Musica Zero Km - MZK news n°8 maggio 2018

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GRATUITO

MUSICA ZERO MZKN EWS

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EMMA

“Essere Qui”

THE ZEN CIRCUS MOTTA ROBERTO ANGELINI ARTU’ RON PRIMO MAGGIO KUTSO TOMMASO DI GIULIO L’ASINO CHE VOLA LAURENT GARNIER AUDIO RANDOM OUTDOOR FESTIVAL DIRITTO MUSICALE VINCI FABRIZIO MORO ALLO STADIO OLIMPICO

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#musicazerokm

N°8 MAGGIO/GIUGNO 2018


AUDIO

Arrangiamenti Mix & Mastering Corsi di audio tecnica Registrazioni in presa diretta

MZK Lab S.r.l.s.

PRODUZIONE DISCOGRAFICA / EDIZIONI MUSICALI MAGAZZINI ROMA, Via di Santa Cornelia 11, Formello (zona industriale) 00061 ROMA Tel. +39 335 7974 533 / +39 331 8710 352 - audiorandom.com / replayfilmaker.com / mzklab.com


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SOMMARIO

MUSICA ZERO MZKN EWS

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MUSICAZERO KM (MZK NEWS) N째8 Maggio/Giugno 2018 ROMA FESTIVAL

Editore MZK Lab S.r.l.s. Via Flaminia 670, 00191 Roma

PRIMO MAGGIO

Direttore Responsabile

Dal BACKSTAGE del primo maggio "ROMA 2018"

Valeria De Medio

di li Interviste a cura Francesco Nuccitel Alessio Boccali e

Project Manager Marco Gargani

Art Director & Progetto Grafico Jacopo Mancini

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Assistenza Legale Avv. Vanessa Ivone

Caporedattore Alessio Boccali alessioboccalimzknews@gmail.com

Redattori Carlo Ferraioli, Francesco Nuccitelli

Collaboratori Esterni Alessandro Sgritta, Gianluca Meloni, Guido Pietro Airoldi, Chiara Zaccagnino, Paola Carbone, Cristian Barba, Francesco Cugia, Simone Lucidi, Manuel Saad

Sede Redazionale Via Emilia 82, 00187 Roma

#1M2018

Sito & Contatti Tel. +39 3331785676 www.mzknews.com redazionemzknews@gmail.com

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Stampa produzione@miligraf.it Via degli Olmetti, 36 Formello 00060 Finito di stampare nel mese di maggio 2018

Marketing & Comunicazione Alice Locuratolo comunicazionemzknews@gmail.com

Tel +39 / 3382918589

Autorizzazzione rilasciata dal Tribunale Civile di Roma N째2 / 2017 del 19.1.2017

40 AVVISO IMPORTANTE: Alcune delle foto di questa rivista sono tratte dalla rete internet in totale mancanza di indicazioni sul

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E DI TO R I A L E : R a p e Trap E MM A M A R R O N E CUR IO S A N D O : B eyoncè T HE Z E N C I R C U S M OT TA CUR IO S I TA’ : m usic & lif es ty le RO B E RTO A N G E L I NI ART U ’ RO N PRI M O M A G G I O L A M U S IC A I N T V: Agnelli e Brunori SAS F RA N C O M U S S I DA I L PA L I N S E S TO FM I L R IT R AT TO D E L M ESE S PA Z I O M U S I C A

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KUT SO TOMMASO DI GI ULI O Luoghi di cult o: LA RCA L’ASI N O CHE VOLA: Igor La Fontana GEN ERAT I ON : L a u r e n t G a r n i e r AUDI O RAN DOM LA CURA DELL’ASCOLTO REBEL REBEL I FEST I VAL DELLA CAPI TALE I L LAVORO DELLA MUSI CA A ROMA MUSI CA A T RAT T I OUT DOOR FEST I VAL DI RI T TO D’AUTORE: T he Beat les SLIPPING SOUND / LA FESTA DELLA MUSICA LA LI FE E’ BELLA: “The Pink Floyd Exhibition”

PARTECIPA AL CONTEST: VINCI FABRIZIO MORO ALLO STADIO OLIMPICO DI ROMA!

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yright sulla proprietà e sull’autore, si intendono quindi usate in completa buona fede. Chiunque riconoscesse come suo uno scatto è pregato di segnalarcelo per un’immediata soluzione del problema. Contatta redazionemzknews@gmail.com

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EDITORIALE

FRATELLO RAP,

SORELLA TRAP

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nni ’90, Italia. A scuotere dalle fondamenta la forma canzone tradizionale è il rap. Artisti come Frankie Hi-nrg, Sud Sound System, 99 posse, Articolo 31, Sangue Misto, ma anche Jovanotti ed di Alessio Boccali altri ancora, iniziano a mettere in discussione l’idea di musica, che il pubblico italiano si era fatta fino ad allora. Si inizia a pesar di più le parole, a contestualizzare l’arte sonora con rime taglienti e colpi ben assestati sul beat. Seconda metà degli anni 2010, sempre Italia. Le classifiche italiane sono invase dal fenomeno trap. Ghali, Izi, Sfera Ebbasta, Rkomi, Tedua, Vegas Jones… solo per citarne alcuni, fanno la staffetta nelle prime posizioni delle hit parade con le loro storie di strada. Qual è però la differenza tra questi due mondi? Una l’abbiamo già evidenziata: gli argomenti trattati. La trap, che non è altro che un sottogenere del southern rap, nasce ad Atlanta negli anni ‘90, nelle trap houses, case in cui gli spacciatori producevano e spacciavano droga. Risulta chiaro, quindi, che uno degli argomenti favoriti da questo genere sia, da sempre, proprio la vita di strada a 360°. Il rap anni ‘90, invece, ha da sempre avuto maggiori connotazioni politiche/sociali ed ha testimoniato spesso

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un messaggio di riscatto nei confronti della società. Altra grande differenza sta nel sound proposto. Si riconosce un pezzo trap dal suo beat: bassi enormi ed in evidenza, Hi Hats terzinati e con cambi di ritmo rapidi, melodie semplici e l’utilizzo massiccio di sintetizzatori per la parte strumentale. In contrapposizione, il rap, per quante sfumature possa comprendere in sé, ha dalla sua una caratteristica imprescindibile: i ritmi 4/4 sui quale scandire le rime. Una cosa che li avvicina però c’è. Rap e trap sono, parafrasando Carl Brave X Franco 126, due “fiori cresciuti in mezzo ai sampietrini”, due generi nati dal cemento con l’obiettivo, la maggior parte delle volte raggiunto, di raccontare il cemento.



LE INTERVISTE

EMMA

Marrone

di Alessio Boccali

ph. Kat Irlin

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LE INTERVISTE

"Essere qui"

e godersi il viaggio...

Emma Marrone non ha mai avuto peli sulla lingua. La sua vita, il suo carattere forte e deciso l’hanno sempre portata a lottare per imporsi, prima per far ascoltare la sua voce ad un pubblico più vasto e poi per scrollarsi di dosso quell’etichetta di ex concorrente di un talent, che spesso in Italia pesa come un macigno. Emma ci è riuscita ampiamente e grazie al suo talento e ad un bel team di amici e colleghi del mondo della musica ha sfornato un album molto interessante.

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iao Emma, è uscito da poco il tuo “Essere qui”, quello che balza subito all’occhio è che sei meno presente come autrice eppure i brani riescono a raccontarti appieno. È per caso il disco che ti rappresenta di più? Questo è il disco che rappresenta il mio momento: pur non essendo molto presente come autrice, riesco a cantare di me perché mi sono circondata di autori che conoscono perfettamente la mia storia e che sono soprattutto amici. Sì, è ancora possibile farsi amici sinceri in questo mestiere e loro per me hanno confezionato dei veri e propri vestiti su misura. Nel tuo disco è citato tante volte il sentimento positivo per eccellenza, l’amore, e poche volte il dolore, l’odio, la sofferenza… c’è sempre una sensazione di speranza in questi testi, è vero?

Sì, è il frutto di un lavoro che ho fatto su me stessa per guardare al futuro in maniera meno negativa. Sono stata meno cattiva con me stessa ed ho iniziato a guardare il bicchiere mezzo pieno. In questo disco c’è la mia voglia di luce, di uscire dall’ombra e prendere in mano la mia vita. È una Emma diversa anche nella vocalità quella di questo disco. Cosa è successo? Sì, la mia voce ha risposto al mio “ammorbidirmi”, ha seguito il mio modo di essere più rilassato. Un album che è molto donna, cantato poi da un’artista come te che, per vissuto personale, è stato preso come esempio da tantissime ragazze. Immagino tu senta questa responsabilità addosso, ma al contempo ne sia molto felice… Più che una responsabilità, è un grande attestato di stima da parte di tutte le donne che mi seguono. Non ho mai preteso di es-

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LE INTERVISTE

“ Ogni giorno faccio dei viaggi

mare aperto sulla mia zattera per conquistare un pezzetto di felicita' .” in

ph. Kat Irlin

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LE INTERVISTE

sere un’educatrice, ma mi piace che il mio carattere, che mi ha aiutata molto nella vita, possa essere d’aiuto ad altre donne. Sono onorata di questo. Nel brano “Mi parli piano” parli di incomunicabilità. Hai mai riflettuto sul fatto che, se per un artista i social network servono ad avvicinarsi al pubblico e viceversa, nella vita quotidiana questi ci stanno allontanando? È una questione di utilizzo. Bisogna insegnare come gestire questa nuova forma di comunicazione, che non deve togliere, ma aggiungere qualcosa. Io cerco di essere molto attenta a questo fenomeno e spesso ne ho anche sofferto per episodi di cyberbullismo et similia. Non dimentichiamoci mai, però, che possiamo e dobbiamo essere noi a metterci nella condizione di non farci fare del male. A proposito del singolo “L’isola”, che ha anticipato l’uscita di “Essere qui”. Qual è l’isola della tua vita? In realtà non l’ho ancora capito, ma nemmeno lo voglio capire. Se già conoscessi ora la mia mèta, non mi godrei l’esperienza del viaggio. Mi piace l’idea di navigare a vista perché è vero che corri maggiori rischi, però è altrettanto vero che quando ti succedono delle cose belle impreviste è una gioia doppia. La mia isola, quindi, cambia ogni giorno perché ogni giorno faccio dei viaggi in mare aperto sulla mia zattera per conquistare un pezzetto di felicità.

SOUNDS GOOD

ph. Kat Irlin

Questo disco ti ha portato a fare concerti in tutto il mondo, era già previsto e quindi per questo motivo l’album ha un sound più internazionale oppure è una gioia arrivata successivamente? Com’è la sensazione di portare la musica italiana nel mondo? No, queste grandi soddisfazioni sono arrivate dopo. Sono molto contenta di portare l’Italia nel mondo, ma al contempo sono molto ansiosa. Mi sono preparata al meglio per ringraziare la vita e la musica per il regalo che mi è stato fatto. Sono molto contenta che questo tour internazionale sia arrivato proprio dopo questo disco per il quale ho avuto la fortuna di lavorare con dei musicisti stratosferici. Questo è quello che ti dicevo prima: meno controlli le cose e più le cose arrivano, quando smetti di controllare le cose, infatti, smetti anche di porti dei limiti.

ROMA QUARTIERE AFRICANO - SCUOLA DI MUSICA - SALA PROVE - STUDIO DI REGISTRAZIONE

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CURIOSANDO

Beyonce di Francesco Nuccitelli

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LA SCELTA DEL NOME

La scelta del nome di Beyoncé deriva dal cognome di sua madre. Il suo cognome da nubile, infatti, è Beyincé (con la presenza di una “i”). VITA CONIUGALE

È sposata con l’imprenditore e rapper Jay-Z. Insieme formano una delle coppie più ricche del panorama musicale e mondiale.

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PRIMATI E TRAGUARDI

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NUMEROLOGIA

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CONCERTI IN ITALIA

Beyoncé è attualmente la cantante femminile con più nomination ai Grammy Awards (ben 62) della storia ed è la seconda artista femminile per vincite (22) dopo Alison Krauss (28). Oltre alla musica Beyoncé si è prestata anche al cinema con un ruolo nel film “Dreamgirls”, che le ha garantito 2 nomination ai Golden Globe. Inoltre la statunitense è anche l’artista più ricercata su Google.

Il 4 è un numero che si ripete più volte nella vita dell’artista di Houston. È nata il 4 settembre del 1981, il suo compagno è nato il 4 dicembre del 1969, la data del loro matrimonio è il 4 aprile (4) 2008 ed infine, anche sua madre è nata il giorno 4. Beyoncé e Jay-Z si sono addirittura tatuati questo numero. Beyoncé farà tappa in Italia insieme al suo coniuge il prossimo 6 luglio allo Stadio San Siro di Milano e l’8 luglio allo Stadio Olimpico di Roma.

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EVENTI MAGGIO 2018

Officina Pasolini #Concerti

Cristina Renzetti presenta l’album Dieci lune Chitarre: Federico Casagrande Basso: Francesco Ponticelli Batteria: Alessandro Paternesi

11 Maggio ore 21:00 Officina Pasolini #Incontri #Presentazioni

Il romanzo dell’Italia che canta

Incontro con Gino Castaldo Intervengono: Tosca, Felice Liperi

18 Maggio ore 21:00

Foto di Giovanni Canitano

Officina Pasolini #Concerti

Moresche e altre invenzioni

Maria Pia De Vito e Burnogualà Large Vocal Ensemble in concerto Foto di Paolo Soriani

21 Maggio ore 21:00 Officina Pasolini #Teatro

Lighea

di Giuseppe Tomasi di Lampedusa Regia di Massimo Venturiello Spettacolo con i giovani artisti del primo anno della sezione Teatro

25 maggio ore 21:00 26 maggio ore 18:00 Officina Pasolini #Proiezioni

Nico, 1988

Regia di Susanna Nicchiarelli Intervengono: Susanna Nicchiarelli, Steve Della Casa, Luciano Sovena

30 Maggio ore 21:00 Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini - Teatro Eduardo De Filippo Viale Antonino di San Giuliano - angolo Via Mario Toscano (zona Ponte Milvio)

INGRESSO GRATUITO FINO A ESAURIMENTO POSTI

Vuoi riservare dei posti? Scrivi in privato sulla pagina Facebook di Officina Pasolini nome, cognome e numero di posti desiderati!

