Moira la parola

Page 1

Moira, la parola Azione gay e lesbica, Firenze

testi e ricerche a cura di Daniela Danna


Azione gay e lesbica, Firenze

testi e ricerche a cura di Daniela Danna

in II di copertina Moira, la parola A cura di Daniela Danna

Grafica di Gianni Zardini Correzione bozze Michela Pagarini Azione gay e lesbica - Firenze 2010 Pro manuscripto Questo libro è una raccolta degli scritti di Moira Ferrari, ad uso delle sue amiche e amici più cari, non destinato alla vendita (ai sensi dell’art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d’autore).


indice

Moira, la parola.

indice

Ritratti_ Valeria Santini: Ricordo di Moira Autopresentazione Daniela Danna: Donna della notte

Sulla letteratura lesbica_ p. p. p.

Scritti creativi_ Traduzioni di poesie di Adrienne Rich (ca. 1986) Canto di Saffo (con Giovanna, ca. 1988) Tema: confusa e felice (1997) “Agli atti, agli atti!” (1997) Un acrostico a tema (1997) Blossom (2006) Ricetta per il cheese cake

p. p. p. p. p. p. p.

E-mail sulla letteratura (2007)

p.

Articoli Se Saffo rappresenta un mito (2003) Teresa e Isabella (2003) Claude Cahun. Scrivere l'inconfessabile (2003)

p. p. p.

Recensioni I monologhi della vagina (2001) Akhenaton (2001) La maschera di scimmia (2001) Donne che ballano il Tic Tac (2001) Arsenico (2002) Bugie (2002) Olivia (2002)

p. p. p. p. p. p. p.

Nel movimento_ Riproduzioni_ Lettera sul Questionario del CLI (1985) Una lettera di Moira sul convegno (1985) Cara Rosanna (1986) Di più (1986) Chi è la lesbica (con altre, 1986) Punti del gruppo del venerdì (con altre, ca. 1987) Documento per il convegno dell’Impruneta (1987) Prefazione Da desiderio a desiderio (con Rosetta, 1987) Dal primo Documento politico di Arcilesbica (con altre, 1996) “Ricominciamo?!?!” (1998) Parti difficili (1998) I migliori anni della nostra vita? (2006) Intervista (2006) Due settimane e mezzo (2007)

200

p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p.

Tarocchi lesbici (ca. 1988) Lesbotest (con Alessia Bellini e Valeria Santini, 1996) Lesbiche contro natura (con Monica Baroni e Olivia Pinto, 1998)

p. p. p.

200


Ritratti_

Moira, la parola.

Ricordo di Moira di Valeria Santini

H

o conosciuto Moira che avevo più o meno vent’anni. Lei ne aveva tre più di me. Insieme abbiamo condiviso un percorso articolato, un’evoluzione parallela di stadi della vita. Dagli anni in cui si passavano le serate a bere a quelli delle riunioni politiche, della costruzione di eventi, della stesura di testi e presentazioni di convegni e settimane lesbiche. Il tutto sempre condito da un certo tasso alcolico ma vabbé… Moira era una persona di straordinario fascino e di straordinaria particolarità. Versatile, intelligente, difficilmente raggiungibile, difficilmente scalfibile. Moira era la parola: Quando la vedevi per la prima volta non potevi non restare colpita dalla sua voce – un timbro basso e una marca particolare di sonorità – da quello che diceva, da come accompagnava le sue affermazioni con la dislocazione nello spazio del proprio corpo. La parola era una delle sue specialità, costruiva le frasi con una sintassi particolare e una purezza linguistica rara. Dipingeva la realtà intorno e la propria con ironico cinismo, all’insegna della disillusione, del non prendersi sul serio mai e per nessun motivo, del non avere mai una caduta di stile. Il suo modo di dipingere con le parole e gli atteggiamenti e le scelte una visione della vita disincantata e distaccata mi era molto affine, mi è stato affine per anni, e anche quando le nostre vite si sono allontanate, ogni volta che la incontravo, che ci scambiavo quattro parole, riconoscevo immediatamente quell’affinità di mondi e visioni che era stata la nostra gioventù e i nostri trent’anni. Moira era la scrittura: Una capacità prosastica perfetta e una perfetto orecchio per la lingua italiana, a cui non sfuggiva una virgola fuori posto, un avverbio che non fosse il più adatto, una minima falla nella costruzione dei periodi complessi. Moira aveva anche una sconfinata cultura e una memoria stupefacente, che le consentivano una ricchezza di vocabolario rara. Insieme abbiamo scritto o rivisto documenti e presentazioni di convegni, corretto bozze di atti. Ci chiamavano l’Accademia della Crusca. Dare una pagina da correggere a Moira era come mettersi in una gabbia di ferro, te l’avrebbe restituita perfetta. Moira era l’intelligenza, la volontà e la forza, applicate alla militanza. Dagli anni della sua adolescenza già precocemente impegnata nel movimento lesbico, Moira è poi stata nel circolo di Firenze AGL per anni, ha partecipato all’organiz200

200


Lesbiche contronatura; legge libri per Towanda! e ne traduce per Il Dito e La Luna, presso cui presto uscirà il suo primo romanzo; ama i Simpson, le Superchicche, South Park, Emily the Strange, ER, Desperate Housewives, le Gilmore Girls, la letteratura arturiana, i giochi di parole, il surrealismo e Virginia Woolf.

