Circus, un'architettura temporanea per portare la moda nel paese__parte1

*C

R I

Un’architettura temporanea per portare la moda nel paese

C U

Niccolò Ramacogi

S*

versità Iuav di Venezia

di Laurea Magistrale, hitetturaUniversità e Culture Iuavdeldi progetto Venezia Tesi di Laurea Magistrale,

no accademico 2020 / 2021 Architettura e Culture del progetto didato: Niccolò Ramacogi / 290085 Anno accademico 2020 / 2021 Candidato: Niccolò Ramacogi / 290085

atore: Prof.ssa Sara Marini Prof.ssa Sara Marini relatore:Relatore: Dott.ssa Arianna Mondin

Correlatore: Dott.ssa Arianna Mondin

*CIRCUS* Un’architettura temporanea per portare la moda nel paese

Niccolò Ramacogi

In d i c e Premessa Prologo Uno sguardo al mio contemporaneo Incursioni Scambi architettura moda Conformi Corrispondenti nella forma o nell’aspetto Spazi I luoghi della moda Circus Un mondo altro

Premessa Il presente elaborato si sviluppa in cinque capitoli. Nel Prologo si offre uno sguardo sulla contemporaneità del rapporto tra la città e la campagna, su i loro significati e su come la moda raggiunga questi luoghi, con un focus sull’era della crisi pandemica iniziata nel 2020 e non ancora terminata. Si mette in luce come la moda sia storicamente prerogativa dei grandi agglomerati urbani e che solo in un secondo momento raggiunga i centri periferici, entrando quasi in contraddizione con se stessa, considerato che spesso sono proprio quei centri i luoghi deputati alla sua produzione.

In Incursioni poichè il materiale relativo ad ogni singolo architetto affrontato è estremamente vasto e complesso, si è deciso di operare una scelta

precisa e di analizzare non il lavoro totale delle figure in questione, bensì i nessi della loro ricerca nel rapporto tra l’architettura e la moda. Vengono quindi riassunti i passaggi che caratterizzano il loro percorso rimanendo focalizzati nelle corrispondenze tra le due discipline.

Conformi si basa sull’accostamento di immagini che sono corrispondenti nella forma o nell’aspetto o nell’idea. Sono state accostate creazioni di stilisti con le architetture a cui gli stessi hanno fatto riferimento e si sono lasciati ispirare.

Spazi rappresenta una tassonomia di tutti i luoghi della moda percorrendone il processo che caratterizza il sistema. Dalla produzione delle materie prime alle tipologie di esposizione del prodotto finale.

L’elaborato prosegue con Circus, una raccolta fotografica di circhi, tende e feste paesane.

La figura del circo e della festa come luogo del riscatto, una dimesione del sogno che unisce le persone alla moda tramite una contaminazione reciproca e che si discosta, a tratti, da quelle logiche territoriali definite in Spazi. Si spezza quindi quel processo grazie a questo mondo nomade, sostenendo la necessità di abbandonare le città a favore della dispersione della moda riunificando quei saperi dei luoghi abbandonati e nascosti.

P r o l o g o

Uno sguardo al mio contemporaneo

*CIRCUS*

N

ell’anno 2020, segnato completamente dal Covid-19, molte, moltissime riflessioni sono state fatte sulla nostra esistenza, sulle città, sul sistema moda e sulla qualità della vita che la contemporaneità ci propone. È indiscusso che passare i mesi di lockdown in una residenza di campagna, con giardino e acri annessi sia stato, ed è, sicuramente più facile rispetto ad una clausura forzata in un appartamento di 30 metri quadrati in centro a Milano. Conosco persone che non lascerebbero mai la tranquillità e i grandi spazi della campagna per un appartamento in una metropoli, o chi, che viceversa, non rinuncerebbe mai a tutti quei servizi che la città offre ventiquattro ore su ventiquattro e che sono a portata di iPhone. Altri che dopo lunghi anni passati a New York, esausti della frenesia delle metro e della caccia al taxi, lasciano tutto per tornare a dormire sonni tranquilli e senza sirene, o coloro che dalla periferia non si sono mai scostati, vogliono invece catapultarsi in situazioni e dinamiche nuove. È proprio la periferia un tema alquanto delicato e trattato con attenzione. Spesso all’interno delle periferie si concentrano la mag14

*PROLOGO*

gior parte delle problematiche sociali1, è però importante mettere in chiaro che il concetto di periferia è molto labile e che essa cambia di luogo in luogo, da città a città e di stato in stato2.

Nelle Marche, mia regione di origine, i distretti industriali che rappresentano l’evoluzione di antiche attività artigianali sono organizzati nelle periferie. Non racchiudono i soliti problemi periferici, ritmi frenetici e pendolarismo, come magari è possibile riscontrare nelle periferie dell’hinterland milanese, ma al contrario, rappresentano una buona qualità della vita. La periferia “ci rinvia ad una nuova riflessione sulla società, sui suoi comportamenti e mutamenti; sulle nostre capacità di rappresentarli, comprenderli e prevederli”3. In alcuni casi è luogo dell’accusa, dove si percepisce la mancanza dei servizi sociali, 1. B. Secchi, La periferia, in “Casabella”, n. 583, 1991, pp. 20-22.

Si veda per uno sguardo d’assieme: M. Magatti, La città abbandonata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane, Il Mulino, Bologna, 2007; P. Ciorra, La fine delle periferie, in “Treccani”, 2010, https://www.treccani.it/enciclopedia/la-fine-delle-periferie_%28XXI-Secolo%29/, accesso 26/04/2021; R. Laterza, Cambiare in periferia, oltre la retorica, in “Il Corsaro”, 19/07/2016, http://www.ilcorsaro.info/in-piazza-3/cambiare-in-periferia-oltre-la-retorica.html, accesso 26/04/2021.

2. B. Cucinelli, Periferia Amabile, 15/09/2013, https://www.brunellocucinelli. com/it/periferia-amabile.html, accesso 26/04/2021. E in particolare C. Cellamare, F. Montillo, Periferia. Abitare Tor Bella Monaca, Donzelli, Roma, 2020.

3. B. Secchi, La periferia, in “Casabella”, n. 583, 1991, p. 20.

15

*CIRCUS*

di ordine, di sicurezza, di qualità, di spazi collettivi4: mancanza di senso. In altri la periferia è caratterizzata dalla tranquillità, dalla vicinanza con la natura e da un certo tipo di relazioni sociali.

Rem Koolhaas dopo aver passato anni a parlare della città e del Manhattanismo in cui considera la congestione l’unica forma di urbanizzazione in un periodo sopraffatto dalla cultura capitalistica, decide oggi di dedicarsi alla Campagna tramite una mostra interamente dedicata al Guggenheim Museum di New York.

L’elogio alla cultura della congestione di cui si parla nel libro del 1978 Delirious New York fa proprio riferimento alla vita in un mondo artificiale interamente fabbricato dall’uomo: “man-made experience, where the real and the natural ceased to exist”5. Questo significa vivere nella fantasia: “a 4. C. Cornevin, Banlieues: des tensions persistent, la polémique enfle, in “Le Figaro”, 23/04/2020, https://www.lefigaro.fr/actualite-france/banlieues-des-tensions-persistent-la-polemique-enfle-20200423, accesso 29/06/2021; G. Lamperti, Palermo/Periferie, la fotografia come cura per la città, in “Domus”, 3/06/2021, https://www.domusweb.it/it/citta-sostenibili/gallery/2021/05/27/ la-periferia-come-trasformazione-nelle-immagini-del-progetto-fotografico-palermo7peri.html, accesso 29/06/2021; Roma, tredici arresti nell’ultima settimana in periferia per droga, in “Leggo” , 7/06/2021, https://www.leggo.it/italia/roma/roma_13_arresti_ultime_notizie-6005948.html, accesso 29/06/2021; R. Moore, With the Good Life over, how can suburbia regain its place in the sun? in “The Guardian”, 10/07/2016, https://www.theguardian.com/cities/2016/ jul/09/suburbs-architecture-stagnation, accesso 29/06/2021; 5. R. Koolhass, Delirious New York, The Monacelli Press, New York, 1994, p. 10.

16

*PROLOGO*

world [which] is completely fabricated by man, so that it absolutely coincides with his desires”6.

La campagna, invece, rappresenta come territorio l’alternativa alla condensata vita urbana, riscattando l’artificio attraverso la natura. Oggi Koolhaas considera la città come morta, o meglio, definisce la città come “predictable accumulation of roads, towers, icons” e che “there is nothing fundamentally new to experience in urban life... Today even a ‘new’ city is familiar. [...] As soon as we leave the urban condition behind us we confront newness and the profoundly unfamiliar”7. Koolhaas affrema che la città negli ultimi trent’anni non si è più sviluppata ed è rimasta capital-oriented. L’architetto sostiene infatti che “at most, ‘we’, have appended politically correct sensitivities about colonialism, race, and gender to its basic premise”8. Si dedica perciò alla campagna, questo ignored realm studiandolo e comprendendone le sue forme, le sue trasformazioni e i suoi significati. Tuttavia la campagna è sì un luogo in trasformazione, un luogo di possibile rinascita e uno spazio immenso capace di ospitare i pensieri più evoluti, ma lo è anche la città, ora, domani e lo sarà per molto altro 6. Ibid., p. 293.

7. R. Koolhass, Countryside? A Report, Taschen, New York, 2020, p. 2.

8. Ibid., p. 2.

17

*CIRCUS*

tempo ancora. La città non è finita, non è morta.

Altrimenti perchè Countryside, The Future, inaugurata all’inizio della pandemia, è stata allestita all’interno del Guggenheim Museum di New York e non in una fattoria del Maryland? È finita per coloro che per anni e anni hanno avuto a che fare con le città e i suoi dinamismi, delle frenesie e dei continui impulsi che aumentano l’esposizione alla schizofrenia.

Ma la città non è solo questo. È un luogo in continua evoluzione con un continuo ricambio di anime. È lieta di ospitare chi non ha avuto ancora la possibilità di viverla, è ricca di stimoli e di esperienze, di spinte e di rallentamenti.

La città è “sempre fondata da gente in movimento”9 pertanto tende sempre di più a svilupparsi e rafforzarsi connettendosi con nuove porzioni di territorio. “The dialectic between city and countryside fundamentally defined the meaning of each”10, infatti la città non è niente senza la campagna, e la campagna non esisterebbe senza la città.

Il concetto di campagna, periferia e città, cambia, appunto, a seconda di chi si è, da dove si proviene e dove si va. Chi lascia la periferia o le campagne per muoversi nei grandi centri o nelle metropoli 9. R. Koolhass, Junkspace, Quodlibet, Macerata, 2006, p. 37.

10. R. Koolhaas, Countryside... cit., p. 2.

18

*PROLOGO*

sognerà poi sempre di tornare; chi rimane, invece, avrà sempre il desiderio di andarsene. L’una non può vivere senza l’altra. Le periferie e le città siamo noi, sono dentro di noi e fanno parte di noi.

In una situazione come quella che abbiamo attraversato e che stiamo in alcuni modi ancora vivendo, siamo stati costretti a riorganizzare la nostra routine e a stare per la maggior parte del tempo in casa, anche il sistema moda è stato attaccato, sia a livello economico su tutta la filiera produttiva, sia a livello sociale. A cosa servono i vestiti, gli abiti di haute couture e i capispalla quando effettivamente gli unici elementi che stiamo indossando sono semplicemente dei pigiama che utilizziamo a rotazione? Il settore moda sta al momento cercando una nuova dimensione, sopratutto per quanto riguarda i tempi e il modo di produrre. Può sembrare un paradosso, ma la pandemia mondiale ha accelerato il rallentamento di tutta l’industria che gira intorno alla moda virando lo sguardo sulla sostenibilità e sulla qualità dei capi, specialmente per quanto riguarda il fast fashion. Inoltre grandi energie si stanno spendendo sull’economia circolare: materiali non inquinanti, alta qualità del prodotto, riuso e riciclo.

La moda da sempre si è sviluppata nei grandi agglomerati, Versailles e la sua corte, Parigi con i 19

*CIRCUS*

primi Couturier o gli Stati Uniti con il movimento hipster. Lo streetwear nasce dalle subculture giovanili a partire dagli anni Quaranta. Da questo momento la storia della moda non fa più riferimento solo agli stilisti, ma si unisce a tutti i movimenti di ribellione giovanile che i designer hanno promosso catalizzando le nuove energie. Lo street style entra da questo momento a far parte della moda ufficiale. In un epoca basata sulla globalizzazione e l’abbattimento dei confini, la moda è stata, è, e sarà sempre geolocalizzata, per la maggior parte dei casi all’interno delle città. Non a caso le capitali riconosciute della moda sono Milano, Londra, Parigi e New York e probabilmente continueranno ad esserlo per molto tempo ancora o lasceranno il testimone ad altre città maggiormente in crescita.

“Moda (e design) italiani significano Milano”11, che si rivela “una città spugna che assorbe e rilascia, è il motore della città infinita”12. Cifra fondante di queste città sono la creatività, la ricerca, l’innovazione. La società può cambiare, può espandersi, ma il sistema moda rimane fedele a se stesso.

La metropoli ne rimane inevitabilmente legata e 11. A. Bucci, “Milano distretto dell’informazione, della comunicazione e della distribuzione di moda (e design)”, in La moda e la città, Carocci, Roma, 2007, p. 88.

12. A. Bonomi, dal video #DesignCapital I sette giorni che fanno di Milano la capitale del design, regia di P. Saccò, Italia, 2015.

20

*PROLOGO*

connessa per istituzione. Con il tempo e il mutare della società la moda si espande, raggiungendo, volontariamente ma limitatamente, anche le periferie e le campagne. Ciò che la moda ha di più affascinante infatti, è la sua elitarietà. Crea desiderio, esclude e seduce da lontano. Inebria la vista e gli altri sensi.

Dall’inizio della pandemia la maggior parte degli eventi sono stati sospesi. Le sfilate per la Settimana della Moda Milanese del Settembre 2020 sono state sessantaquattro, di cui quarantuno in forma digitale. Le Fashion Week del Gennaio 2021 hanno presentato per la quasi totalità degli eventi in phydigital13, mentre in alcuni casi dei veri e propri film come quello realizzato dal regista Matteo Garrone per l’Houte Couture 2021 di Dior14. Anche l’architetto designer Virgil Abloh per la sfilata di Louis Vuitton Fall Winter 21/22 ha presentato un film di 14 minuti ambientato in un edificio ideale di una città ideale, in pieno stile Mies van der Rohe, fatto da grandi spazi, essenziali e che definiscono “una stazione immaginaria, un luogo in cui c’è chi arriva, 13. R. Baig, Best Of Milan Fashion Week Fall/Winter 2021 Phygital Edition, in “Elle”, 9/03/2021, https://elle.in/article/8-best-of-milan-fashion-week-fallwinter-2021/, accesso 28/06/2021.

14. Dior, Collezione Haute Couture Primavera Estate 2021, 25/01/2021, https:// www.dior.com/it_it/moda-donna/sfilate-haute-couture/collezione-haute-couture-primavera-estate-2021, accesso 28/06/2021.

21

*CIRCUS*

chi aspetta e chi va, in un viavai di caratteri di ogni estrazione culturale e sociale”15. Inoltre spiccano due elementi che caratterizzano la sfilata: due modelli indossano, letteralmente, gli skyline di Chicaco e Parigi.

Un sottile ma chiaro riferimento al ballo annuale della Society of Beaux Art Architects di New York del 1931 in cui gli invitati erano vestiti dei loro edifici come William F. Lamb con L’Empire State Building. Nel 1996, il fotografo Josef Astor scatta per Vanity Fair un editoriale con Peter Eisenman, Philip Johnson e Norman Foster, solo per citarne alcuni, in cui anche in questo caso, si vestono delle loro stesse creazioni, dei loro stessi edifici.

La moda, con Abloh sceglie ancora una volta la città, la plasma, la abita e ne prende le sue forme.

Durante questa crisi pandemica sono cambiate per la prima volta nella storia i ritmi e le modalità di presentazione, in alcuni casi scontati, alcuni con una parvenza di innovazione, in altri interessanti. Ma non c’è live streaming che tenga: la sfilata in presenza vince ancora. Rappresenta un evento unico, in location esclusive. Irripetibile, un rituale a cui solamente un numero ristretto e sele15. I. Pantano, Louis Vuitton veste una nuova normalità libera da preconcetti, in “Vogue”, 21/01/2021, https://www.vogue.it/moda/article/paris-fashion-week-2021-sfilata-louis-vuitton-look-foto, accesso 26/04/2021; 22

*PROLOGO*

zionato di persone, possono partecipare, su invito.

Noi, esclusi che aspiriamo anche a un posto stand, guarderemo online. Ma non ha lo stesso significato. La moda è viva, i vestiti sono vivi, devono essere osservati in movimento. Contemplati. La sfilata e tutti i suoi annessi inglobano, plasmano, rappresentano la contemporaneità, la sua urgenza, e le sue esigenze. Un intrattenimento magnetico che una diretta streaming non ci può dare. Se le live, che avevamo già prima della pandemia in corso, fossero state un vero e proprio sostituto delle sfilate, o della realtà in generale, la moda, avrebbe perso valore e significato. Se fosse tutto alla portata di tutti si perderebbe quell’esclusività che è il vero motore del sistema moda, dei nostri traguardi e dei nostri sogni. Perché tutti vogliamo avere qualcosa che gli altri non hanno ma è proprio questo ciò che ci stimola a fare di più: “Everybody wants to be us”, afferma Meryl Streep nel film The Devil Wears Prada. Ed è vero che non tutti possiamo avere una Birkin Hermes da 80 mila euro, ma questo non pregiudica il fatto che la moda non può essere di tutti. Pertanto è proprio qui il presupposto di questo sistema, che nonostante la sua elitarietà raggiunge chiunque. È in effetti un sistema conflittuale. Si riflette nelle persone e nella socitetà.