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LE INTERVISTE

ph. Ilaria Magliocchetti Lombi

The Zen Circus Il Fuoco in una stanza di Alessio Boccali

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educi dal grande successo del disco “La terza guerra mondiale”, gli Zen Circus sono tornati sulle scene con un “Il fuoco in una stanza”, un album che parla fuori dai denti di tutti quei rapporti umani che ci definiscono e ci rendono quello che siamo. Ho avuto il piacere d parlare di questo e della lunga carriera degli Zen con Massimiliano “UFO” Schiavelli, storico bassista della band. 14

Un disco che arriva dopo il grande successo del precedente “La terza guerra mondiale”. Dove volete arrivare e a chi è indirizzato questo nuovo lavoro? Anche se facciamo uscire dischi con una certa celerità, tutti nascono da una nostra esigenza di raccontare delle cose, non ci sono mai dei calcoli dietro. La fortuna di aver fatto già dieci album ci mette fuori da certe aspettative, certe ansie. Semplicemente, mentre stavamo aspettando l’uscita di “La terza guerra mondiale” stavano uscendo

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LE INTERVISTE

Un pezzo deve saper stare in piedi anche da solo senza effetti o altri artifici... nelle nostre menti altre canzoni, che a livello contenutistico non c’entravano nulla con quel disco. Abbiamo, quindi, continuato a lavorare a questi brani mentre eravamo in tour, senza darci vincoli di scadenza e terminato quel tour, siamo subito andati in studio a registrare. Nella copertina del disco c’è una ragazza davanti ad uno specchio insieme alla sua famiglia. Sembra però quasi soffocata da questa e non coccolata… L’immagine è volutamente ambigua. Noi veniamo definiti dal nostro rapporto con gli altri, dietro la ragazza che si specchia c’è un qualcosa che non si capisce se sia soffocante per lei o necessario. Siamo soli, ma non siamo mai soli perché abbiamo tutto un insieme di relazioni che ci definisce. Grazie a Ilaria Magliocchetti Lombi, che fotografa le nostre copertine da ormai dieci anni, siamo riusciti a riassumere tutto questo. Il bello di queste copertine ambigue è proprio che ognuno può farsi un’idea sul suo significato. Così come i pezzi del disco pongono tutte domande aperte alle quali ognuno deve dare una sua risposta. Siete tra i pochi in Italia ad esser rimasti fedeli al trittico BASSO-BATTERIA-CHITARRE senza aggiungere synth o altri elementi di elettronica… Esatto, esatto. I suoni più “lavorati” che puoi sentire nel disco sono sempre chitarre lavorate, mai dei synth. Siamo sempre stati grandi divoratori del rock e abbiamo sempre voluto innestare un modo di fare musica d’oltreoceano

sul cantautorato italiano. La nostra via è questa: al centro c’è la canzone; canzone che i nostri fan possono rifare anche con strumenti di fortuna o durante un falò in riva al mare… Un pezzo deve saper stare in piedi anche da solo senza effetti o altri artifici. Avete una grande fan base composta da ogni fascia d’età, parlando dei più giovani però, quanto pensate sia cambiata la gioventù da quando avete iniziato ad oggi? Le istanze, i dubbi generazionali sono sempre gli stessi e noi non abbiamo mai ambito ad essere una band che rappresentasse una generazione. È cambiato il mondo. La mia generazione aveva altri tipi di regole, era meno ossessionata dalla sicurezza, c’era più cazzeggio, ma forse anche più noia. La musica, oggi come allora, può aiutare ad uscire da una condizione di isolamento e a noi Zen all’epoca è successo proprio questo, ci ha dato un linguaggio per esprimerci. Ancora oggi penso che sia questo uno dei compiti fondamentali della musica e questo cerchiamo di trasmetterlo con i nostri pezzi. E tu come mai hai scelto di suonare il basso? Tutti noi nasciamo come pubblico, non come musicisti. Da ragazzo, nel centro sociale della mia zona assistevo a tantissimi concerti a poco prezzo. Un giorno mi imbattei in quello dei NoMeansNo, una band punk rock canadese che faceva delle cose pazzesche con solo basso e batteria. Lì compresi come funziona una band durante il live e mi innamorai di Rob Wright, il bassista della band, e di quello strumento che può fare così tante cose anche con delle corde in meno rispetto ad una chitarra (ride, n.d.r.). In chiusura ti faccio una domanda un po’ scherzosa, quant’è stato difficile ambientare a Roma una canzone che si intitola “Quello che funziona”? (Ride, n.d.r.) È stato un divertissement. Volevamo associare questa grande città, che ogni volta ci lascia sgomenti per l’impossibilità di viverci, alla storia di una ragazza come tante, piena di dubbi e di legittime necessità.

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LE INTERVISTE

MOTTA Intervista a cura di Valeria De Medio

Dopo “La fine dei vent’anni” Francesco Motta sceglie, “Vivere o morire”: nove momenti perfettamente concatenati tra loro, dal rito ancestrale della felicità, alla dolcezza netta e sconfinata del dialogo a cuore aperto con il padre, in un movimento continuo e impossibile da interrompere, cadenzato da ritmi tribali e chitarra acustica, pianoforte e salsa cubana che stilla amore in tutte le forme.

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iao Francesco, sulla copertina di “Vivere o morire” c’è ancora il tuo viso in primissimo piano, stavolta rosso e leggermente mosso. Cosa significa? La copertina è stata scelta quasi per caso, da una foto scattata a casa: è simile all’altra perché per me è importante invecchiare con le canzoni e con la musica che faccio e mi piace l’idea di vederlo, oltre che sentirlo. A differenza de La fine dei vent’anni, qui la foto è anche in movimento, rispecchia come mi sento io nelle storie che racconto. “Ed è quasi come essere felice” fa da contraltare a “Del tempo che passa la felicità” in “La fine dei Vent’anni”, entrambe ad apertura degli album: un caso? “Ed è quasi come essere felice” rappresenta la canzone di passaggio da quello che ero prima a quello che sono adesph. Claudia Pajewski

so e che sono diventato grazie a un silenzio: in “Ed è quasi come essere felice” è rappresentato da quel minuto di musica senza parole, è esattamente il passaggio da quello che ero prima a quello che sono ora, molto più contento. Un disco ricco di contaminazioni: nella prima traccia il ritmo tribale africano si fa rito sciamanico della felicità. Gli strumenti africani mi sono sempre piaciuti, ho ascoltato tanta musica del Mali, ad esempio Tinariwen e Mauro Refosco è brasiliano, per cui la contaminazione si sente, ma né io né Refosco veniamo dal Mali, perciò l’abbiamo occidentalizzata, interpretando a modo nostro la concezione basata sull’uno, preferendola ai quattro quarti. La struttura della seconda parte di “Ed è quasi come essere felice” è permessa grazie al giro armonico su tre accordi anziché quattro e la divisione dispari crea un loop che non stanca. Roma onnipresente: prima ti prendeva dal collo e ti lasciava per terra, ora dici che è arrivato il tempo di restare. Com’è cambiato il tuo rapporto con questa città? Adesso Roma mi coccola. Prima ero affascinato più dalla malattia che dalla sua bellezza, ciò che invece mi conquista adesso. Sei nato e cresciuto a Pisa, di passaggio a Livorno e adottato da Roma: cosa ti hanno dato queste città? Pisa e Livorno me le porto dietro come accezione positiva del provincialismo e Roma me ne ha fatto rendere conto. Ora la mia città è Roma, la mia indipendenza è qui e la sento mia a tutti gli effetti. Vivere o morire non è una domanda, è una scelta: in che modo associ il ricordo, il recupero delle tue origini e il

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LE INTERVISTE

ph. Claudia Pajewski

lasciarsi andare al futuro? Penso che capire da dove si parte ti permetta di essere libero per poi andare dove vuoi e questo percorso prevede anche l’accettazione dello sbaglio e dell’errore, laddove c’è stato. Come dice Salmo “Dove cazzo vai se non sai da dove vieni”? E’ la tua prima volta come co-produttore, aiutato da Taketo Gohara e da Pacifico per i testi, sei soddisfatto? Si, produrre un disco significa supportare e sopportare e farlo da solo non è stato facile, ci sono riuscito grazie a Taketo e Pacifico: per me è l’inizio di un nuovo modo di concepire la mia musica, fidandomi soprattutto di me,

poi degli altri. Il 26 maggio inizi il tour a Roma, come state preparando il concerto? Anche stavolta il palco sarà come casa mia: ci saranno ospiti, ma la formazione è la stessa di prima, più Simone Padovani, percussionista che si è inserito benissimo in un equilibrio ormai consolidato. Sono molto contento di quello che stiamo facendo. In “La prima volta” dici “E non chiedermi come andrà a finire” e io invece te lo chiedo: come ti vedi tra dieci anni? Spero di essere ancora più felice di adesso.

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Curiosita

KENDRICK LAMAR HA VINTO IL PREMIO PULITZER

Music & Lifestyle a cura di Cristian Barba

JOVANOTTI ATTACCATO DAI NO-VAX

Durante la data bolognese del suo tour, Jovanotti ha ospitato sul palco Nadia Toffa e Michele Savino, conduttori de Le Iene. Dur ante un breve scambio di battute, l’artista tosca no ha difeso l’autorevolezza dei pareri medici rispe tto alla moltitudine di informazioni rintraccia bili su internet. Nessun attacco diretto alla campagn a antivaccinista, ma le sue pagine social sono state comunque bombardate di insulti

IL ORE DAY ST RD CO RE SI È TRASFORMATO NELLA FESTA DEL VINILE

dicesima edizione Il 21 aprile si è celebrata l’un dei negozi di dischi del Record Store Day, il giorno ci sono state tantissime indipendenti. Per l’occasione c. Il vero protagonista infatti uscite, ma nessun compact dis vi ha visto una crescita dei rica è stato il vinile, che nel 2017 cedente raggiungendo una del 22,3% rispetto all’anno pre cografico complessivo. Nella quota del 10% nel mercato dis Italia si trovano però quasi classifica dei più venduti in olo scorso: il vinile più esclusivamente artisti del sec Dark Side Of The venduto nel 2017 è statoThe Moon

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L’artista californiano è il primo rapper a vincere il Premio Pulitzer per la categoria musicale. Il riconoscimento, istituito nel 1943, finora era stato portato a casa solo da artisti di musica classica o jazz. La motivazione ufficiale della Columbia University è una celebrazione dell’ultimo lavoro di Lamar, Damn, grazie al quale il rapper aveva già fatto bottino pieno ai Grammy vincendo in tutte le categorie dedicate al rap.

SI POSSONO SCARICARE GRATUITAMENTE LE CANZONI PIÙ VECCHIE DELLA STORIA

Prima ancora del grammofono, il primo supporto per registrazioni audio della storia è stato il cilindro fonografico, inventato da Edison. L’università della California ha dato vita al Cylinder Audio Archive, un database consultabile gratuitamente che permette di ascoltare e scaricare più di 10mila canzoni, discorsi celebri e altro ancora registrati con questo strumento. Tra questi, l’unica registrazione conosciuta di un discorso di Giacomo Puccini del 1907

BONO È IL 1° VINCITORE DELLA MEDAGLIA PER LA LEADERSHIP

Il George W. Bush Presidential Cen ter ha istituito una ‘Medaglia per la Leadership’ come riconoscimento per rendere omaggio a coloro che , in qualche modo, “cercano di cambiare il mondo”. Il primo a ottenere questa onorificenza dall’ex presiden te degli Stati Uniti è stato il leader degli U2, premiato per “per l’impegno contro la povertà e le malatti e che possono essere oggetto di prevenzione, com e l’HIV/AIDS”

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LE INTERVISTE

Roberto Angelini, lo slidin' man romano

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di Alessandro Sgritta

oberto Angelini, cantautore e chitarrista romano, ha appena concluso la seconda stagione di “Slidin’ Bob” al Lanificio 159 e attualmente è in tour con il suo “Solo Live”. 20

Ciao Roberto, si è conclusa con Appino la seconda stagione di “Slidin’ Bob” al Lanificio, com’è andata? Abbiamo pensato che fosse bello chiudere la stagione con Andrea, in realtà volevo chiudere con Galeffi però per impegni con il mio prossimo tour non potrò farlo. “Slidin’ Bob” è così: imprevedibile. Hai dato un nuovo senso al lunedì romano, ricordo puntate straordinarie con Marina Rei (al piano di sopra c’era Ben Harper che registrava “Ossigeno” e poi sono scesi tutti gli Afterhours e altri per una jam session finale), Motta e Riccardo Sinigallia, ecc.