Donna della notte di Daniela Danna

Puglia, estate 1996, vacanza organizzata da Desiderandae

zazione e alla realizzazione della seconda e della terza settimana lesbica, è entrata a far parte della prima segreteria di un’Arcilesbica appena fondata, associazione nella quale poi è sempre rimasta, con collaborazioni di vario genere. Moira aveva, come me, un profondo senso di appartenenza al lesbismo, inteso sia come scelta di vita che come scelta politica, e come me credeva nella separazione, nella costruzione di spazi e contesti e politiche per sole donne e di sole donne, e su questo ha lavorato, coerentemente, scendendo a compromessi quando non era evitabile, ma senza perdere mai di vista l’obiettivo prioritario. Moira era una mia amica, una nostra amica. E con lei se n’è andato un pezzo della nostra vita, per sempre.

Autopresentazione di Moira Ferrari 1

È una splendida quarantenne dell’acquario , gattolica praticante; ama leggere bere fumare scrivere e criticare tutto e tutt*; da piccola avrebbe voluto essere pittrice e milanese, invece è filologa romanza, insegna lingua e letteratura francese nei licei e si divide fra Firenze, il Mugello e Tokyo, dove vive la sua compagna; è lesbica e separatista da quando ha memoria di sé, perciò è stata fra le mamme de L’Amando(r)la e poi di ArciLesbica, per cui ha fatto parte della prima segreteria nazionale; ancor prima si è appassionata a Renée Vivien. Ha partecipato a convegni ed eventi lesbici dal 1981 in poi, fra cui le Settimane, e ne ha organizzati; guida imperterrita una Renault 4 bianca; era una delle 1

Segno d’aria. Creativi, idealisti, cinici (credono poco al destino…), rivoluzionari, loquaci, affascinanti. E una certa tendenza alla superficialità.

200

Moira Ferrari è nata a Pistoia il 1° febbraio del 1965, e ivi è scomparsa prematuramente il 28 settembre 2008, lasciando la comunità lesbica italiana orfana di un’attivista inesauribile e di una compagna colta, ironica, affascinante. Questo libro è la raccolta completa dei suoi scritti editi (tranne il recente capitolo: “Due settimane e mezzo”, vedi oltre l’introduzione a “Nel movimento”) e di alcuni inediti sia giocosi che seri relativi alla vita e alla politica lesbica. Ma è quasi pleonastico specificare che i suoi scritti sono “a carattere lesbico”, perché a parte la tesi di laurea (che peraltro fu la traduzione della Città delle dame) e quella di dottorato, l’azione intellettuale e creativa di Moira è stata tutta rivolta alla costruzione di quel nostro spazio comune ispirato alla concezione del mondo di Monique Wittig e di Natalie Clifford Barney, nonché al mondo comune delle donne di cui hanno scritto Adrienne Rich e Virginia Woolf. Il lesbismo è stato il fulcro della sua personalità e dei suoi interessi culturali. Antonia Ciavarella ricorda: “Una volta mi scrisse: io e te abbiamo ancora dentro un nocciolo identitario radicale, irriducibile, un nucleo esplosivo di sofferenza e di potere puro: siamo state lesbiche da sempre, sempre. Io lo ributto, lo sciolgo nell’ironia, nel cinismo, tu nella passione, nel misticismo”. Si è affacciata giovanissima sulla scena politica del movimento omosessuale italiano a Pistoia nel 1981, quando, come racconta Elena Biagini: “Ci fu uno degli incontri dei collettivi froci autonomi, alla palestra Marini. C’era anche Porpora, che ne parla nel libro Antologaia, e lei e Stefano andarono a vedere questa cosa. Poi lei non si ricordava niente, ma c’era andata. Infatti lei diceva sempre che lei si ricordava di essere sempre stata lesbica. Che non c’era stato il momento della scoperta. Ed era evidentemente femminista già da molto giovane, aveva tutta la raccolta di Quotidiano donna, e quando faceva le superiori a Pistoia frequentava dei collettivi di femministe che c’erano all’epoca, nei primi anni ottanta. Mi ha raccontato che una sera con un’amica – lei avrà avuto 16 anni – erano uscite e con una bomboletta avevano scritto ‘Meno gravidanze più devianze’. Solo che lei faceva la zeta in un modo particolare e furono individuate dai suoi professori – siccome l’avevano scritto anche sulla facciata della scuola”. Giovanissima entra nei gruppi lesbici che si riuniscono presso la Lesbiche famose: io, Virginia Woolf, Titti de Simone, Mariella Lo Manto, Stephanie di Monaco, Gertrude Stein. 200