Rappresenta un linguaggio che comunica cambia23

*CIRCUS*

menti e nuove esigenze, crea identità e manifesta modi di essere. Si tratta di un’estensione dei codici del corpo che mettono in relazione noi stessi con gli altri e che costituiscono un liguaggio non verbale che ci definisce e che costruisce la nostra soggettività.

Circus mira a offrire un nuovo spazio per la moda, per il teatro e per le arti performative. Un nuovo metodo di interazione che poggia sulle necessità attuali e che si esprime grazie a ciò che pensavamo di non poter vivere, ma solo immaginare e osservare. Un palcoscenico che parte dalle città per arrivare alle periferie e alle campagne, grandi spazi aperti configurati dai problemi sociali o da un’elevata tranquillità. Circus riconsidera “la periferia non più come luogo dell’assenza, ma come luogo della presenza di qualcos’altro. Le periferie come muse, luoghi dei quali scrutare il subconscio, annusare e intravedere l’anima”16.

Circus si traduce in un dispositivo non convenzionale, errante, eterotopo, che si posiziona dove vuole: in Piazza San Marco, nelle spiaggie, in un campio fiorito o in picolo paesino tra le Alpi.

Ha una propria identità ma è cangiante, muta, si contagia dei luoghi in cui fa tappa; fa fagotto dei 16. S. Scateni, Periferie, Laterza, Bari, 2006, p. VIII. 24

*PROLOGO*

loro valori e si dirige verso una nuova destinazione.

Allo stesso modo plasma il territorio e arricchisce chi lo abita. Un tendone per accendere la miccia delle potenzialità, stimolare i desideri e l’irrealtà.

Abbracciare le diversità e le singolarità senza reprimerle. Sceglie di essere “altro”, segue la morfologia, la funzionalità e la socialità.

Circus è amplificatore dei racconti, posto ipnotico, allucinato, pieno di meraviglie. Un’esperienza di sogno lucido che ci permette di essere da qualche parte senza esserci davvero. Un po’ come quando sogniamo, viviamo esperienze, viviamo luoghi e viviamo architetture senza effettivamente esserci, a volte, senza nemmeno conoscerle: costruiamo con l’immaginazione uno spazio dove poter creare storie e opere d’arte da esporre.

Quando questa pandemia finirà davvero, a quel punto la gente avrà fame, fame di esperienze e fame di vita. Torneremo alla vera partecipazione, ai veri eventi, alle Esposizioni Universali. Torneremo a sfiorarci, torneremo a condividerci lungo un “particolare viaggio che consente di evadere dai problemi della quotidianità”17.

Circus ci accoglie con la musica che si sente da lontano, con i tendoni aperti e le luminarie accese.

17. V. Codeluppi, Metropoli e luoghi del consumismo, Mimesis, Milano, 2014, p. 9.

25

Pandemia, moda e città

Josef Astor, Philip Johnson, in “Vanity Fair”, 1996; Copertina Countryside? A Report, Taschen, New York 2020; Virgil Abloh, Louis Vuitton, Fall Winter 2021 / 22; William F. Lamb, Society of Beaux Art Architects, New York, 1931.

c s

n

In

u r i

i o

Scambi architettura moda

Adolf Loos

tra abito e abitare

*CIRCUS*

A

ttualissimo anche oggi, Adolf Loos ha influenzato il pensiero di Le Corbusier e altri architetti massimi del Novecento.

Emblema della sua personalità è il modo in cui ha sempre cercato di unificare i costumi della società all’architettura che essa produce utilizzando come metafora quella dell’abito, basandosi su due delle necessità dell’essere umano: coprirsi e costruire il proprio rifugio1.

Precursore dell’architettura moderna, ha sempre rifiutato l’ornamento2 criticando le mode architettoniche e stabilendo una connessione tra vari aspetti come rivestimento e abbigliamento, tetto e coperta. Lo spazio architettonico diventa un vestito, un abito di pietra della vita quotidiana: l’abitare. Espressione di questo è la LoosHouse di Vienna costruita per la sartoria Goldman & Salatsch, un esempio di linearità, purezza e assenza di ornamento capace di integrarsi nel contesto culturale 1. V. Zanchettin, Le metamorfosi dell’ordine. Principi e pratica nella prima attività di Adolf Loos, in “Archimagazine”, http://www.archimagazine.com/ azanchettin.htm, accesso 5/07/2021; B.M., Progettazione alternative, in “Arch is Dead”, 9/07/2019 https://www.archisdead.com/architettura/progettazione-alternative-ilraumplan-di-adolf-loos/, accesso 5/07/2021.

2. A. Loos, Ornamento e Delitto, 1908, ora in “Parole nel vuoto”, Adelphi, Milano, 2001.

34

*INCURSIONI*

A. Loos, LoosHaus, Vienna, 1911.

35

*CIRCUS*

viennese. La parte inferiore dell’edificio è rivestita in marmo verde e coronata da una semplicissima trabeazione traendo ispirazione della tradizione classica, mentre la parte superiore è rivestita con intonaco liscio. Gli interni in legno e i tessuti utilizzati hanno la funzione di suscitare emozioni nell’essere vissuti. Le sue architetture creano infatti una certa atmosfera capace di rilassare la persona facendo convivere tutti gli oggetti, sia naturali che artificiali che abitano lo spazio. La casa è per lui uno stato d’animo. Gli spazi interni di Loos sono intimi e definiti, hanno dei sentimenti e sono profondamente connessi all’esperienza di chi le abita. Ogni scelta è determinata da considerazioni pragmatiche in cui lo spazio deve essere pratico, gli arredi comodi e ogni ambiente deve essere dimensionato nel modo più corretto rispetto alle attività di colui che abiterà quell’ambiente stesso.

L’architettura non deve essere influenzata dalla struttura bensì adattarsi ai bisogni umani, senza bisogno di decorazioni se non di origine classica.

“Era interessante confrontare i progetti degli altri architetti con il mio. [...]Le piante [degli altri architetti] erano tutte soluzioni bidimensionali, laddove ritengo che un architetto debba lavorare spazialmente, in tre dimensioni. [...] Un vantaggio per quanto riguarda l’economia degli spazi. Un bagno 36

*INCURSIONI*

A. Loos, interni della LoosHaus, Vienna, 1911.

37

*CIRCUS*

non ha bisogno di un soffitto alto quanto quello di un salone per ricevimenti. Dare a ciascuna stanza soltanto l’altezza necessaria e non di più significa poter costruire in maniera più economica”3.

Grazie proprio al sentimento dell’abitare e l’uso degli spazi in maniera tridimensionale è possibile capire quanto sono complessi gli interni dell’architetto austriaco. Nonostante gli elementi con cui Loos caratterizza le sue architetture siano sempre gli stessi, quali camini, rivestimenti in legno, lapidei e mobili su misura, in ogni suo progetto vengono combinati in maniera totalmente diversa, questo permette di comprendere quanto ogni progetto sia stato pensato caso per caso costruendo gli spazi intorno a chi li avrebbe abitati e a loro immagine e somiglianza. Gli interni delle architetture loosiane prendono forma grazie a delle reali interazioni con i suoi committenti ed essi fanno spesso parte del progetto. Progetta la casa e il suo abitante. I pensieri dei clienti si esprimono negli ambienti, che a loro volta riflettono e rappresentano chi li abita. Loos crede che gli architetti non siano artisti, al contrario sono dei sarti4.

A differenza di Le Corbusier, in cui i suoi abitanti 3. A. Loos, On Architecture, Ariadne Press, Riverside, 2002, p. 93. ed. or. 1910.

4. J. Lubbock, Adolf Loos and the English Dandy, in “Architectural Review”, n.

1038, 1983, pp. 43-49.

38

*INCURSIONI*

A. Loos, Casa Semler, Pilsen, Repubblica Ceca, 1930.

39

*CIRCUS*

erano tutti delle interpretazioni di se stesso, degli “sfollati”, dei visitatori, gli abitanti di Loos, sono persone reali, con nomi e cognomi “attori e spettatori, entrambi coinvolti e distaccati”5 all’abitazione, sono in primo luogo dotati di un corpo.

Corpi fermi, corpi in movimento, capaci di vedere e osservare, corpi sessuati.

Tutto è focalizzato su chi abita queste case, dunque, ciascun ambiente è caratterizzato da una distinta atmosfera, con dimensioni studiate appositamente per chi deve abitarle, pensate sia per il muoversi che per lo stare. Sono abitazioni sartoriali “tagliate e cucite” su misura, sui propri inquilini, proprio come un abito fatto a mano, capace di accogliere il corpo ed adattarsi ad esso seguendo le esigenze fisiche di chi deve indossarlo, un abito per l’abitare.

L’abbigliamento per Loos è rigore, come l’architettura deve essere privo di vezzi, difatti essere ben vestiti significa “essere vestiti in modo corretto”6, proprio per questo crede che il pubblico più raffinato, al contrario dei gagà7, adotta i cambiamenti 5. B. Colomina, Sexuality and Space, Princeton Architectural Press, New York, 1992, p. 76.

6. A. Loos, Die Herrenmode, in “Neue Freie Presse”, 22 Maggio 1898, ora in “Parole nel vuoto”, Adelphi, Milano, 2001, p. 11.

7. Un gagà è una persona a cui un vestito serve per distinguersi, ostenta un’eleganza ricercata e affettata e che subisce costantemente rapidi cambiamenti nel tempo.

40

*INCURSIONI*

A. Loos, Casa Semler, Pilsen, Repubblica Ceca, 1930.

41

*CIRCUS*

che meno vengono percepiti dalle classi medie e che ciò che da troppo nell’occhio viene considerato sconveniente dalla buona società. Ecco quindi che l’ornamento sia in ambito architettonico che in ambito moda è del tutto sconveniente e che la dualità tra l’esterno e che l’interno di una casa, o di un abito, serve a stabilire a quale parte della scala sociale si fa parte.

Ciò che si vede dell’abito, la parte esterna, è rappresentazione di noi stessi, come il rivestimento delle nostre abitazioni, l’interno invece, è intimo e privato, è invisibile da fuori. L’abito deve accogliere la nostra anima, il nostro corpo e tutti i nostri movimenti per farci sentire comodi e a nostro agio: nello stesso modo la casa. Le abitazioni di Loos, come il suo abbigliamento, dall’esterno appaiono discrete, devono nascondere e non rivelare ciò che contengono all’interno. L’esterno “può essere trasformato al massimo come il frac. Dunque non molto. Verso l’esterno la casa deve essere muta, all’interno disveli tutta la sua ricchezza”8.

Una volta entrati è possibile ammirare tutta la ricerca che è stata fatta per lo spazio privato.

Un esempio di abito per abitare è Casa Moller costruita a Vienna nel 1928. L’abitazione è caratteriz8. A. Loos, Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 2001, p. 251.

42

*INCURSIONI*

A. Loos, Casa Moller, Praga, 1930.

43

*CIRCUS*

zata dal Raumplan9 che definisce lo spazio interno sviluppato su quote sfalsate in cui ogni ambiente ha una sua diversa altezza: si tratta di un’abitazione con doppia identità, il volume esterno che rappresenta lo spazio pubblico è puro, intonacato, una forma muta. È razionale. È conforme alle altre architetture della città creando e definendo uno spazio collettivo. È rigoroso, come l’abbigliamento e il frac, che nel corso del tempo non è mai mutato.

L’interno dell’abitazione è invece intimo e preserva le abitudini di chi lo abita. Un parallelepipedo bianco sospeso in facciata corrisponde ad un salottino privato, rialzato rispetto al soggiorno, con un divano addossato ad una finestra che non è stata pensata per guardare fuori, bensì per permettere di tener sotto controllo l’ingresso.

Un senso di sicurezza, infatti, è dato proprio dalla posizione del divano posizionato contro luce.

Chiunque entri all’interno della casa, abbagliato dalla luce della finestra in questione, avrà bisogno di alcuni momenti per poter vedere la persona seduta sul divano. Al contrario, chiunque, sarà avvi9. Letteralmente, “progetto di spazio” è un termine usato da Adolf Loos per definire i principi compositivi, basati sull’incastro di volumi di dimensioni diverse e piani a diverse altezze.

10. B. Colomina, Sexuality and Space, Princeton Architectural Press, New York, 1992.

44

*INCURSIONI*

A. Loos, Casa Moller, Praga, 1930.

45

*CIRCUS*

stato da colui che siede all’interno della nicchia10.

La nicchia è il cuore della casa, è il luogo più introverso, paradossalmente però è stato posizionato nella sua periferia, spingendo questo volume all’esterno della facciata che da sulla strada. Uno spazio fatto “su misura”, come un abito, per poter percepire e accogliere i movimenti degli abitanti.

Loos ha un approccio sartoriale all’architettura, in cui l’individuo è modello stesso dello spazio abitativo, si forma artigianalità. L’architetto è un sarto.

La camera da letto che progetta per se stesso e per la moglie Lina Obertimfler nel 1902 è frutto di un lavoro profondamente intimista. Emblema dell’eroticità, del sentimento e del silenzio, una camera rivestita di batista bianca alle pareti con un materasso appoggiato su di un grande tappeto d’angora, i mobili incassati al muro coperti da tende di lino bianco. Un nido che attinente alla sua idea di spazio interiore come specchio dell’anima. L’anima degli spazi architettonici, l’anima degli abiti, l’anima degli uomini.

Loos nel 1898 in Moda Femminile scrive: “La natura nobile che è nella donna la spinge a una cosa soltanto: affermarsi accanto all’uomo forte e grande.

Oggi questo desiderio può essere soddisfatto soltanto se la donna ottiene l’amore dell’uomo. L’a11. A. Loos, Moda femminile, in “Neue Freie Presse”, 21 Agosto 1898, ora in “Parole nel vuoto”, Adelphi, Milano, 2001, p. 110.

46

*INCURSIONI*

A. Loos, Camera da Letto, Vienna, 1902.

47

*CIRCUS*

more la sottomette all’uomo”11.

L’architetto con la sua sconsideratezza verso il genere femminile distingue l’abbigliamento della donna da quello dell’uomo principalmente per i vari effetti di ornamento o di colore e per la gonna lunga che copre completamente le gambe.

Come già detto in precedenza, Loos afferma che “quanto più arretrato è il livello civile tanto più si impone l’ornamento”12.

Difatti, afferma l’architetto, il delinquente decora la sua pelle e l’indio ne ricopre la sua barca, ma la macchina a vapore di ornamenti non ne ha e ciò dimostra come la donna nel corso dell’ottocento sia rimasta molto indietro a livello sociale rispetto al genere maschile e di quanto sia subordinata all’uomo, utilizzata spesso come oggetto erotico.

Nel 1927 l’architetto austriaco progetta una casa, senza mai realizzarla, per Joséphine Baker, cantante e ballerina afroamericana residente a Parigi. In questo progetto la tensione erotica è cifra fondante. L’abitazione è formata da due solidi, un prisma e cilindro, il tutto racchiuso dentro un liscio carapace di fasce alternate di marmo bianco e nero. Un’eccezione che si discosta dalla sua idea di esterno e dai suoi altri progetti, generalmente 12. A. Loos, Moda femminile, in “Neue Freie Presse”, 21 Agosto 1898, ora in “Parole nel vuoto”, Adelphi, Milano, 2001, p. 114.

48

*INCURSIONI*

Joséphine Baker, 1928; A. Loos, Progetto per la casa di Joséphine Baker, Parigi, 1927 / 1928.

49

*CIRCUS*

neutri e puri. Una facciata, a tratti psichedelica, piena di riferimenti alle cattedrali italiane, ai costumi da bagno e alle uniformi carcerarie e ricche di allusioni alle origini afroamericane della Baker, alla sua pelle, alle zebre e ai tatuaggi, ai suoi abiti a strisce e la sua entrata nella società bianca dell’epoca. All’interno della casa l’architetto separa gli spazi privati destinati alla ballerina da quelli ludici e frivoli quali la monumentale scalinata, il salone per ricevimenti, la zona caffè e la piscina circondata da vetrate. Come in una galleria espositiva, dalle aperture si sarebbero potute vedere le performance acquatiche della ballerina in cui la sua silhouette appare misteriosa e desiderabile.

L’illuminazione gioca un ruolo fondamentale. La ballerina si fonde con l’abitazione e i propri interni, come la stanza dell’ex moglie Lina è carica di emotività e sessualità. “Il corpo è presentato come spettacolo, come oggetto di sguardo erotico o poi un sistema di sguardi erotici”13.

In Casa Moller, avviene un gioco di sguardi in cui chi era seduto nella nicchia poteva osservare chi era al di sotto ma allo stesso tempo essere osservato perché non è possibile entrare o uscire da li senza essere visti da chi si trova nel soggiorno.

13. B. Colomina, Sexuality... cit., p. 93.

50

*INCURSIONI*

A. Loos, Pianta primo piano casa di Joséphine Baker, Parigi, 1927 / 28.

51

*CIRCUS*

Opposto è ciò che invece succede nel progetto per la ballerina: “l’occhio è rivolto verso l’interno, che volta le spalle all’esterno; ma il soggetto e l’oggetto dello sguardo sono stati invertiti. L’abitante della casa, Josephine Baker, è ora l’oggetto principale, e il visitatore, l’ospite, è il soggetto che guarda”14.

