Sanità Lazio 2

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Anno I numero 1 aprile 2011

Sanità

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Lazio

del

TABULA RASA La complicata partita della riabilitazione

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IL RISCHIO DELLA TRATTATIVA

SAN GIACOMO

ODONTOIATRIA LOW COST

Riabilitazione d'eccellenza, o la Regione mantiene gli impegni o si chiude

L'ospedale fantasma rimane chiuso La riconversione non parte E intanto costa

La crisi morde, i pazienti calano e qualche dentista prova a passare al pubblico

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IL PRIMO FREE PRESS DEDICATO INTERAMENTE ALLA SANITA’

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3 L’EDITORIALE

I veri problemi della Polverini enata Polverini ha lasciato il tavolo del confronto con i tecnici del ministero dell’economia con il sorriso sulle labbra. Ha avuto delle forti raccomandazioni e qualcosa di più del classico “aiutino” (Palazzo Chigi ha spinto parecchio, il Lazio ha avuto delle corsie preferenziali rispetto alle altre regioni), ma ora il governatore può legittimamente presentarsi di fronte ai media e all’opinione pubblica come la salvatrice della Patria. I conti vanno meglio, non c’è dubbio. Ma la traversata è appena cominciata. E ai giornalisti Renata ha sottolineato solo i complimenti ricevuti, non le tirate d’orecchi ricevute. Come quella per gli impegni pubblici presi per quanto riguarda il famoso Policlinico dei Castelli (compito da rifare), o come quella per il sistema di accreditamento, tutto da rifare e in tempi rapidi (esami di riparazione tra tre mesi); ancora, gli ospedali salvati per ragioni di equilibri politici cogenti ma che i tecnici di Tremonti consideravano chiusi. Vedi Monterotondo, Subiaco, ad esempio. Pensieri pesanti per la Polverini, ancora alle prese con la difficile quadratura delle nomine. Dicono che da un lato sia costretta ad un estenuante slogan tra paletti, veti incrociati e opportunismi; ma che dall’altro scelga volutamente delle persone di basso profilo per evitare sorprese e garantirsi la possibilità di forti condizionamenti. Di questo passo finirà la

leader dell’Udc è un alleato leale, certo, ma è anche uno dei pochi che di sanità ne capisce davvero. E dove ha potuto ha imposto persone sue, magari non brillantissime ma utili per la vecchia, efficace logica democristiana della occupazione del potere. Il governatore ha dovuto abbozzare, l’Udc è la stampella della sua Giunta, una stampella essenziale. Ma questa alleanza tattica rischia di essere messa in seria difficoltà sul piano locale in vista delle prossime amministrative, dove la Polverini vuole dire

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la sua, vuole fare le prove generali del suo nascente partito (vedi caso Terracina, con lista capitanata dal fedelissimo Sciscione, escluso dal Consiglio regionale dalla sentenza del Tar,in alternativa a quella del Pdl). E si trova di fronte l’Udc,decisa a mantenere le sue posizioni sul territorio, e gli elettori inferociti per i tagli che hanno ridimensionato o chiuso le strutture sanitarie locali di riferimento.

A sinistra il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. In alto il titolare della Salute, Ferruccio Fazio. A destra il governatore del Lazio, Renata Polverini.

squadra a ridosso delle prossime amministrative e i prescelti non avranno avuto il tempo necessario per programmare alcunchè. Ma sulla scelta dei manager grava anche un’altra ombra, quella della provenienza, della appartenenza politica, delle casacche indossate in precedenza. Se i pretoriani di Renata sono tutti rigorosamente Ugl e dintorni, gli uomini mandati (o lasciati) a

presidiare Asl e Ospedali sono in parte marrazziani o comunque legati ad ambienti di centro sinistra. A chi saranno fedeli? Sono comunque gli stessi che non hanno saputo evitare lo sfascio della sanità, secondo le accuse del centro destra? Cambieranno impostazione per far piacere alla Polverini? E la truppa dell’alleato Ciocchetti, piazzata numerosissima in posti di responsabilità? Il

IL “BORSINO”

Chi Scende

della sanità laziale Se Renata Polverini riuscirà a risolvere le questioni Gruppo S.Raffaele e S.Lucia (questioni distinte, messe nello stesso cesto solo per il denominatore comune della crisi finanziaria e della eccellenza in campo neuroriabilitatorio) non avrà solo un voto positivo nel Borsino di Sanità Lazio, ma il ringraziamento e l’applauso della intera comunità laziale. Per ora ci sta provando. La stima c’è, anche se non le siamo simpatici per quello che scriviamo senza peli sulla lingua. Diamo invece un voto di affetto e di stima a Luciano Ciocchetti, celebrato su Online news, la testata gemella, come il vero assessore regionale ombra alla sanità. Lui se l’è presa, ma in fondo l’ha gradito. In effetti è uno dei pochi politici veramente competenti in materia. Solo che ha la delega per l’urbanistica. Ancora, un voto di affetto e di stima a Donato Robilotta. Anche lui sarebbe un ottimo assessore alla sanità (e non solo). Politico di lungo corso, dispensa saggezza dal suo osservatorio privilegiato del Ministero del lavoro, in attesa di altro (forse). Le sue analisi, la sua lettura dei dati sono fulminanti. Forse per questo fa paura (vedi questione del Policlinico dei Castelli, uno dei suoi Hit). Un giudizio a labbra strette sulle ultime mosse di Luigi Frati, uno degli uomini chiave, da tempo immemorabile, della sanità laziale. Fa il rettore della Sapienza, indirettamente continua a fare il preside di Medicina e ancora più indirettamente il gover-

natore del Policlinico Umberto I. Ha sfidato (lui dice di aver concordato) la Polverini convincendo tutti che il buon Antonio Capparelli, avvocato e uomo della continuità (era direttore amministrativo) è il migliore direttore generale possibile per traghettare la struttura su lidi più sicuri. Non tutti ne sono convinti. E’ ancora una incognita Giuseppe Antonio Spata, il nuovo sub commissario governativo chiamato a sostituire Morlacco nel ruolo di supervisore alla realizzazione del piano di rientro. Spata viene dal Nord, ha gestito (pare bene), piccole realtà ospedaliere. E’ anagraficamente ai limiti della pensione, Formigoni lo ha scaricato questo inverno per dare la sua poltrona ai leghisti. Morlacco aveva un ruolo attivo, non solo notarile, il nuovo sub commissario farà altrettanto? Un piccolo ma importante ruolo se lo sta ritagliando Alessandra Mandarelli, presidente della Commissione Sanità. Potrebbe incidere di più. Dall’altra parte della barricata abbaiano ma non mordono, non riescono ad essere efficaci. Fateci caso, le critiche alla Polverini di Esterino Montino e di Giulia Rodano sanno di stantio, sembrano fatte in fotocopia, sono puntuali quanto sono attenti gli addetti stampa a seguire il corso degli avvenimenti. Non sono propositivi, quelli dell’opposizione, e nella media appaiono veramente grigi. Non basta restare sulla sponda del fiume per veder passare il cadavere della Giunta Polverini.

A sinistra dall’alto Ciocchetti e Mandarelli. A destra dal basso Montino e Rodano.

Chi Sale


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ATTUALITA’

aprile 2011

IN PRIMO PIANO Chiuso da due anni e mezzo continua a costare di vigilanza e manutenzione

Il fantasma del San Giacomo Nell’antico ospedale viene tenuta in vita – inutilizzata - l’attrezzatura per la risonanza magnetica La “riconversione" è solo negli annunci. E il poliambulatorio di via Canova è quasi deserto Stefania Pascucci Maria Lucia Panucci E’ una situazione di stallo che dura da tre anni». Angelo Barlattani, specialista epatologo della Asl Roma A, in pianta organica anche al poliambulatorio Canova, parla così dell’ospedale San Giacomo di Roma, chiuso dall’ex governatore Marrazzo il 31 ottobre 2008. Uno dei tre ospedali più antichi del mondo da quel giorno ha cessato la sua attività dopo 700 anni perché – si diceva – avrebbe portato risparmio alle casse in rosso della sanità laziale. Una speranza andata delusa invece dai fatti: i dipendenti in tutto circa 200 rappresentavano l’80% del bilancio - furono trasferiti presso altri ospedali e la ristrutturazione durata cinque anni (fino al 2008) è costata alla Regione Lazio ben 13 milioni di euro, solo 8 investiti negli ultimi due anni prima della chiusura. La bassa performance delle attività fu la motivazione: si contavano pochi accessi al Ps, pochi interventi chirurgici, insomma poco prima

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A sinistra l'ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo. In alto il Poliambulatorio della Asl Roma A

della decisione di chiudere l’ospedale donato dal cardinale Salviati cinquecento anni fa partì un’operazione mediatica straordinaria. Il fine giustifica i mezzi, sosteneva il Principe. E così partì un battage di stampa negativa che mise in cattiva luce non tanto la struttura in sé quanto gli stessi operatori e medici che vi lavorano da trent’anni. «Non

è assolutamente vero che non era performante – ribatte Barlattani che di memoria storica ne ha da vendere – dal 2003 il San Giacomo era in fase di ristrutturazione che veniva effettuata un reparto per volta e quindi inevitabilmente si lavorava a ritmo ridotto». Il completamento di quella ristrutturazione che aveva previsto l’installazione di nuovi

macchinari, nuove tecnologie, la ricostruzione estetica di vecchi reparti di degenza avrebbe dato un nuovo impulso al San Giacomo, perfino la farmacia automatizzata era stata consegnata all’amministrazione a un mese della chiusura. Ma quale è lo scandalo che emerge ora? Da tre anni la Regione continua a pagare ad esempio la manutenzione di una sofisticata Risonanza Magnetica che si trova proprio all’interno del

nosocomio di via Canova, a due passi da via del Corso e piazza del Popolo, una macchina in grado di fare esami specialistici per la quale le liste d’attesa durano tra i sei e i dodici mesi. Invece è lì, a pochi metri del poliambulatorio, e per di più dentro un ospedale “apparentemente” chiuso. Senza contare che è presente 24 ore su 24 una vigilanza il cui costo (a carico sempre della Regione) supera i 150 mila euro all’anno. Il paradosso invece per questa Risonanza Magnetica è che nessun cittadino può usarla nonostante il costo incida costantemente da tre anni sul bilancio regionale. Oliva Salviati erede del cardinale ha fatto sua la battaglia per non vedere morire l’ospedale che il suo avo aveva donato alla città di Roma. E che fin dal 2001 il San Giacomo fosse finito nel torbido ingranaggio della cartolarizzazione, ossia della vendita dei beni delle Asl, ospedali

compresi, era cosa nota e che in realtà la storia della copertura del buco della sanità del Lazio fosse solo una grande bolla lo dice più di qualche rumor. La stessa erede del cardinale Salviati per esempio, qualche tempo fa, aveva esternato i suoi dubbi sulla decisione assunta dalla giunta precedente di centrosinistra di chiudere per tagliare i posti letto. «I posti letto del San Giacomo non sono stati tagliati», aveva dichiarato la nobildonna,«sono stati dati al Campus biomedico dell’Opus Dei. Hanno tolto alla sanità pubblica per dare a quella privata convenzionata. Il Campus biomedico, rastrellando nella sanità pubblica, è arrivato a 280 posti letto». La elezione alla Regione della Polverini aveva dato dunque nuove speranze di riapertura del San Giacomo e tutti – cittadini ed ex operatori – avevano sperato in una virata, invece nulla è cambiato. Sulla carta però esiste da sei mesi un decreto (n. 82) firmato dall’attuale commissario ad acta della sanità, ovvero dalla presidente regionale, e che rientra nel piano di riordino della rete ospedaliera. Se quanto scritto nel decreto si traducesse in realtà ci sarebbe un futuro nuovo per il “San Giacomo”. Il suo destino è riassunto in una sigla. Ptp, “presidio territoriale di prossimità”. Nel decreto commissariale


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5 ATTUALITA’ IN PRIMO PIANO

Ptp, ospedali di distretto, per il momento sono solo parole hiamiamoli Ptp (presidi territoriali di prossimità) oppure usiamo la nuova terminologia sancita nel Decreto 80 firmato dalla Polverini in cui nasce la figura dell’ Ospedale Distrettuale o centri clinici dell’assistenza distrettuale: chi più ne ha, più ne metta. La confusione regna sovrana nelle nuove (e future o futuristiche) strutture sanitarie che non sono né ospedali, né poliambulatori. Quel che è certo è che non trattano acuti e codici rossi. I decreti 82 e 80 si riferiscono al patto della Salute per il triennio 2010-2012 con il quale si stabilisce un nuovo modello assistenziale “per le strutture pubbliche per acuti da riconvertire”, appunto l’ospedale distrettuale. Eppure a distanza di 6 mesi non è accaduto nulla per gli ospedali e le strutture da tramutarsi in servizi sanitari per il cittadino. A farne le spese in questo caso sono sopratutto gli anziani e le fasce più deboli della popolazione. Alla domanda dei cosiddetti "bisogni assistenziali" oggi non vi è risposta. E l'immobilismo a fare da padrone. L’Asp, agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio, ha individuato 30 ospedali da chiudere e riconvertire, di cui 2 a Roma (Nuovo Regina Margherita e il Centro paraplegici di Ostia), 4 nella provincia di Latina (ospedale di Sezze, San Giovanni di Dio a Fondi, l’ospedale di Gaeta e l’ex ospedale di Minturno), 5 nella provincia di Viterbo (Civile di Acquapendente, ospedale di Montefiascone, Civile di Tarquinia che rimane per acuti, ospedale di Ronciglione e l’ospedale di Civita Castellana che rimane per acuti), 8 nella provincia di Roma

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non è indicata però la tempistica. Il provvedimento viene semplicemente riassunto con la formula “Riconversione dell’ospedale San Giacomo in servizi al territorio - 15 posti letto”. Questi ultimi saranno a degenza infermieristica. Ma al poliambulatorio di fronte all’ex nosocomio non ne sanno nulla, né hanno notato movimenti che possano indicare una prossima riapertura. Intanto nel locale di via Canova, che funge da presidio di prossimità aperto h 24, è praticamente impossibile sottoporsi ad esami specialistici in tempi rapidi.