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La scommessa è stata quella di prendere una giornata morta, il lunedì, e cercare di fare un salotto dove stare insieme, con Radio Sonica che ci supporta, con il posto che è un piccolo tempio per la musica che ci permette di avere un bellissimo palco e un ottimo audio a disposizione. L’idea è quella di fare dei focus sui musicisti. Poi oltre ai musicisti abbiamo avuto la fortuna di avere tanti interpreti, cantanti, personaggi di vario genere, però è una chiacchiera informale fatta da un musicista con un musicista, cercando di andare ai limiti del “nerdismo”, per capire perché un suono è così. Per esempio, Appino ha descritto le origini della


LE INTERVISTE

ph. Sara Ciommei

chi siamo, senza paura, non bisogna avere paura di fare errori… Per esempio, rifaresti oggi pezzi come “Gattomatto”?

sua storia musicale dagli anni ’90 fino al momento preciso in cui sono nati gli Zen Circus (che all’inizio si chiamavano Smile) e lì si è fermato, sembrava un documentario di Netflix, sono io in genere che tendo a portare il discorso da qualche parte, ma in questo caso non ho dovuto fare quasi nulla a parte suonare con Andrea… Non ti sei fatto mancare niente negli ultimi anni, giri l’Italia e sei andato a suonare in tutto il mondo con Emma, il trio Fabi-Silvestri-Gazzè, ecc. Io vivo la musica per come mi piaceva immaginarla anche da ragazzino. A me piace suonare con gli altri. Appino ha detto una cosa bella, gli errori ci aiutano a definirci, a capire bene

Non lo rifarei mai “Gattomatto”, all’epoca l’ho fatto e lo considero anche un errore, ma in quanto errore mi ha permesso di essere ciò che sono oggi, perché se non avessi fatto delle esperienze super pop probabilmente le bramerei tutta la vita, le avrei sognate e desiderate, invece averla fatta mi ha permesso di capire che quel percorso lì non faceva tanto per me, mi sono molto divertito, è andata bene, poi ho anche dovuto ricostruirmi partendo da zero.La cosa più folle del mondo è stata omaggiare Nick Drake dopo “Gattomatto”, però quella cosa lì mi permette oggi di andare a suonare in giro per l’Italia, di avere un mio pubblico. Ti gratifica suonare anche in posti giganteschi, ma in realtà la situazione piccola è quella che mi piace di più; andare in città come Orvieto, Genova, Milano, Torino, ecc. dove ti confondi con il posto dove stai suonando è meraviglioso e mi ricordo quando Niccolò (Fabi) prese la macchina e fece una specie di secret show in giro per l’Italia, lo fece perché io gli raccontavo quanto era bello confondersi col territorio, conoscere le persone… Il nuovo disco te lo stai producen-

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do da solo? In realtà collaboro molto spesso con i Planet Funk, il grande Sergio Della Monica aveva prodotto il disco della mia rinascita “La vista concessa” nel 2009 e gli devo tantissimo. Ora da un po’ di tempo collaboro con Gigi Canu, Alex Neri e Marco Baroni, ci vediamo spesso e facciamo delle sessioni di registrazione, anche dei pezzi che abbiamo scritto per Emma li abbiamo fatti insieme, lavoro bene con loro. I Planet Funk sono un gruppo meraviglioso che ha raccolto meno di quello che meritava. Progetti futuri a cui tieni in maniera particolare? Spero di non fermarmi mai più dal suonare le mie cose, riprenderò “Slidin’ Bob” e “Propaganda”, ho in mente un progetto che vorrei provare a fare, mettere tutto il mondo di slide che ho dato ai vari cantanti con cui ho collaborato in un disco esclusivamente di musica senza parole, di un suono che ha caratterizzato un po’ di dischi negli ultimi 10 anni, una cosa alla Daniel Lanois, un disco di suoni ambient, soundscapes, ecc. che possa essere la colonna sonora di qualcosa e che mi potrebbe portare a girare anche fuori dall’Italia, perché non so se starò per sempre sul palco a cantare, magari se scrivo delle buone canzoni le può cantare qualcun altro, mentre suonare è una cosa che posso continuare a fare con dignità…

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FOCUS

Artu a cura di Valeria De Medio

ph. Massimo Di Soccio

A 40 anni dall’ultima esibizione di Rino Gaetano a Sanremo, Artù regala voce e parole al principe del nonsense crotonese.

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iao Alessio, scrivere una canzone a quattro mani con Rino Gaetano è il sogno di ogni cantautore italiano, raccontaci la magia. Lo scorso anno ho partecipato al tributo a Rino in Piazza Sempione e Anna Gaetano mi ha notato: “me lo ricordi tantissimo” mi ha detto con gli occhi lucidi. Il 29 ottobre, poi, mentre mi esibivo per la festa di compleanno di Rino, mi hanno messo il suo cilindro, mi sono toccato la testa e in me è scattato qualcosa, ho realizzato quello che Anna aveva capito da subito. Dopo la festa mi ha fatto sentire una demo incompleta del fratello. “Ti va di finirla?” L’emozione era pari alla paura di non riuscirci. Sono stato fermo due giorni, le parole suonavano eccessive o misere. “Alè, spegni il cervello” mi sono detto “e ascolta la pancia”. Ho bevuto un bel bicchiere di vino e ho buttato giù le prime parole che mi sono venute. Anna era entusiasta, erano quelle giuste. Cosa racconta Ti voglio? Ti voglio è la favola di un amore senza tempo per la stessa donna, che si rinnova giorno dopo giorno: “Ogni giorno un nuovo amore sempre tu” dice Rino e io aggiungo “La stagione dei vent’anni corre sulle ferrovie, la stagione dei tuoi anni 22

vive nelle sere mie” che può sembrare dedicato a una donna, ma adesso posso dire che in queste parole c’è anche Rino, un artista senza tempo, amato ancora oggi come 40 anni fa, forse di più. In che modo ti senti vicino a Rino? Come lui sono partito da zero, dalla strada: sono nato e cresciuto nella periferia di Roma e passavo molto tempo con mia nonna, era lei che mi comprava le chitarre. Mio padre, poi, le spaccava (sorride, n.d.r.); non voleva diventassi un cantante. A modo suo lo faceva per il mio bene. Mi ispiro ad artisti come Vasco Rossi, De Gregori, Tenco e Rino, ma non ho mai cercato di imitare nessuno, anche se fin dal primo album mi hanno fatto notare che urlo un po’ come lui! (ride, n.d.r.). “Vola Ale” è una fuga o una dichiarazione di libertà? Il disco è un incoraggiamento a non avere paura, ad abbracciare la vita con tutto l’amore di cui siamo capaci, perché non siamo altro che una piccolissima parte dell’universo, qui e ora e solo accettando gli altri possiamo essere liberi. Cos’è cambiato dal primo Artù? Ogni disco racconta una parte di me: “Artù” è il più scanzonato di tutti, sfrontato e irriverente, “Tutto Passa” è molto intimista e “Vola Ale” è piuttosto solare, ma non mancano le riflessioni e le ballate. C’è la collaborazione con la Rino Gaetano Band per “Ti Voglio” e, soprattutto, spiccano gli arrangiamenti anni ’80, un epoca che musicalmente amo.

N°8 MAGGIO - GIUGNO 2018 / #MUSICAZEROKM / WWW.MZKNEWS.COM


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LE INTERVISTE

RON Caro amico ti canto di Francesco Nuccitelli

A sedici anni parte la sua carriera di artista sul Palco del Casino' di Sanremo insieme a Nada. ph. Riccardo Ambrosio

Vincitore al Festival di Sanremo nel 1996 con"Vorrei incontrarti fra cent’anni"

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N°8 MAGGIO - GIUGNO 2018 / #MUSICAZEROKM / WWW.MZKNEWS.COM


LE INTERVISTE

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on, nome d’arte di Rosalino Cellamare, è tra i grandi protagonisti della storia musicale italiana con una carriera lunga quasi cinquant’anni. Durante la presentazione del suo ultimo album “Lucio!”, sono riuscito ad incontrarlo per parlare di questo suo nuovo progetto. Vorrei iniziare parlando del tuo rapporto con Lucio, come è avvenuto il primo incontro? L’ho incontrato che avevo solo sedici anni e lui veniva alla RCA, la casa discografica con la quale avevo appena firmato un contratto. Mi volle vedere per farmi ascoltare “Occhi di Ragazza”, un brano che in seguito ha avuto un grande successo cantato da Morandi e che la commissione sanremese non mi aveva fatto passare. Da subito ho capito che persona straordinaria, amabile e simpatica fosse Lucio. Poi con il passare del tempo mi sono reso conto di come è stato importante per me, un punto di riferimento eccezionale. Tra di noi c’era un rapporto di reciproca fiducia, oltre che di stima. Come mai la scelta di aspettare sei anni dalla sua morte per omaggiarlo? L’idea di fare un album su Lucio è venuta dalla Sony e dagli eredi di Lucio. Il primo avvicinamento c’è stato due mesi fa con l’idea di omaggiarlo per quello che sarebbe stato il suo settantacinquesimo compleanno. Così ho incominciato a lavorare sul disco. Il brano sanremese “Almeno Pensami” ha influito sulla scelta? Per quanto riguarda “Almeno Pensami”, ho ricevuto la chiamata di Baglioni, quando mancava poco più di un mese a Sanremo... aveva ricevuto la canzone dagli eredi e lui me l’ha proposta. Comunque la canzone è arrivata dopo l’idea dell’album, è stata una piacevole fortuna. Era a conoscenza di questa canzone e secon-

do lei c’è la possibilità che esistano altri brani nascosti di Dalla? No, non ne ero a conoscenza (ride, ndr.). Comunque è probabile, mi sembrerebbe strano che un artista come Lucio abbia lasciato solo una canzone nascosta e, se ci sono, ben vengano, ne saremo tutti contenti. L’album presenta tante canzoni meravigliose, ma come è avvenuta la scelta della tracklist? I brani sono usciti spontaneamente, non c’è stato bisogno di fare scelte strategiche particolari. Queste sono le canzoni alle quali ho lavorato di più anch’io, come musicista o arrangiatore. Ho anche lasciato fuori diverse canzoni meravigliose, come le “Rondini” e molte altre che recupererò durante i concerti. Parliamo proprio del tour, che tipo di spettacolo dobbiamo attenderci? Uno spettacolo che sarà fondato sulla leggerezza perché Lucio era una persona leggera, semplice ed ironica. Sarà bello ricordarlo e raccontarlo anche con le immagini. Saremo in un teatro e per forza di cose sarà uno spettacolo teatrale. Che emozione è stata riportare sul palco dell’Ariston, seppur in veste di “autore”, Lucio Dalla? L’idea di cantare Lucio a Sanremo è una cosa che non mi sarei più aspettato di fare. Quando mi è arrivata la canzone mi sono emozionato moltissimo. Ovviamente ci ho lavorato sopra con l’arrangiamento per adattarla alle mie caratteristiche e il risultato è stato soddisfacente. Qualche ricordo in particolare di questo grande personaggio? Lucio era una persona libera, che non si faceva mettere idee in testa da nessuno ed era molto curioso delle cose e della gente. Una persona con una grande sensibilità e un grande cuore. La più bella particolarità di Lucio era la sua umanità, lui parlava con tutti, dal barbone sotto casa a Gianni Agnelli.

N°7 MARZO-APRILE 2018 / #MUSICAZEROKM / WWW.MZKNEWS.COM

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ROMA FESTIVAL

PRIMO MAGGIO Dal BACKSTAGE del primo maggio "ROMA 2018" di Interviste a cura itelli Francesco Nucc Alessio Boccali e

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ROMA FESTIVAL

Francesca Michielin Il lavoro è, prima di tutto, creatività, ma anche fatica; si lavora per vivere e sarebbe bello e giusto se ci fossero più lavoro e più occasioni per i giovani per mettere a frutto le loro energie, le loro capacità. Per lavorare bene non bisogna mai arrendersi. Chi non lavora non vive bene perché il lavoro nobilita le persone. Il brano per celebrare questa festa? Quello con il quale ho iniziato il mio set, ovvero “Nessun grado di separazione”, perché vorrei tantissimo che la smettessimo di dividere sempre in generi - uomini e donne - in ambito lavorativo; meritiamo tutti gli stessi diritti ed una festa come quella del primo maggio deve essere uno stimolo a migliorare le condizioni lavorative. Wrongonyou Il primo maggio l’ho sempre visto come un concerto, un raduno, una festa dove si elogiava il lavoro, ma purtroppo negli anni si è un po’ perso di vista il vero significato di questa giornata. Io ero un lavoratore vero, studiavo e lavoravo allo stesso tempo, facevo la guida nei musei, mentre studiavo storia dell’arte. Pregiudizi sulla musica? Ormai ci si buttano tutti, purtroppo adesso basta tirare giù un testo dadaista senza significato e si fanno i dischi d’oro. Un mio brano per celebrare questa giornata? Direi Rebirth, rinascita. John De Leo L’emozione di suonare a piazza San Giovanni? È difficile descriverla, diciamo che cerco di direzionarla nell’attenzione perché con una formazione così particolare come quella che sconsideratamente ho portato qui bisogna fare molta attenzione. Il primo maggio che ricordo con più piacere è stata quello in cui ho suonato con il Banco del Mutuo Soccorso e ho conosciuto Francesco Di Giacomo; ho avuto l’impressione di aver conosciuto una persona aliena anche al meccanismo commerciale che gira intorno alla musica. Riuscire a lavorare di musica qualche volta può voler dire corrompere parecchio il linguaggio a favore del pubblico più amplio, se si vuol campare con questo lavoro. Di fatto è un’ingiustizia c’è perché pochi di quelli che hanno qualcosa da dire sopravvivono fuori dalle classifiche. Galeffi È il mio primo concertone del primo maggio; è una festa gigante che ti mette un’ansia e una paura incredibile. Per quanto riguarda l’idea che ha il Paese del ruolo del musicista devo dirti che stiamo un po’ indietro è importante far capire che anche il nostro è un mestiere che comporta delle fatiche e dei sacrifici come tutti i lavori. Sicuramente è anche un mestiere che ci dà tante soddisfazioni, ma sarebbe bello se tutti ricevessimo delle soddisfazioni nel nostro lavoro, no? Il pezzo che dedico al primo maggio 2018 è “Tazza di tè”, un pezzo più allegrotto per celebrare quello che è comunque un giorno di festa. Dardust La musica è sempre stato il mio primo lavoro. Ho studiato psicologia e mentre studiavo ho iniziato a fare il musicista. Per fortuna, poi, la mia via è rimasta sempre quella della musica. Ho sempre visto il concertone come un obiettivo irraggiungibile, eppure alla tenera età di 40 anni e più sono riuscito a raggiungere questo palco; questo per dire che non ci sono regole nella creatività e nell’arte. Il mio brano che dedicherei a questo primo maggio è “Bardaginn “, un brano portante del mio disco “Birth”, il cui titolo in islandese significa battaglia. Portare Dardust al Concertone è una sfida e quindi sul palco io e i miei colleghi musicisti daremo battaglia. Giorgio Baldari (Vincitore premio Anas) Ho un contratto in un cinema e ho preso un anno sabatico per cimentarmi a tempo pieno nella musica. Pregiudizi sul ruolo del musicista? Diciamo che il lavoro del musicista è sempre molto particolare, i pregiudizi ci saranno sempre anche se il mestiere del musicista esiste ed è anche molto importante perché, se ci sono eventi come questo del primo maggio, è grazie anche a queste figure. Il brano per celebrare questa festa? Direi il brano che ho proposto sul palco che poi è il motivo per cui sono qui oggi.