Una storia di ineguaglianza sociale in cui il valore della donna non sarà più riferito alle “trasformazioni della sensualità” per cui l’abito era necessario per affermarsi accanto ad un uomo, ma in cui “assisteremo alla definitiva sconfitta dei velluti e delle sete, dei fiori e dei nastri, delle piume e dei colori. Scompariranno”15.

Gli spazi interni di Loos proteggono e coprono gli abitanti come dei vestiti coprono il corpo, in ogni esempio abbiamo un fit diverso. Gli interni includono sempre una “guaina per il corpo” in cui è possibile arrotolarsi, sentirsi al sicuro.

Sono architetture del piacere, sono “architetture che replicano il grembo materno”16. Come la stanza di pelliccia per Lina, la piscina per Baker e il salottino di casa Moller. Sono architetture che ci proteggono come “un impermeabile ci protegge dalla pioggia”12. Nell’architettura di Adolf Loos rinasce 14. Ibid., p. 88.

15. A. Loos, Moda... cit., p. 116.

16. J. Quetglas, Lo Placentero, in “Carrer de la Ciutat”, n. 9-10, 1980.

17. Ibid.

52

*INCURSIONI*

Papua, Papua Nuova Guinea, 1944 / 1966 circa.

53

*CIRCUS*

il luogo e il sentimento, l’uomo ritrova il proprio spazio. In Ornamento e Delitto del 1908 Loos giudica l’ornamento facendo un paragone tra un Paupa e un uomo occidentale: “il Papua copre di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, […].

Non è un delinquente. Ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un degenerato”18, inoltre l’atto del Paupa di uccidere i suoi nemici per farne fiero pasto non viene giudicato come riprovevole, i due uomini sono mossi da istinti profondamente diversi generati da una civiltà e coscienze con un diverso livello evolutivo.

Ritroviamo la sua ostilità per gli ornamenti anche verso le critiche contro i gagà. Giudica il loro modo eccentrico di vestire e la loro scarsa competenza nella scelta delle stoffe e dei tagli come giacche a doppio petto, abiti quadrettati o baveri in velluto.

Questo è definito dall’architetto un comportamento da pagliaccio perché i gagà indossano ciò che è ritenuto moderno nel proprio ambiente senza considerare che in ogni città hanno un aspetto differente. Difatti in Die Herrenmode del 1898 l’architetto scrive: “ciò che ad A fa una grande impressione, a B ha già perduto il suo fascino. Chi viene 18. A. Loos, Ornamento e delitto, 1908, ora in Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 2001, p. 217.

54

*INCURSIONI*

Anonimo, L’Elégant, in “Journal des Tailleurs”, 1 Ottobre 1854, Siderografia, 27,4 cm × 19,8 cm.

55

*CIRCUS*

ammirato a Berlino rischia di apparire ridicolo a Vienna”19. Come le donne, anche l’uomo nel passato indossava vesti colorati e ornamenti che però generalmente sono state superati sdoganando elementi superflui. Quando il lavoro non nobilitava l’uomo ma lo metteva molto vicino, nella scala sociale, agli animali da soma, i signori indossavano l’abito lungo e i servi i pantaloni. Nel tempo l’uomo si è conquistato il diritto al lavoro libero, nonostante in alcune occasioni speciali in cui ancora venivano indossati capi lunghi fino ai piedi. Solo per alcune donne però era possibile indossare i pantaloni, ovvero coloro che avevano conquistato il diritto al lavoro come le pastore o le pescatrici. Solamente nel Novecento viene concesso alla donna ciclista una mise che lascia libere le gambe segnando un primo passo verso il riconoscimento del lavoro femminile a livello sociale.

Loos sostiende dunque la necessità di rinnovare l’architettura eliminando ogni superfluo formalismo: la forma deve rispondere alle esigenze umane, senza vezzi e senza ornamenti, allo stesso modo anche gli abiti.

19. A. Loos, Die Herrenmode, in “Neue Freie Presse”, 22 Maggio 1898, ora in “Parole nel vuoto”, Adelphi, Milano, 2001, p. 12.

56

Le Corbusier

dal corpo alla città

*CIRCUS*

N

ato in svizzera, Le Corbusier è stato uno delle personalità più influenti dell’architettura del Novecento e uno dei principali interpreti di quel desiderio di rigore e semplicità che permea la società europea al termine della prima guerra mondiale.

La Petite Robe Noire di Chanel del 1926 e la Maison Domino dell’architetto svizzero elaborata nel 1914, rappresentano appieno la modernità e il razionalismo di un’epoca che ha come principio il rifiuto del superfluo. L’essenzialità del tessuto e il nudo cemento armato come idea di lusso, unici nella loro riproducibilità. Le sue innovazioni diventano intime per la vita dell’uomo, infatti si impegna in tutto il suo percorso nella realizzazione di macchine per abitare fino a creare case come un’automobile1 con l’intenzione di plasmare l’intera società attraverso la riorganizzazione delle città, del traffico e degli ambienti più disparati grazie all’uso delle macchine a misura d’uomo appunto.

1. Casa come un’automobile si riferisce alle serie di Case Citrohan progettate da Le Corbusier per l’esposizione di Stoccarda del 1927 diretta da Mies Van Der Rohe.

62

*INCURSIONI*

Coco Chanel, Petite Robe Noir, 1926 / Le Corbusier, Maison Dom-Ino, 1914.

63

*CIRCUS*

La moda abita i corpi, l’architettura veste i luoghi.

“Appartengono all’oscurità dell’attimo vissuto, alla coscienza onirica del collettivo”2. Tutte le sue opere erano sviluppate e proporzionate attraverso il Modulor, creando un architettura a misura d’uomo. La moda ha il compito di prendersi poi cura dell’uomo, di renderlo creativo, estroso, ingegnoso. Di renderlo sognatore.

Il Modulor è finalizzato alla fruizione di tutti gli spazi abitativi secondo i rapporti con le misure standard del corpo umano, in cui ogni progetto, che sia un arredo o un vero e proprio edificio, rispetti le scala delle grandezze umane. Un esempio è la Chaise Longue del 1929.

Il Modulor diventa un codice universale che regola “la vita ideale dell’uomo ideale, dall’architettura alla meccanica, dalla forchetta alla città”3.

Le Corbusier è costantemente alla ricerca della città del domani, in cui chi la vive riesca a rapportarsi con la natura grazie alla città stessa.

Proprio da qui una serie di progetti, a volte non realizzati come il progetto urbano del 1933 di Villa Radieuse, di una città nella natura, densa di abi2. C. Baldini, Sociologia della moda, Armando Editore, Roma, 2008, p. 22.

3. Albert Einstein definisce così il Modulor dopo aver incontrato Le Corbusier a Princeton nel 1946. L’architetto tornava da New York dopo aver presentato alle Nazioni Unite il suo progetto per la sede dell’ONU. 64

*INCURSIONI*

Le Corbusier, Modulor, 1948.

65

*CIRCUS*

tanti e ricca di attività e relazioni sociali. La sua idea di città si formalizza con il progetto e la realizzazione di Chandigarh, una nuova città indiana.

L’esigenza di razionalità e il metodo dell’architetto poliedrico si fondono grazie a questo progetto in organicità, in cui non si nega l’arte ma la si sublima, mettendo al primo posto l’uomo e la sua città. La storia di Chandigarh inizia nel 1951, quando il primo ministro indiano invita Le Corbusier a progettare una nuova capitale per spezzare i legami con il passato coloniale del Paese.

Un approccio di natura cartesiana che appare quasi del tutto paradossale in un’area geografica in cui i centri urbani sono per eccellenza sinonimo di caos. L’impianto segue la forma di un corpo umano, difatti, da qui e fin qui “dal corpo alla città”, in cui gli edifici sono posizionati secondo la loro funzione. Il Campidoglio, cioè la parte politica e amministrativa, è la testa, il settore commerciale sono le viscere, tutto ciò che riguarda l’istruzione sono le braccia, i parchi verdi rappresentano i polmoni e le strade le arterie.

Internamente al campidoglio c’è La Mano Aperta, il monumento centrale della città che rappresenta una grande mano tesa verso il cielo, la mano dell’uomo del Modulor, aperta per ricevere e donare. Ancora una volta la città è riferita all’uomo 66

*INCURSIONI*

Le Corbusier, Taureau, 1963; Le Corbusier, Progetto per Chandigart, 1951.

67

*CIRCUS*

e al suo corpo, non solo a livello funzionale e progettistico ma anche a livello spirituale per mandare un messaggio di pace, contro la violenza: una mano aperta non può tenere un’arma.

Chandigarh è una proiezione moderna del sogno della città ideale rinascimentale, rappresentava l’idea di un moderno stato industriale, a tratti utopico. Era ed è una città enorme, progettata per le automobili in un paese dove molti ancora oggi non hanno neanche la bicicletta. Contrariamente al disegno dell’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci, armoniosamente inscritto nel cerchio e nel quadrato, cielo e terra, non è più la persona a doversi inserire in uno spazio, è lo spazio che deve inserirsi nell’uomo. La casa è il guscio dell’uomo, è la sua liberazione, la sua emanazione spirituale, è la sua estenzione. La casa è per ritrovare l’armonia, uno spazio definito sulla grandezza del proprio corpo e sulla vastità dei propri pensieri.

Molte foto ritraggono Le Corbusier nudo all’interno del Cabanon, una costruzione per villeggiatura dalle ridottissime dimensioni, 14 metri quadrati circa, studiati con estrema precisione secondo le regole auree del Modulor. Ogni elemento è ridotto al massimo dell’essenzialità questo perché, come diceva l’architetto “a un uomo in vacanza non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista 68

*INCURSIONI*

Le Corbusier, Cabanon, 1951.

69

*CIRCUS*

del sole che risplende sul mare”4.

Il capanno si basa tra una dicotomia tra l’involucro e l’interno. La sua pelle è in legno di pino, selvatica e grezza, gli interni in quercia risultano caldi e accoglienti. È uno spazio introverso, come un essere umano, dove ogni elemento è ridotto al massimo dell’essenzialità, risponde al rigore geometrico e alla precisione delle proporzioni tra le parti. Complesso all’interno e il più possibile anonimo all’esterno è capace di fondersi con il paesaggio mediterraneo circostante.

Il Cabanon de vacances è una vera e propria “casa come un’automobile” piena di riflessioni sulla forma e sulle potenzialità della composizione dello spazio: Le Corbusier nudo all’interno del Cabanon si veste dell’abitazione stessa, il suo approccio all’architettura è guidato dall’ergonomia e dall’euritmia. L’architettura è un gioco sapiente che si rappresenta per teoria, sobrietà, moralità e coscienza sociale, la moda si nasconde in apparente frivolezza.

Le Corbusier in Verso un’architettura scrive: “L’architettura non ha niente a che vedere con gli stili”5 4. L. Montuori, Existenz Minimum? Existenz Maximum! in “Promo_legno”, 2018, https://web.archive.org/web/20180304055244/http://www.promolegno. com/materialegno/02/minimum-maximum/, accesso 5/07/2021.

5. Le Corbusier, Verso una Architettura, Longanesi, Milano, 2013, p. 15.

70

*INCURSIONI*

Le Corbusier dipinge un murales indossando soltanto gli occhiali; Le Corbusier, Cabanon, Roquebrune-Cap-Martin, Francia, 1951.

71

*CIRCUS*

e che un cappello in testa a una donna è “grazioso qualche volta, ma non sempre e niente di più”6.

La decorazione è classificata dall’architetto come superflua e femminile, così come “Luigi XV, Luigi XVI, Luigi XIV, o il Gotico”7, viene definita come un qualcosa senza moralità, primitiva.

Un’atteggiamento così radicale nei confronti della moda diventa interessante nel momento in cui Le Corbusier e Ozenfant fecero una loro mostra purista proprio nell’atelier di moda parigino Jove, inserzionista del loro giornale: l’Espirt Nouveau.

La moda si fa quindi promotrice dell’avanguardia architettonica, la cura e la sostiene, ne acquisisce capitale culturale e gli architetti ottengono commissioni da parte dei clienti dell’atelier che sono interessati a far parte dell’avanguardia.

6. Ibid., p. 15.

7. Ibid., p. 15.

72

*INCURSIONI*

Inserzione all’interno del giornale Espirt Nouveau, Parigi, Ottobre 1920.

73

Bernard Rudofsky

il nuovo modo di vivere

*CIRCUS*

N

el 1947 Bernard Rudofsky, architetto, disegnatore e scrittore austriaco, pubblica Are Clothes Modern?1 successivo all’omonima mostra allestita al MOMA di New York.

Le intenzioni alla base dell’evento, riprese e ampliate poi con la pubblicazione del saggio, si basano sul quel “desiderio per la decorazione”2 che nasce dall’abito e dal vestire per poi arrivare ad una sorta di ossessione tra abito e corpo che sfocia, a volte, in situazioni disumane.

“Next morning the prince went to his father, the King, and said to him: ‘No one shall be my wife but she whose foot this golden slipper fits.’ Then were the two sisters glad, for they had pretty feet.

The eldest went with the shoe into her room and wanted to try it on, and her mother stood by. But she could not get her big toe into it, and the shoe was too small for her. Then her mother gave her a knife and said, ‘Cut the toe off; when thou art Queen thou wilt no more need to go on foot.’

1. “Are Clothes Modern?”, mostra a cura di Bernard Rudofsky, New York, The Museum of Modern Arte, 28 novembre 1944 / 4 marzo 1945.

2. B. Rudofsky, Are Clothes Modern? An essay on contemperare apparel, Paul Theobald, Chicago, 1947, p. 13.

78

*INCURSIONI*

Kinuko Y. Craft, Cinderella, Chronicle Books Llc, San Francisco, 2020.

79

*CIRCUS*

The maiden cut the toe off, forced the foot into the shoe, swallowed the pain, and went out to the King’s son. Then he took her on his horse as his bride and rode away with her”3.

Una storia di frustrazione e competizione, di feticismo e mutilazione, che secondo Rudofsky rappresenta la stessa crudeltà che si ha nel vestire.

La manipolazione è anche collegata alle culture, sia antiche che contemporanee, l’architetto mette in relazione le usanze etniche con elementi più commerciali.

I colli a giraffa delle donne thailandesi contrapposti ad un choker di diamanti, i processi delle tribù africane per quanto riguarda la fasciatura del cranio associati ad un turbante sulla copertina degli anni quaranta di Harper’s Bazar4 o ancora “l’alto tallone organico delle cinesi [piede di loto, n.d.r.] anticipava il tacco artificiale della donna moderna”5. Alcune statuette in gesso disegnate dall’architetto viennese e modellate da Constantin Nivola, mostrano le deformazioni che il corpo della donna ha subito nel corso di un periodo della storia.

3. J. L. K. Grimm, W. C. Grimm, German Household Tales, Houghton Mifflin Company, Boston, 1897, p. VIII, in B. Rudofsky, Are Clothes Modern?, P. Theobald, Chicago, 1947, p. 11.

4. Harper’s Bazar è una rivista statunitense di moda fondata nel 1867.

5. B. Rudofsky, Il corpo incompiuto, Mondadori, Milano, 1975, p. 116.

80

*INCURSIONI*

The Human Look, in “Life Magazine”, n. 21, 23 Settembre 1946, p. 100.

81

*CIRCUS*

Per esempio la figura di fine ottocento era estremamente manipolata tramite la tournure6 fino a ricordare le sembianze di un centauro.

La mostra aveva un approccio tipico di un progettista che riflette sulle modalità con cui la moda modifica il corpo: lo deforma, lo altera, lo destruttura, lo ricostruisce.

Generalmente, negli allestimenti precedenti a quello di Rodofsky, la moda veniva raccontata attraverso scene di vita quotidiana mostrando l’utilizzo degli abiti senza riflettere su quel processo di progettazione che porta alla loro realizzazione.

Rudosky, progettista e designer non poteva non soffermarsi sul fatto che la moda fino a quel momento era rappresentata solamente attraverso il prodotto realizzato e finito, senza fare mai riferimento a tutto il processo progettuale e di confezionamento che c’è dietro.

Secondo l’architetto dibattere su come ci si deve vestire in determinate occasioni non è necessario come invece lo è fare un pensiero sulla natura della moda, sul suo rapporto con il corpo e sull’uomo moderno che abita la propria casa. È proprio dalla radice comune dei due termini che si evince quale sia il rapporto che li lega: lo stesso 6. Imbottitura posteriore della gonna realizzata mediante cerchi metallici, stecche di balena o altro.

82

*INCURSIONI*

The Human Look, in “Life Magazine”, n. 21, 23 Settembre 1946, p. 101.

83

*CIRCUS*

che sussiste tra moda e architettura, due discipline che si relazionano costantemente con il corpo umano e le sue proporzioni. Si esplicita il rapporto fra abito e abitare.

Questo pensiero viene espresso anche nella rivista Domus, nel numero dell’aprile del 1938, tramite un intervento non firmato ma attribuito a Rudofsky intitolato La Moda: Abito disumano, pubblicazione che precede le idee della già citata mostra. Il corpo è “imprigionato dentro i capricci di una moda irrazionale”7 e quindi bisogna riprendere in considerazione il vestito dell’uomo moderno. Questo perché il gesto che fa il sarto nel tagliare la stoffa per poterla utilizzare è visto come una violenza, al contrario di ciò che fanno i popoli orientali. Le loro tradizioni si basano su geometrie dell’abito realizzate tramite pieghe e drappeggi di grandi porzioni di tessuto, senza mai danneggiarlo. Il tessuto prende la forma del corpo, lo esalta.

Il sarto che della stoffa ne fa brandelli, “costruendo l’abito, riprogetta (e quindi in qualche modo nega) il corpo umano”8 lo stesso corpo che Rudofsky considera disumano.