«Vuole fare un’ecografia? Ripassi dopo settembre», dicono gli infermieri allargando le braccia. Stessi tempi di attesa per un esame cardiologico. E di notte l’unico intervento che possono praticare è una visita come potrebbe fare un medico di base, misurando la pressione. Suturare ferite anche superficiali neanche a parlarne, occorre rivolgersi al S. Spirito, l’ospedale nei pressi dove il Pronto soccorso, come tutti gli altri in questo periodo di tagli alla sanità pubblica, scoppia e ci vogliono ore e ore per essere visitati.

(L’ospedale Gonfalone a Monterotondo, Santissimo Salvatore a Palombara Sabina, Angelucci di Subiaco che rimane per acuti, l’ex ospedale di San Giovanni Battista a Zagarolo, Cartoni a Rocca Priora, Spolverini di Ariccia, Villa Albani di Anzio, Civile di Bracciano), 9 nella provincia di Frosinone (San Benedetto di Alatri che rimane per acuti, Civile di Anagni, Civile di Ceccano, Del Prete di Pontecorvo, Presidio sanitario di Ceprano, Presidio sanitario di Ferentino, Santa Croce di Arpino e Della Croce di Atina rimangono solo per finalità sociali, In memoria dei Caduti all’Isola del Liri si riconverte in Hospice), 2 nella provincia di Rieti (Marzio Marini di Magliano Sabina il cui striscione “salvate l’ospedale” campeggia sulla cima di una montagna a ridosso dell’autostrada A1, e l’ospedale di Amatrice che rimane per acuti e conserva una elisuperficie). Anche al San Giacomo di Roma si prevede una riconversione con 15 posti letto ma per ora tutto tace, nessuna iniziativa è stata presa dalla Regione a parte la firma del decreto che la stabilisce. Sia per i Ptp sia per gli ospedali di distretto dovrebbe essere già partita la riconversione vera e propria ma non è così. Nulla si muove su questo versante a dispetto dei decreti. L’unico ospedale di distretto che sembra vedere luce sarebbe l’ex ospedale San Giovanni Battista a Zagarolo ma l' esordio è attualmente oggetto di dibattito locale. Insomma, tante belle parole e pochi fatti nella sanità laziale. (S.P.)

Scheda/ Presidio territoriale di prossimità

La struttura assistenziale del futuro

Maria Lucia Panucci l Ptp, acronimo che indica un presidio territoriale di prossimità, rappresenta una nuova forma assistenziale rispetto a quella offerta tradizionalmente dagli ospedali. Quale elemento innovativo garantisce, attraverso le "Unità Operative di Degenza Infermieristica" (UODI), l’assistenza in regime residenziale di natura medico-infermieristica di quei soggetti che, spesso appartenenti alle fasce più deboli della popolazione (anziani, fragili), sono affetti da riacutizzazione di patologie croniche che non necessitano di terapie intensive o di diagnostica a elevata tecnologia e che non possono, per motivi sia di natura clinica che sociale, essere adeguatamente trattati a domicilio. Il Ptp favorisce l’integrazione dei servizi sanitari e sociali e valorizza il ruolo del

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medico di Medicina Generale e degli altri professionisti che operano nell’area delle cure primarie e intermedie. All’interno dei Ptp dovrebbero svolgersi, in forma integrata anche con il sociale, le attività di assistenza domiciliare, le cure intermedie, le funzioni specialistiche territoriali e le attività di promozione della salute/prevenzione. Nel Ptp la direzione sanitaria dovrebbe essere esercitata da un dirigente medico di Distretto ad essa preposto. La degenza dovrebbe rientrare nelle 24 ore con assistenza medica. Inoltre il Ptp dovrebbe essere un ambulatorio infermieristico e un punto unico di accesso integrato con i servizi sociali dell’Ente Locale. Dovrebbe offrire ambulatori specialistici con la presenza e reperibilità di medici ospedalieri e/o specialisti ambulatoriali nelle 12 ore, con particolare riferimento alle branche di cardiologia, pneumologia, diabetologia, neurologia/geriatria (finalizzate all’attivazione di specifici percorsi di cura). Il Ptp dovrebbe fornire anche assistenza domiciliare, dovrebbe essere un centro diurno per anziani fragili, una postazione di 118 e dovrebbe garantire conti-

nuità assistenziale. All’interno del Ptp possono essere inoltre previste altre attività, nel rispetto delle opportune garanzie assistenziali e di sicurezza dei pazienti, quali ad esempio funzioni di day hospital e day surgery, nonché day service ambulatoriale. La persona accolta nella struttura deve essere dimessa entro il 15° giorno, salvo casi motivati in cui la degenza può protrarsi fino a 20 giorni. Non è comunque consentita la permanenza nella struttura oltre il ventesimo giorno. Le prestazioni garantite nella degenza del Ptp, oltre alle visite del medico di medicina generale (o altro medico Asl) e alle prestazioni di natura infermieristica, sono assimilabili a quelle usufruibili a livello di specialistica ambulatoriale attraverso gli ambulatori specialistici del distretto. L’ammissione alla struttura dovrà essere riservata a persone anagraficamente residenti in Comuni – Municipi della Asl di riferimento. I soggetti per i quali sarà formulata la proposta di ricovero saranno valutati, tramite appositi strumenti, sia sotto il profilo dell’eleggibilità (secondo i criteri di seguito specificati), che riguardo al potenziale carico assistenziale,quest’ultimo

distinto in tre classi: basso, medio e elevato. La suddivisione del carico assistenziale in classi di peso differente consentirà, oltre che una più fine valutazione delle attività della degenza, anche la formulazione di tariffe differenziate. Il ricovero in degenza PTP è sempre programmato e finalizzato alla risoluzione di un problema sanitario attraverso la predisposizione di interventi di carattere clinico assistenziale. Il trasferimento in degenza Ptp viene richiesto dal medico di medicina generale se il paziente si trova al proprio domicilio in assistenza domiciliare (assistenza programmata o integrata), oppure dal medico ospedaliero, previa informazione del medico di medicina generale, qualora il paziente sia ricoverato presso un ospedale per acuti. Per stabilire l’effettiva eleggibilità e per quantificare il bisogno assistenziale del soggetto si procede ad una valutazione multidimensionale con opportuni strumenti che tengano in considerazione i già menzionati requisiti necessari all’ammissione. Nel caso che il paziente si trovi al proprio domicilio la valutazione viene svolta dall’infermiere coordinatore del Ptp

e dal medico del Cad sentito il parere del medico curante. Nel caso di trasferimento da ospedale per acuti, la valutazione, eseguita nel reparto di provenienza, viene effettuata dall’infermiere coordinatore del Ptp e dal medico ospedaliero sentito il parere del medico curante. In seguito alla valutazione si provvede, da parte dell’Infermiere coordinatore e del medico di medicina generale, alla formulazione del Piano di assistenza individuale (PAI), sulla base delle necessità assistenziali e delle condizioni cliniche del paziente, stabilendo gli obiettivi del ricovero secondo il programma di assistenza. L’infermiere, attraverso il governo dell’assistenza, deve svolgere una funzione di garanzia di qualità e dell’appropriato utilizzo della degenza di prossimità, agevolando i percorsi assistenziali intra ed extra Ptp del paziente. Quest’ultimo e i suoi familiari sono messi a conoscenza del piano di assistenza e dei trattamenti previsti tramite un apposito modulo di consenso informato, che deve essere firmato dall’interessato o, nel caso di impossibilità, da un tutore o da un suo delegato.


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IN PRIMO PIANO I casi del S.Raffaele e della S.Lucia test decisivo per il Governatore

Il rischio della trattativa “O si cambia o si chiude”, arrivano migliaia di lettere di licenziamento e l’annuncio di una chiusura Poi improvvisamente qualcosa succede, si sbloccano dei fondi e si apre il confronto

Giovanni Tagliapietra ’allarme arriva nelle redazioni dei giornali attraverso una nota del presidente della Commissione parlamentare per gli sprechi e gli errori sanitari, Leoluca Orlando. Quest’ultimo fa sapere di avere chiesto conto al governatore del Lazio Polverini della situazione del Gruppo San Raffaele, 17 strutture nel Lazio tra cui un Irccs, migliaia di dipendenti e collaboratori e di pazienti. Ha appena annunciato la chiusura, il 15 aprile. Vanta crediti per 150 milioni, è stato massacrato dai tagli, la Regione non ha neppure preso in considerazione le proposte avanzate, le tariffe sono ferme al secolo scorso. E’ l’ennesimo bluff? Pressioni per ottenere qualche cosa? Scattano una serie di meccanismi e di opzioni, la Polverini non gioca a poker, non “vede” le carte dell’avversario, se la minaccia sarà portata fino in fondo il Lazio vedrà uno tsunami superiore a quello che mise a dura prova il sistema con la crisi Alitalia, oltre2500 famiglie in difficoltà, altrettanti pazienti da sistemare in pochi giorni. Convoca una riunione urgente, è il 4 aprile, parla con la proprietà e con i sindacati. Piovono le solidarietà politiche, le interrogazioni, le protestre. In parallelo c’è l’altra crisi da gestire, quella dell’Irccs Fondazione S.Lucia. Anche in questo caso la Regione è inadempiente, anche in questo caso la minaccia di chiusura c’è. Da settimane un presidio sotto le finestre della Polverini ricorda questa emergenza. In entrambi i casi – a dirla tutta soprattutto per il S.Lucia - la politica si è spesa a parole per di-

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sinnescare la crisi. Le foto della Polverini con la maglietta (vedi copertina di Sanità Lazio) di solidarietà ha fatto il giro dei giornali, il vice presidente Ciocchetti alla Fondazione di via Ardeatina è praticamente di casa; improvvisamente scoprono l’urgenza. E’ una lotta contro il tempo e già nella prima giornata di colloqui arriva il disgelo, un piccolo sblocco di fondi al San Raffaele e al S.Lucia. La proprietà

del primo annuncia che pagherà gli stipendi di marzo, ma non ritira le lettere di licenziamento né la decisione di chiudere. Il 10 aprile si riprende, la sensazione è che si possa arrivare ad un armistizio, mentre tutti si chiedono: non si poteva arrivare prima alla defini zione di una piattaforma di trattativa? Non si poteva pilotare la crisi? Consideriamo le due vicende su piani diversi. La Fondazione S.Lucia è

Il pressing del senatore Gramazio. Prima una lettera al ministro, poi una interrogazione a risposta scritta

Le eccellenze sanitarie non si toccano, sono patrimonio di tutti i laziali ’Irccs Fondazione S.Lucia ha un presidio permanente sotto le finestre della Polverini, dipendenti, operatori, pazienti, hanno dato vita a innumerevoli manifestazioni. Vanta crediti ingenti dalla Regione. Ora la direzione ventila azioni legali più vigorose. Il gruppo San Raffaele è una realtà sanitaria più complessa nella regione. Diciassette strutture (tra le quali un Irccs, il San Raffaele Pisana), migliaia di dipendenti e di pazienti. Vanta un credito di 150 milioni dalla Regione, i suoi piani di riassetto non sono stati nemmeno presi in considerazione. La proprietà prende una decisione drastica, si chiude tutto il 15 aprile. Lettere di licenziamento ai dipendenti, preavviso agli ospiti. Due situazioni drammatiche, due eccellenze nel campo della neuroriabilitazione delle quali il territorio non può privarsi. Ma delle quali rischia seriamente di dover fare a meno nel giro di pochi giorni. Sono i primi giorni di aprile, il senatore Domenico Gramazio, vice presidente vicario della Commissione Sanità,

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segue da sempre le vicende di S.Lucia e San Raffaele. Capisce che questa volta non è il solito tira e molla, ma il rischio è serio. Scrive subito di suo pugno un appunto urgente al ministro della Salute Fazio ricordando per sommi capi il problema. Gli chiede di intervenire. Fazio gli risponde subito, stiamo lavorando sul caso assieme alla Polverini. Ma Gramazio non molla, butta giù una interrogazione urgente a risposta scritta con gli stessi elementi di denuncia e valutazione, poi si va a cercare uno per uno i senatori, li fa firmare: Gasparri, Allegrini, Barelli, Cicolani, Cursi, Cutrufo, De Lillo, Fazzone, Tofani. E la fa protocollare. Poi telefona ai giornali, agli amici, mette in atto tutti gli strumenti orizzontali di mobilitazione, patrimonio di quarant’anni di attività politica sul territorio. La Polverini convoca separatamente i rappresentanti delle aziende interessate. Vengono stanziati due finanziamenti. Poca roba, ma basta a distendere gli animi. Trattative ad oltranza.


