati sulle spalle di ogni singolo individuo. Oggi serve una classe politica che abbia il coraggio di prendere in mano la situazione.

Abbiamo ancora tempo e abbiamo la tecnologia per superare questa situazione. Ciò che manca a livello mondiale è la volontà politica di cambiare le cose. Bisogna abbandonare i combustibili fossili e puntare sulle energie rinnovabili. Non c'è alternativa.

La mitologia greca narra una favola sul destino del Re Erisittone di Tessaglia, che fece adirare la dea Demetra tagliando gli alberi del suo boschetto per costruirci una sala da pranzo. Per vendetta la dea maledisse il re condannandolo ad una fame insaziabile, che peggiorava più questi mangiava, ren-

dendolo posseduto dal consumo e spingendo i suoi soldati a saccheggiare tutto ciò che fosse commestibile nel regno. Fino a quando una carestia si impadronì della terra. Il re era così disperato da vendere al mercato sua figlia Mestra, che ogni giorno assumeva le spoglie di un animale per poi tornare da lui nottetempo. Alla fine, come si legge nelle Metamorfosi di Ovidio, ad Erisittone non restò che una cosa da mangiare: se stesso ... braccio per braccio, gamba per gamba, fino a consumarsi completamente.

Già allora qualche narratore sembrava aver avuto la premonizione che la ricerca del consumo sfrenato potrebbe, se non stiamo attenti, finire per estinguerci tutti.

Riflessioni sull 'Antropocene di Letizia P ampana

Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi Albert Einstein

Nel maggio del 1824 Leopardi scriveva il famoso Dialogo della Natura e di un Islandese, dove viene affrontato il problema del rapporto fra l'uomo e la natura. Protagonista dell'Operetta è un islandese che dopo aver viaggiato a lungo per la maggior parte del mondo, giunto a l'interiore dell'Africa incontra una donna di forma smisurata, dal volto bello e tenibile che gli domanda chi sia e che cosa stia cercando. L'uomo risponde che è un islandese e che sta fuggendo la natura; la strana creatura risponde - Io sono la Natura, quella che tu fuggi- e gli chiede le ragioni della sua ostilità. L'islandese inizia a raccontare che voleva una vita tranquilla e isolata, senza alcuna ambizione e desiderio di potere o di gloria, perciò aveva scelto di starsene da solo, lontano dalla molestia degli uomini. Ad affliggerlo, però, rimaneva il clima ostile della sua isola: la lunghezza del verno, l'intensità del freddo, e l'ardore estremo della state, le tempeste spaventevoli di mare e di terra ecc.

In una visione completamente ribaltata alla nostra attuale, in questo dialogo possiamo capire quanto la Natura fosse, come è giusto che sia, potente. L'uomo, nonostante gli enormi sforzi, ne era in balia e non poteva far altro che accettare il corso naturale della vita del cosmo ... Mi soffermo sul verbo "accettare" che non ha niente a che vedere con l'idea di "vivere in armonia". Infatti gli animali non "subiscono" la natura ma "vivono e scorrono" in modo armonioso e naturale con essa. Mi viene da pensare che la specie umana sia innaturale, come se avessimo scelto di nascere in un luogo che non ci corrisponde, perché da secoli la Natura o la fuggiamo o la dominiamo o la distruggiamo, atteggiamento assolutamente "psicotico" perché distruggiamo o fuggiamo ciò che ci dà la vita, un po' come se una persona distruggesse il tetto o le fondamenta di casa sua per la paura che la casa un giorno gli cada addosso.