7. B. Rudofsky, La moda: Abito disumano, in “Domus”, n. 124, Aprile 1938, p. 10.

8. G. Monti, Are Clothes Modern? La moda secondo Bernard Rudofsky, in Il corpo umano sulla scena del design, M. Ciammaichella (a cura di), Il Poligrafo, Padova, 2015, p. 96.

84

*INCURSIONI*

The Human Look, in “Life Magazine”, n. 21, 23 Settembre 1946, p. 100; B. Rudofksy, Non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere, in “Domus”, n. 123, 1938, pp. 436-437.

85

*CIRCUS*

Sempre su Domus nel 1938, a seguito di una collaborazione con Gio Ponti, viene pubblicato un progetto dell’architetto per una casa a Procida con titolo Non ci vuol un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere.

Rappresenta l’immaginario tradizionale mediterraneo, un architettura spontanea, autentica, abitata da corpi reali con delle reali esigenze basate sulla quotidianità. Rudosfky vuole riunificare il corpo alla terra e recuperare “l’antica posizione sdraiata”9 tralasciando le sedie per riportare in auge il triclino.

In un pannello della mostra del 1944 si legge infatti che l’abito da sera moderno ci ha fatto dimenticare che la posizione sdraiata è la posizione più comoda e salutare per cenare e che un cambio di abbigliamento, da irrazionale a razionale, seguito a un cambiamento del nostro ambiente domestico, ci permetterà di vivere meglio.

La casa a Procida è di impianto sumerico e già dalla pianta è rappresentata come un vero e proprio manifesto. È abitata da antiche figure e da animali quali cavalli, cani e uccelli; le ancelle passano tra gli spazi domestici, la vegetazione è viva.

9. B. Rudofsky, Non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere, in “Domus”, n. 123, Marzo 1938, p. 7.

86

*INCURSIONI*

Affresco, Insula dei Casti Amanti, Pompei, I Secolo.

87

*CIRCUS*

Un palese richiamo all’idea di casa antica per cui “è un unico ambiente, come un cubo di spazio abitabile intorno al centro di gravitazione formato dal cortile scoperto [...] che deriva dalla casa pompeiana, o forse ispirate dalle case dell’arcipelago greco, [...] la casa non chiude fuori la natura, non subire il paesaggio ma essa stessa lo crea”10.

La casa è libera dagli ornamenti, le superfici sono austere e gli arredi indispensabili, rappresenta un paradiso primitivo capace di manifestare i giusti sentimenti. Il soggiorno è all’aperto, la sala da pranzo non ha sedie, bensì triclini e tavoli bassi, come gli antichi romani, la sala della musica prevede un pianoforte, una costante nei progetti dell’architetto. Il pavimento della camera da letto, o stanza del riposo, è ricoperto di materassi e sormontato da una tenda come nella cultura giapponese, il bagno con la grande vasca è dedicato alla cura del corpo, il gabinetto è un pensatoio.

L’uomo è al centro di ogni considerazione, l’abitazione è fatta per l’uomo e il disegno che la racconta sembra una novella. Possiamo percepire come la voglia del “vivere meglio” che ha Rudofsky sia connessa con l’importanza della misura umana e della cultura del vestirsi.

10. A. Podestà, Una casa a Procida dell’architetto Bernard Rudofsky, in “Casabella”, n. 117, 1937, pp. 14-15.

88

*INCURSIONI*

B. Rudofsky, Casa a Procida, Marzo 1938.

89

*CIRCUS*

Uno dei suoi passi per il recupero del contatto con la terra e con il suolo e proprio il progetto che realizza dopo la mostra e che ne fortifica tutti i pensieri; l’architetto lancia sul mercato nel 1946 la sua linea di sandali, chiamati Bernardo.

Un progetto tra corpo e terra, fra piede e calzatura. Le immagini pubblicate per il progetto di Casa Oro a Posillipo, progettato con il collega Luigi Cosenza nel 1934, raffigurano anche in questo caso l’ideale mediterraneo della casa affacciata sul mare sul golfo più famoso al mondo. L’idea di unificare l’essere, il corpo e tutti i nostri sensi, con l’acqua, l’aria la luce e il sole. Anche qui, una macchia per abitare il mare o per lasciarsi abitare dal mare. Le fotografie, abitate da signore alla moda, rappresentano perfettamente l’architettura instaurando un dialogo interessante con le riviste di moda come Harper’s Bazaar e i suoi servizi fotografici. È proprio grazie a Casa Oro e alla sua attitudine che in seguito tra gli anni Quaranta e Cinquanta moltissimi servizi di moda sono ambientati in location marittime, come i Caraibi e più in generale l’America centrale e del sud, favorendo gli stereotipi esotici. I sandali Bernardo, made in Italy, sono, tra l’altro, tra i più fotografati. Rudofsky ha proprio la necessità di recuperare quel “senso primitivo del vestire, profondamente umano ed estremamente 90

*INCURSIONI*

Progetto di B. Rudofsky, L. Cosenza, Casa a Posillipo, in “Domus”, n. 120, Dicembre 1937, p. 10.

91

*CIRCUS*

sensuale, alla relazione fra le forme dell’abbigliamento e dell’abitare”11, è infatti l’abito l’architettura più vicina al corpo.

Nell’architettura viene ricercata infatti una nuova dimensione capace di relazionarsi con più intimità all’uomo, nella moda si fa lo stesso. Il sandalo, in quanto oggetto, è capace di dialogare con il corpo, elogiando, senza contraddirlo o mutarlo, al contrario di ciò che fa il sarto. Essendo l’abbigliamento, secondo Rudoskfy, parte integrante dell’industrial design è assolutamente necessario comprendere le “sorprendenti somiglianze tra abbigliamento e architettura”12. I nostri comportamenti quotidiani e tutte le fasi della nostra vita sono stati dominati e condizionati dall’abbigliamento e dall’effetto psicologico che ha su di noi. Per comprendere l’architettura e il design, bisogna quindi comprendere la moda, capace di condizionarci ancora oggi e condizionare il nostro modo di vivere e abitare.

Inoltre, data la necessità di impacchettare i nostri corpi, comprendere la progettazione degli abiti e degli accessori sono strumenti indispensabili per poter capire i processi di progettazione in generale e sopratutto della vita.

11. G. Monti, op. cit., p. 101.

12. Comunicato stampa della mostra Are Clothes modern?, Museum of Modern Art, New York, 27 Novembre 1944, p. 4.

92

*INCURSIONI*

Foto di Louise Dahl-Wolfe, Sandali Bernardo, in “Vogue US”, 15 gennaio 1959.

93

Superstudio supercorpi

*CIRCUS*

S

ubito dopo la grande alluvione di Firenze nel 1966 Cristiano Toraldo di Francia e Adolfo Natalini fondano Superstudio, raggiunti poi da GianPiero Frassinelli, i fratelli Alessandro e Roberto Magris e Alessandro Poli. Esponenti dell’architettura radicale quando ancora “l’architettura radicale non esisteva”1, hanno prodotto oggetti, installazioni, disegni, fotomontaggi, pubblicazioni e film.

Il gruppo era motivato dalla volontà di progettare un nuovo mondo in cui l’architettura generava relazioni. Per rivoluzionare il sistema architettonico partono dal design rifiutando le idee funzionali che precedono la creazione dell’oggetto e che inevitabilmente ne influenzano la forma.

Si crea un design d’evasione dall’orrido quotidiano2 e che genera nel ’68 le lampade Gherpe e Olook e il divano Bazaar.

Un design irrazionale e poetico che si oppone alla sola funzione pratica degli oggetti, ricchi invece di 1. A. Natalini, Frammenti, 18 Luglio 1977, in Superstudio e L’architettura D’avanguardia 1962 / 1982, B. Tonini, P. Tonini, A. Faita (a cura di), Arengario, Gussago, 2016, p. 5.

2. Superstudio, Abitare con libertà, in Superstudio Opere 1966 / 1978, G. Matrigli (a cura di), Quodilibet, Macerata, 2016, pp. 14-21, 30.

98

*INCURSIONI*

Superstudio, Divano Bazaar, 1969 / 1970.

99

*CIRCUS*

emotività e sentimenti, che creano coinvolgimento e che siano d’ispirazione per la vita.

Oggetti magici, che prima ancora di essere disegno sono racconto.

Un elogio alla creatività. “È la poesia che fa abitare e che la vita si svolge, non solo in scatole ermetiche per piccole vite parallele, ma anche nella città e nelle auto, nei supermarket e nei cinematografi, sulle autostrade. E un oggetto può essere un’avventura dello spazio, o un oggetto di culto e di venerazione, e diventare un nodo luminoso di relazioni”3.

I Superstudio immaginavano la città come un luogo senza gerarchie, ricco di stimoli per costruire nuovi rapporti con gli altri, con la natura, con il mondo. Tramite una serie di fotomontaggi definiscono il Monumento Continuo, un’architettura scandita da un modulo quadrettato, come fosse un tessuto, potenzialmente infinita e che connette città e natura. Un’architettura uguale a se stessa che percorre tutto il pianeta collegando ogni posto del mondo: Roma, le Cascate del Niagara, le Alpi svizzere e i deserti della California. Un’urbanizzazione totale, un’architettura che veste il pianeta, che lo ricopre come un cappotto e che lo protegge.

3. Superstudio, Design d’evasione e d’invenzione, in “Domus”, n. 475, 1969, pp.

28-33.

100

*INCURSIONI*

Superstudio, Monumento Continuo, veduta su Piazza Navona, Roma, 1970.

101

*CIRCUS*

Da qui gli Istogrammi d’Architettura privi di indicazioni dimensionali e quindi capaci di generare qualunque cosa, dall’oggetto alla città. Nasce la linea di mobili Misura.

Gli architetti tramite i loro oggetti di design, i loro concetti provocanti e alcune performance realizzate nelle città cercavano di risvegliare quelle capacità critiche e creative che si erano addormentate nelle persone.

Difatti nel 1965 Cristiano Toraldo di Francia insieme ad Adolfo Natalini creano un progetto per presentare la nuova linea di scarpe di Salvatore Ferragamo: Vetrines Vivants. Una visione estesa dell’architettura, che combina il corpo alla danza, al teatro, alla musica, alla fotografia e alle all’arte performativa. Nel 1971 la tridimensionalità del Monumento Continuo cambia fino alla bidimensionalità della Supersuperficie, una nuova realtà distribuita lungo tutto il pianeta. “Il pianeta ri-vestito da in una griglia nascosta individuata nei nodi da spine universali, in grado di fornire energia, informazioni, cibo”4.

L’attenzione non era più dunque nella tridimensionalità come supporto di vita, ma sull’uomo e sulla donna che attraversando il pianeta creavano 4. C. Toraldo di Francia, Ri-vestire, Quodlibet, Macerata, 2018, p. 38.

102

*INCURSIONI*

Superstudio, Serie Misura, 1969 / 1971; Superstudio, Vetrines Vivantes per Salvatore Ferragamo, Firenze, 1965.

103

*CIRCUS*

performance “a volte senza abiti a volte completamente vestiti”5.

Durante un viaggio in Australia, C. Toraldo di Francia entra in contatto con le popolazioni aborigene che “continuamente si spostavano da un punto all’altro dei territori, senza indossare abiti e senza costruire architetture, ridotte, al più, al rituale di un cerchio di pietre intorno l fuoco e infine portando con sé pochissimi oggetti per la pura sopravvivenza”6.

Gli aborigeni disegnano il loro corpo con disegni e segni generalmente bianchi di singolare bellezza, riducendo l’abito in pura comunicazione scritta sulla pelle. Sul corpo praticano dei tagli per avere grandi cicatrici ornamentali in rilievo.

Il loro fare nomade segna tracciati di vita in questa supersuperficie che è il deserto. Scorgono informazioni, storie, miti e leggende. La maglia rigida della supersuperficie si è con il tempo “liquefatta” e distaccata dalla superficie della terra.

Si è uniformata e adattata ai nostri corpi creando delle microarchitetture personali che ci ri-vestono. Degli abiti per una nuova umanità.

“La progettazione coincide così sempre più con 5. Ibid., p. 40.

6. Ibid., p. 40.

104

*INCURSIONI*

Superstudio, SuperSuperficie, 1971.

105

*CIRCUS*

l’esistenza: non più esistere al riparo degli oggetti del design, ma esistere come progetto”7 difatti il corpo umano “è fatto di moltissimi tipi di tessuto sovrapposti e intersecati tra loro”8 arricchito di strumenti di connessione e informazione che ci permettono di essere e di vivere.

Le vite umane non erano solo i soggetti principali nelle opere di Superstudio, ne erano il progetto stesso, un pensiero costruttivo della propria esistenza.

7. Superstudio, Atti fondamentali Vita (Supersuperficie), 1971 / 1972.

8. M. Giberti, Compendio di anatomia per progettisti, Quodilibet, Macerata, 2014, p. 109.

106

*INCURSIONI*

Superstudio, Da Atti fondamentali Vita (Supersuperficie), 1971 / 1972.

107

Archizoom

Vestirsi è facile

*CIRCUS*

P

arallelamente ai Superstudio, sempre nell’Università di Firenze nasce Archizoom Associati, un gruppo di architetti composto da Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi ai quali dal 1968 si aggiunsero i due designer Dario e Lucia Bartolini. I due gruppi nel Dicembre 1966 collaborano alla mostra Superarchitettura, “l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super”1.

Dal 1967 gli Archizoom iniziano a produrre immagini sempre più pop e i riferimenti si avvicinavano al movimento dell’Arte Povera2 e al ready-made3 di Duchamp. Proprio in questo periodo gli Archizoom esplorano il significato del falso tramite la realizzazioni di pattern e texture che ricordavano quelle del marmo o delle pietre preziose.

1. Manifesto mostra Superachitettutra, Pistoia, dal 4 al 17 Dicembre 1966.

2. Movimento artistico contemporaneo nato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta nelle principali città italiane, specialmente Torino. Gli artisti assumevano una posizione radicale dell’arte attaccando i valori delle istituzioni, dell’industria e della cultura utlizzando materiali “poveri” come terra, legno, ferro, stracci, plastica e scarti industriali.

3. Ready-made, opere “già pronte” diventa il metodo di sconvolgimento dell’arte tradizionale. Celebre è l’orinatoio di Marcel Duchamp: Fontana.

112

*INCURSIONI*

Archizoom, Superstudio, Manifesto mostra Superarchitettura, Pistoia, dal 4 al 17 Dicembre 1966.

113

*CIRCUS*

È difatti falsa anche la pelle di leopardo con cui è rivestito il divano Safari prodotto da Poltronova nel 1967. Il pezzo, già all’epoca definito cult è apparso infatti in molte riviste4 del settore del design, dell’architettura e della moda.

Nel progetto Safari, come per il divano Superonda del 1967, senza telaio e leggerissimo da trasportare, il gruppo sfida le convenzioni borghesi per un modo di vivere libero, eclettico e kitsch con evidenti riferimenti alla cultura della beat generation5. La moda infatti è un fenomeno che tra gli anni Sessanta e Settanta influenza particolarmente i giovani. L’Haute Couture sembra vacillare e un nuovo certo tipo di moda nasce e si sviluppa nelle strade, dove ognuno aveva una propria identità che mostrava agli altri tramite i loro vestiario.

Nel 1971, Archizoom conia il termine Dressing Design per circoscrivere l’ambito di progettazione di oggetti per l’abbigliamento iniziando a sperimentare il loro progetto Nearest Habitat System.

Questa ricerca nasce proprio quando il gruppo di 4. Una zampata nel mondo della stile, in “Vogue”, n. 208, 1968, pp. 46-55; II “Safari”: un soggiorno nel soggiorno, in “Abitare”, n. 72, 1969, pp. 22-23; E. Sottsass, Archizoom, quei bravi ragazzi, in “Domus”, n. 455, 1967, pp. 37-42.

5. Primo vero gruppo organizzato che combatte per i diritti civili, nato nell’Università di Berkley in California nel 1998 e arrivato poco dopo in Europa. Da qui nascono poi gli hippies che cambieranno la storia della moda e non solo.

114

*INCURSIONI*

Archizoom, Divano Safari, 1967.

115

*CIRCUS*

architetti ideano tutti gli oggetti necessari per la loro città utopica: No-Stop City. Per questo luogo che era interamente climatizzato avevano pensato anche ad un abito per uomo e per animali, ma anche ad un sistema di indumenti che favorisse il clima artificiale della loro città.

La No-Stop City, concepita tra il 1968 e il 1971, è per il gruppo radicale la prima visione della città del futuro. Un edificio abnormemente ingrandito, tanto da diventare invisibile nei suoi confini.

All’interno è uno spazio vuoto dove i luoghi sono definiti dalle loro funzionalità. Una città cablata, ventilata e illuminata artificialmente, a riparto da qualunque agente atmosferico. Rappresenta una “struttura residenziale continua” eliminando gli spazi tra gli edifici, le facciate e le divisioni sociali che denotano povertà e disuguaglianza.

Ispirazione e suo predecessore è il supermercato, con il suo spazio indistinto dove gli addetti e le merci circolano liberamente, cambiando nel tempo, le loro reciproche combinazioni e configurazioni.

Gli architetti non si sono limitati ad arredare la loro città utopica inserendo “un cesso ogni cinquanta metri”6 ma attuando delle trasformazioni anche all’abbigliamento.

6. G. Mastrigli, Utopie Negative, lezione presso l’Università di Camerino, Ascoli Piceno, 3 Dicembre 2013.

116

*INCURSIONI*

Archizoom, No-Stop City, 1970; Archizoom, Internal landscape No-Stop City, 1970.