SLazio Le prime intese

ale la pena di citare i passi essenziali del comunicato emesso dalla presidenza della Regione. Riguardo il San Raffaele, è stata raggiunta una intesa, su un percorso di lavoro, condiviso nei suoi punti salienti, lungo il quale procedere per arrid una possibile e auspicabile soluzione delle diverse problematiche riferite al , a cominciare dalla tutela dei pazienti e dei lavoratori. Un primo accordo è stato nto anche in merito alle problematiche relative alla Fondazione Santa Lucia con terventi di carattere urgenti in vista di proseguire il confronto per individuare solurutturali. In particolare, la Regione si è impegnata ad intervenire immediatamente ne criticità a partire dall’erogazione, già nei prossimi giorni, di oltre 4 milioni di euro all’attività 2010. La Regione provvederà a costituire un organo tecnico di verifica cedere alla valorizzazione delle prestazioni di alta complessità riabilitativa per gli 006-2009, così da consentire la relativa liquidazione entro 45 giorni dall’inizio delle ioni di verifica. Le parti si sono impegnate a concordare un nuovo incontro entro del mese per affrontare la tematica del finanziamento strutturale della Fondazione. pena di citare i passi essenziali del comunicato emesso dalla presidenza della ReRiguardo il San Raffaele, è stata raggiunta una intesa, su un percorso di lavoro, so nei suoi punti salienti, lungo il quale procedere per arrivare ad una possibile e abile soluzione delle diverse problematiche riferite al gruppo, a cominciare dalla tupazienti e dei lavoratori. Un primo accordo è stato raggiunto anche in merito alle matiche relative alla Fondazione Santa Lucia con primi interventi di carattere urvista di proseguire il confronto per individuare soluzioni strutturali. In particolare, one si è impegnata ad intervenire immediatamente su alcune criticità a partire dalzione, già nei prossimi giorni, di oltre 4 milioni di euro relativi all’attività 2010. La e provvederà a costituire un organo tecnico di verifica per procedere alla valorize delle prestazioni di alta complessità riabilitativa per gli anni 2006-2009, così da ntire la relativa liquidazione entro 45 giorni dall’inizio delle operazioni di verifica. Le sono impegnate a concordare un nuovo incontro entro la fine del mese per afe la tematica del finanziamento strutturale della Fondazione.

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stata sommersa di promesse ma non di soldi; è all’angolo e combatte una battaglia a colpi di carta bollata. I quotidiani locali hanno dedicato alla questione aperture di giornali, la Regione non ha sborsato una lira. Si è dovuti arrivare all’ultimo atto per cercare sul serio una via d’uscita e c’è anche chi è convinto che all’Istituto di via Ardeatina non spettino tutti i soldi che chiede. Altra storia quella del San Raffaele. Una portaerei della sanità laziale. Dall’Irccs di via della Pisana alle cliniche sparse a Roma e nel Lazio, alle Rsa, ai poliambulatori. I tagli e gli aggiustamenti della Polverini hanno creato problemi seri, ma le reiterate proposte di una autonoma riorganizzazione delle strutture e dei posti letto non sono mai state valutate dalla Regione. La crisi era nell’aria, poi la decisione, fredda, degli imprenditori. Che non possono lavorare in perdita per anni e non avere l’ossigeno di un piano industriale ragionevolmente certo. Ma c’è un problema, un problema giudiziario di mezzo. Un’inchiesta in corso con accuse pesanti legate alla clinica di Velletri. Gli uomini della Polverini probabilmente prendevano tempo proprio in funzione degli sviluppi di quel processo. Mentre gli sciacalli (leggi imprenditori concorrenti) aspettavano. Da qui la spallata della proprietà Le trattative serviranno a mettere ordine? Si tratta di una sceneggiata concordata? Si poteva fare diversamente? Ai dipendenti con la lettera di licenziamento in mano la voglia di approfondire, di vedere l’eventuale bluff non è venuta. I primi segnali sono ragionevolmente positivi. Qualche rinuncia qua, qualche concessione là, si può arrivare ad un compromesso. Anche se la sensazione che tutti abbiano lavorato male, che una soluzione si sarebbe potuta trovare per tempo rimane. E pesa come un macigno. Un’ultima osservazione a corollario. E i sindacati? Se ne sono stati buoni, ai margini. Non si sa più da che parte stiano.

L’ opinione Nuove domande di salute: curare per cambiare di Cinzia Quondamcarlo* a crisi della sanità non è solo economica. Nasceda una diversa domanda di salute del cittadino-utente, in termini di qualità e non di quantità. E’ aumentata la richiesta della tipologia di visita e di esame diagnostico. La riflessione parte da tre domande: c’è forse incapacità delle strutture ospedaliere di soddisfare l’esigenza dei territori? Quale è il problema da dipanare? E, infine, quale anello della catena si è spezzato? Vi sono tre livelli di assistenza che vengono richiesti in modo forte dal cittadino – paziente: le prestazioni di emergenza/urgenza leggi: Pronto Soccorso – Dea; le prestazioni per malati cronici: oncologici, neurologici, anziani e le prestazioni che garantiscono la prevenzione: visite specialistiche, screening e gli esami diagnostici di alta specializzazione. Per queste prestazioni il nostro sistema sanitario tradizionale non è preparato La rivoluzione in atto tenderà a questo. Ma oggi le Aziende ospedaliere sono strutturalmente e funzionalmente inadatte ed impreparate per questo tipo di assistenza, vale a dire che i nostri elefantiaci ospedali con 1000 posti letto di degenza ordinaria non servono più in questo modo. Una buona parte andrebbero riconvertiti per i ricoveri brevi e ricoveri di Day Hospital per l’esecuzione di esami diagnostici invasivi ad alta specializzazione, mentre i ricoveri di degenza ordinaria sono indispensabili per le chirurgie e le terapie intensive e rianimazione (carenti nel nostro territorio). Avremmo necessità di ampliare l’assistenza per la terapia del dolore ed avviare un vero servizio di assistenza anestesiologica ospedaliera per le sedazioni coscienti e profonde per gli esami diagnostici invasivi e poco tollerati dai pazienti, ma questo già accade nei paesi più evoluti in medicina sociale. E poi bisognerebbe creare nuovi Hospice e Centri di assistenza per i malati di SLA ed i loro familiari oltre a facilitare l’esecuzione degli screening per tumori in particolare del colon e mammella, creando dei percorsi ben precisi sul territorio. La struttura “ospedale” non è collegata con il territorio e gli ambulatori di Distretto e il gap crea molti problemi: sono due realtà ben distinte tra loro. Per gli esami radiologici come Tac, Risonanza magnetica nucleare, Pet per i quali i pazienti ancora fanno i “viaggi della speranza” da Roma a Napoli, da Napoli a Milano, per una PET e cosi’ via si allungano le liste d’attesa. Queste prestazioni si potrebbero eseguire nel pomeriggio o di notte per abbreviare il tempo degli appuntamenti con il medico specialista, forse con maggiori risorse umane e tecnologiche. Al centro di tutto dunque va pensato il malato oncologico che oltre alla sofferenza per la malattia vive il disagio di dover cercare l’ospedale, l’ambulatorio che effettui in tempi brevi ciò di cui ha urgente bisogno, per essere assistito e curato nel percorso già doloroso della lotta al tumore. Oggi ci si rende conto che un segnale di cambiamento va dato con estrema urgenza. *Specialista Gastroenterologa

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Manager sanitari, le ultime nomine bbiamo pubblicato nel numero scorso una intera paginacontenente le “terne” del potere sanitario nel Lazio. Non possiamo farealtrettanto oggi per ragioni di spazio ma ci torneremo prossimamente. Quellatabella aveva dei tasselli vuoti, dei punti di domanda. Qualche casella si èriempita, qualche altra ha subito delle variazioni. Al Policlinico Umberto I,ad esempio, Antonio Capparelli, già direttore amministrativo sotto la gestioneMarrazzo, da commissario straordinario è diventato direttore generale in virtùdi un accordo-compromesso tra il rettore Frati (nella foto) e la Polverini. Qualche malignolo ha visto in prima fila qualche giorno fa ad un convegno sulla sanitàorganizzato dall’Udc Ciocchetti. Ha cambiato scuderia? Al suo fianco, nellastessa occasione, è stata vista Rosalba Buttiglieri (anche lei in quota Udc?),nominata direttore sanitario della Asl RmD (Graziella Ansuini, per oltre unanno commissario straordinario, è direttore amministrativo). Anche laButtiglieri viene dal Policlinico Umberto I, dove sotto la direzione di Cosi,diversi anni fa, fu direttore sanitario di presidio. Poi alcuni anni comedirettore generale di un Policlinico calabrese e ora il ritorno nella capitale,alla RmD. E’ arrivata la conferma ancheper Morrone, da commissario straordinarioa direttore generale del San Camillo (anche se su di lui c'è una pesante incognita di ineleggibilità) e per la Corradi, stessa situazione als.Andrea. Infine Gerardo Corea è ilnuovo direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera S.Giovanni Addolorata. Un manager di marca marrazziana, giàdirigente dell’ufficio accreditamenti della Regione e dirigente nella Asl RmG.Anche lui” ciocchettiano”? Pare di no. Il sostegno maggiore lo avrebbe avutodalla associazione medici cattolici di Di Virgilio.

A Nella foto a sinistra, al centro il ministro della Salute Ferruccio Fazio con il senatore del Pdl, Domenico Gramazio. In alto la protesta del San Raffaele.



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9 ATTUALITA’ LE COSE DA NON DIRE

Migliaia di utenti in viaggio per farsi curare fuori confine

La grande fuga dal Lazio Gli ultimi dati disponibili sulla mobilità passiva sanitaria bocciano la regione che nel 2010 ha fatto registrare un passivo di 75 milioni di euro. E il Nord ci guadagna Salvatore Bergamo ettantacinquemilioni di euro. E’ quanto ha pagato il Lazio per la cosiddetta mobilità sanitaria nel 2010. Un trend negativo pesante se si pensa che la Lombardia ha all’attivo oltre 444 milioni di euro per le prestazioni interregionali,l’Emilia Romagna 358, mentre nella regione governata dalla Polverini l’unicoospedale ad averci guadagnato è il Bambino Gesù con un attivo interregionale di161 milioni.Insomma mentre alcune regioni del solito “Nord virtuoso” riescono a capitalizzare i flussi di pazienti da una zona all’altra del Paese, facendo cassa e rinforzando i bilanci, altre regioni del Centro e del Sud, nonostante la spesa sanitaria imponente, alla fine dei conti risultano addirittura in perdita. Il sistema va riformato. Ma non sempre le buone intenzioni riescono a centrare l’obiettivo prefissato. “Con la riorganizzazione dell’offerta sa-

S

Nel Lazio l’unico ospedale ad averci guadagnato è il BambiNo Gesù con un attivo interregionale di 161 milioni.

nitaria messa in campo dalla giunta di centro-destra – attacca il segretario regionale della FialsConfsal, Gianni Romano – il turismo sanitario che nel Lazio rappresentava uno dei fiori all’occhiello tra le eccellenze del centro Italia, viene cancellato”. Secondo il sindacato infatti la perdita di 75 milioni di euro di risorse per il Lazio è solo l’inizio. Il trend negativo proseguirà negli anni allargando il deficit.

“Quando il taglio dei posti letto inizierà a funzionare a regime – denuncia ancora Romano - ci saranno sempre meno servizi e sempre più viaggi della speranza fuori regione. Sembra quasi di inaugurare una nuova forma di pellegrinaggio:quella della sanità itinerante come mostrato dal ‘modello Polverini’ che mandai camper in giro per la città a fare le visite specialistiche gratuite.Purtroppo però –

ha aggiunto Romano – l’offerta dei camper è per ovvi motivitotalmente insufficiente. Chi ha davvero bisogno di esami clinici veloci è costretto anche a preventivare cifre importanti per recarsi nelle regioni limitrofe. Infatti seppur fuori dai confini regionali il cittadino/utente paga lo stesso ticket per prestazioni nei tempi, mentre le spese di viaggio sono a carico delle sue tasche. Oltre ad eventuali spese di soggiorno. Unamortificazione anche per la professionalità dei bravi operatori sanitari del Lazio,che senza colpa alcuna subiscono attoniti una migrazione di malati verso altre regioni, dove la ricettività degli ospedali, dotati di attrezzature medicali di avanguardia, permettono dei ricoveri più celeri”. Cornuti e mazziati. A leggere i dati la situazione attuale risulta insopportabile, un paradosso incomprensibile che costringe i cittadini del Lazio da una parte a versare le addizionali tra le più alte del resto d’Italia, dall’altra ad intraprendere i cosiddetti “viaggi della speranza ”. “Spesso curarsi in altre zone del

Paese è una necessità e non una scelta – attacca ancora il segretaro della Fials Confsal – nel Lazio i tempi di attesa sono un’oltraggio, non è possibile pensare di dover attendere anche un anno e mezzo per una ecografia addominale, fino a 2 mesi per una tac, oltre 3 mesi per una visita oculistica,4 mesi per una mammografia e spesso addirittura mesi per un ricovero ordinario”.Il problema è tutto qui: i costi non corrispondono ai servizi resi, la spesa esorbitante della Pisana non è riconvertita in prestazioni accettabili per i pazienti del Lazio, tanto che in molti casi si è costretti ad emigrare fuori regione per farsi curare. E, oltre al danno la beffa, questa migrazionesanitaria è addirittura costosa. “Servono degli investimenti mirati perrecuperare il terreno perso in competitività con Lombardia ed Emilia Romagna,le riconversioni degli ospedali e il taglio dei servizi sanitari sono stati un vero fallimento come dimostrano i milioni di euro che si dovranno pagare per lamobilità passiva dei residenti nel Lazio”.