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“Ossigeno” è un viaggio sorprendente attraverso le connessioni tra parola scritta e cantata, tra immagini, ricordi e storie personali che ha come guida Manuel Agnelli.

AGNELLI E BRUNORI: IL DOPPIO COLPO DI RAI 3

Con Ossigeno e Brunori Sa, la terza rete Rai sperimenta nuove soluzioni per riportare la musica al centro del dibattito culturale in televisione

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di Cristian Barba

ella storia della televisione c’è sempre stato spazio per la musica, in forme e linguaggi che si sono rinnovati e moltiplicati negli anni: dal Festival di Sanremo a Top of the Pops, da DeeJay Television a Sarabanda, l’intreccio tra musica e televisione ha segnato la storia dell’industria culturale del nostro paese almeno fino all’inizio del nuovo millennio. A sconvolgere questo assetto è arrivata la rivoluzione digitale, che nel giro di pochi anni ha relegato il mezzo televisivo a un ruolo secondario nel panorama mediale e ha cambiato le regole della fruizione e del mercato musicale, ormai imprescindibilmente legati a internet. Gli ultimi superstiti tra i programmi a tema musicale sembrano essere i talent, continuamente messi in discussione dal punto di vista 28

qualitativo, ma ancora remunerativi in termini di ascolti. Eppure, di fronte a un panorama non particolarmente entusiasmante, c’è chi prova a sperimentare nuove ricette televisive che rimettano al centro la musica. Il riferimento, in particolare, è alla doppia scommessa di Rai 3 con Ossigeno e Brunori Sa, appuntamenti settimanali in seconda serata costruiti rispettivamente attorno alle figure di Manuel Agnelli e Brunori Sas.Nei due programmi, entrambi strutturati in 5 puntate da 50 minuti, i riferimenti musicali diventano il punto di partenza per un’indagine della realtà sociale e culturale, all’interno della quale si alternano ospiti di varia estrazione artistica ed esibizioni live. Seppur lo scheletro sia lo stesso, i percorsi costruiti dai due format sono in realtà abbastanza diversi tra loro e rispecchiano l’universo di riferimento dei due artisti:

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FOCUS

“Brunori Sa” è un ritratto generazionale, frutto dello sguardo ironico e profondo di un giovane cantautore sempre in bilico fra canto, incanto e disincanto: Dario Brunori in arte Brunori SAS

alla struttura “solida” di Ossigeno, interamente registrato all’interno del Lanificio con la presenza di un pubblico a creare l’atmosfera da club, si contrappone la struttura “liquida” di Brunori Sa, che vede il cantautore calabrese partire da casa per poi tornarci alla fine di ogni puntata; all’approccio “crudo” di Manuel Agnelli, che lascia molto più spazio alle esibizioni live, risponde quello “filosofico” di Brunori, caratterizzato da continui flussi di coscienza e dai suoi “monologhi sull’incertezza”; alle chitarre elettriche degli Afterhours replica il pianoforte del “giovane quarantenne” Brunori. A fare maggiormente da comune denominatore tra i due programmi è la ritrovata centralità della musica all’interno di trasmissioni raggiungibili da un pubblico generalista e nelle quali sono i musicisti a parlare di musica, senza il filtro di critici o giornalisti. In questo senso diventa

fondamentale la capacità dei due artisti di confrontarsi col linguaggio televisivo e di indossare i panni del conduttore, dell’intervistatore o della spalla a seconda della circostanza. La musica diventa il fulcro del racconto, le interviste si trasformano in conversazioni informali tra colleghi e amici, i temi vengono affrontati in chiavi nuove e lontane da quelle a cui ci ha abituato l’offerta musicale mainstream in televisione. L’impressione è che questo possa essere un primo importante passo verso la ridefinizione di alcuni assetti consolidati, tanto a livello televisivo – dove lo “svecchiamento” non può passare semplicemente dal far cantare brani con mezzo secolo di storia a giovani liceali – quanto a livello musicale – dando agli artisti la possibilità di ritrovare nel mezzo televisivo un importante terreno di affermazione e sperimentazione.

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LE INTERVISTE

ph. Filippo Milani

Franco Mussida "E' tra i fondatori dell'associazione culturale slow music. E il fondatore della CPM Music Institute. Con la PFM fu tra i primi in Italia a utilizzare il minimoog, uno dei primi sintetizzatore dell'epoca." di Francesco Nuccitelli

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rande arrangiatore, compositore, chitarrista e amante della pedagogia musicale, Franco Mussida è una vera icona della musica Italiana e internazionale. L’ho raggiunto telefonicamente per fare un excursus sulla sua carriera. 30

Tante le sue abilità tra cui quella di essere uno dei più grandi chitarristi italiani; qual è il suo rapporto con la chitarra? La chitarra è uno strumento che mi permette di esprimere una sensibilità musicale e una sensibilità umana imprescindibili per me. È quella parte esterna a me che nei decenni mi ha sempre accompagnato, mi ha educato. Attraverso lei ho scoperto sempre di più l’opportunità di offrire emozioni alle persone.

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LE INTERVISTE

La chitarra continua ad essere per me la musica, continua ad essere un territorio inesplorato, che viene fuori man mano che suono. Come si è evoluto il suono? La chitarra è uno strumento che ha una sua identità ben definita, congiunta, ma con il tempo, questo strumento è diventato essenzialmente monofonico, infatti, è stato utilizzato molto come strumento solista. Anche la tecnologia ha influito su questa evoluzione; il suono si è evoluto con l’uso dei pick-up che ha trattato timbricamente i suoni delle corde in maniera diversa, le corde stesse si sono evolute, prima erano di budello, poi si è passati al nylon, infine sono diventate di ferro. Anche la struttura della chitarra, prima c’era solo il legno che raccontava un suono. Tra i suoi tanti impegni c’è anche quello con la CPM Music Institute, una scuola di musica che ha sfornato diversi talenti; oggi come si scopre un talento? Il CPM Music Institute è una scuola che ha una sua precisa identità, anche nell’approccio con i ragazzi. Lì consideriamo ogni aspirante musicista un mondo a parte. Li incontriamo singolarmente anche per capire quali sono le loro caratteristiche, non solo a livello artistico, ma anche personale. Quando si parla di talento dovremo dividere il tutto in 3 grandi famiglie: il genio, la persona di talento e la persona con la predisposizione. Tuttavia, riconoscere un talento significa accertare che ci siano delle qualità musicali istintive molto forti. Ciò non significa soltanto avere orecchio, ma anche capire di avere di fronte una persona che nel mondo musicale sa orientarsi meglio di altri. Rimanendo in tema di talenti, come giudica i talent show? La musica è un’arte, nei talent show la musica vie-

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ne equiparata un po’ allo sport. Da un lato è certamente un veicolo di promozione, ma dall’altro presenta delle caratteristiche che non si sposano tanto con l’espressione artistica. In questi show si punta solo sulla competizione e sull’empatia partecipativa del pubblico, che poi alla fine è ciò che si vende. La PFM, è stata la band che forse più di tutte ha interpretato la variante del rock, nella sua forma progressive, ma com’è nata quest’idea di portare in Italia un genere così poco conosciuto? Noi non abbiamo portato nulla in Italia, siamo stati figli di una generazione che ha respirato un’aria comune nel pianeta. La nostra generazione ha percepito che la musica non era solo fare canzonette, ma che nel linguaggio della musica popolare c’era la possibilità di evolvere la struttura del mondo della canzone facendola diventare un pochino più simile alla struttura o alla profondità di altri generi, come

ph. Omar Cantoro

la Classica o il Jazz. Per cui c’è stata questa grande rivoluzione anche da parte del pubblico, che attraverso una musica immaginativa, attraverso un approccio più profondo, più sentito dedicato ai suoni, ai timbri e a tutte le sonorità, quindi non più solo il canto, ha captato un’emozione più alta.

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FOCUS

Perche' le radio trasmettono sempre le stesse canzoni? di Alessio Boccali

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olito tragitto in macchina per andare a lavoro. Accendete la radio per rilassarvi un po’ ed affrontare il traffico, oggi però non vi va proprio di ascoltare quel disco che avete ascoltato per chilometri e chilometri fino a consumarlo. Allora che fate? Vi sintonizzate sulle frequenze radio ed iniziate a fare zapping finché non trovate un pezzo che vi piace. Niente, di frequenza in frequenza non riuscite a trovare quello che vi soddisfa, o meglio, trovate sempre le stesse canzoni, sempre gli stessi artisti. Non è la trama di un film di fantascienza quella che vi ho raccontato, lo sapete bene, ma la realtà di tutti i giorni. È mai possibile che le radio abbiano tutte quante lo stesso palinsesto musicale? Andiamo per gradi. All’interno delle grandi radio è assai difficile, se non impossibile, che siano gli speaker stessi a decidere l’intero palinsesto musicale. È possibile, ed auspicabile, che molti conduttori diano il loro parere e suggeriscano i loro brani preferiti, ma non sempre, e soprattutto non tutti, i brani da passare sono scelti da loro. Le canzoni trasmesse in radio sono delle frecce

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scagliate verso un target ben preciso; ogni trasmissione ha il suo pubblico specifico da raggiungere e le scelte musicali sono orientare anche da questo fattore. Cos’altro influenza il palinsesto? E soprattutto, torniamo alla domanda cruciale, perché ascol-

tiamo sempre la stessa musica? La risposta potrebbe essere di natura economica. Negli ultimi anni molte major radiofoniche hanno iniziato a stringere rapporti di sponsorizzazione con alcune etichette discografiche, alcuni programmi televisivi o anche singoli artisti (tanto da seguir-

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li in diretta anche durante il tour, ad esempio). Il risultato è che i pezzi provenienti da questo “gruppone” vengono trasmessi più volte e da più radio. È indubbio, quindi, che a tutte le parti in gioco interessi che questi artisti e le loro canzoni entrino prepotentemente nelle teste degli ascoltatori fino a convincerli che quello è il meglio possibile che si possa ascoltare. Questo discorso naturalmente esula dal giudicare la qualità dei pezzi trasmessi e/o la bonarietà delle scelte delle major radiofoniche sopracitate, ma è inevitabile che questa situazione danneggi abbondantemente gli artisti emergenti. Una contromossa possibile però c’è e consiste nell’essere degli ascoltatori intelligenti; occorre ascoltare tanta musica differente - i metodi per farlo nel 2018, per fortuna, non ci mancano –, difendere i nostri gusti senza farci influenzare e, magari, supportare la musica “nuova”. Lo step successivo poi, sta nel provare anche ad influenzare le varie radio. Di modi per interagire con i vari network ce ne sono a iosa, sfruttiamoli e proviamo ad invertire il trend per il bene sacro dell’eterogeneità.