117

*CIRCUS*

Un armadio che funzioni tutto l’anno indipendentemente dalla stagione, semplicemente addizzionando e sottraendo elementi.

Si partiva da un corpo, una canotta, una tuta ampia a maniche lunghe, una camcia di garza, calzini pelosi, pellicce sintetice e cinturini. La canotta poteva servire come costume da bagno, come intimo o come camicia.

Dressing Design faceva parte di un movimento contro la moda classica, fatta da rigide tradizioni sartoriali, mode stagionali e abbigliamento di genere. Rappresenta “un’esperienza di progettazione urbana, dove era possibile sperimentare la nuova dimensione di una cultura collettiva”7.

Un collegamento diretto al saggio Architektur di Adolf Loos del 1911 in cui viene fatto un parallelismo tra architettura e sartoria: il progetto architettonivo non come atto di costruzione ma come atto appartenente all’ambito dell’abitazione.

Secondo Archizoom la moda rappresentava un settore della decorazione e dell’estetica della città ma funge anche da comunicatore sociale.

“Un oggetto figurativo, in cui i valori fondamentali sono costituiti dal colore, dall’effetto ottico del tessuto, e dalla immagine complessiva che riesce 7. A. Branzi, Il design italiano 1964-2000, Mondadori Electa, Milano, 2008. p.

86.

118

*INCURSIONI*

Archizoom, sistema d’abbigliamento Nearest Habitat System - Dressing Design, Brevetti Bernè, 1971.

119

*CIRCUS*

a comunicare”8.

Nel 1970 gli Archizoom scrivono Proposta per un programma di progettazione di un “sistema razionale di abbigliamento” che rappresenta il manifesto della loro prima ricerca nella moda.

L’intento era trasportare l’idea della superficie neutra dall’ambito domestico o urbano a quello dell’abbigliamento, lasciando la possibilità di creare un abito partendo dalle esigenze fisiche di ognuno. Da qui i processi industriali diventano necessari per poter sfruttare tutte le caratteristiche dei nuovi tessuti e delle tecniche tessili.

I jeans rappresentano per Archizoom il prodotto di abbigliamento neutro per eccellenza.

“Essi sono un esempio di ciò che può essere un vero e proprio prodotto industriale nel campo dell’abbigliamento: studiati funzionalmente per quanto riguarda i processi produttivi essi hanno superato per la prima volta il concetto del pantalone elegante, con piega e risvolto; nati in settori specializzati come quello dell’abbigliamento per il lavoro, per la caccia, per il movimento sportivo, hanno costituito, una volta introdotti nel vestiario, 8. Archizoom, Proposta per un programma di progettazione di un “sistema razionale di abbigliamento”, in S. Gargiani, Archizoom associati 1966 – 1974. Dall’onda pop alla superficie neutra, Mondadori Electa, Milano, 2007, n. 71, p. 89.

120

*INCURSIONI*

Archizoom, Nearest Habitat System, 1971.

121

*CIRCUS*

una grossa rivoluzione sui piano del comportamento. I giovani vi hanno riconosciuto spontaneamente uno strumento di libertà e di invenzione.

I blue-jeans infatti, proprio perchè prodotto industriale, non hanno creato una moda ma piuttosto un modo nuovo di capire la moda, molto più personale e libera. Risolvendo infatti il problema del vestiario in maniera la più tecnica possibile, la più funzionale possibile, hanno spostato l’intervento individuale, creativo e comunicativo, sulle possibilità di combinazione, d’uso, di accessori ecc. altrimenti impossibile”9.

Nello stesso anno la ditta Brevetti Bernè, specializzata nell’abbigliamento ortopetico e sanitario, incarica gli architetti ad elaborare una serie di costumi da bagno. Ne escono dei body unisex in lycra colorata, caratterizzati da una pronunciata sgambatura e da bretelle che collegano slip e reggiseno, colletti, bottoni e cinture. Un evoluzione di questi body è il Nearest habitat, pensato in plastica e che rappresenta l’abito come prima casa dell’uomo.

Nel 1972 il gruppo entra in contatto con Elio Fiorucci, stilista ed imprenditore meneghino, che acquista i modelli Archizoom per metterli in vendita nei suoi negozi.

9. Ibid., p. 89.

122

*INCURSIONI*

Oliviero Toscani, Nearest Habitat System, MOMA, L’Uomo Vogue, 1972.

123

*CIRCUS*

Nello stesso periodo nasce una nuova collaborazione con il Maglifico Morgan per sviluppare il solito sistema Nearest. Questo porta alla realizzazione di una tuta che poteva essere corta o lunga e indossata insieme al body. Oliviero Toscani scatta questi abiti in una stanza vuota del MOMA per L’Uomo Vogue. “Noi concepiamo il design come una terapia d’urto: distruggere le categorie imposte dal sistema e sviluppare la capacita creativa dell’individuo”10. Il loro obiettivo non era creare un nuovo vestito, ma di concepire metodi diversi per l’uso dell’abigliamento. I loro abiti erano oggetti amofri, basici , richiedevno una continua invezione.

In occasione di Moda Mare Capri del 1973, gli Archizoom fecero sfilare la collezione Vestirsi è facile; “L’eleganza è morta”11 come era morta l’architettura nel caso dell’abitare.

L’eleganza, come l’architettura non rispecchiava le personalità di ognuno ma rappresentava quasi un obbligo sociale che trasformava l’uomo in un manichino in divisa. Un progetto che va oltre la moda in cui il nuovo capo, un grande camice ispirato alla tradizione orientale, rappresenta l’i10. Gli Archizoom, Dressing Design, in “L’Uomo Vogue”, agosto / settembre 1972, p. 68.

11. Ibid., p. 68.

124

*INCURSIONI*

Archizoom, Vestirsi è facile, in “Casabella”, n. 387, 1974, pp. 43.

125

*CIRCUS*

nizio della seconda parte del progetto Dressing Design grazie al connnubio tra le tecniche di taglio e cucitura, artigianto, tradizione e industria.

Modelli unisex che aderiscono al corpo tramite fasce ed elastici. Realizzati in denim e umili tessuti toscani che venivano tagliati in quadrati da 70 centimetri di lato per evitare gli scarti e cuciti tra loro con grossi fili colorati di lana o cotone. “È solo rinunciando ai metodi tradizionali di tipo sartoriale, presenti in larga misura anche nella produzione industriale, che si possono affrontare e utilizzare correttamente le tecnologie e i metodi produttivi, derivando i criteri direttamente dalla natura dei processi produttivi.

In questa caso la prima operazione fondamentale e quella di considerare il tessuto o la stoffa come un nastro continuo a larghezza costante, non una indefinita superficie sulla quale si ritagliano a caso delle porzioni”12.

12. Archizoom Associati, Vestirsi è facile, in “Casabella”, n. 387, 1974, pp. 43-48.

126

*INCURSIONI*

Archizoom, Vestirsi è facile, in “Casabella”, n. 387, 1974, pp. 44.

127

Cristiano Toraldo di Francia vestire il pianeta, vestire un corpo

*CIRCUS*

D

opo le esperienze con il collettivo di cui ha fatto parte dal 1966, Cristiano Toraldo di Francia si dedica maggiormente al sistema moda, in questo caso come autore singolo, affascinato sia dall’artigianalità sia per la sua capacità di creare continui cambiamenti nel mondo e un continuo rinnovamento del desiderio di acquisto.

Professore nella Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria dell’Università di Camerino tiene corsi tra cui il laboratorio Ri-vestire basato sulla contaminazione di genere, sull’artigianalità e sull’arte performativa. Questo concretizza ancora una volta il pensiero di Superstudio: “io sono (tu sei, egli è, noi siamo, voi siete, essi sono) architettura vivente”1.

Ri-vestire significa riciclo, riuso, costruzione e decostruzione, multifunzionalità e artigianato.

Cristiano Toraldo di Francia nel 2011, insieme ai suoi studenti sperimenta e studia l’abito quotidiano, l’abito arazzo e l’abito rifugio. La città non è più riconducibile ad un luogo fisico, questo perché

1. A. Natalini, Com’era ancora bella l’architettura nel 1966, in Superstudio Opere 1966 / 1978, G. Mastrigli (a cura di), Quodilibet, Macerata, 2016, p. 584.

132

*INCURSIONI*

C. Toraldo di Francia, Abito Quotidiano, UNICAM Ascoli Piceno, 2011.

133

*CIRCUS*

essa idealmente è ovunque come condizione urbana, allo stesso modo l’architettura perde le sue classiche caratteristiche strutturali per mutarsi in architetture leggere, con la possibilità di indossare l’architettura e trasformarla, per un’umanità nomade che vuole essere e sentirsi in qualunque posto a casa propria. L’abito viene considerato come un sostituto dell’ambiente domestico e l’abitare sta tra l’abito e l’abitato. L’abito è il contenitore dell’uomo ovvero dell’abitante, l’abitato è organizzazione dell’abitare. Le abitudini e le relazioni che l’uomo produce si sviluppano negli spazi fisici in cui possiamo avere il controllo degli oggetti e dello spazio. Questo significa abitare.

Secondo Lucy Orta, artista contemporanea influenzata dall’architettura, “il corpo produce lo spazio a partire dal suo spazio e ne traccia la figura intorno a se”2.

L’Abito Quotidiano è realizzato con un elemento estraneo al mondo del tessile: la carta di giornale.

La manipolazione della carta seguita da una serie di piegature danno vita a sculture indossabili.

Le stampe dei quotidiani diventavano come il tartan, un pattern, che, in questo caso, trasforma il corpo in una pubblicità vivente.

2. M. Aime, Le case dell’Uomo, Abitare il Mondo, conferenza Dialoghi sull’Uomo, Pistoia, 25 Maggio 2014.

134

*INCURSIONI*

C. Toraldo di Francia, Abito Quotidiano, UNICAM Ascoli Piceno, 2011.

135

*CIRCUS*

Queste azioni vengono riprese da ogni studente e nascono tante composizioni quanti sono gli alunni. Peraltro l’Abito Quotidiano non è così distante dal processo costitutivo sartoriale, difatti il cartamodello è uno strumento indispensabile per i sarti, in quanto è la rappresentazione su carta dei ritagli di tessuto che compongono un abito.

Un vero e proprio prototipo su carta di ciò che poi sarà traslato su stoffa. L’arazzo, elemento di rappresentazione artistica su tessuto, per natura è bidimensionale, con l’Abito Arazzo diventa un elemento tridimensionale capace di unire la moda all’arte. Una comunicazione che supera il confine della materia stessa e che nasce dalle stesse azioni di base delle opere di Burri o di Fontana, quali taglio e sovrapposizione.

L’Abito Arazzo quando appeso al muro come elemento bidimensionale è decorazione, quando viene indossato è comunicazione identitaria e racconta agli altri ciò che siamo.

Martin Margela per la primavera 1998, ha realizzato una collezione flat in cui i sarti della Maison sono usciti in passerella con delle gruccie sulle quali erano appesi gli abiti. L’idea era realizzare capi bidimensionali e che sarebbero risulati assolutamente piatti quando non indossati su di un corpo tridimensionale.

136

*INCURSIONI*

C. Toraldo di Francia, Abito Arazzo, UNICAM Ascoli Piceno, 2011; Martin Margela, Look 4/51, Ready to Wear, Spring Summer 1998.

137

*CIRCUS*

“When not worn these pieces are totally flat”3, proprio come l’Abito Arazzo studiato da Cristiano Toraldo di Francia.

L’Abito Rifugio crea un riparo per l’essere nomade, utilizzando materiali impermeabili e dotato di basilari elementi tecnologici. Il confine interno-esterno dell’architettura rifugio si manifesta nel momento in cui l’abito si stacca dal corpo per diventare spazio. Una barca o una tenda possono essere una casa, così come il sacco a pelo. Ciò che fa di un luogo una casa è ciò che crea spazialità nel tempo. Un abito rifugio, come una tenda da campeggio. Così come il cappotto protegge l’abitazione dalle intemperie coibentando le pareti, l’abito è il nostro rivestimento, ci protegge, dal freddo e dai pensieri, è comunicazione di noi stessi agli altri. L’abito è sulla nostra pelle.

“La modernità è arrivata sulla nostra pelle. C’è un particolare spazio sul quale vale la pena di riflettere oggi: è quello tra noi e noi stessi, tra la percezione della nostra identità e il modo in cui essa prende forma e si proietta verso l’esterno. La grande rivoluzione intuita più di un secolo fa dal pensiero di Nietzsche e Freud, la rivoluzione dell’io come forma concreta, deificata della volontà di potenza 3. Si leggeva sulla scenografia della collezione Martin Margela, Spring Summer 1998.

138

*INCURSIONI*

Studio Orta, Refuge Wear - Habitent, 1992 / 1993.

139

*CIRCUS*

dell’uomo, cioè del sue essere al mondo, ha fatto la storia del Novecento con l’esplosione del corpo umano come dispositivo insieme pulsione e normativo. Idee, valori, aspettative, un tempo gestiti dal linguaggio mitico e poi dal pensiero astratto, si sono sempre più incarnati in un proliferare di esempi concreti, modelli reali: corpi, appunto, che rappresentano qualcosa proprio in quanto abiti, letteralmente modi di essere, disposizioni dell’animo”4. Il Monumento Continuo, come rappresentazione dell’architettura, per i Superstudio è stato un atto estremo per smascherare la tendenza capitalistica all’omologazione dell’interno pianeta tramite una rete di informazioni e controllo (Supersuperficie). Allo stesso modo con Ri-vestire, tramite i processi di sviluppo degli abiti, Toraldo ha cercato di smascherare il sistema che c’è dietro a quel continuo rinnovamento del desiderio di acquisto e quell’intenzione di unificare pensieri e omologare fisicità, che sono necessarie per la sopravvivenza del mercato di massa. Le elaborazioni dell’architettura e dell’abito sono state combinate come strumenti critici utilizzando le stesse tecniche di racconto e costruzione, partendo dal recupero della manualità creativa per il recupero e il riconoscimento dei valori del corpo e dello spazio.

4. G. Mastrigli, Modernità sulla pelle, in Ri-vestire, C. Toraldo di Francia (a cura di) Quodlibet, Macerata, 2018, p. 10.

140

*INCURSIONI*

C. Toraldo di Francia Studio, Filottrano, 2014.

141

Zaha Hadid

il salto di scala

*CIRCUS*

C

onosciuta come la “Regina delle Curve” per le sua innovazioni architettoniche, Zaha Hadid è stata una delle esponenti del Decostruttivismo, movimento che infrange l’equilibrio e la composizione classica dell’architettura, infrangendo le ordinarie geometrie per crearne di nuove, istabili, disarticolate, decomposte.

Ispirata dagli scenari naturali e dagli essere viventi estendeva la sua visione dell’architettura anche al corpo riuscendo a creare delle vere e proprie esperienze spaziali. Hadid propone una spazialità continua, di tipo organico, un vero e proprio paesaggio fluttante, una pelle architettonica. Si impegna nello stabilire una connessione tra le sue opere creando nuovi paesaggi capaci di aderire e partecipare alla città contemporanea e alle vite di chi la città la abita. Come i suoi progetti la Hadid è dinamica, in un perpetuo movimento, è nomade. I suoi progetti sono frutto della traduzione dell’immaginazione in immagine utilizzando la pittura o la scultura e in seguito lo sviluppo dell’immagine in architettura.

146

*INCURSIONI*

Dolomiti, Italia / Zaha Hadid, Riverside Museum, Glasgow, 2011.

147

*CIRCUS*

Nascono così elementi scultorei in cui forma e funzione non sempre vanno di pari passo, possono essere indipendenti. Un esempio di architettura panoramica è il Centro culturale Heydar Aliyev in Azerbaigian realizzato nel 2012 grazie ad un approccio puramente contemporaneo che si discosta dall’impianto sovietico del luogo.

Grazie alla sua fluidità, quasi corporea, l’edificio dialoga con gli abitanti creando un nuovo tessuto urbano per la città di Baku, avvolgendo i visitatori come un abito avvolge il corpo e definendo una serie di spazi dedicati alla collettività. Le proprie architetture ampie e sinuose diventano la sua stessa ispirazione in cui la creatività non ha confini, è musa di se stessa. Le curve per antonomasia sono celebrazione della figura femminile e istintivamente sono spazi da vivere e sculture da indossare. L’architettura e la moda viene trattata e maneggiata allo stesso modo, seguendo le linee organiche come riferimento e il suo lavoro prende forma in un conteso ampio ed eterogeneo in cui “le radici del mondo arabo si mescolano con il rigore del Bauhaus con le suggestioni dell’informale e del pop, l’adesione al modernismo con l’energia legata ai concetti matematici di campo e flusso”1.

1. G. Leoni, Zaha Hadid, L’ Architettura i protagonisti, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, Milano, 2007, p. 19.

148

*INCURSIONI*

Sandro Botticelli, dettaglio Nascita di Venere, 1485 / 1486, Tempera su tela, 172,5 cm × 278,5 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze; Zaha Hadid, Heydar Aliyev, Baku, Azerbaigian, 2012.

149

*CIRCUS*

Per Louis Vuitton infatti realizza la LV bucket bag ideandola come un “generico contenitore” seguendo lo stesso approccio che ha con l’architettura. Estrudento e distorcendo un materiale, in questo caso per creare un architettura panoramica per il corpo. Un’architettura stratificata che contiene una pochette e una clutch internamente alla borsa a secchiello, realizzata in maniera ergonomica per aderire perfettamente alla spalla di chi la indossa. Un pezzo di couture e una scultura contemporanea. Indipendentemente dalla scala dei progetti dell’architetto Hadid, ogni sua scultura sembra avere vita propria. Gli elementi naturali la animano e la vivono. I venti sembrano volersi incanalare in ogni curva. Le architetture stratificate con le sembianze di grandi navi solcano i mari.