L’Intervista/ Parla Maria Concetta Tufi (Asl RmG)

Operazione screening, un investimento che vale Giulio Terzi irettore dell'Unità Operativa Complessa (UOC) di Screening e Prevenzione della Asl Roma G, Maria Concetta Tufi opera in staff con la Direzione Generale della Asl Roma G. Il nuovo manager, Nazareno Renzo Brizioli, punta molto sul discorso della prevenzione e la dottoressa Tufi, che ricopre anche l'incarico di Coordinatore Aziendale per il Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012, appare lanciatissima e determinata Il suo lavoro nella UOC di Screening introduce il tema della prevenzione, un concetto che si è molto evoluto negli ultimi anni I programmi di screening sono Livelli Essenziali di Assistenza e una sfida prioritaria per il Servizio Sanitario regionale del Lazio. Il Piano Sanitario Regionale, sulla scorta delle indicazioni del Piano Nazionale della Prevenzione, ha come obiettivo

D

prioritario di offrire a tutta la popolazione che ne può trarre giovamento programmi di screening per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon-retto. Gli orientamenti legislativi in materia prevedono l’abbattimento delle diseguaglianze in ambito di prevenzione oncologica; “comunicare salute” a tutte le fasce sociali, quindi un impegno civile ed etico per lo staff dello screening di questa Asl. La Asl Roma G ha da tempo avviato il Programma di Screening per il cancro del collo dell’utero con l’utilizzo del test Hpv per l’individuazione del Papilloma virus. Viene erogato quindi il test Hpv come test primario nell’ambito della prevenzione del cervicocarcinoma; il Programma coinvolge circa 130.000 donne in fascia di età 25/64 anni residenti nel territorio della ASL Roma G. Quanto conta lacomunicazione, sopratutto quella mediatica, in tema di prevenzione? La comunicazione di qualità è per gli screeningoncologici un

elemento di fondamentale importanza per migliorare l’efficacia el’efficienza di programmi, servizi e prestazioni. I programmi di screening peri tumori della mammella, della cervice uterina e del colon retto in Italia,come dicevamo, sono considerati Livelli essenziali di assistenza, cioè undiritto di tutti i cittadini. Per questo, negli screening oncologici lastrategia di comunicazione ha come obiettivo prioritario la promozione diun’adesione consapevole, basata su un’informazione trasparente. Il sistemasanitario deve essere in grado di comunicare limiti e incertezze, ma allostesso tempo di ascoltare i soggetti coinvolti, poiché è grazie alla loro partecipazione che è possibile ottenere un miglioramento continuo della qualitàdi servizi e prestazioni. La scelta strategica è quella dell’empowerment,che ha l’obiettivo di fornire alle persone sufficienti competenze pereffettuare Quando è nata la sua UOC discreening e prevenzione? Ho iniziato adoccuparmi di gine-

cologia preventiva nel 1999 con l’istituzione del serviziotrans murale per la diagnosi precoce delle malattie dell’apparato genitalefemminile; successivamente, nel 2001, ho partecipato all’istituzione dell’areaomogenea complessa materno-infantile. Nel 2002 è stata quindi istituita l’UnitàOperativa di patologia cervico-vaginale con Day Hospitale ma è nel 2004 che èstato avviato il primo programma di screening, per il tumore della mammella.Nel 2005 si è avviato il secondo, per il tumore della cervice uterina, e piùrecentemente, nel 2009, il terzo programma per il tumore del colon-retto. Come è articolato ilservizio? I Programmi di Screening prevedono più step nella loro offerta di diagnosi precoce: la popolazione interessata viene invitata,con lettera spedita a domicilio, ad aderire al test preventivo (mammografia,hpv-test, ricerca del sangue occulto fecale). Il referto, se negativo, vieneinviato al domicilio mentre eventuali casi dubbi o sospetti

vengono richiamatitelefonicamente per sottoporsi ad approfondimenti diagnostici direttamente presso la sede centrale, oggi a Tivoli. Per garantire uniformità di accesso, e per meglio garantire la cittadinanza, abbiamo scelto da tempo di avvalerci di Unità Mobili appositamente attrezzate per l’erogazione delle mammografie e deitest ginecologici. I mezzi vengono via via stazionati sui diversi Comuni, all’insegna del motto “la sanità incontra le donne”. Si è trattato di una scelta indubbiamente vincente, che ci aiuta a superare le difficoltà derivantidalla vastità e complessità del territorio. Per quanto riguarda invece la somministrazione del test per la ricerca del sangue occulto fecale, ciavvaliamo della preziosa collaborazione delle Farmacie. Quali comuni interessa? La Asl Roma Gdetiene la maggior estensione territoriale tra quelle della provincia di Roma,e la sua sfera di competenza investe 70 Comuni ed una Comunità Montana.



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11 ATTUALITA’ LE COSE DA DIRE

Inquietante dossier dell’Agenzia di sanità pubblica

Violenza sulle donne, è allarme Nel Lazio novemila casi solo nel 2010, quasi la metà sono straniere In aumento anche le aggressioni ai minori: 930 in pronto soccorso Marta Proietti el 2010, nel Lazio 8.923 donne sono ricorse al pronto soccorso dichiarando di aver subito un’aggres-

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sione: 797 di queste donne si sono ripresentate in ospedale perché vittime di violenza.E’ quanto emerge dal workshop “Percorso

assistenziale in acuto della vittima di violenza” che il 7 aprile al San Gallicano, ha posto l’attenzione sul fenomeno della violenza sulle donne e sui bambini. La giornata – organizzata dall’Agenzia di Sanità pubblica con il patrocinio della SIMEU (Società dei Medici di Emergenza e Urgenza) ha presentato i primi risultati di un progetto formativo volto a preparare il personale ad affrontare e gestire al meglio l’assistenza alle vittime di violenza. Durante il convegno sono intervenuti il Direttore Generale dell’Asp Gabriella Guasticchi, il dg dell’Ares 118 Antonio De Santis e la Presidente della Simeu Maria Pia Ruggeri. I DATI- Le donne vittime di violenza sessuale che si sono rivolte ai servizi di emergenza sono state 115, nella maggioranza (32.5%) con età compresa tra i 25 e i 34 anni. Gli atti di violenza sessuale hanno comunque colpito le donne

Di violenza sulle donne si è parlato al workshop “Percorso assistenziale in acuto della vittima di violenza” che ha avuto luogo il 7 aprile al San Gallicano.

dai 15 ai 50 anni senza sostanziali differenze di età.Il 58% dei casi individuati in pronto soccorso riguardano donne italiane mentre le straniere sono il 42%. I BAMBINI Anche il numero delle violenze registrate sui bambini (014 anni) descrive una realtà preoccupante: nel 2010 i bambini vittime di aggressione curati nei Pronto Soccorso del Lazio sono stati 930: 96 nella fascia da 0 a 3 anni; 83 nella fascia da 4 a 6 anni; 165 nella fascia da 7 a 10 anni; 579 nella fascia da 11 a 14 anni.

S W E N E N I L ON a i t i t t e n n lio i c Co i m o d a ne o i z a m r o f n l’i



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13 ATTUALITA’ SERVIZI

Il ruolo chiave degli uomini della Croce Blu a Guidonia

“Così fronteggiamo l’emergenza” In accordo con l’Ares 118 da due anni funziona un presidio operativo 24 ore su 24 Copre un territorio con 90mila abitanti privo di strutture. Diminuiti del 40% i ricoveri a Tivoli Giulio Terzi ’è un vecchio progetto che vede coinvolti a diverso titolo l’amministrazione locale di Guidonia, l’Università La Sapienza, la Asl RmG, e che ha come obiettivo la realizzazione di un posto complesso di Primo Soccorso nell’area di Guidonia per far fronte alle emergenze sanitarie del territorio, altrimenti compresse sugli ospedali di Tivoli e Monterotondo o orientate su Roma. Un progetto aperto e ancora di estremo interesse. Ma c’è una realtà sul campo che surroga, supplisce, integra quelle esigenze. A partire dal 1° maggio 2009, la Croce Blu ha instaurato con l’ARES 118 una proficua collaborazione, grazie alla quale

C

l’Associazione è riuscita a mettere in atto un progetto ambizioso e che, nel corso del tempo, si è rivelato innovativo ed estremamente utile alla popolazione locale. La convenzione con l’ARES prevede che, presso la sede della Croce Blu in Via Casal Bianco a Guidonia, sia attiva una postazione 118 operativa 24 ore su 24 con un equipaggio formato da un’ambulanza con infermiere, autista soccorritore e due militi soccorritori a bordo, ma soprattutto un’automedica con autista soccorritore e medico a bordo. Un

servizio di questo tipo si è rivelato estremamente utile in un territorio come quello di Guidonia, che conta più di 90.000 abitanti ed è il terzo comune più grande del Lazio, ma presenta diverse carenze dal punto di vista socio-sanitario, basti pensare che non esiste una struttura ospedaliera sul territorio e che il Pronto Soccorso più vicino si trova a Tivoli. E’ stato infatti riscontrato che in caso di emergenza l’intervento di un medico specializzato sul posto rappresenta una garanzia per il paziente o il ferito, poiché la presenza di una figura professionale

Nella foto gli operatori delle ambulanze Croce Blu con il Eligio Rubeis, sindaco di Guidonia Montecelio

La SCHEDA L’associazione è nata nel 1989, da un'idea dell’attuale presidente della Croce Blu che, insieme ad un gruppo di amici decide di costituire la PA Soccorso Guidonia Montecelio, nel nome di uno spirito divolontariato, di solidarietà sociale e assistenziale: una struttura cheoperasse nel sanitario era da anni una esigenza della città, e la nascita di una PA va intesa, nelle intenzioni dei fondatori, come soluzione a questa lacuna. Fu in effetti una grossa novità per la città: fin dalla sua costituzione l’emergenza medico-sanitaria ha rappresentato per la pubblica assistenza l’attività principale; erano i primi passi del volontariato a Guidonia, e i servizi di primo soccorso venivano prestati gratuitamente su tutto il territorio della provincia nordest di Roma. La struttura di Guidonia aderisce all’ANPAS nel 1990 con il nome di Pubblica Assistenza Soccorso Guidonia Montecelio, e, grazie alla solidarietà di una delle associate, riceve la prima ambulanza, una Fiat 238 inaugurata con il nome di GM 1, dove GM sta per Guidonia Montecelio e diventa, con l’ampliamento del parco mezzi, un simbolo di appartenenza alla città di nascita e di distinzione dalle pubbliche assistenze circostanti. L’iscrizione all’Albo delle associazioni di volontariato è stato un

passo importante per l’evoluzione della Pubblica Assistenza, che inizia ad uscire fuori dai confini comunali. Prova di questo è ciò che accade nel 1996, quando nel Lazio viene istituito il Comitato Regionale ANPAS, e il Presidente dell’associazione ne viene eletto alla Presidenza. Nello stesso anno viene acquistata la prima automedica, prima anche nel Lazio, e nel 1997 con il Decreto n. 306 del 21/02/97, la Regione Lazio autorizza la Pubblica Assistenza al tra-

sporto infermi. Nel 1998 viene stipulata una convenzione con il Comune di Guidonia Montecelio per il trasporto dei bambini disabili nelle scuole. Nel 1999 viene concesso un contributo regionale per la realizzazione del progetto Bed and Breakfast e per la costituzione della Casa Alloggio Millefiori: con il contributo dei volontari vengono ristrutturati i locali destinati al progetto, terminati nel periodo del Giubileo ed utilizzati come accoglienza per i pellegrini dell’Anno Santo.Il periodo tra

di questo tipo dà maggiore sicurezza al malato. Inoltre, è possibile risolvere molti interventi sul posto, senza dover trasportare il paziente all’ospedale: in questo modo si riducono le attese e gli intasamenti presso i P.S. - soprattutto quello dell’Ospedale di Tivoli – e si è riscontrata una diminuzione sensibile dei ricoveri che si aggira intorno al 40% in meno.

2009-2010

In particolare, durante il 2009, il medico dell’automedica, su 1015 emergenze (codici verdi/ bianchi), ne ha trattate 412 sul posto. Le restanti 603 emergenze di codici bianchi e verdi si possono trattare direttamente sul posto di primo soccorso. Riassumendo, una sola postazione di 118 composta da ambulanza e auto medica che effettua in un anno 2575 soccorsi, garantisce che ben il 60% - 1545 pazienti - non transiti attraverso i pronto soccorso degli ospedali.

