Ski-alper 87

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In OMAGGIO

FUORI DAL TEMPO

UP&DOWN

Il magazine delle gare di ski-alp e trail running

IN ARMENIA PER SCOPRIRE L'ESSENZA DELLO SCIALPINISMO DI RICERCA

MATERIALI

ANTEPRIMA 2014 La Sportiva Stratos Cube Dynafit TLT6 Movement Fish-X Gold

87

DOLOMITI D'OLTRE PIAVE > Un'oasi di silenzio per lo ski-alp HALL OF FAME > Toni Gobbi, il padre dello scialpinismo moderno WILDER KAISER > proposTe di ski-alp ripido nei pressi di kiTzbUehel GARE > TUTTi i seGreTi del percorso dell'adamello ski raid 2013 TEST > 4 hardshell a conFronTo: arc'TerYX, dYnaFiT, eider, la sporTiVa TECNICA AGONISTICA > omar oprandi ci spieGa l'Uso dei basToncini

febbraio 2013

mensile n.87 I â‚Ź 6,00 MaDe iN iTaLY @skialper

ISSN 1594-8501

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VULCAN

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Edito di Davide Marta

Unicuique suum

Non c'entra il motto reso celebre da Cicerone, 'iustitia est unicuique suum tribuendi'. E nemmeno Leonardo Sciascia con il suo romanzo datato 1966. Però a pensarci bene il concetto è quello. Ad ognuno il suo. Una locuzione che mi gira in testa da quando abbiamo deciso di lanciare il nuovo magazine Up&Down, uno di quei tormentoni che non riesci a scacciare via. Ma è proprio così. Fin dal primo editoriale, 'By fair means' (qui siamo passati all'inglese, non si sa mai…) ho focalizzato la nostra idea di scialpinismo come il ritorno ad un vecchio concetto di sciare: salire la montagna con le proprie forze, ridiscendere la montagna con le proprie capacità. Su questa falsariga abbiamo sviluppato le uscite seguenti, con un susseguirsi di approfondimenti, proposte, idee. Nel frattempo ci siamo accorti che la famiglia degli skialper continuava a crescere ed evolversi, anche dall'impennata di lettori che acquistano la rivista in edicola o sottoscrivono l'abbonamento. Un popolo di appassionati della montagna che condivide un'idea di base, ma con diverse varianti di interpretazione. E dunque? Tutti sono scialpinisti, come già ho avuto modo di dire, e come ha brillantemente sottolineato Umberto Isman nella controcopertina del numero scorso, giocando sul neologismo 'scialpinismi'. «Il seme è comune, da quello è nato un unico tronco, poi i rami, che vivono però di un solo nutrimento». Ed ecco dunque le 'tutine', gli irriducibili del CAI, gli 'skialpististi' (che salgono a bordo delle piste battute e ridiscendono le stesse), i cultori della serpentina e del corto raggio, i freerider con i loro cliff mozzafiato, i patiti

del ripido. Poi c'è chi sceglie di 'pellare' sci da telemark, tavole splitboard. In tutto questo si rischia di diventare generalisti, 'maligna' qualcuno. Nemmeno per sogno, a noi interessa approfondire ognuno di questi aspetti. Già, approfondire: questo per noi è proprio il concetto chiave, il motivo stesso per cui vale la pena pubblicare una rivista. Che si tratti di proposte di viaggio, itinerari, interviste o test dei materiali. Su questo non si transige, ogni argomento viene trattato con il massimo scrupolo e serietà. Stiamo ampliando il numero dei collaboratori per trovare tecnici qualificati in ogni ambito, persone che abbiano conoscenze ed esperienze specifiche da condividere con i lettori, per alzare l'asticella della conoscenza e della cultura del settore. In questa piazza, nel gran vociare di tutti, diventa però indispensabile fare ordine, dare a tutto il giusto spazio. Per cui ecco le prime scelte: la Guida Test va per conto suo (l'avete vista allegata al numero di novembre, dalla prossima stagione sarà un numero indipendente della rivista). Ora dividiamo l'attualità dall'approfondimento. Allegato a Ski-alper avrete notato un nuovo magazine. Si chiama Up&Down, nasce per dare la giusta visibilità al settore agonistico dello ski-alp (e del trail running dalla primavera in poi). Tutte le gare, i personaggi, le classifiche, i commenti, la cronaca. Il paradiso delle tutine, insomma. Una serie di informazioni che difficilmente potevano coesistere con l'approfondimento, non fosse altro che per questione di spazio. È una scelta editoriale molto chiara, in cui crediamo e su cui investiremo risorse ed energie. Tutto sotto lo stesso cappello, ma con format indipendenti. Ad ognuno il suo… @davmarta


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numero 87 - febbraio 2013

VIAGGI Fuori dal tempo

La nostra proposta per un viaggio scialpinistico di esplorazione in Armenia da pagina 14

testo e foto di Umberto Isman

Scialpinismo e montagna a 360° \ rivista, web, social network, iPad, smartphone IL SITO

IPAD

TWITTER

Aggiornamenti quotidiani, news, commenti e classifiche dal mondo delle gare. L'attualità è solo su skialper.it

Ski-alper è la prima rivista di montagna con la propria app ufficiale su Apple Store. Scaricala, leggi Ski-alper in digitale.

Ne facciamo grande uso e ci piace cinguettare. Follow us on Twitter! @skialper

In omaggio

FACEBOOK Scrivici, ti risponderemo. Entra in contatto con la redazione, ricevi gli aggiornamenti. Cerca la pagina Ski-alper, clicca 'mi piace'!

ALL'interno ATLETA DEL MESE Matteo Eydallin è stato il più regolare degli azzurri ad alto livello

Prima uscita per il nuovo magazine dedicato alle gare di ski-alp, trail e sky running. Up&Down è un allegato gratuito realizzato dalla redazione di Ski-alper.

TRAIL RUNNING Intervista parallela a Fabio Bazzana, Danilo Lanternino e Stefano Butti


SCARPA® is trademark of the shoe manifacturing company “Calzaturificio S.C.A.R.P.A. s.p.a.” located in Italy (TV)

L’ESSENZA DELLA TECNOLOGIA

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MADE IN ITALY Direttore responsabile: DAVIDE MARTA davide.marta@mulatero.it Vice-direttore: CLAUDIO PRIMAVESI claudio.primavesi@mulatero.it Marketing e pubblicità: SIMONA RIGHETTI simona.righetti@mulatero.it

SKI ALP TOURING

MATERIALI

All'Imperatore piace ripido

Dynafit Tlt6, il ritorno dei re

Sciapinismo selvaggio sul Wilder Kaiser in Tirolo, con vista sulla mitica Kitzbuehel da pagina 30

I nuovi scarponi sono il fiore all'occhiello della collezione 2014 di Dynafit. Li sveliamo in esclusiva ai nostri lettori da pag 88

Doctor Pasini e Mr. Hyde

A guscio duro

Cosa si nasconde dietro un normale insegnante di educazione fisica? da pagina 40

Abbiamo messo a dura prova quattro hardshell tra i più richiesti sul mercato: Arc'Teryx, Dynafit, Eider e La Sportiva da pagina 104

Oasi di silenzio

Stratos Cube, l'abbiamo provato

Una selezione di itinerari nelle Dolomiti d'Oltre Piave, a cavallo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia da pagina 46

Il nuovo gioiello racing di La Sportiva testato in anteprima per i lettori di Ski-alper da pagina 94

Segretaria di redazione: ELENA VOLPE elena.volpe@mulatero.it

114

Area test e materiali SEBASTIANO SALVETTI sebastiano.salvetti@mulatero.it

Una ferita antica Un ritratto, una riflessione nata dall'incontro con Marco Olmo da pagina 114

Area touring e viaggi UMBERTO ISMAN umberto.isman@mulatero.it Area ski-alp race: GUIDO VALOTA guido.valota@mulatero.it Progetto grafico e impaginazione: BUSINESS DESIGN info@business-design.it Webmaster skialper.it: SILVANO CAMERLO Contributi fotografici: Ralf Brunel, Umberto Isman, Collaboratori: Lorenzo Bortolan, Leonardo Bizzaro, Renato Cresta, Giorgio Daidola, Giorgio Ficetto, Luca Giaccone, Fabio Menino, Omar Oprandi, Fabrizio Pistoni, Flavio Saltarelli, Aldo Savoldelli

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Hanno contribuito a questo numero: Alfredo Brighenti, Loris De Barba, Andrea Fornelli

La leggenda delle Bormine Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini, l'arte di gareggiare in coppia è femmina da pagina 76

In copertina: Paolo Vitali guida il gruppo sulle nevi dell'Armenia (foto ©Umberto Isman) Distribuzione in edicola: MEPE - Milano - tel 02 89 5921 Stampa: REGGIANI - Brezzo di Bedero (VA)

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Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 4855 del 05/12/1995. La Mulatero Editore srl è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697. © copyright Mulatero Editore - tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa rivista potrà essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge PER FAVORE RICICLA QUESTA RIVISTA MULATERO EDITORE Via Principe Tommaso, 70 10080 - Ozegna (To) tel 0124 428051 - 0124 425878 fax 0124 421848 mulatero@mulatero.it www.mulatero.it

88 LE RUBRICHE DI SKI-ALPER

Lettere alla redazione (pag.8) - Controcorrente (di Giorgio Daidola, pag 10) - Pareti di carta (di Leonardo Bizzaro, pag. 12) - Pensieri Bizzarri (di Leonardo Bizzaro, pag 28) - Fauna alpina (di Giorgio Ficetto, pag 44) - Neve e valanghe (di Renato Cresta, pag 60) Neve e diritto (di Flavio Saltarelli, pag 64) - Allenamento (di Aldo Savoldelli e Lorenzo Bortolan, pag 66) - Tecnica agonistica (di Omar Oprandi, pag. 68) - Area Tecnica (di Sebastiano Salvetti, pag 84) - Controcopertina (di Umberto Isman, pag 128).

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10 > rubriche

Lettere alla redazione skialper@mulatero.it

/skialper

@skialper

LETTERA DEL MESE

CATEGORIA OVER 55, PERCHÈ NO? Sono un vostro lettore, non capisco perchè nelle gare non ci possa essere una categoria Over 55. Ci siamo anche noi, non siamo ancora da rottamare. Andiamo nei negozi a comprare, non ci regalano niente. Penso che esistiamo ancora anche noi! Niente di personale… Grazie Marco Trisconi Già, Over 55, perché no? Cogliamo il tuo appello, caro Marco, e lo rilanciamo agli organizzatori. COME ALLENARSI? Sono un vostro assiduo lettore. Vi scrivo per chiedervi consiglio su dove trovare materiale inerente all’allenamento per lo scialpinismo race. In internet si trova ben poco, e volevo chiedervi se magari eravate a conoscenza di qualche libro interessante da potermi consigliare. Grazie mille anticipatamente Claudio

ROTTURA DI CIASPOLE

Ciao Davide, ti passo un pensiero che si è affacciato alla mia mente leggendo le ‘Lettere alla Redazione’ del n° 86 della rivista. In quella del signor Aldo De Gaspari, che compare sotto il titolo ‘Percorsi Misti per Ciaspolatori’, si avanza la proposta-richiesta di percorsi battuti per racchettatori (io preferisco chiamarli così). Può essere una buona idea, così non invaderanno più le piste di discesa (molto larghe) e, sopratutto, le piste di fondo (molto strette), come accade dalle mie parti. Quando fai osservare che la pista di fondo è riservata ai fondisti e che questi devono pagare per poterla percorrere, mentre loro la devastano gratis, i più educati ti replicano «e allora dove devo andare?». Non rispondo mai a questa domanda perché, se dovessi rispondere in modo esplicito e sincero, si offenderebbero. Ora mi chiedo: le racchette, o ciaspole, non sono fatte per andare nella neve profonda evitando di affondare? Non sono fatte per andare dove non va nessuno? E allora perché battere una pista per racchettatori, una pista che, una volta battuta, permetterebbe di camminare più comodamente senza l’impaccio delle racchette? Già nel 1851 H.D. Thoreau, lo scrittore americano che ha fatto dell’escursionismo uno stile di vita e un genere letterario, nel suo volumetto ‘Walking’ ha scritto che «vi sono persone che non camminano mai, altre che seguono solo le strade maestre ed altre che si avventurano per campi e boschi». La pista per ciabattatori, scusa il refuso, per ciaspolatori dovrà essere un tracciato, facile, sicuro, ben battuto e, possibilmente, dovrà raggiungere quel rifugio in cui si mangia una buona polenta. Ecco pronta la strada maestra, il percorso ideale per dare una meta a chi vorrebbe andare, ma non sa dove andare. Alla faccia di quel camminare in libertà, di quel muoversi alla ricerca di quei luoghi, tranquilli e sconosciuti, che anche le racchette potrebbero permetterti di raggiungere. Tuttavia, viste certe cattive abitudini dei racchettatori in merito alla prevenzione dell’incidente, argomento che tratterò nel numero 89 della rivista, appoggio pienamente questa richiesta: diamo loro le strade maestre, tranquille e sicure. Potremo così esigere che rispettino le piste degli altri. Renato Cresta Caro Renato, credo che il tuo risentimento verso un cattivo uso delle ciaspole, o racchette da neve, sia condiviso da molti scialpinisti (e fondisti, a quanto apprendo ora). Credo anche, però, che la tua grande saggezza ti faccia intuire che anche in questo caso è la mancanza di pochi a ‘bollare’ negativamente una categoria. Di sicuro la ciaspola è il primo strumento per approciare la montagna per chi non sa usare sci di qualsivoglia genere e pelli, è anche abbastanza probabile, perciò, che siano ‘calzate’ da persone impreparate alla montagna e alle sue regole.

Pier Carlo Bertotti @PierBertotti Siete I numero uno. Grandiosi!

Enzo Partel @Enzino1973 Sono il 1000esimo follower di @skialper! Un saluto dalla Val di Fiemme!

Pierluigi Da Col @Runnerpier74 Come si possono avere tabelle d’allenamento per lo skialp?

Ciao, da questo numero inizia la collaborazione con Ski-Alper di Omar Oprandi, che terrà una rubrica tecnica sull’allenamento allo ski-alp. Ci sono anche i consigli dei tecnici del Cerism di Rovereto… In quanto al libro, aspetta ancora qualche mese e lo pubblicheremo noi! UN LOGO DA… ADESIVO! Mi piace un sacco il vostro logo, tanto che vorrei farci un adesivo da attaccare sulla macchina! Sarebbe possibile avere la grafica? Grazie! Ileana Richiesta ‘bizzarra’, che però ci ha fatto riflettere. Dal prossimo anno produrremo un po’ di adesivi per i nostri lettori! IL MONDO DELLO SPLIT Buon giorno, per prima cosa complimenti per la bellissima rivista, sia per le foto ma soprattutto per i contenuti. Sono un appassionato di montagna che dopo averla conosciuta con l’arrampicata, lo sci da pista, trekking, la sta ora conoscendo con la tavola split. Trovo che i due mondi siano perfettamente affiancabili per cui mi piacerebbe tanto che anche questa disciplina venisse presa in considerazione nella rivista. Ci sono tantissimi amanti della montagna snowboarder che con la split come me, fanno gite anche impegnative. Lodovico Melzi D’Eril Ciao Lodovico, grazie del suggerimento. Abbiamo appena avviato la collaborazione con Giancarlo Costa che dal prossimo numero inizierà a parlare di splitboard e di snowboard alpinismo. Inoltre tutta l’attrezzatura sarà contemplata nella guida Test 2014 in edicola il prossimo novembre,


Michela Martinelli @mikymartinelli Francesca Martinelli, la mia allenatrice/campionessa preferita! :)

SciAlp-Sibillini @SciAlpSibillini È attivo il nuovo account per lo scialpinismo nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ciao Michele Minnozzi.

LA GARA PIU’ ANTICA In questo pullulare di gare di scialpinismo, che aumentano anno dopo anno, mi piacerebbe sapere quale è la più antica che sopravvive ancora: Mezzalama, Adamello, Tre Rifugi, una meno importante e meno conosciuta? Con i vostri potenti mezzi ed ‘agganci’ pensate di riuscire a saperlo? Magari potrebbe anche essere simpatico tornare indietro con la memoria a quello sci pioneristico e farci un articoletto, se si disponesse di documentazione dell’epoca. Marco Caro Marco, metteremo in moto i nostri potenti mezzi. Già, ma quali? Scherzi a parte, potrebbe essere interessante una rubrica sulla storia delle gare di ski-alp. IL NODO MACHARD Ho ricevuto il volume ‘Ski-alp Advanced’ che mi avete inviato. Piccola errata corrige: il nodo autobloccante è il Machard, non Marchand e neppure Marshall come, invece, scritto nel testo a pagina 61 e 66 (mentre nel disegno è corretto) e ripetuto più volte da Franz nell’audio del DVD per la parte di recupero da crepaccio. Sono un gran pignolo, lo so, ma è che alla scuola di ski-alp ci cazziavano se lo chiamavamo sbagliato. Carlo Alberto Ciao Carlo, prendiamo atto dell’errore e ci cospargiamo il capo di cenere… Provvederemo anche alla correzione in una futura edizione. Di cui, come si usava un tempo, ti spetterà una copia omaggio per la gradita segnalazione. ANCORA SUI CARATTERI… Buongiorno a tutti voi e complimenti per la rivista! Torno sul tema cronico dei caratteri di stampa, per i quali già avevo scritto un po’ di tempo fa quando pubblicavate ‘Fondo Ski-alp’ e che vedo (dalla posta dei lettori) tormenta non solo il sottoscritto. Non comprendo la logica tipografica per la quale articoli spesso impaginati su due pagine prospicienti hanno una diversa grandezza di carattere e di spaziature da quello che precede o segue, qualcuno in grassetto qualcuno in corsivo pallido pallido e poi questi retini grigi da lente d’ingrandimento (pag 66 numero di dicembre). Siete molto bravi per i contenuti, ma su quest’aspetto porrei maggior attenzione, non tutti hanno una vista da trentenni. Quanto esposto è una critica costruttiva che mi auguro verrà presa con sportività Francesco Picco Ciao Francesco, la tua critica è bene accetta, come sempre… Cerchiamo di rendere la rivista oltre che interessante, anche bella e leggibile. Stiamo migliorando, no? Qualcosina è ancora da mettere a punto, ma credo che siamo sulla strada giusta!

PARTNER

UFFICIALE

facebook.com/skialper Fabio Corbellini Complimenti per il calendario gare interattivo!! Utilissimo! Fabrizio De Paulis Sono un appassionato di skialp e faccio delle garette in inverno e delle skyrace in estate. Per lavoro dovrei essere trasferito in Calabria a Catanzaro. Come è la stagione invernale da quelle parti? Si può praticare lo skialp? Maurizio Ravagni A quando un test sulle tute ski-alp e accessori vestiario? Michele Franzosi I vostri video diventano sempre più belli, complimenti! Romina Maggiolo Solari Cima Palù, alpi liguri, vista mare e Corsica ieri. Parsy sci team appennino ligure.

JEAN ANNEQUIN / GROENLAND

Giuseppe Belotti Non trovo ancora in edicola Skialper... Quando arrivaaaaaaaaaaaaaaa?

Pascal Tournaire

@skialper

emilio previtali @emilioprevitali

Cucù

Mireia Miró @Mireia_Miro

Questo pomeriggio ho gia qualcosa per leggere, grazie @skialper ! ;-)

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controcorrente

testo: Giorgio Daidola FOTO: Klaus Kranebitter

Questione di traccia Ci sono quelle degli scialpinisti, dei freerider e dei ‘pistaioli’, ognuna con un suo stile e una sua originalità… tranne quelle delle racchette

L'

architetto Carlo Mollino utilizzava, per disegnare le sue famose opere, le fotografie delle sue tracce in neve fresca o quelle del suo amico Leo Gasperl, uno dei più grandi sciatori di tutti i tempi. La purezza delle curve disegnate da Mollino per progettare l’interno del Teatro Regio di Torino o l’aerea della stazione di arrivo dello slittone del Lago Nero sopra Sauze d’Oulx o ancora i suoi ricercatissimi tavoli tutti curve senza spigoli, sono esempi di come lo sci possa diventare arte, ossia modo di esprimere la qualità più sincera e profonda delle proprie emozioni. Le tracce che si lasciano sulla neve rappresentano il significato ultimo dello sciare, che così diventa molto di più di uno sport, di un’espressione tecnica e fisica delle proprie capacità e dell’infantile godimento dato dallo scivolare. Questo vale non solo per le tracce di discesa ma anche per quelle di salita. In entrambi i casi permettono di valutare l’esperienza e la sensibilità dello sciatore nell’interpretare la neve e il pendio. Le tracce sono insomma la firma dello sciatore sulla neve, sono l’espressione della sua personalità, del suo stile, del suo modo di vivere l’ambiente che lo circonda e lo sci. Anche gli animali del bosco, che segnano il paesaggio invernale con l’eleganza delle loro impronte, si comportano istintivamente nello stesso modo. Le loro tracce misteriose impreziosiscono il paesaggio, senza mai distruggerne i delicati equilibri, senza interferire con quelle di altri animali. Terribili, dissacranti, profonde sono invece le tracce o meglio i solchi lasciati dalle racchette da neve. Io non ho nulla contro chi pratica l’escursionismo invernale con le racchette, ci mancherebbe. Anzi, ne ho ammirazione e ritengo che siano il futuro del turismo invernale di massa. Però non c’è nulla da fare, il segno delle racchette è questo, è un solco profondo dalla brutta forma, come quella che lascia una caduta in sci. La cosa più grave è quando viene sfregiata la bella traccia di salita lasciata da uno sciatore. In questo caso non si tratta solo di insensibilità estetica ma anche di grave nocumento all’utilizzo della stessa traccia da parte di altri sciatori. Se queste valutazioni critiche venissero condivise, sicuramente si eviterebbe di trasformare un bel pendio di neve vergine in un mare in burrasca.

Un vero sciatore non manca di fermarsi spesso per voltarsi ad ammirare o criticare la propria traccia. Per questo si arrabbia se altri sciatori o utilizzatori di racchette non la rispettano. Sciare è decorare con buon gusto e amore il paesaggio invernale, guai a chi non rispetta l’opera altrui. Talvolta mi capita di risalire apposta un breve pendio, di infilarmi fra i cespugli fitti per utilizzare un lenzuolo di pochi metri di neve vergine sui quali creare l’opera della mia traccia. Per lo stesso motivo mi piace essere il primo a tracciare un pendio, non importa se modesto o complesso, dolce o ripi-

Nella foto: Incontro di tracce ©Klaus Kranebitter.

do, corto o lungo. È importante poter vedere, analizzare, fotografare l’opera compiuta, il proprio segno intonso sulla neve. Tutto questo fa parte del piacere di sciare e la traccia è anche il miglior maestro di sci in quanto in essa stanno scritti i propri difetti, i propri limiti, la propria capacità di capire i diversi tipi di neve. Anche i moderni freerider amano compiacersi delle loro tracce, che sono espressioni di uno stato d’animo che non indulge alla meditazione ma all’azione veloce, spesso aggressiva e trasgressiva. I freerider sono un po’ gli impressionisti della neve e saranno probabilmente ricordati come tali. Anche i pistaioli di ogni livello lasciano una traccia sulla marmorea e liscia superficie di neve finta. Conduzione significa incidere la superficie con le lamine degli sci, senza derapare, acquisendo velocità che possono diventare impossibili da controllare. I moderni campioni sono più incisori che pittori. I loro disegni sono come quelle dei pattinatori su ghiaccio, sono segni di potenza e di sicurezza del gesto più che desiderio di esprimere la leggerezza dell’essere, di fondersi con il meraviglioso ambiente invernale. Le incisioni dei pistaioli non assurgono mai, forse a torto, a espressioni artistiche. Forse perché chi le fa non si sente un artista ma uno sportivo puro. O forse perché le incisioni degli sci sulla pista si cancellano velocemente come sono state tracciate, con il passaggio di centinaia di sciatori nello stesso punto. A proposito di tracce lasciate sulle piste val la pena di ricordare l’ultima trovata per dare un po’ di ossigeno al moribondo sci delle autostrade della neve. Si chiama ‘prima scia’ e si tratta di una proposta riservata per lasciare la propria traccia mattutina sulle piste ‘vergini’, ossia sulle piste di neve artificiale diligentemente fresata con il lavoro notturno dei battipista. Non male come idea. Però è come bere un caffè d’orzo anziché un buon caffè vero, un banale surrogato dello stupendo sci sul firn primaverile. È comunque un buon inizio… Le tracce sulla neve rimangono importanti, perché l’arte va al di là delle mode e delle aberrazioni di un momento storico. Fermarsi per contemplarle, per fotografarle, come faceva l’architetto Carlo Mollino, per dipingerle o scolpirle come pochi grandi artisti sanno fare, significa renderle eterne, inculcando così i principi fondamentali dell’estetica dello sci nelle nuove generazioni di sciatori.


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PARETI DI CARTA testo: Leonardo Bizzaro

FILOSOFIA PER ESPLORATORI POLARI di Erling Kagge ADD Editore 224 pagine

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FREERIDE di Martino Colonna Hoepli 238 pagine

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SCIALPINISMO NELLE ALPI GIULIE OCCIDENTALI di Paul Ganitzer, Christian Wutte e Robert Zink Edizioni Versante Sud 416 pagine

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LAGORAI. SCIALPINISMO D’AVVENTURA di Alessandro Beber Tappeiner 196 pagine

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ESCURSIONI CON LE RACCHETTE DA NEVE NELLE VALLI VERMENAGNA, COLLA, PESIO, ELLERO E TANARO autori vari I Libri della Bussola 120 pagine

15 euro

APPENNINO INVERNALE di Gianni Fabbri e Fabio Montorsi L’Escursionista Editore 224 pagine

16 euro

PER ESPLORATORI 'FILOSOFI' La grandezza delle onde non si misura in metri, ma in base alla paura che si prova di fronte a esse. Non parla di surf il libro di Kagge, primo ad aver raggiunto i tre ‘Poli’ - Nord, Sud ed Everest - ma anche di quello. Parla di pericolo, felicità, solitudine, obiettivi. Parla di alpinismo, sport, politica e filosofia. Non insegna ad attraversare una calotta glaciale, ma ci dà gli strumenti per cominciare a pensarci: se tu dici che è impossibile e io dico che è possibile, probabilmente abbiamo ragione entrambi.

IL PROFESSORE E IL FREERIDE Non poteva mancare, nella collana di manuali per la montagna di Hoepli, un volume che esplorasse la galassia del freeride, in cui ognuno scorge i sistemi solari che più gli si addicono (altrimenti non sarebbe free). Serve un manuale? Meno di un pendio innevato, ma se a firmarlo è uno sciatore che è anche ricercatore universitario, capace di affrontare la materia con chiarezza mentale, la lettura è più che utile. Anche solo per capire dove sta andando quello che una volta si chiamava - boh? - scialpinismo e che oggi vede sovrapporsi le tracce di 'fat skier', snowboarder, telemarker, oltre ai vari circuiti di competizioni scavezzacollo.

100 ITINERARI SULLE GIULIE Il nord-est è protagonista della nuova guida scialpinistica di Versante Sud, che esplora un’altra area finora frequentata soprattutto dagli appassionati nostrani. A torto, perché l’estremo oriente delle Alpi offre possibilità strabilianti. Cento sono gli itinerari qui proposti, molti per gli ‘scisestogradisti’, la gran parte per gli amanti del ripido, com’è tradizione per i bravi editori milanesi, ma non mancano salite e discese di difficoltà classica, le gite con brevi marce di avvicinamento che piacciono ai freerider e le lunghissime traversate.

IL GRANDE NORD DIETRO CASA Ci sono catene che possono offrire esperienze di sapore extraeuropeo, traversate in una solitudine scandinava e sono perlopiù sfruttate per gite ‘mordi e fuggi’. Al Lagorai, nonostante la sua notorietà tra gli appassionati di scialpinismo, accade spesso così. A causa forse anche di raccolte d’itinerari che in passato hanno sottolineato soprattutto la facile accessibilità e le mete più frequentate. Alessandro Beber, guida alpina, affronta invece, delle montagne di casa, il lato avventuroso, le escursioni importanti, le traversate di più giorni.

CON LE CIASPOLE Un piccolo editore che ama le proprie montagne e da qualche anno ne descrive le potenzialità estive e invernali, puntando opportunamente, vista la richiesta, sugli itinerari da percorrere con le racchette da neve. In questa raccolta scritta da molte mani, con il coordinamento di Gianni Abbà, si affronta quell’angolo di Piemonte incuneato a sud-ovest tra Francia e Liguria. Quarantacinque itinerari facili e di media difficoltà su terreni di solito abbondantemente innevati, con la possibilità di incrociare le tracce del lupo.

C'È ANCHE L'APPENNINO Recuperiamo una guidina di qualche anno fa perché non è facile, dal balcone delle Alpi, comprendere le potenzialità delle nevi e dei ghiacci appenninici. E nemmeno sapere che in riva al mare opera un editore e libraio entusiasta della montagna. Fabbri e Montorsi descrivono qui 128 itinerari di escursionismo e alpinismo tra Emilia e Toscana, alcuni facili e altri che si annunciano come impegnative ascensioni con piccozza e ramponi. Con canalini nascosti che sembrerebbero assai interessanti per gli amanti dello sci ripido.


M a m m u t Te a m s u l ‘ E t n a photo: olaf crato

Con l’ utilizzo della nuova Bridge Technology, l’Himalaya fissa nuovi traguardi nella categoria touring.

w w w. s o c r e p . i t + + +

LIGHT FAST NATURAL


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ARMENIA testo: Umberto Isman FOTO: Umberto Isman

Testo : Emiliano Previtali Foto: Damiano Levati


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FUORI DAL TEMPO Scialpinismo di esplorazione in Armenia, dove le tracce s u l l a n e v e s i m i s c h i a n o i n e v i ta b i l m e n t e a q u a l c o s a d i d i v e r s o, l o n ta n o n e l t e m p o , e p p u r e s e m p r e d i e s t r e m a at t u a l i tà 4 ore

Viaggio Roma - Yerevan

29.800 km²

Superficie

40°n 44°e

Coordinate di Yerevan


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ARMENIA

A vanzo a fatica controvento. Un vento teso, costante, che al contatto della neve si trasforma in bufera e si incanala nella valle sinuosa che stiamo seguendo. È una situazione essenziale, senza passato né futuro, senza un orizzonte fisico né un qualunque contorno di uomini o paesaggio. Tutto è finalizzato al presente, a una meta divenuta improbabile e che quindi si sfilaccia in una lenta conquista di un territorio sconosciuto celato dalla nebbia. Un senso di spaesamento mi pervade, concentrato come sono sulla mia progressione, sull'ottimizzazione del gesto, sul rendermi aerodinamico e progredire metro per metro in questa apparentemente infinita galleria del vento. Potrei essere ovunque, o in nessun posto, il gesto e i pensieri sarebbero gli stessi, pochi, precisi, utili, quasi animaleschi. I miei compagni sono dietro di me qualche decina di metri, abbastanza distanti per non esistere. Fuori dal tempo e dallo spazio sono estraneo anche ai confini geografici in cui mi trovo. Quelli dell'Armenia. Ci stiamo muovendo verso il fantomatico Passo Karkapan, che nella toponomastica incerta di questi luoghi non compare neanche sulle carte, quasi che il nome fosse solo frutto di un arcaico passaparola poco affidabile, se non per porsi una meta provvisoria che ci accomuni. Siamo partiti dal villaggio di Tsaghkashen, quello sì con un nome certo, con una chiesa e un negozio di alimentari che funziona con bilancia di ferro a contrappesi e pallottoliere per i conti. Con una popolazione di gente con gli stivali di gomma, immersi nella melma dei viottoli da condividere col bestiame. A Tsaghkashen siamo arrivati con una piccola Lada Niva e un grande UAZ, entrambi fuori catalogo da un pezzo. Lo UAZ specialmente, residuato bellico di non si sa quale guerra, una delle tante che gli armeni hanno combattuto o visto combattere. Qualcosa di sovietico probabilmente, dato l'intreccio politico e territoriale che ancora oggi segna la storia di questa parte di mondo. L'Armenia, a parte l'epoca recente successiva al crollo dell'Unione Sovietica, ha vissuto nella


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In apertura. Il monastero di Noravank. In questa pagina. La salita verso l'anticima del Kisirdag


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ARMENIA

«...Avanzo a fatica controvento. Un vento teso, costante, che al contatto della neve si trasforma in bufera e si incanala nella valle sinuosa che stiamo seguendo. È una situazione essenziale, senza passato né futuro, senza un orizzonte fisico né un qualunque contorno di uomini o paesaggio...»

Qui sopra. Paolo Vitali guida le 'truppe' nella bufera verso la cima del Tchingildag. A lato. Un'immagine della chiesa di Santa Hripsime

sua storia solo due anni di indipendenza, dal 1918 al 1920, stretta tra la dominazione ottomana prima e l'invasione bolscevica poi. Verrebbe da dire che l'Armenia è stata e in qualche modo è ancora un Paese impreparato alla democrazia. Senza però addentrarsi in questioni politiche, l'impreparazione e l'improvvisazione paiono caratteristiche comuni a molte delle attività e delle relazioni sociali. Lo sperimentiamo sulla nostra pelle, sulle nostre piccole e futili esigenze di esploratori di nevi e montagne altrui. Lo sperimentiamo forse per la prima volta proprio a Tsaghkashen dove il nostro UAZ, propostoci quasi fosse tecnologicamente all'altezza di Opportunity (il veicolo della NASA atterrato su Marte nel 2004 e ancora operativo), si è già irrimediabilmente impantanato nel fango misto a neve della via principale. A sentire Andrey, la nostra guidaaccompagnatore, avremmo dovuto salire un bel pezzo per la strada del Passo Karkapan (o come diavolo si chiama), strada che, coperta da un pur sottile strato di neve, non si capisce neanche dove passa. Pelli di foca e via quindi, nel vento, nella

bufera, con ipotetici 15 chilometri in linea d'aria e un dislivello difficilmente decifrabile sulla nostra carta sovietica, per raggiungere il passo e poi la cima del Monte Azhdahak, detto Azz... appunto. Le condizioni meteo proibitive ci fanno comunque desistere ancor prima del passo e la meta finale la sceglie per noi il GPS, sapientemente e sovieticamente cartografato: un mammellone con tanto di appagante piccolo manufatto di vetta a quota 2897 m. Lo UAZ ha fatto nel frattempo sbollire il radiatore ed è pronto a riportarci semi-gloriosamente in pianura. Lo UAZ e Opportunity, anzi la Mir, la stazione spaziale orbitante, sono anche la sintesi della vita di Andrey, come ci racconta lui stesso. Ingegnere aerospaziale, metà russo e metà armeno, Andrey faceva parte di una élite di scienziati e tecnici incaricati dello sviluppo della Mir, prima sovietica e poi russa. A metà degli anni Ottanta l'Armenia era un paese tecnologicamente avanzato, soprattutto in campo aerospaziale e molti dei progetti sovietici trovavano


I l p r i m o g e n o c i d i o mod e rno Tra il 1915 e il 1916 fu perpetrato ai danni del popolo armeno quello che viene considerato il primo genocidio dell'era moderna. Circa 1.500.000 Armeni furono trucidati o morirono durante vere e proprie marce della morte, ad opera del partito dei Giovani Turchi, che con una struttura paramilitare appoggiata dal governo turco portò avanti lo sterminio sistematico di due terzi degli armeni dell'ex Impero Ottomano. Furono commesse atrocità inenarrabili, con lo scopo preciso di cancellare la comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Motivo dell'odio razziale le richieste di autonomia degli Armeni, cristiani e propensi a configurarsi come uno stato di diritto di stampo occidentale. In anni recenti fortissima è stata la polemica tra i negazionisti (il governo turco davanti a tutti) e chi invece cerca di tenere viva la memoria. A livello internazionale si è avuto un vero e proprio schieramento di Paesi (la Francia per prima) che ha riconosciuto il genocidio armeno come crimine contro l'umanità. In realtà in questi ultimi anni la necessità di tutti, anche degli Armeni, di intrattenere buoni rapporti con la Turchia ha un po' stemperato la polemica. A Yerevan un monumento commemorativo e un museo ricordano il genocidio. Vale assolutamente una visita. È semplice, essenziale, istruttivo e commovente.


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ARMENIA

«…verrebbe da dire che l'Armenia è stata e in qualche modo è ancora un Paese impreparato alla democrazia. Senza però addentrarsi in questioni politiche, l'impreparazione e l'improvvisazione paiono caratteristiche comuni a molte delle attività e delle relazioni sociali. Lo sperimentiamo sulla nostra pelle, sulle nostre piccole e futili esigenze di esploratori di nevi e montagne altrui….»

realizzazione pratica proprio grazie ad alcune aziende di Yerevan. Andrey per diversi anni fu il responsabile dello sviluppo dell'apparato di ripresa fotografica e video della Mir. Poi il 21 settembre 1991 l'Armenia dichiarò la sua indipendenza dall'Unione Sovietica e le commesse dalla Russia cessarono improvvisamente. Molte aziende dovettero chiudere e Andrey si trovò contemporaneamente coinvolto e arruolato nella guerra contro l'Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, territorio a maggioranza armena dentro i confini geografici azeri. Con il cessate il fuoco del 1994 (anche se i rapporti tra i due paesi rimangono tesi e i confini sono chiusi) Andrey dovette inventarsi una nuova vita. È così che dalla Mir passò alla Lada Niva e allo UAZ, entrambi di epoca addirittura precedente. Ora accom-

pagna turisti, e scialpinisti, alla scoperta del suo Paese, con un velo di rimpianto per il passato, ben celato dai lineamenti duri che nascondono le emozioni. Personaggio enigmatico Andrey, difficile da interpretare, sintesi lui stesso del carattere degli Armeni. Dopo le prime due gite nella bufera ci spostiamo verso sud fino a Jermuk, cittadina termale che, come tante, in epoca sovietica ha vissuto, se non di fasti, certamente di attività ben più floride. Si pensi che l'Armenia, con una popolazione attuale di circa tre milioni di abitanti, ne ha persi per emigrazione ben mezzo milione negli ultimi vent'anni. A ciò si aggiunga una diaspora storica di circa sette milioni di individui che vivono all'estero in comunità molto forti e legate al Pae-


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Nella pagina accanto. Due immagini di Tsaghkashen. Qui sotto, in senso orario. Il mercato di Yerevan, gli evidenti contrasti della capitale, la salita all'Ishkhanasar, il monastero di Ayravank.

se d'origine. La decadenza di Jermuk è evidente, il nostro albergo ad esempio sorge accanto a un enorme centro polisportivo chiaramente di epoca sovietica con tanto di piscina olimpica, piattaforma e trampolino per i tuffi, tutto completamente abbandonato e diroccato. Non mancano i tentativi di rinascita, con alcuni nuovi edifici, come il centro termale, restaurato e ammodernato, ma nel complesso si tratta di una sovrapposizione di strati, con il vecchio cemento armato a vista testimone forse eterno dell'agonia di un passato ingombrante. Per contro le montagne sono state nel tempo molto poco colonizzate, a partire dall'Ararat, ormai interamente in Turchia, ma da sempre simbolo dell'Armenia che ancora oggi chiama i territori ceduti ai Turchi 'Armenia Occidentale'.

Montagne prima di tutto oggetto di miti religiosi o di dispute territoriali, montagne spartiacque o 'sparti popoli', certo non terreno di gioco come le interpretiamo noi, qui come a casa nostra. È il caso ad esempio dell'Ishkhanasar a sud-est di Jermuk, lungo la strada che, chiusa tra i due confini con l'Azerbaigian, porta verso l'Iran. L'Iran, pur essendo un paese musulmano, intrattiene buoni rapporti con l'Armenia, non fosse altro che per la storica inimicizia con l'Azerbaigian, a sua volta amico di USA e Israele. Sta di fatto che quella con l'Iran e quella con la Georgia sono le uniche due frontiere aperte. L'Ishkhanasar fa da confine orientale con l'Azerbaigian, in passato è stato zona di guerra e oggi è ancora teatro di esercitazioni militari, con frequenti cannoneggiamenti che si odono a chilometri di distanza. Ma

per noi è la più bella montagna da scialpinismo che siamo riusciti a trovare in Armenia. L'abbiamo proprio scovata noi, per dirla tutta con l'aiuto di Internet, in ogni caso vincendo tutte le resistenze dell'imperturbabile Andrey che sosteneva non essere adatta. Un lungo e ripido costone di 1650 metri di dislivello che ti spara in cima in un attimo, con l'unica avvertenza di non azzardarsi a scendere sull'altro versante. Mentre salgo verso la cima sono ricatapultato nello spaesamento di due giorni prima. Questa volta avanzo con riferimenti precisi, col sole che ben evidenzia i contorni del terreno e delinea precisamente l'orizzonte. Ma è proprio volgendomi verso l'orizzonte, in ogni direzione, che vedo solo valli e montagne, bianche, a perdita d'occhio. Iran, Azerbaigian, Nagorno-Karabakh sono lì, ma a un livello di


‌le montagne sono state nel tempo molto poco colonizzate, a partire dall'Ararat, oggi interamente in Turchia, ma da sempre simbolo dell'Armenia, che ancora oggi chiama i territori ceduti ai Turchi 'Armenia Occidentale'. Montagne prima di tutto oggetto di miti religiosi o di dispute territoriali, montagne spartiacque o 'sparti popoli', certo non terreno di gioco come le interpretiamo noi, qui come a casa nostra‌.


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Il monastero della lancia L'Armenia è stata la prima nazione al mondo ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale, nel 301 d.C. La Chiesa Apostolica Armena professa un cristianesimo monofisita, vicino all'ortodossia tradizionale. La sede ecclesiastica principale è nella basilica di Echmiadzin, l'antica capitale, a una ventina di chilometri da Yerevan. Numerosi sono i monasteri antichi sparsi per il paese, a volte delle vere e proprie enclave isolate sulle montagne. Uno dei più interessanti e significativi è quello di Geghard, nella gola del fiume Azat, a circa 35 chilometri da Yerevan. Fondato da San Gregorio Illuminatore nel IV secolo, fu notevolmente ampliato intorno al 1.200. Il nome originario del monastero era Ayrivank ('il monastero della grotta') perché luogo di una sorgente sacra. Il nome attuale significa invece 'il monastero della lancia' perché ritenuto custode nell'antichità della lancia che ferì Cristo nella crocifissione, oggi conservata a Echmiadzin. Il complesso monastico è costruito su più livelli, interamente addossato e scavato nella montagna. Assolutamente degne di nota sono le due cappelle chiamate Jhamatun, completamente scavate nella roccia su due livelli. Al livello inferiore una straordinaria collezione di bassorilievi con figure di animali, mentre quello superiore, comunicante con una piccola apertura nel soffitto-pavimento, è conosciuto per la sua straordinaria acustica, difficilmente sperimentabile per la severa sorveglianza dei monaci.