Nel 2007 realizza per Chanel un’architettura effimera commissionata da Karl Lagerfeld direttore artistico della Maison.

Il Padiglione prende il nome di Mobile Art ed è stato realizzato come espositore di arte contemporanea per la celebrazione della borsa 2.55 ideata da Gabrielle Chanel nel 1955.

L’intento era quello di poter realizzare un opera che potesse essere spostata come una borsa Chanel. Il padiglione ha infatti una struttura smontabile in acciaio ed è stato portato in diverse città 150

*INCURSIONI*

Zaha Hadid, Louis Vuitton Bucket Bag, 2006.

151

*CIRCUS*

come New York, Tokyo, Hong Kong e Parigi.

Il rivestimento traslucido e texturizzato rimanda al tessuto matelassé tipico delle borse della Maison francese.

All’interno del Mobile Art si sviluppa un “percorso paesaggistico” creato per ospitare ogni artista in mostra senza avere un solo grande spazio espositivo. Architettura, design e moda si fondono creando geometrie indossabili per Bulgari, utilizzando gli stessi principii che utilizza nell’architettura.

L’architetto gioca con il salto di scala, dal Padiglione toroide per Chanel all’anello per Bulgari fino alla calzatura per il brand francese Lacoste disegnata nel 2008. Una scarpa e uno stivale pensati per arricciarsi e adagiarsi alla conformazione della caviglia e del polpaccio. In questo caso l’architettura è un involucro in pelle che protegge il corpo, è leggera, è indossabile, aderisce alla contemporaneità rappresentata nel corpo. Un grattacielo per la caviglia.

Le scarpe Nova e Flames per il brand avanguardista United Nude di Rem D. Koolhaas, nipote del celebre architetto, nascono combinando una serie di operazioni formali quali estrusione, distorsione, 2. K. Rosenfield, Zaha Hadid’s 3D Printed Flame Heels, in “Archdaily”, 15/04/2015, https://www.archdaily.com/620023/ zaha-hadid-s-3d-printed-flame-heels-among-5-designs- to-re-invent-the-shoe, accesso 26/04/2021.

152

*INCURSIONI*

Coco Chanel, Borsa 2.55, dettaglio tessuto matelassé, 1955; Zaha Hadid, MAP Mobile Art Pavillon, 2007.

153

*CIRCUS*

peeling e taglio. Una scarpa stampata in 3D “delicata ed effimera, ma avvincente e dinamica”2.

Scarpe decisamente particolari, in cui è impossibile correre o camminare facilmente.

Ma sono scarpe per sognare, per sfidare le regole della gravità come tutti i suoi progetti, sono scarpe per stupire e per farsi criticare.

Hadid tratta le sue forme con forza, con audacia e quella procazione che l’ha sempre contraddistinta. Onde ghiacciate perfettamente fuse ad ogni angolo creando spazi di silenziosa armonia che si rincorrono in assoluta fluidità.

“Quando la gente vede cose fantastiche, la prima cosa che pensa è che non siano possibili.

Invece non è vero; siamo capaci di costruire cose formidabili”3.

3. X. Brooks, intervista a Zaha Hadid, I don’t make nice little buildings, in “The Guardian”, 22/09/2013, s://www.theguardian.com/artanddesi- gn/2013/ sep/22/zaha-hadid-dont-make-nice-little-buil- dings, accesso 26/04/2021.

154

*INCURSIONI*

Zaha Hadid, Gallery Soho, Beijing, 2012 / Zaha Hadid, Scarpa Nova, 2013.

155

Rem Koolhaas

processualità tra architettura e moda

*CIRCUS*

R

em Koolhaas, è uno degli architetti più noti nella scena internazionale, ma anche urbanista, scenografo e saggista, Nonostante abbia realizzato edifici in tutto il mondo è difficile riconoscere un tipico edificio firmato Koolhaas solamente osservandolo. Per poter definire lo stile dell’architetto bisogna entrare nel suo regno, discostarsi dai classici elementi costruttivi per entrare nel mondo delle immagini, dei modelli di progetto e dei processi. Un mondo ricco di idee.

“What is your goal for the rest of your career? To keep thinking about what architecture could be.

What I could be”1.

Tutti i suoi prodotti, tuttavia, sono influenzati dal processo creativo e dalla ricerca che punta a farsi domande e mettere in discussione ciò si che ha davanti, un sistema che raccoglie e produce idee.

Le sue realizzazioni rappresentano idealmente delle “assemblee” in cui l’architetto non da risposte ben precise ma rilascia informazioni per poter permettere agli spettatori di formare una propria interpretazione.

1. J. Sigler, intervista a Rem Koolhaas, in “Index Magazine”, 2000, http://www. indexmagazine.com/interviews/rem_koolhaas.shtml, accesso 26/04/2021.

160

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, frame da There’s nothing frivolous about fashion, CNN, 2018.

161

*CIRCUS*

I modelli di progetto sono fondamentali in questo processo perché rappresentano i contenitori delle idee e dei vincoli. Semplificano la sperimentazione di nuove proposte e mostrano immediatamente le criticità del disegno e si trasformano lentamente nel progetto definitivo. Sotto alcuni aspetti moda e architettura sono gli opposti. La moda è veloce, le collezioni vengono ideate e realizzate in pochissime settimane e ogni sei mesi si cerca qualcosa di nuovo. La moda è costantemente in movimento. L’architettura è costruita per durare. Gli edifici possono richiedere diversi anni per poter essere completati e generalmente non sono fatti per essere spostati o riprodotti: si realizzano condizioni uniche. Nella moda, al contrario, se un prodotto è di successo, viene replicato più e più volte. Questo però non determina la distanza tra i due campi.

Pierre Balmain era solito definire l’arte sartoriale come “l’architettura del movimento”2. Due discipline che oggi, unificate, rappresentano una trasgressione delle convenzioni ordinarie in cui non si parla più solamente di una serie di operazioni marketing.

“Il bello di una sfilata di moda è che in pochissi2. Balmain, in “Elle”, 12/08/11, https://web.archive.org/web/20110812003951/ http://www.elle.com/Fa, accesso 9/11/2020.

162

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, frame da There’s nothing frivolous about fashion, CNN, 2018.

163

*CIRCUS*

mo tempo, ti trovi di fronte a una serie di condizioni uniche che richiedono tutte attenzione e rappresentano la bellezza e rappresentano un’idea, mentre la guardi non c’è assolutamente nient’altro a cui puoi pensare. Quindi è davvero unico, e quell’intensità di mobilitazione della tua attenzione, è qualcosa che quasi invidio”3.

Koolhaas considera la moda una vera e propria disciplina, sottolineando che “non c’è nulla di frivolo in questo”4, e che con l’architettura, si rapportano tra l’essere umano e il suo spazio vitale, realizzando progetti diversi in scale diverse.

Nello studio Project on the City II: The Harvard Guide to shopping, Koolhaas interpreta le trasformazioni urbane dei primi anni Duemila come il risultato dei processi consumistici. Queste intuizioni vengono poi riprese per la realizzazione dei nuovi spazi Prada, chiamati Epicentri. Dal momento in cui lo spazio commerciale ha inglobato gran parte degli spazi collettivi, l’architetto vuole ridefinire il concetto di esclusività inserendo all’interno degli ambienti generalmente dedicati allo shopping degli scenari che fino a quel momento si sono dichiarati pubblici.

3. R. Koolhaas, dal video There’s nothing frivolous about fashion, CNN, 2018.

4. Ibid.

164

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, frame da There’s nothing frivolous about fashion, CNN, 2018.

165

*CIRCUS*

“Il cambiamento principale è che la città era libera e ora devi pagare, che si tratti di un museo o di un negozio”5.

L’inserimento di elementi abituali in contesti ignoti permette quindi di alterarne il significato. Nel momento in cui tutto è considerato consumismo, il lusso prende una connotazione diversa. Il lusso è l’assenza della pressione al consumo e l’assenza della pressione nel vendere. Gli epicentri rappresentano per l’architetto degli ambienti capaci di connettere gli utenti, il brand e la città. Sono spazi ibridi in cui si possono fare delle riflessioni sulle esperienze capaci di coinvolgere la molteplicità dei sensi moltiplicando le esperienze.

Il cliente viene coinvolto “a partire dal suo essere prima di tutto un corpo senziente e in seconda battuta, una mente intellettualmente stimolata per vivere l’identità come un personaggio su di un set che gli offre nuovi modi di essere.

Una architettura capace di trasdurre i segni che evocano gli effetti di Cinema, teatro, arte (performance, istallazioni) possono farlo sentire attore, in una sorta fiction che contribuisce egli stesso a sceneggiare, muovendosi in uno spazio nel quale il prodotto entra in un gioco di presenza-assenza 5. J. Sigler, op. cit.

166

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, Copertina Projects for Prada, Milano, 2001.

167

*CIRCUS*

capace di ingaggiare la domanda di desiderio”6.

Secondo Koolhaas biblioteche, aeroporti, musei, scuole e ospedali sono sempre più simili ai centri commerciali creando una specie di “intrappolamento commerciale” che ha trasformato i visitatori di musei, i viaggiatori, pazienti e studenti in semplici clienti, appiattendo ciò che li caratterizzava. L’epicentro di New York realizzato nel 2001 vuole proprio ribaltare questa situazione e non considerare più i clienti come consumatori, bensì come individui riconosciuti: studenti, pazienti, ricercatori, visitatori di musei, appunto. Lo spazio è considerato un negozio-laboratorio in cui vengono sperimentate nuove connessioni tra cliente e brand e presenta “un’onda” di legno che rotola verso il seminterrato e che lo collega al piano terra. L’onda provvista di gradini non solo è un espositore di scarpe e accessori, ma è anche una seduta che fa fronte ad un palcoscenico che può essere aperto dall’onda lignea. Il negozio è anche un luogo per la proiezione di film, ma anche per performance o conferenze. Al soffitto sono appesi degli espositori motorizzati che si muovono tramite dei binari generando una serie di nuovi spazi, labili nel tempo e capaci di rigenerarsi più e più volte.

6. L. Cantoni, Gli Epicentri di Prada, in “MyWhere”, Bologna, 6/03/2015, https:// www.mywhere.it/14240/gli-epicentri-di-prada.html, accesso 26/04/2021; 168

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, Epicenter New York, New York, 2001.

169

*CIRCUS*

Inoltre l’epicentro è dotato di molteplici contenuti multimediali che permettono agli individui di conoscere tutte le informazioni relativi ai prodotti tramite metodi di visualizzazione interattivi. L’intenzione del progetto è quella di rendere l’esperienza d’acquisto non un’azione sterile ma un’arricchimento per la persona, è “uno strumento per trasmettere future direzioni”7.

L’epicentro di Los Angeles situato in zona Beverly Hills viene realizzato nel 2004. Il processo di realizzazione è simile allo spazio newyorkese: la necessità di collegare due piani, in questo caso non genera un’onda ma una “collina” che sostiene una scatola galleggiante in alluminio. La facciata non esiste, non c’è una classica vetrina ma un sistema a muro d’aria che ne regola la temperatura. Il negozio si apre sulla strada, la ingloba e si fonde con lo spazio pubblico e commerciale. La scatola galleggiante al secondo piano è rivestita di un materiale ad alta porosità chiamato “sponge” e studiato appositamente per lo store.

Il terzo piano denominato “scenario space” è processato come un’idea estesa di vetrina con suggestioni aeroportuali tramite le varie connessioni 7. R. Koolhaas, Projects for Prada, Fondazione Prada, Milano, 2001, p. 6.

170

*INCURSIONI*

R. Koolhaas, Modello per Epicenter Los Angeles, 2004; R. Koolhaas, Epicenter Los Angeles, Los Angeles, 2004.

171

*CIRCUS*

agli elementi multimediali. Sono spazi di promozione di diverse forme culturali capaci di convertire un classico negozio in uno luogo favorevole alle sperimentazioni e al dialogo con la contemporaneità. Dal 2007, lo studio di ricerca AMO dell’architetto olandese realizza una serie di fotomontaggi e collage per i lookbook della casa di moda che vanno oltre l’allusione architettonica, gli essere umani diventano edifici e gli elementi architettonici disincantati rappresentano quasi uno spazio post-apocalittico. L’architettura è un involucro delle attività. Le passerelle di Rem Koolhaas per Prada sono un vero e proprio equilibrio tra cultura architettura e moda, sono un luogo di scambio di informazioni. Gli abiti vengono tradotti in un’estetica costruita in uno spazio che funziona per immagini e performance.

Nel 2018 un’altra collaborazione tra Prada e Koolhaas sfocia nella realizzazione di uno zaino utilizzando il classico tessuto in nylon nero della Maison. Il risultato è un approccio puramente poetico, pratico, tecnico ed estetico del materiale.

Viene fatta una riflessione su ciò che è uno zaino, un elemento capiente e capace di contenere molti oggetti personali che però ha come svantaggio il fatto di non essere ben accessibile a chi lo indossa.

Il progetto è una reinterpretazione e una riflessio172

*INCURSIONI*

OMA x Prada, Real Fantasies, 2011.

173

*CIRCUS*

ne sui limiti del linguaggio. Lo zaino progettato dall’architetto “si porta davanti e il suo contenuto è sempre accessibile. È diviso in comparti, la cui dimensione è pensata per alloggiare gli strumenti indispensabili della vita moderna, cui si può avere un agevole accesso tramite opportune aperture.

La posizione frontale consente una maggiore padronanza al proprietario, un miglior controllo del movimento, che evita l’infinita serie di inavvertiti urti di cui lo zaino, suo malgrado, è causa”8.

Le proposte dell’architetto in collaborazione con la Maison rappresentano un vero e proprio Gesamtkunstwerk9 che si rifà a riferimenti storici, ai simbolismi e a nuovi materiali rinnovando costantemente l’universo della moda e dell’architettura. Prada non è stata solo una collaborazione per Rem Koolhaas ma una vera e propria palestra di argomenti dell’attualità, in grado di produrre stimoli, oltrepassare vincoli e costruire nuove capacità e sinergie.

8. R. Koolhaas, Prada Invites, 2018, https://www.prada.com/it/it/pradasphere/special-projects/2018/prada-invites.html, accesso 30/06/2021.

9. Opera d’arte totale, termine coniato da K.F.E. Trahndorff nel 1827.

174

*INCURSIONI*

R. Koolhaas x Prada, Modello in carta Zaino, 2018; R. Koolhaas x Prada, Fall Winter 2018 / 19.

175

Virgil Abloh

costruzione ed estetica

*CIRCUS*

A

lboh è magmatico, si diffonde in ogni disciplina: architettura, design, moda.

Americano con origini ghanesi, dopo la laurea in architettura all’Illinois Institute of Technology di Chicago inizia un’esperienza presso lo studio OMA di Rem Koolhaas per poi proseguire con uno stage da Fendi.

Moda e musica, dall’unione di questi due mondi nasce nel 2013 il brand Off-White; i collegamenti e i rimandi alle due arti sono evidenti nelle collezioni genderless di Abloh, considerato oggi un nuovo interprete dello streetwear di lusso. “Nella mia visione arte, musica e moda si contaminano di continuo. Una serve a ispirare l’altra, non c’è un focus particolare nella mia pratica” ha detto Virgil Abloh durante un’intervista. Con Off-White esprime un mondo nuovo, libero, aperto, post razziale.

Le collezioni rimandano alle architetture moderniste di Mies Van Der Rohe e Frank Lyoyd Wright.

Da qui infatti nel 2018 diventa direttore creativo delle collezioni uomo di Louis Vuitton. Tra gli elementi che più caratterizzano e contraddistinguono il suo percorso possiamo trovare le scarpe.

Esse contengono nel processo creativo tutti i rife180

*INCURSIONI*

Louis Vuitton x DJ Nigo®, Pre-collection Fall Winter 2020.

181

*CIRCUS*

rimenti che hanno fatto parte della formazione di Abloh: “l’ingegneria e l’architettura, cioè la costruzione e l’estetica”1. Le scarpe rappresentano i modelli architettonici. Nonostante progetti per una casa di moda, tra le più celebri al mondo, il modo di pensare rimane sempre quello di un architetto. Si pone domande e problemi, li risolve unendo insieme le diverse discipline. È multidisciplinare.

Ognuna influenza l’altra.

L’architetto in occasione della Biennale di Venezia del 2019, partecipa alla mostra Dysfunctional presso Ca’ d’Oro, Abloh attratto dal fenomeno dell’acqua alta propone una serie di mobili che nascono da terra inclinati, come se potessero essere sommersi dalla marea in qualunque momento, ponendo l’attenzione sui cambiamenti climatici. Da qui la collaborazione Markerad nel Novembre 2019 con il colosso svedese IKEA. Ripropone la sedia Acqua Alta integrando la nuova collezione con nuovi elementi d’arredo riconoscibili e democratici, ponendosi come obiettivo la soddisfazione delle esigenze estetiche e pratiche che richiede generazione dei millennial. Porta il moderno alla contemporaneità, reinterpretando 1. G. Di Salvo, intervista a Virgil Abloh, in “Rivista Studio”, 15/02/2018, https://www.rivistastudio.com/virgil-abloh-workshop/, accesso 26/04/2021.

182

*INCURSIONI*

V. Abloh, Alaska Chair, Dysfunctional, Venezia, 2019.

183

*CIRCUS*

la tradizione in modo personale.