Ritornando alla grandiosa opera di Leopardi, l'islandese racconta alla Natura tutte le sue vicissitudini e tutti i problemi riscontrati a causa sua. Quando infine tace, la Natura, che lo ha ascoltato in silenzio, gli chie-

de: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? In questa brevissima frase Leopardi distrugge tutte le teorie antropocentriche, che l'illuminismo affermava con forza e che purtroppo ancora oggi sono appoggiate dalla maggiorparte dell'umanità. Pensare che il Pianeta Terra, questo meraviglioso pianeta blu, sia a nostro uso e consumo, arrogarsi il diritto di saccheggiarlo, inquinarlo, modificarlo, devastarlo, pensare che tutto questo sia normale è l'unica prova palese della mancanza di intelletto della specie umana ... altro che homo sapiens, piuttosto questa nostra specie la chiamerei homo stultus. Infatti in una logica assolutamente perversa non solo distruggiamo la nostra casa, inquiniamo l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, la terra che coltiviamo ecc. ma creiamo ciò che decreterà la scomparsa del genere umano, campi elettromagnetici pericolosi come il 5G, intelligenza artificiale, uomini OGM, desertificazione, deforestazione e la lista è infinita, ma riprenderò questo argomento più avanti portando esempi concreti.

Sarcasticamente Leopardi in questa operetta morale profetizza quale deve essere la fine della "inutile" e "scomoda" specie umana, infatti il dialogo si interrompe perché all'improvviso il protagonista esce di scena e viene proposto ai lettori un ironico doppio finale: l'islandese viene divorato da due leoni affamati (rifiniti e maceri dall'inedia) che grazie a lui riescono a sopravvìvere per quel giorno; oppure, sepolto dal vento sotto una montagna di sabbia, si trasforma in una bella mummia, ritrovata in seguito da alcuni viaggiatori e collocata nel museo di non so quale città d'Europa.

La presenza dell'uomo sul pianeta ha lasciato, e continua a lasciare tracce, che potranno essere rilevate nei sedimenti e nelle rocce ancora per migliaia di anni Dalla rivoluzione industriale, (cominciata nella seconda metà del XVIII secolo e che ha segnato una notevole accelerazione dell'impatto dell'uomo sulla biosfera), fino ad arrivare ai giorni nostri, le attività antropiche hanno mutato il corso dell'evoluzione del pianeta e di tutte le sue forme di vita: sia animali che vegetali. Dopo gli 11.700 anni di relativa stabilità ambientale, dalla fine dell'ultima era glaciale, che hanno caratterizzato l'Oleocene, la modernità ci ha spinti in una nuova era geologica. l'Antropocene. Fenomeni geologici quali l'erosione e la desertificazione delle terre emerse, la comparsa di nuovi "tecnofossili" (quali calcestruzzo e plastica), le importanti "perturbazioni" chimiche su larga scala, causate dall'agricoltura intensiva, (che hanno alterato i cicli del carbonio, dell'azoto, del fosforo e di vari altri elementi), le emissioni di C02 e il loro impatto sul clima, la sesta estinzione, sono soltanto alcuni degli aspetti che stanno carat-

terizzando "l'epoca dell'uomo" secondo le ricerche dell'Anthropocene Working Group (A WG).

Urbanizzazione, industrializzazione, sfruttamento intensivo delle risorse naturali, bracconaggio, deforestazione, inquinamento. Sono alcuni dei più devastanti processi messi in atto dall'uomo a discapito del suo stesso pianeta, di queste problematiche parla anche Antropocene - L'epoca wnana un documentario creato da tre autori canadesi, Nicholas De Pencier, Jennifer Baichwal e Edward Burtynsky. Gli autori hanno girato venti nazioni tra le più grandi e devastate del mondo, dagli Usa alla Russia, dall'Italia al Kenya, dal Cile alla Germania, dall'Australia alla Cina, condensando poi in 87 minuti alcune delle più profonde ferite inferte dalla società umana al suo habitat e agh altri abitanti. Del progetto ha fatto parte anche la mostra Anthropocene, allestita al Mast di Bologna e che è stata visitabile fino al 5 gennaio 2020.

Partiamo da un fatto che ci riguarda tutti da vicino perché basta uscire di casa e guardare per terra, la consapevolezza ambientale e l'educazione della popolazione in tutto il mondo vengono messe in discussione quando, per motivi sanitari, si danneggia l'ambiente per l'uso improprio e la mala gestione dei rifiuti sanitari.