Libreria delle donne. Nicoletta di Pistoia racconta: “Venendo a Firenze, entrambe abbiamo scoperto un mondo diverso nello stare tra donne. A Pistoia era il gruppo di amiche che si ritrovava, faceva delle cose. C’è sempre stato un sacco di lesbiche, però nelle varie case, mentre invece incontrare le donne di Firenze (prima della Libreria delle donne, quindi il Gruppo del mercoledì, poi L’Amandorla) è stato molto stimolante. Lei era in contatto con la Fiocchetto da anni, però Firenze le ha dato occasioni diverse”. Il gruppo fiorentino organizza il convegno dell’Impruneta nel 1987, per il quale prepara il video Pubblicità progresso, una rivisitazione delle pubblicità dell’epoca in chiave lesbica, dove si vede una Moira giovanissima impegnata a lanciare messaggi telepatici: “E ora provateci a uscire con un uomo” - l’unico messaggio verbale conclusivo. Lore Barberi ricorda: “L’abbiamo girato anche nei mercati, erano tutti un po’ sorpresi, non capivano. Li spiazzi un po’ quando vedono queste cose. Il video è stato fatto per il convegno, poi è girato nei vari gruppi, è stato ripresentato in alcune rassegne, ma come tutte le cose lesbiche ha girato poco”. Nel 1988 Moira è tra le socie fondatrici dell’associazione separatista fiorentina L’Amando(r)la, con la quale prendono corpo anche occasioni di socialità. “Quando ci siamo incontrate”, racconta ancora Lore, “c’è stato questo progetto di prendere questa casa in campagna insieme con altre donne. È stato un periodo bello, si condivideva molte cose. C’era un giro di donne lesbiche di tutte le estrazioni sociali, da tutte le esperienze. Si arrivava lì nel fine settimana e lo si passava con tutte queste donne, era una casa molto aperta, per cui venivano gruppi, veniva gente…” La sua militanza prosegue nel circolo fiorentino di Arcigay, rivitalizzato all’inizio degli anni novanta dall’ingresso degli universitari del Grullo (Gaia Riunione Universitaria per la Lotta di Liberazione Omosessuale) e poi in Arcilesbica, fin dalla sua fondazione nel 1996. Durante i primi tre anni di Arcilesbica fa parte della segreteria nazionale, eletta al primo turno di votazione – ma non si ricandiderà una seconda volta alla carica. Per Francesca Polo. “Stare in segreteria di Arcilesbica nazionale è essere esposta ai conflitti, ai casini, tutte cose che lei non amava. Ma anche dopo quel periodo, con lei avevamo la certezza di avere uno sguardo affettuoso, attento, e anche critico. A quel punto il suo modo di essere neutrale è stato una ricchezza. Una risorsa, il suo sguardo un po’ dentro, un po’ fuori”. In Arcilesbica si occupa di cultura lesbica e scrive sulla seconda serie di “Towanda!” Realizza, sola e con altre, giochi di società a tema lesbico, e insieme a Monica Baroni e Oliva Pinto scrive il manifesto delle Lesbiche Contro Natura, presentato nel giugno 1998 alla Terza Settimana Lesbica a Bologna. Moira esprime in quelle pagine le sue convinzioni profonde sull’essere donna e lesbica, e lo fa in uno stile tagliente e paradossale. Esprime il suo essere creatura della città e della modernità, il suo amore per la cultura, l’artificio, e un manierato odio per la 200