Nella pagina a sinistra. La discesa dalla Cosmic Station, sullo sfondo il Monte Ararat. Qui sopra. Il tempio di Garni, un edificio di Yerevan, il lago Sevan

Qui sotto. La cima dell'Ishkhanasar, una macelleria di paese, la nostra cena alla Cosmic Station


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ARMENIA

Nelle foto piccole in alto. A bordo dello Huaz a Tsaghkashen, Rino Salvadori alla Cosmic Station, la Cosmic Station con l'Ararat sullo sfondo. Nella foto grande. L'arrivo sulla cima sud dell'Aragats.

consapevolezza che in questo momento non mi appartiene. Torniamo verso nord, passando per il bel monastero di Noravank, incastonato tra le montagne, una delle tante testimonianze della fede del popolo armeno, il primo ad adottare nel 301 il cristianesimo come religione ufficiale. Siamo diretti al Monte Aragats, il più alto dell'Armenia con i suoi 4090 metri. Degli antichi fasti tecnologici e scientifici dell'Armenia qualcosa è rimasto, proprio qui all'Aragats. È la stazione di ricerca sui raggi cosmici, un centro d'avanguardia disseminato in diversi edifici sul versante meridionale della montagna. I fisici che ci lavorano sono anche dotati di motoslitte moderne e di un potente cingolato a metà tra un carro armato e un gatto delle nevi. Tutto il contrario del mezzo procurato da Andrey per trasportare le nostre vettovaglie: un'accozzaglia di pezzi meccanici di recupero a cui solo il contesto riesce a dare una parvenza di motoslitta. Gli eterni 16 chilometri di marcia per il villaggio scientifico che ci ospita per

la notte sono tra le altre cose una gara tra le nostre pelli di foca e il mezzo motorizzato. Vinciamo con circa un'ora di distacco. Ad accoglierci la piccola stazione meteorologica e i suoi abitanti, padre, figli e amici che gestiscono sia le rilevazioni che l'ospitalità agli sporadici gruppi di trekker e scialpinisti. Accoglienza spartana, un po' dimessa, giusto per arrotondare una paga non certo alta, visto che in Armenia lo stipendio medio si aggira intorno ai 250 euro. Quello che è certamente elevato è il tasso alcolico della serata, accompagnato da canti e armonica a bocca. È quando intoniamo 'Bandiera rossa', canzone italiana ma tradotta e conosciuta in molte altre lingue, che negli occhi dei padroni di casa traspaiono mille sentimenti e contraddizioni, malinconia mista a fierezza per un'autonomia ritrovata. E il giorno successivo, salendo la modesta cima dell'Aragats e scorgendo sullo sfondo, oltre il confine turco, il ben più imponente Ararat, rivedo quegli occhi lucidi.


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ITINERARI DA NORD A SUD

Armenia Informazioni generali: L'Armenia, come molti dei paesi ex-comunisti, è densa di contraddizioni e disparità sociali. A pochi super-ricchi si contrappone la maggioranza della popolazione con un tenore di vita decisamente modesto. Per il turista ciò si traduce in un'offerta variegata, con picchi economici elevati, anche se inferiori al nostro standard. Mediamente la vita costa comunque poco e in un buon ristorante è difficile spendere più di 20 euro. Per l'ingresso nel paese è necessario il passaporto. Dal 2013 per i cittadini dei Paesi UE non è più necessario il visto. La moneta armena è il Dram. Il cambio a gennaio 2013 era 1 euro = 541 Dram. Periodo consigliato: In Armenia le precipitazioni nevose sono in genere abbondanti. Le quote delle montagne (Aragats a parte) non sono però molto elevate. Si consiglia quindi di programmare il viaggio tra marzo e metà aprile. Informazioni pratiche: Il sistema più semplice è quello di affidarsi a un'agenzia locale. Ce ne sono diverse, ma nessuna che abbia una particolare specializzazione sullo scialpinismo. Bisogna quindi essere attenti nell'analizzare il programma proposto e preparati alla trattativa in loco per cambiare eventualmente le destinazioni per le gite con gli sci. Non esistono guide che siano in grado di accompagnare gli scialpinisti e il massimo che si può ottenere è una consulenza per sentito dire sugli itinerari migliori. Le montagne sono spesso vulcaniche e mai molto ripide. Anche i dislivelli sono normalmente modesti. Per contro non manca certo lo spazio per improvvisare, salire cime sconosciute, concatenare più montagne o percorrere grandi distanze nella wilderness più assoluta. Un vero e proprio scialpinismo esplorativo. L'organizzazione locale provvede normalmente al trasporto fino alla partenza degli itinerari e alle mete turistiche più interessanti (a volte sono necessari mezzi 4x4), al vitto e all'alloggio. Per muoversi nei dintorni di Yerevan funzionano bene e sono economici sia gli autobus che i taxi collettivi. Accesso: La base di partenza è sempre Yerevan, la capitale. Il volo più conveniente è quello con

Aeroflot, che fa scalo a Mosca. Il prezzo a/r si aggira intorno ai 320 euro.

e inserire nel GPS (strumento assolutamente consigliato).

Cartografia: Non esiste una vera e propria cartografia, così come non esistono guide o relazioni degli itinerari, neanche su Internet. L'unico strumento utile sono alcune mappe sovietiche scaricabili ad esempio dalla pagina www.loadmap.net/en/m42635, che si possono eventualmente georeferenziare

Organizzazione : Noi ci siamo affidati all'agenzia Avarayr (www.avarayr.am), nella persona di Andrey V. Chesnokov (adventure@avarayr.am). È una delle agenzie principali, ma nel catalogo ufficiale non ci sono per ora proposte di scialpinismo. È necessario scrivere e concordare programma e prezzo.


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ARMENIA

2 - Quota 2.897 m verso il Monte Azhdahak (3.597 m)

1 - Tchingildag (2.745 m) È la gita giusta per ambientarsi, raggiungibile facilmente da Tsaghkadzor, il paese in cui si fa base, e può essere effettuata anche in mezza giornata. Al ritorno, a pochi chilometri di distanza, si può provare l'ebbrezza di un bagno termale fangoso e molto artigianale. Accesso: da Tsaghkadzor si raggiunge Jrarat e si imbocca la valle in direzione nord-ovest fino alle poche case di Takyarlu Partenza: lungo la sterrata che da Takyarlu risale il versante nord-est della valle (circa 1900 m) Dislivello: 850 m Sviluppo totale: 7 km Tempo medio salita: 2 ore Difficoltà: BS Pendenza massima: 30° Esposizione: nord-est Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica Itinerario. Saliti in auto lungo la strada fino a dove si riesce, si prosegue sci ai piedi lungo il lato destro della valle. Usciti dalla zona boscosa si continua a salire lungo un'evidente dorsale che, con una serie di cambi di pendenza, conduce alla quota di 2.745 metri. La discesa è lungo lo stesso itinerario.

Raggiungere la cima del Monte Azhdahak, un vulcano spento con uno spettacolare lago nel cratere, non è impresa facile. Una lunga strada conduce da Tsaghkashen a un passo (a circa metà dello sviluppo totale) da cui si scende e poi si risale. La strada è però spesso innevata e non percorribile già dal paese. Noi, causa anche il maltempo, ci siamo accontentati di una cima minore in prossimità del passo. Accesso: costeggiando da nord il Lago Sevan, a circa un terzo della sponda occidentale, subito dopo il bel monastero di Ayravank, si devia a destra raggiungendo prima Gavar e poi il piccolo villaggio di Tsaghkashen Partenza: Tsaghkashen (2.160 m) Dislivello: 850 m Sviluppo totale: 19 km Tempo medio salita: 3 ore Difficoltà: BS Pendenza massima: 30° Esposizione: nord-est e poi sud-est Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica Itinerario. Se dal villaggio è impossibile proseguire, si lascia l'auto nei pressi del piccolo negozio di alimentari. Messi gli sci si segue l'evidente costone in direzione sud-ovest per poi calare verso destra nel fondovalle. Si segue la lunghissima valle, sinuosa e poco pendente, in direzione del passo, poco sotto il quale si raggiunge una conca con alcune baracche abbandonate (2.740 metri). Da qui si può proseguire verso il passo ed eventualmente il Monte Azhdahak, oppure risalire il pendio sulla destra fino a una dorsale di cresta a quota 2.897 metri. La discesa può essere effettuata seguendo per un tratto la dorsale per poi abbassarsi lungo i pendii sulla destra e ricongiungersi con le tracce di salita.

3 - Kisirdag - anticima (2.927 m) È una gita facile ma dal discreto sviluppo. A poca distanza da Jermuk, può essere integrata con un corroborante bagno nelle acque dello stabilimento termale in paese. Accesso: da Jermuk imboccando la strada principale in direzione sud Partenza: poco oltre l'aeroporto, in corrispondenza di uno slargo con una casa isolata (1.980 m) Dislivello: 1.000 m Sviluppo totale: 14 km Tempo medio salita: 2/3 ore Difficoltà: BS Pendenza massima: 30° Esposizione: nord-ovest Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica Itinerario. Dalla casa si risalgono sulla destra i pendii fatti di grandi dossi e avvallamenti. Senza una linea precisa si prosegue in direzione sud-est passando a destra della quota 2.669 metri. Si affronta un pendio abbastanza sostenuto per poi sbucare verso destra sull'ampia dorsale di cresta con due grandi cime (la più alta è quella di destra). La discesa è di nuovo senza percorso obbligato, più o meno lungo le tracce di salita.


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4 - Ishkhanasar (3.550 m) È l'itinerario più appagante, che da solo merita il viaggio. Si svolge su un territorio desolato di confine. La cresta della cima divide infatti l'Armenia dall'Azerbaigian. Non è da sottovalutare per la ripidezza dei suoi pendii e le condizioni della neve devono essere assolutamente sicure. Accesso: dalla zona di Jermuk lungo la strada principale che porta a Saravan, scavalcare il passo Vorotan, scendere a Gorayk e proseguire a sud-est verso il confine con l'Iran Partenza: poco oltre il bivio per Sisian a destra e quello per Ishkhanasar a sinistra si lascia l'auto lungo la strada nel punto che più si avvicina all'evidente cresta sud-ovest della montagna (1.970 m) Dislivello: 1.650 m Sviluppo totale: 15 km Tempo medio salita: 3/4 ore Difficoltà: OS Pendenza massima: 40° Esposizione: sud-ovest Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica. Potrebbero essere utili i rampanti ed eventualmente i ramponi Itinerario. Dalla strada si attraversa la grande spianata senza traccia obbligata, ma puntando all'evidente dorsale che si segue fino in cima. La pendenza vista dal basso e di fronte sembra più accentuata di quello che è. In realtà, salvo condizioni particolari, si riesce a salire sci ai piedi fino alla vetta. La discesa più sicura è lungo la traccia di salita ma, valutati bene i pendii, è più remunerativo rimanere a sinistra della cresta. Si scende per un lungo tratto ma è opportuno, prima di raggiungere il fondo del vallone, ricongiungersi a destra con il percorso di salita.

5 - Aragats - Secondo giorno Cima Ovest (4.080 m)

5 - Aragats - Primo giorno Cosmic Station (3.230 m) È la montagna più alta d'Armenia, con le sue quattro cime, la maggiore delle quali è la nord di 4.090 metri. Si può salire da diversi versanti, ma l'accesso più semplice, anche se molto lungo, è quello da sud, partendo poco sopra il villaggio di Antarut. Il pernottamento alla stazione meteorologica del villaggio scientifico Cosmic Station non è dei più confortevoli ma è un'esperienza! Accesso: da Yerevan in direzione nordovest si prende la strada per Ashtarak per poi proseguire fino a Agarak e a Antarut Partenza: da Antarut si sale in auto fino a dove è possibile, in genere in corrispondenza del centro di ricerca di fisica (1.980 m) Dislivello: 1.250 m Sviluppo: 16 km Tempo medio salita: 4/5 ore Esposizione: sud-est Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica Itinerario. Difficile perdersi, perché basta seguire la linea elettrica, tagliando curve e tornanti della strada. La pendenza è sempre modesta, specie nel tratto finale che con un ultimo mezzacosta conduce in vista del centro di ricerca sui raggi cosmici. La 'sistemazione alberghiera' può variare. Noi eravamo alloggiati nella piccola stazione meteorologica, l'ultima costruzione in direzione dell'Aragats. Giunti in vista della meta, se non si è stanchi di macinare chilometri, è possibile fare una digressione sul pendio di destra, raggiungendo una panoramica cresta (3.430 m).

Dislivello: 850 m Sviluppo totale: 10 km Tempo medio salita: 2/3 ore Difficoltà: OSA Pendenza massima: 45° Esposizione: sud, sud-ovest per l'ultimo tratto verso al cima Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica + rampanti e ramponi Itinerario. Si attraversa la spianata in direzione della cima. Volendo è possibile salire prima, verso destra, la cima sud (3.879 metri), per poi raggiungere il colle tra cima sud e cima ovest. La cima ovest ha un ultimo pendio di circa 250 metri molto ripido (tratti a 45°), che può essere percorso (sci ai piedi nel primo tratto) solo con condizioni sicure. In alternativa dal colle tra le due cime si sale e si scende a piedi all'estremità destra del pendio su una linea più sicura tra le rocce. Tornati al colle ci sono diverse possibilità. La prima è quella di dirigersi verso la cima nord, la più alta (4.090 metri). È però un percorso piuttosto delicato e l'ultimo pendio è ripido e spesso senza neve. Altrimenti si può affrontare, senza ripassare dalla Cosmic Station, la lunghissima discesa che verso est porta fino al villaggio di Aragats. È un itinerario molto bello che però ha un tratto intermedio con salti di roccia e ghiaccio che vanno superati lateralmente. Oppure si può semplicemente tornare lungo l'itinerario di salita, compresi i 16 chilometri del primo giorno, che però si riescono a fare quasi tutti senza spingere.


30 > opinioni

PENSIERI BIZZARRI testo: Leonardo Bizzaro Leonardo Bizzaro, torinese da vent’anni, è nato a Trento nel 1958. Nella redazione di Repubblica sotto la Mole scrive di spettacoli e cultura, ma l’attenzione maggiore la dedica alla montagna. Ha collaborato con le riviste del settore, scritto libri, è stato per lungo tempo nel consiglio direttivo del Filmfestival di Trento, colleziona smodatamente libri, e non solo, dedicati alla sua passione. Alpinista, con e senza gli sci, ha salito vette e attraversato ghiacciai in varie parti del mondo, dalla Patagonia all’Himalaya.

Una valanga di leggi

Q

Il rapporto tra legislatore, magistratura e montagna quando si verifica una tragedia non è mai stato felice. Dalla catastrofe del Pavillon nel 1991 alle ultime domeniche Quanto ci arrabbiamo se telegiornali e quotidiani tirano conclusioni affrettate e perlopiù sbagliate su un incidente in montagna! Ma dovrebbe fumarci di più la testa di fronte a certi interventi della magistratura ad esempio su una valanga che uccide. La montagna non è ‘legibus soluta’, come direbbero i vecchi codici, nessuno pretende che lassù un giudice non possa vederci chiaro. L’alpinismo e i suoi derivati sono sport a rischio, ma questo non significa che tutto sia permesso. Prima di indagare sullo scontro fra due auto in strada, però, ci si aggiorna non solo sulla legge, ma anche su un minimo di meccanica. In montagna no, perlopiù si bada a quanto una tragedia occupa le pagine dei giornali e si interviene a piedi giunti. Senza saper nulla del territorio di cui ci si occupa e tanto meno della tecnica. Come se, appunto, volessimo capire qualcosa sullo schianto fra due vetture e pensassimo che quelle scatole di latta si muovono a pedali. La valanga del Pavillon del febbraio 1991 fece dodici vittime, dodici sciatori morti su una pista aperta al pubblico che evidentemente non era sicura se un seracco staccatosi al Colle del Gigante fu capace di liberare un’enorme massa nevosa che sconvolse la montagna fino a valle. Per i controlli insufficienti ci furono delle condanne, ma il pm che per primo indagò sul fatto si fece notare soprattutto

per una decisione: il divieto di salire verso il Monte Bianco per un intero weekend. Come si può impedire di salire su una montagna? Il magistrato, che di montagne evidentemente aveva ben poca esperienza, non lo spiegò e infatti quel fine settimana nessuno si preoccupò di far rispettare la disposizione. Dopo la prima nevicata abbondante dello scorso dicembre scialpinisti e ciaspolatori hanno affollato come sempre gli itinerari più noti prima che la neve cominciasse a trasformarsi. Il risultato, domenica sera, è stato di tre morti e nove interventi del soccorso alpino. Il giorno dopo un noto sostituto procuratore ha annunciato, nella consueta riunione del mattino con i giornalisti, che si sarebbe occupato della faccenda. Qualcuno ha obiettato che la montagna esulava dagli argomenti di cui il magistrato, con grande saggezza, si era sempre occupato e lui ha confermato: è vero, non ho idea di che cosa sia la montagna, ma vedrò di chiedere a qualche esperto. Su qualche giornale c’è stato chi ha pure scritto che ci vorrebbe una legge, finalmente. Ma una legge esiste, prevede ad esempio l’uso dell’Artva, ma dimentica che il ricercatore elettronico non ha alcuna utilità per chi non porta anche una pala e magari una sonda. E la normativa è volutamente ambigua: non si capisce dove, chi e quando dovrebbe obbligatoriamente portarlo. Negli ultimi anni la giurisprudenza ha spesso sottolineato il concetto di responsabilità, arrivando a ipotizzare conseguenze penali per chi in una cordata può apparire il più esperto. Ma l’alpinismo è un’altra cosa, il più esperto può essere in condizioni fisiche precarie. Non è la scuola guida dove basta avere la patente da dieci anni per accompagnare un principiante. Ogni commento è lasciato ai lettori, ma forse gli esempi americano e francese dovrebbero farci riflettere. In montagna, almeno nelle stazioni di sci, un confine e un cartello avvertono che, oltre, la responsabilità è totalmente tua. P.S. In realtà non è solo la magistratura italiana a essersi occupata di casi alpinistici in maniera talvolta ‘creativa’. ‘La legge della montagna’ di Augusto Golin, pubblicato da Corbaccio, esamina «i più celebri casi giudiziari che hanno segnato la storia dell’alpinismo». Dalla prima salita del Bianco di Balmat e Paccard al Cervino di Whymper, dal K2 degli italiani al Nanga Parbat di Messner, passano in rassegna assurdità e ignoranze. Che invitano a riflettere chiunque.


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WILDER KAISER

A l l'IMP E R AT OR E PIACE RIPIDO Alla scoperta della 'prua rocciosa' del Wilder Kaiser, in Tirolo, piccolo santuario dello scialpinismo ripido con vista sulle dolci montagne dei dintorni di Kitzbühel. Un massiccio che raggiunge quote di poco superiori ai 2.000 metri ma garantisce ottime condizioni fino a stagione inoltrata TestO E FOTO : ANDREA FORNELLI

C

hiunque, nella notte dei tempi, si sia preso la briga di disegnare le montagne attorno a Kitzbühel, doveva senz’altro essere un fervente appassionato di quello che un giorno si sarebbe chiamato freeride. Questo artista visionario ha infatti perfettamente modellato decine di valloni lungo i quali la mano dell’uomo ha poi rosicchiato, nel corso dei secoli, una teoria infinita di alpeggi, fino a farne oggi un terreno ideale per la pratica dello scialpinismo invernale. In questo festival di prati, boschi e dorsali a pendenze idilliache è però evidente che al progettista qualcosa è sfuggito di mano. Magari spossato da tanto impegno, o molto più probabilmente piegato dalla birra, il nostro benefattore s’è smarrito nell’universo di valloni che gli ronzavano nella testa e alla fine ha risolto la difficilissima convergenza alpina con un'enorme scaglia di calcare, il Wilder Kaiser. Ora, se l’origine morfologica del massiccio può risultare quantomeno bizzarra, per la toponomastica la tradizione locale non è certo da meno. La leggenda narra infatti che, nel lontano Seicen-

to, un musico fosse solito scorgere, nel profilo meridionale di queste montagne imbiancate, immensi mantelli d’ermellino punteggiati di gemme (la fioritura primaverile), mantelli sovrastati da una regale corona (il profilo delle creste rocciose). Che questo grandioso imperatore (Kaiser) fosse pure d’animo impetuoso e selvaggio (Wilder), al brillante musico devono invece averlo ricordato le catastrofiche valanghe che, al termine degli inverni caratterizzati da abbondanti precipitazioni nevose, rastrellano ferocemente il massiccio. Quali che siano le sue origini, oggi il massiccio si presenta come una straordinaria prua rocciosa lunga una quindicina di chilometri e ampia poco meno di dieci, perfettamente disposta lungo l’asse est-ovest, una spettacolare sfilata di pareti che, in contrasto con le montagne di panna di Kitzbühel verso sud e le colline bavaresi verso nord, offre uno straordinario colpo d’occhio. Di fronte a cotanto paesaggio, l’indole compulsiva dello scialpinista, che tradizionalmente non s’accontenta di un bucolico sguardo, verrà ampiamen-


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Nella foto. Il canale che porta al Schoenweterfernstel


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WILDER KAISER

te soddisfatta: questo mare verticale di calcare è infatti solcato, tanto lungo il versante meridionale che lungo quello settentrionale, da selvaggi valloni, ripidi canali e immensi conoidi, a volte evidenti e a volte meno, pendii tutti accomunati da gran continuità e, soprattutto, da una straordinaria cornice. A oriente e occidente il Wilder Kaiser è inciso da piccole valli secondarie: la Kaisertal a ovest e la Kaiserbachtal a est, valli che si incontrano a 1.577 metri, in corrispondenza dello Stripsenjoch. A Nord di queste due valli il massiccio degrada con una seconda linea di vette, lo Zahmer Kaiser (Imperatore Tranquillo), forse meno imponenti di quelle della facciata principale, ma non per questo meno belle o meno interessanti da un punto di vista scialpinistico. Per quanto riguarda la quota è invece d’obbligo sottolineare quanto il presunto progettista col tarlo del freeride ci sia andato giù con gran parsimonia: la vetta più alta del massiccio, l’Ellmauer Halt, arranca infatti a malapena a 2.344 metri. Tanta modestia, soprattutto per chi è abituato a muoversi lungo le Alpi centro-occidentali, non deve comunque allarmare: il clima più rigido rispetto al versante meridionale delle Alpi, e quote di partenza sempre sotto i mille metri, fanno infatti del Wilder Kaiser una vera chicca per gli amanti dello scialpinismo. Una chicca sì, ma non per tutti… Proprio in ragione della sua selvaggia morfologia il massiccio tende infatti a offrire gran soddisfazione al pubblico dei BS/OS (valutazioni alle quali, senza imbarazzo, conviene spesso aggiungere il pedice A) e un mondo di variazioni sul tema a quello dei ripidisti, dimostrandosi invece alquanto tirchio nei confronti dei cultori delle tranquille gite invernali. Questi ultimi non devono però farsi vincere dal malincuore, perché nel caso si trovino a bazzicare nel cuore dell’inverno in questo angolo del Tirolo, al loro piacere provvede la stragrande maggioranza delle altre valli nei dintorni di Kitzbühel. La bibliografia scialpinistica del Wilder Kaiser recensisce ufficialmente una quindicina di itinerari, ai quali si deve però aggiungere una considerevole

ITINERARI DA NON PERDERE

Austria

Periodo consigliato: In considerazione dell’esposizione e delle pendenze la stagione migliore per praticare lo scialpinismo in Wilder Kaiser è solitamente compresa tra metà febbraio e inizio aprile, arco temporale ovviamente variabile in funzione delle condizioni della neve e delle sue evoluzioni nel corso della stagione. Chi non avesse la possibilità di reperire informazioni attendibili può, tanto per farsi un’idea, consultare le numerose webcam del comprensorio dello Skiwelt (www.skiwelt.at), dirimpettaio verso sud del Wilder Kaiser. Lo Skiwelt, con i suoi 98 impianti e 279 km di piste, è il più grande comprensorio sciistico d’Austria, ed è in grado di offrire, anche allo scialpinista più intransigente, una valida alternativa in caso di condizioni nivologiche avverse.

Accesso: Dall’Italia il massiccio del Wilder Kaiser si raggiunge transitando attraverso Innsbruck, crocevia tanto per chi scendesse dal Brennero, tanto per chi arrivasse da St. Moritz. Dal cuore del Tirolo sono circa 1/1,5 ore di viaggio lungo l’autostrada A12 in direzione Monaco di Baviera: si esce a Wörgl Ost e si prosegue lungo la statale 178 in direzione St. Johann in Tirol/ Lofer. Dall’uscita dell’autostrada in circa 15 minuti si raggiunge Söll, il primo paese ai piedi del versante meridionale del massiccio, cui seguono Scheffau, Ellmau e quindi Going, prima di scendere verso la piana di St. Johann in Tirol. L’autostrada in Austria si paga acquistando un adesivo ('vignette') da applicare al parabrezza: chi visitasse il paese una volta solamente, e si trattenesse


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Nella foto. Il versante meridionale del Wilder Kaiser

Di fronte a cotanto paesaggio, l'indole compulsiva dello scialpinista, che tradizionalmente non s'accontenta di un bucolico sguardo, verra' ampiamente soddisfatta: questo mare verticale di calcare e' infatti solcato da ripidi canali

solo qualche giorno, può acquistare in un qualsiasi distributore l’adesivo valido 10 giorni al costo di 8 euro. Dormire e mangiare: Per quanto riguarda la sistemazione è d’obbligo premettere che il Wilder Kaiser (nonché tutto il Tirolo) è una delle regioni più turistiche d’Europa, e ciò significa che da queste parti quasi ogni impresa vive di, per, con, sul turismo. Percorrendo i poco meno di 25 chilometri che separano Söll da St. Johann in Tirol scoprirete in ogni paese un universo di hotel, B&B, appartamenti, camere e quant’altro, universo nel quale risulta onestamente impossibile fornire un consiglio. Ma non allarmatevi, il tirolese mette a disposizione dei turisti un eccellente sito interattivo, pure in italiano,

lista di tracce ufficiose tipicamente classificabili nell’ambito del ripido, tra le quali il gran dedalo di canali del versante sud del Tuxegg (in palio il premio 'audace e ostinato' per chi trovasse una soluzione interamente sciabile) e lo sbilenco canale sospeso che porta a una sella a ovest dello Scheffauer (itinerario rustico assai, osservabile dal bellissimo Hintersteiner See). La selezione di itinerari proposti in questo articolo, non potendo ovviamente esaurire tutte le possibilità, intende comunque far conoscere entrambi i versanti del massiccio, lungo quelli che risultano essere gli itinerari primaverili sciisticamente più interessanti. Altri li potete trovare sul web ed è giusto sottolineare come anche il tirolese disponga di un sito di riferimento per la recensione degli itinerari: www. tourenwelt.at. A differenza nostra però, gli indigeni di queste valli passano molto più tempo a rigar pendii di quanto non dedichino a descrivere, con minuziosa inutilità, i dettagli delle loro merende in vetta o 'menate' simili, col risultato che spesso la gita cui si è interessati pare non essere da tempo ripetuta. La sorpresa arriva però immancabilmente al momento di scendere dalla macchina, quando anche le linee più insospettabili ed audaci appariranno già rigate e, soprattutto, quando ci si accorgerà di non essere gli unici al parcheggio. Scialpinismo in una regione a così alta vocazione

turistica significa poi che alla mortificazione del quadricipite durante le prime ore del giorno è ovviamente possibile far seguire la frollatura del cerebro nel corso del pomeriggio/sera. Tutti coloro a cui dislivello e fatica non forniscono sufficiente appagamento potranno infatti abbrutirsi tanto di après-ski in uno qualsiasi dei tendoni alla partenza degli impianti, quanto di 'nightclubbing', principalmente nei locali di Söll o di Ellmau. E quando una bella mattina il gagliardo mix di 'ski ed alcool' avrà trasformato le vostre gambe in due ceppi di mogano e la vostra schiena in una parete di cartongesso, rifugiatevi in un bagno termale. Tra i tanti sicuramente raccomandabile il centro di Ebbs: www.hallodu.at (nb: qui alle terme si accede tutti rigorosamente nudi…). Per finire un paio di doverosi consigli. Innanzitutto, dato che in Austria la birra è di qualità e gli schnapps van via che è un piacere, non è da escludere l’eventualità di sorprendersi allegri, molto allegri, ovvero di non riuscire più a drizzarsi in piedi. In questi casi conviene chiamare uno dei numerosissimi taxi locali, perché perdere la patente in questo paese è questione assai semplice e probabile. E per quanto riguarda i limiti di velocità, a meno che non ci si senta irresistibilmente fotogenici o si abbia l’ambizione di primeggiare nel social network della polizia, meglio rispettarli!

su cui è possibile formulare una specifica richiesta di sistemazione (periodo, numero di ospiti, costo…), ottenendo prontamente una vasta selezione di proposte: www.wilderkaiser.info/it

compresa in due interessanti guide. La prima è 'Skitourenführer Tirol' di A. Jentzsch-Rabl/J. Zagajsek edizioni Alpinverlag. Recente, dettagliata, con ottime immagini e riferimenti cartografici. In tedesco. Da segnalare anche 'Berchtesgardener und Chiemgauer, mit Kaiser und Steinbergen' di S. Brandl, edizioni Rother. Essenziale e precisa. In tedesco.

Cartografia: Tutti i dettagli di questo spettacolare spicchio delle Alpi sono consultabili su due carte austriache, entrambe disponibili in scala 1:25.000. La 8 (Kaisergebirge) dell'Alpenvereinkarte e la 09 (Kufstein-Walchsee, St. Johann in Tirol) edita da Kompass. Sono entrambe valide, ma l’accuratezza grafica della carta dell'Alpenverein (Club Alpino Austriaco) è di gran lunga superiore. Bibliografia: L'area del Wilder Kaiser è, tra le altre,

Info meteo e valanghe: In un’area in cui la variabilità la fa da padrona, le previsioni più attendibili sono solitamente consultabili all’indirizzo ww.bergfex.at/ellmau/wetter L'AUTORE DEI QUESTO SERVIZIO: fornellia@yahoo.it


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WILDER NUOVAKAISER ZELANDA Nella foto Ultimi pendii sotto l'Ellmauer Tor, Kitzbuehel nelle nebbie

Itinerario 1 Ellmauer Tor (2.006 m) e Hintere Goinger Halt (2.192 m)

Itinerario 2 Rote Rinn Scharte (2.099 m)

Una chicca per agli appassionati di ripido in pieno sud-est In verità, se affrontato con buone condizioni di innevamento e rigelo notturno, si tratta di un bellissimo itinerario in ambiente maestoso, con una gran discesa lungo gli immensi pendii a ovest della Gruttenhütte. Assolutamente indispensabile lasciare l’auto prima dell’alba. La salita dal versante qui proposto può diventare parte del 'Kaiser Express', gran traversata del massiccio (vedi l'itinerario 6). Accesso Come per Ellmauer Tor / Hintere Goinger Halt Partenza Wochenbrunneralm (1.085 m) Dislivello 1.000 m Tempo medio salita: 2/3 ore

Difficoltà: Scendendo in sci dall’intaglio 4.1/E1, altrimenti OS Esposizione Fino all’attacco del conoide prevalentemente sud, conoide e canale est/ sud-est. Discesa pieno sud lungo i pendii a ovest della Gruttenhütte Attrezzatura Piccozza e ramponi consigliabili per la parte superiore del canale Itinerario A differenza dell'Ellmauer Tor qui di evidente, almeno fino al rifugio, c’è ben poco. Dal parcheggio si attraversa il bosco in direzione nord/nord-ovest lungo il sentiero estivo per la Gruttenhütte. A 1.350 m circa si risale, in pieno sud, il ripido pendio concavo e, destreggiandosi tra piccole balze e fondi di slavina, si esce verso destra a quota 1.550 m (rifugio in


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L’imperdibile classica del Wilder Kaiser, da evitare nei weekend. Itinerario strepitoso per la qualità del terreno, per la varietà di contropendenze lungo in cui cercare fortuna in discesa, nonché per la corona di pareti che arredano il vallone. La salita al Hintere Goinger Halt aggiunge il piacere di una vetta. Accesso Ellmau, statale 178 (E641). Arrivando ad Ellmau da St. Johann in T. svoltare a destra (cartelli verdi Kaiserbad, Golf Platz, Wochenbrunner alm). Provenendo da Wörgl svoltare a destra entrando in Ellmau, girare a sinistra attorno alla casa con i sensi unici (prima della chiesa), scendere verso N, passare sotto la statale e poi subito a destra. Da qui le strade si congiungono e mancano circa 5 km al grande parcheggio della Wochenbrunneralm Partenza Wochenbrunneralm (1.085 m) Dislivello 900 m per l’Ellmauer Halt, 1.100 m per l’Hintere Goinger Halt Tempo medio salita: 2/3 ore, 30 Min per l'Hintere Goinger Halt

vista). Sopra il rifugio un lungo traverso su ripidi pendii in direzione ovest/nordovest conduce alla base del conoide della Rote Rinn Scharte (1.800 m circa). Da qui all’intaglio sono 300 m con uscita a quasi 40°. In caso di condizioni deprimenti del canale, appena iniziato il traverso sopra il rifugio, si può puntare a un dosso quotato 1.849 m al centro dell’anfiteatro del Hochgrubach. La discesa più conveniente è quella diretta a ovest della Gruttenhütte e termina a quota 1.150 m circa, dove una sterrata in breve conduce al parcheggio.

Nella foto Primo sole sulla Gruttenhutte e sul conoide della Rote Rinn Scharte

Difficoltà BS per l’Ellmauer Tor. La discesa diretta dal Hintere Goinger Halt, per almeno un centinaio di metri, non è quasi mai in condizione per via dell’azione combinata di sole e vento Esposizione Pieno Sud. Le pareti del Törlspitze e del Vordere Goinger Halt difendono comunque per un paio d’ore il vallone dall’arrembaggio del sole Attrezzatura I ramponi possono risultare utili per l’Hintere Goinger Halt Itinerario Per chi mai, una volta al parcheggio, venisse colto da dubbi in merito alla direzione da prendere, il consiglio è quello di correre a uno dei bei tavoli della Wochenbrunner alm. Per tutti gli altri si segue l’evidente vallone in direzione nord/nord-est lungo il sentiero estivo per la Gaudeamushütte e, prima del rifugio, si piega in pieno nord puntando al colle (attenzione ai pendii sulla sinistra orografica). Dal colle alla punta inizialmente per ripido pendio aperto, esposto a ovest/sud-ovest, e quindi per marcata traccia.


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WILDER KAISER Itinerario 3 Treffauer Lucke-Schneekar (2.121 m)

Il Treffauer Lucke offre terreno ripido, ambiente selvaggio e gran pendii in abbondanza, a patto però di saper cogliere l’attimo. Mentre infatti il vallone in pieno sud sopra la Wegscheid Alm inizia ad arrostire verso le 9 del mattino, la Schneekar resta in ombra fino al pomeriggio e il giusto equilibrio tra un 4.2 sul marmo e una sessione di sci nautico non è facile da gestire. In ogni caso gita superlativa. Accesso Dalla statale 178 (E641) salire a Scheffau e, poco dopo la Chiesa, svoltare a destra salendo fino alla Jägerwirt (circa 4 km da Scheffau). Parcheggiare poco sotto la Gasthof Partenza Jägerwirt (870 m) Dislivello 1.250 m Tempo medio salita 3/4 ore Difficoltà OSA. Per la discesa in sci dall’intaglio approssimativamente 4.2/E2 (calzata sci problematica) Esposizione Ovest per la Schneekar, pieno sud da 1.600 m circa al parcheggio. L’enorme piramide del Tuxegg protegge dal sole il vallone inferiore durante le prime ore del mattino,

Nelle foto. Dal piccolo rifugio la visuale sul canale, sotto Griesener Alm

nonché la Schneekar per gran parte della giornata Attrezzatura Piccozza e ramponi utili per gli ultimi 50/100 metri sotto l’intaglio Itinerario Dal parcheggio (sbarra) si risale il vallone principale, passando la Wegscheid Niederalm (baita polverizzata da una valanga

nell’inverno 2012) e, a quota 1.050 m circa, si svolta in direzione nord ovest risalendo l’evidente crinale. All’altezza della Wegscheid Hochalm si piega in pieno N risalendo l’ampio anfiteatro fin sotto una paretina con cascata. Si sale il ripido pendio a destra della parete e, verso quota 1.650 m, si svolta verso est entrando nella Schneekar. Il vallone, inizialmente ampio, si raddrizza e si restringe progressivamente fino all’intaglio (cornici).


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Itinerario 4 Schönwetterfensterl (2.197 m)

La perla del Wilder Kaiser! Itinerario straordinario per la qualità e la continuità dei pendii, per la cornice di guglie, pareti e canali e per la sensazione di selvaggio isolamento. Pur non essendo estremo, si tratta comunque di un itinerario impegnativo esposto al rischio di slavine, soprattutto nel tratto di bosco. Accesso Da St. Johann in Tirol in direzione di Schwendt lungo la statale 176. A Griesneralm imboccare la Kaiserbachtal, passare il pedaggio (autovetture 3 euro) e risalire la valle fino al parcheggio della Griesneralm (5 km circa). Anche se la Alm è sempre aperta la strada viene solitamente resa percorribile a fine marzo (prima di questa data si risale lungo la pista di fondo oppure con servizio shuttle, verificabile al sito www.griesneralm.com Partenza Griesneralm (986 m) Dislivello 900 m al rifugio, 1.250 m alla breccia e circa 1.300 m alla punta Tempo medio salita 3/4 ore Difficoltà BS fino al rifugio, 4.1/E1 per la discesa in sci

Nella foto. In salita, verso l'attacco del canale

del canale Esposizione Nord dal primo all’ultimo metro Attrezzatura Piccozza e ramponi consigliabili per il canale e per la salita alla punta Itinerario Si attraversa il Kaiserbach di fronte alla Alm e si risale l’ampio prato in pieno nord. A 1.200 m circa si piega verso E e, tagliando il bosco e un ripido canale, si accede al vallone del Großes Griesener Tor. Lo si risale spostandosi progressivamente verso il lato destro orografico fino a raggiungere il colle a quota 1.850 m sotto la piccola FritzPflaum Hütte. Si scende una cinquantina di metri in direzione sud/sud-est puntando all’evidente conoide e si risale il sinuoso canale fino all’ampia breccia (max 45°). Da qui, per rocce rotte e cresta esposta, è possibile portarsi in vetta all'Hochgrubachspitze (2.277 m). Come alternativa, una volta raggiunto il rifugio, si possono salire tanto la Kleinen Törl (2.111 m), 3.3/E1 con esposizione nord, quanto la Goinger Scharte (2.085 m), 3.3/E1 con esposizione est, entrambe evidenti. In caso si opti per queste varianti conviene, in discesa, aggirare a ovest il Kleinkaiser (2.039 m).


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WILDER KAISER Itinerario 6 Kaiser Express

Nella foto. Passaggio ripido al fondo della Egersgrinn

Itinerario 5 Pyramidenspitze (1.997m)

e proseguire fino alla Gasthaus, il cui parcheggio è riservato ai clienti Partenza Gasthaus Köllenberg (880 m) o meglio il piccolo skilift poco a monte Dislivello 1.050 m. Tempo medio salita 3/4 ore Difficoltà OSA. A meno di condizioni davvero straordinarie non è pensabile scendere in sci le balze che chiudono la Egersgrinn poco sotto il colle Esposizione Dorsale di vetta esposta a sud/sud-est, tutto il resto pieno nord

Anche se l’itinerario risulta un po' discontinuo per via della strada forestale e, soprattutto, dello scorbutico passaggio sotto il colle, la Egersgrinn offre uno spettacolare terreno sciistico nel solito maestoso contesto di pareti. Percorso impegnativo e severo, sconsigliabile a chi non si senta a proprio agio su pendii ripidi e soprattutto esposti e per il quale è assolutamente necessario attendere condizioni di neve assestata. Accesso Da Kufstein a Ebbs lungo la strada statale 175. Entrando in Ebbs svoltare verso est subito dopo la chiesa, seguire per Feldberg, lasciando a sinistra il bivio per la piccola chiesetta di St. Nikolaus (visibile)

Attrezzatura Piccozza e ramponi senz’altro consigliabili Itinerario Si sale a lato dello skilift e in breve si raggiunge la strada forestale che sale nel bosco (direzione prevalente sud-ovest), seguendola fino al suo termine a quota 1.200 m circa. Si attraversa verso nord la piccola conca e, cercando di limitare i danni, si aggira la balza rocciosa sul lato destro orografico. Si risale la ripida Egersgrinn fino a quota 1.800 m circa, dove un breve canale sinuoso conduce alla base di una serie di balze. Passato il peggio si giunge in breve al colle e, per ampia dorsale verso est, alla cima.

La gran traversata sud-nord del massiccio collega l'itinerario alla Rote Rinn Scharte con quello alla Pyramidenspitze. È una 'maschia' frullata di quadricipiti per un totale di 2.000 m di dislivello e dalle 5 alle 8 ore di percorrenza, cui s’aggiungono gran impegno e concentrazione nella discesa del versante nord della Rote Rinn Scharte (4.1/E2) e della buona volontà per risalire, quando già s’è fatto tardi, alla Pyramidenspitze (1.997 m) lungo i ripidi pendii meridionali. Itinerario Dall’intaglio della Rote Rinn Scharte si scende tenendo dapprima il centro e quindi la sinistra orografica del ripido vallone e una volta passate le ultime balze si punta alla Kaisertalhause (Hans-BergerHaus, 936 m). Da qui si segue il sentiero estivo per la Pyramidespitze verso nord/ nord-est fino alle rovine di una piccola Alm a quota 1.047 m e quindi in direzione nord, risalendo il centro del piccolo vallone dell'Ökselweidkar. Discesa come per l’itinerario 5.


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FABIO PASINI testo: Umberto Isman

Un t r a nq uil l o ins e g na Nt e d i e d uca zio ne f isica di provin cia Ne l te mpo l ibe r o s i t r a s f o r ma in un v e r o r e co r d m an dell'estrem o e d e i g r a n d i s pa zi, ca pace d i at t r av e r s a r e l a G r o e nlan dia e la terra d i B a f f in co n g l i s ci, d is e g na r e curv e s ul l a s a bbia del deserto...

abio Pasini è uno degli sportivi più eclettici e multidisciplinari che conosca. È di S. Secondo, nella Bassa Parmense, è nato nel 1968 e quando non è in giro per il mondo insegna educazione fisica alle scuole superiori. È anche un ottimo fotografo e sa scrivere e filmare. I suoi reportage sono usciti su numerose testate. È un'intervista tra 'sciatori stampellati', io con una brutta distorsione al ginocchio e un legamento crociato rotto, Fabio con uno strappo al bicipite femorale rimediato sugli sci da fondo. Un disastro. Ma ci si arrangia: letto, computer, foto, video e via a raccontare. Fabio, fammi un elenco delle tue esperienze sportive e delle tue imprese. «Per favore non cominciamo con gli elenchi. Non mi piacciono, così come non mi piacciono i curricula. Non sono un collezionista di esperienze, ho sempre seguito un filo ideale, dettato più che altro da un mio percorso interiore». Sì, ma che intervista è se non diciamo cosa hai fatto nella tua vita di atleta e di esploratore? Allora lo faccio io, per quello che mi ricordo. Calciatore nelle giovanili del Parma, poi un fallo cattivo, ginocchio fratturato malamente e fine della carriera. Canoista sportivo fino a vincere i campionati italiani di canadese biposto e a un quarto posto ai mondiali. Sciatore fondista con numerose partecipazioni e buoni piazzamenti alle grandi classiche, dalla Marcialonga alla Vasaloppet.... «Dai, basta, ti interrompo. Più o meno è così, ma questa è per così dire la mia carriera agonistica, quella più lontana nel tempo. Non ci tengo granché a ricordarla. Più che altro dopo quelle esperienze in me è scattato qualcosa, non ho più cercato di primeggiare negli sport che praticavo. Anzi, ho cercato la solitudine, i grandi spazi, le difficoltà tecniche sì, ma senza il confronto con i miei simili. Caso mai ho cercato alleanze, amicizie profonde». E quindi? «Quindi a 17 anni avevo già cominciato con lo scialpinismo, con mio papà e un amico guida alpina. In

realtà ero anche stato tentato dallo sci alpino agonistico, ma poi mi ero dedicato al calcio. Insomma, terminata la carriera agonistica ho ripreso in mano sci, pelli e zaino, per me sinonimo di libertà, di 'poter andare'. Mi piaceva anche solo assaporare l'ambiente, il silenzio, il vento. Anche su montagne non famose né difficili. Sulle Piccole Dolomiti ad esempio, che ho girato in lungo e in largo». E non sei mai stato tentato da un'impresa sulle grandi montagne? «Tentato sì. Nel '97 ho partecipato a una spedizione in Himalaya, al Cho Oyu, con Renzo Benedetti e il mio amico Luca Campagna. Sono però stato preso da troppa foga: al campo base a 4.800 metri mi sono fisicamente distrutto in una partita a calcio contro gli sherpa e poi in un campo alto a 6.100 metri sono stato malissimo e ho dovuto rinunciare». Almeno la partita l'hai vinta? «Gli ho ficcato tre goal... Però, vedi, da quell'esperienza sono tornato con una 'cartolina' che diceva che preferivo ambienti con meno traffico. Trovarmi lì con tutta quella gente era esattamente agli antipodi del perdersi in un bosco, che era quello che piaceva a me. Ho pensato che con lo stesso budget avrei potuto vivere avventure ben più interessanti. È allora che ho cominciato a sentire il richiamo dell'Artico del 'White out', come si dice, che io chiamo 'Tutto bianco'. Volevo dimenticare una volta per tutte l'aspetto agonistico. Lì la conquista non è finire la gara e poi andare a casa, ma finire la giornata, il campo, la tenda, la notte, per poi ricominciarne un'altra». Quindi sei partito per la Groenlandia... «Sì, nel '99 con Martin Planker abbiamo fatto la traversata integrale da est a ovest con gli sci. 600 chilometri in completa autosufficienza, senza alcun contatto con l'esterno. Ci abbiamo messo 32 giorni e una notte, la più terribile, perché usciti dal ghiacciaio l'adrenalina era improvvisamente calata e non ci reggevamo più in piedi, anzi, dormivamo camminando. Io ho perso 17 chili e entrambi abbiamo subito pesanti congelamenti, Martin ha perso un pezzo di naso.