Interventi ambulanza

1343

Codice rosso

320

Codice giallo

420

Codice verde

460

Codice bianco

143

Interventi auto medica

1232

Codice rosso

255

Codice giallo

565

Codice verde

362

Codice bianco

50

il 2000 e il 2005 è per l’Associazione di fortissima crescita. Il parco mezzi è cresciuto notevolmente e si sviluppano le attività nei confronti dell’Azienda Sanitaria locale RM/G.L’Associazione è pronta per

Nell’ex mattatoio la centrale operativa Uomini e mezzi sempre a disposizione La sede si trova nell’area dell’ex-mattatoio del comune di Guidonia Montecelio. In accordo con il Comune, l'Associazione ha portato avanti un progetto per il recupero della struttura che, da completo stato di abbandono, è stata ristrutturata ed ampliata e si trova ora ad ospitare, oltre alla sede operativa, anche una casa alloggio a disposizione della collettività, in particolare di quanti si trovino in uno stato di disagio. La struttura è suddivisa in diverse aree adibite a specifiche funzioni: una Centrale Operativa, aperta tutti i giorni, 24 ore su 24 ore; una Segreteria Operativa, aperta dal lunedì al sabato, dalle ore 8.00 alle ore 13.00; la Casa Alloggio Millefiori, con 11 camere, di cui 2 per disabili, una saletta per la colazione e un’ampia cucina; una Sala Militi a disposizione dei volontari e dei soci che si trovano a prestare il loro servizio; un magazzino per custodire attrezzature, vestiario e materiale sanitario; una officina per le prime riparazioni e la manutenzione dei mezzi; un’ampia sala utilizzata per i corsi di formazione e lo svolgimento di eventi legati alla vita dell’associazione stessa. Per l’espletamento dei servizi di tipo sanitario e sociale, l’associazione dispone di un parco macchine di 38 mezzi: 1 Ambulanza con un sistema di telecontrollo e monitoraggio a bordo, 9 Ambulanze di tipo A (Unità Mobile di Rianimazione), 7 Ambulanze di tipo B (Ambulanza da Trasporto), 1 Ambulanza veterinaria , 12 Automediche, 6 Pulmini per trasporto disabili, 2 Auto per Servizi Sociali.

impegnarsi nel trasporto dei dializzati, nel servizio di navetta interospedaliero, nelle convenzioni stipulate con enti privati della città: impegni quotidiani, resi possibili grazie alla disponibilità dei volontari. Nell’Assemblea Straordinaria del 4 Marzo 2005 l’Associazione delibera una campagna di rinnovamento della propria immagine.Obiettivo della campagna è rafforzare l’identità associativa: nasce appunto la Croce Blu, dalle ceneri di quello che era il Soccorso Guidonia Montecelio, conservandone tuttavia il nome ai soli fini legali. La Croce Blu intende andare incontro ai cittadini grazie ad una comunicazione più curata ed efficace, e creare una maggiore riconoscibilità dell’associazione sul territorio per distinguersi da altri operatori che operano nello stesso settore. Una evoluzione che ha portato numerosi cambiamenti, nella gestione del personale, che diventa sempre più qualificato, nel numero di mezzi a disposizione, che cresce insieme al numero dei servizi effettuati; nei campi di azione, sempre più numerosi ed eter


14 Anno I numero 1

ATTUALITA’

aprile 2011

INCHIESTA Sorpresa, negli affollatissimi centri commerciali della capitale manca un presidio sanitario

Il medico? Non c’è, chiami l’ambulanza Solo una delle strutture visitate è "coperta". Eppure in aree frequentate ogni giorno da decine di migliaia di persone non ci si dovrebbe affidare alla sorte Claudia Di Lorenzi Attenzione! Avviso alla clientela: se fra i presenti c’è un medico è pregato cortesemente di recarsi con urgenza in infermeria, al piano terra. Ripeto: un medico è pregato di recarsi con urgenza in infermeria al piano terra”. La voce metallica dell’altoparlante irrompe nel vociare

confuso dei padiglioni affollati: ha un tono allarmato e ansiogeno, e turba all’improvviso la piacevolezza di un momento di svago. Siamo in uno dei più noti e popolati centri commerciali della capitale, in un tranquillo pomeriggio del fine settimana, quando giovani e meno giovani, e numerose famiglie con pargoli al seguito, approfittano del tempo libero per fare acquisti. Fra i colori squillanti e il luccichio delle vetrine, il sottofondo della musica in diffusione, e il profumo leggero dei vicini caffè, il mondo all’esterno quasi scompare ed è facile arrendersi alla fascinazione del

luogo, per lasciarsi cullare in uno stato di dolcissima, inconsapevole, trance. Ma la richiesta pressante richiama l’attenzione, e il paese dei balocchi si trasforma in un luogo di pericolo. Il messaggio, implicito, è chiaro: qualcuno sta male e non c’è nessuno in grado di soccorrerlo. Difficile a credersi ma è cosi: in un centro commerciale così grande, aperto al pubblico e frequentato giornalmente da centinaia di persone, che si aggiungono ai tanti che a vario titolo compongono lo staff, non esiste un punto di primo soccorso che possa fronteggiare le

Spesa sanitaria, in vigore le nuove regole per l’esenzione Dal 1 aprile 2011, a seguito del DPCM del 11 Dicembre 2009,sono cambiate le regole per ottenere l'esenzione dalla quota di compartecipazione alla spesa sanitaria per condizione economica. I criteri che danno diritto all'esenzione per reddito restano gli stessi, cambia solo il loro metodo di rilevazione. Il codice di esenzione sarà apposto sulla ricetta direttamente dal medico che effettua la prescrizione in base ai dati comunicati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze. I cittadini non presenti in elenco, che possiedono i requisiti che danno diritto all'esenzione ed in ogni caso per l'esenzione E02 (stato di disoccupazione), dovranno effettuare l'autocertificazione,presso gli sportelli esenzioni della propria ASL di appartenenza. Nella fase di impianto del nuovo processo, ossia fino alle prescrizioni effettuate in data 30 giugno 2011, sarà possibile per il cittadino in possesso dei requisiti di legge, continuare ad apporre la firma sulla ricetta. Dal 1 luglio 2011, non saranno più accettate ricette riportanti la firma del cittadino come autocertificazione.

emergenze. Né tanto meno un medico o degli infermieri a disposizione della clientela. Uno spaccato ideale quello che abbiamo appena raccontato, ma del tutto verosimile. E la conferma viene dagli stessi operatori dei centri. “Qui un pronto soccorso non c’è – ci dice dall’altro capo del telefono la signorina addetta al call center dell’Ikea di Porte di Roma – però i ragazzi della sorveglianza hanno fatto un corso di primo soccorso”. Magra consolazione, viene da pensare. Ma basterà? Di certo no, se i sorveglianti dell’Ikea si comportano come quelli di Euroma2, che pur avendo il fatto il corso, “se necessario”, si limitano a “chiamare l’ambulanza”. E nemmeno serve avere nel centro un’infermeria se “non c’è nessun medico a presidiarla”. Va ancora peggio poi se ci si sente male alla Romanina, perché li – ci dice anche stavolta la vocina del “front-office” – non solo “non c’è nessun pronto soccorso”, ma “i vi-

gilanti non hanno fatto corsi e comunque non si prendono la responsabilità di soccorrere qualcuno”. Solo il Parco Leonardo pare al riguardo ben equipaggiato: qui – non crediamo alle nostre orecchie -“il presidio medico c’è”. Sarà forse perché, in realtà, il centro commerciale, il più grande d’Italia, è inserito in un vero e proprio parco, per 160 ettari, una città nella città, con i suoi 10mila metri quadrati di negozi, cinema, ristoranti, alberghi, uffici, centri wellness, abitazioni, e decide di migliaia di visitatori al giorno: insomma, qui doveva esserci per forza. Ma la scoperta non ci soddisfa: vorremo poter frequentare anche tutti gli altri centri con la tranquillità che garantisce la presenza di un presidio medico. D’altronde ad appellarsi alla legge non ci si guadagna di più. La normativa al riguardo è alquanto lacunosa, né è stato facile ottenere chiarimenti interpellando i cosiddetti “esperti” in materia, nel mondo della sanità e fra le agenzie di in-

tervento pubblico. Se esiste una normativa chiara che precisa i criteri di sicurezza, in ambito medicosanitario, nel contesto di grandi eventi pubblici – la cui gestione è affidata alla protezione civile - come concerti, raduni, manifestazioni sportive o eventi che prevedono la presenza di grandi masse, con l’obbligo ad esempio di predisporre mezzi di soccorso mobile, ambulanze ed eliambulanze, squadre sanitarie, di allertare gli ospedali vicini e assicurare interventi primari di triage e medicalizzazione, non c’è traccia di una regolamentazione che imponga le stesse misure in quelle immense “cattedrali del consumo” che sono i centri commerciali. Nessun vincolo per la sicurezza a cui richiamare i manager delle strutture, almeno stando ai dati disponibili. A guardar bene però se una legge chiara ci fosse, forse sarebbe ancora più preoccupante, perché vorrebbe dire che nessuno, o quasi, la rispetta. E nessuno, o quasi, la fa rispettare.

Asp, Comitato scientifico arriva il nuovo presidente Nella foto il presidente dell'Asp, il senatore Lucio D'Ubaldo (Partito Democratico)

Qualcosa si muove in casa Asp, dopo mesi di immobilismo politico e gestionale. Il regime di prorogatio ad libitum degli organi direttivi potrebbe essere al suo epilogo. In questi giorni nel programma all'esame del Consiglio regionale in fondo, ma proprio in fondo alla lista c'è la designazione dei nuovi membri del cda dell'Agenzia. Un segnale di riscatto dopo mesi di attesa? Il presidente D'Ubaldo non scalpita più per lasciare la poltrona e tace. Intanto all'Asp è in programma la nomina del presidente del rinato - sotto tutti i punti di vista - comitato tecnico scientifico- nel quale sono appena entrati a pieno titolo gli ex presidenti dell'Agenzia. Obiettivo dell'operazione è rendere il comitato uno strumento operativo di eccellenza e non una velleitaria passerella come è stato fin qui.


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15 ATTUALITA’ L’INTERVISTA

Parla Massimo Di Venanzio, ginecologo presso la Casa di cura privata accreditata Villa Pia di Roma

Endometriosi, subdolo male Una patologia benigna ma particolarmente dolorosa che colpisce il 10% delle donne in età riproduttiva. Stretto rapporto con l'infertilità

Nella foto il dottor Massimo Di Venanzio, ginecologo presso la Casa di Cura privata accreditata Villa Pia.

i è tenuta a marzo la Settimana Europea della Consapevolezza dell’Endometriosi. Un’occasione per fare il punto su una patologia ancora poco conosciuta ma che colpisce un numero crescente di donne. Ne abbiamo parlato con il dr. Massimo Di Venanzio, ginecologo presso la Casa di Cura privata accreditata Villa Pia, in Roma. Professore, anzitutto, molte donne non conoscono l’endometriosi. Vuole spiegarci di cosa si tratta? Si tratta di una patologia benigna estrogeno-dipendente caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale funzionante al di fuori della cavità uterina. Se l’endometrio si trova localizzato all’interno dello spessore miometraile (la parete muscolare del corpo uterino) si parla di “Adenomiosi” o “endometriosi interna”. I nuovi criteri di stadiazione dell'American Society for Reproductive Medicine si basano sulla sede degli impianti, sulla presenza di endometriosi superficiale o profonda e di aderenze sottili o spesse. La patologia si esprime secondo quattro stadi: lo stadio I mostra una intensità minima, con pochi impianti di tessuto endometriosico superficiali; lo stadio II è riferito ad una forma lieve, con diversi impianti leggermente più profondi; lo stadio III corrisponde ad una forma moderata della patologia, con molti impianti profondi e/o piccoli endometriomi ( masse cistiche ovariche> 2-3 cm) su una o entrambe le ovaie; infine lo stadio IV esprime la patologia nella sua forma più grave, con molti impianti profondi, voluminosi endometriosi su una o entrambe le ovaie e alcune aderenze strette talvolta con il retto che aderisce alla faccia posteriore dell’utero. Quali sono le cause e i fattori che favoriscono

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l’insorgenza della patologia? Molte teorie hanno cercato di spiegare il meccanismo della malattia. Le varie ipotesi affermano che l’endometriosi si stabilirebbe per il reflusso tubarico di sangue mestruale, per la presenza di cellule di residui embrionali ( E. congenita), per disseminazione per via ematica, per disseminazione chirurgica, oppure a causa di una predisposizione genetica (l’ereditarietà, tuttavia, non supera il 7-8% dei casi) o infine per patogenesi autoimmunitaria. Quanta parte della popolazione femminile colpisce? Circa il 10% di donne in età riproduttiva, ma è importante sottolineare che questa è solo una stima approssimativa in quanto troppo spesso la diagnosi di malattia endometriosica giunge in maniera del tutto casuale in pazienti asintomatiche. Basti pensare che è stato stimato che il 25-50% delle donne infertili abbia un'endometriosi. E’ possibile una diagnosi precoce dell’endometriosi? La diagnosi precoce è auspicabile nelle pazienti che presentino una sintomatologia correlata alla malattia: principalmente dismenorrea (dolore pelvico moderato/severo in fase perimestruale), dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), stitichezza severa e dolore alla defecazione. La presenza di questi segnali obbliga il clinico ad intraprendere un percorso diagnostico mirato con un approccio di primo livello rappresentato dall’ecografia trans vaginale e dal dosaggio sierico di un markers tumorale piuttosto sensibile come il