natura. “C’è il sole, c’è il vento, ci son tutta una serie di elementi naturali su cui mi trovo abbastanza in disaccordo”, protesta all’assemblea conclusiva della Seconda settimana lesbica, che si tenne all’aperto, sul prato di villa Guastavillani. Per le Lesbiche Contro Natura noi siamo creature non previste dai piani, che rifiutano il destino biologico eterosessuale e riproduttivo, questo il messaggio di sfida del testo, la ribellione della nuova generazione tecnologica e computerizzata contro le lesbiche radicali che negli anni settanta hanno fondato le loro credenze su una versione idealizzata della natura come Madre benigna in cui rispecchiarsi in quanto donne. “Noi eravamo la risposta delle macchine” racconta Olivia “Il manifesto è nato così, assolutamente per scherzo, per divertimento. Poi nell’occasione della settimana lesbica ci hanno detto: ‘Adesso dovete presentarlo’. Si era già detto nelle riunioni: ‘Va bene, lo presentiamo’, ma non sapevamo assolutamente chi lo avrebbe fatto. E non abbiamo preparato nulla. Io mi ricordo che lì per lì mi ero chiesta: ‘Però se devo far la presentazione, wow, devo tirar fuori un po’ di teorie, cosa ci ha spinto a far questa cosa qua…’ Alla fine non abbiamo fatto niente del genere. Il pomeriggio stesso ci siam chiuse in una sala che veniva usata per le presentazioni, abbiamo preso questi microfoni, ci siam registrate, le nostre voci che leggevano a turno i testi del manifesto. E poi all’ora della ‘presentazione del manifesto’ avevamo messi gli altoparlanti per tutta la villa, anche fuori, quindi si sentiva anche nel prato dove le donne stavano lì tranquillamente a prendere il sole, e non abbiamo fatto niente. Siamo andate al bar, ci siamo aperte le Ceres, con Claudia Mauti che metteva la musica. Noi eravamo lì, sedute sul bancone, bevevamo la birra e gli altoparlanti mandavano la cosa”. Nel suo percorso di attivista la visibilità è stata una componente-guida nella vita pubblica: “…e non riscontro differenze sostanziali fra la ‘me’ separatista del passato e la ‘me’ di Arcilesbica del presente…” scrive nella lettera aperta che intitola Ricominciamo?!?! (vedi il capitolo “Nel movimento”). Ma più che assumere ruoli di primo piano, che avrebbe avuto tutta la capacità di ricoprire, ma che male si sarebbero conciliati con il suo carattere riservato, si è espressa con l’azione organizzativa costante, nelle tante iniziative che ha contribuito a costruire, con la sua intelligenza e capacità di dialogo. Disse al convegno sul movimento lesbico di Roma nel 2007 a proposito della fine della collaborazione tra lesbismo separatista e non separatista alla Terza settimana lesbica: “Essendo ex separatista (da pochissimo) capivo le ragioni delle une e delle altre. Le differenze, la valorizzazione delle differenze è importante, ma la politica è un’altra cosa, è cercare quello che ci lega, che ci accomuna, trovare anche il modo di negoziare in vista di obiettivi comuni. E questo non siamo più state capaci di farlo. La rottura di questa esperienza è dovuta al non saper tradurre in pratica le nostre parole”. Non è mai stata una settaria, ha dialogato con tutte le componenti del movimento, ha battuto una strada di unione e non di divisione, rivendicando il valore dell’essere donna e lesbica, costruendo insieme a tutte la nostra autodi200


fesa da una società sessista e omofoba. I luoghi delle donne li trova appaganti, addirittura inebrianti. Racconta Nicoletta: “Tutte le volte che venivamo via da Roma – magari eravamo state alle riunioni per due giorni sempre all’interno del Buon Pastore vedendo solo donne – già alla stazione eri completamente sbalestrata perché venivi rigettata completamente in un altro mondo, dopo che per due giorni eri stata tranquillamente tra le donne a parlare di donne”. E Valeria Santini: “Io e la Moira siamo uscite dalla Seconda Settimana Lesbica con la stessa impressione, che non era la stessa di altre. Infatti poi abbiamo fatto il percorso di Arcilesbica proprio con questo senso di vita cambiata, di possibilità, di speranza. Questa sensazione è un bel ricordo, come lo è la Settimana Lesbica con lei. E poi il viaggio di ritorno, come eravamo sconcertate da questo essere state cinque giorni in un posto solo di donne”. Eva Mamini aggiunge: “Lei ha sempre conservato questo sogno della settimana lesbica, cioè del ritrovarsi tutte, del fare tutte le cose insieme, la parte della socialità lesbica era quella che lei prediligeva, che le mancava di più quando si è persa”. Amante dello stare con gli altri, soprattutto con le altre, del vivere la notte, affascinava anche solo per il tono intenso della sua voce. Bassa, suadente, negli anni ha rivelato una dolcezza che ha cancellato la nota di amarezza e disillusione che coglievo frequentandola a metà degli anni novanta, nota che pure completava il suo tono profondo, sensuale, incredibilmente basso, vertiginosamente suadente. Con questa voce ammaliante e con il suo spirito libero commentava incessantemente il mondo, senza mai fermarsi fino all’arrivo dell’alba. La sua parola colpiva. Ricorda Elena il loro primo incontro: “Io non conoscevo quasi nessuno a questa festa, e mi ricordo Moira che stava seduta su una poltrona di legno bassa, non è si mai mossa, come era suo solito, aveva trovato il posto comodo vicino al tavolo col posacenere e roba da bere, e non si è mai mossa tutta la sera. Mi ricordo che mi aveva colpito tantissimo il timbro della sua voce. E poi faceva ridere tantissimo. Ecco, era una donna che ti colpisce tanto, e m’era rimasto impresso questo timbro della voce e il fatto che era esilarante”. E Valeria: “Ho conosciuto la Moira nel 92 o 93 e l’ho conosciuta a una festa a casa di amiche comuni a Pistoia. Mi colpì molto. Me la ricordo seduta in una poltrona, parlava, aveva questa voce bassissima, quindi la notavi, ed era una persona che diceva sempre cose che colpivano. Mai personali. Quindi quello che pensai subito di lei e che ho pensato sempre era che aveva molto fascino”. La sua grazia era innata e impossibile da celare, persino sotto le camicie di flanella e i pantaloni larghi. Viso e movenze raffinati. Acuta, simpatica, gioviale. Bella. Gli aggettivi positivi che la descrivono sono tanti: “Logica, razionale, voltairiana, dissacrante” (Stefano Bindi), “Precisa. Aveva le parole precise per rappresentare un mondo pazzesco” (Antonia), “Una persona fragile, che per me è una cosa molto positiva, perché significa che le cose la toccavano, lei lo sapeva, e quindi teneva una distanza” (Lore), “Un’intellettuale. E l’unica che riusciva 200