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Doctor Pasini

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Hyde


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FABIO PASINI Nelle foto. Sotto. Discesa dallo Stauren alle Iseole Lofoten. A destra. Pasini in azione in Marocco. In basso a destra Fabio durante la nostra intervista tra 'stampellati'.

Avevamo sbagliato a muoverci col brutto tempo, tirava un vento da nord fortissimo, il Piterak, e per un paio di giorni abbiamo vagato nella bufera girando praticamente su noi stessi. Montando la tenda una sera ci siamo congelati. Siamo andati avanti ancora per 23 giorni grazie alle iniezioni di Calciparina, un vasodilatatore. Ci muovevamo in una distesa completamente bianca e piatta, dove non esistono mappe e se esistessero sarebbero comunque dei fogli immacolati. L'unica cosa che cambiava era essere davanti o dietro, con il riferimento del tuo compagno. Un tavolato bianco che era come il lettino dello psicanalista. Il cibo poi era interamente liofilizzato, una dieta da astronauti. Per 32 giorni non abbiamo mai masticato. Quando sono tornato a casa ho fatto 10 giorni di ospedale e poi sono partito con la mia compagna e il cane per la traversata della Corsica, ma da sud a nord per non avere il sole in faccia, e con le ciabatte perché i piedi erano ancora gonfi». Altre esperienze del genere? «Nel 2001 insieme a Luca Campagna ho attraversato la Terra di Baffin, 240 chilometri in una dozzina di giorni. Tecnicamente è stata più difficile del-

la Groenlandia, perché il terreno è molto accidentato e bisogna superare dislivelli e fiumi ghiacciati, però è durata meno e soprattutto non si vive quel senso di isolamento assoluto della Groenlandia. Poi nel 2004 le isole Svalbard, salendo una decina di cime con gli sci. Infine il viaggio che ha richiesto più preparazione: il tentativo di traversata dello Hielo Patagonico Norte. L'avvicinamento era complicatissimo, un lungo trekking a cavallo, poi un lago da attraversare per 12 chilometri, due giorni di marcia tra piante e arbusti inestricabili e infine il ghiacciaio. Abbiamo ideato dei 'tronchi di canoa', segando canoe intere, che fungevano da zaino per i tratti a piedi, da imbarcazione sul lago e da slitta sulla neve. Tutto molto ben congegnato, peccato che uno dei miei due compagni, appena cominciata la marcia sul ghiacciaio, è caduto in un crepaccio. La corda l'ha trattenuto, ma girandogli intorno alla spalla gliel'ha spezzata. La vera impresa è stata per me tornare indietro a cercare soccorso, mentre il terzo lo assisteva. La canoa si era bucata e ho dovuto aggiustarla con mezzi di fortuna. Alla fine in tre giorni sono riuscito ad arrivare ad una stazione di polizia e a chiamare l'elicottero».


Adesso vado avanti io con l'elenco. Capo Horn doppiato in canoa... «Un'altra di quelle cose senza senso, solo per vivere l'avventura. Eravamo monitorati dalla polizia argentina e poi da quella cilena, volevano che ci seguisse una barca di appoggio ma l'abbiamo rifiutata. Però alla fine della traversata, mentre festeggiavamo in mezzo ai turisti, una nave militare cilena ci ha blindati e riportati indietro. Non ne potevano più di noi». Il Giappone... «Sì, a fare scialpinismo e freeride nell'Hokkaido. Montagne di neve da spalare la mattina per uscire dalla tenda. Poi a sud sul Monte Fuji con Tomiyasu Ishikawa, l'alpinista più anziano ad aver scalato le Seven Summits (le cime più alte di ogni continente). A 70 anni suonati il passo era incerto e gli stavo dietro per sostenerlo. A 20 metri dalla cima ha voluto a tutti i costi lasciare a me l'onore di arrivare per primo. Tre passi e con la coda dell'occhio l'ho visto perdere l'equilibrio e scivolare sempre più veloce verso l'abisso. Siamo scesi e l'abbiamo cercato per un'ora. Alla fine l'abbiamo trovato 400 metri più in basso. Irriconoscibile dalle botte prese, ma miracolosamente vivo e in grado di scendere con le sue gambe». Non si può non chiederti della Groenlandia, non tanto della traversata di cui abbiamo già parlato, ma delle esperienze successive. «Ci sono stato 8 o 9 volte e complessivamente ho vissuto circa un anno con gli Inuit. Mi hanno insegnato molto, prima di tutto la parola 'uppa' che è una specie di forse, il non essere mai sicuri di niente, che nella loro cultura è fondamentale. Purtroppo è un popolo in trasformazione, si stanno modernizzando in senso negativo. Sono passati dall'economia della foca a quella del supermercato. Non sanno ad esempio cosa fare dei rifiuti, che prima non esistevano perché non si buttava via niente. Vivono ancora prevalentemente di caccia, ma per comprarsi la televisione. D'altra parte la loro economia è sempre più difficile da sostenere, con la caccia alla foca e all'orso bianco che in passato è stata addirittura vietata dal governo, salvo poi ripensarci, e la richiesta di pelli calata drasticamente per la maggior sensibilità ecologica internazionale». E i tuoi tre figli cosa vorresti che imparassero da queste esperienze? «Ci tengo ad educarli al rispetto dell'ambiente. Cerco di portarli il più possibile in luoghi poco antropizzati, a fargli vivere quelle esperienze che hanno vissuto i nostri nonni. Non è facile, bisogna motivarli e quando non sono in gruppo è ancora più difficile. Importante è anche non fargli odiare la fatica, renderla sopportabile gradualmente. Zeno a 4 anni faceva già 400 metri di dislivello a piedi e a 8 ne ha fatti 800 con gli sci da scialpinismo. Insomma, sono per un'abilità motoria da raggiungere il più possibile da piccoli. È come chi legge tanto che ha più vocaboli degli altri. E fondamentale è alla fine l'autostima, il rendersi conto che la parola d'ordine deve essere migliorarsi, non vincere ad ogni costo». Qui finisce l'intervista, ma non posso esimermi dal terminare l'elenco lasciato incompleto. Mi raccomando, non ditelo a Fabio. Mancano ancora il viaggio in Marocco per sciare sulla neve dei Monti dell'Atlante e sulla sabbia del deserto. Partenza in moto da casa con tutta l'attrezzatura, sci compresi. E poi i viaggi in bicicletta: in Mongolia, nei Balcani, in Norvegia, dove Fabio ha anche partecipato a una gara no stop di 540 chilometri in 18 ore, che significa una media di 30 chilometri/ora. La discesa estrema in canoa del canyon del Colca in Perù. Lo sci ripido con, ad esempio, la parete nord della Marmolada. La spedizione nello Yukon sulle tracce dei cercatori d'oro. Infine un consiglio: se avete in mente di visitare le isole Lofoten in inverno, Fabio ha scritto un bellissimo libro che racconta la sua esperienza in kayak e con gli sci. Lo trovate sul sito www.lofotenskikayak.org. E per tutto il resto, elenchi esclusi, www.fabiopasini.com

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LO STAMBECCO testo: Giorgio Ficetto FOTO: Giorgio Ficetto

Freeclimber alla ricerca del sole Lo stambecco è in grado di arrampicarsi su pareti impervie e nei periodi invernali cerca luoghi soleggiati. Facile da avvicinare, è uno degli animali meno diffidenti

Nei primi decenni del XIX secolo era estinto su tutto l’arco alpino, a eccezione di uno sparuto gruppo di meno di 100 animali sul massiccio del Gran Paradiso. Il 21 settembre del 1821 il Re Vittorio Emanuele II di Savoia emanò le prime misure di protezione [...]. Il re, preservandosi il diritto di poter cacciare questo animale, aveva di fatto scongiurato lo spettro dell’estinzione.

A

lcune zone delle nostre Alpi vivono una doppia vita, trasformandosi da autostrade per trekker in estate a valli pressoché deserte durante il periodo invernale. Ci pensavo una mattina di fine dicembre mentre con il mio collega salivo con le pelli verso la testata del vallone di Vallanta, ai piedi della severa parete Ovest del Monviso. Quella mattina era dedicata al censimento invernale dello stambecco e normalmente coincide con uno dei giorni in cui becco le peggiori ‘bollite’ alle mani dell’anno. Tutto questo perché, per osservarli meglio, mi devo cercare delle postazioni sul versante opposto a quello in cui stazionano, il che vuol dire andarsi a piantare inesorabilmente su pendii in pieno nord e dover stare fermo due o tre ore con gli occhi incollati al binocolo e al cannocchiale. L’imponente stambecco nel periodo invernale proprio non sopporta neve e climi rigidi e si concentra in gruppi numerosi su pendii completamente assolati e con pendenze da capogiro. L’amore per il sole e la roccia la dicono lunga sull’origine di questo animale: fa parte della grande tribù dei caprini che hanno origine dai massicci montuosi mediorientali e nordafricani. Parenti stretti del nostro stambecco alpino si possono trovare a 5.000 metri di quota nei massicci montuosi dell’Asia centrale, sulle montagne di Egitto, Sudan e nel Caucaso orientale. Inoltre è presente


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Nelle foto: A sinistra, due esemplari di maschi anziani. Sotto, giochi tra giovani maschi. In basso, due maschi adulti e un giovane

estremamente morbida, come quella delle scarpette da arrampicata, che permette equilibrismi degni di un climber da 8A a vista. Data la sua attitudine all’arrampicata, in caso di pericolo preferisce rifugiarsi su pareti rocciose compiendo brevi fughe ‘verticali’, piuttosto che allontanarsi a distanza come il camoscio. Il comportamento meno diffidente lo rende più facile da avvicinare e incontrare a breve distanza rispetto ad altri animali. Lo stambecco è un animale di indole gregaria; generalmente si possono trovare gruppi di femmine con piccoli e gruppi di maschi coetanei. All’interno dei gruppi maschili vige una gerarchia tra animali di taglia simile che servirà poi al momento degli accoppiamenti per decidere a chi spetta la priorità sulle femmine in estro e viene decisa a suon di cornate durante scontri che divengono via via più cruenti con l’avvicinarsi della stagione degli amori. I gruppi più numerosi di femmine si possono trovare d’estate, subito dopo i parti, sui pascoli più in quota dove trascorrono i mesi più caldi. Durante i corteggiamenti i maschi si esibiscono in atteggiamenti caratteristici: si avvicinano alle femmine con il collo teso e le corna abbassate e parallele al dorso, quasi in segno di sottomissione. La coda viene sollevata e ribaltata sulla schiena e il labbro superiore viene arricciato mentre la lingua viene mossa velocemente su e giù. A vederli non si può che avere la prova più sconcertante di quanto il genere maschile diventi completamente idiota in presenza di una bella donna! un cugino spagnolo sui massicci della penisola iberica. Sulle Alpi i primi fossili riconducibili a questa specie risalgono a circa 200.000 anni fa, periodo glaciale in cui lo stambecco era diffuso anche sui massicci montuosi del Sud Italia. Se capita di imbattersi in un gruppo di stambecchi è semplice riconoscere i maschi dalle femmine. I maschi hanno una stazza superiore e presentano caratteristiche corna estremamente sviluppate che possono arrivare a un metro di lunghezza. Gli esemplari di sesso femminile hanno una corporatura più esile e corna sensibilmente più piccole rispetto ai maschi. Inoltre, nel periodo invernale, i maschi presentano solitamente una colorazione del mantello più scura. Le corna dello stambecco sono caratterizzate da nodi ben visibili lungo la loro lunghezza. Questi coincidono con l’interruzione di crescita delle corna che avviene ogni anno nel periodo invernale e forniscono un elemento per stimare l’età dell’animale. Basta infatti contarli, dividere per due e aggiungere un anno e si ottiene una stima piuttosto esatta degli anni. Lo stambecco è un animale perfettamente adattato alla vita in ambienti aspri e rocciosi, che frequenta in modo costante durante tutti i mesi dell’anno, spingendosi in estate oltre i 3.000 metri di quota. Gli zoccoli hanno una suola

Dal punto di vista ‘fotografico’ lo stambecco è uno degli animali che dà più possibilità di scattare immagini ravvicinate, l’importante è un approccio tranquillo e senza movimenti bruschi. Ha inoltre sempre suscitato un notevole interesse da parte dei popoli alpini. Lo troviamo infatti già raffigurato su numerose incisioni rupestri preistoriche (ad esempio in Val Camonica). Una curiosità, nella bisaccia di Otzi, la mummia preistorica ritrovata sul ghiacciaio del Similaun nel 1991, erano presenti tracce di carne di questa specie. La storia recente è l’emblema di come l’uomo, nel bene e nel male, possa influenzare la vita di una popolazione animale. E di come, a essere troppo confidenti e sicuri, si corrono spesso troppi rischi, in montagna e nella vita di tutti i giorni. Il comporta-

mento meno sospettoso dello stambecco ha da sempre facilitato la cattura rispetto ad altri selvatici di grossa taglia e ha portato a una repentina diminuzione della popolazione sulle Alpi a partire dal XVI secolo. Nei primi decenni del XIX secolo era estinto su tutto l’arco alpino, a eccezione di uno sparuto gruppo di meno di 100 animali sul massiccio del Gran Paradiso. Il 21 settembre del 1821 il Re Vittorio Emanuele II di Savoia emanò le prime misure di protezione, alle quali seguirono poi nel 1836 le Regie Patenti, che di fatto istituivano la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso, dalla quale nel 1922 verrà istituito il Parco Nazionale omonimo. E così, pur inizialmente protetto per poter essere cacciato, iniziò la ‘seconda vita’: il re, preservandosi il diritto di poter cacciare questo animale, aveva di fatto scongiurato lo spettro dell’estinzione. Nel 1921 venne creata, a partire da animali catturati nel Gran Paradiso, la prima colonia italiana nell’allora Riserva di Caccia Reale di Valdieri-Entracque, dove oggi è istituito il Parco Naturale delle Alpi Marittime. A partire dal 1952 sono state effettuate numerose operazioni di reintroduzione sulle Alpi italiane e si contano attualmente più di 40 colonie che godono di ottima salute. Oggi lo possiamo trovare sulle Alpi Carniche, nel Bellunese e nel gruppo del Sella, nel Parco Nazionale dello Stelvio e sulle Alpi confinanti con la Svizzera. Già la Svizzera… questa nazione ha un legame molto forte con lo stambecco, non solo perché detiene il numero più alto di animali e di colonie, ma per la storia travagliata. Una decina di anni fa è stato riesumato un documento datato 1906, nel quale veniva sottoscritto un contratto tra esponenti politici elvetici e bracconieri valdostani. I secondi si impegnavano a catturare e trasportare oltre confine almeno una coppia di giovani stambecchi. Ai cugini d’oltralpe proprio non andava di non possedere almeno qualche esemplare di questo magnifico animale! I termini del contratto furono rispettati, e nell’autunno dello stesso anno arrivò sul suolo rossocrociato una coppia di stambecchi, che vennero battezzati Peter a Paul. Per ricordare questo avvenimento, nel 2006 il governo svizzero ha regalato simbolicamente, in segno di scuse, alcuni esemplari all’Italia, liberati in varie zone dell’arco alpino.

LO STAMBECCO - SCHEDA TECNICA Nome comune: Stambecco Nome scientifico: Capra ibex Popolazione stimata sulle Alpi italiane: circa 13.000 animali Peso: maschio 80-120 kg/femmina 40-60 kg Periodo degli amori: metà dicembre - metà gennaio Nascita dei piccoli: giugno - luglio Mantello: unica muta annuale in primavera, in autunno aumenta il pelo lanoso sovrapponendosi al pelo estivo. I maschi sono di norma più scuri delle femmine Età massima: maschio 14-16 anni/femmina 16-20 anni Alimentazione: erbivoro, pascolatore. Nei mesi invernali riesce a utilizzare bene foraggi grezzi


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DOLOMITI D'OLTRE PIAVE testo: Loris De Barba FOTO: Loris De Barba

Testo : Emiliano Previtali Foto: Damiano Levati

Nella foto. Il Duranno si staglia sullo sfondo mentre si percorrono i dolci pendii finali della Cima dei Preti


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ISOLA DI SILENZIO Una magnifica selezione di itinerari nelle Dolomiti d'Oltre Piave TRATTI DAL VOLUME APPENA PUBBLICATO DA VIVIDOLOMITI. uno dei segreti meglio custoditi delle Alpi per la pratica dello ski-alp a cavallo tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia

«L'

ambiente è davvero speciale e la fatica per arrivarci è compensata abbondantemente dalla bellezza dei luoghi. Magnifici boschi solitari fanno da cornice a una selva di guglie, torri e pinnacoli di forme diverse, che non hanno uguali nelle Dolomiti. Alla loro base gli alti torrioni sono circondati da ammassi di detriti e depositi ghiaiosi che conferiscono loro un’immagine di fantastica verticalità. È il cuore selvaggio di queste montagne».

Dolomiti d’Oltre Piave: montagne magnifiche, appartate, silenziose e non eccessivamente frequentate. Una delle zone più incontaminate e selvagge dei Monti Pallidi. Le caratteristiche morfologiche di questo angolo di Dolomiti sono quanto di più vario si possa immaginare. Dal paesaggio spigoloso e pittoresco degli Spalti di Toro, ricco di forcelle, canalini e torri aguzze, a quello più desolato e aspro della zona compresa tra la Cima dei Preti e il Duranno, dove si devono affrontare dislivelli importanti con lunghi sviluppi. Se d’estate questi ambienti sono fruibili con una certa facilità, con l’arrivo della prima neve il discorso cambia e tutto diventa più complicato. Molte strade di penetrazione nelle valli sono impraticabili e gli accessi alle cime lunghi e complicati. Così, complice l’isolamento e la conformazione impervia e arti-

colata del terreno, queste zone mantengono intatto l’equilibrio naturale con l’aspetto selvaggio e severo. Perfino la copertura telefonica del cellulare in molte delle zone trattate è assente e questo accresce ancora di più il distacco dal mondo a cui siamo abituati. Sono luoghi che racchiudono il piacere della solitudine e della scoperta attraverso ambienti isolati e superbi, ma relativamente vicini a quella che definiamo civilizzazione. Quest’area rientra nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO ed è protetta e valorizzata dal Parco delle Dolomiti Friulane. Dolomiti d’Oltre Piave vuol dire immergersi in luoghi ancora integri, che hanno saputo mantenere un alto grado di naturalità e che sicuramente sapranno dare delle forti emozioni e delle meravigliose esperienze a chi avrà la curiosità di conoscerli.


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DOLOMITI NUOVA ZELANDA

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ITINERARI DA NON PERDERE

Italia

Periodo consigliato: Generalmente da gennaio fino al marzo-aprile, in funzione degli itinerari. A fine stagione potrebbe essere necessario percorrere qualche tratto senza sci nei fondovalle. Accesso: Lo svincolo autostradale più vicino per raggiungere Longarone (Bl) e Lorenzago (Bl) è quello di Ponte nelle Alpi (Belluno). Da Lorenzago, seguendo l’indicazione per Passo della Máuria, si giunge in breve tempo a Forni di Sopra (Ud). A sud si può raggiungere Forni di Sopra anche dallo svincolo autostradale di Carnia (Udine) fino a Tolmezzo, per poi proseguire per Villa Santina e Forni di Sopra. Cartografia: Tabacco, foglio 021 - Dolomiti di Sinistra Piave, scala 1:25.000 - Tabacco, foglio 016 - Dolomiti del Centro Cadore, scala 1:25.000 - Tabacco, foglio 02 - Forni di Sopra e di SottoAmpezzo-Sauris, scala 1:25.000 - Tabacco, Dolomiti Friulane - carta escursionistica del Parco, 2004, scala 1:25.000

Itinerario 1 Spalla del Duranno dalla Val Zémola (2.234 m)

Partenza:Erto (930 m)

Numeri utili: ARPAV - Centro valanghe di Arabba tel. 0436.755711 - Servizio valanghe Friuli Venezia Giulia tel. 0432.555877 - Numero telefonico unico per l’ascolto dei bollettini meteo e valanghe dell’Arco Alpino Italiano tel. 0461.230030 - Emergenza sanitaria/Soccorso Alpino 118

Dislivello: 1.304 m Tempo medio salita: 4.30 ore Difficoltà: BSA S3

Web: www.for-adventure.it - www.fornidisopra. com - www.guidealpinefvg.it - www. parcodolomitifriulane.it - www.turismofvg.it

Esposizione: sud Attrezzatura: piccozza e ramponi

UN LIBRO DA NON PERDERE: Gli itinerari e le stupende immagini di queste pagine sono stati presi dal libro 'Scialpinismo in un'isola di silenzio' da poco pubblicato dall'editore ViviDolomiti e che consigliamo per approfondire questa zona. Il bel libro di Loris De Barba non è uno strumento da portare nello zaino, ma serve egregiamente per spingerci a portare gli sci tra quelle montagne selvatiche che sono le Dolomiti d’Oltre Piave. Grandi foto di alta qualità e itinerari moderni. Per acquistarlo www.vividolomiti.it. SCIALPINISMO IN UN'ISOLA DI SILENZIO di Loris De Barba ViviDolomiti 160 pagine 38 euro

sotto la Forcella della Spalla, il percorso diventa leggermente più impegnativo, per una fascia rocciosa non facile da superare. Rimane comunque un itinerario alla portata di ogni scialpinista medio e, in condizioni normali d’innevamento, anche sicuro.

Periodo: dicembre-febbraio

Questo itinerario riesce a infondere emozioni davvero intense. Di fronte a noi, grazie alle ampie vedute, oltre a numerose cime del Cadore sfilano alcuni dei più importanti tremila delle Dolomiti. La parte bassa ha delle caratteristiche molto vicine allo sciescursionismo, mentre più in alto,

Dalle ultime case alle spalle del paese di Erto, raggiungibile da Longarone, e più precisamente nei pressi della chiesetta di S. Liberale, seguiamo le indicazioni per la Val Zémola, fino al bivio per Casera Mela (tabella del parco). Normalmente si può arrivare in auto fino al parcheggio a quota 1.200. Prendiamo ora la carrareccia a destra con le indicazioni per Casera Galvana che in falsopiano costeggia lungamente il Torrente Zémola fino all’ampia spianata del Mandriz (1203 m), dove confluiscono quasi tutti i corsi d’acqua che scendono


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Nelle foto. Non sono rari i magnifici scorci di alta montagna nelle zone toccate da questi itinerari

Itinerario 2 Forcella Cuna e Forcella Vallonút dalla Val di Giàf (2.220 m)

dai monti circostanti. Attraversiamo in direzione Nord lo spiazzo trovando il sentiero (segnavia CAI 374) e poco dopo l’avvallamento denominato Gè di Bozzìa. Facendo attenzione ai segnavia sugli alberi, saliamo lungamente il costone boscoso tra una rete di faggi e larici intersecando ogni tanto la pista forestale che porta ai ruderi di Casera Pezzei. Usciti dalla vegetazione più alta, incrociamo il tracciato che arriva da Casera Bedín e lo seguiamo brevemente verso destra entrando in un valloncello. Riprendiamo a salire con graduale pendenza e, in obliquo verso destra, entriamo nella parte alta della Val de Làusen. Da qui in poi il percorso di salita è evidente: seguiamo il vallone che con pendenza crescente ci porta sotto la fascia rocciosa che sostiene la Forcella della Spalla. Seguiamo ora l’evidente rampa inclinata e obliqua che ci permette di superare questo tratto più impegnativo: in presenza di ghiaccio o neve dura è consigliabile calzare i ramponi prestando attenzione alle possibili cadute di ghiaccio dalla parete soprastante. Raggiunta la forcella rimettiamo gli sci e ci incamminiamo in direzione ovest lungo l’ampia dorsale che con alcuni saliscendi ci porta facilmente sulla panoramica Cima della Spalla (2.234 m). Si ritorna lungo l’itinerario di salita: con buon innevamento fino a bassa quota. Il percorso è tutto sciabile tranne alcuni tratti in contropendenza lungo la carrareccia della Val Zémola.

Di tante belle gite che si diramano lungo la Val di Giàf, questa è forse una delle più caratteristiche. Come meta ci sono due solitarie forcelle. Se le condizioni del manto nevoso sul versante nord non sono particolarmente favorevoli, si può evitare l’impegnativa traversata e decidere di ritornare lungo il percorso di salita. Diversamente è possibile concatenare le due forcelle scollinando nel versante opposto, compiendo così la splendida discesa che consente di raggiungere il catino pensile dove sorge il Bivacco Vaccari (2.050 m). La gita deve essere affrontata da scialpinisti esperti e con una buona dimestichezza dei terreni ripidi. Sono richieste nevi perfettamente assestate e non eccessivamente ghiacciate. È inoltre consigliabile una partenza mattiniera, poiché tutta la discesa si svolge in pieno versante sud e sud-est. Partenza: Chiandaréns (962 m) Dislivello: 1.300 m Tempo medio salita: 5.30 ore Difficoltà: BSA S4 Esposizione: varie Attrezzatura: piccozza, ramponi e casco Periodo: marzo-aprile

Da Forni di Sopra (907 m) si sale per circa due chilometri in auto lungo la strada statale in direzione del Passo della Máuria, fino alla località Chiandaréns (962 m). Piccolo parcheggio a lato della strada vicino alla pista da fondo. Qui seguiamo le indicazioni per il Rifugio Giàf. Superata la zona di rado bosco sopra il Rifugio Giàf, risaliamo in diagonale i vasti pendii alla nostra destra sotto le incombenti elevazioni della Torre Gabriella e della Torre Spinotti che mette in bella mostra la sua mirabile parete di colore rosso. Questi splendidi torrioni non sono altro che il prolungamento verso sud del contrafforte che scende dalla Croda della Cuna. Tralasciamo il primo largo vallone che sale alla Forcella Vallonút e imbocchiamo quello successivo, più stretto e incassato, che con una pendenza sui 35/40 gradi porta al marcato intaglio della Forcella della Cuna (2.220 m circa). Ora scendiamo lungo il lato opposto (nord), su nevi spesso farinose e con pendenze gradualmente minori, fino al catino sottostante. Bello il colpo d’occhio: di fronte a noi appaiono schierate le ardite Punte Savorgnana e Cozzi con a sinistra la meno scoscesa Cima Pitacco. Riprendiamo a salire in direzione sud-est lasciando alla nostra sinistra la Forca del Crídola e, con strette svolte, puntiamo all’evidente Forcella Vallonút (2.220m), a destra dell’omonimo monte. Scavalcata la forcella, c’immettiamo nel lungo canalone che scende ripido in direzione sud, per poi rendersi molto più sciabile. Più in basso, dove il vallone si allarga, ritroviamo le tracce di salita e seguendole ritorniamo al punto di partenza.


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DOLOMITI NUOVA ZELANDA D'OLTRE PIAVE

Itinerario 3 Tacca del Crídola dalla Val Crídola (2.290 m)

Senza dubbio una delle più belle e conosciute escursioni di scialpinismo della zona. Non a caso è sempre molto frequentata, sia per la vista sulle cime circostanti, sia per la bella sciata su nevi comunemente abbondanti e farinose anche a primavera inoltrata. Partenza: La Sega (903 m) Dislivello: 1.387 m

Itinerario 4

Tempo medio salita: 4 ore

Pramaggiore dalla Val di Suola (2.478 m)

Difficoltà: BSA S3 Esposizione: nord Attrezzatura: ramponi Periodo: gennaio-aprile A circa due chilometri da Lorenzago, lungo la statale del Passo della Máuria, parcheggiamo la macchina su uno spiazzo a destra. Ci incamminiamo lungo la strada forestale (segnavia CAI 340) che scende alla località La Sega (903 m) e risaliamo lungamente la valle, fiancheggiando il torrente. Superato uno spalto più ripido, proseguiamo attraverso una zona con bassa vegetazione in direzione del Crídola, tenendoci sempre sul lato sinistro della valle. Il tragitto diventa sempre più ripido man mano che si sale, ma comunque evidente. Nel tratto finale la pendenza si accentua ulteriormente e con un po' di fatica guadagniamo la rocciosa forcella ricca di pinnacoli denominata Tacca del Crídola (2.290 m), incisa tra le pareti della Cima Est

Non sfigura per bellezza e impegno se confrontata ai più blasonati e famosi itinerari dolomitici. È una salita indicata a scialpinisti allenati e capaci di muoversi bene in ambienti con dislivelli importanti e su pendii ripidi. Generalmente la stagione migliore è la primavera ma, visto il favorevole orientamento di buona parte della salita, con buone condizioni è fattibile anche nella fase centrale dell’inverno. Partenza: Andrazza (837 m) - Ponte sul Tagliamento Vico (881 m) Forni di Sopra Dislivello: 1.641 m da Andrazza Tempo medio salita: 5 ore Difficoltà: OSA S4, S5 Esposizione: nord ed est Attrezzatura: piccozza e ramponi Periodo: marzo-aprile Dal centro principale di Forni di Sopra (borgata Vico) si scende al ponte sul fiume Tagliamento, fino alle vicinanze dell’hotel


Nelle foto. In senso orario. Sosta sulla forcella prima della Cima San Lorenzo, discesa nel canalone sud di Forcella Vallonut, il ripido pendio sotto la cima San Lorenzo

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✔ Bastone pieghevole completamente attrezzato, confezionamento minimo, gran robustezza grazie ad un sistema di forza di tensione perfetto. ✔ Il sistema provato Speed Lock serve da tecnica di forza di tensione per la tecnologia del bastone pieghevole di LEKI. Disponibile in 3 lunghezze fisse. ✔ Impugnatura Aergon con la sua superficie di contatto grande ed ergonomica come pure con la sua forma perimetrale smussata che permette le più variabili possibilità di presa dell‘impugnatura.

Davost, vicino alle piste da sci (881 m, parcheggio con tabella segnaletica). Oppure si può partire anche dalla frazione di Andrazza (837 m, parcheggio con indicazioni). Seguiamo la traccia di sentiero lungo la Val di Suola fino al Rifugio Fláiban-Pacherini (1.587 m). Saliamo sulla destra del rifugio per un vasto pendio alla base delle pareti di Cima Val di Guerra e Croda del Sión. Giungiamo così nel Cadín di Las Búsas di Suola e iniziamo a salire sempre a destra il ripido ed evidente canale che scende da Forcella La Sidón (2.200 m) incisa tra il Ciàstiel e la quota 2.304 più a ridosso del Pramaggiore. Con neve non trasformata questo tratto è abbastanza faticoso. Dal passo ci teniamo alti sulla sinistra e attraversiamo in diagonale il catino che si appoggia alla soprastante Forcella Pramaggiore (2.295 m). Con innevamento abbondante prestare attenzione nell’attraversamento di questo pendio che può presentare importanti accumuli poco consolidati. Dal valico saliamo lungo il ripido versante est tenendoci a debita distanza dalla cresta, procediamo in obliquo leggermente verso sinistra e guadagniamo la Cima del Pramaggiore (2.478 m). Dalla vetta scendiamo prudentemente in direzione est. Su pendenze sostenute scavalchiamo alcuni canalini in obliquo a sinistra ritornando alla Forcella Pramaggiore. Data l’esposizione, con nevi ghiacciate e dure, prestare attenzione a questa prima parte di discesa. L’altro tratto che richiede impegno e un perfetto controllo degli sci è la discesa dalla Forcella La Sidón, un tratto con passaggi obbligati e dove la pendenza supera i cinquantacinque gradi. Per il resto della lunga discesa tutto si semplifica.

„Micro Stick“ – il mio ottimo assistente per raggiungere gli spot d‘arrampicata.


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TONI GOBBI testo: Giorgio Daidola

HALL OF FAME

«Scialpinismo è seguire le tracce effimere che generazioni di amanti della montagna hanno seguito. A questi predecessori, noti ed ignoti, va il nostro ringraziamento e un abbraccio ideale» Lorenzo Barbiè e Jean-Charles Campana, Dal Monviso al Colle del Moncenisio, Blu Edizioni, Torino 2004

TONI GOBBI il padre dello scialpinismo

Pavese trapiantato a Courmayeur, ideatore delle 'settimane nazionali', è stato il primo a proporre uno ski-alp impegnativo di alta montagna a un’ampia clientela, grazie a capacità tecniche e organizzative come non se ne sono mai viste

n 'gigante' Il nostro viaggio lungo le tracce dei grandi sciatori alpinisti che non sono più qui con noi, iniziato con Michel Parmentier sul numero 83 e con Piero Ghiglione sul numero 85, continua con un altro 'grande': Toni Gobbi. Un 'gigante' anzi, come conclude il figlio Gioachino nell’intervista su suo padre, riportata qui di seguito. Un figlio, lo sappiamo, è spesso portato a esaltare le qualità del padre (quanti di noi vorrebbero avere, un giorno, dei figli così!). Qui però non si tratta di esaltazione ma di chiara percezione delle qualità del genitore. Gioachino, che ha ereditato la mentalità logica e perfezionista di Toni, oltre al fisico da ciclope, riesce a comunicarci, con l’irruenza e la passione che gli è tipica, la grandezza di Toni Gobbi come credo nessun altro ne sarebbe capace. La prima sensazione è stata quindi di pubblicare l’intervista senza aggiungere altro. Poi, riflettendo, ci siamo detti che qualcosa da aggiungere forse c’era. Innanzitutto descrivere in ordine temporale le tappe di una vita esemplare, purtroppo tragicamente interrotta quando stava esprimendo il meglio. E poi chiarire perché la


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Così nacque la Haute Route delle Dolomiti di Toni Gobbi «Una haute route nelle Dolomiti… ti assicuro che in Dolomiti c’è da fare una haute route perfettamente al livello tecnico e spettacolare della Chamonix-Zermatt». Questo il ritornello che da vari anni ormai andava ripetendomi l’amico Camillo, figlio degnissimo di colui che è stato il massimo illustratore delle Dolomiti, Antonio Berti. Io però facevo orecchie da mercante. È vero che Camillo aveva scorrazzato con me in lungo e in largo per le più classiche traversate e i più impegnativi itinerari del Vallese e dell’Oberland, cosicché era in grado di far confronti con precisi termini di paragone ma io temevo che il 'male delle montagne di casa' lo spingesse a sopravvalutare il suo terreno di gioco. Finché, spinto dal mio innato desiderio di novità, decisi di dargli ascolto: sta bene! Mi buttasse giù un programma di massima; ma doveva allacciare due centri famosi, doveva scostarsi dalle piste battute e far veramente 'alta montagna', doveva svolgersi in almeno cinque tappe, doveva… Non avevo ancora finito le mie raccomandazioni che mi vedevo presentare, ben definito ed attraente, lo studio completo della haute route ad hoc! Una haute route che percorrendo e riunendo tra di loro alcuni dei più famosi itinerari sci alpinistici delle Dolomiti, avrebbe per la prima volta allacciato senza soluzione di continuità due famose capitali delle Dolomiti.


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TONI GOBBI

«Toni Gobbi è riuscito a creare uno stile, impostando una scuola rimasta fin qui insuperata… tutto ciò durante la fase forse più deprimente che si conosca nella storia dello scialpinismo, determinata dall’incontrollato avvento dei mezzi meccanici quale preludio alla follia sci-consumistica dei nostri giorni. I sodalizi alpinistici, o presunti tali, in genere si diranno impotenti a frenare od a correggere simile tendenza, che tra l’altro sarà la causa prima della rovina inflitta a tante parti della montagna; in realtà ne saranno semplicemente succubi, quando non addirittura partecipi» Gianni Pieropan, Ricordo di Toni Gobbi, in Scialpinismo nelle Alpi, Tamari Editore 1975

grandezza di Toni Gobbi, lungi dall’idea di fare delle odiose classifiche, non è paragonabile a quella degli altri 'grandi' dello scialpinismo che stiamo incontrando nel nostro lungo viaggio nel passato. Gobbi è infatti il grande padre dello scialpinismo, italiano e non solo. Il romanzo di una vita Toni Gobbi nacque nel 1914 in una delle città più piatte d’Italia, Pavia, ma trascorse la sua giovinezza a Vicenza. Iniziò ad andare in montagna e a sciare con la 'Giovane Montagna', un’associazione cattolica a cui rimase sempre legato. Nell’ambito della Giovane Montagna conobbe e diventò amico del noto alpinista e scrittore Gianni Pieropan, che lo fece protagonista di molte pagine nel suo toccante volume 'Due soldi d’alpinismo'. Toni si laureò in legge a Padova e durante il servizio militare presso la Scuola Militare Alpina svolse il tirocinio di pratica notarile presso lo studio Ollietti di Aosta. Il richiamo della montagna però era troppo forte. Non farà il notaio ma la guida alpina a Courmayeur. Nel 1943, quando tutti tentano di ritornare a casa gettando la divisa, il sottotenente Toni Gobbi si ferma ai piedi del Monte Bianco, per amore di una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi chiari di nome Romilda. È l’inizio di una storia esemplare. Nella Courmayeur piena di sfollati la vita è dura per la giovane coppia che per campare apre una sorta di liceo casalingo: Toni insegna italiano, greco e latino, Romilda francese e filosofia. Nascono due figli, Gioachino e Barbara. Dopo il corso da portatore, Toni

In alto. Monte Bianco, 1964. Nella pagina accanto, salita ordinata a piedi

diventa guida nel 1946, maestro di sci e istruttore nazionale di alpinismo nel 1948. Romilda apre a Courmayeur la Libreria Alpina e nel 1949 Toni inaugura la sua bottega di articoli sportivi, con il nome 'Gobbi di Courmayeur', destinata a diventare famosa su tutto l’arco alpino, così come il suo titolare. Riesce a inserirsi nel chiuso ambiente valdostano in modo esemplare. «Rammentati sempre scrive in una lettera a un amico - che in un paese di montagna nel quale intendi stabilirti devi sempre, assolutamente, considerarti come un ospite; e perciò comportarti come un ospite in casa altrui… Saranno i padroni di casa, ad un certo momento, a considerarti uno di loro, se avrai dimostrato che veramente vali, che hai il giusto rispetto per le tradizioni e la giusta passione per la montagna». Parole sante che dovrebbero, anche oggi, avere un’applicazione universale.

Nell’epoca in cui gli alpinisti non andavano ancora in giro tappezzati con marchi di sponsor di ogni tipo, Toni Gobbi crea una sobria linea di materiali con il marchio depositato 'Guida', studiati apposta per i suoi clienti. Clienti sempre più numerosi, appartenenti a una élite allargata di amanti della montagna più che di sciatori, clienti insomma che non erano certo figli del nascituro sci di massa. L’idea geniale - da notare che allora come adesso non era affatto facile vivere facendo la guida alpina - è quella di proporre uno scialpinismo impegnativo di alta montagna a un’ampia clientela, grazie a capacità tecniche e organizzative come non se ne sono mai viste. Il tutto unito a una dovizia eccezionale di programmi, tutti studiati e realizzati da lui, che non se ne perde mai uno. I programmi, descritti ogni anno in un opuscolo denso di informazioni, hanno tutti la durata di una settimana. Così nascono nel lontano 1951 le famose 'settimane


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Il decalogo dello sciatore alpinista 1- Lo sci-alpinismo d’alta montagna ha quale campo normale d’azione la montagna al di sopra dei 3.000 metri e quale scopo le traversate d’alta quota e la conquista di vette lungo i più remunerativi itinerari percorribili in sci 2- Il periodo più adatto allo sci-alpinismo d’alta montagna inizia dopo la metà di marzo: prima di tale data i pendii sono particolarmente pericolosi per valanghe e colate di neve, i ponti sui crepacci non sono solidi e la neve è spesso poco favorevole allo sci. 3- Completo sciatore-alpinista d’alta montagna è chi sa unire il piacere della salita ed alla gioia della vetta la soddisfazione tecnica della discesa. Per affrontare una meta sci-alpinistica d’alta montagna non basta dunque avere determinate cognizioni alpinistiche e fiato per raggiungere la cima, ma è indispensabile anche possedere un’ottima padronanza degli sci per compierne la discesa in piena sicurezza 4- Lo sciatore-alpinista d’alta montagna deve considerarsi componente di una cordata, anche se normalmente manca il legame materiale della corda. La cordata sci-alpinistica ideale è formata da 4/5 elementi in possesso di allenamento e capacità tecniche similari;

uno di essi - magari a turno - funziona da capo cordata ed ha la responsabilità della cadenza e del tracciato; i suoi compagni hanno l’obbligo di mantenerne la cadenza e di seguirne esattamente - in nome della massima sicurezza - il tracciato, sia in salita che in discesa. Le comitive numerose si frazionino perciò in varie cordate sci-alpinistiche. 5- Il capo della cordata sci-alpinistica rispetti ovunque l’equilibrio della coltre nevosa seguendo quanto più possibile la linea di massima pendenza; dovrà sviluppare un tracciato che permetta, in salita, di sfruttare convenientemente l’aderenza delle pelli e che segua, in discesa, una determinata fascia verticale del pendio, concatenando curve armoniche e regolari. Su ghiacciaio controlli che - in nome della prudenza - la cordata disponga di almeno due piccozze e di una corda affidata a chi sta in coda e non permetta mai ai propri compagni, salvo che siano legati, di togliere ambedue gli sci contemporaneamente per qualsiasi operazione o motivo. 6- L’attrezzatura e l’equipaggiamento di una cordata sci-alpinistica siano quanto possibile simili per facilitare interscambi di materiale, velocità di riparazioni, economia di peso. Gli sci di lunghezza normale assicurano una maggiore superficie portante nell’attraversamento dei ponti. 7- Partire prestissimo al mattino e mantenere una cadenza regolare che permetta di

giungere alla meta senza inutile dispendio di energie, significa garantirsi un sicuro godimento e la neve migliore per la discesa. 8- L’alta montagna pretende una cura particolare anche nell’alimentazione, che deve essere sana, efficiente e adatta agli sforzi da compiere. Due particolari raccomandazioni: prima, durante e dopo la fatica non lasciarsi mai attirare da bevande fredde! Aver cura di allenare in precedenza fisico, stomaco e intestino alle sveglie antelucane! 9- In caso di incidente considerare subito se con le proprie forze e con i mezzi di pronto soccorso infortunistico di cui la cordata è obbligatoriamente munita, si è in grado di portare all’accidentato un aiuto valido e urgente; qualora ciò non sia possibile, bando ad ogni orgoglio e non si attenda neppure un secondo a richiedere l’intervento di una squadra di soccorso. 10- Previo un controllo preventivo delle capacità funzionali del proprio organismo e la doverosa avvertenza di non richiedergli mai il massimo, non vi sono limiti d’età allo scialpinismo d’alta montagna, specie quando si curi un costante miglioramento della propria tecnica. Come non vi sono limiti al nascere di salde amicizie sci-alpinistiche, quando prendano l’avvio dall’autodisciplina e dall’altruismo dei componenti di una cordata sci-alpinistica.