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LUCIA MANCA / “ANCORA MEGLIO”

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“Maledetto e benedetto”, o meglio tutto quello che ci fa bene da una parte e il dolore dall’altra. Lucia Manca riesce a portare tutto ciò in questo suo disco, senza scindere i due mondi. L’artista non intende esaltare il bene né sconfiggere il male, semplicemente celebra la loro esistenza in un’atmosfera elettronica a metà strada anch’essa tra ricordi del passato e proiezioni del futuro. È un lavoro studiato, approfondito, che racconta – e non è facile di questi tempi -, comunica delle esperienze attraverso delle immagini nitide che si stagliano e danno ritmo ad un’atmosfera soffusa. Un viaggio in una notte buia, che si conclude “a riveder le stelle”. - Di Alessio Boccali

GIO EVAN / “BIGLIETTO DI SOLO RITORNO”

CANTAUTORATO

Si potrebbe dire che in ogni riccio dei suoi capelli c’è un’idea nuova e non si sbaglierebbe. Dopo essersi fatto conoscere come scrittore e performer, Gio Evan ha deciso di mettere in musica i suoi pensieri ed ha sfornato un bel doppio cd. Un concept album, questo “Biglietto di solo ritorno”, che invita l’ascoltatore a gettare mente e cuore oltre gli ostacoli per non bastarsi mai, per non porre mai dei limiti ai propri sogni, ai propri obiettivi. Un percorso di autoanalisi per guardarsi dentro e a prendere per mano la propria anima fino a farla liberare dalla sua corazza. - Di Alessio Boccali

JESTO / “BUONGIORNO ITALIA”

RAP

Con occhio critico sulla società senza populismi o banalità, Jesto dà il buongiorno al Belpaese analizzando e deridendo la sua ipocrisia, che tanto stride con la sua bellezza. Attraverso le storie degli attori del quotidiano, il rapper romano riesce a dipingere un quadro della società in stile molto cantautorale. Non a caso, Jesto la cantautoralità ce l’ha nel sangue – suo padre era Stefano Rosso – e in questo lavoro riesce a coniugarla magnificamente ad un beat hip hop influenzato da black music e da chitarre portanti. Un lavoro importante questo “Buongiorno Italia”, che ci fa capire che se “a far canzoni non si fan le rivoluzioni”, almeno si possono risvegliar delle coscienze. - Di Alessio Boccali

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MUSICA

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PRESIDENTI A TEMPO PERSO / “CREPA, CUORE”

POP/FOLK

La difficoltà di esprimersi e di tirar fuori il cuore dal petto e dirgli “vai, ora comandi tu!”. Questo il fulcro di “Crepa, cuore”. Senza filtri, né barriere la band alt/folk romana si lancia coraggiosamente nella mischia della vita spinta dalla curiosità e dalla voglia di capire di più di questo fantastico viaggio nel mondo. Allora ecco che su di un sound equilibrato e piacevole danzano testi pieni di verità e lucidità, che danno voce a quel cuore che, come la speranza, è sempre – maledettamente - l’ultimo a morire. La soluzione? Saper apprezzare la vita nella sua imprevedibilità. - Di Alessio Boccali

IACAMPO / “FRUCTUS”

CANTAUTORATO

“Fructus” è il nuovo del nuovo progetto musicale di Marco Iacampo. Un album eclettico, ricco di sfaccettature e sfumature. Perfetto il connubio tra la voce calda dell’artista e la base strumentale. La chiusura perfetta di una grande trilogia “Valetudo, Flores et Fructus”. Il primo singolo estratto di questo album è “La vita nuova” un brano soul pop che potrebbe segnare un nuovo inizio nella carriera di Iacampo e che presenta al meglio un lavoro discografico interessante e che merita molta attenzione. Un progetto maturo, ricco di mescolanze e con quel pizzico di semplicità che non guasta mai. - Di Francesco Nuccitelli

ERIO / “INESSE”

ELETTRO/R’N’B

Tra gli album più interessanti del 2018, troviamo sicuramente “Inesse”. Il nuovo progetto di Erio che attraverso l’elettronica e una contaminazione di generi apparentemente diversi tra loro - come R ‘N’ B, l’Hip Hop e una formazione lirica - si mescolano in un qualcosa di bello e interessante. L’album presenta 11 brani o meglio 11 storie frammentate, divise tra tormenti e illusioni, consapevolezze e libertà. Un trattato di psicologia in musica, un inno alla coscienza di noi stessi in relazione al mondo circostante. insomma, un album consigliato che richiede molta attenzione all’ascolto, ma che sicuramente non deluderà le vostre aspettative. - Di Francesco Nuccitelli

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LE INTERVISTE

KUTSO C H E E F F E T T O FA ? di Alessandro Sgritta

ph. Matteo Casilli

A tu per tu con Matteo Gabbianelli, cantante, autore e musicista romano, leader dei KuTso che il 4 maggio hanno pubblicato il singolo “Che effetto fa. L’album omonimo uscirà a settembre per Goodfellas/Wing (distribuzione digitale Believe) e sarà prodotto dallo stesso Gabbianelli in collaborazione con Marco Fabi.

C

iao Matteo, partiamo dal nuovo singolo “Che effetto fa”. Il titolo, che poi è anche il nome del nuovo disco, mi fa pensare sia a Enzo Jannacci (“per vedere l’effetto che fa” da “Vengo anch’io, no tu no”) sia a Renato Zero (in “Fermo posta” c’era proprio la frase tormentone “Che effetto fa?”), è soltanto un caso? Porca miseria, hai trovato due accostamenti dai quali non sono assolutamente partito, però ora che mi ci fai pensare, hai ragione!…Nel caso di Jannacci, dopo aver scelto il titolo, mi sono reso conto immediatamente che il richiamo, anche se involontario, era diretto ad un artista che stimo profondamente, mentre nel caso di Renato Zero, non conoscevo nemmeno questa canzone, l’ho ascoltata ora e devo dire che nel ritmo incalzante vagamente funk ha delle connessioni con il nostro brano, insomma tutto casuale, però ci sta! In realtà il concetto alla base di questa canzone è che prima o poi ti tocca fare i conti con te stesso, domandarti se quello che sei oggi è proprio quello che avevi sognato di diventare e per cui avevi lottato con convinzione: la tua “rivoluzione” che fine ha fatto? Che effetto fa accorgersi di avere ceduto alle lusinghe di una vita comoda, di un amore convenzionale e di una sistemazione senza più sorprese? “Che effetto fa” non è solo una domanda, ma una constatazione che la tua vita si è capovolta e la devi 38

reinterpretare se non vuoi vivere un’esistenza inerte. Il nuovo disco uscirà a settembre per Goodfellas/Wing, che disco sarà rispetto ai precedenti? So che hai collaborato con Marco Fabi, che differenza c’è rispetto al primo prodotto da Ferrantini dei Velvet e al secondo prodotto da Alex Britti? La grande differenza è che per la prima volta ho realmente collaborato artisticamente con qualcuno, non si è trattato né di rapporti “amministrativi”, né di jointventure dovute ad eventi casuali. Questa volta ho scelto di lavorare insieme a un produttore, nel caso specifico con Marco Fabi, che ha una sensibilità artistica spiccata ed un grande rispetto per la personalità musicale degli autori con cui lavora. C’è stato un importante cambio di formazione rispetto al disco precedente, in pratica sei rimasto l’unico membro originario del gruppo dal 2006, i nuovi ingressi sono Brian Riente (chitarra), Luca Lepore (basso), Bernardino Ponzani (batteria), a cosa è dovuto questo cambio e come ha inciso sul nuovo sound della band? Una volta esauritasi l’onda partita da Sanremo e continuata con due anni di tour, credo che gli altri si siano accorti che l’idea di continuare a sputare sangue per la musica rincorrendo sogni ed illusioni, non facesse più per loro. Inoltre, non apprezzavano gli ultimi brani che stavo scrivendo e non si identificavano più con il progetto. Non nego che sia stata una bella botta per me, che mi ha gettato in un profondo stato depressivo, dal quale mi sono ritirato su semplicemente continuando a lavorare sul disco. Ora però devo dire che il gruppo è veramente più forte che mai, Luca e Brian sono bravissimi ed estremamente versatili. Bernardino, oltre ad essere un batterista granitico e groovy, è anche una persona splendida che ha portato una ventata di freschezza all’interno della band.

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LE INTERVISTE

TOMMASO Di Giulio di Alessandro Sgritta

E infine perché mi piace giocare con le lingue diverse all’interno di uno stesso brano (colpa di Battiato).

ph. Andrea Boccalini

Identikit: Tommaso Di Giulio, cantautore romano, lo scorso 30 aprile ha pubblicato il suo terzo disco “Lingue” (Leave Music), un lavoro intenso e maturo dal sound internazionale, tra pop, rock e canzone d’autore…

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iao Tommaso, a differenza del precedente lavoro arrangiato con Francesco Forni questo disco l’hai prodotto da solo? Ho letto che l’hai registrato in interplay come negli anni ’70… Sì, per quanto riguarda la produzione del disco ho scelto di occuparmene da solo,correndo il rischio di commettere errori visto quanto è importante un occhio esterno. Si tratta di un disco molto privato, nato da cose delicate e complesse che avevo bisogno di affrontare in maniera più diretta e meno mediata possibile. Il titolo “Lingue” viene dall’espressione inglese “Speaking in Tongues” che indica la “glossolalia”, cioè il parlare in altre lingue, termine già usato dai Talking Heads, perché hai scelto questo titolo? Nel disco ho scelto di parlare anche di un tema come la malattia mentale, che in alcuni casi ti impedisce di comunicare utilizzando i soliti codici linguistici che tutti abbiamo a disposizione. Quindi si chiama “Lingue” per sintetizzare il bisogno di sviluppare nuovi modi di comunicare, più ancestrali e fisici, a volte. Poi si chiama così anche perché si parla tanto di sesso.

“Canzone per S.” e “Piangi pure” sembrano dedicate a tuo padre, canti di “infermiere con il mitra…terzo piano in purgatorio…”, so che l’intero disco è dedicato a lui, ce ne vuoi parlare? Mio padre è sempre stato in prima fila a tutti i miei concerti finché non si è ammalato di una di quelle cose brutte ed aggressive che ti rendono velocemente incapace di fare tutto quello che potevi fare prima, in primis esprimerti, comunicare e sperimentare le emozioni nello stesso modo in cui si faceva prima. Sono stati anni dolorosi e difficili, in cui ho combattuto contro le istituzioni ogni singolo giorno (rinunciando a lavorare, a suonare, a fare tante cose) fino a che la situazione non si è, diciamo, stabilizzata. Questa esperienza mi ha portato a cambiare profondamente come essere umano prima che musicista e le canzoni non potevano che risentirne. “Da lontano” vede la partecipazione di Yuman come ospite nel disco, di chi si tratta? Yuman è una giovane promessa della musica internazionale… Ne sentirete presto parlare. Spero un giorno, quando farà i sold out, di ricevere un plauso per aver inserito un featuring “non promozionale” nel disco. Il ritornello in inglese lo vedo un po’ come una “battiatata” (Running against the grain etc…) ed è pensato come un archetipo (le grandi canzoni statunitensi sul viaggio, ad esempio) che fa da contraltare alle invettive sull’Italia che ho inserito nelle strofe. “Quello nello specchio” che chiude il disco sei tu? Parli di una “legge per lasciare il letto sfatto”, sembra autobiografica… Ehhh chi lo sa? Comunque, per quanto riguarda il letto: odio rifarlo (o meglio, non sono mica tanto capace) e ricorro alla mossa “tira su il piumone e tanti saluti”.

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Redazionale

DADDi Via le maschere!

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l mio soprannome nasce da un mio problema di dislessia, da bambino io non ero Davide, ma DADDi. Sono cresciuto nella periferia romana del Quadraro, ho vissuto tante esperienze negative fin dall’infanzia e l’unica cosa che riusciva a tenermi lontano dai guai era la musica, anche se non sempre vinceva lei perché spesso l’ambiente ci influenza più di quanto vogliamo e, soprattutto da giovanissimi, siamo molto malleabili. Nella vita gli sbagli che ho fatto li ho pagati tutti e grazie al lavoro di informatico, alla mia famiglia e naturalmente alla musica – che ho riscoperto da tre/quattro anni - ora sto bene. La periferia è sempre molto presente nei miei testi. La strada per me è stata un po’ mamma e un po’ papà; mi ha insegnato delle regole, mi ha insegnato a saper contare su di me. In “Uomini di mare”, il mio primo singolo di questo nuovo corso, ho scritto quello che vedo e che spesso odio. Ho studiato l’attualità del rap e l’ho portata nel contesto della società odierna deviata, fastidiosa e freneticamente invivibile. L’unica soluzione per vivere bene in questo mondo è fare il proprio nel miglior modo possibile, stare lontano dai falsi miti che spesso ci vengono mostrati dalle tv o dai social network. Nella vita per realizzarsi c’è bisogno di lavorare duro, di darsi da fare h24. Quello che manca oggi è la voglia di essere sé stessi e contare solo sui propri mezzi. Nel mio secondo singolo “Maschere” parlo proprio delle maschere che, finalmente, ho buttato. Nella vita ho indossato travestimenti perché mi vergognavo da dove venivo o mi vergognavo di sedere al tavolo con determinate persone e per questo ho dovuto inventarmi un personaggio. Ora voglio essere me stesso e basta, con i miei sentimenti autentici. Ho deciso di star bene insomma. Alla musica voglio dare il mio grazie anche a dei professionisti come Daniele Vit che mi supportano e sopportano e allo studio. Ho tanto da dire e tanto da chiarire con me stesso. Il disco nuovo sarà una rinascita che arriva dopo “DADDi vs Everybody”, il disco che racchiudeva la mia rabbia contro tutti coloro i quali mi hanno etichettato e sbattuto la porta in faccia quando ero in difficoltà. Col nuovo lavoro ho alzato l’asticella per captare un cambiamento – il mio e di una società corrotta - ho deciso di affidarmi a dei musicisti che cucissero sui miei brani il vestito più adatto. Sarà un disco un po’ egoista, ma che segue la mia idea di verità a tutti i costi. Dal punto di vista dei suoni sarà un rap più pop, che poggerà su basi old school e chillout molto fresche. Un bel lavoro, “fidateve!”