L'atteggiamento delle persone sta diventando un problema ambientale molto grande, dovuto alla pandemia di COVID-19. In tempi di pandemia, sono ormai chiare a tutti le misure di prevenzione del contagio da COVID19. La misura principale è il lavaggio frequente delle mani, seguita da altre come l'uso di mascherine. In molti paesi l'uso delle mascherine è obbligatorio se le persone si riuniscono in gruppo, in locali commerciali come supermercati o nei mezzi pubblici. E, sebbene queste misure siano considerate ragionevoli, il comportamento ambientale o l'educazione di molti cittadini del pianeta sembra essere messo in discussione durante questa pandemia

Un elevato numero di mascherine e guanti sono state rinvenute sulle spiagge di molti paesi, come denunciato dall'organizzazione ambientale francese Opération Mer Propre o dall'organizzazione Oceans Asia Sembra che l'uso massiccio di mascherine usa e getta non sia stato adeguatamente gestito dal punto di vista dei rifiuti che questo comporta, e questo problema risiede principalmente nel modo in cui noi, i cittadini, smaltiamo questi articoli. Secondo il WWF se soltanto l'i % delle mascherine non venisse smaltito correttamente, nell'ambiente verrebbero raggiunti fino a 10 milioni di mascherine al mese.

Questo tipo di inquinamento, non deve essere visto solo dal punto di vista estetico o per l'evidente disagio di imbattersi in questi materiali sanitari mentre si fa il bagno o si prende il sole sulle spiagge, ma influenza in modo molto negativo anche la fauna marina. Inoltre, nel lento processo di degradazione, le mascherine diventeranno rnicroplastiche. In breve, proteggendo la nostra salute stiamo danneggiando la salute dell'ambiente, quindi è necessario ripensare a come affrontare questi tipi di situazioni in futuro per non sovraccaricare l'ambiente con i nostri rifiuti.

La Geoingegneria solare è un altro grave problema se non usato con criterio e rispetto del Pianeta. Da alcuni anni un gruppo di scienziati dell'Università di Harvard si prepara a lanciare un pallone atmosferico a 20 km dalla superficie terrestre con l'obiettivo di rilasciare aerosol riflettenti che possano rispedire al mittente parte della radiazione solare, e rinfrescare moderatamente il Pianeta.

Come spiegato in un articolo scientifico del 2014, dal titolo Stratospheric controlled perturbation experiment (SCoPEx): a small-scale experiment to improve understanding of the risks of solar geoengineering, l'esperimento SCoPEx libererebbe su una distama di un chilometro una quantità compresa tra 100 grammi e 2 chili di microparticelle di carbonato di calcio, e misurerebbe, con appositi sensori, il loro potere riflettente, le modalità di dispersione e le interazioni con altre componenti atmosferiche.

Tuttavia l'idea che un'istituzione di così alto profilo come Harvard abbia deciso di procedere da sola, senza aspettare l'istituzione di un'autorità scientifica nazionale che stabilisca linee guida da seguire, lascia perplessa buona parte della comunità scientifica

Nel mirino anche i molti finanziamenti privati al progetto, che ha ricevuto oltre 16 milioni di dollari (14 milioni di euro) da Bill Gates ed è supportato da altre fondazioni così dette "filantropiche". Una collaborazione che, su terni "globali", sposta interessi privati, non dovrebbe essere vagliata da un organismo nazionale super partes? Quello che più è temuto è che questo esperimento climatico possa aprire la strada ad altri sul campo che potrebbero portare a guerre di geoingegneria climatica, diseguaglianze fra stati ricchi e stati poveri e al collasso dell'intero sistema climatico naturale e della vita sul nostro pianeta.