Sempre nello stesso anno l’architetto realizza Twentythirtifive un allestimento all’interno della Fire Station di Zaha Hadid al Vitra Campus in Germania. Esplora le relazioni tra gli adolescenti e le loro case, il loro modo di vivere e immagina come sarà la casa di un teenager di oggi nel 2035.

Il progetto si sviluppa in due sezioni. Past/Present e Tomorrow.

Il primo è una raccolta di oggetti, un condensato di ricordi passati e futuri che rappresenta l’unione di diverse influenze tramite un filtro onirico.

Vengono riuniti i prodotti dell’archivio Vitra che si prevede possano essere in linea con i gusti delle nuove generazioni. Future rappresenta invece la metamorfosi tra ambiente lavorativo e ambiente domestico, uno spazio che cita oggetti conosciuti e che si sono adattati ad un nuovo stile di vita: un passato influenzato dall’oggi. Abloh realizza infatti tre elementi di design. Ceramic Block è un mattone arancione che non ha una funzione strutturale, ma funge da contenitore. Inoltre fa un omaggio ai complementi ideati da Jean Prouvé nel 1942. La lampada Petite Potence e la poltrona Antony vengono ridefiniti tramite una forte verniciatura arancione e plexiglas catapultandoli direttamente nel 2035.

184

*INCURSIONI*

V. Abloh, Twentythirtifive, Vitra Campus, Germania, 2019.

185

*CIRCUS*

In ogni progetto Virgil fa uso delle virgolette, ormai diventate iconiche, per definire gli oggetti.

Aggiungono dell’autoironia e allo stesso tempo nobilitano gli oggetti che utilizziamo continuamente nella vita di tutti i giorni e che passano spesso inosservati.

186

*INCURSIONI*

IKEA x Virgil Abloh, Markerad, 2019.

187

o

C

f or

n

m i Corrispondenti nella forma o nell’aspetto

*CIRCUS*

Sally Victor, cappello, 1960.

190

*CONFORMI*

Frank Lloyd Wright, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 1943.

191

*CIRCUS*

Hussein Chalayan, Ready to Wear, Fall Winter 2007 / 2008.

192

*CONFORMI*

Peter Cook, Colin Fournier, Kunsthaus Graz, Graz, Austria, 2003.

193

*CIRCUS*

Hussein Chalayan, Ready to Wear, Spring Summer 2000.

194

*CONFORMI*

Zaha Hadid Architects, Meixihu International Culture & Arts Centre, Changsha, Cina, 2019.

195

*CIRCUS*

Yasutoshi Ezumi, Ready to Wear, Spring Summer 2016.

196

*CONFORMI*

Frank Gehry, American Center, Parigi, 1992.

197

*CIRCUS*

Chloé, Ready to Wear, Spring Summer 2016.

198

*CONFORMI*

Eric Vo Toan, Mausoleo di Mohammed V, Rabat, Marocco, 1971.

199

*CIRCUS*

Tom Ford, Ready to Wear, Spring Summer 2013.

200

*CONFORMI*

Eero Saarinen, TWA Flight Center, New Tork, 1962.

201

*CIRCUS*

Off-White, Ready to Wear, Spring Summer 2020.

202

*CONFORMI*

Architectkidd, Lightmos, Bangkok, 2008.

203

*CIRCUS*

Viktor & Rolf, Ready to Wear, Spring Summer 2010.

204

*CONFORMI*

Jørn Oberg Utzon, Sydney Opera House, Sydney, 1959 / 1973.

205

*CIRCUS*

Rosie Assoulin, Ready to Wear, Fall Winter 2015 / 2016.

206

*CONFORMI*

Carlo Scarpa, Tomba Brion, San Vito, Treviso, 1969 / 1978.

207

*CIRCUS*

Iris van Herpen, Haute Couture, Spring Summer 2013.

208

*CONFORMI*

Frank Gehry, Mirror Building / Neuer Zollhof, Dusseldorf, Germania, 1998.

209

*CIRCUS*

Arena Page, Ready to Wear, 2012.

210

*CONFORMI*

Frank Gehry, Walt Disney Concert Hall, Los Angeles, 2003.

211

*CIRCUS*

Dolce & Gabbana, Ready to Wear, Fall Winter 2013 / 2014.

212

*CONFORMI*

Duomo di Monreale, Palermo, Francia, 1174.

213

*CIRCUS*

Lanvin, Ready to Wear, Spring Summer 2008.

214

*CONFORMI*

Frank Gehry, Hotel Marqués de Riscal, Elciego, Spagna, 2004 / 2006.

215

*CIRCUS*

3.1 Phillip Lim, Ready to Wear, Spring Summer 2019.

216

*CONFORMI*

Luis Barragán, Casa Barragán, Mexico City, 1948.

217

*CIRCUS*

Marni, Ready to Wear, Spring Summer 2016.

218

*CONFORMI*

Shusaka Arakawa, Madeline Gins, Reversible Destiny, Yoro, Giappone, 1997.

219

S

p a z

i I luoghi della moda

Diagramma del processo della moda

Dalla coltivazione delle materie prime al loro trattamento. L’arrivo dei materiali nei luoghi della progettazione e successivamente in quelli della produzione. Produzione, presentazioni dei progetti, distribuzione e vendita.

make

think

growth

delivery

SHOW

$€££

*CIRCUS*

Campi

coltivazione / trattamento

Le fibre alla base dell’industria tessile si dividono in naturali e cosiddette man-made. Le prime possono essere di derivazione vegetale e/o animale. come il lino, il cotone, la lana e la seta.

Le seconde, invece, sono prodotte dall’industria chimica a partire da materiali fossili o da materiali rinnovabili come il nylon, il poliestere, la lycra o la viscosa. Tra le sfide più difficili per le aziende di moda è proprio la produzione e l’approvvigionamento di fibre sostenibili garantedo che tutto il ciclo di vita, dalla coltivazione, al loro trattamento fino al trasporto, sia ecologicamente e eticamente sostenibile. Il tema della sostenibilità mai come oggi influenza il sistema di produzione della moda nella sua totalità, dalle fibre utilizzate alla produzione dei capi fino al packaging di vendita. Sempre più le aziende stanno cercando di dirigersi verso una produzione sostenibile ed etica. Ciò accade sia nell’alta moda sia nel fast fashion sebbene con tempi diversi; se nel primo caso infatti lo sforzo da parte delle aziende è ampiamente coperto dal margine di guadagno, nel secondo risulta invece più difficile riuscire a mantenere costi di vendita accessibili a tutti producendo in modo etico.

224

*SPAZI*

225

*CIRCUS*

Maturazione del cotone, Cina.

226

*SPAZI*

Raccolta del cotone, Cina.

227

*CIRCUS*

Selezione delle fibre migliori del lino, Normandia.

228

*SPAZI*

Processo di filatura del lino, Italia.

229

*CIRCUS*

Allevamento dei bachi da seta; Trasformazione in filato, fase della torcitura.

230

*SPAZI*

231

Dalla natura

Trattori, piante di cotone, bachi da seta.

*CIRCUS*

Luoghi del pensiero pro g ettazione

I luoghi di progettazione della moda sono generalmente segreti e nascosti per evitare le fughe di dati, delle idee tecniche del know-how e garantire l’effetto sorpresa al momento delle presentazioni ufficiali delle collezioni. Chi lavora all’interno delle Maison inevitabilemnte è sottoposto a una serie di contratti che garantiscano riservatezza in tutta la fase del processo creativo e in parte anche in quello esecutivo.

Il segreto industriale coinvolge sia i collaboratori dell’ufficio stile sia i partner commerciali che ricevono dalle case di moda i bozzetti, i layout, i prototipi, le scelte dei materiali, e le specifiche tecniche.

Ci sono però dei luoghi di progettazione che sono ancora più segreti e inaccessibili: le menti dei direttori creativi. Essi indagano, elaborano, creano e si interessano all’origine della genialità altrui.

La creatività è frutto di ricerca e stimoli visivi, olfattivi, uditivi. Un’assimilazione e concentrati di diverse influenze che caratterizzano i bozzetti delle future collezioni. Le stanze della mente, unici luoghi non raggiungibili.

234

*SPAZI*

235

*CIRCUS*

Karl Lagerfeld nel suo appartamento, Parigi, 2016.

236

*SPAZI*

Appartamento e studio fotografico privato di Karl Lagerfeld, Parigi, 2016.

237

*CIRCUS*

Yves Saint Laurent lavora nella sua abitazione, Marrakesh, 1980.

238

*SPAZI*

Pierre Niney interpreta Yves Saint Laurent nell’omonimo film, Francia, 2014.

239

*CIRCUS*

All’interno dell’Atelier Dior, un giorno prima della sfilata Houte Couture Spring Summer 2018, Parigi.

240

*SPAZI*

241

In segreto

Miuaccia Prada, Maria Grazia Chiuri, Dries Van Noten, Donatella Versace, Alessandro Michele, Phoebe Philo, Raf Simons.

Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Palazzo

pro g ettazione / pro duzione

L’abito è sempre servito a dimostrare una superiorità economica, politica e religiosa, come lo schenti nell’Antico Egitto, al Giappone dei kimono o alla Korea degli Hanbok. I sarti nei Palazzi e nelle Corti seguivano dei precisi codici di abbigliamento per realizzare gli abiti e che definivano la posizione sociale. Nel Settecento la corte di Versailles definiva la superiorità della corte di Francia rispetto al resto dell’Europa proprio grazie alle spese che venivano fatte per rappresentanza. Tra queste il confezionamento di abiti con tessuti preziosi, tra cui la seta, generalmente indossati non più di due volte.

Tutto era fatto su misura. Nell’Ottocento il settore dell’abbigliamento si allontanta dalla realtà delle corti e si avvicina agli altri sistemi produttivi riconosciuti. Ci sono singole professionalità, i sarti non sono più anonimi come lo sono sempre stati.

Passiamo infatti da Rose Bertin, marchande de modes di Maria Antonietta, a Charles Frederick Worth, il primo Couturier per l’alta borghesia parigina che nel 1858 in un palazzo al numero 7 di Rue de la Paix apre il suo atelier. Nasce l’Houte Couture e la moda si sposta dai palazzi reali ai palazzi-atelier.

244

*SPAZI*

245

*CIRCUS*

Giovanni Battista Moroni, Il Sarto, 1565 / 1570, olio su tela, 99,5 cm × 77 cm, National Gallery, Londra.

246

*SPAZI*

Caringotn Bowles, A Morning Visit or the Fashionable Dresses for the Year 1777, 1778, stampa, 35,4 cm x 25,1 cm, The British Museum, Londra.

247

*CIRCUS*

Jean-Baptiste Mallet, Les Marchandes de modes, 1780, acquarello e tempera su carta, 29 cm x 21.80 cm, Museo Cognacq-Jay, Parigi.

248

*SPAZI*

Sigmund Freudenberger, The Ribbon Seller, seconda metà XVIII secolo, olio su tela, Museo Cognacq-Jay, Parigi.

249

*CIRCUS*

Charles Frederick Worth, Alterier, Parigi, seconda metà XIX secolo; Charles Eggimann per Le Créateurs de la Mode, Ateleir Worth, Parigi, 1910.

250

*SPAZI*

251

Dalle corti alla città

Reggia di Versailles, Versailles, 1623 / 1683; Ritaglio di Adolf Ulrich Wertmuller, La regina Maria Antonietta di Francia e due dei suoi figli che camminano nel parco di Trianon, 1785; Ritaglio di Jean-Baptiste Mallet, Les Marchandes de modes, 1780; Charles Frederick Worth, Parigi, seconda metà XIX secolo; Indossatrice all’Ateleir Worth, Parigi, 1910; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Industria pro duzione

Con lo sviluppo della città moderna e dei suoi nuovi luoghi, tra cui i grandi magazzini, la produzione in serie ha reso accessibile la moda a tutte le donne, rivoluzionando non solo i piani economici ma anche i piani sociali e culturali.

Gli atelier confezionavano abiti unici, ineramente realizzati a mano solo per i ceti più alti.

Con l’industrializzazione del settore dell’abbigliamento e grazie all’invenzione della macchina da cucire nel 1851, la produzione in serie ha reso accessibile la moda a costi sostenibili per la piccola e media borghesia. La produzione industrializzata dell’abbigliamento, nata nel contesto socioeconomico americano, ha favorito inoltre la creazione del ready to wear e di nuovi posti di lavoro offrendo a tantissime donne un certo tipo di libertà, economica e sociale, che fino a quel momento era impensabile. L’Italia del Novecento è caratterizzata da una fittissima rete di sartorie e da un’industria tessile e artigianale che rappresenta un’eccellenza anche dopo il secondo conflitto mondiale. Qui nasce il made in Italy e successivamente nel 1971 con Walter Albini il prêt-à-porter italiano.

254

*SPAZI*

255

*CIRCUS*

Cotonificio Amman, Pordenone, 1920.

256

*SPAZI*

Le “sartine” di Torino, Torino, prima metà XX secolo.

257

*CIRCUS*

Il Fabbricone, Lanificio Italiano, Prato, 1927.

258

*SPAZI*

Ottavio e Rosita Missoni, Gallarate, 1970.

259

*CIRCUS*

Guido Canali, Prada Fabbrica Giardino, Valvigna, 2018.

260

*SPAZI*

261

Dalla città alla perfieria

Il Fabbricone, Lanificio Italiano, Prato, 1927; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Palazzi di campagna pro g ettazione / pro duzione

Nel 1987 la casa di moda italiana Brunello Cucinelli trasferisce la sua impresa a Solomeo, alle porte di Perugia. Un piccolo borgo medioevale completamente ristrutturato dall’azienda e che si discosta dalle classiche tipologie industriali, mettendo l’uomo e la natura prima di tutto.

Una fabbrica umanista, dove si lavora senza diventare ingranaggi. Un modello aziendale come una grande famiglia in cui le collezioni nascono all’interno del castello trecentesco, tra affreschi, camini e pavimenti in cotto. Oggi Solomeo presenta anche una mensa, una biblioteca, un teatro e la Scuola di Arti e Mestieri per trasmettere l’importanza del patrimonio artigianale e della creatività manuale. La Periferia Amabile demolisce la nozione della classica zona industriale, circonda il borgo con 100 ettari di terreno, comprende vecchi opifici riadattati e recuperati. Un parco industriale, un Oratorio Laico, un Monumento alla Dignità dell’Uomo. Giardini, frutteti e vigne. Brunello Cucinelli diffonde gli ideali di un capitalismo nuovo, che lui chiama Capitalismo Umanistico.

264

*SPAZI*

265

*CIRCUS*

Borgo Solomeo, Perugia.

266

*SPAZI*

Parco industriale con giardino, Periferia Amabile, Solomeo.

267

*CIRCUS*

Sarti a Palazzo, Solomeo, 2017.

268

*SPAZI*

Biblioteca dell’azienda Brunello Cucinelli.

269

*CIRCUS*

Brunello Cucinelli, Dalla Terra tutto deriva, Fall Winter 2014 / 15; Brunello Cucinelli, Tributo ai popoli di Mongolia e Cina, Fall Winter 2020 / 21.

270

*SPAZI*

271

Dalla perfieria ai borghi

Il Fabbricone, Lanificio Italiano, Prato, 1927; Brunello Cucinelli, 2017; Borgo Solomeo, Perugia.

*CIRCUS*

Passerella esposizione

“Dal fr. passerelle, der. di passer «passare»”.

Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/passerella/, accesso 1/07/2021.

In inglese sono conosciute come catwalk che significa letteralmente camminata da gatto. Le modelle, sinuose ed eleganti, camminando sulla passerella ricordano proprio dei felini.

Prima ancora delle passerelle e fino agli anni Cinquanta del Novecento gli abiti erano presentati tramite delle bambole chiamate poupées de France che venivano spedite in giro per il mondo e che servivano a rappresentare l’alta moda francese sopratutto durante gli anni del secondo coflitto modiale.

Il primo ad utilizzare delle modelle in “carne ed ossa” è stato Charles Frederick Worth nel 1857 per mostrare la sua collezione a una cerchia ristrettissima di clienti e stampa. Solo dopo il 1912 vengono organizzate le prime sfilate che ad oggi rappresentano dei veri e propri spettacoli in quanto uno degli eventi più comunicativi per i brand.

274

*SPAZI*

275

*CIRCUS*

Linda Evangelista in Chanel, Haute Couture, Fall Winter 1992 / 93, Parigi.

276

*SPAZI*

KRIZIA Spring Summer 1995, Milano.

277

*CIRCUS*

Fendi, Spring Summer 2008, Grande Muraglia Cinese.

278

*SPAZI*

Dolce & Gabbana Alta Moda, Fall Winter 2019 / 20, Agrigento.

279

*CIRCUS*

Jacquemus, Spring Summer 2021, French Vexin Regional Natural Park.

280

*SPAZI*

281

Dalla città alla campagna

Jacquemus, Spring Summer 2021; Dolce & Gabbana Alta Moda, Fall Winter 2019 / 20; Tempio della Concordia, Valle dei Templi, Agrigento, 440 / 430 a.C.; Igor Mitoraj, Icaro, bronzo, Valle dei Templi, Agrigento, 2011; Chanel, Haute Couture, Fall Winter 1992 / 93; Fendi, Spring Summer 2008; Grande muraglia cinese, Cina, 215 a.C.; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Le grandi Cerimonie esposizione

Il Met Gala, che si svolge dal 1948 grazie alla ex caporedattrice di Vogue Diana Vreeland, è un galà annuale di raccolta fondi per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York. Un evento in cui la moda è al centro dell’attenzione.

Le celebrazioni degli Oscar, dei Golden Globe o dei vari festival italiani, fanno invece parte di quelle feste in cui la moda è protagonista non essendo effettivamente al centro dell’evento.

