AltreStorie n. 36

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Editoriale

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, contiene, fra i trenta articoli dei quali è composta, anche un riferimento al matrimonio. In particolare l’articolo 16 prevede quanto segue: 1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. 2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato. Tre commi, dunque, che riconoscono all’unione di uomini e donne un ruolo centrale, se non addirittura fondativo di qualsiasi più ampia aggregazione sociale umana. Ciò nonostante si moltiplicano i segnali di una profonda crisi, almeno nel mondo occidentale, di questa istituzione così come si è andata configurandosi nei secoli e la necessità di ripensarla sulla base delle trasformazioni che hanno investito la società contemporanea. È un cambiamento che ancor prima del vincolo matrimoniale ha investito e continua a interessare la concezione stessa di famiglia e la teorizzazione della sua struttura. Il modello tradizionale incentrato alla base sull’unione di un

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uomo e una donna non sembra più compatibile con l’emergere di una crescente tolleranza nei confronti della libertà sessuale e dell’autonomia individuale, che alimenta comportamenti di rifiuto nei confronti di vincoli, obblighi e formalità. È aumentato così il numero dei cosiddetti single e delle coppie conviventi (in Italia solo sei coppie su dieci decidono oramai di sposarsi, e solo il 60% delle convivenze approdano successivamente al matrimonio), in un quadro complessivo che registra comunque una drastica riduzione della durata delle relazioni e un altrettanto vertiginoso aumento delle separazioni e dei divorzi. Insomma sembra che siano sempre meno coloro in grado o decisi a mantenere la promessa di unione “fino a che morte non vi separi” pronunciata al momento della celebrazione religiosa o civile del rito. Negli Stati Uniti ben il 70% delle unioni termina con un divorzio, mentre in Italia, di media, pur con le opportune diversificazioni regionali, si arriva all’udienza di separazione davanti al Giudice in trecento casi ogni mille matrimoni celebrati. Il Piemonte con la Valle d’Aosta è la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni). In questo numero di Altrestorie, si cercherà di offrire, attraverso il consueto sguardo interdisciplinare, una sintetica panoramica dei principali elementi che contribuiscono a comporre questo complesso quadro (rt).


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