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Redazionale

ETERNAL CIT Y BREWING Il birrificio romano!

idea di ancorare fortemente il nostro birrificio al territorio nasce L’ dall’approccio che hanno in Nord Europa di legare i nomi dei birrifici alla città dove risiedono, creando un legame comunicativo e personale con le

persone che li frequentano. Su Roma questa cosa mancava; la Capitale è la città che vanta il maggior consumo di birre artigianali in Italia, eppure non aveva neppure un birrificio all’interno del GRA. In più anche noi “ideatori” siamo personalmente parecchio legati alla città e a tutto ciò che rappresenta e ha rappresentato. Attraverso l’etichetta, nella nostra sala degustazioni (TAP room), vengono raccontate delle storie. Al momento abbiamo più di una decina di tipologie di birra, poi alcune sono one shot, quindi vengono fatte per occasioni speciali, oppure stagionali, quindi le trovi solo in un determinato periodo dell’anno. Che birra consiglierei ad un musicista? Due risposte: la prima è la BULLA una birra a bassa gradazione, una ENGLISH PALE ALE 4%, che ti permette di stare lucido e suonare decentemente; se invece si vogliono fare prestazioni super, meglio una IPA da almeno 6%, da noi una LUPA o una A OVEST DI ROMA. A proposito di birra e musica, da metà giugno all’interno dei nostri spazi faremo musica dal vivo con l’intenzione di legare il marchio ECB con tutto ciò che a Roma fa scena, anche e soprattutto quella musicale. L’unione birra romana e musica romana, sono certo, sarà esplosiva!

Via del ponte pisano, 84. 00148 ROMA eternalcitybrewing@gmail.com tel: 06 9978 0720 - 338 15 19 587 - 338 42 33 196 41


LUOGHI DI CULTO

a cura di Francesco Nuccitelli

La RCA a via Tiburtina KM 12

La storia dello stabilimento della RCA di via Tiburtina a Roma

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a RCA in Italia nacque grazie all’intervento del Papa Pio XII per ripristinare e dare nuova linfa al quartiere di San Lorenzo, una delle zone distrutte dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. La casa madre americana accolse positivamente la richiesta del Papa e così diede vita ad una delle più grandi etichette discografiche della storia italiana. All’inizio degli anni '50 venne costruita la sede in via Tiburtina al KM 12 (e non a San Lorenzo) e divenne in poco tempo il centro musicale italiano, in principio per la sola distribuzione e in seguito per la produzione di tantissimi artisti nostrani. La grande stagione inizia con delle innovazioni importanti e le grandi intuizioni di Mellis, Greco e Micocci. Una su tutte, lo stabilimento, che divenne una vera e propria “città culturale”, un

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punto d’incontro per autori, cantanti, personaggi dello spettacolo e giornalisti. L’obiettivo di Mellis, fu quello di perseguire il modello standard di produzione americano per i dischi italiani. Compressori e nastri multitraccia furono solo alcune delle grandi innovazioni. Anche lo stabilimento negli anni venne “rinnovato”, con l’aggiunta di tutte quelle stanze utili per l’intero processo produttivo. Tra anni gli anni ’60 e i ‘70 la RCA è padrona del mercato discografico italiano e in questi anni, vengono messi sotto contratto una lunga schiera di interpreti, cantautori e musicisti emergenti: Luis Bacalov, Ennio Morricone, Nico Fidenco che con la sua celebre “Legata a un granello di sabbia” realizza il primo 45 giri in grado di superare il milione di copie vendute in Italia e ancora Morandi, Pavone, Venditti, De Gregori, Dalla e molti altri. Tante furono anche le canzoni divenute storiche come: Il mondo, 4/3/1943, Pablo ecc. Tuttavia, dopo aver raggiunto l’apice, la RCA iniziò ad avere i primi problemi e l’avvento degli anni 80’ segnò il lento declino degli stabilimenti di Roma. Declino che oggi ha portato gli stabilimenti a diventare semplici magazzini senza memoria.

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I PROFESSIONISTI DEL SETTORE

...E tu, ci credi agli asini che volano? Intervista ad Igor La Fontana di Valeria De Medio

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gor La Fontana si, lui ci ha sempre creduto e oggi L’Asino Che Vola è il risto-cultural-live tra i più interessanti della capitale. Perfettamente mimetizzato nel tessuto urbano di San Giovanni, l’ingresso è il portale su una dimensione che trasuda arte fin dalle pareti, tappezzate di fotografie e dipinti d’autore. L’estro attraversa anche i tavoli sparsi sui ballatoi laterali, veri e propri quadri da smontare e portare a casa, dopo una cena a base di prodotti biologici e dopo aver assistito a uno dei tantissimi concerti o spettacoli teatrali in programma.

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Ciao Igor, nel blob di nomi monosillabi, futuristici ed esotici che invadono le notti romane, L’Asino che Vola si distingue: provocazione? Solitamente si dice che chi crede agli asini che volano sia un credulone, ma per me è soprattutto chi riesce a sognare quello che tutti credono impossibile, che ha fiducia in qualcosa oltre ogni legge della natura. E’ il motto dell’artista, è il nostro. Da cosa è nato l’Asino? Sono cresciuto in una famiglia in cui si ascoltava tanta musica ed era sempre festa, i bicchieri erano sempre pieni di vino e si cantava tanto. Vent’anni fa, quando io e mio fratello Piero ci siamo trasferiti da Sibari a Roma, sognavamo di ricreare uno spazio simile, per dare l’opportunità, a chi volesse, di esprimersi e per offrire agli artisti l’opportunità di rendere pubblica la loro passione. Abbiamo iniziato in un garage, poi il giro di amicizie si è allargato, è nato L’Asino e, dopo qualche anno a Monti, siamo cresciuti e siamo volati a San Giovanni.

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I PROFESSIONISTI DEL SETTORE

ph. Matteo Nardone

Chi sono i muscoli dell’Asino? Ho la fortuna di avere un fratello dinamico e professionale, lui si occupa della logistica, io delle relazioni pubbliche e della direzione artistica, diamo la spinta e la rotta al locale. Nel tempo si è creato un bel gruppo di amici, ognuno con un’esperienza di vita e professionale diversa, chi nel teatro, chi nella comunicazione e, soprattutto, nella musica e posso dire che L’Asino è il risultato della perfetta sinergia di tutte queste forze. L’Asino che vola è uno dei pochi locali a Roma ad aver accolto la sfida della musica originale… Abbiamo un orecchio di riguardo per il cantautorato: programmiamo concerti tutte le sere e, da tre anni ormai, organizziamo il “Premio Incanto”, un contest a premi al quale hanno partecipato anche ragazzi che si stanno facendo adesso strada sulla scena italiana, ad esempio Mirkoeilcane. Preferiamo la musica originale, ma il sabato sera gli stessi professionisti che suonano qui durante la settimana, partecipano al sabato di svago, una serata in cui si scravat-

tano e portano sul palco il revival. …e non mancano i big dello spettacolo… E’ capitato più volte di ospitare grandi nomi dello spettacolo, sempre entusiasti di venire, qui si sentono come fossero agli inizi di carriera, si sentono a casa, coinvolgono il pubblico e altri artisti ed è spesso capitato che nascessero collaborazioni professionali proprio sul nostro palco. E noi troviamo molto più gratificante sapere che un artista si sia divertito, piuttosto che fare numero creando l’eventone. All’ Asino ci si può godere un aperitivo o anche cenare. Come definiresti la vostra cucina? Mi piace chiamarla cucina meridionale, più che mediterranea: ricette e materie prime sono quelle che mi porto dietro da bambino, appartengono ai territori da Roma in giu, soprattutto Puglia, Calabria, Abruzzo e Marche. Anche la nostra cantina è orientata al centro sud, con un’attenzione particolare ai vini di piccoli produttori, tutti difficilmente reperibili in commercio.

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DANCE MUSIC

N O I T A R E N E G

Laurent Garnier inizia a produrre musica mentre gli altri bambini della sua età arrossiscono per una cotta. Tredici, al massimo quattordici anni e una carriera ancora oggi effervescente ed attiva: da ricordare l’esperienza al “The Haçienda”, ufficialmente Fac 51 Haçienda, uno dei club più famosi ed importanti al mondo negli anni ’90.

J'S B EST D

T N E R U A L ER

GARNI

a cura di Carlo Ferraioli

Ritmo, eleganza, velocita e cambiamento: Laurent Garnier, riferimento a tutto questo

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dattarsi non è sinonimo di incoerenza, ma di intelligenza, sopravvivenza quasi se mi è concesso il termine. Adattarsi ma rimanere tali, che si tratti di “Shot In The Dark” (1994), “Planet House” (2004), “Tales Of A Kleptomaniac” (2009) o Crispy Bacon, giusto per far riferimento ad uno degli ultimi pezzi di un genio senza tempo. Laurent Garnier, francese classe ’66, cinquantadue anni lo scorso febbraio, e tanto da raccontare, perché quando la storia è troppa, sì, contenibile solo forse in un testo redatto ad hoc, vuol dire che la fama è grande. Non ci stai così quarant’anni dietro una console, senza amore e passione per ciò che componi, ma che soprattutto trasmetti. Questo ha saputo fare uno dei massimi esponenti, alla pari di altri trattati fra le pagine di Generation (vedi Dave Clarke), del clubbing mondiale e della scena elettronica dalla seconda metà degli anni ottanta ad oggi. Questo ha saputo fare un campione che stupisce e produce, per usare un termine solo ancora moderno: in realtà potremmo parlare di creazioni, il che restituirebbe al momento stesso della nascita quel giusto ed indispensabile tocco di magia. E allora Di46

manche (feat. Bertrand Belin), ultimissimo singolo datato 2 febbraio 2018, il giorno dopo il suo compleanno; domenica, aria fresca e corde tese, climax ascendente, cadenzato da rintocchi precisi, mai banali, e da una certa aria di chi ne sa qualcosa in più. La storia resta, dicevamo in apertura, ma non tutti gli artisti ahinoi spesso hanno la stessa sorte della storia che li accompagna, perché essere ricordati non è sicuramente un vanto, andiamo oltre: è un fatto, certo un bel fatto, che righe di riconoscimento come queste rendono atto, danno senso, producono significato. Ed è proprio questo il compito della letteratura, ma in generale della scrittura: quello di elevare o abbassare, sicuramente giudicare più che analizzare. Laurent Garnier si giudica da solo, credetemi, da Boulogne sur Seine, luogo natio, a Manchester, dove divenne in poco tempo resident per l'Haçienda, passando per la F-Communications, sua label in Francia. Uno stile sempre accorto al dettaglio e alla minuzia. Percussioni africane, suoni organici, strumentazioni, l’interesse per il jazz e l’eleganza, ebbene sì, ancora lei. La delicatezza, la crescita e la saggezza stilistica: au revoir, Laurent, chapeau!

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Benvenuti in Audio Random, IL NUOVO PORTALE DI AUDIO TECNICA A ROMA. Brevi pillole per farvi scoprire le basi per la produzione e la registrazione di musica, curando gli aspetti tecnici delle strumentazioni usate dai produttori e dagli artisti, focalizzandoci sui software e i suoi tips & tricks dei programmi più gettonati come Ableton Live & Logic Pro, facendovi scoprire e risolvere in pochi passi le operazioni più complesse.

La Control Room della regia Audio a cura di Gianluca Meloni

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n questo momento dove l’era digitale è in continuo sviluppo, è diventato indispensabile avere una Control Room per poter monitorare tutti i nostri segnali in entrata e controllare più tipi di ascolti in uscita, ma abbiamo anche funzioni di Talkback e Dimmer per l’attenuazione del volume, il mono per controllare le fasi del nostro mix. Ne esistono per tutte le tasche, anche se un buon Control Room analogico si colloca in una fascia media di spesa (700€ ), oggi per elencarvi le funzioni più’ significative abbiamo nel nostro numero di Audiorandom il nuovo Control Room di casa Arrel Audio di Livio Argentini

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e Marco Re, che essendo per definizione un prodotto di alto livello con le giuste entrate ed uscite, si presenta semplice ed intuitivo. Intanto facciamoci una domanda, che cosa dovrebbe avere una giusta Control Room ? 2/3 uscite per vari tipici ascolti, 3/4 segnali di ingresso, talkback, dimmer per l’attenuazione del volume, il mono ed i mute dei canali L-R. Per prima cosa osserviamo le uscite per monitorare i vari ascolti, di solito il numero perfetto è 3 anche se ce ne sono alcuni con molte di più a secondo delle esigenze, ma il primo impianto di

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AUDIOTECNICA

diffusione della nostra regia potrebbe essere il classico “Nearfield” un diffusore a campo ravvicinato, come le famose NS10 Yamaha o altri Nearfiled che sono un po’ più’ generosi come FOCAL, GENELC, ADAM ECC…

MIX, cioè l’uscita della vostra scheda audio (1/2) verrà collegata con il Mix della control room, così’ possiamo tenere a 0 DB la nostra scheda audio ed attenuare o incrementare il volume dall’apposito potenziometro del Contro Room, in questo caso il potenziometro del nuovo ST-502 MONITOR SYSTEM ha un impedenza di 10 khom ed un livello di ingresso di +4 db con un massimo di +30 db, insomma un bel giocattolino. Il secondo ingresso è dedicato al Dac, vediamo che significa.

Il secondo ascolto lo possiamo dedicare al Midfield un monitor di dimensioni più’ grandi sempre che ci troviamo in una stanza di dimensioni adeguate. Questo serve per dare potenza al nostro mix e valutare le frequenze basse che arrivano sotto i 40HZ, il terzo ascolto potremmo dedicarlo a delle casse più’ piccole, come le Auratone o le più moderne Avantone che ci permettono di verificare i piani sonori e tutti i singoli strumenti che potrebbero essere o troppo fuori, o troppo nascosto nel mix.

in un Home recording tradizionale, per registrare, si effettuerebbe il Bounce o l’Export come preferite, e quindi rimaniamo nel dominio digitale della nostra catena audio che abbiamo fatto dalla nostra Daw, ma se uscite per esempio da out 3/4 ed andate in un Outboard esterno, o in una catena di outboard esterni, come compressore eq e limiter le uscite del vostro limiter andranno in un convertitore esterno 2 canali come rosetta 200 , a quel punto l’uscita digitale verrà cablata all’ingesso della vostra scheda audio e l’uscita analogica al vostro Control Room (Dac) in questo modo potete monitorare saltando dal bottone Mix al Bottone Dac i due segnali che sono uno il mix originale e quello del Dac il processato, la velocità di swich fra un bottone e l’altro vi farà capire in maniera più’ precisa cosa state alterando del vostro mix, magari non sempre migliora può’ anche peggiorare, con questa modalità avrete sempre il vostro suono processato sotto controllo. Il terzo ingresso è un AUX che vi permette di monitorare qualsiasi segnale esterno che volete assegnare, come un telefonino un cd un mixer con i vostri strumenti.