CA125; un approccio di II livello è,invece, rappresentato dalla Risonanza Magnetica pelvica. E sul fronte della prevenzione, cosa si può fare? Non esiste una prevenzione Si può guarire? Quali terapie? La malattia endometriosica è, per definizione, una patologia cronica. Il trattamento deve essere individualizzato sulla base dell’età della paziente, dei sintomi, del desiderio di una gravidanza e dell’estensione della patologia. Le opzioni mediche includono la soppressione farmacologica della funzione ovarica per arrestare la crescita e l’attività degli impianti endometriosici: analoghi del GnRH, contraccettivi orali, progestinici, Danazolo. Le opzioni chirurgiche, invece,prevedono la resezione della maggior parte di tessuto endometriosico preservando il più possibile tessuto sano nella paziente desiderosa di prole. Nella paziente di età più avanzata non desiderosa di prole si può ipotizzare un approccio più radicale sicuramente più risolutivo. Per entrambi il gold standard ad oggi è rappresentato dalla Laparoscopia. Quali implicazioni psicologiche per la donna? Il dolore pelvico cronico è una condizione debilitante e demoralizzante per la donna affetta da endometriosi; quando a questo si aggiunge una gestione non ottimale della patologia, generata da scarsa informazione, dalla sottovalutazione della stessa o da una scarsa empatia del clinico, il senso di frustrazione da parte della paziente diventa predominante e invalidante. Quante pazienti sono trattate per endometriosi ogni anno a Villa Pia? Pur non essendo un centro di riferimento di III livello per la malattia endometriosica nell’anno 2010 io e la mia equipe abbiamo operato circa 100 donne, di queste circa il 30 % risultava affetta da endometriosi di IV stadio, la più estesa. Che tipi di intervento sono praticati? L’ 80% degli interventi sono stati effettuati mediante un approccio laparoscopico, il restante per via laparotomia (laddove le pazienti presentavano nella propria storia anamnestica diverse laparoscopie o patologie infiammatorie pelviche che avevano generato aderenze importanti tra gli organi addomino-pelvici tali da impedire l’intervento laparoscopico). In che misura endometriosi e sterilità risultano collegate? Circa il 35% delle donne con endometriosi risulta

sterile. La sterilità è per lo più dovuta alle aderenza peritubariche e periovariche ( con un aumento del rischio di insorgenza di gravidanza extrauterina), alle dislocazioni del padiglione tubarico, che impediscono la captazione dell’ovocita oltre che ad una ridotta riserva ovarica, conseguente all’escissione chirurgica per l’eradicazione della patologia stessa. Inoltre risulta implicata anche una modificazione dell’endometrio che diventa più ostile all’annidamento dell’embrione. I risultati di molte ricerche hanno fatto ipotizzare che l’endometriosi sia dovuta ad un’alterazione del sistema immunitario. Si afferma che gli impianti di endometrio ectopico avrebbero un forte potere antigenico per cui si formerebbero anticorpi antiendometrio sia a livello uterino, sia nel siero, sia nel fluido peritoneale. Tali anticorpi possono interferire sulle possibilità dell’embrione di impiantarsi nell’utero e forse anche sulla possibilità dello spermatozoo di fecondare l’ovocita e/o sulla vitalità dell’embrione nelle primissime fasi del suo sviluppo. Il richiamo alla “consapevolezza” della Settimana di eventi sull’endometriosi, dal 13 al 17 marzo, nasce dal fatto che si tratta di una patologia poco conosciuta. Come mai? Poco conosciuta in quanto l’endometriosi è una patologia subdola, con un’ampia gamma di sfumature sintomatologiche, talora eclatanti ma più spesso sovrapponibili ad altre patologie addominopelviche, talora completamente silenti. Basti pensare che in molti casi, sempre più spesso, l’endometriosi viene diagnosticata solo in corso di laparoscopia diagnostica effettuata per una sterilità della paziente sine causa. Il richiamo alla consapevolezza dell’endometriosi è fondamentale anche e soprattutto per far si che non venga più sottovalutata come in passato e perché venga garantita un’adeguata attenzione alla donna che ne è affetta. Al IV Congresso internazionale sull'endometriosi svoltosi a Roma gli esperti hanno proposto di dare vita a linee guida per la diagnosi precoce e la cura dell'endometriosi e di creare "centri di eccellenza" che offrano alle pazienti informazioni corrette ed aggiornate affrontando la patologia con un approccio multidisciplinare. Il presidente del congresso Sebastiano Campo ha ribadito che l’equipe dei medici deve comprendere un ginecologo, uno psicologo, uno specialista del dolore, un urologo, un chirurgo, uno specialista della fertilità e un fisioterapista. C.D.L.


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ATTUALITA’

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L’INCHIESTA Il calo di pazienti non si arresta e gli odontoiatri corrono ai ripari

La carica dei dentisti low-cost Da Tor Vergata al Cristo Re: aumentano gli accordi tra liberi professionisti e Asl Ma l’Andi attacca: “Quando i prezzi sono troppo bassi la qualità è a rischio” Il 91% degli italiani si rivolge ad un libero professionista, solo l'8% ad un dentista pubblico

Lorenzo De Cicco a chiamano “sindrome della poltrona vuota”. La poltrona in questione è quella degli studi dentistici, sempre più desolati negli ultimi anni a causa della crisi economica. Per provare ad uscire dall’empasse gli odontoiatri di tutta Italia hanno iniziato a stipulare delle convenzioni con Asl e ospedali, accordi “storici” se si pensa che fino ad oggi l’unico settore non coperto dal Servizio sanitario nazionale è proprio quello delle cure odontoiatriche, con il 91% degli italiani che si rivolge ad un libero professionista. Ma la crisi ha costretto a cambiare i costumi. Le statistiche dicono che un italiano su cinque ha rinviato la visita dal dentista e allora gli odontoiatri sono corsi ai ripari: convenzioni con le strutture pubbliche, tariffe più basse (anche del 40%) e bacino d’utenza notevolmente ampliato. Gli accordi hanno preso piede anche nella Capitale: Villa Timperia, il Cristo Re, Tor Vergata, e Fate Bene Fratelli tanto per fare qualche esempio. Ma non tutti sono d’accordo. “In molti casi i prezzi che si pagano negli ospedali pubblici sono simili a quelli

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dei privati,a volte persino più alti – spiega Brunello Pollifrone, presidente dell’Associazione dentisti di Roma - Perché nelle strutture pubbliche si applica un tariffario standard, mentre quando ci si rivolge ad un libero professionista c’è un rapporto anche personale con il cliente. Se uno deve fare un’operazione complessa, il prezzo non corrisponde alla sommatoria dei costi dei singoli interventi”. Secondo il numero uno dei dentisti capitoliio il cosiddetto “low cost” non esiste. “E’ una presa in giro – attacca- Noi come associazione siamo contrari. Ho avuto anche una denuncia dai vertici del Cristo Re per aver affermato che gli sconti non sempre garantiscono la qualità. Gli impianti infatti hanno un prezzo, se si vogliono fare saldi del40% si rischia di inficiare la qualità dei prodotti, acquistando impianti sotto costo. Ora ne dovrò rispondere all’Ordine dei medici”. Insomma, secondo Pollifrone, quando il prezzo è stracciato c’è da insospettirsi. “Io so di qualche collega che va acomprare le strutture a Porta Portese. Ma se il cliente vuole la qualità deve spendere di più. Chi scende al di sotto dei prezzi standard, non può garantire un lavoro rigoroso. Sono regole di mercato”.

Le manovre attorno al centro chirurgico multidisciplinare del VI Municipio

Difendiamo il S.Caterina Della Rosa dalle cattive idee Francesco Storace, governatore all’epoca della realizzazione del centro

el VI Municipio di Roma (PrenestinoCentocelle) agisce da poco più di un anno il Centro Chirurgico Multidisciplinare S.Caterina Della Rosa. E’ in una zona “rossa”, anzi considerata la più a sinistra di tutto il comune di Roma. Per questo, qualcuno sta pensando di chiuderlo, per “punire” la popolazione, colpevole di aver votata compatta per Rutelli, contro Alemanno. Ma come, quando tutti, da Fazio alla Presidente Polverini, vanno proclamando lo spostamento di risorse dagli ospedali al territorio, con notevoli risparmi e sicuri vantaggi per gli utenti, ecco minacciare una pesante quanto iniqua e ridicola ritorsione! Il Centro in questione, autorizzato formalmente il 18 gennaio 2010 (Giunta Marrazzo, reggenti Montino-Morlacco) ha nel frattempo operato circa 1200 pazienti, dei quali la metà per interventi di chirurgia giornaliera (day-surgery) varia (120 varici arti inf., 80 interventi OTRL, 400 di chirurgia generale) ed il resto, udite udite, per interventi di terapia del dolore. Sì, perché lì agisce anche uno spoke della rete del dolore cronico nella Regione Lazio, l’unico autorizzato sul territorio, che è considerato dal prof. Fanelli , coordinatore nazionale della Commissione per il Dolore e

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l’applicazione della legge 38, un modello da esportare. E pensare che tutto questo nasce ben prima della Giunta Marrazzo, da un’idea dell’allora Direttore Sanitario della RMC, Francesco Vaia, che per primo intuì la necessità di rapportarsi con il territorio per un sistema di terapie applicabili a basso costo ma ad alto impatto di efficacia proprio sotto casa dei potenziali pazienti. Era governatore allora Storace ed il Direttore Generale della ASL non seppe prendere in considerazione l’attuazione di questo progetto. Al S.Caterina non si fanno soltanto interventi chirurgici o terapie del dolore invasive: sono state anche effettuate in circa 13 mesi 4300 prestazioni ambulatoriali di terapia del dolore, 2500 prestazioni ambulatoriali chirurgiche e ben 799 visite flebologiche. Il tutto con poco personale anestesiologico e con alcuni chirurghi, di cui soltanto uno a tempo pieno. Un contatto ravvicinato è stato istituito con i medici di famiglia del Distretto, nell’ottica di una sempre più vicina collaborazione. Se questi sono i numeri, se alto è il gradimento da parte dei residenti ed anche di cittadini fuori circoscrizione (compresi alti prelati del Vaticano!), a chi gioverebbe la chiusura di tale Centro? Qualcuno dice che gioverebbe alle case di cura private della

zona, altri che ci sarebbero le pressioni di un chirurgo (o angiologo?) frustrato, ma l’ipotesi che più si fa strada è quella della “ritorsione” politica. Argomento assurdo, che comunque potrebbe trovare una semplice soluzione politica: il 29 ottobre 1975 un ragazzino di 16 anni, Mario Zicchieri, detto “cremino”, viene assassinato in via Gattamelata (non lontano dal S.Caterina della Rosa): era un giovanissimo attivista del MSI, uno delle tante vittime di quegli anni. Perché il prossimo 29 ottobre il Presidente Polverini, assieme al ministro Fazio ed anche ai due “numi tutelari” della struttura, il prof. Fanelli ed il prof. Zangrillo (quest’ultimo di recente nominato Vice-Presidente vicario della Commissione Ricerca del Ministero della Salute) non inaugura il Centro Chirurgico Multidisciplinare “Mario Zicchieri”, potenziato nel frattempo di attrezzature (che al momento vengono accuratamente contingentate dalla RMC) e di personale, soprattutto paramedico? Sarebbe una risposta civile ed anche doverosa ai bisogni della popolazione ed anche un messaggio politico ben comprensibile: la regione del Governatore Polverini è quella del fare e dello stare dalla parte dei cittadini. “Io vi ho a cuore” non sia soltanto uno slogan da cartellonistica, ma questa ne divenga una dimostrazione. Il Narratore


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La sanità del Sud è anche tecnologie avanzate e cure all’avanguardia

Il cuore di Neuromed la ricerca Ilaria Pucci ell’immaginario comune si pensa che la sanità del Sud Italia abbia delle carenze ataviche e insanabili di tipo strutturale: Neuromed esprime l’opposto non soltanto nella clinica, ma soprattutto nel settore della ricerca. Questo tema è sempre più attuale se si pensa che proprio il triennio 20112013 vede come primario obiettivo il rilancio della ricerca made in Italy. La ricerca è per Neuromed il motore della dinamica scientifica, indispensabile per approfondire ed ampliare la conoscenza e per offrire ai pazienti cure all’avanguardia. Neuromed infatti utilizza il metodo traslazionale, uno scambio continuo di informazioni tra laboratorio e attività clinica, che consente un’assistenza eccellente e tempestiva. I progetti in corso sono tesi a individuare le basi molecolari e genetiche per la diagnosi e cura delle malattie del sistema nervoso centrale e periferico. Al Neuromed si utilizzano le nuove tecnologie per la messa a punto di metodi diagnostici innovativi, per le tecniche chirurgiche sempre più all’avanguardia e per verificare l’efficacia clinica di nuovi farmaci. La struttura del Parco Tecnologico del Neuromed, ubicata in

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Località Camerelle a poca distanza dalla clinica, ospita diversi laboratori per la ricerca scientifica. Gran parte del bilancio del Neuromed è dedicato al finanziamento di progetti finalizzati allo studio delle neuropatologie. Numerose sperimentazioni sono possibili anche grazie al finanziamento istituzionale del Ministero della Salute e attraverso collaborazioni sviluppate negli anni con enti di ricerca nazionali ed esteri. In particolare, l’attività di ricerca si concentra prevalentemente nel campo della biologia cellulare e molecolare e in quello della neurofisiologia e della neurofarmacologia. Le linee di ricerca rivolte allo studio molecolare riguardano tematiche di indubbio interesse per la clinica, nella logica di sviluppare anche la ricerca traslazionale su argomenti che, non a caso, hanno larga rappresentazione in review articles, nelle riviste mediche generali e biotech di maggiore rilevanza. Risultati significativi sono stati ottenuti a seguito della patogenesi genetico-molecolare delle malattie vascolari e di studi di diagnostica e caratterizzazione molecolare di neoplasie del SNC, di studi epidemiologico-genetici e molecolari dei pazienti affetti da malattie ereditarie del SNC (Morbo di Huntington, parkinsonismo familiare ecc.), di studi rivolti alla caratterizzazione neurofisiologica dei disturbi del movimento e delle aree epilettogene.

Perché donare il 5 per mille a Neuromed

Usa, i progetti di Pozzilli conquistano il paese-simbolo dell’avanguardia

Cinque i lavori selezionati dalla Società Americana di Neuroscienze progetti di ricerca dei i ricercatori del Neuromed sono stati segnalati alla stampa scientifica americana a San Diego (USA) durante il congresso annuale della Società Americana di Neuroscienze, dove ogni anno si riuniscono più di 30.000 ricercatori provenienti da ogni parte del mondo che presentano i risultati delle loro ricerche sulla fisiopatologia del sistema nervoso centrale e periferico. Ben 5 gli abstract dei ricercatori del Neuromed selezionati per “l’estremo interesse e per l’attualità dei risultati presentati”. Quindi non solo ottimi risultati per i ricercatori del Neuromed ma anche grande capacità di essere al passo con i tempi. Tre i poster che hanno avuto come oggetto la “Sclerosi Multipla” : Beneficial effect of mGlu4 receptor activation on animal models of experimental autoimmune encephalomyelitis on DA rats and experimental autoimmune neuritis in Lewis rats (Effetti benefici dell’attivazione dei recettori mGlu4 in modelli animali sperimentali di encefalomielite e neurite autoimmune in ratti).