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TONI GOBBI

Il ricordo di Lorenzino Cosson Lorenzino Cosson, nota guida alpina di Courmayeur, fotografo e sciatore eccelso, era portatore quando Toni Gobbi proponeva le sue settimane di scialpinismo. Ecco come oggi lo ricorda. «Gobbi è stato un precursore, era avanti anni luce e la verità è che oggi purtroppo non c’è nessuno bravo come lui. Le sue iniziative erano uniche, anche all’estero non c’era nessuno in grado di competere con lui. Molti dicono che aveva una marcia in più degli altri. Per me era come paragonare una Ferrari a tante Cinquecento! Quello che mi ha insegnato è stato fondamentale per il mio mestiere di guida. Lasciando ad altri il compito di descrivere i suoi grandi meriti di organizzatore e di innovatore, mi limiterò ad accennare a piccole cose che spesso passano inosservate e che invece fanno la differenza. Cose che le giovani guide non conoscono o a cui non danno importanza e che invece io continuo ad applicare grazie a lui. Innanzitutto bisogna saper sciare per il cliente e non per se stessi. Il cliente lo sa che sei bravo, non c’è bisogno di dimostrarglielo ad ogni curva. In caso di pericolo Gobbi dava ordini, tutti dovevano stare dietro a lui, e saper sciare a derapage o a spazzaneve quando necessario. Dava inoltre molta importanza a come si devono togliere le pelli: gli sci andavano tolti uno alla volta, mai insieme, come invece oggi si vede spesso fare. Anche la forma dello zaino aveva la sua importanza: doveva essere tale da facilitare il trattenimento dello sciatore in caso di caduta in un crepaccio. Gobbi aveva anche inventato un’imbracatura e un sistema di autosoccorso che ancora oggi risultano decisamente validi. Mi ha dato insomma moltissimo e non posso che esprimere la mia gratitudine nei suoi confronti. Anche perché credette in me. Ero piccolo e mingherlino, nessuno avrebbe scommesso su di me come portatore e come futura guida. Come portatore mi capitava di dover portare due paia di sci dei clienti, oltre alla mia roba. Ed allora gli sci erano lunghi 205 centimetri e pesavano molto di più di quelli attuali. Lui capì che avevo nervo e tanta passione. Grazie Toni!».

di Toni Gobbi', vere settimane bianche dello scialpinismo di alta montagna. Non si tratta di scialpinismo facile ma di scialpinismo nella sua forma più nobile, quella delle grandi traversate, alcune classiche altre dall’alto contenuto innovativo. Gobbi riesce a trasformare quello che fino ad allora era stato uno scialpinismo per pochi in una forma innovativa di turismo alpino sostenibile di alta qualità emozionale. Per riuscirci si dedica anima e corpo ai suoi clienti, che considera anche allievi e amici. Allievi in quanto insegna loro le tecniche necessarie per affrontare in sicurezza l’alta montagna, sia in salita che in discesa. Amici perché, grazie alla sua preparazione culturale, sviluppa con molti di loro intensi rapporti di natura intellettuale. Tutto questo è possibile anche grazie a quelle che vengono ricordate come le virtù cardinali di Toni Gobbi, ossia l’ordine, l’efficienza e la disciplina. Dall’esperienza di ufficiale istruttore alla Scuola Militare Alpina egli aveva ricavato preziose indicazioni al riguardo ma questo non significa affatto che fosse un fautore della vita militare, una vita

di cui aveva conosciuto le ottusità. Ciò che però fa la differenza è che tutta questa sua grande professionalità rimane sempre accomunata a una passione fortissima. Una passione che Toni sa trasmettere ai suoi allievi-clienti in modo esemplare. Per tre mesi ogni anno e per quasi vent’anni, da marzo a giugno, Toni arriva a casa il sabato e riparte la domenica mattina. E Romilda, quando i bambini diventano grandi, partecipa anche lei a qualche settimana, unico modo per stare vicina allo scatenato marito. Ogni anno i programmi si arricchiscono e i clienti aumentano. Le settimane vanno anche all’estero, all’Elbruz nel 1966 e in Groenlandia nel 1967 e nel 1969, con una prima di vero scialpinismo di ricerca ed esplorazione nelle remote Alpi di Stauning. La passione di Toni Gobbi per lo scialpinismo non deve far dimenticare le sue grandi salite alpinistiche. In particolare le invernali degli anni ’50 alla Cresta des Hirondelles, sulla sud della Aiguille Noire di Peutérey e sulla Major. Nel 1957 forse la salita più bella: la prima al Pilier


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Nelle foto. Alcune immagini d'archivio delle Settimane scialpinistiche di Toni Gobbi

Una guida scritta dall'allievo-amico In un'interessante guida, edita da Tamari, attualissima e introvabile, Luigi Zobele e G. P. Nannelli hanno raccolto e descritto gli affascinanti itinerari scialpinistici ideati da Toni Gobbi, dal Delfinato alle Alpi Venoste. Perché la durata era di sette giorni? «Perché in una settimana anche chi - ed è la maggioranza - non ha la possibilità di una adeguata preparazione, ha tutto il tempo di carburare fino ad arrivare in breve a quel grado di forma che permette di affrontare con gioia e senza fatica la salita, gustando poi pienamente l’ebbrezza della discesa in neve vergine». Così Luigi Zobele, grande amico di Toni, nella prefazione al volume, pubblicato dopo la sua scomparsa, nel 1975. Assiduo e appassionato frequentatore delle settimane, Luigi Zobele le descrive come «un traguardo annuale, un qualcosa di bello a cui pensare nei momenti grigi della routine quotidiana, un ricordo che col passare del tempo acquista sempre più valore». Bellissima anche l’introduzione del libro, a cura di Gianni Pieropan, l’amico giovanile di Toni. Pieropan riporta e commenta il raro articolo 'Errori di gioventù' (titolo suggerito dallo stesso Pieropan) in cui un non ancora diciottenne Toni Gobbi racconta la sua iniziazione allo sci attraverso una gita scialpinistica tutto fuorché banale. Un’iniziazione che oggi ha dell’incre-

d’Angle con un altro grandissimo che, non a caso, fu anche un grande sciatore alpinista: Walter Bonatti. Secondo Toni Gobbi con lo scialpinismo si può allungare la stagione, lavorando anche novanta giorni di seguito e si può prolungare la capacità lavorativa di guida fino a un’età più avanzata. Purtroppo egli non può che in parte dimostrare questo secondo assunto, di cui va particolarmente orgoglioso. Muore infatti il 18 marzo 1970 sul Sassopiatto, a soli 56 anni, travolto da una valanga con due clienti. Il Sassopiatto era una delle sue vette 'ideali' per lo scialpinismo, come aveva scritto lui stesso nell’Enciclopedia dello sciatore pubblicata dalla Fratelli Fabbri nel 1967. Si trattava della prima tappa della Haute Route dei Monti Pallidi, giunta alla sua seconda edizione. Toni Gobbi era considerato un fanatico della prudenza, non aveva mai avuto incidenti nella sua intensa attività di guida alpina. Anche quella volta non fece alcun errore. La verità è che nello scialpinismo, come in tutti gli sport outdoor, il rischio fa parte del gioco.

Un’ultima riflessione Scrivendo queste pagine dedicate ai grandi sciatori alpinisti del passato viviamo l’emozione di ripercorrere le loro tracce perfette, li sentiamo vicini, ci sembra di dover partire con loro per il prossimo viaggio bianco. Ognuno di loro ci insegna qualcosa. Alcuni lo fanno senza averlo voluto o pensato. Altri, come Toni Gobbi, lo fanno in modo esplicito, limpido, professionale, appassionato. È stato lui il vero artefice dello sviluppo dello scialpinismo classico. Le giovani guide alpine di oggi e di domani, oltre a seguire i tempi e le mode, dovrebbero accettare in toto la sua pesante eredità, facendo tesoro dei suoi insegnamenti, lasciandosi contagiare dal suo entusiasmo ed emulando le sue capacità professionali e organizzative per lo sviluppo di uno scialpinismo di alto livello. Ce lo spiega bene suo figlio Gioachino, nell’intervista che segue…

dibile. Con l’amico Romeo, più esperto di lui come sciatore (ma ci vuole poco!) parte da Schio in bicicletta nel gennaio 1932 per effettuare la prima invernale con gli sci del Vajo dei Colori, nel gruppo del Carega. Ovviamente con tutta l’attrezzatura 'a bordo'. Di notte, dopo poche ore di riposo al rifugio di Campogrosso i due attaccano il canalone. Toni, che non ha mai calzato gli sci, impara da Romeo ad andar su a 'spina di pesce' e a scaletta. Dopo due ore di lotta disperata con metri di neve fresca in cui gli sci annaspano 'disubbidienti', Toni viene travolto da una slavina. Romeo lo salva. Quasi un avvertimento a quella slavina purtroppo fatale sulle balze del Sassopiatto, 38 anni dopo…

Sci-alpinismo nelle Alpi A cura di Luigi Zobele e G.P. Nannelli Tamari Editori, Bologna 1975

Ringraziamenti: a Giovanna Zobele per aver messo a disposizione l’archivio fotografico del padre e per i suoi preziosi consigli, alla S.A.T. di Trento per la trasposizione in digitale delle diapositive, dei documenti riguardanti le Settimane e di alcune lettere di Toni Gobbi.


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TONI GOBBI

Un’eredità troppo grande Intervista a Gioachino Gobbi Toni Gobbi e le sue settimane nazionali scialpinistiche di alta montagna sono finite il 18 marzo del 1970: cosa rimane dopo 43 anni? Risponde il figlio di Toni... uarantadue anni sono una vita e alla velocità del mondo attuale sono un'eternità. Il rischio di rimembrar delle passate cose è quello di raccontare dei dinosauri. Ma Toni Gobbi è un dinosauro estinto? Una cosa è certa oggi dopo tanti anni: l’eredità era talmente grande che nessuno la raccolse nella sua interezza: fu divisa in bocconcini e in molti addentarono solo quello che era di loro gusto. Ma cosa è questa 'indigeribile verità'? Proviamo con una definizione sintetica: se non fu l’unico inventore dello scialpinismo in Italia, fu certamente l’inventore dello scialpinismo professionistico, fu il codificatore di itinerari e di programmi mai visti e fu l’artefice della diffusione a un vasto numero di appassionati. La premessa è che Toni Gobbi ha sempre parlato di scialpinismo di alta montagna, cioè di quella disciplina che si traduce nel fare alpinismo con gli sci, alpinismo vero con piccozza e ramponi, quello che vuole raggiungere le cime delle montagne, quello che vuole godere della montagna nel suo momento più bello quando è imbiancata dalla neve. Secondo le sue parole: quell’attività che ha quale campo normale d’azione la montagna al di sopra dei 3.000 metri e quale scopo la realizzazione di traversate d’alta quota e la conquista di vette lungo i più remunerativi itinerari percorribili in sci. Oggi l’evoluzione chiama scialpinismo attività che Toni Gobbi classificherebbe sotto altro nome: gita su pendio innevato, outdoor invernale, sci fuoripista, freeride, competizione in salita e discesa. Questo senza dare una valutazione di merito o per stabilire scale di valore, si tratta semplicemente di qualcosa di diverso dal suo scialpinismo di alta montagna. Alla domanda su chi fosse uno scialpinista Toni Gobbi rispondeva: 'è un vero sciatore-alpinista colui che trova il piacere della salita, la gioia della vetta, la soddisfazione della discesa. Questi sono i tre punti ed io voglio che colui il quale fa dello sci-alpinismo con me lo faccia in completezza, in tutte le tre parti'». Questo significa che gli accompagnatori e i responsabili dei programmi di scialpinismo dovevano essere dei professionisti completi, di altissi-

mo livello… «Mio padre credeva talmente nella validità dell’ampliamento delle capacità delle guide anche allo sci, che spinse e ottenne dal Club Alpino Italiano la riabilitazione e il riconoscimento della qualifica di Guidasciatore. Fu il direttore di tutti i corsi nazionali di scialpinismo per la qualifica di guida-sciatore, dal primo corso che si tenne nell’aprile del 1964. Per tutto questo portava il distintivo numero uno. Toni Gobbi aveva un grande amore: la montagna. E un grande sogno: fare la guida alpina. Tutte le realizzazioni importanti dal punto di vista alpinistico le fece in compagnia di guide alpine. Dal 1957 al 1966 fu presidente del 'Comitato Valdostano Guide e Portatori', dal 1967 presidente del 'Consorzio Nazionale Guide e Portatori del CAI', dal 1968 vice-presidente della UIAAGM. È importante sottolineare che, come scrisse sullo Scarpone del 16 giugno 1948, 'Dovrebbe venir messa come condizio-

ne indispensabile - nei nostri regolamenti - che il cittadino che voglia diventar Guida deve impegnarsi a fare veramente la guida, a esercitare insomma la professione perché far la Guida è un servizio pubblico e come tale deve essere riguardato ed esercitato'. Ricordo che quando io, neolaureato in Economia e Commercio, gli annunciai che volevo iscrivermi al corso di guida, mi domandò se veramente volevo dedicarmi alla professione. Se era per prendere la patacca, era meglio che lasciassi stare. Per lui il mestiere di guida, più che una vocazione, era un’illuminazione, come quella di San Paolo sulla strada di Damasco». Si fece aiutare da altre guide per realizzare tutti i suoi programmi? «Lui era sempre presente, non ha mai perso una delle sue settimane. Però, quando i partecipanti erano numerosi, si faceva aiutare da alcune delle migliori guide. Fra i collaboratori più fedeli ci furono: Renato


In questa pagina. A sinistra Toni Gobbi e Romilda nel 1943, a destra Toni Gobbi, Renato Petigax e Giorgio Colli di fronte ai 4000 della Britannia Hütte. Nella pagina accanto. Toni Gobbi e Walter Bonatti durante una settimana

Petigax di Courmayeur, Mario Senoner di Selva Val Gardena, Giulio Salomone di Courmayeur, Angelo Pizzato di Courmayeur, Giorgio Colli di Champoluc, Oliviero Frachey di Champoluc, Remo Passera di Gressoney, Franco Garda di Aosta, Lorenzino Cosson di Courmayeur, Henry Luigino di Courmayeur, Ottone Clavel di Courmayeur, Carlo Runggaldier di Selva Val Gardena, Giuseppe Lanfranconi di Mandello del Lario». Altre guide prima di lui accompagnavano clienti in montagna con gli sci. In che modo Toni è stato un innovatore? «Mio padre è stato un codificatore di itinerari e di programmi mai visti. La prima invenzione fu il concetto e la formula stessa di settimana di scialpinismo di alta montagna. Secondo la sua definizione: quella che ha quale campo normale d’azione la montagna al di sopra dei 3.000 metri e quale scopo la realizzazione di traversate d’alta quota e la conquista di vette lungo i più remunerativi itinerari percorribili in sci. Inoltre fu il primo a ideare programmi coerenti, che esploravano un territorio o una catena di monti, spesso mettendo insieme in modo originale cime e traversate che venivano normalmente compiute in maniera singola. L’elenco delle sue 'invenzioni' è lungo: Hautes routes classiche Courmayeur-ChamonixZermatt-Breuil, Hautes routes delle Dolomiti, Hautes routes della Maurienne (Francia), Hautes routes dei Monti Pallidi (Dolomiti), Settimane ai 4.000 della Britannia (Svizzera), Settimane ai 4.000 dell’Oberland (Svizzera), Settimane del Delfinato (Francia), Settimane del Monte Bianco, Settimane del gruppo del Cevedale, Settimane del bacino di Argentière (Francia), Settimane del gruppo del Bernina-Svizzera, Settimane del Grand Combin-Vélan, Settimane dell’Adamello-Presanella, Settimane ai 4.000 del Monte Rosa, Settimane dei Michabel (Svizzera), Settimane della Vanoise (Francia), Settimane delle Oetztalern Alpen-Austria Poi, anticipando i tempi, pensò e realizzò le prime

spedizioni extraeuropee con gli sci: mete mai neanche immaginate dagli altri accompagnatori, come la spedizione all’Elbruz del 1966 e quelle in Groenlandia del 1967 e del 1969. Per il maggio 1970 aveva programmato il Damavand (5.770 metri) in Iran. Toni 'inventò' anche un nuovo modo di fare la guida, come risulta da queste parole di un suo cliente: 'Ricorderò sempre l’impressione che ha suscitato in me il primo incontro con Toni: il piacere di trattare con un uomo colto, di formazione umanistica, ed insieme la certezza che in lui coesistevano l’esperienza e la sicurezza, perseguite con ferrea volontà e continua applicazione, della guida valligiana; la sensazione di perfetta tranquillità che derivava dalla certezza che Toni aveva già pensato a tutto, aveva tutto previsto e certamente avrebbe anche ovviato a qualsiasi eventuale contrattempo; ed infine la piena consapevolezza di avere di fronte un uomo nato per essere guida e capo, al quale era spontaneo, anche per i più restii, prestare obbedienza con cieca fiducia'. Non dimentichiamo infine che fu l’ideatore della scuola nazionale di sci-alpinismo d’alta montagna, una scuola che seppe essere al tempo stesso università e scuola elementare dello sci-alpinismo». Come si può dimostrare che Toni Gobbi è stato il principale artefice dello sviluppo dello scialpinismo in Italia e non solo? «I suoi programmi hanno permesso la diffusione dello scialpinismo ad un vasto numero di appassionati. I numeri parlano meglio di tante parole: tra il 1951 ed il 1970 realizzò 106 settimane di scialpinismo ossia 742 giornate, con 570 partecipanti. Qualcuno ha voluto fare i conti: sono circa 700.000 metri di dislivello in salita e discesi in sci fuori da ogni pista battuta, qualcosa come ottomila chilometri! Senza contare la spedizione nel Caucaso e le due in Groenlandia. Ogni anno veniva preparato un nuovo catalogo con tutte le proposte e i clienti ricevevano una lettera

personalizzata con il consiglio delle settimane a loro adatte, seguendo uno schema di progressivo miglioramento. Con un’altra lettera ogni cliente riceveva l’invito al corso della scuola più utile per migliorare le sue capacità in salita ed in discesa, sulla base di un’analisi delle forze e delle debolezze di ognuno. Diceva Toni: 'Una meta sci-alpinistica si può affrontare non solo quando si abbia il fiato per arrivare fino in vetta, ma anche e specialmente quando si abbia la capacità tecnica per la discesa'». Le settimane erano accessibili anche ai giovani e alle donne? «L’organizzazione prevedeva prezzi e attenzioni speciali per i giovani. A questo riguardo Toni Gobbi scriveva: 'Le settimane, pur rifuggendo da ogni forma di agonismo, hanno saputo offrire ai giovani sciatori di pista condizioni e soddisfazioni tali che per esse il problema dei giovani non è mai esistito, come prova la percentuale assoluta e relativa della loro entusiastica partecipazione e la passione con la quale essi alternano l’attività su terreno prettamente sci-alpinistico a quella normale sulle piste'. Il 20 per cento dei partecipanti era infatti rappresentato da giovani tra i 18 e i 25 anni! Per raggiungere questi risultati fu anche di aiuto il premio della commissione sci-alpinistica della FISI al più giovane sciatore-alpinista partecipante alle settimane. Altrettanto si può dire per la quota rosa che rappresentava il 18 per cento dei partecipanti». Ritorniamo a quella 'indigeribile verità' che introduci nella tua prima risposta… «L’indigeribile verità è che Toni Gobbi, a 42 anni dalla sua scomparsa, rimane il grande padre dello scialpinismo di alta montagna. Lo dimostrano l’invenzione dello scialpinismo professionistico, il contenuto innovativo dei suoi programmi, il grande successo degli stessi. Nessuno è riuscito, nell’arco di un ventennio, a fare tanto. No, mio padre non era un dinosauro, era un gigante».


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NEVE E VALANGHE testo: renato cresta Renato Cresta è nato a Genova nel 1936. Arruolato come ufficiale degli alpini, ha prestato servizio presso reparti di Alpini Paracadutisti ed ha comandato il Plotone Atleti della Scuola Militare Alpina. Istruttore militare di sci e di alpinismo, maestro di sci, sia di fondo che di sci alpino. Lasciato l’Esercito con il grado di Capitano, si è dedicato alla libera professione come direttore spor-

tivo della stazione di Macugnaga e, successivamente, degli impianti del Passo dello Stelvio. Attualmente opera come consulente in materia di neve e valanghe, occupandosi prevalentemente di sicurezza in ambienti innevati. È richiesto come insegnante ai Corsi di Formazione professionale per maestri di sci e per responsabili della sicurezza delle stazioni di sport invernali.

La neve e le sue implicazioni L’oro bianco non è prezioso solo per lo ski-alper ma ha sempre influenzato le attività umane, ieri come oggi

N

ei numeri scorsi ho detto che c’è neve e neve, come c’è vino e vino. Ogni vino è fatto con l’uva di un vigneto, ma c’è vigneto e vigneto e la Barbera delle Langhe è diversa da quella del Monferrato e questa da quella dell’Oltrepo perché, oltre alle caratteristiche del suolo, cambiano anche le caratteristiche climatiche. Persino nella stessa località due vigneti vicini, che portano a maturazione lo stesso vitigno su suolo identico, possono dare vini con caratteristiche apprezzabilmente diverse, perché un vigneto può differenziarsi dall’altro per pendenza del terreno, esposizione al sole, e così via. Anche il manto nevoso si presenta disuguale da zona a zona, a causa della diversità climatica che si riscontra nei diversi settori dell’arco alpino, infatti l’AINEVA, sulla base delle osservazioni pluridecennali che conducono alla redazione dei bollettini valanghe, ha suddiviso l’arco alpino in 22 zone climatiche.

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Alpi Liguri e Marittime Alpi Cozie Alpi Graie meridionali Alpi Pennine orientali Alpi Lepontine Alpi Graie settentrionali Alpi Pennine occidentali Alpi Orobie Alpi Retiche Alpi Retiche centr. e orientali Alpi Venoste e Aurine Gruppo Ortles Cevedale Dolomiti settentrionali Dolomiti di Brenta e Adamello Dolomiti occidentali Prealpi Trentine Prealpi Venete Dolomiti orientali Prealpi Carniche Alpi Carniche Alpi Giulie Prealpi Giulie

Osserviamo che tutto l’arco dei monti liguri, dalle Alpi Marittime ai confini con l’Appennino ToscoEmiliano, è escluso dalla carta (la Regione Liguria non emette bollettini) e che la suddivisione ha inizio dal versante settentrionale delle Alpi Liguri e Marittime e si estende fino alle Alpi Giulie. La suddivisione comprende anche le Prealpi, che nel settore orientale dell’arco alpino coprono una superficie molto estesa, mentre nel settore occidentale si riducono a poca cosa perché la pianura si estende fino al piede della catena alpina. Ritengo molto interessante questa suddivisione del territorio montano perché permette di redigere un bollettino valanghe che può essere molto aderente alle situazioni climatiche, diverse da gruppo a gruppo montuoso. Analizzare e comprendere queste differenze può essere un aiuto anche nel processo decisionale, un sostegno che potrebbe condurci a rivedere il nostro modo di giungere alla decisione. Ci sono delle occasioni, come quando si compie un trekking, in cui le gite si sviluppano in successione e non è facile, a volte è impossibile, cambiare programma;


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questa è l’occasione in cui si deve prendere la decisione ‘vado - non vado’. Tranne che in questa circostanza, personalmente non ho mai fatto un calendario-programma per le gite di un solo giorno, fissando rigidamente la tale gita per il tal giorno; al contrario, ho deciso di volta in volta la gita da fare. Ai miei tempi d’oro, anche grazie all’aiuto fornito dalle guide scialpinistiche, preparavo un piccolo elenco di gite, di diversa difficoltà, per ogni gruppo montuoso. In pratica, invece di decidere se esistevano o no le condizioni per compiere quella gita (determinazione difficile, specialmente quando conduce alla rinuncia), preferivo definire in quale settore era meglio andare e, solo dopo aver fatto questa valutazione, sceglievo la gita ragionevolmente possibile da portare a termine in quel settore. Instabilità del manto nevoso e pericolo di valanghe Torniamo adesso all’aspetto della stabilità della neve: è un problema che riguarda molte attività economiche, che a loro volta sono alla base dell’attività economica principale delle stazioni di sport invernali. La pratica dello sci interessa direttamente i lettori di Ski-alper, ma è uno sci che sceglie i grandi spazi non soggetti alla sorveglianza degli organi di controllo (sindaci, commissioni locali valanghe, direttori di stazione e responsabili della sicurezza); questo significa che le attività sportive che intendiamo esercitare nella stagione invernale comportano i rischi particolari di questa stagione e che la responsabilità della sicurezza ricade su di noi. Abbiamo già discusso di distribuzione quantitativa orizzontale e verticale della neve e della permanenza del manto nevoso, ma abbiamo tralasciato l’aspetto qualitativo della neve, che affrontiamo adesso.

Settori alpini con clima di tipo continentale Le basse temperature sono all’origine di una frequente debolezza strutturale del manto nevoso perché ne ritardano i processi di stabilizzazione. Nei settori meno favoriti dalle precipitazioni, caratterizzati da un manto nevoso poco profondo, le basse temperature dell’aria favoriscono un elevato gradiente termico verticale del manto nevoso, che facilita i fenomeni di ricristallizzazione della neve, con formazione di brina di profondità. Questo processo è meno marcato nei settori con manto nevoso di maggior spessore. Nell’elaborazione dei dati utili alla previsione, si deve porre molta attenzione alla presenza di elementi di debolezza strutturale (brina di profondità e brina di superficie inglobata) all’interno del manto nevoso e all’entità delle sollecitazioni che possono provocare la frattura di questi strati deboli. Settori Alpi Liguri, Marittime e Appennino Il manto nevoso di queste montagne presenta sovente un notevole spessore. Può essere soggetto a precipitazioni piovose. Gli strati critici sono più frequenti in prossimità della superficie (nevi di precipitazioni recenti). È soggetto a rilevanti e rapide variazioni meteorologiche e, pertanto, presenta di frequente carattere d’instabilità a causa dei veloci mutamenti di struttura indotti dalle diverse temperature delle correnti d’aria. La ripetuta presenza di correnti di aria calda aumenta temporaneamente l’instabilità ma, a lungo termine, riduce i periodi d’instabilità perché favorisce il consolidamento del manto nevoso. Senza trascurare la struttura del manto nevoso, l’attenzione di chi deve fare una previsione di stabilità si

deve concentrare maggiormente sulle osservazioni e previsioni meteorologiche, in particolare sulla temperatura dell’aria e sulla probabilità di precipitazioni. La carta delle temperature medie del mese di gennaio (estratto parziale da L’atmosfera e il clima - M. Pinna - Ed. UTET) ci aiuta a comprendere le diverse condizioni climatiche a cui è soggetta la neve nel cuore dell’inverno, a seconda dei luoghi in cui si è depositata. Neve e correlazioni con le attività umane Un tempo la quantità di neve che giungeva a interessare un determinato territorio ne condizionava le attività della stagione invernale. Intere testate di vallate alpine restavano isolate per tutto l’inverno. La presenza-assenza di copertura nevosa ha avuto una notevole importanza nell’economia del mondo delle montagne, perché ha regolato, per generazioni e generazioni, quel ritmo binario della vita che avvicendava le attività agro-silvo-pastorali della stagione estiva con le attività alternative, anche con rilevante componente migratoria, nella stagione invernale. Ricordo ancora il primo libro di montagna che ho letto: ‘Oltre la cortina bianca’, di Fulvio Campiotti, libro che tuttora conservo. È il diario di una serie di escursioni con gli sci, compiute nella prima metà degli anni ’50 del secolo scorso. Escursioni che non avevano per meta colli o vette, ma paesi di fondovalle, come Champorcher, Rhêmes Notre Dame, l’Alta Valpelline, Livigno. Qui l’autore trascorreva qualche giorno tra gli abitanti, eremiti forzati, e ne raccoglieva quelle idee e quei sentimenti che poi raccontava ai lettori. Ne è uscito un quadro di gente che accettava l’isolamento come un fatto naturale, un vincolo che, in certe situazioni, poteva porre qualche problema ma che, in fondo, era una condizione alla quale erano abituati a far fronte. Pochi anni dopo, al comando del mio plotone di alpini paracadutisti, ho ripercorso con gli sci gli itinerari valdostani descritti da Campiotti e ho raggiunto gli stessi paesi, ritrovando le stesse condizioni di vita. Quante cose sono cambiate da allora: nell’inverno 2008-2009 sono stato chiamato dalla Protezione Civile di Aosta per tentare di liberare dal carico di neve, mediante cariche esplosive, i versanti che minacciavano di scaricare valanghe sull’unica via di comunicazione di alcune valli, chiusa al traffico per misura di sicurezza. Una misura di sicurezza presa dai sindaci, consci delle loro responsabilità, ma che sollecitavano questo intervento perché consapevoli che anche gli abitanti di questi villaggi hanno diritto a una vita non dissimile da quella degli abitanti di località di bassa valle o di pianura. È stata un’occasione per pensare che, in quei paesi, ora non ci sono più le maestrine dei racconti di Campiotti e i bambini non arrancano più nella neve con gli zoccoli di legno, ma salgono sullo scuolabus che li porta ad una scuola lontana dal paese. Un’occasione in più per compren-


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dere che la fonte di reddito per l’unica osteria del paese non è più l’abitante e il raro escursionista o, fatto eccezionale, un intero plotone di alpini. Ora l’osteria è un bar-ristorante e intorno ci sono strutture ricettive che il turista deve poter raggiungere; se questo non è possibile, l’operatore turistico subisce un calo d’introiti. Questo deve essere accettato come parte del rischio imprenditoriale ma, soprattutto, il turista deve poter raggiungere e lasciare il paese senza problemi. Può capitare, come a Macugnaga è successo anche a me, di assistere allo spettacolo di persone che, pur avendo in programma di rientrare a casa il sabato, il mercoledì erano prese da violente crisi isteriche perché avevano avuto notizia che la strada era stata chiusa da una valanga e ci sarebbe voluta una giornata di lavoro prima di poter riattivare la circolazione. Non c’erano pericoli di valanghe sui centri abitati o altri problemi di sopravvivenza, gli impianti funzionavano regolarmente, ma qualcuno si sentiva prigioniero della neve e, pur non dovendo mettersi in viaggio, reagiva istericamente al pensiero che questo gli era impedito da una valanga che aveva interrotto l’unica via di comunicazione. Ma anche a qualche operatore turistico fumava la testa sotto il cappello, perché una telefonata dell’agenzia di viaggi gli aveva annunciato che il pullman di turisti che aveva prenotato la vacanza nella sua struttura ricettiva era stato dirottato verso un’altra località. Non neghiamolo, anche una parte di noi, quella parte che include coloro che possono andare in montagna soltanto nei fine settimana, accetta malvolentieri l’idea che salti la gita in programma perché la strada è chiusa da una valanga e diamo degli incapaci a chi dirige la baracca: «cosa ci vuole a fare un paravalanghe?». Forse è una fortuna che non ci sia la galleria paravalanghe, perché qualcuno andrebbe in gita con un manto nevoso sicuramente instabile, che ha già sganciato la valanga, ma questa, invece di interrompere la strada, è fluita via e si è scaricata nel torrente e nessuno si è accorto di niente. Le attività economiche tipiche della montagna di un tempo producevano reddito sopratutto nella stagione estiva e l’inverno era una stagione di attività ridotta. La neve favoriva il trasferimento a valle dei tronchi già abbattuti, o il trasporto del fieno dal ‘tobià’ alla stalla. Era utile, ma non condizionava l’economia del montanaro. Oggi il ritmo binario della vita è reso ancor più evidente dalla bi-stagionalità dell’economia basata sul turismo. Deve venire tanta neve, ma non quando la stazione è piena di turisti (pensiero dell’operatore turistico). Deve cadere molta neve, ma prima della mia settimana bianca, durante la quale deve fare bel tempo (pensiero del turista). Deve esserci la neve nella giusta misura, soda ma non gelata durante la salita e polverosa durante la discesa (pensiero del lettore di Ski-alper). È un fatto sicuro che la carenza di neve vuol dire

maggiori costi per produzione di neve artificiale; la sovrabbondanza di neve significa maggiori costi per battitura e sgombero, oltre al rischio di mancati incassi per chiusura (misura di sicurezza) o perdite per danneggiamenti alle strutture. Considero una fortuna il fatto che «ul temp, le fumne e i sciur i fan quel che i voran lur» (il tempo, le donne e i signori fanno quello che vogliono loro). Questo aspetto macroscopico dell’influenza della neve sulle attività umane non ci deve far dimenticare l’importanza che riveste la copertura nevosa sul ciclo vegetativo della flora montana: alle quote più elevate la neve dura a lungo e molte specie vegetali, quelle che è facile trovare nelle vallette nivali, compiono il loro ciclo vegetativo - dal germoglio al fiore, al frutto, al seme - in due anni invece che in uno. Ma anche le coltivazioni di pianura sono condizionate dal rilascio delle acque di fusione, che alimenteranno le coltivazioni: pensiamo alle risaie del Vercellese e del Novarese, irrigate con le acque della fusione primaverile delle nevi, prelevate dai corsi d’acqua montani e condotte ai campi da un imponente sistema di canali di derivazione. Molti anni fa, durante un viaggio di studio negli Stati Uniti, in California ho visitato un centro di ricerca del Dipartimento dell’Agricoltura in cui si stava conducendo uno strano esperimento. Si stavano valutando gli effetti di un taglio particolare dei vasti boschi delle montagne californiane. La foresta veniva ‘tosata’ per strisce orizzontali, la cui ampiezza era calcolata in funzione dell’esposizione al sole, dell’inclinazione del versante e dell’altezza degli alberi. Questo taglio era finalizzato a ottenere un più abbondante deposito al suolo della neve, non più intercettata dalla chioma delle piante. Inoltre, i ricercatori stavano studiando gli effetti di protezione dall’irraggiamento solare che l’ombra proiettata dagli alberi era in grado di svolgere sulla neve depositata al suolo nelle radure artificiali. Pensavano che un ritardo della fusione avrebbe permesso di avere una scorta di acqua allo stato solido e che il rilascio più lento delle acque di fu-

sione avrebbe regolato il flusso, che sarebbe andato ad alimentare i bacini di raccolta in tempi più lunghi. Questo dilatarsi dei tempi di fusione avrebbe evitato l’inevitabile spreco di acque sovrabbondanti, destinate allo sfioro oltre gli scolmatori, che si verifica quando la fusione avviene in tempi brevi. Non sono riuscito a conoscere il risultato dello studio, che avrebbe dovuto concludersi una decina d’anni dopo la mia visita. Il vecchio detto ‘sotto la neve, pane’ è sempre valido: si riferisce, infatti, all’azione protettiva della neve, che impedisce al gelo di penetrare in profondità e di danneggiare i tessuti delle specie vegetali, in particolare i germogli delle seminagioni autunnali. L’aumento di volume dell’acqua che questi contengono ridurrebbe a brandelli le pareti delle celle vegetali in cui è contenuta, determinando la morte della piantina. Qualche anno fa un ricercatore francese (Mougin), inserì in autunno un termometro a minima sotto un sottile strato di neve, alla quota di 3.000 metri, nella zona sottostante il Col de Trelatête (Monte Bianco). Quando in primavera lo estrasse, scavando oltre cinque metri di neve, constatò che, a livello del suolo, la temperatura minima dell’inverno era stata di - 3° C, mentre la temperatura dell’aria era scesa sotto i - 40° C. Per inciso, questa è un’altra conferma che, in caso di bivacco, una buca scavata nella neve (truna) è preferibile a un addiaccio in superficie. Il discorso sull’importanza della neve nella vita di vegetali e animali delle zone montane si è fatto un po’ lungo, ma dovete perdonarmi se io, ogni tanto, mi ricordo che la neve non è solo sci e quando lascio le piste per la neve alta e mi inoltro nell’ambiente naturale, mi soffermo spesso a osservare la natura per cercare di comprenderla. Infatti, mi soddisfa di più scoprire qualcosa di nuovo che raggiungere una vetta. I soliti maldicenti dicono che questa mia preferenza è dovuta al fatto che non ce la faccio più a raggiungere le vette, e forse hanno ragione.


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NEVE E DIRITTO testo: FLAVIO SALTARELLI Flavio Saltarelli, classe 1963, avvocato civilista, pratica scialpinismo dall’età di 18 anni. Si occupa per passione delle problematiche legate alle responsabilità connesse agli sport in ambiente montano e ha partecipato a diverse competizioni di ski-alp. Per eventuali quesiti: studiolegalesaltarelli.grassi@fastwebnet.it

Raduni di scialpinismo,

la responsabilità degli organizzatori Quali cautele prendere per limitare i rischi nelle manifestazioni non competitive o scialpinismo è uno sport in grande crescita e sono in aumento non solo le gare, ma anche le manifestazioni non agonistiche come i raduni. La mancanza di spirito competitivo non scagiona tuttavia gli organizzatori di queste manifestazioni in caso di sinistro, qualora sia ravvisabile un comportamento colposo. Vediamo pertanto quali responsabilità si nascondono sotto la neve e come cercare di limitarle. Le fattispecie di danno individuabili durante le manifestazioni sciistiche (agonistiche e non) vanno inquadrate alla luce dei principi della cosiddetta ‘responsabilità sportiva’. Principio identificatore di questa responsabilità è quello del ‘rischio consentito’, fondato sulla considerazione che chi pratica uno sport come lo ski-alp accetta volontariamente di esporsi al rischio connesso a questa pratica in ambiente montano. I danni patiti che rientrano tra quelli normalmente prevedibili nella pratica dello scialpinismo ricadono esclusivamente sugli stessi partecipanti. Qualora invece il livello di pericolosità al quale i partecipanti sono stati sottoposti prendendo parte alla manifestazione sia superiore all’ordinario e si verifichi un incidente, a rischiare saranno gli organizzatori, a titolo ovviamente di responsabilità colposa. Prima di entrare nel dettaglio, precisiamo quali sono gli obblighi dell’organizzazione di un raduno di ski-alp per comprendere quali omissioni possano costituire il fondamento di un comportamento colposo: testare l’idoneità e le condizioni contingenti dell’itinerario; controllare che i partecipanti siano dotati di Artva funzionanti, pala, sonda ed eventualmente ramponi, imbrago, corda e piccozza, se necessari in considerazione delle caratteristiche dell’itinerario; accertarsi che i partecipanti abbiano ben compreso a quale impegno tecnico e fisico saranno chiamati. Il percorso scelto dovrà essere verificato da una guida alpina perché sia giudicato potenzialmente sicuro e siano predisposte tutte le cautele necessarie a contenere il rischio nei limiti normali della specifica attività scialpinistica, tenendo conto delle condizioni del momento e dell’esposizione dei pendii per potenziali o concreti rischi valanghe. Vanno prese in considerazione anche le previsioni meteo e la presenza di eventuali crepacci (indicando in questo caso dove transitare con sicurezza o mettendo scale per il superamento), posizionando corde fisse in canaloni o creste e segnalando ostacoli insidiosi nelle discese. Sull’itinerario sarà opportuno avere la presenza di tecnici del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino

per un immediato intervento in caso di necessità e di addetti che segnalino e prestino assistenza ai partecipanti nei tratti di maggior pericolo. Gli organizzatori dovranno inoltre assicurarsi che i partecipanti indossino, se del caso, i ramponi e osservino ogni opportuna cautela in certi passaggi a rischio. Infatti lo scialpinista medio, che da solo dovrebbe essere in grado di scegliere la traccia, decidere se legarsi o meno, o se sostituire gli sci ai ramponi, quando è impegnato in manifestazioni, tralascia spesso ogni valutazione affidandosi solo a quanto imposto dall’organizzazione. L’organizzazione pertanto assume nei suoi confronti anche una pericolosa (ai fini di eventuale responsabilità) funzione di garanzia. È consigliato fare sottoscrivere ai partecipanti, prima della partenza, un documento in cui siano riportate le caratteristiche del percorso e le difficoltà previste. Sarebbe utile richiedere al momento dell’iscrizione la consegna di un certificato medico se non addirittura di idoneità agonistica, comunque che certifichi la piena capacità fisica di affrontare un’attività sportiva impegnativa in ambiente alpino. Ma le responsabilità degli organizzatori non si limitano esclusivamente ai partecipanti e possono estendersi a situazioni di danno per coloro che ad altro titolo sono coinvolti nella manifestazione (assistenti di percorso) e ai terzi. Per quanto riguarda il personale di controllo e di assistenza sul giro, l’organizzazione deve garantire uno standard di sicurezza almeno pari a un’ordinaria gita invernale di montagna, non pretendendo lo svolgimento di attività o compiti che comportano esposizioni a rischi aggiuntivi. Per quanto riguarda invece i terzi (persone del pubblico o comunque soggetti che si trovano nelle vicinanze), un’eventuale responsabilità potrebbe configurarsi in caso di valanga o di scarica di sassi prodotti dai partecipanti al raduno. In questo caso la responsabilità andrà valutata alla luce dei principi (più volte esaminati in questa stessa rubrica) in materia ed è possibile ipotizzare un concorso di responsabilità tra organizzazione e partecipante in caso di più condotte colpose idonee a essere concause del danno. Bisogna comunque ricordare, a conclusione, che ogni giudizio in merito alla responsabilità andrà, secondo la giurisprudenza, trattato sulla base di quanto era doveroso aspettarsi secondo valutazioni ‘ex ante ed ex post’, cioè sulla scorta di ciò che si poteva prevedere (cosiddetta prognosi postuma) e di ciò che si è di fatto verificato.


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PREPARAZIONE testo: Alfredo Brighenti, Lorenzo Bortolan e Aldo Savoldelli

L'allenamento alla resistenza Pro e contro dei diversi metodi per migliorare la capacità del nostro fisico di opporsi all'affaticamento

VUOI ESSERE SOGGETTO DI UNO DEI PROSSIMI STUDI? Siamo alla ricerca di scialpinisti che siano disposti a fare almeno tre competizioni (sicuramente un Vertical e una Coppa Italia). Requisiti: possedere un orologio cardiofrequenzimetro e GPS. A chi sarà disposto a diventare soggetto di questo studio sarà offerta una valutazione nei nostri laboratori di Rovereto. Contattaci a cerism@univr.it oppure allo 0464 483502.