In tutto questo, lo swich che facciamo ascoltando il mix fra un diffusore e l’altro, ci permette di prendere delle decisioni più adeguate per modificare volumi equalizzazioni e compressioni, per rendere il missaggio sempre più omogeneo ed intellegibile. Ora andiamo a monitorare gli ingressi, il primo sarà il

Il Control Room è uno strumento essenziale in qualsiasi studio, dall’Home Recording ai grandi studi di registrazione, i passaggi che abbiamo appena visto delineano delle tecniche che il Sound Engineer mette a frutto sia per andare più veloce nello svolgimento che più’ preciso nel missaggio o mastering. Non resta che aquistarne uno e provare. Rimanete connessi al prossimo Audiorandom All the best!!!

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MUSIC SHOP

La c u ra d e l l ' asc o l to di Carlo Ferraioli

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sibirsi è importante, anzi, importantissimo oltre che emozionante: ma anche produrre, oserei dire soprattutto, gioca un ruolo chiave nel raggiungere traguardi musicali più o meno ambiziosi. Senza scomodare i grandissimi, le divinità della scena passata ed attuale, vorremmo provare questa volta ad analizzare tecnicamente un argomento (qualche volta) forse ancora troppo poco dibattuto, e che per questo ha attizzato la nostra curiosità a tirarlo fuori per generare attorno ad esso una riflessione tecnica adeguata, oltre che per smerciare qualche piccolo consiglio, al volo. Primo punto. E’ intelligente capire che non tutti hanno la stessa percezione dei suoni e delle frequenze; anzi, può capitare che addirittura la stessa persona possa carpire una melodia in un modo dall’orecchio sinistro e in un altro da quello destro: relativismo puro. Ciononostante, monitor da studio, ossia casse, di fascia alta o semi alta, quali ad esempio Genelec, Focal, Adam, accompagnati sempre e comunque da un ambiente quanto più possibile “pulito” in termini di trattamento acustico – che non vuole dire solo insonorizzare – dovrebbero evitare certamente risonanze, fasi e contro fasi, tutte derivanti dalle rifrazioni sonore all’interno del luogo adibito. Altra cosa. E’ fondamentale capire prima quanto si è disposti ad investire, almeno inizialmente, per

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fornirsi di ciò che occorre: anche nel caso in cui non si abbiano a disposizione grosse cifre, a buon mercato si troveranno ottimi dispositivi di riproduzione del suono, non c’è dubbio. Il dubbio sta nel capire cosa occorre al vostro spazio, in base alla situazione acustica in cui “versa” e a quant’è ampio. Quindi, anche in questo caso, è molto re-

lativo. La legge del triangolo equilatero indicherebbe una distanza proprio equa fra l’autore e i due monitor, anzi giusto un po’ più spostata in avanti... diciamo che è molto ad orecchio e dopo un po’ ci si fa l’abitudine a capire come dislocare il tutto nel proprio luogo, per renderlo conforme alle nostre idee. Ultimo consiglio. E’ necessario prestare attenzione in fase di acquisto, in che senso: dell’argomento si fa sempre un parlare poco articolare attorno a certezze, e più a sentito dire. Niente di più sbagliato, massima attenzione a ciò che realmente vi occorre in fase di acquisto, perché quella lì (anche se non pare) è forse la più decisiva. Buona musica!

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REDAZIONALE

E' tempo di restauro strutturale in casa del "Circolo Andrea Doria".

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iunti ormai al nono anno di vita, quel locus amoenus che sorge lungo via del Baiardo si appresta a vestirsi di un nuovo abito, sia per quanto riguarda gli attori che la scenografia.

I padroni di casa del REBEL REBEL continueranno a vestire il ruolo della maitresse, affiancati da quest’anno dalla crew romana del Goa Club, in un sodalizio siglato questo inverno e che si consoliderà l’estate prossima. Il sabato dell’estate romana dunque continuerà ad essere caratterizzato da sonorità techno ed house. Ospiti internazionali, ormai diventati amici, torneranno ad animare le sponde del Tevere: Âme, Ryan Elliott e Matthias Tanzmann sono solo alcuni dei nomi che l’estate romana dell’Andrea Doria porterà in dote. 52

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Allo stesso modo, anche il locale sarà protagonista di alcuni cambiamenti strutturali, di cui già abbiamo avuto un assaggio l’anno scorso: uno spazio più curato e vivibile, che restituirà ai fedeli ospiti un’esperienza musicale che vada al di là dei semplici beat. In altre parole, un luogo che potremo chiamare casa, dipinto con quei colori caldi propri di ogni paesaggio incantato.

anni ormai aspetta insieme al suo pubblico il treno delle sei. Un’artista amatissima dal dancefloor e affezionatissima a quello stesso dancefloor, orgoglio italiano nel mondo.

I venerdì saranno invece affidati ad altre realtà romane: l’obiettivo è quello di dar vita ad un luogo che possa diventare una seconda casa per tutti - da chi ama la l’elettronica più commerciale fino a chi con dolce nostalgia vuole rivivere la storia della house music, passando per quegli intenditori che sono sempre alla ricerca di quel che sarà. Non vogliamo anticiparvi di più: sarà una stagione ricca di sorprese e si sa, l’attesa aumenta il desiderio. Nel frattempo, l’appuntamento è per il primo giugno in quel di Via del Baiardo, 26: ospite una delle artiste italiane più conosciute al mondo, quella Carola Pisaturo che da

GARRISON DI AMICI

Gli eventi da non perdere

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a passione per la danza arriva a Formello con il famoso coreografo televisivo attualmente impegnato nella trasmissione “Amici”. Il Centro Dimensione Danza, dal 1999 si propone di continuare a coniugare programmi didattico–formativi a risultati di alto profilo artistico–professionale con l’attenzione sempre rivolta alla danza come “Arte”. Accanto ad una ormai consolidata tradizione nella formazione professionale, l’associazione continua a migliorare e diversificare le consuete attività, tutte guidate da insegnanti di chiara fama e professionalità, rivolte sia ad un pubblico di bambini/adolescenti che ad adulti desiderosi di coltivare la forma fisico/mentale non trascurando l’aspetto aggregativo e sociale. Il 25 Maggio grande tensione tra le allieve che sosterranno gli E.V.A. Esami di Valutazione Annuale, sia teorici che pratici. La commissione, composta oltre che dagli stessi insegnanti dei corsi, sara’ presieduta da un ospite di eccezione : Garrison Rochelle, ballerino, docente e coreografo di fama internazionale, presente nel cast del programma televisivo Amici di Maria De Filippi da ormai 18 anni. A Giugno, Saggio Tecnico di fine anno presso il Teatro della stessa sede, con il Patrocinio del Comune di Formello – Assessorato alla Cultura e Opes Italia. Gli ammirevoli e numerosi traguardi raggiunti, fanno del Centro Dimensione Danza un punto di riferimento per chi vuole affrontare professionalmente il meraviglioso mondo della danza, dando ampio spazio anche a coloro che si avvicinano per il semplice desiderio di provare e divertirsi facendo comunque movimento. Tutti i corsi sono tenuti da insegnanti altamente qualificati dal Ministero della Pubblica Istruzione e dall’ISEF N°8 MAGGIO - GIUGNO 2018 / #MUSICAZEROKM / WWW.MZKNEWS.COM

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ROMA EVENTI

ANNUNCIATI I PRIMI FESTIVAL DELLA CAPITALE Le chiacchiere stanno a zero. Quest'anno non avrete scuse per rimanere a casa e farvi parlar dietro A cura di Manuel Saad

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’Auditorium Parco della Musica si colorerà con la luce emessa dai nomi che compongono un programma musicale vasto, internazionale e potente, offrendo oltre 40 concerti. Le danze verranno aperte con gli Arctic Monkeys il 26 maggio. Si procederà poi con Noel Gallagher, Patti Smith, Ringo Starr, Jethro Tull e molti altri artisti di spessore.

A dettare legge saranno il rock, il jazz, l’alternative, il pop ed il funk: tutti figli di quella madre chiamata Musica. Stesse leggi che troveremo nella decima edizione di Rock in Roma la quale si terrà tra giugno e luglio all’Ippodromo di Capannelle e al Circo Massimo con Roger Waters, Jeff Beck, Cigarette After Sex, Post Malone, Caparezza, Macklemore ed altre icone della musica mondiale. Chi vorrà, potrà scatenarsi nei mesi più caldi della capitale, diventando parte integrante di uno show che sarà sicuramente elettricità allo stato puro. Come ad ogni Spring Attitude che si rispetti, gli amanti della musica elettronica potranno godere di vari artisti attivi sulla scena. “Pollination”, infatti, prenderà forma tra l’Ex Dogana, a Scalo San Lorenzo, e Largo Venue, al Pigneto il 5, il 12 ed il 26 di maggio. Floating Points, Alex Augier, Not Waving, Siriusmo ed altri, soddisferanno senz’altro la sete di vibrazioni e suoni elettronici del pubblico, mentre per l’ultima serata, si è deciso di prendere una direzione diversa, accogliendo il rap di Coma Cose, Frenetik & Orange ed il collettivo Love Gang. Villa Ada Incontra il Mondo ha annunciato i primi tre gruppi che saranno presenti nel loro spazio musicale. A luglio, i Gogol Bordello, New York Ska Jazz Ensemble e Godspeed you! Black Emperor, riusciranno ad unire il pubblico facendolo ballare e volteggiare in una dimensione più leggera di quella a cui siamo abituati. Il teatro dell’opera di Roma, tornerà nel periodo tra il 3 luglio e il 4 agosto a Caracalla. Un mese ricco di serate dedicate alla grande lirica e alla danza che porteranno la qualità in uno scenario magico e suggestivo contornato dalla maestosità della storia di questa città. L'offerta proposta e' allettante, mirata a soddisfare le esigenze piu' diverse.

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FOCUS

Il lavoro della musica a Roma

“Non andar via, cambierò...” di Francesco Cugia

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egli ultimi decenni, con le dovute eccezioni, noi italiani non abbiamo spiccato come promotori dell’arte in generale e ad un uomo, che dedica la propria vita a questo campo, l’aria manca sempre di più. Il problema pratico al quale mi riferisco è la remunerazione: un professionista non può vivere di rimborsi spese o poco più. Strano doverlo ricordare, ma la musica a certi livelli è un lavoro e va rispettato come tale, anche dal gestore che decide di arricchire il proprio locale con serate di “live”. Spesso il “localaro” di Roma è molto più un imprenditore che un cultore della musica e quindi cercherà di aumentare i profitti della sua impresa sfruttando la tua performance musicale: “Ragazzo, per te ho una bella banconota da cinquanta euro da parte, ma se preferisci, te la posso dare sotto forma di consumazioni! Mi chiedevo poi: quanta gente pensi di portarmi?”. La serata finisce con te che devi dare venti euro in più a lui perché, per l’ansia e l’emozione, hai bevuto più del dovuto. Lui fa i suoi interessi, ma a tuo discapito. Naturalmente, per fortuna, le eccezioni ci sono. Un artista non emigra perché non ci sono spazi per suonare, ma per come viene trattato in patria. Sono molti i musicisti che sono costretti ad andarsene dalla

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Capitale. Non mi riferisco ai ragazzi che partono per fare esperienze all’estero, ma ai compositori, violinisti, cantanti o suonatori di triangolo che, per necessità lavorative, si trasferiscono altrove. Dal punto di vista umano, questa mancanza culturale non deriva dalla conoscenza o dal livello di interesse nei confronti della musica, ma dallo scarso coinvolgimento, dall’atmosfera di imbarazzo che c’è spesso tra il pubblico, specialmente se ristretto. Non siamo abbastanza educati. “Siamo” perché nel gioco delle parti, sia il “localaro” che il musicista, che l’appassionato hanno tutti delle responsabilità. Per amore della musica e del suo movimento chiederei ai gestori dei locali di promuovere la musica, di rispettarla, di goderne i benefici e magari di prediligere l’originalità. Agli appassionati, alle persone che vanno ad ascoltare performance live consiglierei di andare a cercare ragazzi emergenti che mettono il cuore in quello che fanno. Al musicista non vorrei dir nulla, perché in realtà è la vittima di tutto questo, però non scoraggiarti se ogni tanto pensi che non venga riconosciuto abbastanza il tuo lavoro, è strano credere che una persona possa guadagnare con la propria passione. Sì ok, ma fatti pagare.

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MUSICA A TRATTI

ILLUSTRAZIONI GRAFICHE DI CHIARA ZACCAGNINO

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EVENTI ROMA

Outdoor Festival 2018 Quest’anno al Mattatoio Testaccio dal 14 aprile al 12 maggio, il tema è quello del patrimonio (Heritage), per celebrare l’anno Europeo del Patrimonio Culturale.

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l 25 aprile ho avuto l’opportunità di assistere a “Move The Museum”: un format interattivo di narrazione sonora e musicale, costruito site specific per la valorizzazione di esposizioni artistiche e di strutture museali.