Altri cambiamenti dirompenti e senza possibilità di ritorno sono le distruzioni delle foreste nel mondo a causa di incendi dolosi e deforestazioni incontrollate dalla Siberia ali' Amazzonia passando per l'Alaska e la Groenlandia Gli allarmi di incendi si susseguono coinvolgendo tutto il mondo.

Il 2019 è stato un anno dove il fuoco l'ha fatta purtroppo da protagonista. In un tweet del 12 agosto 20191 l'Organiz?.azione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (0mm) ha mostrato con un grafìco interattivo che il fumo dei roghi in Siberia è arrivato a ricoprire una superficie di circa 5 milioni di chilometri quadrati. Un'area grande più dell'Europa e più della metà degli Stati Uniti.

Da inizio anno a oggi, secondo il Global Forest Watch Fires (Gfwf) del World Resources lnstitute (un'organiz?.aZione di ricerca che opera in oltre 60 Paesi al mondo), le osservazioni registrate al Moderate-resolution lmaging Spectroradiometer (MODIS), avrebbero rilevato oltre 2 milioni e 910 mila "allerte incendio". Nello stesso periodo del 20181 erano stati quasi 100 mila in meno; nel 20171 circa 200 mila in meno.Come ha spiegato il 29 luglio su Twitter Mike Parrington (ricercatore del progetto Copemicus), gli incendi registrati quest'anno nel Circolo polare artico sono stati costantemente sopra la media rispetto al periodo tra il 2003 e il 2018.

Come ha spiegato a maggio 2019 un approfondimento del W orld Economie Forum, il riscaldamento globale sta rendendo più diffuse e facili le condizioni che permettono alle fiamme di divamparsi in grandi aree geografiche. Un po' quello che succede anche con gli uragani.

Un altro studio pubblicato su Nature a luglio 2015 ha mostrato che tra il 1979 e il 2013 la stagione in cui gli incendi sono più frequenti durante l'anno è aumentata in durata del 18,fl/o. In sostan?.a, una Terra più calda si-gnifìca anche una Terra con un maggiore rischio incendi. E questo lega-me innescherà un circolo vizioso, in cui i roghi, aumentando con le fiamme le emissioni nell'atmosfera, faciliteranno il conseguente aumento delle temperature.

La distruzione degli habitat naturali per motivi economici, dolosi o qualsivoglia essi siano porta anche ad un altro enorme problema, quello dell'estinzione di moltissime specie animalL

Il fenomeno naturale dell'estinzione di una specie è un fenomeno biologico molto lento in un ecosistema equilibrato viene compensato dalla comparsa di specie nuove. Diversa, e per molti versi allarmante, è invece la situazione creatasi negli ultimi 150 anni, a partire dalla Rivoluzione industriale: molte specie sono scomparse e altre rischiano l'estinzione non in seguito a fattori naturali ma per effetto della pressione dell'uomo sull'ecosistema. Si teme in sostanza che sia in corso la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta. Gli scienziati riten-

gono inoltre che tutti gli stessi fattori che estinguono gli animali estingueranno lo stesso genere umano.

Secondo i dati della Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) un quarto delle specie di mammiferi e un ottavo di quelle di uccelli sono oggi a rischio di estinzione, cosi come il 25% dei rettili, il 20% degli anfibi e il 30% dei pesci. Gli anfibi soffrono molto i danni all'ambiente e per questo il loro declino è una delle dimostrazioni dell'incapacità del pianeta di mantenere gli attuali livelli di biodiversità.