L

o scialpinismo è uno sport di resistenza, che può essere definita come la capacità psicofisica dell’atleta di opporsi all’affaticamento. Un allenamento alla resistenza ci porta ad avere: aumento della capacità di prestazione fisica; miglioramento della capacità di recupero; aumento della capacità di sostenere un carico dal punto di vista psichico; costante rapidità di reazione e d’azione che restano elevate durante tutta la competizione. Permette, estremi esclusi, di avere una salute più stabile sia contro i malanni stagionali che contro malattie croniche come quelle al sistema cardiocircolatorio. Un eccessivo lavoro basato sulla resistenza, però, può portare a trascurare l’allenamento di altri fattori correlati con la performance e può condurre a uno stato di sovrallenamento (a cui dedicheremo un intero articolo più avanti). Nello specifico la resistenza interviene sul cuore, aumentando lo spessore del muscolo cardiaco e le dimensioni delle cavità con conseguente aumento del sangue 'pompato' a ogni contrazione (gittata sistolica) e dell’economia del lavoro cardiaco. L'allenamento produce anche un aumento del volume sanguigno e dell'efficienza dei sistemi preposti all’eliminazione di sostanze di scarto come il lattato. Altri effetti benefici riguardano la capillarizzazione periferica, con un aumento di capillari nei muscoli, maggiore superficie di scambio e irrorazione di sangue. Si registra inoltre un incremento delle riserve energetiche muscolari (di glicogeno e trigliceridi) e un aumento di numero, dimensioni

ed efficienza dei mitocondri che sono le 'centrali energetiche aerobiche' della cellula. Per avere la possibilità di aumentare in modo efficace le capacità di prestazione è necessario utilizzare quei metodi e quei contenuti di allenamento che più si avvicinano alle richieste metaboliche della disciplina di gara e che possono migliorarle adeguatamente. Ci sono infatti alcuni metodi che portano più rapidamente e più efficacemente ad adattamenti quali l’aumento delle dimensioni cardiache, altri all’aumento della capillarizzazione o al miglioramento di altri aspetti. Descriveremo ora alcuni sistemi di allenamento alla resistenza e i benefici che possono portare ai fini della prestazione. Metodo continuo prolungato Questo tipo di lavoro porta in primo luogo a un miglioramento della capacità aerobica ma, in funzione dell’intensità a cui verrà svolto, avremo diversi adattamenti. Le intensità, legate alla durata, partono da un 50-60% del massimo consumo d’ossigeno (che è possibile sostenere per più ore) fino a intensità prossime a quelle della soglia anaerobica (fino a circa 45-60 minuti). A intensità più basse c’è un maggior utilizzo di grassi come substrati energetici e un conseguente 'risparmio' di zuccheri che vengono invece utilizzati in percentuale più alta quando la velocità richiesta è più elevata. Vantaggi: • Sviluppata capacità di sfruttare i grassi per fare energia

• Migliore capacità di eliminazione di prodotti di scarto (es. lattato) • Aumento della capillarizzazione (quindi della superficie di scambio) • Lavorando a intensità prossime a quelle della soglia anaerobica si può arrivare a miglioramenti nella capacità di sfruttare una più elevata percentuale del Vo2 max (il che può portare atleti con un Vo2 max non esagerato a competere con chi ha una cilindrata più importante ma una minore capacità di sfruttarla ad alte percentuali!). Svantaggi: • Servono impegni e tempi di allenamento elevati • Se svolto sempre al 50-60%, l’atleta non è in grado di sostenere per periodi lunghi intensità elevate (cambi di ritmo, allunghi durante la gara o scatti finali). Metodo intervallato Con questo metodo è possibile sostenere intensità più elevate anche se, sempre in funzione di queste ultime, avremo una durata del periodo di carico diversa. La particolarità di questo tipo di allenamenti sta nell’alternare un carico elevato a un recupero attivo (in movimento) che non arrivi a essere completo. Un esempio classico consiste nello svolgere per 4 volte un carico di 4 minuti al 95% circa del Vo2 max con un recupero di 3 minuti al 70% circa del Vo2 max. Vantaggi: • Porta adattamenti al cuore sia durante la fase di carico, dove il lavoro prevalentemente pressorio


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provoca un'ipertrofia del miocardio mentre, nella fase di recupero, la prevalenza del lavoro volumetrico provoca soprattutto una dilatazione delle cavità cardiache. È necessario che il recupero sia attivo per sfruttare l’effetto pompa svolto dalla muscolatura al fine di far affluire al cuore la quantità di sangue necessaria per una gittata sistolica (ovvero la quantità di sangue che il cuore pompa per ogni contrazione) elevata. • La diversa intensità alla quale viene svolto il carico degli intervalli provoca adattamenti diversi. Per durate da 1 a 4 minuti circa di intensità anche superiore al 90% del massimo consumo d’ossigeno si ottiene un miglioramento della potenza aerobica. Quando invece aumenta la durata del carico e decresce un po’ l’intensità, avremo sempre un alto 'utilizzo di zuccheri' ma sarà sviluppata maggiormente la capacità aerobica • Conseguente aumento anche del massimo consumo d’ossigeno. Svantaggi: • Non abbiamo una capillarizzazione accentuata come nel metodo prolungato che si ottiene soprattutto con durate di esercizio continuo di circa 30 minuti e oltre. Metodo con ripetizioni Si tratta di un’esecuzione ripetuta di una distanza/

dislivello prescelti, che ogni volta sono percorsi alla massima velocità possibile dopo aver recuperato completamente la prova precedente. Le prove saranno in numero limitato a causa dell'elevata intensità. La durata del recupero non è quantificabile perché dipende dal carico relativo o da quello precedente. Recuperi di 1-2 minuti sono necessari per ripetizioni che durano pochi secondi, mentre recuperi molto più lunghi (anche 10-20 minuti) sono necessari per recuperare un carico massimale di durata superiore. Questo recupero completo permette a tutti i parametri (respiratori, metabolici ecc.) di tornare al livello iniziale. Metodo un po’ più adatto per discipline sportive in cui è richiesta, oltre a un’elevata capacità di prestazione di resistenza, anche una notevole dose di velocità (es. corse di mezzofondo dell’atletica leggera). Potrebbe essere utilizzato in un contesto di preparazione specifica a una gara sprint di scialpinismo che dovrebbe essere caratterizzata da sforzi di 3 minuti ± 30 secondi ripetuti, per i più forti 4 volte (qualificazioni, quarti, semifinali e finale). Si parla invece di lavoro intermittente per tempi fino a circa 30 secondi che sono quindi caratterizzati da una prevalenza dell’utilizzo del metabolismo anaerobico con recuperi uguali o poco superiori alla prova intensa. Un esempio classico può essere un 30 secondi di carico con 30 secondi di recupero da ripetere più volte.

centro di ricerca 'sport montagna e salute'

Il

Centro di Ricerca 'Sport Montagna e Salute' è uno dei pochi in Europa fortemente indirizzato alla pratica sportiva in ambiente montano. Oltre a sviluppare filoni di ricerca nell’ambito dell’attività fisica in montagna, la sua naturale collocazione ai piedi delle Alpi e la sua forte presenza sul territorio Trentino ha reso possibile l’incontro, sempre auspicato ma spesso difficile, tra il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ricerca universitaria. Il CeRiSM collabora con diverse e importanti aziende vicine al mondo dello sport, mettendo a disposizione il proprio know-how, i propri laboratori e attrezzature. L'obiettivo è quello di sviluppare in piena sinergia progetti di ricerca per la valutazione, lo sviluppo e il marketing dei prodotti sportivi, con particolare riferimento all’uso nelle reali condizioni di utilizzo. I progetti di collaborazione interessano aspetti biomeccanici, fisiologici e neurofisiologici (come il comfort termico), sottoponendo i prodotti delle aziende a prove di utilizzo in laboratorio e simulando la pratica sportiva nelle situazioni climatiche più critiche. I test vengono svolti all’interno di una camera nella quale è possibile ricreare le condizioni che si trovano fino a 9.000 metri di quota e a temperature da -20 a +40 gradi centigradi.

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Metodo di gara Consiste nel prepararsi a una gara utilizzando altre gare. Questo metodo sicuramente non è praticabile e plausibile per la maggior parte di noi lettori di Skialper, ma è ipotizzabile che atleti di un certo livello decidano di utilizzare altre competizioni 'minori' per preparare i momenti più importanti della stagione. Questo permette di migliorare il comportamento tattico e di stimolare al massimo e in forma specifica tutti quei fattori psicofisici che sono alla base della competizione stessa. Per quanto riguarda le esercitazioni focalizzate allo sviluppo della forza consigliamo di prendere in considerazione il metodo dell’allenamento funzionale. Non si tratta di altro che dell’utilizzo di esercizi che coinvolgono più distretti muscolari contemporaneamente e a 'corpo libero'. Questo dovrebbe essere eseguito anche con un particolare interesse rivolto allo sviluppo della 'core stability', vale a dire della muscolatura del tronco, sempre con esercizi globali. Come si nota guardando qualche filmato degli atleti in discesa, in neve fresca è importante avere un buon controllo della muscolatura del tronco per permettere di gestire il disequilibrio derivante dal cambio improvviso di neve o di pendio. Questa muscolatura inoltre rende maggiore l'efficacia della spinta degli arti superiori in salita.


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TECNICA AGONISTICA TESTO: Omar Oprandi foto: Sebastiano Salvetti

Bastoni ai raggi

Il materiale. La lunghezza. L’importanza di papera e lacciolo. La regolazione del cinturino. L’azione di spinta e richiamo. La coordinazione degli arti superiori e inferiori. Il doppio passo appoggio.

T

radite il vostro Dio. Tradite, almeno un poco, la leggerezza. Se è vero che avere un bastone leggero equivale a un minore affaticamento, non è questo il solo fattore determinante nella scelta di un modello race. Lo sono invece ‘papera’ e lacciolo. La prima chiamata a garantire tanto un solido appoggio quanto, aspetto sottovalutato ma altrettanto importante, un’agevole estrazione dalla neve. Pur avanzando all’interno delle tracce, infatti, accade spesso d’imbattersi in superfici soffici, dove la papera non funge solamente da freno per non ‘sfondare’ in fase di spinta, ma anche da elemento di penetrazione nella neve fre-

Rientro automatico Nella sequenza, il vincolo tra bastone e arto generato dal lacciolo permette l’automatico rientro del bastoncino nella mano. La stretta sull’impugnatura ha una durata limitata alla frazione (iniziale) dell’appoggio; l’allungamento finale del braccio sfrutta quale punto di forza solamente il cinturino.

sca quando il bastone avanza seguendo il passo. La fase di richiamo è infatti caratterizzata da un’inclinazione dei bastoncini differente rispetto al puntamento, quindi con la papera propensa a raccogliere neve se sagomata non correttamente oppure a scaricarla se forte di una forma fluidodinamica. Nel primo caso con un dispendio d’energie per lo ski-alper, nel secondo agevolando il movimento. Cinturino classico o guantino? Sulle prestazioni influiscono soprattutto il lacciolo e la sua corretta regolazione. Il cinturino, nel dettaglio, può essere di tipo classico, vale a


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Carbonio con o senza kevlar La parte terminale dei bastoni in carbonio può essere rinforzata o meno con dei fogli di kevlar (a destra in foto); materiale che scongiura le rotture o, in caso di cedimenti, la creazione di schegge.

dire a fettuccia, oppure a ‘guantino’. Guantino derivato dallo sci di fondo e in due configurazioni: svincolabile dall’impugnatura mediante un meccanismo ad aggancio rapido oppure solidale. Quest’ultima versione sfruttabile nei vertical o nelle gare di sola salita, ma non in competizioni di ski-alp classico alla luce sia della perdita di tempo nei cambi d’assetto - talvolta il regolamento prevede l’appoggio a terra dei bastoni - sia delle difficoltà d’azione in tratti tecnici che richiedono l’utilizzo di corde fisse o l’arrampicata su roccia. Frangenti nei quali il lacciolo resta la soluzione più gettonata, non comportando la necessità d’infilare i bastoni nello zaino, sebbene il guantino ad aggancio rapido garantisca un avvolgimento e una regolazione estremamente precisi. Cinturino classico che va adattato in base al guanto, più o meno voluminoso a seconda del periodo della stagione, e che deve avvolgere saldamente la mano così che pollice e indice creino una V solidale al punto d’innesto della fettuccia nell’impugnatura. Non lasciando alcuno spazio vuoto tra guanto e cinturino. Così da evitare di adottare un’impugnatura troppo alta, con il rischio di perdere la presa arretrando il braccio, o eccessivamente lassa, smarrendo il contatto con il bastone in fase di richiamo. Sughero contro il freddo L’impugnatura, ovvero la parte del bastone stretta dalla mano, è sottile, derivata dallo sci di fondo. Adatta alla morfologia tanto maschile

quanto femminile. La predominanza del sughero quale materiale di rivestimento è dovuta, oltre che alla leggerezza, ai vantaggi che questo tessuto vegetale comporta a livello termico, dato che in ambienti freddi garantisce una maggiore

Ambio con il doppio passo appoggio In presenza di fondi cedevoli si adotta la tecnica del ‘doppio passo appoggio’. Diviene così frequente andare in ambio (in foto) ovvero trovarsi con gamba destra e braccio destro, o viceversa, contemporaneamente avanzati.


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TECNICA AGONISTICA

2 / Il braccio destro è disteso il gomito non forma angoli.

3 / Mano destra aperta: l’allungamento finale del braccio sfrutta come punto di forza il lacciolo, unico vincolo tra bastone e arto.

1 / La gamba sinistra termina la spinta e il bastoncino subentra nell’istante immediatamente successivo.

conservazione del calore corporeo rispetto alla plastica. Tubi e lunghezza I materiali con cui sono realizzati i tubi sono sostanzialmente due: alluminio e carbonio. Il primo più adatto alla ‘pancia’ del gruppo, ovvero a quanti non dispongono di un’ottima tecnica di discesa. In caso di cadute, infatti, l’alluminio si

piega, le fibre composite si rompono. Carbonio, in ogni caso, più leggero e reattivo in fase d’appoggio su nevi dure; foriero d’una trasmissione più immediata delle forze. A patto di scegliere correttamente la lunghezza. In generale, se in pista vale la regola, per l’individuazione della misura idonea, dell’inversione del bastone con impugnatura alla base della rotella così che il gomito assuma un’angolazione a 90°, in ambito

ski-alp vanno aggiunti dai 5 ai 7 cm alla taglia così individuata. Valori superiori sono prerogativa esclusivamente di gare che prevedono tratti di passo pattinato. Minima durata della presa L’azione di un agonista è redditizia al 100% quando la presa del bastone, vale a dire la stretta della mano sull’impugnatura, ha una durata mi-

Inclinazione nei traversi Nei traversi, quando l’appoggio del bastoncino destro e sinistro avviene ad altezze differenti, il bastone a monte assume una maggiore inclinazione assicurando la spinta senza sbilanciare il corpo.

Carico e scarico Sopra, un’estrazione simulata di diversi tipi di papera, replicando l’inclinazione del bastoncino in fase di richiamo. In base alla forma più o meno fluidodinamica, alcuni modelli tendono a raccogliere neve, altri a scaricarla rapidamente.


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Una V tra pollice e indice Il cinturino avvolge la mano così che pollice e indice formino una V solidale al punto d’innesto della fettuccia nell’impugnatura.

Aggancio rapido Il cinturino ‘a guantino’, svincolabile dall’impugnatura mediante un meccanismo ad aggancio rapido.

nima. Limitata alla frazione iniziale dell’appoggio, laddove l’allungamento finale del braccio sfrutta quale punto di forza solamente il vincolo tra bastone e arto generato dal lacciolo. Vincolo che permette anche il naturale rientro del bastoncino nella mano, legato al semplice movimento degli arti superiori. Un automatismo che suddivide il movimento in presa/appoggio, spinta sul lacciolo e richiamo/rientro, con la mano chiamata alla flessione delle dita solo nell’istante iniziale. Mantenere saldamente impugnato il bastoncino per l’intero momento dinamico ridurrebbe l’efficacia nelle fasi intermedie e finali della spinta, dato che il braccio non potrebbe distendersi completamente a causa della curvatura assunta dal polso. Distensione invece favorita dall’assetto a mano aperta. In tracce profonde, dove il bastone è chiamato a uscire dalla neve fresca per poi affondare nuovamente durante il passo successivo, il gesto cambia: non potendo spingere con forza a causa del fondo cedevole, né mantenere un numero d’appoggi pari a quello dei passi a meno di un notevole dispendio d’energie, subentra una tecnica derivata dal fondo, più precisamente dal ‘doppio passo spinta’, e definita del ‘doppio passo appoggio’. Tecnica che prevede, appunto, un appoggio ogni due passi. Con la possibilità, assai frequente, d’andare in ambio anziché in alternanza, ovvero di trovarsi con gamba destra e braccio destro, o viceversa, contemporaneamente avanzati.

1 / Spostamento del baricentro verso le spatole per favorire la tenuta delle pelli..

2 / Il bastoncino destro viene piantato in posizione lievemente arretrata rispetto allo scarpone sinistro: la spinta è immediata.

3 / Braccio sinistro disteso e mano aperta.


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ADAMELLO SKI RAID testo: Sebastiano Salvetti

Adamello S ki R aid 2013

istruzioni per l' uso Novità sul percorso dell'Adamello Ski Raid, tappa molto attesa nel calendario de La Grande Course. I segreti del percorso nel racconto del direttore di gara Guido Salvetti

D

Nella foto d'apertura e nella prima a sinistra alcuni scorci del Passo degli Inglesi, nell’edizione 2011 percorso e attrezzato per la discesa, quest’anno da affrontare in salita, sci nello zaino e ramponi ai piedi. A seguire una vista panoramica del Pian di Neve e, sullo sfondo, dell’Adamello. La discesa dalla cima, molto tecnica, avverrà attraverso uno dei canalini a sinistra della pala. A fianco, il celebre cannone di Cresta Croce (3.300 m slm). Quest’anno verrà raggiunto con le pelli anziché sci nello zaino attraverso il ripido canalino sottostante. Canale che, in base alle condizioni d’innevamento, potrebbe venire affrontato in discesa.

Due anni di studi, riflessioni, ipotesi e sopralluoghi. Poi la svolta. L’Adamello Ski Raid cambia volto. Radicalmente. L’edizione 2013 presenta un percorso ampiamente rinnovato, con un significativo incremento del dislivello positivo che passa da 3.400 metri a 4.000 metri e una lunghezza di 45 chilometri. Ne abbiamo parlato con Guido Salvetti, tracciatore e direttore di gara della tappa adamellina de La Grande Course. «La partenza non avrà luogo come in passato al Passo del Tonale, bensì in prossimità della stazione intermedia della cabinovia PontedilegnoTonale, in località Colonia Vigili (1.640 m slm). Inizialmente il percorso ricalcherà il tracciato delle piste Tonalina e Paradiso, permettendo agli atleti più in forma di sgranare il gruppo sin da subito, per poi affrontare il ghiacciaio del Presena fino a Passo Presena (2.996 m slm). Rinunciando alla zona del Cantiere, stradina d’accesso e galleria incluse, che costringeva i concorrenti ad avanzare quasi in fila indiana, con ridotte possibilità di sorpasso. Abbiamo disegnato una prima parte di gara meno monotona, cui farà seguito una discesa che, in base alle condizioni d’innevamento, potrebbe rivelarsi più impegnativa del previsto. Non determinante per la vittoria, ma senza dubbio cruciale per non essere immediatamente tagliati fuori dalle posizioni che contano. La perdita di quota verso il Mandrone, fino al Rifugio Città di Trento (2.442 m slm), verrà infatti affrontata nelle prime ore del mattino, con neve quasi certamente ghiacciata, trasformata, disseminata di placche e rocce sporgenti».

Quindi nuovamente in salita puntando al Passo del Pisganino, o Passo del Lago Gelato, continuando verso i Corni di Bedole (3.150 m slm) per portarsi al Passo del Venerocolo (3.136 m slm) e scendere al Rifugio Garibaldi (2.548 m slm). Qui ogni tattica andrà accantonata. Ogni ragionamento passerà in secondo piano. Ad attendere i concorrenti ci sarà il tratto più duro dell’intero percorso: la salita attraverso il Passo degli Inglesi e le Roccette dell’Adamello fino all’omonima vetta (3.539 m slm). «Un tratto abbastanza lungo, da aggredire sci nello zaino, con una pendenza di 45/50° - racconta Salvetti - dove la fatica si farà sentire. Chi vorrà attaccare, o recuperare posizioni, potrà fare la differenza».


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Monte Adamello m. 3.539

4.000 m.

Monte di Cresta Croce m. 3.300

Passo Bedole m. 3.150

3.500 m.

Passo Valletta m. 3.200

Passo Presena m. 2.996

3.000 m. DISLIVELLO TOTALE IN SALITA 4.000 m. IN DISCESA 4.380 m.

2.500 m. 2.000 m. 1.500 m. Tonalina m. 1.630

1.000 m.

Lago Venerecolo m. 2.540

Lago di Mandrone m. 2.442

0 km START !

5 km

Rifugio città di Trento al Mandrone m .2.442 10 km

15 km

Rifugio Garibaldi m. 2.548 20 km

Rifugio ai caduti dell’Adamello alla Lobbia Alta m. 3.045 25 km

30 km

Ponte di Legno m. 1.250

35 km

40 km

45 km FINISH !


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ADAMELLO SKI RAID

Pian di Neve in discesa «Giunti in vetta all’Adamello, un ripido canalino attenderà i concorrenti. Un tratto impegnativo, molto tecnico, che dalla pala sommitale porterà al sottostante Pian di Neve. Un passaggio da affrontare con cautela, dove verranno esaltati coraggio e abilità tecnica. Il Pian di Neve, interminabile distesa candida in passato affrontata in leggera salita, ora verrà percorso in lieve discesa, senza pelli, a spinta. Assetto che potrebbe favorire quanti provengono dallo sci di fondo e i concorrenti più allenati nella spinta di braccia. Quindi si risalirà, quest’anno sci ai piedi, a Cresta Croce (3.300 m slm), caratterizzata dal celebre cannone 149/G, soprannominato ‘l’ippopotamo’ e risalente alla Prima Guerra Mondiale. Discesa al rifugio ai Caduti dell’Adamello alla Lobbia Alta (3.045 m slm), ancora Pian di Neve verso il Passo della Valletta (3.200 m slm) e calata in direzione Pontedilegno (1.250 m slm) attraverso il celebre Pisgana. Pisgana che resta, in assoluto, la discesa più sciabile ma al tempo stesso più lunga (oltre 2.000 m di dislivello) della gara, con la parte terminale abbastanza tecnica ma, soprattutto, con 4.000 metri D+ nelle gambe. Non a caso verrà tributato un premio alla squadra più rapida nel portare a termine il Pisgana». Passo della Valletta anziché del Venerocolo «Tirando le somme - conclude Guido Salvetti aumentano rispetto al 2011 lunghezza, durezza e difficoltà tecniche nei tratti a piedi. Abbiamo previsto un cambio d’assetto in più, le discese saranno complessivamente meno impegnative e sono stati accantonati i tratti più ‘monotoni’, ovvero l’iniziale risalita del Cantiere e il lungo, interminabile, attraversamento del Pian di Neve da Cresta Croce verso l’Adamello, affrontato in leggera salita. Abbiamo reso la gara più dura? Senza dubbio. Però abbiamo concesso un piccolo ‘aiuto’ alla pancia del gruppo: la temibile risalita finale del Passo del Venerocolo, nel 2011 necessaria per accedere alla discesa del Pisgana, verrà quest’anno sostituita dall’ascesa al Passo della Valletta, più dolce e breve. Attenzione, in ogni caso, all’allenamento, dato che aumentano i cancelli orari. Il primo idealmente collocato, come in passato e con tempi pressoché invariati, a Passo Presena, il secondo a Passo del Venerocolo. L’attrezzatura non richiede accorgimenti particolari, con un’unica raccomandazione per quanti non ambiscono alla vittoria: copritevi! Non affrontate la corsa solo con i muscoli, ma anche con la testa. Il freddo potrebbe rivelarsi un ostacolo più ostico del previsto e le condizioni meteo volgere al peggio. Non dimenticate di idratarvi e proteggervi dal vento. E buon Adamello Ski Raid a tutti!».

Una gara per i top e il pubblico Tante novità nell'edizione 2013 dell'Adamello Ski Raid. Prima fra tutte quella della partenza, ma cosa cambierà per i concorrenti? «Minori spostamenti, perché il pre-gara sarà tutto su Ponte di Legno, con il briefing al palazzetto dello sport - ha detto Alessandro Mottineli, presidente del comitato organizzatore -. Per gli atleti la cabinovia che sale all'intermedia per il passo Tonale, punto di partenza della gara, aprirà alle 4.30, mentre per il pubblico alle 5,30. In pratica, lasciando l'auto a Ponte di Legno, si potrà seguire parte della gara e scendere a valle attraverso la favolosa discesa del Pisgana in tempo per vedere le premiazioni, sempre al palazzetto dello sport». Una scelta, quella di modificare il percorso, voluta non solo per gli atleti, ma anche per rendere più fruibile la gara proprio per il pubblico. «I più fortunati potranno godersi lo spettacolo dei concorrenti che salgono già dalla cabinovia, poi contiamo di avere un punto con molti spettatori al Passo Valletta, dove ci sarà la visione più ampia della gara». E le quote di iscrizione? «Nei 280 euro a coppia sono compresi la mezza pensione, il pasta party e un capo tecnico di grande valore, non un semplice gadget, firmato Montura, uno degli sponsor tecnici insieme a Scarpa ed Enervit». Le iscrizioni per questa che sarà la terza tappa della Grande Course sono limitate a 350 squadre e chiuderanno il 15 febbraio. Info: www.adamelloskiraid.com Nelle foto, dall'alto al basso. Guido Salvetti impegnato nella tracciatura, la zona della Ferramenta, sotto le Lobbie. Verrà affrontata in senso inverso rispetto alla scorsa stagione. Sotto, il forcing di Guido Giacomelli e Lorenzo Holzknecht nell'ultima edizione. Dopo la discesa del Mandrone il tracciato di gara risalirà sulla destra rispetto alla traccia del 2011 (in foto), in direzione del Passo del Pisganino, o Passo del Lago Gelato, e dei Corni di Bedole (3.150 m. slm)


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FRANCESCA E ROBERTA testo: Guido Valota

BORMINE Riservate, abituate a far parlare le classifiche. Hanno fatto una vera e propria arte del gareggiare in coppia. Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini sono due icone dello ski-alp al femminile

Roberta

SQUADRA CHE VINCE NON SI CAMBIA Il riferimento tecnico su come si corre in squadra. Il modello di come gestire in gara le dinamiche interne al team. Già compagne di banco a scuola, ancora oggi ognuna delle due è 'portavoce' autorizzata dell'altra.

La più 'decisa' già sui banchi di scuola dove era temuta anche dai maschi. Sta riprendendo molto gradualmente dopo un'operazione chirurgica. È tranquilla, non ha fretta; ma certamente ritornerà competitiva. Di questo ne siamo certi!


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Francesca ÂŤIn una famiglia di scialpinisti come la nostra, mia figlia Caterina ha una forte passione per lo sci... alpino! Si allena con il club, sale allo Stelvio in estate, legge 'Race', gareggia e va anche forte. Non la ostacolo ma... non riesco proprio ad approvare!Âť


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FRANCESCA E ROBERTA

FRANCESCA MARTINELLI Francesca Martinelli è nata a Milano nel 1971 e abita a Bormio, a pochi metri dalla pista Stelvio, con Davide e i figli Caterina e Pietro. Corre per lo sci club Alta Valtellina con sci Ski Trab, attacchi Montura, scarponi Scarpa, vestiario Montura, pelli Pomoca, attrezzi e zaino Camp. Nel suo palmarès una quantità enorme di vittorie e podi, tra le quali condivide con Roberta Pedranzini: 5 vittorie e 2 secondi posti alla Pierra Menta, 3 vittorie su altrettante partecipazioni al Trofeo Mezzalama, ogni volta stabilendo il record femminile, 3 Coppe del Mondo a squadre, il record femminile al Sellaronda. Nel 2006 ha vinto la Coppa del Mondo individuale a pari merito con Gloriana Pellissier.

S

arà per riservatezza, ma in tanti anni di attività e successi, di Roberta e Francesca si è sempre parlato molto poco. Ma sentendo la loro versione, non è esattamente così. «È una domanda che andrebbe posta a giornalisti e redattori! Noi non abbiamo mai fatto niente per la nostra visibilità. Però è anche vero che nessuno ci ha mai contattato per parlare di noi». Quando Ski-alper incontra finalmente Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini, è inevitabile esordire con questa domanda. Anche per capire se ci sia sfuggito qualcosa, in questi anni. È mai possibile che di queste icone dello scialpinismo - non solo femminile - non si sappia quasi niente? Solo informazioni non verificate nel giro di chi frequenta le gare importanti, e mai di prima mano. Eppure Francesca e Roberta hanno prodotto un passo avanti netto del movimento dello ski-alp race. Per esempio, il loro modo di condurre le gare a cop-

pie è esemplare; ciò che oggi è un dato acquisito, ancora pochi anni fa non lo era affatto. Sembra incredibile ma la gara a squadre era per molti la gara in cui dover aspettare il compagno in cima o in fondo. Se non l'occasione per stabilire la gerarchia all'interno del team, quasi una gara nella gara. Francesca e Roberta hanno chiarito ciò che forse non era ancora evidente ai più, abbagliati dai valori individuali dei singoli componenti di alcuni famosi team maschili: il risultato di squadra è un prodotto a sé e non una differenza algebrica tra due valori personali. L'hanno fatto inserendosi costantemente tra squadre maschili composte da individui molto più forti di loro singolarmente, ma che non sapevano produrre risultati di team di pari livello. E così si giunge al di-

scorso di genere, alla solita concessione paternalistica che il maschio latino apre alla donna quando questa fa benino 'cose da uomini'. Un altro contributo prezioso di Francesca e Roberta è lo sdoganamento dello ski-alp femminile. Da evento collaterale, quasi folkloristico, a gara vera. Due ragazze che gareggiano sistematicamente a livelli assoluti, con Gloriana Pellissier e le altre che si sono succedute nel tempo, fino a Roux e Mirò, non sono degli episodi. Sono dei dati di fatto: le donne ci sono e vanno forte. Chi non la capiva subito, l'ha poi capita a forza di trovarsele davanti nelle classifiche. Francesca e Roberta proseguono nell'argomento. Se una imposta un discorso, l'altra la lascia finire e poi aggiunge un punto di vista. In team, sempre.


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ROBERTA PEDRANZINI Roberta Pedranzini è nata a Bormio nel 1971 dove abita con il marito e si occupa della contabilità nello studio legale di famiglia. Corre per lo sci club Alta Valtellina con sci Ski Trab, attacchi Montura, scarponi Scarpa, vestiario Montura, pelli Pomoca, attrezzi e zaino Camp. Oltre alle vittorie in squadra, costantemente con Francesca, e decine di vittorie e podi a tutti i livelli dalla Coppa del Mondo fino al calendario FISI, ha conquistato tre Coppe del Mondo individuali e un numero altissimo di titoli italiani, vittorie e podi ai Campionati del Mondo ed Europei.

«Per esempio quella volta a Tambre avevamo vinto quasi tutto - ha spiegato Francesca -. Lei proprio tutto: individuale, coppie, vertical, staffetta, overall. Niente, neanche una foto, al punto che Davide (Canclini, marito di Francesca e tecnico dell'Alta Valtellina, ndr) aveva mandato una mail alla rivista chiedendo se si rendessero conto. È vero che la partecipazione tra le donne è bassa, ma cinque medaglie d'oro a un Mondiale…». E Roberta: «Ma in tutte le gare è sempre stata così, non è che abbiamo mai avuto un grande riscontro. Roux e Mirò invece sono sempre state molto più visibili». Loro però sono molto attive sui social network… Roberta: «Sì, e poi sono supportate dalle aziende,

«…Francesca e Roberta hanno chiarito ciò che forse non era ancora evidente ai più, abbagliati dai valori individuali dei singoli componenti di alcuni famosi team maschili: il risultato di squadra è un prodotto a sé e non una differenza algebrica tra due valori personali…»

specialmente per la corsa. Ci sono anche persone che le seguono e le consigliano in queste cose. Anzi, le aziende chiedono espressamente e con una certa insistenza ai loro atleti di essere presenti sui social con regolarità. Anche solo descrivendo l'allenamento del giorno. Invece noi invece non abbiamo mai chiesto niente (ridono), ci siamo sempre arrangiate da sole… ma siamo andate avanti lo stesso!». Francesca: «Noi siamo nate e cresciute in un'altra epoca, quando se facevi qualcosa di buono, dovevi aspettare che te lo riconoscessero gli altri. Oggi funziona al contrario: fai eracconti. Ma non siamo abituate a questo meccanismo. Non mi dà fastidio che altri lo facciano, ma siamo fatte alla vecchia maniera». Altri tempi, in cui i social network non c'erano proprio. Francesca: «Bisogna anche saperlo fare. Guarda Kilian, è bravo, lo sa fare proprio bene, in maniera simpatica. Invece ci sono persone che mettono


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FRANCESCA E ROBERTA

le cose in un modo che le rende antipatiche, come se dicessero 'guardate come sono bravo'. Anche a Holzknecht le aziende hanno chiesto di rendersi più visibile. Ci ha provato, ma è durato due giorni: proprio non gli viene! E allora forse è meglio lasciar stare». Ricominciamo da capo: i vostri esordi nello ski-alp. Francesca: «Alle elementari i miei genitori già mi portavano in giro, ancora con gli scarponcini di cuoio! La gita della domenica, e mi piaceva. E poi alle medie e alle superiori le prime garette qui attorno». Roberta: «Sì, ma facevamo soprattutto discesa. Eravamo compagne di scuola e ci divertivamo con i fuori pista nei boschi. Con le gare vere abbiamo iniziato nel 2003/2004. Poi nel 2005 i Campionati Europei ad Andorra. Guido (Giacomelli, ndr) ci aveva preso sotto la sua ala: erano ancora i tempi in cui non si sapeva niente, bisognava modificare tutti i materiali e lui ci ha insegnato i trucchetti del mestiere». Francesca: «Guido ci insegnava queste cose e Davide ci diceva come allenarci e così abbiamo cominciato».

Quindi non siete del vivaio di Adriano Greco? Francesca: «No! Anzi, lui ci diceva: 'peccato che abbiate cominciato così tardi. Ormai non potrete fare tanta strada!'. In effetti eravamo già sulla trentina. Prima aveva provato a chiedercelo, di correre seriamente. Ma io avevo i bambini piccoli, Roberta non aveva voglia. Dopo, però, ci siamo anche dette: 'Adesso gliela facciamo vedere noi!'». Forti subito? «No! per niente! In una Coppa Italia a Claut, era «…non ci dà fastidio essere considerate diverse dagli uomini; essere sottovalutate, sì. Se ci chiedono di che colore vogliamo una bicicletta, invece che parlarci della meccanica, ci girano le scatole. Non vogliamo essere considerate sceme. Ma evidenziare la nostra femminilità con un po' di trucco prima della gara, sì, sempre!»

Carnevale, ci hanno battuto in due travestiti da dalmata, con i costumi e i testoni da cane. Un'altra volta ci siamo messe in due a tirare una pelle che non si apriva… erano i tempi in cui andavano forte Luisa Riva, Gloriana correva con la Nex e prendevamo dei bei minuti». E intanto praticavate sport di endurance, nelle altre stagioni? Francesca: «Ho sempre fatto qualcosa, ma mai di impegnativo. Qualche garetta di ciclismo su strada qui nei dintorni, come la Re Stelvio». Roberta: «Io divano-dipendente. Mai fatto niente, prima!». È difficilissimo trovare una foto in cui non siate sincrone e coordinate. Anche quando siete in allenamento partite con lo stesso piede. Sembrate un unico organismo vivente. Quali sono le differenze su cui vi regolate, invece? Francesca: «Siamo così sincronizzate perché abbiamo sempre fatto tutto insieme. Abbiamo iniziato insieme, imparato insieme le stesse cose, ci alleniamo insieme. Questa è sempre stata la nostra forza. Adesso l'hanno capito finalmente anche gli uomini


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In alto, da sinistra. Francesca e Roberta nella classica formazione 'compatta' con cui procedono in gara . Nella seconda foto. Succede a Bormio, mentre scattiamo le foto per il servizio chi entra in panetteria? Marco De Gasperi. Nella terza foto. Pausa caffè a casa Martinelli/Canclini. Il giorno precedente l'intervista la famiglia di Francesca ha collezionato tre vittorie: la staffetta donne e con Pietro quella Giovani ai Campionati italiani di Caspoggio e Caterina ha vinto uno slalom speciale. Qui a sinistra Una nuova vicina dai casa per le nostre atlete, si tratta di Mireia Mirò.

lità di fare allenamenti lunghi. Ultimamente anche nelle discese: le alleniamo, ma soprattutto scendiamo regolari e cadiamo poco. In genere gli uomini invece si buttano giù a tutta. Ma basta una caduta e magari bisogna recuperare sci o bastoncini».

e da qualche anno non si vedono più quelle scene delle squadre separate, uomini specialmente. Uno in cima e uno in fondo. In squadra bisogna aiutarsi sempre, si parte e si arriva in due». Roberta: «Io ho più frequenza, Francesca un passo più lungo. Lei soffre il mio passo, mentre io riesco ad adattarmi al suo. Per cui lei sta sempre davanti. In discesa siamo abbastanza equilibrate: un po' meglio io sulle nevi dure, un po' meglio Francesca su quelle profonde. Ma scendiamo assieme, a vista, senza mai distanziarci troppo. Per noi è stato più facile, perché eravamo una coppia di amiche già prima di fare squadra. Invece chi si trova un compagno nuovo proprio per fare la gara, ha sicuramente più difficoltà. Comunque da due o tre anni vedo maggior collaborazione anche tra gli uomini: prima per esempio il cordino per tirarsi non esisteva, ma è proprio un'evoluzione degli ultimi anni». Dove fate differenza in gara rispetto ad altre squadre femminili? «Roux e Mirò ci staccavano un po' su tutti i terreni, anche in discesa. Quando siamo davanti noi, il vantaggio sta soprattutto nella nostra omogeneità. Se fossimo una forte in discesa e l'altra in salita, i

«…Siamo così sincronizzate perché abbiamo sempre fatto tutto insieme. Abbiamo iniziato insieme, imparato insieme le stesse cose, ci alleniamo insieme. Questa è sempre stata la nostra forza.…Adesso l'hanno capito finalmente anche gli uomini e da qualche anno non si vedono più quelle scene delle squadre separate, uomini specialmente...»

tempi persi si sommerebbero. E poi nella regolarità: può darsi che per la prima parte di gara altre squadre femminili restino con noi. Poi generalmente cedono nella seconda parte, di solito perché salta una delle due». E rispetto alle squadre maschili con cui vi trovate in gara? «Nei cambi, che noi alleniamo specificamente in circuito. Gli uomini con cui ci troviamo durante la gara in genere non hanno molto tempo per allenarsi e lo dedicano solo alla salita. E poi sulla durata, per la stessa ragione: noi qui abbiamo sempre la possibi-

Sempre così d'accordo tra di voi? Mai nessuna tensione? «Praticamente no. Un paio di occasioni in cui non ci siamo aspettate in gara, per errore, ma è finita lì dopo due parole. Anche tra le altre squadre femminili ci sembra che regni molto affiatamento. È strano, con i pregiudizi che circolano su noi donne, ma ci sembrano atteggiamenti sinceri, non di facciata. Più che tra gli uomini. Forse dipende anche dal fatto che siamo poche. Gli uomini sono sempre tanti, magari in pochi secondi, c'è più tensione». Parlateci della vostra preparazione. Siete metodiche? Roberta: «Sì, sono abbastanza rigorosa perché ho sempre bisogno di indicazioni e le seguo alla lettera. Ho sempre paura di esagerare. Mi allena Davide, che privilegia la qualità rispetto alla quantità. A sentire in giro, siamo quelle che fanno meno». Francesca: «In teoria la mia programmazione è la stessa di Roberta, ma io sgarro un po' di più… e si vede dai risultati! Sono un po' più pigra, oppure faccio le mie variazioni, che si rivelano regolarmente sbagliate. Nei periodi di massimo carico, stiamo sulla neve tra le 10 e le 11 ore settimanali. E non conteggiamo il dislivello, andiamo a tempo». Qual è il lavoro di qualità che caratterizza maggiormente la vostra preparazione? «Un lavoro tipico e intenso è il piramidale, con recuperi attivi tra il minuto e i due minuti. Intensità 100 per cento su tratti che sono modulati, per esempio tra uno e cinque minuti a seconda del


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periodo. Questo una volta alla settimana, mai di più! Non facciamo mai velocità alta su tempi brevissimi, che Davide prevede per i ragazzi ma per le nostre gare non servono più. Poi ci sono i ritmi di gara, i medi…». Come vi regolate sui materiali? Roberta: «Lei è più attenta di me: alle gare si guarda attorno e osserva cosa fanno gli altri. Se vede una novità magari la prova e poi se va bene la adottiamo». Francesca: «Eh! A essere la meno forte, bisogna ingegnarsi! Roberta va come una moto e non ha bisogno di stare attenta a tutto. Poi abbiamo la fortuna di avere Ski Trab qui vicino e, una volta alla settimana, prima della gara, loro mettono tutto a punto». Lo ski-alp al femminile: come vi sentite in un ambiente a preponderanza numerica e culturale maschile? «Le differenze di genere esistono, è un dato di fatto ed è stupido negarlo. Non ci dà fastidio essere considerate diverse dagli uomini; essere sottovalutate, sì. Se ci chiedono di che colore vogliamo una bicicletta, invece che parlarci della meccanica, ci girano le scatole. Non vogliamo essere considerate sceme. Ma evidenziare la nostra femminilità con un po' di trucco prima della gara, sì, sempre. Le due cose coesistono benissimo. Quando andavamo alle prime edizioni della Pierra Menta avevamo una sola tuta: finita la gara, facevamo il bucato. Ma su questi aspetti della femminilità dovresti chiedere a qualcun'altra, di altre squadre! Mamma mia… Quando entravamo in certe camere!». Siete ancora motivate, dopo questi anni di gare e di soddisfazioni? «Sì, ma non per tutte le gare. Vorremmo andare a qualche evento, ma non più a correre per correre. Non ce la sentiamo di seguire tutta la Coppa del Mondo. Ormai è diventata troppo impegnativa per noi, con un lavoro e la famiglia. Lasciamo volentieri spazio in squadra alle altre. Se ci sarà bisogno di noi per singole gare secche, e se ci qualificheremo, siamo disponibili». Le vostre vacanze preferite? Francesca: «In estate devo lavorare al panificio, ma riesco ugualmente a staccare un po' con la famiglia. Allora in genere ci muoviamo in camper all'estero. Quest'anno siamo stati negli Stati Uniti». Roberta: «Vacanze normali: Liguria, Toscana, Isola d'Elba. L'importante è che possa muovermi in bici da strada, non sopporto la vita di spiaggia».

La vostra gara più bella? «La Pierra Menta del 2012, l'ultima. Perché è stata una vittoria inaspettata». Francesca: «C'è stato anche un momento particolare, quando in una zona ho incrociato mio figlio Pietro, in gara anche lui, che mi ha salutato...'Ciao, mamma!'... e la cosa mi ha fatto un certo effetto!» Cosa avete imparato in questi anni di gare? «Non avremmo mai pensato di riuscire a fare quello che abbiamo fatto, soprattutto iniziando così tardi. A darsi da fare, il risultato arriva. E siamo contente di esserci sempre divertite: non ci siamo mai prese troppo sul serio!».