a parlare con tutte” (Antonia), “Aveva una grande capacità lavorativa. Io ricordo intere giornate con lei a preparare la pubblicazione degli atti della Seconda settimana” (Giovanna Olivieri). La ricorda così Alessia Ballini: “Aveva questa capacità di assimilazione delle conoscenze, di apprendimento, di memoria – io non ho mai visto nessuna come lei, un cervello veramente notevole. La Moira aveva quattro anni più di me, è sempre stata per alcuni versi la sorellina grande, è sempre stata uno stimolo, un modo sempre originale di vedere le cose, sempre fuori dalla banalità, un antidoto”. Ancora Antonia: “La sua grandezza consisteva nel riuscire a tenere insieme sensibilità ed elaborazione. La figura di Moira, il suo stile sono, oggi più che mai, per me un punto di riferimento di eccellenza politica, intellettuale e umana. Moira era una che non amava mettersi in mostra, non diceva mai ‘io io io’, consapevole di quel tratto di ‘volgarità’ insito nell’eccesso di esposizione”. “Lei riusciva a unire questi due aspetti, quello profondissimo e quello veramente giocoso, ironico, in un modo che mai più ho ritrovato”, racconta Giovanna di Pistoia, “C’è da aggiungere qualcosa sulla sua intelligenza? Non credo che ce ne sia bisogno. C’è da aggiungere qualcosa sulla sua preparazione culturale? Non credo ce ne sia bisogno. Io andrei veramente a sottolineare l’aspetto più leggero di lei. Che c’era e nonostante quello che ha passato, che da quando aveva 13 anni ha dovuto subire, con cui ha dovuto convivere, non l’ha mai intaccata: questa ironia che a volte diventava anche cinismo. Poteva sembrare cinismo, ma forse era un suo modo per difendersi. Le cose che non riusciva a dire a parole, perché c’era una chiusura, uno scudo tra sé e il mondo detto, parlato, di sé, riusciva comunque a esprimerle con la parola scritta e lì direi che recuperava totalmente tutto quello che viceversa a livello personale aveva quasi come blocco”. Stefano lo interpreta in questo modo: “Chi si presentava eccessivamente invadente, trovava in lei una reazione piuttosto ritrosa. Anche perché credo che questa fosse la sua convinzione profonda: il mistero di ognuno di noi, i secreta cordis, in realtà non si scoprono. Credo che lei riuscisse ad aprire nel momento in cui stimava intellettualmente qualcuno. In questo c’era il suo tratto se vuoi elitario, che poi non le impediva di avere rapporti con tutti. Però poi credo che questo fosse un po’ il discrimen che tracciava col mondo: con chi meritava parlare perché reduce da tante letture, tante esperienze, e chi un po’ meno perché un po’ meno interessante”. Nell’adolescenza ha lottato contro una forma di leucemia, e molti sottolineano come – oltre a lasciarle un odio per gli ospedali – questa esperienza la segnasse come una spada di Damocle. “Ha cominciato a 13 anni”, racconta Giovanna, “’sto Hodgkin non Hodgkin. Poi operata in ospedale, poi da 15 ai 17 la chemio, e poi il miglioramento. E per 30 anni, come voi ben sapete, la guarigione. Fino a che la sentenza è tornata, precisa dopo 30 anni, da 13 a 43”. “Disse che dal tempo in cui portava la maschera ad ossigeno non era più riusci200