Il pianeta, la nostra salute e quella degli altri esseri viventi son messi in pericolo quando il progresso è cieco e a va avanti senza prendere in conto i rischi reali che a medio o lungo termine può scatenare. Questo accade quando l'uomo vuole superare Dio, ma non dimentichiamoci la fìne che fece Icaro volendo volare troppo in alto. Tematica attuale è anche quella che coinvolge le nuove tecnologie come il 5G e l'intelligenza artifìciale. Il 5G promette di offrire velocità di trasmissione nell'ordine dei gigabit per secondo, latenze in rete dieci volte minori rispetto alle latenze attuali, maggior affidabilità dei collegamenti e interconnessione di un gran numero di sistemi e oggetti. Cose delle quali chiediamoci se abbiamo realmente bisogno ... Tuttavia, le stesse reti di nuova generazione raggiungeranno un livello di complessità talmente elevato da non poter essere controllato urùcamente dall'uomo. Ed è qui che entra in gioco il rapporto tra il 5G e un'altra tecnologia protagonista della rivoluzione digitale: l'intelligenza artificiale.

La tecnologia 5G è efficace solo per brevi distanze e viene trasmessa scarsamente attraverso ostacoli solidi. Serviranno molte nuove antenne con un'implementazione su larga scala che in pratica si tradurrà in un'installazione di antenne ogni 10-12 case nelle aree urbane, aumentando cosi in modo massiccio l'esposizione della popolazione e delle specie animali e vegetali ai campi elettromagnetici'.

Già prima dell'annunciata diffusione della tecnologia 5G, oltre 220 scienziati proverùenti da oltre 40 paesi hanno espresso la loro "seria preoccupazione" per quanto riguarda l' esposizione ubiquitaria e crescente a campi elettromagnetici generati dai dispositivi elettronici e senza fili, basandosi sulle numerose pubblicazioni scientifiche recenti secondo le quali "i campi elettromagnetici colpiscono gli organismi viventi a livelli ben al di sotto della maggioranza degli standard di sicurezza in-

' Per tutte le informazioni relative al 5G si veda il libro di Marco Pizzuti, Dossier 5G, Mondadori editori, I edizione maggio 2020.

ternazionali e nazionali". Gli effetti biologici dei campi elettromagnetici includono l'aumento del rischio di cancro, dello stress cellulare, l'aumento dei radicali liberi dannosi, di danni genetici, di cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, di deficit dell'apprendimento e della memoria, di disturbi neurologici e di un impatto negativo sul benessere generale degli esseri umani. I danni vanno ben oltre la razza umana, poiché vi è una crescente evidenza di effetti nocivi sia sulla flora che sulla fauna, quali alcuni tumori, malattia di Alzheimer e infertilità maschile, moria di insetti ed uccelli e dell'abbattimento di alberi troppo alti e frondosi che impedirebbero la buona propagazione delle frequenze 5G.

In seguito all'appello degli scienziati del 20151 ulteriori ricerche hanno confermato in modo sempre più convincente i gravi rischi per la salute causati dalla radiofrequenza emessa dai sistemi di comunicazione senza fili. Uno degli studi più ampi, costato 25 milioni di dollari americani, a cura del Programma Nazionale di Tossicologia degli Stati Uniti (http:/ /biorxiv.org/ content/biorxiv / early / 2016/ 05/ 26/ 055699.full.pdf), ha dimostrato un aumento statisticamente significativo dell'incidenza del cancro cerebrale e di tumore al cuore negli animali esposti a campi elettromagnetici anche a livelli inferiori alle attuali Linee Guida dell'ICNIRP (Commissione Internazionale sulla Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti) che sono in uso nella maggior parte dei paesi. Questi risultati supportano risultati analoghi (http:/ /bioinitiative.org/) prodotti dagli studi epidemiologici sul rapporto tra radiofrequenza e rischio di tumore cerebrale nell'uomo. Ma tutto va avanti come se niente fosse, perché si sa, il progresso non si può fermare.

Ed invece qualcosa lo ha fermato seppur per poco tempo e ci ha dato una bella lezione di vita, perché ci ha fatto vedere quanto le nostre azioni siano spesso deleterie. La diffusione del COVID-191 e la conseguente implementazione di rigide misure per limitare i contagi, hanno spinto la maggioranza della popolazione alla permanenza in casa. Le uscite sono state ridotte all'essenziale, mentre l'attività lavorativa avviene soprattutto in smart working. Queste misure hanno avuto degli effetti positivi anche sull'ambiente, con la riduzione sensibile delle emissioni dannose e con il ritorno della fauna selvatica nelle grandi città.