Gli esclusivi invitati calcano i Red Carpet sfoggiando gli abiti delle Maison, definendo personalità, tendenze e, a volte, sovversioni sociali. Anche gli stilisti più influenti sono diventati delle vere e proprie celebrità a pieno titolo, ma non solo: il loro compito, quando si tratta di vesitre una star sul red carpet, spesso non è semplicemente quello di farla apparire al massimo dell’eleganza e del glamour, ma di trasformarla in una vera e propria opera d’arte contemporanea.

Queste grandi cerimonie non rappresentano soltanto un semplice evento mondano, ma un vero e proprio tableau vivant in cui le opere degli stilisti vengono messe in mostra e che attraverso stampa e televisione raggiungono la massa.

284

*SPAZI*

285

*CIRCUS*

James Tissot, Una donna ambiziosa, 1883 / 1885, olio su tela, 142.24 cm x 101.6 cm, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo.

286

*SPAZI*

Adut Akech in Valentino Houte Couture, Met Gala, New York, 2018.

287

*CIRCUS*

Donatella e Gianni Versace, Met Gala, New York, 1996.

288

*SPAZI*

Alexander McQueen e Sarah Jessica Parker, Met Gala, New York, 2006.

289

*CIRCUS*

Anne Hathaway e Valentino Garavani, Met Gala, New York, 2013; Alessandro Michele, Lana Del Rey e Jared Leto, Met Gala, New York, 2018.

290

*SPAZI*

291

In città

Lady Gaga in Meat Dress di Nicola Formichetti e Franc Fernandez, MTV Video Music Awards, 2010; Rhianna in Guo Pei, Met Gala, 2015; Naomi Campbell in Givency, Met Gala, 2014; Céline Dion in Oscar de la Renta, Met Gala, 2019; Bill Porter in Christian Siriano, Notte degli Oscar, 2019; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Passage Parigini esposizione / vendita

“Dal fr. antico passage, der. di passer ‘passare’; prima metà sec. XIII”.

Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/passaggio, accesso 1/07/2021.

Il Passage è la prima forma di galleria commerciale coperta nata nel 1786 nei giardini del Palais Royal di Parigi. Di lì a pochi anni la città si riempì di più di centocinquanta Passages, realizzati per lo più con struttura in ferro e coperture in vetro.

Queste gallerie coperte rappresentano un salto epocale nella vita dell’uomo, la relazione tra città e commercio diventa più forte, la città prende connotazione di città vetrina, traendo forza dei negozi e dalle sue luci, dai prodotti e dall’esperienza urbana e di commercio. “Il passage è strada sensuale del commercio, fatta solo per risvegliare il desiderio”1. Sono un luogo ricco di emozioni e sensazioni, in cui si riflettono i desideri dell’uomo: “La magia che esercitano le pareti [...] che adescano con il loro invito a entrare in seducenti bazar”2.

Definiscono un’architettura commerciale che mette in relazione la merce presente all’interno del negozio con la strada e lo spazio urbano, da cui la merce deve poter essere vista.

1. W. Benjamin, I passages di Parigi, Enaudi, Torino, 2000, p. 50, ed. or. 1982.

2. Ibid., p. 605.

294

*SPAZI*

295

*CIRCUS*

Galleria e giardini del Palais-Royal, XVIII secolo, Penna cinese e acquarello, 43 cm x 59,3 cm, Bibliothèque Nationale de France.

296

*SPAZI*

Dettaglio Galleria e giardini del Palais-Royal.

297

*CIRCUS*

Burlington Arcade, Londra, 1819.

298

*SPAZI*

Galleria De Cristoforis, Stampa Ottocentesca, Milano, 1832.

299

*CIRCUS*

Charles Lansiaux, Passage Choiseul, Parigi, 1900 / Passage Choiseul, oggi.

300

*SPAZI*

301

A riparo in città

Copertura, Galleria Subalpina, Torino, 1873; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958; Persone Galleria De Cristoforis, Stampa Ottocentesca, Milano, 1832; Pavimentazione, Galerie Véro-Dodat, Parigi, 1826.

*CIRCUS*

Department Store esposizione / vendita

“Dal fr. département, der. di départir «spartire»; metà sec. XVIII”.

Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/dipartimento1, accesso 1/07/2021.

Conosciuti anche come grandi magazzini, racchiudono in punti centrali delle nostre città, spesso in palazzi storici, una grande varietà di prodotti divisi, appunto, in dipartimenti.

Nel 1852 a Parigi viene fondato il primo grande magazzino chiamato Le Bon Marchè. Successivamente alle urbanizzazioni e alla crescita economica nascono tra i tanti nel 1877 Alle città d’Italia a Milano, oggi La Rinascente e Bergdorf Goodman nel 1899 a New York. Sono luoghi caratterizzati dal lusso e dall’eleganza in cui è possibile trovare prodotti di tutti i generi “from a needle to an elephant”, dall’ago all’elefante, come afferma lo slogan dei Magazzini Harrods di Londra. I prodotti sono presentati tramite degli espositori lungo i vari dipartimenti e solitamente solo i brand più prestigiosi possono contare su uno spazio riservato.

304

*SPAZI*

305

*CIRCUS*

Le Bon Marchè, Parigi, 1875.

306

*SPAZI*

Le Bon Marchè, Parigi.

307

*CIRCUS*

Galeries Lafayette, Parigi.

308

*SPAZI*

OMA, Fondaco dei Tedeschi, Venezia.

309

*CIRCUS*

Harrods, Londra, 7 Novembre 1967 / Harrods, oggi.

310

*SPAZI*

311

Da città in città

Copertura e bancone, The Wine Bar, Harrods, Londra; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958; Look 9 / 7, Alexander McQueen, Spring Summer 2021.

*CIRCUS*

Flagship Store

esposizione / vendita

“Comp. di flagship ‘nave ammiraglia’ o ‘nave bandiera’ e store ‘negozio’; propr. “negozio principale”; fine sec. XX”.

Oxford Languages, https://www.lexico.com/definition/flagship accesso 1/07/2021.

È un negozio che rappresenta il brand e i valori del marchio. Sono spazi con una grande superficie espositiva, spesso firmati da architetti molto conosciuti e che contengono le collezioni prêt-à-porter e i capi della prima linea e collezione bambini.

Generalmente sono posizionati in zone centrali delle città o nei quartieri della moda come gli Champs-Élysées di Parigi o il Quadrilatero di Milano. Gli spazi si concentrano particolarmente sulla costumers experience non solo tramite l’atto stesso dello shopping ma tramite delle vere e proprie interazioni e relazioni che si creano tra cliente e staff, e transitivamente con il brand. Questa tipologia di negozio serve infatti ad aumentare la comunicazione con i consumatori proponendo stile e concept innovativi.

314

*SPAZI*

315

*CIRCUS*

John Pawson, Calvin Klein, New York, 1995; 2000 metri quadri.

316

*SPAZI*

Renzo Piano, Maison Hermès, Tokyo, 1998 / 2001; 6000 metri quadri.

317

*CIRCUS*

SANAA, Dior, Tokyo, 2001 / 2003; 1500 metri quadri.

318

*SPAZI*

David Chipperfield, Valentino, Roma, 2014 / 2015; 1470 metri quadri.

319

*CIRCUS*

Frank Gehry, Peter Marino, Louis Vuitton, Seoul, 2019; 1000 metri quadri ca.

320

*SPAZI*

321

In città

SANAA, Dior, Tokyo, 2001 / 2003; Frank Gehry, Peter Marino, Louis Vuitton, Seoul, 2019; Renzo Piano, Maison Hermès, Tokyo, 1998 / 2001; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Concept Store

esposizione / vendita

È uno negozio, uno spazio espositivo e un museo.

Si contraddistingue per la sua eterogeneità rispetto all’esperienza che provoca un tradizionale store. Lo scopo di questi spazi è di raccontare una filosofia e dei concetti che rispecchiano gli ideali del brand. È un luogo di ritrovo che può ospitare eventi di ogni genere come sfilate e letture che mira a far vivere chi lo visita un’esperienza che definisce il brand, i suoi riferimenti e tutto ciò orbita attorno, rendendo il tutto desiderabile per quel tipo di immaginario.

Nel 1967 Elio Fiorucci apre a Milano il suo negozio, antesignano dei Concept Store. Era definito da una forte estetica pop in cui si trovava di tutto: abbigliamento, profumi, elementi di design e oggetti esotici. Nel 1983 Keith Haring dipinse le pareti del negozio con una performance durata tutta la notte. Un’atmosfera capace di raccontare la propria storia in modo chiaro ed efficace.

Nel 1986, Ralph Lauren apre a New York il primo vero Concept Store esprimendo l’immagine di una famiglia tradizionale americana con forti riferimenti al mondo della vecchia Hollywood.

324

*SPAZI*

325

*CIRCUS*

Keith Haring dipinge per Fiorucci, Milano, Ottobre 1983.

326

*SPAZI*

Ralph Lauren, New York, 1986.

327

*CIRCUS*

Massimiliano Fuksas, Armani Concept Store, New York, 2007 / 2009.

328

*SPAZI*

Antonio Marras, Nonostante Marras, Milano, 2016.

329

*CIRCUS*

Elmgreen & Dragset, Prada Marfa, Valentine, Texsas, 2005.

330

*SPAZI*

331

Dalla città al deserto

Elmgreen & Dragset, Prada Marfa, Valentine, Texsas, 2005; Keith Haring dipinge per Fiorucci, Milano, Ottobre 1983; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Centro Commerciale esposizione / vendita

I centri commerciali sono gradi strutture di venddita al minuto, generalmente localizzate in aree extraurbane delle città. Sono luoghi polifunzionali serviti da grandi catene di negozi di fast fashion, megastore, ristoranti, aree gioco e varie strutture ricettive. Sono un simbolo del consumismo nato in America negli anni Novanta. Possono essere considerati una “città nella città”, perché utopicamente sarebbe possibile vivere un’intera vita all’interno di uno di essi.

Il film diretto da Paul Mazursky Scenes from a Mall del 1991 e che vede Woody Allen come protagonista, mostra come questi enormi luoghi rappresentino la città all’interno della città vera, in cui lo spazio è versatile mostrando la relazione tra città e consumo.

Si vive un’alienazione spaziale e temporale essendo isolati da ciò che succede al di fuori di queste “cattedrali del commercio”, in cui possiamo trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Siamo in quella che Rem Koolhaas chiama città generica.

334

*SPAZI*

335

*CIRCUS*

Paul Mazursky, Scenes from a Mall, Stati Uniti, 1991.

336

*SPAZI*

Dubai Mall, Dubai.

337

*CIRCUS*

Lotte Avenuel Mall, Seoul.

338

*SPAZI*

Il Centro, Arese, Milano.

339

*CIRCUS*

Icosiam, Bangkok.

340

*SPAZI*

341

La città dentro la città

Woody Allen e Bette Midler in Scenes from a Mall, Stati Uniti, 1991; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Outlet Village

esposizione / vendita

Gli outlet sono dei centri vendita dove è possibile acquistare a prezzi scontati prodotti di marca, generalmente della stagione precedente, i negozi sono di fascia alta tra cui molti brand di lusso.

Così come i centri commerciali, anche gli outlet Village nascono in zone periferiche della città e sono caratterizzate da un’architettura tipica che ricorda un vero e proprio villaggio. Grandi cancellate con torri e bandiere accolgono la clientela affascinata dall’architettura fiabesca che caratterizza il luogo. Un ambiente rassicurante, sicuro e sospeso nel tempo.

Grazie ai vari servizi che essi contengono, utopicamente, anche all’interno di questi sarebbe possibile vivere per tutta la vita.

Nella città di Reading in Pennsylvania, nel 1974 è stato aperto dall’azienda di lingerie femminile Vanity Fair il primo outlet della storia sotto il nome di Reading Outlet Center diventando una vera e propria attrazione turistica.

344

*SPAZI*

345

*CIRCUS*

Mappa Reading Outlet Center, Reading, Pennsylvania, anni Settanta.

346

*SPAZI*

Mappa Reading Outlet Center, Reading, Pennsylvania, anni Settanta.

347

*CIRCUS*

Noventa di Piave Designer Outlet, Noventa di Piave, Venezia.

348

*SPAZI*

Roosendal Designer Outlet, Roosendal, Rotterdam.

349

*CIRCUS*

Bicester Village, Bicester, Oxfordshire.

350

*SPAZI*

351

Dalla città alla periferia

Insegne tratte da fotografie originali dell’Reading Outlet Center, Pennsylvania, anni Settanta; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Fondazione

esposizione / vendita

“Dal lat. fundatio -onis, der. di fundare «fondare»”.

Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/fondazione, accesso 1/07/2021.

Le fondazioni sono enti pubblici con precise funzioni istituzionali e sociali che si dedicano ad oprazioni culturali. Spesso succede che alcune case di moda, in genere quelle con una forte storia alle spalle, aprino le loro fondazioni dedicate non solo alla celebrazione del brand in sé, ma sopratutto alla promozione di una nuova contemporanetà grazie all’impegno di giovani artisti locali ed internazionali. Tramite interventi di restauro di edifici nelle nostre città o alla costruzione di strutture ex novo, vengono realizzati nuovi spazi espisitivi dedicati all’arte, alla fotografia, alla cultura e agli eventi capaci di dialogare con il patrimonio e l’identità del brand.

Le fondazioni sono uno strumento di dialogo con il territorio e chi lo abita, investono sulla memoria dei luoghi e la valorizzazione di ciò che la storia può rappresentare per il futuro.

354

*SPAZI*

355

*CIRCUS*

Fondazione Furla, Bologna, 2008.

356

*SPAZI*

Gucci Museo / Gucci Garden, Firenze, 2011 / 2018.

357

*CIRCUS*

Frank Gehry, Fondation Louis Vuitton, Parigi, 2014.

358

*SPAZI*

Tadao Ando, Armani Silos, Milano, 2015.

359

*CIRCUS*

Rem Koolhaas, Fondazione Prada, Milano, 2015.

360

*SPAZI*

361

In città

Tadao Ando, Armani Silos, Milano, 2015; Rem Koolhaas, Fondazione Prada, Milano, 2015, Logo Gucci Garden, Firenze, 2018; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Temporary Store esposizione / vendita

Chiamato anche pop-up store o pop-up shop, è letteralmente un negozio temporaneo e potrebbe essere definito come un evento. Nato in Inghilterra e sviluppatosi negli Stati Uniti arriva in Italia solamente nel 2005 con la presentazione della nuova Lancia Y10 in Corso Como a Milano.

Generalmente è uno spazio con dimensioni ridotte rispetto ai normali flagship, contiene un’edizione limitata o una capsule collection che spesso richiamano a collaborazioni. I pop-up store vengono posizionati in un luogo con grande affluenza come una piazza, una stazione o inseriti all’interno di un department store o particolare evento. Rappresentano sorpresa, curiosità e urgenza in quanto sono qualcosa di inaspettato in un luogo che conosciamo e che ci risulta familiare, rimandendo aperto per un periodo limitato di tempo, spinge i consumatori a comprare subito ciò che si desidera senza rimandare. La data di chiusura è spesso sconosciuta al pubblico e anche in questo caso si punta ad un’esperienza unica rispetto a quella che i consumatori troverebbero in un normale punto vendita.

364

*SPAZI*

365

*CIRCUS*

Shoebox, Adidas, Barcellona, 2011.

366

*SPAZI*

Miu Miu Disco, Miu Miu, Singapore, 2018.

367

*CIRCUS*

Louis Vuitton, New York, 12 / 21 Luglio 2019.

368

*SPAZI*

The Invisible Store, Bottega Veneta, Shanghai, 3 / 19 Luglio 2020.

369

*CIRCUS*

The Nord Face X Gucci, Gucci, Brooklyn Williamsburg, New York, 6 Gennaio / 14 Febbraio 2021.

370

*SPAZI*

371

In città e nelle città delle città

Pop Up store The Nord Face X Gucci, Gucci, Los Angeles, 2021; Interni Pop Up store Louis Vuitton, New York, 2019; Shoebox, Adidas, Barcellona, 2011; Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

*CIRCUS*

Online Shop

esposizione / vendita

Il primo acquisto online della storia è datato 1994 e nel 1995 Jeff Bezoz, fondatore di Amazon, spedisce il suo primo libro. Negli anni 2000 grazie alla diffusione della nuova linea internet ADSL molte aziende iniziano a vendere i propri prodotti sul web. Ad oggi si stima che nel 2020 1.8 miliardi di persone nel mondo fanno acquisti online.

Secondo uno studio del 2017 della NASDAQ Composite, azienda di mercato borsistico elettronico, nel 2024 il 95% di tutti gli acquisti avverrà online.

Esistono tre tipi di shop online: l’ecommerce ufficiale del brand, i marketplace orizzontali che vendono diverse tipologie di prototti di diversi brand, come Amazon, e i marketplace verticali dedicati alla vendita di articoli di diversi brand ma tutti appartenenti alla stessa categoria, un esempio è Yoox per il settore moda e design.

I vantaggi dello shopping online sono molteplici: si può comprare comodamente da casa, a qualsiasi ora e dopo aver controllato i prezzi degli articoli da diversi rivenditori.

374

*SPAZI*

375

In città. in perfieria, in campagna

Rogers Stirk Harbour + Partners, Leadenhall Building, Londra, 2010 / 2013; BBPR, Torre Velasca, Milano, 1955 / 1957; Shreve, Lamb & Harmon Associates, Empire State Building, New York, 1930; Ludwig Mies van der Rohe, Seegram Building, New York, 1958.

bu bu y buy bu y buy bu y buy bu y buy bu y bu y yb uy

buy buy buy buy buy buy buy buy buy buy buy buy