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mGlu4 receptor-like immunoreactivity in the cerebrospinal fluid of patients with multiple sclerosis and mice with experimental autoimmune encephalomyelitis (Immunoreattività per i recettori mGlu4 nel liquor di pazienti con Sclerosi Multipla in topi con encefalomielite autoimmune sperimentale). Effects of fingolimod, an oral active drug for multiple sclerosis, on neurodegeneration/neuroprotection mechanism (Effetti del fingolimod, un farmaco attivo per via orale contro la Sclerosi Multipla, sui meccanismi di neurodegenerazione/neuroprotezione). Ricordiamo che il fingolimod è un farmaco per il trattamento della Sclerosi Multipla già presente sul mer-

Carlo ha perso i suoi ricordi: ha l’Alzheimer. Giulio convive con il tremore: ha il Parkinson. Giada deve imparare a gestire le sue crisi: è epilettica. Filippo deve operarsi: ha un tumore cerebrale. Aiuta la ricerca sulle malattie neurologiche: Dona il 5 per mille a Neuromed. Il 5 per mille è un’imposta sul reddito che le persone possono scegliere di indirizzare a sostegno della ricerca sanitaria o di altre attività sociali. Tale scelta non comporta in alcun modo un aumento delle tasse e non sostituisce l’8 per mille. Per destinare il 5 per mille del proprio reddito a Neuromed basta firmare il riquadro ricerca sanitaria

cato Italiano ed Europeo e non negli USA, dove sta per essere approvato. Il fatto che i ricercatori del Neuromed abbiamo dimostrato che tale farmaco abbia un effetto neuroprotettivo ha suscitato grande interesse in tutta la comunità scientifica. Il quarto poster presentato ha avuto invece come oggetto “il ruolo protettivo dei recettori metabotropici per il glutammato mGlu4 contro il danno ischemico cerebrale” (Protective role for mGlu4 metabotropic glutamate receptors against ischemic brain damage). I risultati hanno dimostrato che l’attivazione farmacologica dei recettori mGlu4 può migliorare la sintomatologia dopo un evento ischemico e ridurre l’entità del danno (riduzione della morte dei neuroni). Questo effetto è stato osservato anche quando la molecola è stata somministrata 20 minuti dopo l’induzione del danno cerebrale nei topi sottoposti ad ischemia cerebrale acuta, un modello sperimentale animale che simula l’ictus nell’uomo. Il quinto poster “I recettori metabotropici per il glutammato sono coinvolti nella fisiopatologia di un modello animale di sindrome di Angelman, che rappresenta un modello animale di autismo monogenico” (Metabotropic glutamate receptors are involved in the pathophysiology of the Angelman’s syndrome animal model of monogenic autism), ha presentato dati su una malattia rara, la sindrome di Angelman, che si manifesta durante l’età dello sviluppo e causa ritardo mentale e disturbi autistici. Tale patologia ereditaria (per un difetto di un singolo gene), presenta una sintomatologia complessa che comprende microcefalia, convulsioni, ridotta o assenza di linguaggio, atassia e disturbi autistici. Questa ricerca potrebbe aprire nuove prospettive per ricerche future sulla “sindrome del pupazzo felice” così definita per la tendenza che hanno i soggetti a sorridere continuamente.

presente nei moduli della dichiarazione dei redditi (Unico, 730, Cud, etc.), specificando il codice fiscale 00068310945. L’impegno di Neuromed è quello di un continuo sguardo al futuro senza dimenticare che al centro del suo operato c’è il paziente. La volontà di questa struttura è quella di offrire cure all’avanguardia e di altissimo livello nell’ambito le neuroscienze e delle malattie del sistema nervoso centrale periferico. E’ importante ricordare che la ricerca in ospedale consente di offrire ai pazienti cure innovative ed efficaci e, se incrementata, può consentire di raggiungere traguardi nuovi e significativi, soprattutto per la cura di malattie a forte impatto sociale, quali Alzheimer, Parkinson, Epilessia, Sla, Sclerosi Multipla, malattie rare.

5 per mille volte grazie Grazie per aver creduto nella nostra ricerca; Grazie per aver fatto un gesto semplice che non costa nulla ma che vale tanto. Grazie per aver acceso una speranza per coloro che giocano un’ importante partita il cui valore è la vita. Grazie per aver aiutato Maria Teresa, Antonio, Giovanna, Richard e gli altri ricercatori del Neuromed che ogni giorno lavorano per trovare cure sempre più efficaci per prevenire e affrontare le malattie neurologiche . Grazie per aver creduto che i sogni possono diventare realtà quando molte persone si impegnano per lo stesso obiettivo. Cosa è stato fatto:

I fondi che Neuromed ha ricevuto grazie alla generosità e alla sensibilità di chi ha finora destinato il 5 per mille del proprio reddito sono stati investiti in tre progetti di ricerca, tuttora in corso: 1) Impianto di una struttura per la stabulazione e lo studio di mini-pigs da adoperare per ricerche su terapie geniche e cellulari Obiettivo: sperimentare una terapia cellulare per contrastare le conseguenze dell’infarto del miocardio; con la ricerca si intende verificare se l’impianto di cellule staminali seminate su una matrice biodegradabile possa ripristinare la funzione cardiaca dopo l’infarto. 2) Analisi delle basi genetico-molecolari dell’accidente cerebrovascolare e del danno vascolare in modello ani-

mali e nell’uomo Obiettivo: identificare meccanismi molecolari da usare come target nella prevenzione e terapia degli eventi cardio-vascolari; la ricerca viene condotta in collaborazione con il Centro MDC di Berlino e con l’Università del Michigan. 3) Implementazione delle tecnologie per l’analisi del movimento nel contesto di una Rete Clinica Regionale Obiettivo: sviluppare una rete territoriale, trasferibile al livello nazionale, di Alta Specializzazione per la gestione clinico-riabilitativa di patologie neurologiche, ortopediche e reumatologiche attraverso l’analisi della postura e del movimento e delle loro variazioni rispetto a una situazione di normalità.


Nella foto gli operatori dell C.R.I. (Croce Rossa Italiana) di stanza nella provincia pontina

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QUI LATINA Licenziati per motivi di bilancio 17 autisti soccorritori

Sparano pure sulla Croce Rossa Nonostante le promesse i precari del comprensorio Sud Pontino da febbraio sono rimasti senza contratto. E ora chiedono di essere reintegrati in servizio Claudia Di Lorenzi ono dei veri e propri soccorritori, oltre che degli autisti, e sono chiamati a compiti estremamente delicati e complessi, che richiedono formazione professionale e comportano responsabilità superiori a quelle di molti altri lavori. Eppure il loro ruolo viene barattato col denaro, a discapito della qualità del servizio ma soprattutto con gravi rischi per la salute degli utenti. E’ quello che succede a Latina, nella cui Asl, da marzo, sono stati licenziati 17 autisti soccorritori, volontari dei comitati locali e delegazioni della Croce Rossa Italiana della provincia di Latina, operativi sulle ambulanze del 118 in tutta

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l’azienda sanitaria pontina, e sostituiti con personale senza competenze specifiche e con scarsa conoscenza del territorio, mettendo a rischio le attività di soccorso. Né medici né infermieri gli autisti soccorritori collaborano attivamente con il personale medico durante le attività sanitarie e hanno responsabilità circa la sicurezza dell' équipe di soccorso e la gestione delle radio-comunicazioni, non di rado intervenendo nelle stesse operazioni di aiuto. Tra i loro compiti c’è quello di controllare l'efficienza dei mezzi di soccorso e delle attrezzature sanitarie presenti, di movimentare gli infortunati e fornire supporto vitale di base, di prevedere la natura e la gravità delle lesioni. Il tutto dopo una formazione ai rischi di infortunio, allergia, contaminazione, e di malattie come tbc, HIV, epatite e

meningite e burn-out, dovendo anche di gestire l’emotività in situazioni di emergenza e tollerare alti livelli di stress nervosismo e stanchezza. Ma tutto questo passa in secondo piano se a prevalere è sempre la logica del denaro, che continua a mietere vittime nel mondo della sanità laziale, già esangue per l’attuazione del piano di rientro della sanità. A farne le spese sono stavolta i 17 autisti soccorritori, ai quali, dal febbraio scorso, è stata negata la proroga del servizio per il mese di marzo. Nonostante le promesse ricevute questi lavoratori precari (tutti di Gaeta e del comprensorio Sud Pontino) sono stati illusi circa la possibilità di una vera stabilizzazione, oltre che subito rimpiazzati. Una beffa finale che fa seguito ad altre amare sorprese. “La nostra odissea inizia nel 2006

quando alla C.R.I. di Latina viene affidata dall'Ares il servizio 118 sul territorio di tutta la provincia di Latina - ha spiegato Gianluca Pietrosanto, portavoce degli autisti licenziati in una audizione alla Commissione Sanità del Consiglio regionale del Lazio, il 22 marzo siamo stati assunti tramite una Onlus in diverse sezioni comunali della Croce Rossa, abbiamo prestato servizio sulle ambulanze in tutta la provincia, da Aprilia a Minturno. Nell'agosto del 2009 arriva il primo contratto full time, trasformato in part time con il rinnovo che doveva avvenire prima per quattro mesi, poi, mese per mese fino al definitivo licenziamento, il 28 febbraio 2011”. L’aspettativa era quella dell’assunzione, visto che questi lavoratori erano stati pian piano impiegati in turnazioni inquadrate, assieme ai dipendenti

veri e propri, e che erano disponibili h24, senza festività riconosciute, e pronti a coprire da volontari i turni lasciati scoperti dai dipendenti assorbiti, solo per ottenere ore lavorative in più ed arrivare ad uno stipendio dignitoso. Grazie all'impegno sindacale, erano riusciti ad ottenere fino al 31 maggio 2011 la proroga di un contratto che doveva scadere a gennaio, aumentando la probabilità di un inquadramento nell'organigramma al momento del rinnovo della convenzione fra C.R.I. e ARES118. Ma il recente licenziamento ha azzerato qualunque prospettiva e i diciassette autisti chiedono con forza il reintegro al servizio: si tratta di altri precari che rinnovano l’urgenza di fronteggiare il problema della mancanza di prospettive occupazionali in un territorio già duramente provato.


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Nella foto Adolfo Pipino, direttore generale dell'Asl di Viterbo

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Il rapporto dell’Azienda sanitaria e dell’Inail

Malattie professionali, è boom Aumentano del 22,6% le patologie contratte sul lavoro nel 2010 Colpiti soprattutto gli uomini (81%). Ma gli incidenti sono in calo Claudia Di Lorenzi colpire non è il dato numerico di per sé, obiettivamente contenuto, quanto il corrispettivo valore percentuale che segnala nel giro di un anno una crescita esponenziale del fenomeno. A preoccupare nella Asl di Viterbo è l’aumento significativo degli episodi di malattie professionali, registrato nel primo semestre del 2010, e confrontato sullo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato compare nell’ultimo report stilato dall’azienda sanitaria di Viterbo e parla di un incremento del 22,6% delle patologie contratte sul lavoro. Una fotografia che, per quanto preoccupante, a ben vedere conferma il trend in crescita dell’anno pre-

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cedente, raccontato ai cittadini e agli operatori sanitari all’inizio di marzo, nel corso di una presentazione pubblica del dossier 2009, realizzato dalla Asl in collaborazione con l’Inail. Per l’occasione l’azienda spiegò l’incremento numerico delle malattie professionali dicendo di aver ampliato il numero delle patologie monitorate e di aver migliorato i sistemi di diagnosi e rilevazione, ma a tutt’oggi la spiegazione pare non sufficiente. Piuttosto si tratta di un fenomeno che cresce di proporzioni nonostante l’incremento delle attività di monitoraggio e controllo degli ambienti e delle macchine di lavoro, promosso dagli enti locali per favorire la salute e l’incolumità dei lavoratori, e che la Asl dice di voler ulteriormente potenziare. Anche perché, a fronte dei dati sulle malattie professio-

nali, il report riferisce anche l’andamento degli incidenti sul lavoro, che non crescono, va detto, ma decrescono leggermente o in molti casi si mantengono stabili. I numeri nel dettagliano parlano da soli. In particolare, per ciò che riguarda le patologie professionali – si legge nel report della Asl “Nel 1° semestre 2010 si è osservato un netto incremento del numero delle segnalazioni per malattia professionale (…) rispetto a quello rilevato nell’analogo periodo del 2009”, con un aumento da 65 a 84 casi, 19 in più, che ha visto in crescita soprattutto le malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori (tendiniti, tunnel carpale, sindrome tensiva del collo), diffuse in particolare tra i lavoratori che effettuano mansioni con compiti ciclici e ripetitivi. A se-

guire – secondo una tendenza che ricalca anche i dati complessivi del 2009 - le malattie del rachide (la colonna vertebrale) e le ipoacusie da rumore, con, rispettivamente, 23 e 13 casi nei primi sei mesi del 2010. In lieve incremento anche le segnalazioni per tumore professionale (6 casi nel 1° semestre 2010, contro i 4 dello stesso periodo del 2009), mentre si rilevano anche nuove malattie respiratorie e cutanee. L’unico dato positivo, in controtendenza, è quello che riguarda gli episodi di silicosi, che dagli 11 casi del 2009 scendono ai 4 del 2010. Malattie che in generale colpiscono più gli uomini che le donne con percentuali inequivocabili: l’81% sono segnalate in lavoratori di sesso maschile. I settori professionali in cui si rileva il maggior numero di pato-

logie sono infatti quelli delle costruzioni, i servizi, le estrazioni minerali e la metalmeccanica, mentre le lavoratrici che operano nei comparti sanità e servizi sono quelle con il maggior numero di diagnosi di sospette malattie professionali. Sul fronte degli infortuni sul lavoro il dato complessivo è positivo ma non tale da suscitare entusiasmi, visto che il calo supera di poco il 5%: 62 accessi in meno per infortunio (sul lavoro, in itinere e stradale in occasione di lavoro) ai Pronto Soccorso della provincia da giugno 2009 a giugno 2010, passando da 1215 a 1153. Ma nel dettaglio crescono in percentuale gli infortuni sul lavoro, passando dall’84 al’85%. Un ultimo dato pare inequivocabile: la necessità di rafforzare i controlli in chiave preventiva.