Gli effetti delle restrizioni imposte dalle autorità sulla circolazione delle persone, la chiusura di cantieri e fabbriche, allo scopo di ridurre i contagi da COVID-191 si sono registrati soprattutto in termini di qualità dell'aria.

Diversi studi hanno testimoniato una riduzione sensibile dei livelli di anidride carbonica presenti in atmosfera, uno dei gas serra maggiormente responsabili dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici. La chiusura di molti impianti produttivi, a cui si è aggiunto lo svuotamento di strade e autostrade, ha avuto un impatto pressoché immediato: in poco più di un mese, moltissime grandi città in tutto il mondo hanno raggiunto tassi di inquinamento così bassi come non se ne registravano da decenni.

L'F.sA, l'Agenzia Spaziale Europea, ha voluto testimoniare questo miglioramento tramite un'analisi via satellite. Gli esperti hanno monitorato le rilevazioni della sonda Sentine! 5P per la missione Copernicus, uno strumento satellitare lanciato anche per mappare i livelli di inquinamento in tutto il mondo. Grazie alla strumentazione Tropomi montata sulla sonda, è stato possibile fotografare le emissioni di CO2 dal primo gennaio 2020 al!'t 1 marzo dello stesso anno, a cadenze regolari di 10 giorni. I risultati sono stati a dir poco sorprendenti: in poco più di un mese, in corrispondenza con il blocco alla circolazione, i cieli del Nord Italia sono tornati limpidi: secondo alcune stime, si parla di una riduzione di 200 milioni di tonnellate di CO2 in meno.

La pandemia da coronavirus ha avuto effetti positivi anche sulla tutela di mari e oceani. Lo stop agli spostamenti e alle attività produttive ha determinato una riduzione sensibile delle imbarcazioni al largo. La prima conseguenza è stata la ricomparsa di specie acquatiche che, proprio data la massiccia presenza dell'uomo, da tempo non si avvicinavano più alle coste: si sono moltiplicati gli avvistamenti di delfini, ad esempio, mentre nello stato indiano di Odisha si è registrata una deposizione record da parte delle tartarughe, pari a 60 milioni di uova Nelle Filippine, invece, si è assistito per giorni al passaggio di rare meduse rosa, pronte a tingere il mare con i loro splendidi colori. Non solo mari, tuttavia, poiché la fauna è tornata a ritmi sostenuti anche in contesti urbani, nei quali da anni non si registrava la presenza di certe specie. Ed il pianeta ha tirato per un breve periodo un grande sospiro di sollievo.

Ma davvero è necessario arrivare a questo punto dove bisogna far sparire l'uomo per preservare il pianeta? Chi oggi nell'ignoranza più miserrima sta contribuendo alla scomparsa degli ecosistemi e della biodiversità (attraverso attività venatorie, di bracconaggio, di pesca intensiva ecc.), sta contribuendo all'inquinamento dell'ambiente (gettando una sigaretta per terra, comprando prodotti che contengono olio di palma non sostenibile, disperdendo plastica nell'ambiente, ecc.) sta contribuendo alla crisi climatica (attraverso una dieta

basata sul consumo di carne e di latticini, attraverso viaggi non ecososterùbili ecc.) sta distruggendo la nostra casa comune. La crescita illimitata in un pianeta dalle risorse limitate non è possibile. Prendere atto di questa semplice verità dovrebbe portare ognuno di noi a cambiare stile di vita.

Credo davvero che non ci sia più speranza e lo scrivo con totale disillusione. Concludendo ancora con le splendide parole di Giacomo Leopardi e sentendomi fortemente legata alla sua visione di pessimismo cosmico, mi viene da pensare che forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale2 •

' G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Recanati, ottobre 1829aprile 1830, vv. 141-143.

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