ta a sopportare niente che le precludesse il respiro”, racconta Stefano. “E quindi ti dico in realtà quanto questa coscienza si fosse formata in questa sorta di tacito patto di non parlare del dolore, di non aver rapporti col dolore e però in questa continua coscienza del dolore. Credo che la memoria del dolore fosse in lei quotidiana”. Il suo lato giocoso la fa partecipare alle parodie di Sanremo, filmate dal circolo fiorentino: a Sanfremo, è acconciata da signora Simpson con la bottiglia di plastica a tenere su i capelli, fa la notaia rapita dagli alieni. Appare come attrice anche in Tea Room, un corto di Laura Cosentino realizzato nel 1990, una storia di amicizia in un gruppo di donne, presentata al Florence Festival e al Festival Internazionale Cinema Giovani a Torino. Si nega invece nelle situazioni più serie: “E poi il mio grande desiderio di vederla in pubblico”, racconta Antonia, “io le chiedevo sempre: ‘Ti prego c’è quest’autrice, perché non vieni a presentarla tu?’ E lei appunto diceva: ‘Antonia, se vuoi ti riscrivo la Divina Commedia, ma io con quel microfono non ci voglio passare il mio tempo, non ce la fo, come te lo devo dire?’ Dico: ‘Ma anche se ti tolgo il saluto?’ ‘Ma, ma ma…’, ci pensava, ci pensava.. ‘Però dai non me lo togliere il saluto, dai ti voglio bene’. Quindi aveva anche questo lato molto bambino no? Lei lo curava molto attraverso queste sue passioni, con questa sua grande passione per tutta la chincaglieria giapponese, con queste robe così”. A trent’anni infatti riscopre il suo lato infantile, la regressione da una certa età in avanti (“A vent’anni mi sarei vergognata di guardare le cose di Hello Kitty”), vissuto come una liberazione, una riscoperta di un lato che, suppongo, la serietà degli ambienti di movimento le aveva fatto censurare. Racconta Elena: “Le piaceva tantissimo la televisione che stava sempre accesa e noi si commentava tantissimo quello che trasmettevano. In realtà la Moira non era assolutamente in grado di vedere una cosa ascoltandola perché ci parlava sopra sempre. Poi Moira era un grandissima cuoca. Era davvero una gourmet, a lei piaceva tantissimo cucinare ma solo cose molto elaborate. A lei il piatto di pasta era una cosa che le faceva fatica”. Razionale, illuminista – scherzava dicendo che l’assolutismo illuminato fosse la forma migliore di governo – era anche anticlericale e antiproibizionista. E comunista di famiglia, in perenne dialogo con il padre; ha raccontato la madre alle amiche: “Parlavano sempre, e tutto si freddava”. Suo padre e sua madre l’adorano. Anche il suonare la chitarra, la musica, gliel’ha trasmesso il padre, batterista in gruppi pop-rock e poi di liscio. Si è ribellata sempre all’ingiustizia sociale, fieramente da donna e da lesbica, con le armi dell’ironia, dell’intelligenza, della comicità – con i monologhi fintamente deliranti con i quali deliziava chiunque le si avvicinasse. A proposito del suo rifiuto di ogni superstizione Stefano racconta: “Questo è uno degli episodi più divertenti che io abbia mai vissuto insieme a lei: eravamo ospiti a cena di un comune amico, era con noi anche un’altra conoscente di ritorno da un viaggio in oriente dal Sai Baba, il quale dopo una lunghissima anticame200

ra l’aveva ricevuta per cambiarle il nome e soprattutto per darle la parola. Questa cena era sostanzialmente dedicata a lei che, reduce da questa grande esperienza, la narrava. Io non me la sarei persa per nulla al mondo – che questo fatto si consumasse davanti a noi era stimolare le reazioni più cattive, più ciniche. E lei, seduta davanti a me, mangiava, beveva, e ascoltava questo racconto. Ogni tanto ci lanciavamo delle occhiate ma non potevamo platealmente ridere, anche perché questa era molto compresa del ruolo, era veramente reduce, prossima dal viaggio, illuminatissima. E io azzardai dicendo: “Ma che vuol dire, ‘ti dà la parola’?” E lei disse: “Eh ti dà quella parola che toglie tutti i mali”. Io ricordo perfettamente questa scena. Grava sui commensali un silenzio di tomba, rotto solo da Moira che dice: “Ah guarda non c’è bisogno di andare da Sai Baba per trovare la parola che toglie ogni male. Te la do io: A-s-p-i-r-i-n-a”. È stato meraviglioso. Veramente un dialogo di Voltaire non vale ‘sta battuta”. Qualcuno chiese una sera, nella sua casa di via dell’Agnolo a Firenze, condivisa con altre lesbiche, se – caso improbabile per tutte le atee convinte presenti – avremmo preferito finire in un paradiso all’orientale, dove la beatitudine è data dall’assenza di ogni desiderio, oppure all’occidentale, in cui ogni nostro desiderio sarebbe stato esaudito: la sua risposta fu entusiasticamente a favore del soddisfacimento immediato di tutti i suoi desideri. E comunque, Moira dell’Inferno non aveva paura: “Che sarà mai l’Inferno? Come la Lecciona [spiaggia versiliana frequentata da lesbiche]: un gran caldo, il deserto, non c’è il bar, ma conosci un sacco di gente”. Racconta ancora Stefano: “Per la Moira la vita era sempre un po’ letteratura. Quindi l’approccio con il mondo era più favorevole se mediato da una scrittura. Io credo che a lei i libri siano serviti moltissimo a fare per certi versi da schermo e da veicolo per le emozioni, per cui dietro questi si parava. Però attraverso i libri, attraverso le citazioni diceva, anche. E questa era la sua caratteristica: andava sempre un po’ decodificata”. Racconta Antonia: “Il suo grande amore era Virginia Woolf. In viaggio si portava sempre un suo testo. L’altro suo grande amore: Stendhal e, in generale, la letteratura francese”. Studiosa della lingua e letteratura francese, ha tradotto per la sua tesi di laurea nel 1994 La città delle dame della scrittrice medievale Christine de Pizan. Avrebbe dovuto essere la prima traduzione edita in italiano di quest’opera, ma sfortunatamente la sua versione non è stata poi pubblicata. Ha conseguito il dottorato in Filologia Romanza analizzando una versione francese del trattato sulla falconeria di Federico II. “Lei era uscita da questa tesi di laurea brillantemente”, racconta Stefano, “Sembrava poter essere avviata a una carriera. Aveva vinto in contemporanea il dottorato su più sedi, fatto abbastanza raro. Prende il treno la mattina, va a dare uno scritto: lo vince. Il giorno dopo riparte, va a dare un altro scritto e lo vince. E in un altro arrivò seconda. Scelse quello in filologia romanza e non nella più generica letteratura francese, infatti lei era laureata in francese medievale, 200