Il visitatore, ritirate le cuffie Wi-Fi, aveva la possibilità di ascoltare 3 percorsi audio con i suoni metropolitani, che aiutavano a contestualizzare l’opera d’arte o con le canzoni che avevano ispirato l’artista nella creazione. Francesco Dobrovich, fondatore di nufactory e organizzatore di Outdoor Festival, ci aiuta a capire meglio il valore che ha Outdoor per la città e come la kermesse è

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cambiata negli anni. “Outdoor Festival ad oggi è il primo evento di cultura metropolitana in Italia, l’unico ad aver fatto network nella fruizione di contenuti artistici, dando valore alle sue espressioni che provengono dalla città e dalla strada: musica elettronica, break dance e graffiti art sono protagonisti delle esposizioni”. Quando ci siamo chiesti qual è l’obiettivo di Outdoor e qual è l’eredità che lascia agli eventi del futuro ci è stato detto: “Un nuovo modo di socializzare, Outdoor si propone come festival pluridisciplinare cercando di proporre qualcosa che dia modo alla gente di avere piacere nello stare insieme, con una proposta culturale che coinvolge un target totalmente trasversale. E come è evoluto negli anni? “È nato come festival di street art nel 2010 con l’obiettivo di caratterizzare un’area di Roma, all’epoca quindi creare uno street art district a Ostiense.” Outdoor ha continuato sempre verso il cambiamento e l’obiettivo è diventato “quello di riaprire luoghi e strutture inutilizzati da anni come la Dogana e la Caserma Guido Reni.” Cosa ci aspettiamo invece dall’Outdoor del futuro? “Un evento più strutturato, più conferenze e una sezione audiovisiva più forte con sempre più seguito e un pubblico più pronto”

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DIRITTO D'AUTORE

Diritto d'autore sulle canzoni dei Beatles Avv. Claudia Roggero & Valentina Mayer www.dandi.media

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a conosci la battaglia legale dei diritti d’autore sulle canzoni dei Beatles? Paul McCartney ha lottato duramente, ma poi ce l’ha fatta. Ha raggiunto un accordo con Sony/Atv. Ha riacquistato i diritti di 267 canzoni dei Beatles e di alcuni suoi singoli. Il contenuto dell’accordo è confidenziale. Tutto era iniziato con una causa legale intentata a New York. In base ad accordi preesistenti, nel 2018 McCartney sarebbe dovuto tornare a essere proprietario di diversi classici. Tra questi Love Me Do, All You Need Is Love e I Want to Hold Your Hand. Tutte firmate Lennon-McCartney, per un accordo tra i due, ma in realtà opera del secondo. La causa era stata intentata in via preventiva dopo diversi tentativi di avere la certezza del rispetto dell’accordo. McCartney aveva citato la Sony perché convinto di poter tornare in possesso dei diritti sul catalogo di canzoni dei Beatles. Lo stesso nel 1985 era stato acquistato da Michael Jackson come parte dei 47,5

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milioni di dollari del contratto con il quale entrò in possesso della ATV. Il Copyright Act degli Stati Uniti del 1976 ha, infatti, allungato i tempi della protezione assicurati agli autori. Ma, per quanti avessero depositato le loro opere prima del primo gennaio 1978, ha assicurato anche il diritto di tornarne in possesso dopo 56 anni. I legali di McCartney hanno stabilito che: “il termine della concessione può avere effetto in qualsiasi momento nei cinque anni successivi al termine dei 56 anni dall’inizio del copyright, o dal primo gennaio 1978, se posteriore”. N°8 MAGGIO - GIUGNO 2018 / #MUSICAZEROKM / WWW.MZKNEWS.COM

Restano sconosciuti i termini economici. Per McCartney si tratta oggettivamente di una vittoria. In una causa simile risoltasi lo scorso dicembre, i Duran Duran hanno infatti perso. Nel caso di McCartney, la scadenza del copyright per le prime canzoni scritte nei Beatles si profila per il 5 ottobre 2018, per le ultime la scadenza sarà nel 2026. La questione della proprietà del catalogo dei Fab Four prosegue da decenni. E’ difficile anche semplicemente ricordarne le tappe. Riportiamo solo l’ultima, che risale al 2016: la Sony acquista tutto il 50 per


DIRITTO D'AUTORE

cento di proprietà degli eredi di Jackson per 750 milioni di dollari. La Sony diventa la sola proprietaria del catalogo di canzoni Lennon-McCartney e di altre 750 mila canzoni. Il 15 dicembre del 2015 Paul McCartney ha avanzato la richiesta, tramite i suoi legali, per la riacquisizione dei diritti delle canzoni dei Faboulus Four per mezzo di una legge statunitense. Tale legge, infatti, permetterebbe a McCartney di riappropriarsi della metà dei diritti sulle canzoni scritte, a quattro mani, con John Lennon. Stiamo parlando di una legge del 1976, chiamata Copyright Act, in vigore solo negli States e per tanto limitata ai confini americani. Essa prevede che l’autore, o gli autori, possano reclamare i diritti sulle proprie opere dopo 56 anni dalla pubblicazione iniziale. La questione legale del repertorio mu-

sicale dei Beatles Come molti sanno, la questione dei diritti discografici del repertorio Beatles si protrae da molte decadi. Soprattutto perché, nella vicenda, si fece strada Michael Jackson. Nel 1985, Jackson acquistò i diritti sul repertorio musicale dei Beatles, dalla Associated Television Corporation (Atv). Quest’ultima, a sua volta, li aveva acquistati, nel 1969, dall’editore musicale Dick James e dal suo socio Charles Silver. I due editori, rifiutarono, negli anni Sessanta, l’offerta proposta da McCartney e Lennon, già intenzionati ad acquisire i diritti sulle proprie opere, concludendo poi l’accordo con la Atv Music all’oscuro dei due Beatles ed incassando 1,5 milioni di sterline. Recentemente la Sony Corporation ha dichiarato di aver acquisito il 50% di Sony/Atv, la casa editrice fondata da Michael Jack-

son con la partecipazione di Sony nel 1995. Nel catalogo della Sony/Atv erano difatti inclusi anche i fantomatici diritti del repertorio Beatles. Riappropriarsi dei diritti Il tentativo insomma è quello di appropriarsi in toto di questi ormai mitici diritti discografici, essendo scomparso Michael Jackson. Sembra che McCartney abbia preso la decisione di avvalersi della legge Copyright Act proprio in conseguenza di tale manovra finanziaria. La leggenda narra, infatti, che esistesse una sorta di accordo tra Michael Jackson e Paul McCartney, siglato nel 1981 quando i due collaborarono per la creazione del singolo Say Say Say, dove Jackson promise all’amico di adoperarsi nel tentativo di recuperare il repertorio Beatles, dopo aver saputo la lunga vicenda che ne ha decretato le sorti.

Tutta un’altra musica!

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FOCUS

SLIPPING SOUND La fusion nel jazz di Simone Lucidi

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l jazz è come una sommossa popolare che ti viene da dentro, quel canto stonato ma ritmico che alberga dentro ognuno di noi quando le difficoltà ci edificano un muro davanti. Questo genere affonda le proprie radici nei campi di cotone ed evidenzia il grigiore e la malinconia di una fantomatica prigione. Inizialmente aveva la sola voce come protagonista, era una melodia improvvisata; poi nei club o nei portici delle baracche, si è arricchita di pochi strumenti - tre, al massimo quattro: una batteria, un basso o un contrabbasso e una tromba o un trombone. Verso la fine degli anni sessanta però qualcuno ha avuto un’intuizione. Il jazz era ormai diventato nobile e non veniva più dal basso, dal popolo, si era affermato come genere colto e d’elite, utilizzava solo strumenti “classici” ma alle porte c’era l’elettronica che prometteva di “sporcare nuovamente” il jazz per renderlo fruibile a tutti. Non più solo improvvisazioni di virtuosi del genere, ma un vero e proprio ritorno ai colori. Ora la chitarra elettronica accompagna il sax e non più la tromba; il basso elettronico sostituisce il contrabbasso; la batteria - che abbracciava generi latini e avvolgeva il tutto - non scandisce più il tempo in modo maniacale, ma diventa padrona e protagonista; i piatti e le percussioni entrano a scombussolare lo standard verso una fusione, e le chitarre, piene di suoni nuovi grazie agli effetti - specialmente negli anni 80 - regnano nei deliri innamorati dei sax. Questo baccano, che strizza l’occhio al rock ed al blues, sprigiona la vera anima del jazz, la sua fusione: la collettività. La Fusion entra con prepotenza nel jazz dalla fine degli anni settanta - raggiungendo l’apice del suo successo, che scemerà alla fine degli 80/inizi 90. Molti jazzisti di grido arricchiscono il genere, facendo entrare nella sperimentazione della fusion artisti di altri mondi musicali. La figura chiave è quella del tournista, che si sdogana grazie al genere diventando una vera e propria figura professionale. Nascono grandi sodalizi di tournisti che danno vita ad album, che prendono spesso il nome dal musicista ideatore. Grazie a questo jazz melodico e meno improvvisato, che spaventa i puristi, il genere apre le porte alla mainstream, attirando l’orecchio dei giovani del tempo.

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La festa della musica 2 1 giugno 2018

di Simone Lucidi

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a Festa della Musica è stata ideata dal Ministero della Cultura francese ed è stata fondata il 21 giugno del 1982, quando il Ministro Jack Lang invitò i musicisti a suonare per le strade della città. Dal 1985, anno Europeo della Musica, questa festa si svolge in Europa e nel mondo. In Italia è promossa da Siae, Mibact e AIPFM. La Festa della Musica si basa su sette principi della carta di Budapest tra i quali: "La Festa della Musica si svolge, ogni anno, il 21 giugno, giorno del solstizio d'estate" e "La Festa della Musica è una celebrazione della musica dal vivo destinata a mettere in valore la molteplicità e la diversità delle pratiche musicali, per tutti i generi di musica". La cosa che rende più di tutti l'ideale della festa è la gratuità, la fruibilità della musica, quindi i concerti sono gratuiti per il pubblico. I tre promotori di questa festa Mibact, Siae e AIPFM si prefissano degli obiettivi per continuare a rinnovarla e renderla ancor più accessibile e diffusa. Il Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e

del turismo) vuole dare ai giovani la possibilità di celebrare ancor più la musica. Da questa edizione infatti, prima del Solstizio d’estate, ci sarà un'anteprima d’eccezione nella Capitale della Cultura. Il 17 Giugno a Pistoia (Capitale della Cultura 2017) sarà dunque dato spazio a centinaia di ragazze e di ragazzi provenienti da ogni parte d’Italia che si esibiranno in piazza, nei locali e nei luoghi della cultura. Anche la Siae punta molto sulle iniziative di musica live, un’opportunità insostituibile per autori e artisti di relazionarsi con il pubblico. Dal gennaio 2017 è partita l'iniziativa del "Mercoledì Live", con il patrocinio del MIBACT, rivolta ai proprietari che desiderano organizzare nel proprio locale un evento gratuito di musica dal vivo. AIPFM (l’Associazione italiana per la Promozione della Festa della Musica) è l'associazione che incarna l'anima della festa ed i suoi principi. Per adesso le città che hanno aderito alla Festa 2018 in Italia sono 387 e gli artisti sono 5193. Le iscrizioni si possono effettuare fino alle 23.59 del 19 giugno.

SIONE “LA PASRE NZA!” FA LA DIFFE

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LA LIFE E' BELLA

The Pink Floyd Exhibition:

Their Mortal Remains

La mostra e' in esposizione fino al 20 maggio al MACRO di Roma Celebrare un mito a 50 anni dalla sua nascita. Questo l’intento primario della mostra “The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains” in scena al MACRO, ideata da Storm Thorgerson e sviluppata da Aubrey “Po” Powell di Hipgnosis in collaborazione con Nick Mason. Obiettivo ampiamente raggiunto attraverso un viaggio audiovisivo eccezionale nella carriera di uno dei gruppi musicali più influenti della storia. di Alessio Boccali

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Pink Floyd per molti amanti della musica rappresentano una sorta di religione in cui credere, i cui profeti rispondono al nome di David Gilmour, Syd Barret, Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason, delle vere e proprie divinità da venerare. Ecco allora che, come se il tempo si potesse fermare e contemplare da vicino, in ogni sala viene raccontato un pezzo di carriera di questo fenomeno mondiale. In un viaggio immersivo tra note musicali e cimeli la clessidra degli anni viene sezionata ed analizzata in ogni sua peculiarità. Un racconto audiovisivo esauriente ed un allestimento colossale, che mostrano la centralità della band nell’immaginario non solo musicale, ma culturale a 360°, dagli anni Sessanta in poi. Rock psichedelico e progressivo che sembra venire da un altro pianeta e, oggi come allora, 64

ammalia ed inebria i pensieri dell’ascoltatore. Non solo musica, dicevamo però, perché i Pink Floyd hanno prodotto nel corso della loro cinquantennale carriera alcune delle immagini più significative della cultura popular: dalla mucca di “Atom Heart Mother” al prisma di “The Dark Side of the Moon”, dalle teste metalliche di “The Division Bell” fino al maiale rosa sopra la Battersea Power Station e ai “Marching Hammers. C’è davvero tutto questo tra i last remains citati nel titolo della mostra, le testimonianze di una carriera “spaziale” che ha lasciato il segno su una miriade di appassionati di musica. All’ombra del Colosseo, insomma, il pubblico è invitato alla lettura di una pagina importantissima nella storia della musica mondiale. Un monumento culturale da conoscere assolutamente.

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La qualitĂ di Shinto, ovunque tu sia.


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