«…io ho più frequenza, Francesca un passo più lungo. Lei soffre il mio passo, mentre io riesco ad adattarmi al suo. Per cui lei sta sempre davanti. In discesa siamo abbastanza equilibrate: un po' meglio io sulle nevi dure, un po' meglio Francesca su quelle profonde…» Roberta


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Grande novità tecnica per la stagione 2012/13; più leggero del precedente sint aero e soprattutto più prestazionale. Viene utilizzata una costruzione basata sulla tradizionale “Lightweight Technology 14 layer“ a cui sono state aggiunte 2 soluzioni tecnologiche completamente innovative. Hibox Technology: consiste in una gabbia di carbonio a trama molto sottile in grado di conferire una rigidità torsionale decisamente superiore, abbinata ad un flex longitudinale più morbido. Tecnologia Attivo: sono inseriti degli elementi in polimero strutturale in senso longitudinale sui fianchi superiori che hanno le funzioni di assorbire le vibrazioni e dare maggiore stabilità allo sci ed inoltre fungono da protezione della struttura evitando che lo sci sia danneggiato da colpi e tagli che potrebbero facilmente intaccare gli spigoli e aprire la struttura interna. Innovativo il nuovo sistema di bloccaggio / sgancio pelli, più semplice e veloce grazie all’esclusiva e brevettata linguetta che si maneggia facilmente in qualunque condizione. La struttura in composito alveolare in Aramide lo rende uno sci leggerissimo e la scatola di torsione in carbonio dà una rigidità torsionale che migliora la tenuta e la conduzione in curva. MISURE: 164 CM - 910 GR - 107/76.5/94 - 1396 CM2

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Ski Trab Duo Freerando e Maestrale

Caro Ski-alper, sono un assiduo lettore e quest’anno, purtroppo per il portafoglio, vorrei rifarmi l’attrezzatura completa. Leggendo la vostra Guida all’acquisto ho notato che non avete trattato il modello Duo Freerando di Ski Trab. Sarei intenzionato all’acquisto di questi sci (171 cm) con attacchini Dynafit TLT Radical ST e scarponi Scarpa Maestrale. Sono alto 174 cm e peso 71 kg. Volevo un parere su tale abbinamento, tenendo conto che pratico scialpinismo con dislivelli che si aggirano intorno ai 1.000 metri e mi piace muovermi in agilità, con la massima sicurezza in discesa. Francesco Caro Francesco, l’abbinamento Duo Freerando (o Duo Freerando Light) con scarponi Scarpa Maestrale e attacchi Dynafit TLT Radical ST è assolutamente bilanciato. La lunghezza di 171 cm, in aggiunta, è ideale per un utilizzo grantour. I Freerando, così come la versione alleggerita Freerando Light (pesano rispettivamente, in base a quanto dichiarato, 1.300 e 1.200 g) sono attrezzi polivalenti, dal feeling immediato e con una risposta elastica progressiva. Si disimpegnano senza affanno tanto in neve fresca quanto lungo fondi duri trasformati. Non sono stati inseriti nella Guida all’acquisto non trattandosi di novità o modelli ‘di punta’ per la categoria grantour, ma rappresentano una scelta azzeccata per il tipo di scialpinismo indicato. Ski Trab Duo Freerando Elan Sierra

Attrezzatura tuttofare Caro Ski-alper, ho un amico che scia da qualche anno in pista, forte di una tecnica discreta, deciso a convertirsi a tempo pieno allo scialpinismo. Vorrebbe pertanto acquistare degli sci polivalenti, che magari non eccellano sotto alcun aspetto specifico, ma che consentano di disimpegnarsi efficacemente tanto in neve fresca quanto nelle croste, sul ripido, con il ghiaccio e, in generale, in condizioni sia primaverili sia prettamente invernali. Anche coprendo grandi dislivelli. In sintesi, sci completi, in grado di non sfigurare anche qualora utilizzati in pista. Il novello skialper pesa 68 kg ed è alto 173 cm, Dynafit Mustagh Ata Superlight

Dynafit TLT Speed Radical.

Sierra simili ad Alaska Pro? Caro Ski-alper, ho letto nella Guida all’acquisto che i migliori sci grantour sono gli Elan Alaska. Degli Elan Sierra cosa mi dite? Quanto a caratteristiche mi sembrano molto simili… Vincenzo Di Benedetto Caro Vincenzo, purtroppo non abbiamo avuto modo di provare gli entry level Sierra. Limitandoci a un’analisi ‘a secco’, a nostro avviso differiscono in modo sostanziale dagli Alaska Pro. La curvatura, ad esempio, beneficia di un lieve rocker in punta, assente nel caso dei grantour sloveni che anzi sono caratterizzati da una conformazione camber, sebbene poco pronunciata (4,7 mm). Cambia la costruzione: cap monoscocca con scatola di torsione e marcate nervature in punta e coda che creano un ‘ponte’ sotto lo scarpone per Alaska Pro, cap tradizionale per Sierra. Questi ultimi beneficiano inoltre di un’anima in Nomex (materiale sintetico simile all’Aramide) con due listelli di legno simmetrici inseriti nella parte esterna del nucleo, in corrispondenza delle lamine, mentre gli Alaska Pro hanno un’anima in legno di Paulownia laminato con rinforzi in fibra di carbonio. Rinforzi che divengono in vetroresina per i Sierra. Quanto a dimensioni, nella lunghezza 170 cm i Sierra sono caratterizzati da una sciancratura dichiarata di 114/76/102 mm e un raggio di 18,0 m contro i 109/79/99 mm e 24,5/20,2 m (doppio raggio) di Alaska Pro. Diverso, secondo la Casa costruttrice, anche il peso, pari rispettivamente a 1.250 e 1.140 g. Sierra che, del resto, non hanno sostanziali punti di contatto nemmeno con gli entry level Karakorum. Almeno quanto a costruzione. I Karakorum possono infatti contare su di una monoscocca con scatola di torsione e anima

in legno laminato. I Sierra sono pertanto degli sci ‘unici’ nella gamma dell’azienda slovena. A nostro avviso, restando all’interno della collezione Elan, è preferibile orientarsi verso i più raffinati Karakorum, risultati oltretutto i migliori entry level del 2013 secondo i nostri test. E offerti a un prezzo di listino decisamente aggressivo: 269 euro! Goode Randonee Race Caro Ski-alper, ho trovato in negozio gli sci Goode Randonee Race a 600 euro anziché i 1.200 euro del prezzo di listino. Né all’interno della Guida all’acquisto né tra le pagine della rivista fate menzione di questo marchio. Cosa ne pensate? Hanno problemi di rotture? Michele Rampa Caro Michele, i Goode Randonee Race sono dei prodotti ‘misteriosi’. Avremmo voluto inserirli nella Guida all’acquisto, ma l’importatore ne era sprovvisto al momento dei test. Ci ripromettiamo, sempre che l’azienda ne metta a disposizione un esemplare, di dedicare loro una prova completa all’interno della rivista. Andando nel dettaglio, si tratta di sci dalla curvatura camber (tradizionale), in fibra di carbonio con un’anima parzialmente in Kevlar. Soluzione, quest’ultima, tutt’altro che banale. Disponibili nella misura 160 cm, hanno una sciancratura di 92/64/78 mm e un raggio dichiarato di 23,0 m. Il peso, secondo Goode, si attesta a 665 grammi. Si rompono? Difficile dirlo. La ridotta diffusione rende ostico stilare uno ‘storico’ dei cedimenti. Certo è che la Casa riconosce un anno di garanzia… Goode Randonee Race

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Abbinare i TLT Speed Radical Cari amici di Ski-alper, cosa ne pensate dei Dynafit Manaslu o Mustagh Ata Superlight abbinati ai miei Dynafit TLT Speed Radical? Sono sci eccessivamente votati alla neve fresca per montare attacchini leggeri? Sono alto 166 cm: optereste per la misura 161 o 169 cm? Marco Bonfigli Caro Marco, i Mustagh Ata Superlight sono degli ottimi grantour, dalla superficie generosa sia sotto il piede (85,7 mm rilevati), sia quanto a portanza (1.269 cm²). Performanti soprattutto in presenza di nevi profonde, possono senza controindicazioni essere montati con gli attacchini. I Manaslu sono più orientati al freeride mountaineering (la sciancratura passa dai 116/86/109 mm dichiarati dei Mustagh Ata SL a 118/92/104 mm nell’identica misura 169 cm), ma comunque equipaggiabili con attacchi low tech. In proposito, Dynafit propone in gamma i TLT Radical e Vertical FT. In ogni caso, non volendo acquistare nuovi attacchi, non vediamo alcuna controindicazione nell’abbinare Mustagh Ata Superlight e TLT Speed Radical. Per quanto riguarda la lunghezza delle aste, resteremmo sui 169 cm. Questo per non intaccare le notevoli doti di galleggiamento appannaggio di entrambi i modelli Dynafit.


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pelle Dynafit Mustagh Ata Superlight

le sue gite solitamente sono caratterizzate da dislivelli di 1.000/1.500 metri, intervallate da uscite brevi di 700/800 m D+ e da due o tre uscite di fine stagione sui 2.000 m D+. Che misura scegliere per ottenere un buon compromesso e divertirsi sia in salita sia in discesa? Cosa ne pensate dei Dynafit Mustagh Ata Supelight o dei K2 Wayback? E per quanto riguarda gli attacchi? Dynafit TLT Speed, Vertical o Radical? E gli scarponi? Valerio Caro Valerio, partiamo dagli sci: i Dynafit Mustagh Ata Superlight sono una buona/ottima scelta, specie in presenza di fondi soffici. L’unico terreno dove non eccellono è il ripido ghiacciato, specie qualora sia necessario disimpegnarsi in sequenze di curve strette. In pista si difendono con onore grazie alla coda scevra da torsioni e alla spatola rapida in inserimento. Il peso, in aggiunta, sebbene non tra i migliori della categoria, è ragionevole (1.269 g su 169 cm). Sono dei veri ‘tuttofare’. Ancor più polivalenti gli Elan Alaska Pro, maggiormente votati alle lunghe escursioni: adatti tanto al neofita quanto all’esperto. Rispetto a Dynafit diminuisce la superficie sotto il piede (78,6 mm contro 85,7 mm) e cresce il raggio (21,1 m anziché 15,8 m), ma il peso si riduce sensibilmente: 1.149 g invece di 1.269 g. Volendo puntare maggiormente sui tour più lunghi, non tralasceremmo i Movement Random-X, leggerissimi (862,5 g) e maneggevoli. Unico limite, tanta leggerezza si paga con una limitata stabilità in velocità e soprattutto in pista, specie realizzando curve ampie in conduzione. ‘Special guest’ potrebbero essere gli Ski Trab Freerando Light: 1.149,5 g (171 cm), 78,4 mm sotto il piede e raggio di 21,9 m. I K2 Wayback, da noi testati

nella categoria freeride mountaineering, portano in dote una superficie di portanza superiore ai grantour citati, ma anche un peso decisamente più impegnativo: 1.558 g. Per quanto riguarda gli attacchi, tenendo conto dei dislivelli in gioco, restando in casa Dynafit opteremmo per i TLT Speed Radical. Un buon compromesso, a un prezzo ragionevole, tra prestazioni, leggerezza (372 g) e dotazione di serie d’accessori quali alzatacco (2), lacciolo e innesto per i rampanti. Infine gli scarponi: escursioni con 2.000 m D+ richiedono prodotti grantour leggeri e con una buona/ottima escursione del gambetto. Opteremmo quindi, in base alla morfologia del piede e alle sensazioni ‘a secco’, tanto per Dynafit TLT5 Mountain (oppure Performance) quanto per La Sportiva Spitfire. Con, a favore di TLT5, il vantaggio di poter usufruire del linguettone supplementare incluso che conferisce un maggiore supporto anteriore, favorendo ad esempio la trasmissione degli impulsi in caso d’utilizzo in pista. Rocker e Ski Trab Maestro Caro Ski-alper, scio Trab e sono da sempre un fan della leggerezza. Finalmente ho provato sul campo, grazie a un noleggio, la mia grande tentazione: un paio di Maestro lunghi 164 cm abbinati a Scarpa Alien 1.0. Ho vissuto sensazioni senza dubbio positive, anche se in pista ho notato che ‘scappano’ un po’ da sotto il piede. Un intervento preventivo sul piano soletta, ribassandolo per ridurre l’angolo delle lamine, potrebbe garantire una maggiore tenuta? In aggiunta, accoppiando gli sci non noto alcun rocker. Nei vostri test questo particolare non emerge. E sul ripido? Come si comportano? Stefano

Pelli che si scollano

Caro Ski-alper, vorrei alcuni consigli sul trattamento delle pelli di foca. Quest’anno io e la mia ragazza abbiamo cambiato attrezzatura, incluse le pelli, delle Colltex Extreme (rosse) che al termine di ogni gita stendo ‘religiosamente’ ad asciugare per un paio d’ore, in ambiente non troppo asciutto, per poi essere accoppiate alla pellicola protettiva originale e riposte. Stranamente, pur applicando le pelli alle solette prima di ogni partenza, una volta estratti gli sci dall’auto dopo una mezz’ora di viaggio, gli unici punti di contatto sono i ganci in punta e in coda… la colla sembra aver perso ogni mordente. È sbagliato riporle con la pellicola protettiva originaria? Sarebbe meglio conservarle incollate l’una all’altra? Luca e Miriam Cari Luca e Miriam, non c’è alcuna anomalia nella vostra procedura. Conservare le pelli incollate l’una all’altra, oppure riporle con la pellicola protettiva originaria, non comporta sostanziali differenze. La tenuta della colla, in entrambi i casi, non dovrebbe andare in crisi. Molto probabilmente c’è qualcosa che non va nelle pelli. Forse un rotolo difettato, forse una partita di colla non al top… Il consiglio è di rivolgersi immediatamente al negoziante per far valere la garanzia, oppure rimuovere la vecchia colla e applicarne di nuova, magari sfruttando le colle ‘in nastro’ che stanno sempre più prendendo piede e che rendono agevole l’operazione di rinnovamento.

Pelli grantour Dynafit Caro Ski-alper, vorrei delle informazioni aggiuntive sulle pelli Dynafit testate nella Guida all’acquisto: la composizione è comune a tutta la gamma, o il modello Mustagh Ata SL rappresenta il top di gamma? Le Broad Peak sono molto diverse? Alex De Luca Caro Alex, la linea delle pelli Broad Peak si compone di due ‘famiglie’: standard (definita Speedskin) oppure ‘veloce’ (definita High Speedskin). Quest’ultima simile al modello race. Per quanto riguarda la composizione sono pressoché identiche: Broad Peak Speedskin 70% mohair e 30% nylon, Mustagh Ata SL 65% mohair e 35% nylon. Entrambe realizzate da Pomoca in base a specifiche Dynafit. Attacchini e Alaska Pro Cari amici di Ski-alper, vi ho scoperti da poco tempo e mi sono subito abbonato per due anni. Sono alle prime armi con le pelli, e con il vostro aiuto crescerò in questo nuovo mondo. Grazie alla Guida all’acquisto, molto chiara e semplice anche per i meno competenti, ho deciso di regalarmi un paio di Elan Alaska Pro. Avrei deciso di montarli con i miei Dynafit TLT Speed, vecchi di una decina d’anni. Possono andare bene oppure servono gli attacchi specifici? Eli Vera Caro Eli, innanzitutto ottima scelta! Gli Elan Alaska Pro sono ideali per evolvere tecnicamente e al tempo stesso disporre d’attrezzi performanti. Per quanto riguarda gli attacchini, è possibile montare qualsiasi modello sugli Elan. I TLT Speed, se ancora in perfette condizioni, non hanno controindicazioni. Piuttosto, data l’età del prodotto, suggeriremmo una completa revisione presso un Dynafit Competence Center.


La Sportiva Sideral. facebook.com/skialper

Ortovox Zoom+

Ski Trab Maestro Continua da 'Rocker e Ski Trab Maestro'

Rampant e La Sportiva Sideral Caro Ski-alper, che adattatore devo utilizzare per sfruttare i rampant con gli scarponi La Sportiva Sideral? Le scarpe, avendo la suola con tasselli e profilo pronunciati, toccano i rampant prima di andare in battuta sullo sci. Generando un effetto leva in corrispondenza del puntale dei miei attacchi Dynafit TLT Speed Radical e mettendoli a rischio sradicamento dalle aste! Antonio D’Alessandro Caro Antonio, una possibile soluzione, dato il modello dei suoi attacchi, consiste nel collocare un tampone in corrispondenza del tallone degli scarponi. Questo da un lato garantirebbe un maggiore contatto in discesa (eliminando lo spazio libero sotto le scarpe), dall’altro, salendo senza alzatacco, quindi in battuta sugli sci, permetterebbe di mantenere i Sideral sollevati dalle aste quel tanto che basta per evitare di agire prematuramente sui rampant ed esporre al rischio di sradicamento le viti del puntale. Il tampone va ‘calibrato’ al momento, in funzione del livello d’usura delle suole. Un negozio specializzato è senza dubbio in grado di intervenire. Le sconsigliamo, in ogni caso, di limare la suola degli scarponi. La rullata, nelle fasi di camminata, diventerebbe meno naturale e diminuirebbe la trazione sui fondi scivolosi.

Artva a prezzo contenuto Cari amici di Ski-alper, potreste consigliarmi un Artva di buon livello a un prezzo contenuto? Fausto Tonsi Caro Fausto, purtroppo, nel campo degli Artva, economia e prestazioni non vanno di pari passo. Un classico relativamente a buon mercato è il Pieps Freeride (circa 160,00 €), dotato di un’unica antenna. Quindi essenziale e non in grado di operare sulle tre coordinate spaziali. La portata è di 40 metri (discreta) e non consente la marcatura del sepolto. Ovvero, in caso di seppellimento multiplo, non consente di escludere la prima vittima così da non interferire nella ricerca di ulteriori dispersi. Tra le ultime novità vi è l’Ortovox Zoom+ (circa 200,00 €) dotato di 3 antenne (opera quindi sulle tre coordinate spaziali), e forte delle funzioni di marcatura e indicazione del seppellimento multiplo. Ha una portata analoga (40 m) al dispositivo Pieps. Entrambi gli apparecchi sono digitali. Zoom+ rappresenta un valido compromesso tra una spesa non eccessiva e prestazioni di buon livello. Pieps Freeride

Caro Stefano, ridurre il tuning può essere una via per ottenere un maggior rigore direzionale, ma a nostro avviso il gioco non vale la candela. Il rischio è di scalfire uno dei principali pregi dei Maestro, ovvero la maneggevolezza. Sarebbe un peccato, per ottenere una superiore stabilità in pista, terreno tutt’altro che d’elezione per i grantour valtellinesi, pregiudicarne o alterarne le prestazioni in neve fresca. Tenga inoltre conto che non amano la conduzione ad alta velocità, specie in presenza di fondi duri. Con nevi cedevoli, invece, entusiasmano, grazie alla morbidezza della spatola che agevola l’emersione. Non ha trovato riferimenti al rocker, all’interno della nostra Guida all’acquisto, perché i Maestro non hanno alcuna curvatura ‘a culla’. Si basano sul concetto di flessibilità progressiva; ovvero la differenziazione della risposta elastica in funzione delle diverse aree dell’attrezzo. Beneficiando così di una punta particolarmente morbida e fluida nelle reazioni, a tutto vantaggio della sciabilità e del galleggiamento in neve profonda. Ottenendo gli stessi, quando non superiori, effetti della curvatura rocker, ma senza sposare tale geometria ed evitando i risvolti negativi che porta con sé. Basti pensare, ad esempio, alla ridotta superficie di contatto, alla carenza di stabilità e al limitato feeling in inserimento. Sul ripido, infine, i Maestro non deludono, prediligendo però le superfici soffici ai fondi vetrati.


89 > materiali

PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti

Suprabeam V3r Costruita con cura, intuitiva e forte di un fascio luminoso molto ampio. Leggera e ampiamente regolabile, la lampada frontale danese non brilla per portata e durata. Batteria ricaricabile al litio Contrariamente a gran parte delle lampade frontali ricaricabili, dotate di un pacco batterie separato dal corpo principale, Suprabeam V3r ospita la cella al litio in un contenitore solidale alla fascia perimetrale per il fissaggio. Quest’ultima abbinabile, in caso di mancato utilizzo del casco, a un elastico superiore. Il case d’alimentazione è caratterizzato da una ‘granitica’ clip plastica di chiusura, il cui ridotto spessore suggerisce, specie con temperature particolarmente rigide, di non forzare l’apertura. È possibile adattare sia l’ampiezza del fascio di luce sia l’intensità dell’illuminazione in un range compreso tra 25 e 170 lumen. Per 3 minuti la potenza può essere portata a 300 lumen. Il pacco batterie è corredato di una luce di posizione posteriore, rossa e intermittente, sempre attiva. L’inclinazione del cono di luce è ampiamente personalizzabile (85° di escursione) e non manca la funzione lampeggio per le emergenze. Il peso, batteria al litio inclusa, si attesta a 186 g. Valore tra i migliori della categoria e superiore, considerando i modelli ricaricabili, solamente a Led Lenser H7R (128 g). SULLA NEVE Quanto di più intuitivo! Un pulsante alla base del bulbo consente di optare rapidamente, in movimento e a guanti indossati, per 2 intensità del fascio luminoso. Oltre che in verticale, il cono di luce è adattabile in ampiezza grazie a una ghiera circostante il bulbo stesso. Unica pecca, quest’ultimo si scalda notevolmente. Il feeling è immediato e le tempistiche di ricarica nella media. Utilizzando il casco, il pacco batterie non inficia minimamente comfort e libertà d’azione, mentre applicando la lampada direttamente al capo si percepisce una lieve pressione in corrispondenza della nuca. La portata massima non è eccezionale: 95 metri rilevati a 170 lumen che possono divenire 125 per un lasso di tempo di 3’. Valori allineati a una concorrente non ricaricabile quale Petzl Myo RXP (140 lm e 90 m), ma lontani dal primato della ricaricabile Led Lenser H7R (170 lm e 165 m). Con quest’ultima condivide la non eccezionale durata, resistendo per 2h 55’ a 170 lm contro le 2h 30’ a 170 lm della rivale. Attenzione, in particolare, al calo d’illuminazione: V3r avvisa due volte con un triplo lampeggio… poi calano improvvisamente le tenebre! In compenso il fascio di luce si distingue per la notevole ampiezza, degna di lampade di potenza e prezzo superiori.

V3 con batterie alcaline La lampada frontale danese è disponibile anche con alimentazione mediante batterie alcaline usa e getta. Il peso passa da 186 a 169 g (batterie incluse), mentre la potenza massima si attesta a 220 lm. Sufficienti per garantire una portata massima di 105 m per 2h 03’. Oltre l’illuminazione decade rapidamente: il fascio di luce resiste per ulteriori 24h, ma con un’intensità idonea solamente per la sopravvivenza, non per distinguere il percorso. SCHEDA TECNICA* Suprabeam V3 www.suprabeam.com Materiale telaio/bulbo: plastica/alluminio Sorgenti di luce: 1 Led Potenza massima: 220 lm Portata alla massima potenza: 180 m Durata alla massima potenza: 10 h Alimentazione: 3 batterie AAA Made in: Danimarca Peso: 160 g (batterie incluse) Prezzo: 89,50 euro *dati dichiarati RILEVAMENTI Qualità costruttiva: discreta/buona Portata alla massima potenza: 105 m Durata alla massima potenza: 2h 03’ Peso: 133 g (senza batterie) 169 g (batterie incluse)

SCHEDA TECNICA* Suprabeam V3r www.suprabeam.com Materiale telaio/bulbo: plastica/alluminio Sorgenti di luce: 1 Led Potenza massima: 170 lm (300 lm per massimo 3’) Portata alla massima potenza: 230 m Durata alla massima potenza: 10 h Alimentazione: 1 batteria al litio da 2.800 mAh Made in: Danimarca Peso: 184 g (batteria inclusa) Prezzo: 177,90 euro *dati dichiarati RilevamentI Qualità costruttiva: buona Portata alla massima potenza: 95 m (125 m per massimo 3’) Durata alla massima potenza: 2h 55’ Tempo di ricarica: 2h 40’ Peso: 186 g (batteria ricaricabile inclusa)


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ANTEPRIMA TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Ferdinando Costantini

Il ritorno dei re Più caldi, più confortevoli, dai volumi interni lievemente più ampi. I TLT6 riprendono ed evolvono le soluzioni tecniche dei precedenti TLT5. Piccole migliorie rendono i grantour Dynafit performanti e polivalenti su qualsiasi terreno Per anni i TLT5 sono stati sinonimo di grantour. Gli scarponi da escursionismo per eccellenza. Il punto di riferimento. Poi arrivò l’attacco, diretto, sferrato da La Sportiva con Spitfire. E il primato vacillò. TLT5 abdicò. Ora sono tornati. O meglio, ora gli eredi, denominati TLT6, sono pronti a riconquistare il trono. Condividono con il precedente modello soluzioni tecniche fondamentali come il linguettone supplementare amo-

vibile e la leva al vertice del gambetto che gestisce sia la chiusura tibiale sia il sistema ski-walk. Cambiano, invece, quanto a calzata, facilità d’utilizzo e polivalenza. Che si consideri la versione Performance con gambetto in plastica/carbonio e scafo in Grilamid (plastica), oppure quella Mountain con gambetto in Pebax (plastica) e scafo in Grilamid (plastica), il comfort è superiore rispetto a TLT5. Sia sotto il profilo termico,

Il nostro tester Ferdinando Costantini, classe 1958 di Madonna di Campiglio (TN), è maestro di sci alpino da 34 anni e membro del Brenta Team. Scialpinista e alpinista di ottimo livello, ha affrontato Aconcagua (6.962 m slm), Cerro Torre, Torres del Paine e la traversata in bici da Lhasa a Kathmandu.


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TLT6 Performance CL

grazie al debutto di uno strato isolante in feltro e alluminio lungo l’intera superficie plantare, sia quanto a volumi interni. Accantonata la zona di flessione lungo la parte anteriore dello scafo e lasciata invariata la zona del tallone, già in passato esente da critiche, è aumentato lo spazio in corrispondenza dell’arco plantare e del collo del piede (+ 3 mm), così come dell’avampiede (+ 2 mm). Migliorie che si accompagnano a un inedito gancio lungo lo scafo, ora dotato di regolazione micrometrica, e a ingombri esterni più contenuti da parte della leva al vertice del gambetto, specie in posizione di salita. Un upgrade che favorisce la libertà di movimento nelle fasi più alpinistiche, ad esempio d’arrampicata, e al contempo agevola la sovrapposizione dei pantaloni. Confermato il linguettone anteriore amovibile, sebbene al componente di media rigidità del passato sia stata preferita una soluzione ‘hard’ di serie, ideale per i soggetti più alti, potenti e pesanti, mentre come optional è possibile richiederne una versione ‘soft’, particolarmente morbida, utilizzabile anche in salita. In estrema sintesi, rigidità e flessione di TLT6 divengono regolabili. Due diverse scarpette e pesi da 1.050 a 1.225 g Analogamente a TLT5, anche i TLT6 beneficiano di due diverse scarpette: CL (Custom Light), particolarmente leggera, dagli spessori ridotti e termoformabile al 100%, oppure CR (Custom Ready), più calda, 160 g più pesante e pronta all’uso (ma comunque termoformabile). Quest’ultima disponibile, contrariamente al passato, anche per TLT6 Performance. Non muta l’escursione del gambetto: 60° come per il precedente modello. Considerando la taglia 27,5 MP, il peso dichiarato di TLT6 Performance CL è di 1.050 g che divengono 1.210 in configurazione CR. TLT6 Mountain si attesta invece a 1.065 g (CL) o 1.225 g (CR). Abbiamo avuto modo di prendere contatto con entrambe le versioni e scarpette restando impressionati dal comfort e dalla polivalenza dei grantour Dynafit. Nel primo caso, i volumi interni lievemente più generosi agevolano i soggetti con la pianta del piede larga e il collo alto, in difficoltà con TLT5, senza pregiudicare minimamente la tenuta del tallone. Cresce, al contempo, la protezione termica. Nel secondo caso, la possibilità di optare per linguettoni di diversa rigidità rende i TLT6 performanti in ogni condizione di utilizzo, anche agli antipodi, consentendo di passare agevolmente dalle escursioni più lunghe all’arrampicata, dalla realizzazione di archi di curva ampi lungo fondi mossi e ghiacciati a sequenze strette in neve crostosa. Una poliedricità sconosciuta alla maggior parte dei rivali. TLT6 Mountain CR


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ANTEPRIMA

Custom Light o Custom Ready TLT6 Mountain e TLT6 Performance possono essere equipaggiati con scarpette CL (Custom Light), leggere, sottili e da termoformare, oppure CR (Custom Ready), più calde, 160 g più pesanti e pronte all’uso (ma comunque termoformabili).

1 mm più corti di TLT5 Nonostante il maggior comfort e i volumi interni più generosi, lo scafo di TLT6 è complessivamente più corto di 1 mm rispetto a TLT5: 297 mm anziché 298 nella misura 27,5 MP.

Dynafit TLT6

TLT6 Mountain W: gambetto in Grilamid La versione lady di TLT6 è proposta, come per TLT5, esclusivamente in configurazione Mountain con gambetto in Grilamid (plastica). Scarpette CL oppure CR (in foto) e pesi rispettivamente di 970 e 1.105 g (25,5 MP).

Doppio linguettone Oltre che con il linguettone di serie, di colore nero e caratterizzato da un’elevata rigidità, sia TLT6 Mountain sia TLT6 Performance possono essere dotati, attingendo agli optional, di analoghi componenti di colore verde decisamente più cedevoli e utilizzabili anche in salita.


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Nanga Parbat e Cho Oyu Due inediti grantour dal peso prossimo a 1.000 g. Nanga Parbat punta su leggerezza e reattività, Cho Oyu su galleggiamento e polivalenza. Per entrambi inserti in carbonio e curvatura rocker sia in punta sia in coda Dynastar Pierra Menta Rocker, Elan Alaska Pro, Movement Random-X e Ski Trab Maestro. Concorrenza spietata nel settore grantour. Di fronte all’imperversare d’attrezzi dal peso prossimo, quando non inferiore, a 1.000 g, Dynafit risponde con due novità ‘super light’ che s’affiancano ai noti Broad Peak. Più precisamente Nanga Parbat e Cho Oyu. Entrambi caratterizzati da anima in legno di Paulownia laminato cui s’abbinano inserti in fibra di carbonio in corrispondenza della punta e curvatura rocker sia in spatola sia in coda. Attrezzi che divergono per sciancratura e, soprattutto, ampiezza sotto il piede. Nanga Parbat vanta dimensioni di 116/80/104 mm su 171 cm, Cho Oyu risponde con 125/88/111 mm su 174 cm. Diversi i pesi dichiarati, rispettivamente 1.000 g (171

cm) e 1.080 g (174 cm), e le misure disponibili: 163, 171 e 179 cm per Nanga Parbat, 158, 166, 174, 182 e 191 cm per Cho Oyu. Testati in presenza di fondi ventati e trasformati, entrambi i grantour Dynafit hanno brillato per reattività in inserimento di curva e facilità d’emersione in neve crostosa grazie soprattutto alla singolare conformazione della spatola. Sensazioni positive rafforzate dal solido supporto offerto dalla coda, a tutto vantaggio del recupero dell’errore in caso d’arretramenti. Cho Oyu, nel dettaglio, meno rapidi in fase d’inversione ma maggiormente propensi al galleggiamento, Nanga Parbat candidati al ruolo di grantour per qualsiasi tipo di neve e situazione. Modifiche, infine, ai Broad Peak, invariati nelle geometrie e nel peso ma forti di una maggiore rigidità torsionale.


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ANTEPRIMA

Dynafit Cho Oyu

Dynafit Nanga Parbat

Grand Teton Grandi cambiamenti nella gamma freeride mountaineering Dynafit. Addio Stoke, usciti di produzione, e benvenuti Grand Teton. Questi ultimi forti di un’anima in legno di Paulownia con innesti di bambù e faggio, soluzione identica ai ‘fratelli maggiori’ Huascaran, d’inserti in carbonio in punta e d’una sciancratura di 130/106/120 mm nella misura 182 cm. Ne consegue un peso dichiarato di 1.670 g (182 cm) contro i 1.780 g (177 cm) appannaggio di Huascaran. Generosa curvatura rocker in spatola. Lunghezze di 164, 173, 182 e 191 cm.


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Attacchi Dynafit Beast 16

Beast 16 Promettono di rivoluzionare il settore degli attacchi da freeride mountaineering sotto il profilo sia della sicurezza sia delle prestazioni. Nel primo caso grazie al puntale parzialmente rotante, in grado di scongiurare distacchi accidentali a causa di eventuali colpi, e all’aumento da 6 a 10 mm dell’intervallo di scatto delle forche della talloniera, così da garantire maggiore elasticità e assorbimento degli impatti, specie nei salti. Sotto il profilo della funzionalità permettono di regolare la forza d’ingresso dello scarpone, costante anche sfruttando l’intera scala delle regolazioni DIN (6-16), contenendo al contempo l’altezza dallo sci (17 mm anteriormente, 23 mm posteriormente) a tutto vantaggio del contatto con le aste. In aggiunta, è disponibile un inedito inserto tallonare per gli scarponi, così da sfruttare al meglio il massimo carico delle molle. Beast 16 pesano, in base a quanto dichiarato, 935 g (1/2 paio).

Le pelli da skitouring scelte dalla Squadra Nazionale Scialpinismo e da molti professionisti della montagna.

pomoca.com


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PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Valota


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La Sportiva Stratos Cube Uno Tsunami nel mondo race. Leggerezza, libertà di movimento ed escursione del gambetto sono da record. La scocca in Carbon Kevlar assorbe le sollecitazioni molto più del carbonio, senza perdere in precisione. Prezzo elitario Un colpo violento. Violentissimo. Un montante degno del Mike Tyson dei tempi migliori. La Sportiva squassa il mondo race come un terremoto del XII grado della scala Mercalli. Stratos Cube, evoluzione dei noti Stratos Evo e terza generazione delle scarpe da gara ‘Made in Ziano di Fiemme’, non temono rivali. Né sotto il profilo della leggerezza, né quanto a performance sulla neve. Il peso rilevato nella misura 26,5 MP è pari a 542 g. Un record. 116 g più leggeri di Stratos Evo e, soprattutto, di ogni concorrente. Dynafit D.Y.N.A. Evo e Scarpa Alien 1.0, entrambi taglia 27,0 MP, sono più pesanti di 168 e 171 g. Nulla possono nemmeno Merelli M3D e Pierre Gignoux XP 444 Ultimate (ambedue 27,5 MP): si attestano infatti a 577 g (+35 g) e 625 g (+83 g). Un primato merito sia della scocca interamente in Carbon Kevlar (468 g) sia della scarpetta in due pezzi (74 g). PERNO RIPOSIZIONATO Inedito il sistema ski-walk. Affidato come in passato a un’unica leva al vertice della tibia, ma con il perno di bloccaggio collocato lungo lo scafo anziché nella parte alta del gambetto. Una rivoluzione. Accompagnata da un gioco di rinvii mediante cavo metallico che ricalca il meccanismo dei freni delle biciclette e consente alla vertebra posteriore (in ergal) di vincolarsi o svincolarsi automaticamente. Permettendo oltretutto di

La Sportiva Stratos Cube

SCHEDA TECNICA* La Sportiva Stratos Cube www.lasportiva.com Scafo: Carbon Kevlar Gambetto: Carbon Kevlar Mobilità gambetto: nd. – inclinazione anteriore regolabile (5 posizioni) Leve: 1 Suola: Vibram Ice Trek bimescola Scarpetta: in due pezzi (‘bikini’) Peso: 545 g (27,0 MP) Misure: da 23 ½ a 29,0 MP (incluse ½ misure) Colori: carbonio/giallo Prezzo: 1.699,00 euro *dati dichiarati RILEVAMENTI MISURA PESO PESO SCOCCA PESO SCARPETTA PREDISPOSIZIONE ATTACCHINO PRO CONTRO

26,5 MP 542 g 468 g 74 g si

Leggerezza Calzata laboriosa

Condizioni del test Luogo: �����������������������������������������Pampeago (TN) Temperatura: �����������������������������da -7°C a -3°C Condizioni atmosferiche: ������������������� sereno Neve: ������parzialmente trasformata, crosta

Top Feature 468 g La scocca è una piuma


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PROVE SUL CAMPO

regolarne la distanza dal perno, scongiurando interferenze con i ramponi in camminata. Con Stratos Evo condividono la ghetta con cerniera lungo la tomaia e… nient’altro! La conformazione dell’arco plantare è meno pronunciata, l’inclinazione anteriore del gambetto regolabile da 5° a 19° e il comfort termico un passo avanti grazie alla soletta interna termoriflettente.

SULLA NEVE I pregi di Stratos Evo? Confermati. Anzi rafforzati. I punti deboli? Pressoché annullati. Specie sulla neve. Escursione del gambetto, libertà di movimento e naturalezza della rullata, da riferimento già in passato, non cambiano. Così la calzata, resa complessa dal velcro interno sin troppo corto e dal laborioso inne-

Macro e microregolazioni La leva al vertice del gambetto gestisce la chiusura tibiale e il sistema ski-walk. Nel primo caso beneficia sia della microregolazione sia di 3 macroregolazioni lungo la rastrelliera, nel secondo genera la tensione del cavo metallico che mediante rinvii muove la vertebra posteriore in ergal.

sto della ghetta in corrispondenza del gambetto. Ciò che muta radicalmente sono le sensazioni sulla neve. Alla sin troppo precisa trasmissione delle sollecitazioni appannaggio della scocca 100% carbonio di Stratos Evo subentra una risposta decisamente più progressiva, gestibile, prevedibile. Legata, oltre che alle caratteristiche dinamiche del Carbon

Scarpetta bikini La scarpetta è in due pezzi, analogamente a Stratos Evo. Pesa 74 g contro i 108 g del componente bikini appannaggio del precedente modello. Nonostante gli spessori ridotti può essere termoformata.


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La Sportiva Sparkle La versione femminile del modello Spectre

La Sportiva Spectre

La Sportiva Spectre 1.390 g nella misura 27,0 MP

Kevlar, a un lieve spanciamento dello scafo. Effetto, quest’ultimo, studiato in fase di progettazione e che da un lato non pregiudica affatto la precisione nella trasmissione degli impulsi, dall’altro introduce un filtro alle sollecitazioni provenienti dagli sci. A tutto vantaggio del risparmio d’energie nelle lunghe discese. Un assorbimento in linea con uno scafo in

plastica, ma a fronte di una precisione, leggerezza e uniformità di risposta elastica nettamente superiori. La quadratura del cerchio! Impeccabili efficacia e precisione del sistema ski-walk, mentre lievi smagliature sono legate ai volumi in corrispondenza del tendine d’Achille, sin troppo generosi, alle infiltrazioni di neve e alle pressioni sul polpaccio da parte del

Ski-walk ‘a cavo’ Il sistema ski-walk è azionato da un cavo metallico identico al sistema frenante di una bicicletta. Tale cavo, mediante rinvii, genera il movimento della leva in ergal che porta al bloccaggio o allo sbloccaggio automatici del gambetto. La distanza della leva dal perno è regolabile così da non interferire con i ramponi in fase di camminata.

Soletta a spessori variabili La soletta interna WarmSole, estraibile e intercambiabile, deriva dagli scarponi per l’alpinismo invernale Batura 2.0. Gli spessori possono essere personalizzati.

Oltre a Stratos Cube, in vista dell’inverno 2013-2014 debutta Spectre: scarpone a 4 ganci che abbina prestazioni in discesa degne di un modello da sci alpino con comfort, mobilità in salita e leggerezza di un 2 ganci da ski-alp. Lo scafo è in Grilamid (plastica), mentre il sistema ski-walk Vertebra Technology in plastica/ carbonio costituisce parte strutturale della scarpa. Gambetto a due elementi: una ‘cuffia’ in Pebax (plastica) cui sono vincolati i ganci e il citato sistema ski-walk. Il linguettone in Grilamid con snodo a soffietto, derivato da Spitfire, è adattabile in longitudine (4 mm), consentendo di personalizzare la chiusura sul collo del piede. L’escursione dichiarata del gambetto è eccezionale per un quattro leve: 60° a ganci chiusi. Valore in linea quando non superiore a un modello grantour. Suola Vibram bimescola a doppia densità. Il peso dichiarato si attesta a 1.390 g nella misura 27,0 MP. La versione lady, denominata Sparkle, pesa 1.190 g nella misura 24,0 MP. Costano entrambi 479,00 euro.

vertice del gambetto. Smagliature correggibili in fase di personalizzazione e ampiamente perdonabili a fronte sia del comfort termico in linea quando non superiore ai rivali, sia della possibilità di adattare i volumi interni agendo sullo spessore delle zeppe della soletta. L’attacco al trono di Scarpa Alien 1.0 è sferrato. Durissimo. Ora spetta ai rivali reagire…


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ANTEPRIMA TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Alain Seletto

Maruelli NWP Piastre rivoluzionarie per un avanzamento con le pelli intuitivo, simile alla camminata. Dai vertical al freeride mountaineering migliorano postura, emersione delle spatole in neve fresca e lunghezza del passo. I vantaggi dinamici compensano l’aggravio di peso Finché non provi non credi. Le osservi, monitori il peso, e lo scetticismo prende il sopravvento. Poi calzi gli attacchi, sblocchi le piastre e inizi a… avanzare con insospettabile naturalezza. Le spatole emergono dalla neve con facilità superiore al consueto, la postura del busto è più eretta, meno caricata in avanti, i muscoli dorsali scarsamente sollecitati. E il passo si allunga, sensibilmente, al punto da richiedere un minimo di assuefazione per evitare sbilanciamenti. Le piastre Natural Walking Pla-

te (NWP) di Maruelli scardinano il tradizionale assetto di salita con le punte degli scarponi vincolate ai perni degli attacchini. Grazie a un’inedita articolazione in corrispondenza del puntale, replicano la naturalezza della camminata durante l’avanzamento con le pelli. Diviene così possibile progredire sollevando anche la punta degli scarponi. Una soluzione che abbiamo messo alla prova testando in salita tre versioni delle creazioni Maruelli, destinate a utilizzi radicalmente differenti.

NWP-VR

È la piastra più leggera della gamma. Destinata ai vertical, pesa 152 g. La naturalezza nel mantenere gli sci aderenti alla neve, alla ricerca della massima scorrevolezza, lenisce l’aggravio di peso, favorendo al contempo la tenuta delle pelli. Specie in condizioni estreme. Sotto il profilo cronometrico non si registrano sostanziali vantaggi, ma l’affaticamento muscolare è nettamente inferiore, a patto d’abituare gradatamente la regione inguinale, maggiormente sollecitata. Un prodotto specifico per le gare di sola salita, funzionale anche per allenamenti e lavori di potenziamento. SCHEDA TECNICA* NWP-VR www.n-w-b.com Tipologia: piastra Materiale: alluminio-titanio Peso: 140 g (taglia 27,0 MP) Colori: nero, argento Prezzo: 1.299,00 euro *dati dichiarati RILEVAMENTI PESO 140 g (senza viti, taglia 27,0 MP) VITI MONTAGGIO 6 PESO SINGOLA VITE 2g PESO ½ PAIO PRONTO USO 152 g

Total look Maruelli NWP-VR può essere abbinata a qualsiasi attacchino da gara oppure ai modelli Maruelli: M2, specifico per i vertical (54 g in versione standard), o alla combinazione del puntale M1, adatto a un utilizzo race tradizionale (67 g), con la talloniera M2 (22 g). Il prezzo dei kit Maruelli s’attesta rispettivamente a 1.499,99 euro (piastra VR+M2) e 1.599,00 euro (piastra VR+M1F+M2R)

Posizioni diverse Sopra, si noti la differente postura in salita: maggiormente eretta utilizzando le piastre NWP, più caricata in avanti adottando il setup tradizionale che prevede la punta degli scarponi vincolata agli sci.