e aveva fatto la tesi fuori facoltà, con Giovanna Angeli. Però devo dire che lì fece un errore enorme indotto dalla sua pigrizia, che era secondo me un tratto che molto la limitava: perché lei scelse di fare il dottorato a Firenze, che già dava i segni di una facoltà morta, alla fine. E i primi sintomi di questa putrescenza fiorentina erano evidenti. Lei si bloccò dentro a questo dottorato in filologia con una docente che non la seguiva e che le assegnò dal suo punto di vista opportunamente ma con una scelta non del tutto priva di una volontà secondo me un po’ distruttiva, un manoscritto enorme, indominabile, un manoscritto di più di cento pagine per altro notissimo, il trattato di falconeria di Federico II. Un testo ipernoto agli studi filologici romanzi, di una vastità enorme. Cioè quello che può comportare veramente il lavoro di vent’anni di vita. Lei usciva dalla tesi di laurea con altissime speranze, la sua docente l’aveva giudicata come una possibile speranza degli studi di francesistica antica, aveva fatto questa specializzazione ad Avignone un’estate ricevendo dei giudizi straordinari dai grandi della critica del testo francese”. Finito il dottorato, inizia a insegnare, prima Lingua inglese nelle scuole elementari (grazie al suo diploma magistrale e alle supplenze accumulate negli anni di studio), poi alle superiori come professoressa di Lingua e letteratura francese. “La Moira coi bambini”, racconta Alessia, “aveva quest’empatia che sembrava una bambina anche lei! La vedevo mentre preparava le cose, tutti i disegnini… Penso che ai bambini sia piaciuta da morire, tutte le filastrocche inventate da lei… Aveva un gran rapporto con la mia nipotina che ora ha 11 anni, l’ha vista crescere. Loro giocavano insieme, veniva via da scuola e si fermava a casa della sua mamma a giocare, ma giocavano veramente! Aveva questo modo abbastanza originale di stare coi bimbi. È riuscita ad andare a insegnare francese alle superiori, era spesso alle prese coi limiti di quei ragazzi però anche lì aveva bei rapporti con loro, era molto amata dagli allievi. Poi era sempre alle prese coi problemi della scuola di oggi, oltre che coi ragazzi di oggi. La Moira detestava tutto l’aspetto burocratico che era aumentato tantissimo. Tutte queste riunioni, verbali che andavano fatti su dei formulari… Bischerate, ma ci stava dei giorni a fare queste cose qui. Poi c’è il declino del livello medio dei ragazzi – ma anche di quello dei docenti”. Da Firenze per insegnare ha dovuto spostarsi a Borgo San Piero, dove ha vissuto – per autentico contrappasso – al Trebbio insieme ad Alessia: “Essendo due lesbiche disfunzionali come ci siamo sempre dette, abitare in una casa di campagna che si riscalda solo a legna puoi immaginare come sia stato per noi… Siamo due che hanno sempre odiato la natura con tutte le nostre forze, ma ci siamo ritrovate in mezzo alla natura più selvatica. Cinghiali, caprioli dappertutto… ma sono stati anni belli”. Con Alessia e Teresa, la compagna di Alessia, compone e “incide” La sacra sindrome e Quando verrà Gesù, i blasfemi regali di Natale musicali per le amiche. Racconta ancora Eva degli anni Duemila: “Lei stava con Francesca da tanto, e quando Francesca si era trasferita in Giappone, lei diceva, vedi non è giusto, 200