Nella foto l'ospedale di Magliano Sabina, in provincia di Rieti, fortemente ridimensionato dai tagli del piano di rientro regionale

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Anno I numero 1 aprile 2011

QUI RIETI Dal primo del mese ha chiuso l’ospedale della Sabina

Magliano, non è un pesce d’aprile Quello che era un punto di riferimento strategico diventerà un ambulatorio Non si ferma la protesta dei residenti: “La salute prima dei bilanci” a sensazione è quella di una profonda amarezza. Come quella che si prova quando si perde una battaglia nella quale si è molto investito. Per il senso di impotenza di fronte a logiche più forti, che assestano il colpo, diritto e forte, causano una ferita, una perdita, una mutilazione. E non puoi farci niente, perché c’è chi ha potere e chi non ce l’ha. E la ragione non sempre sta dalla parte di chi ha il potere. E poi il senso dell’ingiustizia subita, per l’operato di chi, seguendo una ratio lontana, calpesta esigenze, sensibilità, aspettative. Devono sentirsi così i cittadini di Magliano Sabina, in provincia di Rieti, dopo la chiusura del loro ospedale, il “Marzio Marini”, il 1 aprile. Non uno scherzo, ma uno dei regali del piano di rientro della sanità firmato Polverini,

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che vede l’ospedale così smantellato: il pronto soccorso trasformato in punto di primo soccorso, gestito dai medici di medicina generale; chiusi i reparti di chirurgia e medicina; niente posti letto per acuti, niente ricoveri, neanche in regime d’urgenza, se non nella prima fase della riconversione stessa; per i casi gravi, che necessitano di una struttura ospedaliera vera e propria, sarà potenziata la rete d’emergenza locale (dal 1 aprile è attivo un punto 118 nei locali comunali di Stimigliano con un’ambulanza H24); una “navetta” si occupa dei trasferimenti dei pazienti bisognosi di cure, dalla struttura sabina al De Lellis, dove viene ricollocato il personale medico e infermieristico del Marini, nei servizi oggi chiusi o in carenza di organico. Lo spazio che re-

sterà a disposizione al Marini ospiterà forse i posti letto per riabilitazione, che potrebbero uscire dalla trattativa regionale, e le sale operatorie potrebbero essere destinate ad interventi a metà tra pubblico e privato. Chissà se al momento di pianificare l’intervento la governatrice si è interessata alle storie di quei cittadini della sabina, in vario modo intrecciate col nosocomio maglianese, primo sicuro approdo per ogni necessità in fatto di salute. Chissà se ai vertici della Regione qualcuno ha mai parlato con gli operatori sanitari del Marini, per farsi raccontare della fatica del lavoro quotidiano, pure vissuto in spirito di servizio e con senso di responsabilità. “Senza ospedale siamo tutti morti” era il leitmotiv delle proteste. Non una forma “estrema”

di dissenso, ma un’ipotesi in tutto verosimile. Lo confermano gli episodi accaduti in questi mesi nel Lazio dopo la chiusura o il “ridimensionamento” degli ospedali di provincia. Certo, si capisce, il bilancio deve quadrare, in qualche modo. E se l’attuale amministrazione da quelle passate ha ereditato un debito enorme nel campo della sanità la colpa non ce l’hanno gli amministratori attuali. Ma ci si chiede se al momento di riordinare le carte, dovendo porre fine agli sprechi e valorizzare le risorse migliori, proprio sugli ospedali si doveva tagliare. “Prima di tutto viene la salute”, dice un logoro detto popolare. Anche i bambini lo sanno. Ma pare che nel mondo dei grandi a volte neanche il buon senso riesca a prevalere su logiche di opportunità.

E crescono intanto le proteste: “Mentre in questi giorni c’era qualcuno che aspettava novità importanti per la sopravvivenza del nosocomio - dice il consigliere regionale del Pd, Mario Perilli - altri erano già pronti con i camioncini per cambiare insegne e diciture relative all’ospedale (..) Il dato di fatto resta uno: quello che era un punto strategico per migliaia di cittadini diventerà una sorta di semplice ambulatorio medico e un ricordo per chi ci lavorava e per chi vi ricorreva in caso di necessità”. Solo uno spiraglio è offerto dal sindaco di Magliano Graziani: incontrerò i vertici della Regione – fa sapere - che ha fatto intravedere un’apertura cui non possiamo non aggrapparci”.

DNA ITALIA Consulting srl - info@dnaitaliaconsulting.it

C.D.L.


SLazio

Nella foto l'ospedale civile "Pasquale Del Prete" di Pontecorvo, oggi a rischio chiusura

21 DAL TERRITORIO QUI FROSINONE

Respinte dai giudici le richieste del Comitato civico

Pontecorvo, il Tar boccia il ricorso A giugno il Piano di riordino azzererà i 119 posti letto e conserverà solo il punto di primo soccorso. “Ma andremo al Consiglio di Stato” e la legge è uguale per tutti allora il piano di rientro dalla sanità, targato Polverini, non è legge. E non lo è perché – perdonate l’iperbole – non è uguale per tutti. O meglio, la sua applicazione risulta più o meno rigorosa, più o meno necessaria, più o meno incontestabile al variare dei “luoghi” in cui trova concretizzazione. E accade allora che i tagli imposti alle strutture sanitarie e ai servizi offerti nel Lazio in alcuni casi vengano revocati, in altri no. Perché la governatrice nel primo caso riconosce che le analisi che hanno giustificato la decisione della chiusura, o “ridimensionamento” – che a pronunciarlo così suona più diplomatico – sono state affrettate e imprecise, non considerando la centralità di quelle strutture nell’offerta dei servizi sanitari di

S

quel particolare distretto. Mentre nel secondo caso non fa nessun “mea culpa”. Eppure anche molti dei centri di cui si conferma la “condanna” sono d’importanza cruciale in quei territori di provincia, dove nascono per servire popolazioni numerose, sparse fra i monti e le campagne, con vie di collegamento dissestate e a lento scorrimento, non di rado impraticabili. Strutture che, seppur talvolta vetuste, offrono servizi d’emergenza vitali e che pure vantano attività specialistiche di rilievo, e si configurano come i nodi di una rete altrimenti destinata a sfaldarsi. Anche perché i centri ospedalieri più vicini distano almeno trenta o quaranta chilometri. Ci si chiede allora su quali basi questi tardivi ripensamenti privilegino dei centri – e quindi una popolazione –

piuttosto che altri, quali i criteri di questo “ripescaggio” che non vogliamo credere sia solo il frutto di più intense sollevazioni di popolo. Se lo chiedono in queste settimane anche i cittadini di Pontecorvo, che stanno per perdere il loro ospedale. Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato dal Comitato civico, insieme ai comuni di Atina e Ceprano, per chiedere la sospensione del famigerato decreto 80 che intende declassare la struttura. Stavolta la Regione ha motivato il suo “no” ritenendo che non sussistano i presupposti previsti per l'accoglimento dell'istanza cautelare, giacché – si legge in una nota – “'il provvedimento impugnato sottende a scelte organizzatorie adottate(…) per il riassetto del sistema sanitario regionale, conseguente al noto

stato di dissesto finanziario e organizzativo in cui lo stesso versa”, precisando poi “che tali scelte sono insindacabili, salvo che per manifesti profili di irrazionalità o per carenze istruttorie, non evidenti nel caso di specie”.A rafforzare il messaggio è intervenuta anche l’On. Alessandra Mandarelli, consigliere regionale della ‘Lista Polverini’ e presidente della Commissione Sanità, secondo cui le scelte sull’ospedale di Pontecorvo dimostrano “che il Piano di riassetto sanitario regionale risponde esclusivamente a logiche di riorganizzazione, improntate a razionalità, correttezza, miglioramento dell’offerta globalmente considerata. (…) la sentenza del Tar sgombra il campo da qualsiasi illazione, dubbio, polemica”. Beffati due volte quindi i

cittadini di Pontecorvo, che vedranno declassato il De Prete senza poter invocare carenze istruttorie o decisioni irrazionali per salvarlo, e senza poter protestare. Entro giugno il Piano di riordino darà seguito all’azzeramento dei 119 posti letto e conserverà solo il punto di primo soccorso. Eppure l’ospedale, insieme al “Santa Scolastica” di Cassino, serve una popolazione di 140mila abitanti. Eppure con il contemporaneo ridimensionamento degli ospedali di Ceprano, Ceccano, Anagni, Arpino, Isola del Liri, Atina e Ferentino, nella provincia si allungano a dismisura le liste di attesa e l’urgenza si fa emergenza. Non resta che presentare appello contro la decisione del Tar al Consiglio di Stato. C.D.L.


22 Anno I numero 1

RUBRICHE

aprile 2011

DIETRO AI FATTI

Ospedali romani e questione morale l decadimento generale, il cupio dissolvi che si percepisce nella società italiana ha un riverbero drammatico nella sanità. In quella laziale in particolare.Non e', come facilmente intuibile ed ormai chiaro a tutti, un problema di una parte anziché dell'altra,ne' un problema solo della politica. Riguarda gli operatori, i cittadini, noi tutti. Ci dicono che in questi giorni, nei grandi Ospedali romani, viene agitata strumentalmente la questione morale. Abbiamo più volte detto da questa rubrica come nella sanità laziale si siano incontrate e scontrate varie consorterie, alcune delle quali resistono, quando non addirittura crescono, sotto il vessillo della 'moralità'. Ricordare, qui, Sciascia e' d'uopo: tutto ciò che diventa 'militante', 'professionale',.ottiene un effetto paradosso: stabilizza anziché rimuovere, con il risultato che abbiamo visto da noi: le varie lobbies politico-giornalistico-affaristiche si sono incistate ed espellono dal sistema gli elementi spuri, caricandoli, spesso, di ludibrio, di infamie. Il nemico, il diverso e' sempre, o quasi, un corrotto, un mascalzone. Molti, a Roma, conoscono i laboratori dove nascono le grandi e piccole strategie di gestione e, sopratutto, gli uomini e le donne destinati a concretizzarle eseguendo gli ordini. Le idee camminano sulle gambe degli uomini ( e delle donne...). Anche quando esse non sonoespressione di ideali ma di ben poco nobili interessi.Se tutto ciò e' vero, com'e', allora abbiamo davanti un percorso obbligato.Come spiegarsi alcune nomine nelle nostre aziende sanitarie? Ed alcuni ruoli chiave nell'ammini-

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strazione e nella politica regionale? E come si può difendere il cittadino ( il malato), l'operatore, cacciare i mercanti dal tempio? Con i farisei? Oggi, nel tempo pasquale? Questa soluzione e' assolutamente da bandire! Via i mercanti, via i farisei e coloro che agitano il dito accusatorio, sempre e a prescindere. Noi, pero', abbiamo un dovere: provarci, anche se ciò potrebbe costare, come spesso avviene, un rebound che colpisce l'innovatore, il riformista, e premia i conservatorismi, di la' e di qua, perché essi finiscono per

coincidere, come ci ricordava profeticamente Pasolini, sopratutto quando difendono interessi comuni ed inconfessabili. In questi giorni sono tornati alla ribalta alcuni protagonisti della cronaca e della politica legati all'ultimo decennio della gestione sanitaria laziale. Chi scrive, spero con il consenso dell'Editore,ritiene a questo punto assolutamente necessario un bagno di purificazione, un percorso catartico che analizzi, verifichi fino in fondo quanto effettivamente accaduto. In tempi neppur tanto lontani coloro che volevano cambiare lo status quo pagavano con la vita.Oggi si paga lo stesso, con la morte che ti infligge la calunnia, il disonore provocato, l'esposizionealla gogna. La stessa Presidente Polverini ne e' sfiorata. Ad essa ci permettiamo di rivolgere un appello accorato: se ha un sentimento di rinnovamento reale e sincero, come crediamo, lo percorra fino in fondo e non si curi degli attacchi ( di parte amica o avversa); esplori, analizzi, espella dalsistema, difenda con coraggio i suoi uomini e le sue idee, denunci i ricatti ( se vi sono) ci liberi dal tanfo e dall'olezzo del basso impero. Viceversa lasci perdere perché temiamo che il tempo di credere, obbedire, combattere sia definitivamente tramontato per lasciare strada, finalmente!, alla consapevolezza, al convincimento, alla libera determinazione. Facciamo chiarezza fino in fondo sulle giunte Storace e Marrazzo. Esploriamo i meandri, non cisoffermiamo alla superficie, dettata dai media. Ce lo chiedono i cittadini e la nostra coscienza. L’osservatore

la

Sanità Lazio del

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