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NWP-Lite

M2: una piuma per i Vertical Quanto di più essenziale. L’attacchino per i Vertical Maruelli, realizzato in lega di alluminio-titanio e ricavato dal pieno mediante macchine a controllo numerico, prevede un puntale minimale in cui le tradizionali ganasce vengono sostituite da una ‘culla’ in metallo con, alle estremità, i perni per l’innesto dello scarpone. La calzata è possibile grazie allo sgancio rapido, di derivazione automobilistica, di uno dei perni. Altrettanto essenziale la torretta, priva della classica molla a U, soppiantata da forcelle che lavorano per deformazione. Realizzato in versione Hyper Light accreditata di una massa di 48 g, ‘classica’ dal peso rilevato di 54 g, o rinforzata (60 g) per atleti sino a 80 kg, costa 499,80 euro. Puntale disponibile anche con fissaggio a 4 viti anziché 2.

Destinata ai grantour, pesa 341 g. L’articolazione anteriore favorisce l’emersione delle spatole in neve fresca, agevolando l’avanzamento. Tirare il passo risulta particolarmente agevole. Le inversioni, però, richiedono una discreta pratica a causa della distanza tra scarpa e sci. Attenzione, inoltre, ai tratti in discesa con le pelli; è fondamentale non arretrare, pena il ribaltamento, dato che le punte degli scarponi non sono vincolate. L’avanzamento simile alla camminata scongiura il rischio di vesciche. I vantaggi dinamici compensano l’aggravio, non irrilevante, di peso. SCHEDA TECNICA* NWP-Lite www.n-w-b.com Tipologia: piastra Materiale alluminio-titanio Peso: 320 g (taglia 27,0 MP) Colori: nero, argento Prezzo: 899,90 euro 859,90 euro con predisposizione per Maruelli M1 *dati dichiarati Lunghezza su misura NWP-Lite può essere tagliata su misura oppure fornita in versione ‘noleggio’. È abbinabile a qualsiasi attacchino, specie il modello race Maruelli M1 (129 g). ll kit NWP-Lite con M1 costa 1.279,80 euro.

NWP-FRD

Obiettivo freeride mountaineering. Obiettivo centrato. La declinazione freeride delle piastre Maruelli è efficace al punto da supplire alla non eccezionale escursione del gambetto degli scarponi di questa categoria. Agevola sensibilmente l’avanzamento, l’emersione delle spatole in neve profonda, l’allungamento del passo e la riduzione dello sforzo fisico. In aggiunta, il peso di 644 g appare meno frustrante considerando sia i vantaggi dinamici sia l’assenza della leggerezza tra i ‘parametri vitali’ degli ski-alper attratti soprattutto dalla discesa. Abbinabile ad attacchi Dynafit TLT Radical, E Beast 16, NWP-FRD è corredata di ski-stopper e compatibile con i rampant.

Suole sino a 350 mm NWP-FRD è compatibile unicamente con attacchi Dynafit TLT Radical. Può ospitare scarponi con lunghezza della suola sino a 350 mm. Gli ski-stopper beneficiano di un apposito supporto innestabile nella piastra.

RILEVAMENTI PESO 325 g (senza viti, taglia 27,0 MP) VITI MONTAGGIO 8 PESO SINGOLA VITE 2g PESO ½ PAIO PRONTO USO 341 g

SCHEDA TECNICA* NWP-VR www.n-w-b.com Tipologia: piastra Materiale: alluminio-titanio Peso: 650 g Colori: nero, argento Prezzo: 1.499,99 euro (attacchi Dynafit TLT Radical inclusi) *dati dichiarati RILEVAMENTI PESO 620 g (senza viti) VITI MONTAGGIO 12 PESO SINGOLA VITE 2g PESO ½ PAIO PRONTO USO 644 g


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PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Salvetti

BieffeSki Adamel

BieffeSki Adamel I grantour bergamaschi hanno carattere da vendere: stabili, maneggevoli e reattivi, offrono il meglio su fondi compatti. La lunghezza ridotta gioca a favore della leggerezza, non del galleggiamento. Non perdonano errori. Per ottimi sciatori

Un’idea nata quasi per gioco. Un gioco divenuto serio. Tanto da realizzare dei grantour dal carattere possente, adatti a sciatori d’alto livello. La struttura si affida a un tradizionale sandwich con anima in legno multistrato Fromager (pioppo africano) abbinato a laminati di carbonio e rinforzi in fibra di vetro. Fianchetti in legno o in materiale termoplastico. La serigrafia lignea può essere personalizzata con qualsiasi essenza. Complice la lunghezza ridotta (162,4 cm effettivi), in linea più con attrezzi race che da escursionismo, il peso di 1.062 g si attesta nelle parti alte della classifica di categoria. Inferiore a Elan Alaska Pro, migliori grantour 2013, e a Dynafit Mustagh Ata Superlight (1.269 g su 169 cm), allineato a Bottero Ski Cime du Diable (1.058 g su 168 cm) e non troppo distante da Dynastar Pierra Menta Rocker (1.013,5 g su 169 cm) e Hagan X-Ultra (1.034,5 g su 170 cm). Le ‘piume’ della categoria, ovvero i full carbon Merelli Race 166 (681 g) e Lighter Spatzle (860,5 g su

Top Feature LOOK Serigrafia lignea con essenza a scelta

171 cm) restano però un miraggio. La curvatura è tradizionale, con un camber nella media, mentre la sciancratura non è particolarmente generosa. Specie in coda. Quest’ultima punto di forza dei grantour bergamaschi. Mentre punta e centro sci sono caratterizzati da una scarsa rigidità torsionale, la parte terminale degli Adamel garantisce una buona resistenza alle deformazioni: 25,5°. Valore inferiore a sci dal carattere tutt’altro che remissivo quali Movement Random-X (27,0°) e Ski Trab Maestro (27,0°). Lunghezza ridotta e dimensioni contenute, infine, non giocano a vantaggio della superficie di portanza: 1.247 cm². In linea con i citati Maestro (1.260 cm²), ma inferiore alla media della categoria (1.350 cm²). SULLA NEVE Che grinta! Nonostante la lunghezza ridotta brillano per stabilità e precisione in conduzione. Specie in presenza di fondi compatti. La spatola

‘morde’ la neve con voracità, la coda non lascia trasparire cedimenti. Anche ad alta velocità. Brillano per reattività agevolando l’alternanza degli archi di curva, forti di una flessione tanto omogenea quanto vigorosa. In neve profonda il galleggiamento è solo discreto, ma i grantour bergamaschi si riscattano grazie all’elevata maneggevolezza. Dote confermata lungo terreni mossi o nelle croste. Frangente, quest’ultimo, nel quale si apprezza il carattere tutt’altro che cedevole della coda, in grado di favorire l’emersione delle spatole. Attenzione, però, a non arretrare. Specie in presenza di avvallamenti o cunette. Gli Adamel non perdonano: la riposta elastica diventa esplosiva, la velocità aumenta improvvisamente e si ha la sensazione di venire catapultati in avanti. Riservati a escursionisti in possesso di un’ottima tecnica, sanno regalare, specie in condizioni di terreno omogeneo, stabilità, reattività e precisione. Per molti, ma non per tutti.


103 > materiali

I VOTI DI SKI-ALPER

Peso

FEELING

Maneggevolezza

Stabilità in velocità

Rapporto qualità/prezzo

Costruiti in Valcalepio

Bruno Bonomelli e Andrea Freti sono ‘amici per le pelli’. Ma non solo. Il primo è un costruttore d’archi, ‘mago’ della curvatura e flessione delle fibre naturali, il secondo un falegname, profondo conoscitore del legno. Un sodalizio dal quale sono nati gli sci BieffeSki. «Da tempo sognavamo di costruire dei grantour tutti nostri - racconta Bruno - ma mancavano le risorse tecniche e logistiche. Grazie ad Andrea, e al sostegno morale del Gruppo Valcalepio, abbiamo trovato la forza di lanciarci in quest’impresa. Realizziamo gli Adamel in totale autonomia, fatta eccezione per la serigrafia lignea». «Al momento la misura è unica (162,5 cm) - spiega Andrea - ma a breve realizzeremo una versione più lunga (circa 170 cm, ndr.). Il nome nasce dalla prima discesa significativa realizzata con questi sci… pronunciata in bergamasco!». «Curiamo lo sviluppo personalmente, dato che ci muoviamo con le pelli dai primi di novembre sino a giugno, macinando decine di migliaia di metri di dislivello. In aggiunta, raccogliamo le sensazioni degli scialpinisti del Gruppo Valcalepio, cui apparteniamo. La sciancratura? È farina del nostro sacco. Del resto volevamo costruire i nostri sci. Non copiare quelli altrui!».

Da sinistra a destra, Andrea Freti e Bruno Bonomelli

SCHEDA TECNICA* BieffeSki Adamel Tel. 349.4952059 / 349.5725698 Costruzione: sandwich Anima: legno Fromager. Rinforzi in carbonio e fibra di vetro Soletta: grafite sinterizzata Lamine: acciaio Sciancratura: 110/75/94 mm Raggio: 20,0 m Peso: 1.090 g Lunghezze: 162,5 cm Prezzo: 650,00 euro (+/- 50 € in base alla serigrafia lignea) *dati dichiarati IDENTIKIT LUNGHEZZA dichiarata LUNGHEZZA rilevata SCIANCRATURA rilevata CAMBER ROCKER in punta SUPERFICIE DI CONTATTO SUPERFICIE DI PORTANZA RAGGIO calcolato PESO rilevato TORSIONE in spatola TORSIONE al centro TORSIONE in coda FLESSIONE

162,5 cm 162,4 cm 109,7/74,8/93,5 mm 7,0 mm 0,0° 141,4 cm 1.247 cm² 18,7 m 1.062 g (1.062 g – 1.062 g) 28,0° 2,0° 25,5° 9,9 cm

PRO ......................................................................................................Maneggevolezza CONTRO................................................................................ Non perdonano errori

Condizioni del test Luogo:............................................................................... Passo del Tonale (BS) Temperatura: .............................................................................da -11°C a -8°C Condizioni atmosferiche: ..................................................................... sereno Neve: ........................................................ fresca, farinosa, non trasformata Attacchi:...............................................................................................ATK Race RT Pelli:.............................................................................Pomoca Climb Pro Glide


104 > materiali

ANTEPRIMA TESTO: Sebastiano Salvetti

Shift

Occhio alle novità Movement Il mondo race diventa meno elitario grazie ai nuovi Fish-X Gold. Pesano 770 g su 168 cm e hanno un’ampiezza di 71 mm sotto il piede. Aprono al rocker i Response-X, freeride mountaineering da 1.100 g (177 cm) eredi di Logic-X Grandi novità in casa Movement. Lo sci da gara diventa per tutti. Dopo la versione estrema Pro, i race Fish-X vengono declinati nella variante Gold, dedicata a un più ampio spettro di scialpinisti: dagli agonisti più potenti ai racer alla ricerca di un attrezzo da allenamento, sino agli escursionisti affascinati dalla leggerezza. Rispetto ai Fish-X cambiano sciancratura (da 98/65/79 mm su 162 cm a 109/71/90 mm su 160 cm), lunghezze e curvatura. L’ampiezza sotto il piede, nel dettaglio, cresce da 65 a 71 mm per una maggiore portanza in neve profonda, mentre il peso passa da 720 g (162 cm) a 750 g (160 cm). Modifiche, come accennato, anche alle misure, dato che ai 160 cm tipici del mondo race si aggiunge la versione da 168 cm (770 g) che strizza l’occhio ai grantour. Debutta un moderato rocker in punta. Raggio di 18,0 m (160 cm) e 19,0 m (168 cm). L’anima, analogamente a Fish-X e Fish-X Pro, è in legno lamellare di Karuba e pioppo parzialmente avvolto con fibre di carbonio a disposizione biassiale e triassiale, rinforzato con piastre in Carbon Kevlar, mentre la finitura superiore è realizzata mediante polimeri e lavora all’unisono con la struttura dello sci. In fase di pressatura a caldo il film serigrafico viene plasmato sul fianco dell’attrezzo, sigillandolo. Gli usuali ‘fianchetti’ in materiale termoplastico sono sostituiti da un’essenza lignea.

Response-X

Fish-X Gold

Shift: 98 mm sotto il piede Accanto ai nuovi race/grantour debuttano gli eredi di Logic-X. Response-X, questo il loro nome, sono forti di un’ampiezza sotto il piede di 89 mm, il precedente modello si attestava a 88 mm, e si candidano a freeride mountaineering più leggeri sul mercato. Debutta, analogamente alla serie Fish-X, una moderata curvatura rocker in spatola. Disponibili nelle lunghezze 161, 169, 177 e 185 cm, sono accreditati di dimensioni pari a 128/89/116 mm e di un peso di 1.100 g (177 cm); quest’ultimo valore identico a Logic-X nella misura 176 cm. Altrettanto eclatante il dato ponderale (1.400 g su 177 cm) appannaggio di Shift, freeride mountaineering dalla notevole larghezza in centro (98 mm). Destinati a quanti prediligono la discesa rispetto alla salita, abbinano le ricercate soluzioni costruttive della Serie-X a una struttura tradizionale. Disponibili nelle misure 169, 177 e 185 cm con sciancratura di 137/98/125 mm (177 cm) e raggio di 18,0 m, pesano 1.300 g (169 cm), 1.400 g (177 cm) e 1.500 g (185 cm). Tutti i modelli della Serie-X, infine, beneficiano di un’inedita ‘calza’ in carbonio nella zona d’avvitamento degli attacchi. Soluzione che replica l’effetto di una scatola di torsione e amplifica la tenuta delle viti.


105 > materiali

PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Salvetti

Amplatz Black Panther

Amplatz Black Panther Scorrimento e tenuta d’alto livello. L’accelerazione non è da riferimento tra le pelli race, al contrario del prezzo, eccezionale alla luce delle prestazioni. Agevole la separazione colla contro colla. Discreta tendenza a formare zoccolo su nevi farinose Un ottimo compromesso. Certo non sono le pelli da gara più leggere in commercio, a parità di lunghezza (150 cm) Colltex Race PDG e Ferrino Mezzalama Race si attestano rispettivamente a 94 e 95 g contro i 117 g di Black Panther, ma possono contare su buone doti di tenuta, accelerazione e scorrimento. La separazione colla contro colla è agevole e non permangono residui di collante sulle dita o lungo la soletta. Rispetto alle citate PDG, punto di riferimento per scorrevolezza, perdono lievemente terreno nella fase iniziale del passo, vale a dire quando si protende in avanti uno degli arti inferiori. Sotto questo profilo si allineano a Mezzalama Race e a La Sportiva RSR Race, risultando al contempo meno ‘esplosive’ di Pomoca Race Pro. Prestazioni migliori durante il prolungamento dell’azione, in fase di scorrimento puro. Eguagliano così Pomoca, tra le migliori della categoria, sopravanzando Ferrino e La Sportiva. Le Colltex Race PDG restano però, ancora una volta, il riferimento della categoria. Se accelerazione e scorrevolezza non deludono, altrettanto si può dire per la tenuta, con una spiccata predilezione per le superfici compatte, trasformate o battute. Condizione nella quale si collocano sul podio delle migliori pelli race. Non amano invece le nevi farinose, fresche, profonde, dove risultano moderatamente inclini alla formazione di zoccolo. Composte al 100% da mohair, possono contare su di una buona idrorepellenza e, soprattutto, su di un prezzo eccezionale: 59,00 euro. Top fix inclusi. Da discount alla luce delle buone prestazioni e inferiore alle rivali dirette Colltex Race PDG (75,00 euro), Ferrino Mezzalama Race (99,00 euro) e Pomoca Race Pro (125,00 euro). SCHEDA TECNICA* Amplatz Black Panther www.verticalworld.it Composizione: mohair 100% Larghezza: 60, 62, 65, 68, 70, 75, 80, 100, 110, 120, 130 mm Prezzo: 59,00 euro (top fix inclusi) *dati dichiarati RILEVAMENTI MISURA LARGHEZZA PESO

Gancio di coda universale Tra le innovazioni più recenti ‘Made in Amplatz’ spiccano i ganci di coda universali per pelli race. Leggerissimi (4 g) e facili da adattare a qualsiasi sci, inclusi i race Ski Trab con conformazione Duo Tech, non raccolgono neve durante l’avanzamento e in caso di lievi arretramenti dovuti a perdite d’aderenza scongiurano il distacco delle pelli dalle solette. Costano 6 euro.

L’Archimede di Canazei

Diego Amplatz, vincitore della Coppa Europa assoluta di sci alpino (stagione 1974-1975), da anni si dedica esclusivamente allo scialpinismo. Il suo regno, Amplatz Sport di Canazei (TN), punto vendita specializzato nello ski-alp, è un negozio… speciale. Nelle sue stanze ‘segrete’ nascono una miriade di migliorie ai prodotti in commercio, spesso fatte proprie dalle Case costruttrici stesse. Come ci racconta Diego: «Scialpinista da una vita, sin dagli albori dello ski-alp non mi sono accontentato di ciò che offriva il mercato. Ho lavorato a fondo su Dynafit TLT4 e D.Y.N.A. EVO, sui top-fix, l’attuale soluzione Dynafit in gomma è un mio progetto, sulle leve del sistema ski-walk di Scarpa F1 sino a contribuire alla realizzazione degli Stratos Evo di La Sportiva e dei modelli Spitfire, Sideral e Starlet. Nel settore sci ho collaborato a lungo con Hagan e Lighter. Da qui il desiderio di andare oltre, di lavorare con maggiore libertà a un modello race. Sfruttando, oltre alla mia esperienza, il contributo di Urban Zemmer. Ed ecco nascere l’Amplatz Ski Alp Race, così come la volontà di cimentarsi nel settore delle pelli. Attualmente ci appoggiamo a un laboratorio austriaco che progetta, realizza e confeziona tessilfoca in base a nostre indicazioni. Sviluppo e test vengono seguiti direttamente dal mio team, apportando continue evoluzioni. Il mio negozio, del resto, è una vera e propria ‘officina’, meta soprattutto di agonisti alla ricerca di personalizzazioni e upgrade della propria attrezzatura».

Diego Amplatz nel suo negozio. Oltre a Ski Alp Race, modello da gara da 725 g, realizza i Gran Tour, sci da escursionismo lunghi 168 cm e pesanti 1.060 g.

150 cm 60 mm 117 g

PRO ............................................................................................................................. Prezzo CONTRO...............................................................................Zoccolo in neve fresca

I VOTI DI SKI-ALPER

Peso

Accelerazione

Scorrevolezza

Tenuta

Separazione

Rapporto qualità/prezzo


106 > materiali

HARDSHELL TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Salvetti

A guscio duro Quattro hardshell si sfidano in laboratorio e sulla neve. Grande impermeabilità per Arc’teryx, eccezionale protezione dal vento per Dynafit, leggerezza da primato per La Sportiva. Eider è il capo più completo, vincitore della nostra comparativa

C

hiamateli hardshell, gusci, strati esterni, antipioggia o antivento. Ciò che conta è che garantiscano protezione totale dai fenomeni atmosferici, minimo ingombro e massima libertà d’azione. Capi cui non è richiesto d’incrementare il calore, compito demandato agli strati sottostanti, ma che giocano comunque un ruolo centrale nella difesa del comfort termico. Specie nella lotta all’effetto wind chill; ovvero la capacità delle masse d’aria di sottrarre temperatura al corpo umano. Giacche, nello specifico, da conservare nello zaino ed estrarre nelle situazioni più delicate; in cresta sferzati dalla tormenta, in salita sotto una nevicata, in discesa in caso di temperature polari o, più semplicemente, durante una breve sosta esposta al vento. Una categoria uniforme? Non del tutto. All’interno della galassia hardshell si distinguono due filoni: gusci ‘semplici’, leggerissimi e pressoché privi d’accessori, e gusci ‘complessi’, caratterizzati da finiture e soluzioni che si avvicinano al mondo dei softshell e, in genere, delle giacche tradizionali. Appartengono alla prima corrente Dynafit Patroul GTX e La Sportiva Storm Fighter GTX, si riconoscono nella seconda sottocategoria Arc’teryx Sidewinder ed Eider Uphill Jkt. Ecco un’approfondita sfida, a secco e sul campo, tra quattro gusci d’alto livello.


107 > materiali

Come si leggono i rilevamenti Ampiezza Spalle Viene rilevata (in cm) l’ampiezza del capo prendendo a riferimento gli estremi in corrispondenza della testa dell’omero. Ampiezza busto Viene rilevata (in cm) l’ampiezza del capo prendendo a riferimento gli estremi in corrispondenza della cassa toracica. Ampiezza ventre Viene rilevata (in cm) l’ampiezza del capo prendendo a riferimento gli estremi in corrispondenza della quarta vertebra lombare. Lunghezza Viene rilevata (in cm) la lunghezza del capo assumendo quali estremi una linea ideale tracciata tra i punti di massimo sviluppo verticale del taglio delle clavicole e la parte terminale del capo, in corrispondenza del bacino. Altezza Colletto Viene rilevato (in cm) lo sviluppo verticale del colletto assumendo quali estremi il punto più alto raggiunto dal tessuto in corrispondenza del viso e una linea ideale tracciata tra i punti di massimo sviluppo verticale del taglio delle clavicole.

calda a 50°C per un lasso temporale di 1’30” (30” di ‘preriscaldamento’, 1’ di rilevamento mediante sonda termica). Il termometro digitale a sonda, collocato esternamente al capo a una distanza di 5 cm dal tessuto, rileva la dispersione di calore (incremento di temperatura rispetto alla temperatura base). I risultati, espressi in °C, sono valutati e corretti in funzione delle condizioni ambientali. Conservazione del calore Riscaldamento interno del capo nella zona del busto mediante pistola termica, collocata a una distanza di 5 cm dal tessuto, emettendo aria calda a 50°C per un lasso temporale di 1’30”. Il termometro digitale a sonda viene precedentemente inserito nel capo. Viene rilevato il lasso di tempo necessario, dopo un periodo di quiescenza di 15”, per una perdita di calore pari a 2°C. I risultati sono valutati e corretti in funzione delle condizioni ambientali.

del vento. Esprime la capacità del vento di sottrarre calore al corpo umano. La resistenza a tale fenomeno viene verificata mediante rivolgimento di un flusso, a una distanza di 50 cm dal tessuto del capo, di ghiaccio spray a -78°C con una velocità di 15 m/s per un lasso temporale di 5 secondi. Il termometro digitale a sonda, posto internamente al capo a 5 cm dal tessuto, rileva la perdita di temperatura. I risultati vengono valutati e corretti in funzione delle condizioni ambientali.

Impermeabilità Viene giudicata, esprimendo un voto da 0 a 10, la tenuta stagna di un capo sottoposto a due sessioni (di 10 minuti ciascuna) d’esposizione a un getto d’acqua dalla portata di 16 litri/minuto.

Dimensioni per il trasporto Vengono rilevati (in cm) gli ingombri (lunghezza x larghezza x altezza) del capo una volta compresso per il trasporto. In fase di misurazione viene applicato un peso di 500 g delle dimensioni di 50x50 cm.

Traspirabilità Prova sul campo composta da 4 ripetute (con le pelli), della durata di 5 minuti ciascuna, lungo una salita con pendenza media di 30°. Sessioni intervallate da 30” di ‘riposo’ (cambio assetto), 30” di discesa e 30” per applicare nuovamente le tessilfoca. Viene giudicata, esprimendo un voto da 0 a 10, la capacità di smaltimento dell’umidità corporea.

Dispersione del calore Riscaldamento interno del capo nella zona del busto mediante pistola termica, collocata a una distanza di 5 cm dal tessuto, emettendo aria

Effetto wind chill L’effetto wind chill (detto anche ‘indice di raffreddamento’), tiene conto del crollo della temperatura percepita in funzione della velocità

Sotto 320 litri d’acqua Per la prova d’impermeabilità ogni capo è stato sottoposto a due sessioni di 10 minuti di pioggia artificiale, generata da un getto d’acqua della portata di 16 litri/minuto.


108 > materiali

HARDSHELL Top feature 730 g

un peso eccessivo per un hardshell

Arc’teryx Sidewinder Jacket

Rifinito con cura, ha un taglio molto ampio. Da acquistare in una misura inferiore al consueto. Peso elevato quanto il prezzo. Ottima impermeabilità. COME È FATTO La zip frontale diviene asimmetrica nella zona del colletto, scongiurando sfregamenti a contatto con il viso. Curato nelle finiture, ha un taglio a dir poco… generoso! Non tanto a livello delle spalle quanto del busto e del ventre: rispettivamente 63,5 e 62,4 cm contro i 58,5 e 56,0 cm di Eider Uphill Jacket, anch’esso taglia L. Gli ampi volumi interni si pagano sotto il profilo della leggerezza: pesa 730 g contro i 454 g di Eider. Ottima la scorrevolezza delle zip YKK. Soddisfacenti, ma non da riferimento, la capacità di conservazione del calore e la protezione dall’effetto wind chill.

SCHEDA TECNICA Arc’teryx Sidewinder Jacket www.arcteryx.com Materiale: N80p-X Gore-Tex PRO 3L Cappuccio: si (integrato) Zip: YKK Vislon Tasche: interna, sul petto, laterali (2) e lungo la manica sinistra

Zip asimmetrica La zip frontale diviene asimmetrica nella zona del colletto per scongiurare sfregamenti con il viso.

SULLA NEVE Nonostante i volumi interni sin troppo generosi la vestibilità è discreta. Aiutano la ghetta interna elasticizzata, efficace contro la penetrazione di neve e aria gelida nonché vincolabile ai pantaloni coordinati, i polsini regolabili mediante velcro e le coulisse in vita, lungo il colletto e al vertice del cappuccio in corrispondenza dell’osso parietale. Cappuccio che, dal canto proprio, si fa apprezzare per la visierina incorporata e le protezioni a tutela della pelle. Le zip a doppio cursore nella zona ascellare consentono di ‘aprire’ il capo per favorire la traspirazione, già di per sé soddisfacente. Ottima impermeabilità. Il tessuto, però, favorisce il defluire dell’acqua meno rapidamente rispetto ai rivali.

Aperture ascellari Le zip a doppio cursore nella zona ascellare consentono di ‘aprire’ il capo per favorire la traspirazione.

Colonna d’acqua: nd. Peso: 692 g Taglie: da S a XXL Colori: blu, viola/arancio, verde, grigio Prezzo: 600,00 euro Made in: Cina *dati dichiarati RILEVAMENTI TAGLIA: L AMPIEZZA SPALLE: 54,4 cm AMPIEZZA BUSTO: 63,5 cm AMPIEZZA VENTRE: 62,4 cm LUNGHEZZA: ant. 75,0 cm, post. 78,0 cm ALTEZZA COLLETTO: 6,0 cm DIMENSIONI per il TRASPORTO: 32,0 x 26,0 x 5,0 cm DISPERSIONE CALORE: CONSERVAZIONE CALORE: EFFETTO WIND CHILL: PESO:

I VOTI DI SKI-ALPER 4,0 Comfort termico

Peso

0

5

10 0

5

7,0 Protezione

10 0

7,0 Impermeabilità

5

10 0

5

9,0

Traspirabilità:

10 0

5

6,5

0,9°C 13’05” -14,1°C 730 g

Qualità/prezzo

10 0

5

6,0

10


109 > materiali

I VOTI DI SKI-ALPER 9,0 Comfort termico

Peso

0

5

10 0

6,0 Protezione

5

10 0

9,0 Impermeabilità

5

10 0

Dynafit Patroul GTX Eccezionale in caso di vento gelido. Leggero e totalmente impermeabile, non brilla per conservazione del calore e traspirazione. Taglio molto aderente. SCHEDA TECNICA Dynafit Patroul GTX Materiale: Cappuccio: Zip: Tasche: Colonna d’acqua: Peso: Taglie: Colori: Prezzo: Made in: *dati dichiarati

www.dynafit.it Gore Tex Active Shell 3L si (integrato) YKK Vislon sul petto (2) 18.000 mm 349 g da XS a XXXL blu/rosso, nero/giallo 350,00 euro Cina

RILEVAMENTI TAGLIA: M AMPIEZZA SPALLE: 51,5 cm AMPIEZZA BUSTO: 53,5 cm AMPIEZZA VENTRE: 50,5 cm LUNGHEZZA: ant. 64,5 cm, post. 69,0 cm ALTEZZA COLLETTO: 8,0 cm DIMENSIONI per il TRASPORTO: 30,0 x 23,0 x 3,0 cm DISPERSIONE CALORE: 1,4°C CONSERVAZIONE CALORE: 2’17” EFFETTO WIND CHILL: -11,9°C PESO: 347 g

Deviatori di flusso Le protezioni al vertice delle zip sul petto riducono l’incidenza dei flussi d’acqua nei punti critici delle cerniere.

Indicazioni d’emergenza All’interno del capo Dynafit vi è un inserto con riportati i numeri da contattare e le norme di comportamento da seguire per chiedere soccorso.

9,5

5

Traspirabilità:

10 0

Top feature 8,0 cm

altezza del colletto generosa

COME È FATTO Leggero e dal taglio molto aderente. Un guscio semplice, essenziale, rifinito con cura come dimostrano le protezioni per deviare l’acqua in corrispondenza delle zip sul petto e la visierina incorporata nel cappuccio, corredata di protezioni morbide per lenire i contatti con la pelle. ‘Granitica’ la scorrevolezza delle zip YKK Vislon. È privo di tasche interne e laterali. Elasticizzato in vita, pesa 347 g contro i 323 g del concorrente di pari taglia (M) La Sportiva. Generoso lo sviluppo verticale del colletto. Cappuccio elasticizzato con coulisse in corrispondenza dell’osso parietale. SULLA NEVE Quando si alza il vento gelido, l’hardshell Dynafit è una risorsa preziosa. La resistenza all’effetto wind chill è eccezionale, specie alla luce del peso ridotto. Non altrettanto valida la conservazione del calore, risicata ma in ogni caso lievemente superiore al rivale diretto La Sportiva. I polsini elasticizzati, decisamente aderenti e corredati di svasature per l’innesto del pollice, da un lato rendono difficoltoso indossarlo con i guanti, dall’altro impediscono pressoché totalmente la penetrazione d’aria, acqua e neve. Ottime l’impermeabilità e la vestibilità: non intralcia minimamente i movimenti. La traspirabilità è scarsa, in linea con La Sportiva ma inferiore a Eider e Arc’teryx.

5

5,0

Qualità/prezzo

10 0

5

7,0

10


110 > materiali

HARDSHELL Top feature

Eider Uphill Jacket

Visierina del cappuccio con effetto memoria

È l’hardshell più completo. Leggero, agevola i movimenti e garantisce un ottimo comfort termico. Resistenza all’effetto wind chill non da riferimento. COME È FATTO La vestibilità? Una via di mezzo tra gli hardshell Arc’teryx, dai volumi interni decisamente generosi, e Dynafit, molto aderente. Ampio nella zona delle spalle, a tutto vantaggio della libertà di movimento qualora indossato in abbinamento a molteplici strati intermedi, è corredato di zip YKK Vislon dalla buona scorrevolezza. Doppia tasca interna a rete; quest’ultima funge anche da fodera per le tradizionali tasche laterali. Cappuccio con coulisse e visierina incorporata modellabile con effetto memoria. I polsini sono regolabili mediante velcro. Il peso, tenendo conto della taglia (L), è contenuto.

SULLA NEVE Il più completo. Conserva a lungo la temperatura interna, disperde calore in minima quantità, è totalmente impermeabile e al tempo stesso non delude sotto il profilo della traspirazione. Caratteristica, quest’ultima, ulteriormente rafforzata dalla presenza nella zona ascellare di zip a doppio cursore che consentono di ‘aprire’ il capo per favorire la dispersione d’umidità corporea. Unico punto debole, in caso di vento gelido non garantisce una protezione da riferimento. In compenso copia fedelmente i movimenti senza creare alcun impaccio e la notevole differenza di lunghezza tra busto e dorso (68 cm contro 78 cm) gioca a favore della protezione dall’aria anche indossando lo zaino.

Protezioni per il viso La zip frontale è corredata d’una protezione antisfregamento in corrispondenza del viso

SCHEDA TECNICA Eider Uphill Jacket www.eider.com Materiale: Polartec Neoshell Ripstop Stretch/ Woven Stretch 3L Cappuccio: si (integrato) Zip: YKK Vislon Tasche: interne (2), laterali (2) e sul petto Colonna d’acqua: 10.000 mm Peso: 450 g Taglie: da S a XXL Colori: arancio, nero Prezzo: 499,90 euro Made in: Ungheria *dati dichiarati RILEVAMENTI TAGLIA: L AMPIEZZA SPALLE: 56,0 cm AMPIEZZA BUSTO: 58,5 cm AMPIEZZA VENTRE: 56,0 cm LUNGHEZZA: ant. 68,0 cm, post. 78,0 cm ALTEZZA COLLETTO: 6,5 cm DIMENSIONI per il TRASPORTO: 38,0 x 22,5 x 3,5 cm DISPERSIONE CALORE: 0,8°C CONSERVAZIONE CALORE: 16’09” EFFETTO WIND CHILL: -15,2°C PESO: 454 g

Zip ascellari a doppio cursore Analogamente ad Arc’teryx, la zona ascellare è caratterizzata da zip a doppio cursore che consentono di ‘aprire’ il capo favorendo la dispersione dell’umidità corporea.

I VOTI DI SKI-ALPER 8,0 Comfort termico

Peso

0

5

10 0

5

8,0 Protezione

10 0

6,0 Impermeabilità

5

10 0

5

9,5

Traspirabilità:

10 0

5

7,0

Qualità/prezzo

10 0

5

7,5

10


111 > materiali

I VOTI DI SKI-ALPER 10,0 Comfort termico

Peso

0

5

10 0

5,0 Protezione

5

10 0

5,5 Impermeabilità

5

10 0

5

7,5

10 0

La Sportiva Storm Fighter GTX Jacket Leggerissimo e compatto da trasportare, non brilla quanto a comfort termico, traspirazione e protezione dal vento gelido. Finiture curate. COME È FATTA Leggero, leggerissimo ed eccezionalmente compatto da trasportare. Con un peso di 323 g è la ‘piuma’ della comparativa. Il taglio è aderente, anche se caratterizzato da volumi interni lievemente superiori a Dynafit. Con quest’ultimo condivide l’altezza del colletto (8,0 cm) e il cappuccio regolabile mediante coulisse in corrispondenza dell’osso parietale. I polsini, moderatamente attillati, sono parzialmente elasticizzati. Da riferimento la scorrevolezza della zip frontale YKK Vislon; nella parte superiore manca però qualsiasi protezione per il viso. Sottile fodera interna nella zona del mento.

Top feature Eccezionalmente compatto per il trasporto

SULLA NEVE Punta tutto su leggerezza e capacità d’assecondare fedelmente i movimenti. Tutt’altro che ingombrante, riesce a far dimenticare d’indossarlo… anche sotto il profilo termico. Perde infatti calore con grande rapidità e offre una protezione dal vento inferiore ai rivali. L’impermeabilità del tessuto non è in discussione, ma i polsini solo parzialmente elasticizzati non costituiscono una barriera invalicabile per le infiltrazioni d’acqua e neve. In aggiunta, sono inclini ad assorbire il sudore. Parziale riscatto quanto a praticità: la vestizione è agevole anche a guanti indossati. La traspirazione, però, è scarsa, in linea con Dynafit ma nettamente inferiore ai gusci Eider e Arc’teryx.

Bottone magnetico Il bottone magnetico in vita agevola il corretto posizionamento della patella a protezione della zip frontale.

Traspirabilità:

5

5,0

Qualità/prezzo

10 0

6,0

5

10

SCHEDA TECNICA La Sportiva Storm Fighter GTX Jacket www.lasportiva.com Materiale: Gore-Tex Active Shell 3L Cappuccio: si (integrato) Zip: YKK Vislon Tasche: sul petto Colonna d’acqua: nd. Peso: 340 g (taglia L) Taglie: da S a XXL Colori: rosso/giallo, grigio, giallo Prezzo: 319,95 euro Made in: Cina *dati dichiarati RILEVAMENTI TAGLIA: M AMPIEZZA SPALLE: 52,0 cm AMPIEZZA BUSTO: 53,5 cm AMPIEZZA VENTRE: 52,0 cm LUNGHEZZA: ant. 66,0 cm, post. 73,5 cm ALTEZZA COLLETTO: 8,0 cm DIMENSIONI per il TRASPORTO: 25,5 x 17,0 x 4,5 cm DISPERSIONE CALORE: 1,6°C CONSERVAZIONE CALORE: 1’53” EFFETTO WIND CHILL: -16,3°C PESO: 323 g

CONCLUSIONI

Inserto antiacqua Similmente a Dynafit, la zip sul petto beneficia d’una protezione per sottrarre il vertice della cerniera al flusso d’acqua.

Ottima impermeabilità, scarsa traspirabilità. Quattro hardshell, quattro prodotti d’alto, altissimo livello. Tutti i modelli testati hanno dimostrato un’elevata impermeabilità e una spiccata attitudine ad assecondare i movimenti. In particolare Dynafit, eccezionale nel proteggere dal vento gelido, e La Sportiva, comprimibile in un ‘fazzoletto’ per il trasporto; capi leggeri, ideali per le fasi più dinamiche dello ski-alp, ma affetti da una limitata traspirabilità. Con, in aggiunta per il guscio ‘Made in Val di Fiemme’, qualche pecca di gioventù legata alla conformazione dei polsini, oltretutto inclini ad assorbire sudore. Traspirabilità che, in ogni caso, non è il fiore all’occhiello della categoria. Risulta anzi abbastanza ridotta e nemmeno lontanamente comparabile con quanto garantito da un softshell. Anche analizzando Arc’teryx, tra i gusci più permissivi sotto tale aspetto, le cui prestazioni risentono soprattutto di un peso troppo elevato e di un taglio dai volumi interni decisamente generosi. Spicca, in assoluto, Eider. L’hardshell più completo: favorisce la conservazione della temperatura interna, disperde calore in minima quantità, è totalmente impermeabile e non costringe alla sauna in salita. Da non perdere!