perché le mogli di quelli che vanno là possono trasferirsi, avere tutta una serie di cose, e invece noi non possiamo avere niente. Mi ricordo che questa cosa la faceva tanto arrabbiare, perché secondo me non le sarebbe dispiaciuto trasferirsi a Tokyo, era una cosa che avrebbe potuto fare, era nelle sue corde, anche perché a lei piacevano Milano, Berlino, le piacevano le città grandi. Lei era molto innamorata, secondo me aveva trovato finalmente la sua donna ideale, ma proprio ideale, come non tutte trovano”. Anche la scrittura l’ha vissuta con pudore: il romanzo che ha lasciato, ad oggi ancora inedito, l’ha scritto fingendo di giocare a carte al computer in camera sua. Blossom, questo è il titolo, è il diario di una tredicenne lesbica, in cui le vicende sentimentali occupano almeno altrettanto spazio delle pantagrueliche descrizioni di cibarie, e di viaggi straordinariamente comici. È la storia di Virginia e dei suoi amori da fanciulla in fiore, tra compagne di classe-banda giovanile, sorelle che sembrano uscite dalla penna di Daniel Pennac, e il mondo delle donne da cui proviene, in un tempo in cui l’omosessualità non è più un problema sociale (e quindi nemmeno psicologico) grazie alle lotte delle madri – letteralmente: le sue due mami e le tantissime zie del movimento. La scrittura è densissima, stratificata, spazia acrobaticamente dal pistoiese al veneziano, usando anche parole in francese medievale, ma è un romanzo del futuro. L’odio per i preti e per gli ospedali è stato rispettato dai suoi genitori. Il prezzo dell’aver tenuto lontani i preti dal suo funerale è stato un’orazione all’aperto al centro del cimitero, perché a Pistoia non c’è nessuna saletta per cerimonie laiche. Forse non avrebbe voluto nessun tipo di cerimonia di addio. A Roma al convegno sul movimento delle lesbiche in Italia nemmeno avrebbe voluto che fossero lette le sue spiritose parole di autopresentazione (riportati supra), in quella che è stata una rara e ultima apparizione pubblica da un palco. Il suo intervento di analisi delle tre settimane lesbiche nazionali si conclude con: “Non siamo state capaci di metter in pratica le nostre parole”. “Chi parla male, pensa anche male, diceva” (Valeria) “Quello che ci ha insegnato è prendere un po’ per il culo il mondo” (Graziella). “Grazie per tutti i bei momenti di gioia che ci hai dato” (Elena).

200


Scritti creativi_

Moira, la parola.

A

Moira piaceva tradurre. Pubblichiamo la sua versione italiana di alcune poesie di Adrienne Rich, l’inizio del volume The dream of a common language, raccolta di poesie dal 1974 al 1977, testi ancora non pubblicati in italiano [dattiloscritto, ca. 1986, courtesy Archivio Rosetta Martellacci e Lore Barberi]. Moira fece la traduzione dell’intero volume per Lore: “Mi fece questo bellissimo regalo della traduzione di Adrienne Rich. Io cercavo il libro e non si trovava in nessun modo, e allora lei fece direttamente la traduzione in italiano, ma in pochissimo tempo, mi ricordo in una settimana arrivò con questo libro, molto tenero, per cui ho cominciato poi a leggere queste poesie anche con altre amiche, si accendeva il fuoco e si cominciava. Si piangeva, si rideva”. Per la sua tesi di laurea tradusse La città delle dame dal francese medioevale di Christine de Pizan [Tesi di laurea in Lingua e letteratura francese: Christine de Pizan e Le livre de la cité des dames, relatrice prof. Giovanna Angeli, 1994], mentre la sua tesi di dottorato fu una traduzione critica di un’edizione sempre in francese medievale del Trattato sulla falconeria di Federico II [Dottorato di ricerca in Filologia Romanza, X ciclo: Un volgarizzamento mediofrancese del secondo libro del “De arte venandi cum avibus” di Federico II, relatore Prof. S. Buzzetti, Università di Firenze, Dipartimento di Studi sul Medioevo e Rinascimento, 27 febbraio 1999]. Moira ha inoltre tradotto L’abito non fa la monaca (L’habit ne fait pas la nonne), romanzo di Helene de Montferrand e Elula Perrin, uscito nel 2006 per Il Dito e la Luna. Il canto di Saffo è stato composto in endecasillabi rimati da Moira e Giovanna nella seconda metà degli anni ottanta, e recitato in moltissime occasioni. “È Dante che incontra Saffo”, racconta Giovanna “perché si era notato che di tutti i personaggi di Inferno, Purgatorio e Paradiso, Dante la Saffo non ce l’aveva mai messa, allora noi, con la nostra arte poetica abbiamo sopperito a questa mancanza… Scherzo, non hanno nessun valore culturale o politico, hanno proprio il valore della leggerezza, che in quei momenti era importantissima, salvifica”. Ripubblichiamo il Tema: confusa e felice [in “Bollettina del CLI, Collegamento fra le lesbiche italiane”, n. 143, settembre 1997, pp. 11-12] a proposito della vacanza lesbica in masseria, e due lavori scherzosi e spiritosi usciti negli Atti della Seconda settimana lesbica, che ha contribuito a curare [“Agli atti, agli atti!” in Comunità Lesbica. Libertà di movimento. Atti della seconda settimana lesbica, a cura del Gruppo Atti Comitato promotore della seconda settimana lesbica, s.l. 1997, pp. 219-224; “Un acrostico a tema”, ivi, pp. 230-232]. Quindi abbiamo scelto alcuni brani dal suo bellissimo romanzo ancora inedito intitolato Blossom [dattiloscritto, 2006, courtesy Francesca Zadro]. 200

200


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.