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ALIMENTAZIONE testo: Fabio Menino e Paolo Conti

Pieno di carboidrati prima del via Cosa mangiare a poche ore da una gara di corsa in montagna o di skialp? I consigli del biologo nutrizionista Paolo Conti

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niziamo con questo numero della rivista a trattare il delicato argomento dell'alimentazione dello sportivo 'endurance', un tema delicato che spesso e volentieri viene trascurato. Il web e la carta stampata abbondano di consigli ma spesso si tratta di informazioni con una portata generalista per cercare di coinvolgere il maggior numero di lettori. Lo scopo principale di questo articolo e dei successivi, invece, è quello di ribaltare completamente l'approccio, consapevoli del fatto che si potrebbe scrivere un articolo diverso per ciascuno di noi in funzione delle nostre caratteristiche specifiche, delle nostre abitudini o del luogo in cui viviamo. Verranno trattati argomenti che possono essere applicati sia nella pratica dello ski-alp racing che della corsa in natura. Cibo e attività fisica L’attività fisica modifica i normali fabbisogni dell’orga-

nismo a seguito del maggiore dispendio calorico che inevitabilmente ne deriva. Qualsiasi individuo ha quindi la necessità di beneficiare di una nutrizione ottimale per non incorrere in pericolosi squilibri e per non subire dannosi effetti collaterali sulla salute. Il principale punto di interesse, e anche il più delicato, riguarda il quanto e il cosa mangiare per mantenere un equilibrio ottimale. Nel 2011 è stato pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition (www. nature.com) uno studio effettuato da un'équipe di medici italiani dell’Università di Roma sul consumo metabolico basale giornaliero riferito a un campione di 320 individui italiani (127 uomini e 193 donne) di età compresa tra i 18 e i 59 anni (età media uomini 29 anni, donne 41 anni). I valori che ne derivano indicano una media di 1.900 kcal al giorno per gli uomini (range da 1.500 a 2.976 kcal) e una di 1.458 kcal al giorno per le donne (range da 825 a 2.081 kcal). Per un indi-


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Nella foto. Un punto rifornimento del Sellaronda, sotto un buffet post-gara alla Stava Sky Race ©Ralf Brunel

Cosa non fare • Evitare l'assunzione di zuccheri semplici nell'ora che precede la gara • Evitare pasti pesanti il giorno della gara • Evitare pasti abbondanti nell'ora che precede la gara • Evitare condizioni di eccessiva sudorazione • Evitare di avvertire la sensazione di fame • Evitare di avvertire la sensazione di sete • Evitare l'assunzione di alcolici il giorno della gara • Evitare l'assunzione di nuovi cibi • Evitare l'assunzione di cibi di dubbia provenienza

Cosa fare • Se si ha fame nell'ora che precede la gara mangiare un alimento a basso indice glicemico • Fare pasti con cibi facilmente digeribili • Assumere almeno una busta di Agisko gel o analoghi 10'-15' prima della partenza • Mangiare cibi noti • Mangiare cibi di qualità • Bere almeno 1,5 l di acqua o almeno 1,0 l di Agisko drink o analoghi il giorno precedente la gara • Bere Agisko drink o analoghi in sostituzione dell'acqua il giorno della gara • Ridurre il più possibile l'assunzione di alcolici nei giorni precedenti la gara

viduo sano e sedentario, il consumo metabolico basale costituisce il 65-75% del dispendio energetico totale. Se si aggiunge quel 35/25% di percentuale che manca per determinare il dispendio calorico giornaliero complessivo, si possono approssimare grossolanamente i valori medi, riferibili sempre a una persona sedentaria, di 2.533/2.923 kcal al giorno per gli uomini (range da 2.000/2.307 a 3.968/4.578 kcal) e di 1.944-2.243 kcal per le donne (range da 1.100/1.296 a 2.774/3.201 kcal). Il consumo energetico dello sportivo Nel caso di uno sportivo, a questi valori vanno poi aggiunti quelli relativi alla pratica dell’attività fisica, che in alcuni casi assume un rilievo decisamente importante. I valori medi per un’ora di attività fisica di un soggetto di 70 chili indicano, a seconda della disciplina praticata, tra le 50 e le 900 kcal. Sono valori medi perché questi non possono tenere conto di alcuni fattori peculiari propri di ciascun individuo e delle particolarità ambientali in cui si svolge l’attività. Nell’ambito della corsa, una formula che esprime in modo efficace e semplice il calcolo del consumo energetico è C = k x peso x distanza, dove k è una variabile che esprime in sostanza l’efficacia del gesto atletico e quindi anche del livello di allenamento (meno sono allenato più mi stanco rapidamente e la mia corsa sarà sempre meno naturale) e di situazioni ambientali particolari (temperatura, vento, fondo sconnesso ecc..). Questo parametro solitamente viene approssimato a 1 ma in realtà può anche variare da 0,9 per i professionisti a 1,2 per i principianti. Lasciandolo per comodità di ragionamento a 1, correre ai 10 km/h per 10 km (quindi per un'ora), genera per l’ipotetica persona di 70 kg

un consumo energetico pari a 700 kcal. Aumentando la velocità, per esempio ai 12 km/h, il dispendio energetico sempre nell’unità di tempo di un’ora, salirà a 840 kcal. In questo caso, sono sufficienti tre ore di attività fisica per raddoppiare il dispendio calorico giornaliero rispetto a una persona sedentaria. Questa formula purtroppo trova un riscontro meno attendibile se applicata allo scialpinismo in quanto incidono su tutti due fattori quali la discesa e l’alta componente di tecnica individuale, difficilmente misurabili e che falserebbero il dato finale. A livello professionistico i dati assumono a volte significati per certi versi sorprendenti. È ormai quasi passata alla storia la dieta giornaliera del nuotatore Michael Phelps da 12.000 kcal in grado di compensare le sue cinque ore di allenamento quotidiano, mentre l’italiano Antonio De Sarro, giovane cuoco piemontese ingaggiato dalla federazione francese di ciclismo per il Tour de France del 2011, in una sua recente intervista (www.spaziociclismo.it) offre alcuni spunti interessanti. In sintesi De Sarro spiega come in

una tappa media di pianura un ciclista può arrivare a consumare fino a 4.000 kcal, mentre in una di montagna si superano anche le 8.000 kcal al giorno. Riguardo alla dieta specifica «al mattino, a parte la solita colazione (latte, caffè, brioches, prosciutto, yogurt ecc) molti ciclisti chiedevano o delle omelette o della pasta (in quel caso rigorosamente in bianco), di solito si preferiscono gli spaghetti poiché sono più facili da digerire. In più, durante le tappe di montagna, abbonda la frutta secca per l'alto valore calorico». Infine, riguardo alle quantità, De Sarro aggiunge: «Al mattino, come prima colazione, un ciclista mangia più o meno sui 100 grammi di spaghetti all'olio oltre alla normale colazione, alla sera arrivano a mangiarne 300/400 grammi a persona». L'integrazione In alcuni casi, la sola dieta può non essere in grado di fornire un nutrimento ottimale sia a causa del decadimento della qualità dei cibi che per la particolare neces-


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sità di sopperire agli squilibri indotti dall’allenamento sull’organismo. In questo frangente è quindi imporMCT, grassi come tante accostare al concetto di alimentazione quello di i carboidrati integrazione. La corretta gestione dell’allenamento, dell’alimentazione e dell’integrazione risulta essere I trigliceridi a catena media o, più semplicemente, MCT (Medium Chain fondamentale per la ricerca del benessere e della preTriglycerides), sono una tipologia di acidi grassi stazione ottimale da parte di un atleta. Una prima saturi formati da catene da 6 a 12 atomi di precisazione è però d’obbligo. I concetti di nutrizione carbonio. A differenza degli acidi grassi saturi ottimale, consumo energetico e integrazione, sono a catena lunga (LCT) vengono metabolizzati strettamente correlati con alcuni fattori specifici di e assorbiti più velocemente dal nostro ogni individuo come le caratteristiche fisiche, il meorganismo, questo si traduce in un minore tabolismo, lo stile di vita condotto o, per rimanere in deposito sotto forma di adipe (grasso corporeo) ambito più prettamente sportivo, il livello di allenae in un minore aumento del colesterolo cattivo mento, la tecnica individuale e anche le condizioni (LDL) in circolo nel sangue. Costituiscono climatiche specifiche. È quindi buona prassi quella di un'ottima fonte calorica (l'apporto è di 830 kcal per 100 grammi) senza avere effetti negativi approcciare l’argomento in questione in modo serio propri degli LCT. In sostanza si comportano ed essere consapevoli del fatto che senza un’adeguata come un 'supercarboidrato' fornendo un informazione al riguardo, il classico fai da te può poreccezionale contributo energetico. Se tare in alcuni casi a gravi conseguenze sul proprio utilizzati nella quantità e nei modi corretti gli benessere fisico. Come in molti altri ambiti la legislaMCT hanno proprietà fisiologiche uniche e zione italiana non agevola nella comprensione delle presentano un metabolismo molto più simile figure professionali autorizzate a trattare di alimentaa quello dei carboidrati che a quello dei grassi. zione nel suo complesso. In Italia, fondamentalmente Un aspetto che costituisce un limitante dell'uso esistono tre figure principali, dietologo, dietista e degli MCT è però la loro scarsa reperibilità in nutrizionista. Il dietologo è un medico, laureato, che natura. Sono infatti contenuti prevalentemente nell'olio di palma, nell'olio di cocco, in quello si occupa, nello specifico, di nutrizione umana avendi mandorla e nel burro. Questo fattore rende do frequentato e concluso la specializzazione in dieil prodotto tendenzialmente costoso e per tologia o in scienze dell'alimentazione umana. Quequesto motivo non sempre lo si trova tra gli sta figura professionale ha, dunque, la facoltà di preelementi costituenti degli integratori energetici. scrivere una dieta ma anche di valutare, dal punto di A seconda o meno della presenza degli MCT, vista clinico, le cause e gli effetti del sovrappeso e un gel energetico può fornire mediamente da dell'obesità, prescrivendo, all'occorrenza, anche dei 2,7 a 3,5 calorie per grammo (+ 30%). farmaci. Il dietista ha frequentato una laurea triennale in dietistica. Non si tratta, quindi, di un medico ma di uno specialista dell'alimentazione. Questa figura professionale non può prescrivere farmaci, visitare pazienti, fare analisi ma può Il dolce indicato aveva prescrivere una dieta a chi non ha parla seguente composizione ticolari problemi di salute. Qualora per 100 grammi di prodotto: 410 kcal, un dietista si trovasse davanti a un carboidrati 64-71%, proteine 6,6-14%, paziente con patologie è obbligagrassi 7-11% con la presenza di vitamine to a richiedere la collaborazione e sali minerali. La bevanda energetica, invece, aveva la di un medico. Il nutrizionista, seguente composizione per 100 grammi di prodotto: infine, è un laureato in biologia 380 kcal, carboidrati 92%, proteine 1%, grassi 1% con la presenza di vitamine e sali minerali. Utilizzando la formula indicata per il calcolo del consumo energetico nella corsa, la dieta di Kilian Jornet gli ha consentito di sopperire a un dispendio di circa 9.300 kcal (C = 0,9 x 62kg x 168 km).


IG basso: fruttosio 19, ciliegie 22, latte intero 27, fagioli 29, yogurt magro 29,5, latte di soia 32, latte scremato 32, mela 36, yogurt bianco 36, pera 38, succo di pomodoro 38, prugna 39, succo di mela 40, arancia 41, pesca fresca 42, pasta al sugo di pomodoro 45, Succo d'ananas 46, carote 47, maccheroni 47, succo di pompelmo 48, succo d'arancia 50, pesche in scatola 50,5, mango 51, uva 52,5, kiwi 53, pane integrale 53. IG medio: muesli 57, pane di segale 57, spaghetti 57, Coca Cola 58, ananas 59, pasta di grano duro cotta in acqua salata 60, albicocca 60,5, miele 63,5, biscotti 64, pane al farro 65, croissant 67, Fanta 68, saccarosio/zucchero di canna 68, gelato 68,5. IG alto: banana 70, pane bianco 70, popcorn 72, muffin 73, cracker 75, patate fritte 75, pane di frumento senza glutine 76, Gatorade 78, patate bollite 78,5, pizza al formaggio 80, riso bianco 80, patate al forno 89, corn flakes 91, glucosio 100.

frumento ma anche i cereali in chicco non sono da meno, tra cui il riso, il miglio, il farro, ecc. Si è dimostrato come l'assunzione di carboidrati a basso IG, prima di un impegno fisico prolungato, possa esercitare diversi effetti positivi: • Livelli glicemici più stabili per tempi d'esercizio più

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Abbiamo preso come indice di riferimento 100 il glucosio. I valori sono medi perché gli stessi cibi possono variare a seconda di alcuni fattori come il metodo di cottura e di conservazione, la zona di provenienza, il periodo di raccolta. Sono stati tratti da uno studio effettuato da alcuni ricercatori dell’Università di Sydney nel 2003. Da considerare che un altro parametro utile è quello del carico glicemico che usa come base il pane bianco = 100 e che a un discorso di qualità dei carboidrati, come avviene per l’indice glicemico, associa anche quello di quantità. In sostanza, l’indice glicemico ci dà un utile riferimento sulla qualità dei carboidrati presenti in un determinato cibo ma non ci dice in quale quantità gli stessi sono presenti. Con il carico glicemico, invece, si ha un parametro che comprende anche il secondo aspetto.

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Cosa mangiare prima della gara I carboidrati sono il cuore della dieta pre-gara. La loro assunzione, tra l’altro, permette di mantenere una quantità disponibile di glucosio nel sangue (glicemia), entro i valori limite, senza dover intaccare le scorte di glicogeno, garantendo così la migliore performance atletica possibile. I carboidrati migliori sono quelli a basso indice glicemico (IG), cioè quelli che, durante la loro fase digestiva, permettono un rilascio di glucosio nel sangue in modo graduale. La glicemia sarà così un po' più alta del valore limite superiore ma comunque inferiore a quello che si avrebbe con l'assunzione di carboidrati ad alto IG. Questa attenzione è tanto più importante quanto più ci si avvicina all'inizio della gara. Infatti, a uno stato di iperglicemia, ne segue necessariamente uno transitorio di ipoglicemia 'compensativa', condizione quest'ultima incompatibile con una resa fisica ottimale. Il tipico carboidrato a basso IG è la pasta di

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iscritto nella sezione A dell'Ordine dei Biologi che abbia ricevuto il nulla osta dallo stesso Ordine per professare come nutrizionista. In questo caso non è strettamente necessario l'aver frequentato una specializzazione in scienze dell'alimentazione anche se è vivamente consigliato. Per poter essere iscritti nella sezione A è necessario, invece, essere in possesso di una delle seguenti lauree specialistiche: Biologia, Biotecnologie agrarie, Biotecnologie industriali, Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio, Scienze della nutrizione umana. Anche in questo caso, come per il dietista, il nutrizionista non è un medico, dunque non può prescrivere farmaci, fare diagnosi o analisi anche se, data la natura dei suoi studi, la sua conoscenza delle varie patologie e dei risvolti che le stesse hanno, è in grado di redarre una dieta anche in presenza di un paziente affetto da patologie. A questo punto, avendo analizzato a grandi linee quanto è necessario mangiare e chi sono le figure professionali legittimate a dare consigli, possiamo trattare il capitolo 'cosa mangiare'. Per farlo, suddividiamo l’argomento in tre macro categorie che verranno trattate in altrettanti numeri della rivista. Prenderemo infatti in considerazione l’alimentazione ottimale nelle fasi del pre-gara, della gara e del dopo-gara. Per farlo, ci siamo rivolti a uno specialista, Paolo Conti, biologo nutrizionista, diplomato in naturopatia e collaboratore del progetto Agisko Natural Sport Nutrition. Iniziamo con l'alimentazione nelle ventiquattro ore precedenti la corsa.

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prolungati; • Risposta insulinica moderata con minor interferenza sul metabolismo lipidico; • Miglioramento della prestazione; • Minore produzione di acido lattico rispetto a un pasto a elevato IG; • Ritardo nell'insorgenza della fatica. Inoltre non bisogna trascurare le proteine, i lipidi, le fibre e i sali minerali che comunque dovranno far parte dell'alimentazione pre-gara, anche se in modo secondario. Saranno quindi presenti nella dieta pesce, carne, formaggi, uova e verdura. Per quanto riguarda la quantità, è opportuno lasciare a ognuno la propria scelta, rispettando comunque la priorità degli alimenti indicata. Sapere gestire le quantità deve essere frutto della propria esperienza personale maturata nel corso degli allenamenti e di precedenti gare. Utilizzare alcuni allenamenti come simulazione di una gara, anche dal punto di vista nutrizionale, è parte di una buona preparazione e arricchisce l'atleta delle proprie conoscenze psico-fisiche. Anche la colazione del giorno della gara è arbitraria in termini di quantità, ma rimanendo sempre nell'ambito dei carboidrati, alcuni atleti possono arrivare a mangiare anche 300 grammi di pasta, altri, invece, si soddisfano con colazioni più tradizionali. Molto importante è quando mangiare nel giorno della gara. Se si tratta di un pasto ricco, ad esempio un pranzo, è bene farlo entro le due, tre ore che precedono la competizione, questo per rispettare i normali tempi digestivi. Se, invece, è un pasto leggero come può essere per esempio una colazione o uno spuntino, allora lo si può fare entro l'ora prima della gara. Scendendo sotto l'ora bisogna fare molta attenzione a quello che si mangia per non rischiare un'eventuale crisi ipoglicemica. In questi casi possono essere d'aiuto gli integratori energetici che, in base alla loro composizione, possono essere assunti anche 10 o 15 minuti prima della partenza. Infine bisogna considerare l'idratazione. È un argomento molto importante, visto che in gara ci sarà un notevole consumo di acqua e di sali minerali in seguito alla sudorazione dovuta allo sforzo fisico. Se si tratta di una manifestazione di secondo piano, allora si può scegliere di bere semplicemente acqua, altrimenti si deve affrontare il pre-gara necessariamente con un integratore salino. L'idratazione comunque assume una notevole importanza durante lo svolgimento della corsa e sarà uno degli argomenti trattati nel prossimo articolo.


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STORIE testo: Fabrizio Pistoni

MARCO OLMO

Una ferita antica

Il paradosso del perdente che ha vinto molto: sconfiggere il proprio fantasma è piÚ difficile che battere un avversario


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L'indifferenza della propria gente, del paese d'origine, può toccare l'animo di un uomo che ha saputo primeggiare in alcune delle corse più dure al mondo? «Guarda che è un orso». Non l'ho ancora conosciuto e già mi hanno passato la sua etichetta, con un mese d'anticipo. Per me è quello che all'alba dei 60 anni ha vinto due volte di seguito il Giro del Bianco (UTMB); quella doppietta continua a sembrarmi incredibile ed è per questo che lo voglio conoscere. La presentazione delle nostre creature, due libri, è solo una scusa per riuscirci e, tramite gli organizzatori dell'incontro, gli chiedo se prima ha voglia di fare una corsetta insieme. Accetta, anche se sono uno sconosciuto del quale può solo immaginare le ore di distacco che mi rifila. Forse non è così orso. Il mese è quasi trascorso e già gli devo tirare un mezzo pacco: non posso andare a correre con lui. Telefono. «Prontoo» voce di donna con tono sveglio, infatti dopo dieci secondi ha capito tutto e mi passa Guarda-che-è-un-orso. Il resto è un minuto di spiegazione con un arrivederci cordiale all'appuntamento che avremo tra cinque giorni. Cinque giorni dopo: «Ciao»; «Ciao». Stretta di mano magra, pacata. C'e pure la voce del telefono, che ha l'occhio svelto, si chiama Renata ed è molto cordiale. Messi insieme formano una coppia che si intende con uno sguardo. Guarda-che-è-un-orso non se la tira ed evita il basso profilo, la via di fuga a cui i piemontesi fanno ricorso per star lontano dalle grane, non teme i silenzi ed evita le frasi di maniera. La carica agonistica la percepisco solo quando gli chiedo di qualche avversario, dà risposte che sono ritratti brevi ma attenti ai dettagli, da osservatore veloce a cogliere le debolezze dell'altro. Appena può evidenzia il suo status di dilettante contrapponendolo a quello di chi ha fatto dello sport una professione. Mentre gli parlo cerco di trovare un collegamento con le poche cose che sapevo di lui: lo immaginavo come uno dei personaggi de 'Il mondo dei vinti' di Nuto Revelli; anche il dvd che hanno fatto su di lui ('Il Corridore” - di P. Casalis e S. Scarafia) aveva ricamato su quel tema. Già, il dvd: Guarda-che-èun-orso ha vinto gare importantissime eppure quel film descrive una sconfitta, con lui che appena può si definisce come un perdente. Ma è un perdente che ha vinto molto. Un paradosso ambulante. Che tipo è uno così? Durante la presentazione del libro si racconta senza montare in cattedra o fare morali. Deve avere una strana memoria: conosce tempi e classifiche di 20 anni prima e di una gara ricorda tutte le informazioni che ne spiegano l'esito; sorvola sul fascino dell'ambiente, l'elemento imprescindibile del suo sport, eppure non me lo immagino lontano da


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STORIE Un umano tra i supermen di Claudio Primavesi Nelle foto accanto. Marco Olmo nelle edizioni dell'Ultra Trail du Mont Blnanc nel 2007 e 2008 ©Yosuke Kashiwakura

montagne e deserti. Corre sull'avversario cogliendone ogni segnale: come respira, quanto e come beve. Conosce la sua preda meglio della preda stessa. È competitivo per istinto anche se a volte le prende, quando le dà è consapevole che l'anagrafe non è dalla sua. In ogni caso non si è stufato di giocare e continua a parlarne volentieri, specie ai bambini e credo ami trovarseli in platea. Ma qui ci sono solo adulti e le domande che gli rivolgono sono variazioni di un solo tema «Come hai fatto a ….?» ed è giusto così perché Guarda-che-è-un-orso le cose le ha fatte. A un certo punto, dalle ultime file, si alza un signore e gli chiede: «Hai fatto conoscere le nostre terre in giro per il mondo, perché nessun amministratore si è mai preso la briga di celebrare le tue vittorie?». In un primo memento ho pensato di essere a una partita di pallavolo: l'alzatore prepara una palla fin troppo facile da schiacciare, Guarda-che-èun-orso segna il punto quasi con rassegnazione, giusto allargando le braccia con l'espressione di chi pensa che così va il mondo e sottintendendo una certa distanza dalla politica. Ancora qualche domanda, poi la conclusione dell'incontro e il congedo. Sono le sette e mezza di una serata di novembre. Fuori la città ha acceso tutte le luci e Guarda-che-èun-orso propone una pizza insieme. Intorno al tavolo ci ritroveremo in otto. Alla faccia dell'orso. Che infatti continua a sorprendermi: camminando verso la pizzeria di punto in bianco ritorna sulla domanda del signore in pensione, l'argomento dell'Amministratore Ingrato dev'esser proprio un uovo sodo difficile da trangugiare. E tutta la gente che l'aveva ascoltato fino a dieci minuti fa non ne ha favorito l'ingestione, anzi: l'ora della presentazione gli è servita per scannerizzare il centinaio di volti in platea e notare la totale assenza di compaesani malgrado solo 15 chilometri separino il paese dal luogo della presentazione. Mi colpisce tanto zelo perché Guarda-che-è-un-orso non ha i modi dell'egocentrico che reclama ossessivamente la ribalta; e poi non gli basta la stima del resto del pianeta? Gli organizzatori di mezzo mondo che lo invitano a gare in posti fantastici? I giapponesi che lo intervistano? 'I francesi che s'incazzano' (e lo sponsorizzano)? No. Guarda-che-è-un-orso è amareggiato e credo che la questione dei compaesani rappresenti l'esistenza di una ferita antica, profonda. Altrimenti perché soffrire così tanto per così poco? Ovviamente non lo so, lo conosco da due ore... Mentre me lo chiedo ripenso a una frase letta nel suo libro ('Il Corridore' Olmo - De Pascale, Ponte alle Grazie 2012): 'brissaca piena ed merda, soes nen bòn a calaa giù da lì' (sacco di merda non sei capace a venir giù da lì?). L'orologio dalla memoria è tornato indietro di quasi

Classe 1948, Marco Olmo ha cominciato a correre tardi «quando gli altri smettevano», all'alba dei 30 anni. Voleva andare alla ParigiDakar in moto invece, dopo un infortunio proprio con la moto, nei lunghi giorni passati in ospedale a guardare il profilo delle montagne cuneesi sopra i tetti della città, si è ritrovato corridore con le scarpe. Prima quasi per gioco, poi la corsa è diventata la sua vita. Un'occasione di riscatto per uno che si sente parte del 'mondo dei vinti', di quel mondo dei montanari sedotti dal villaggio globale che ha cambiato tutto e tutti, spesso in peggio, di quel mondo i cui confini sono delineati dalla 'fabbrica', dal cementificio della Buzzi Unicem nella sua Val Vermenagna. Quella fabbrica dove Marco ha lavorato per tanti anni. 'Il Corridore' è l'autobiografia di una vita per la corsa, una vita di successi e di passi nei luoghi più belli del mondo, dal Cro Magnon ai deserti della Marathon des Sables o della Desert Cup, fino alla tripletta irripetibile dell'Ultra Trail du Mont Blanc: terzo, primo e ancora primo per tre anni consecutivi, all'alba dei 60. È soprattutto il manifesto di una filosofia di vita. Una vita da 'vincente' che si sente diverso dai miti dello sport, con il corpo che invecchia ma ha ancora tanta voglia di riscatto. Una vita da 'umano' nell'epoca dei supermen. Una cosa mi ha colpito nel racconto di questo 'grandissimo' per tutti noi che amiamo correre nella natura: quando scrive che lui con il brutto tempo non va a correre in montagna. Ecco, in quel rispetto per la natura e nel riconoscere i propri limiti c'è la grandezza di Marco Olmo, in un'epoca che ha fatto del 'no limits' il suo stupido credo. Ecco perché 'Il Corridore' non può mancare nella biblioteca di un vero trail runner.

'Il Corridore' di Marco Olmo e Gaia De Pascale Ponte alle Grazie, 140 pagine 12,50 euro.

60 anni, chi parla è una mamma che intima al suo bimbo di vincere le vertigini e scendere dall'albero sul quale si è arrampicato. L'episodio si chiude con il bimbo che, vinte le sue paure e tornato sulla terra, si sente molto più forte di quando iniziò l'arrampicata. E con una gran voglia di dimostrarlo. Così adesso ascolto Guarda-che-è-un-orso mentre si lamenta per l'assenza dei suoi compaesani avendo nella testa quella frase della madre, così dura eppure così efficace per trasformare il bimbo in un futuro campione; e mi chiedo se la chiave per svelare il paradosso

del perdente che ha vinto molto non sia legata allo spettro della brissaca piena ed merda. Se quel fantasma non fosse mai esistito il campione sarebbe diventato tale? Poi ci sediamo a tavola, otto pizze arrivano e scompaiono in altrettanti stomaci, i dolci pure. Restano solo i discorsi di una tavolata di gente che non conosco con la quale mi trovo bene. Guarda-che-è-un-orso è uno di loro, niente di più. Quando è l'ora del conto Renata dice che è tutto sistemato, lui sorride e guarda nel piatto, sta zitto ma è come se dicesse 'non l'ho fatto apposta'.



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ALPSTATION testo: Umberto Isman foto: Umberto Isman

MONTURA

sotto il cielo Nives e Romano, alpinisti e grandi conoscitori dell’Himalaya, sono compagni nella vita e in montagna. Ora gestiscono con lo stesso spirito l’Alpstation di Tarvisio

ives e Romano o Romano e Nives? Per cavalleria prima Nives, ma anche perché per anni è stata in lizza per essere la prima donna a scalare tutti gli 8.000. Poi quella faccenda si è conclusa con la ‘vittoria’ di non si sa bene chi e nel frattempo Romano si è ammalato, diventando certamente lui il principale protagonista, se non altro della vita di coppia. E di un’altra gara, quella per la vita. Romano come stai? Romano: «Incrociando le dita sto bene, dicono che sia guarito. Tutto grazie al secondo trapianto di midollo donato da un ragazzo tedesco».

Nives: «Di me invece dice che non sono più quella di prima. E io gli rispondo che lui è un dopato, con tutta l’Epo che si è fatto e i pieni di sangue, due volte alla settimana, all’ospedale di Udine». Bene, allora andiamo agli inizi. Come vi siete conosciuti? Romano: «A Udine alle scuole superiori. Poi però galeotto fu un nodo, un groppo come lo chiamavamo con gli amici senza saperlo fare. Ogni volta si improvvisava, si provava se teneva e via sulle montagne di casa. Io sono di Fusine Laghi, di origina slovena, e ho cominciato a scalare sul Mangart, con le difficilissime vie di Ignazio Piussi. Solo più tardi ho scoperto che esistevano anche le vie facili. Poi un giorno è arrivata Nives e mi ha

insegnato a fare i nodi». E da lì è partito il vostro sodalizio... Nives: «All’inizio andavamo solo in montagna insieme. Facevamo cordata fissa più che altro per una questione di comodo, per non dover cercare ogni volta un compagno. Poi piano piano... Insomma alla fine ci siamo sposati per godere entrambi della licenza matrimoniale e poter partire per la nostra prima spedizione». Vantaggi e svantaggi di essere una coppia nella vita e in montagna? Quanto conta il legame affettivo, quanto è utile oppure d’impaccio? Romano: «Il vantaggio è che ci si conosce perfettamente, ci si fida e si sa esattamente fino a dove ci si


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Nelle Foto: Nelle due pagine alcune immagini dei lavori di restauro e scorci della nuova Alpstation di Schio, con la caratteristica 'foresta minimale' in larice

Una Alpstation ‘himalyana’

può spingere». Nives: «Lo svantaggio per Romano è che è più forte di me e avrebbe potuto fare di più sperimentando compagni diversi». Romano: «Forse nell’alpinismo classico e nell’arrampicata, ma in Himalaya Nives è in assoluto il più forte alpinista che conosca. Non è tanto brava tecnicamente, ma come resistenza fisica e psicologica non la batte nessuno. Mi ricordo la spedizione al Makalu, quando poche centinaia di metri sotto la vetta sono tornati indietro tutti per il vento e il freddo tremendi, compreso uno dei più forti e noti alpinisti al mondo. Nives no, ha voluto continuare, ci abbiamo provato, per poi comunque rinunciare anche noi. Voglio dire che come compagno di scalata l’avrei scelta in ogni caso. Certo il volersi bene a volte può essere un piccolo limite, ma non è che di un altro legato con te non t’importi niente». A proposito di limite, molti dei più forti e esperti alpinisti himalayani sono morti. Come ve lo spiegate? Pensate in qualche modo di essere diversi? Romano: «Purtroppo si muore quasi sempre per una ‘monata’. Penso ad esempio a Kukuczka, forse il più grande di tutti, precipitato perché si è fidato di un cordino troppo sottile. Quello che posso dire di noi è che non abbiamo mai superato il limite. La dimostrazione è anche che non ci siamo mai congelati. Credo che in alta quota si debbano sviluppare degli automatismi che tengano conto del rallentamento delle facoltà mentali dovuto alla carenza di ossigeno. Automatismi tecnici, ma anche l’automatismo fondamentale della rinuncia». Nives: «Bisogna anche saper ascoltare il proprio corpo. Salire senza ossigeno (senza neanche averlo nello zaino per emergenza) in qualche modo aiuta, perché ogni cellula del tuo corpo deve per forza essere perfettamente consapevole del suo ruolo e dei suoi limiti. E poi è fondamentale la concentrazione, soprattutto in discesa, perché la vera cima la si raggiunge al campo base». Veniamo ai 14 ottomila. Ho sentito Romano

definire quella di Nives una ‘gara’... Nives: «Quello che penso prima di tutto è che noi donne abbiamo perso la grande occasione di dimostrarci diverse dagli uomini. Ancora una volta ci siamo cascate, seguendo il loro modello, anzi, comportandoci peggio di loro. Non voglio analizzare i singoli episodi, ma trovo che il raccontare bugie, l’ossigeno, i portatori d’alta quota (che considero alla stregua dell’ossigeno), abbiano rovinato quella che era sì in parte una sfida, ma mi sarebbe piaciuto fosse leale, onesta e senza polemiche». Sì, ma non potete negare la valenza dell’operazione mediatica anche ai fini delle sponsorizzazioni... Romano: «Se devo fare un calcolo approssimativo, in tutta la nostra carriera siamo stati sponsorizzati solo per un 20 per cento. Si va dalle prime spedizioni che ci siamo pagati interamente al 50/60 per cento di quelle più recenti. E sulla scelta delle montagne la verità è che io mi diverto solo sopra gli 8.000 metri». Nives: «Beh, in verità diciamo che abbiamo sempre cercato di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Alcune spedizioni in effetti le abbiamo fatte anche per accontentare gli sponsor. Ma non ci abbiamo certo guadagnato, anzi, abbiamo investito tutto per la nostra passione. Romano ogni volta che al lavoro non riusciva ad avere le ferie o l’aspettativa si licenziava. Continui salti nel buio». E lo scialpinismo? Romano: «Ci piace, ma le nostre montagne sono severe, non molto adatte. Personalmente sono affascinato anche dal mondo delle gare. Se nascessi un’altra volta... Anche se il mio fisico viene fuori alla distanza, ha bisogno di carburare e le gare sprint non farebbero per me». Nives: «Il mio motto è: ‘piano e bene e se non si può bene, almeno piano’. Però posso concludere con un appello? Alla donazione del midollo, che ha salvato Romano. Una delle più belle forme di alleanza umana che possa esistere».

Nives e Romano gestiscono il negozio Alpstation di Tarvisio. Tutto cominciò nel ‘99 con la spedizione al Cho Oyu e allo Shisha Pangma. Nives e Romano videro per la prima volta il marchio Montura in un negozio di Trieste. Parlarono con Roberto Giordani, il fondatore, e si accordarono per la fornitura di materiale senza impegni precisi. Negli anni la cosa funzionò per il meglio. Anche se Romano, finalizzando tutto alla riuscita delle spedizioni, fu costretto a cambiare un paio di volte lavoro. Così nel 2008, vista la necessità di un altro periodo da dedicare all’Himalaya, Nives e Romano si accordarono per cominciare una nuova impresa: il secondo Alpstation d’Italia, proprio a Tarvisio, vicino a casa. Nel tempo il negozio è diventato punto d’incontro di una consistente comunità alpinistica, soprattutto austriaca e slovena. Anche perché Romano è di madrelingua slovena e parla bene tedesco. Un negozio gestito con competenza e con tutta la flessibilità necessaria per accontentare un pubblico variegato e multietnico. Ma prima ancora un crogiolo di idee e un covo di ‘cospiratori’ himalayani e non solo.


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Materiali KARPOS - Anteprima 2014

Mondi Massima personalizzazione per i capi Karpos. Non tanto in funzione del singolo individuo, quanto delle esigenze di diversi tipi di ski-alper. La collezione 2014 abbraccia lo scialpinismo escursionistico, agonistico e d’esplorazione.

radizione, ricerca, sviluppo sul campo, legame col territorio e ‘quote rosa’. Ecco gli ingredienti della nuova collezione Karpos 2013-2014. Il brand bellunese punta, più che sulla vastità della gamma, sulla qualità dei capi. Che si parli di scialpinismo escursionistico, agonistico o d’esplorazione, il minimo comun denominatore è offrire a ogni utilizzatore esattamente ciò di cui ha bisogno. Un’offerta ‘mirata’, senza sovrapposizione di modelli, partendo dall’intimo tecnico, passando per gli strati intermedi sino agli hardshell, alle tute da gara e ad accessori quali guanti, passamontagna e scaldacollo. Prestando massima attenzione ai dettagli: ad esempio alla termonastratura delle cuciture, alla scelta di zip a elevata resistenza e scorrimento, si vedano i componenti giapponesi YKK, alla commistione di tessuti ‘nobili’ quali Polartec, Cordura e WindStopper con materiali ‘di ricerca’ prodotti in Italia e testati a lungo sia in laboratorio sia sul campo. Ricerca tecnica che si fa esperienza diretta da parte di un team di progettisti e sviluppatori capitanati dall’alpinista Maurizio Giordani, di cui fanno parte nomi di spicco del panorama alpino italiano quali il climber Manrico Dell’Agnola, gli atleti Alain Seletto e Didier Blanc e, soprattutto, un selezionato gruppo di donne. Karpos dedica infatti massima attenzione alle ‘quote rosa’. Non semplicemente adattando i modelli maschili, ma sviluppando, parallelamente a ogni capo uomo, un prodotto dagli analoghi contenuti tecnici e tessili che risponda al 100% alle esigenze morfologiche femminili. Andando, ad esempio, a sagomare le zone di compressione sul petto, ad adattare i tagli vita e a rendere particolarmente avvolgenti i colletti. Un lavoro di sviluppo meticoloso, certosino, affidato a testimonial in costante contatto con l’azienda. Un filo diretto. Una ‘sottile linea rosa’.

Nelle foto. Il test team 'rosa' di Karpos con Maurizio Giordani foto ©Manrico Dell'Agnola

Il rosa di Karpos Antonella Giacomini, Elena Spalenza, Nancy Paoletto. Tre donne, tre stili di vivere la montagna, tre tester d’eccezione. Scopriamole nel dettaglio. Antonella Giacomini, bellunese, classe 1964, alpinista, è alla perenne ricerca di montagne da esplorare. Dalla fine degli Anni 90 si è dedicata alle terre fredde. Fiori all’occhiello le esplorazioni dell’Isola di Baffin e le traversate con gli sci di Groenlandia, Hielo Patagonico e Islanda. Prossima sfida il Lago Bajkal, in Siberia. Elena Spalenza, bresciana, classe 1970, freerider e telemarker d’alto livello, concepisce lo sport come fatica, divertimento, scoperta dei propri limiti. Sci ai piedi ha conquistato Peak Lenin, Muztagh Ata e innumerevoli pendii dolomitici, nelle Alpi, in Libano, lungo le Rocky Mountains e in Canada. Nancy Paoletto, trentina, classe 1969, alpinista ed esploratrice, è animata dalla passione per il movimento, viaggiare e scoprire nuove realtà. Ha conquistato svariate cime oltre gli 8.000 metri ed esplorato aree selvagge in Patagonia, Himalaya, Karakorum, Africa, Asia, Oceania e America.


Civetta Fleece W Strato intermedio per l’inverno, esterno per la primavera, in Polartec Thermal Pro e Power Stretch. I rinforzi in Kortec sulle spalle proteggono durante il trasporto dello zaino.

Ardent W Jacket Giacca in Pertex Quantum, filato in Nylon a trama stretta particolarmente leggero, foderata in Polartec Hight Loft Thermal Pro. Leggera e antivento. Ideale come capo esterno.

Le Dolomiti nel cuore I capi Karpos traggono il nome dalle montagne che li hanno ispirati. Ecco 5 modelli, dall’intimo tecnico allo strato esterno, per l’inverno 2013-2014.

Cevedale Jacket Giacca a maniche staccabili utilizzabile anche come gilet. Adotta la membrana a triplo strato traspirante e idrorepellente K-Dry. Realizzata nei tessuti tecnici K-Lee Winter e K-Lee Reinforced Winter, presenta rinforzi in Kortec, filato resistente all’usura e alle abrasioni.

Croda Jersey Primo strato termico in Polartec Power Dry. Espelle il sudore e asciuga rapidamente.

Antelao Fleece Strato intermedio per condizioni climatiche estreme. Realizzato in Polartec Hight Loft Thermal Pro e Power Stretch con zip a tutta lunghezza. Leggero e termico, asciuga rapidamente.


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AZIENDE VIBRAM

Adriano Zuccala, Il successo di un marchio che non teme la crisi e le novità 2013 nelle parole del direttore generale di Vibram uando chiediamo ad Adriano Zuccala, Direttore generale Vibram, di confermarci i dati positivi rilasciati sei mesi fa all’Outdoor Messe di Friedrichshafen la risposta è semplice: «Per suo DNA Vibram pensa positivo, nonostante il mercato sia in sofferenza e alcune aziende in difficoltà. Da parte nostra per la divisione suole abbiamo allargato il perimetro di interesse, riuscendo in questo modo a compensare l’eventuale erosione del mercato outdoor grazie a una più marcata presenza nelle aree della sicurezza, militare e sport emergenti, cui si aggiungono il casual e la riparazione. Inoltre la concorrenza sulle suole che offrono performance di alto livello si è indebolita e questo ci aiuta. Vibram rimane molto forte negli USA e sta sempre più penetrando nel mercato cinese di alta gamma». Bene anche nello scialpinismo e freeride? «Anche in questo settore stiamo crescendo molto bene, le nostre suole esclusive sono sui boots più sofisticati dei marchi più prestigiosi a livello internazionale, Scarpa, per fare un esempio, Scott, Fischer, Head, Crispi, Dal Bello, Dale, la Sportiva… La collaborazione con questi marchi ha portato

alla creazione di piccoli capolavori che esaltano ulteriormente tutte le caratteristiche degli scarponi, aggiungendo leggerezza, sicurezza e durata, grazie a mescole specifiche, d’avanguardia, e a un design unico». Quali i fatti importanti Vibram 2012? «Per quanto riguarda le suole, abbiamo lavorato su tutte le tecnologie finalizzate a migliorare il grip su neve e ghiaccio e abbiamo messo a punto la tecnologia Vibram Rolling Gait System per rendere la camminata e la corsa sempre più efficienti. Abbiamo inoltre aperto una succursale in Giappone e ampliato l’utilizzo del VTC - Vibram China Technological Center - per lo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie». Il segreto del successo di Vibram? «Se proprio devo rispondere per come conosco io Vibram, partirei da alcuni punti importanti: l’idea intanto, o meglio l’invenzione. Questo è un marchio che è nato con una grande, grandissima idea: il Carrarmato, la prima suola per l’alpinismo in gomma vulcanizzata, inventata una settantina di anni fa da Vitale Bramani, Vibram, appunto. Invenzione che nel tempo ha portato ad altre idee, quasi quotidiane mi verrebbe da dire, vista la quantità di prodotti che Vibram studia e fornisce in tutto il mondo. Poi certo, non basta. È per questo che io credo sia necessario convivere, sempre, con l’eccellenza: eccellenti sono i nostri clienti, eccellente la R&D, eccellenti le materie prime, eccellenti le caratteristiche di sicurezza di ogni prodotto, eccellente il grip, tanto per fare un esempio». Quali sono le novità all’ISPO? «Per le suole, diverse tecnologie del grip on ice, il concetto del Rolling Gait System e una serie di nuovi prodotti open per le scarpe invernali. Per le FiveFingers segnalo il modello Spyridon, con la nuova tecnologia Cocoon, che permette di ottenere suole sempre più leggere, ma nel contempo una protezione maggiore. Poi il modello Lontra, water resistant, per il running invernale e il nuovo prodotto chiamato Vibrida che riassume alcuni concetti sviluppati negli ultimi anni».

Tante novità 1. Suola Skialp per La Sportiva Stratos. Peso piuma dell’alpinismo. Suola esclusiva che risponde alle normative ISMF. Realizzata in Vibram Gumlite. Caratteristiche: ottimo grip su superfici scivolose e irregolari; inserti di particolare durezza ottimizzano il bilanciamento fra performance, leggerezza e resistenza. Design progettato per il self clearing. 2. Suola Adventure per Fischer Vacuum Ranger 12 Realizzata in mescola Vibram Mont, assicura ottima trazione e massima durata. Conforme alle normative di sicurezza per gli attacchi DIN. Grazie a specifici gradi di rigidità il frame innalza supporto e stabilità e favorisce la fuoriuscita dello scarpone in caso di caduta. Lo shank è potenziato con scolpiture per migliorare il grip su terreni dissestati. La suola è intercambiabile. 3. FiveFingers Spyridon LS Progettato per una maggior comodità durante il trail running, il nuovo Spyridon LS offre un veloce sistema di chiusura con stringhe per adattarsi a qualsiasi calzata. Tomaia a traspirazione naturale con chiusura Hook-end-Loop regolabile per una calzata sicura. Suola in gomma Vibram minimalista, con tread design aggressiva per una presa sicura del piede in ogni direzione. 4. Suola Cayman per Scarpa Maestrale Sviluppata per ottimizzare le performance degli scalatori. Realizzata in bi-mescola Vibram Skialp XS Trek morbida per un miglior grip e in Vibram Skialp Mont rigida, per il controllo dell’abrasione. Design caratterizzato da chiodi a spigolo vivo per migliorare l’aderenza sulla neve. Rispetta lo standard Low-Tech e i canaletti ampi e frequenti agevolano il self clearing.


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EVENTI Oberalp

Salewa Climb to ski Camp: Appuntamento a Chamonix dal 22 al 24 aprile per 12 intraprendenti rider. Sono aperte le candidature li appassionati di freeride segneranno fin da ora quest’appuntamento in calendario: dal 22 al 24 aprile si svolgerà la terza edizione del Salewa Climb to Ski Camp. Questa volta si andrà a Chamonix, patria del freeride e l’ospite speciale sarà Glen Plake, vera leggenda del fuoripista. Dodici giovani rider provenienti da Germania, Austria, Italia, Francia e Svizzera, che si possono candidare via Facebook, potranno vivere tre giorni sugli sci estremamente avvincenti. Insieme a Glen e ai suoi compagni Björn Heregger, Martin McFly Winkler ed Eva Walkner del team Salewa alpineXtrem e Luca Pandolfi, snowboarder professionista del Team internazionale Jones, si andrà alla scoperta dell’area attorno al Monte Bianco. Chi, il prossimo aprile, vorrà vivere questa fantastica esperienza dovrà immortalare fin da ora le proprie tracce nella neve con dei filmati. Per il Climb to Ski Camp 2013 Salewa cerca dei freerider giovani e motivati che, come primo passo, dovranno caricare fino al 3 marzo i loro videoclip o le loro foto attraverso un’applicazione Facebook. A seguire, si dovrà attivare la propria community per votare ed entrare così, con il maggior numero di ‘Like’, nella selezione finale per il Camp. Come ultimo step, saranno gli atleti stessi a decidere chi ha la stoffa per partecipare al Climb to Ski Camp 2013. Cosa c’è ad attendere i partecipanti? Glen Plake riassume tutto con queste parole: «Si tratta di fare del freeride con me e con un paio di compagni del team di atleti Salewa. Ci divertiremo salendo sulle montagne, per ripercorrerle poi in discese geniali. Non aspettate, candidatevi subito, perché chi non partecipa, non potrà esserci». Il Salewa Climb to Ski Camp 2013 è alla sua terza edizione. Negli ultimi due anni i rider emergenti e gli atleti si sono dati appuntamento a St. Anton am Arlberg in Austria. Tutti i partecipanti concordano sul fatto che i giorni trascorsi insieme non hanno regalato solo il divertimento più puro e autentico sulla neve, ma anche fuori, creando nuove amicizie e offrendo preziose esperienze. Alex, 26 anni, è rimasto molto impressionato dallo spirito di squadra di questo gruppo internazionale: «Ci siamo divertiti tantissimo a salire insieme sulle montagne

Nelle foto. Alcuni momenti dell'ultima edizione del Climb to Ski

per trovare poi delle discese particolari. Non c’è stato un solo instante di cattivo umore o di rivalità. La sera mangiavamo insieme, tutti contenti, scambiandoci opinioni sulle esperienze che avevamo vissuto». Anche Arnaud Cottet di Salewa People Svizzera traccia un bilancio positivo: «Durante i tre giorni abbiamo avuto l’occasione di condividere la nostra passione per il freeride con rider provenienti da diversi Paesi europei. Così, grazie al Camp, ciascuno di noi si è arricchito di nuove esperienze». E che dire della location, Chamonix? Ecco le parole di Luca Pandolfi, un atleta che sarà protagonista di questa terza edizione: «Chamonix è un luogo dove tutto è permesso e tutti possono spingersi alla ricerca dei propri limiti». Il Salewa Climb to Ski Camp 2013 si avvale del sostegno di alcuni partner come Primaloft e Black Crows ski, la marca di freeski con sede a Chamonix, creata da Bruno Compagnet e Camille Jaccoux, un tempo rider professionisti. Info: www.salewa.com


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EVENTI PROWINTER

Lo scialpinismo torna Partnership istituzionali ed eventi sportivi per promuovere l’appuntamento tra gli amanti delle pelli di foca

nche quest’anno Prowinter, la fiera internazionale del noleggio e dei servizi per gli sport invernali, torna a riproporre la piattaforma espositiva interamente dedicata allo scialpinismo. Durante la fiera, in programma a Bolzano dal 17 al 19 aprile, un’esclusiva galleria espositiva, meeting, appuntamenti e focus incentrati sui temi più attuali legati alla disciplina, dove appassionati sportivi, praticanti, opinion leader e rappresentanti del settore potranno incontrarsi, confrontarsi, condividere know-how ed esperienze. Ma non solo, durante tutta la stagione invernale Fiera Bolzano è presente come partner ufficiale sui tracciati di gara delle princi-

Un circuito targato Prowinter Per il secondo anno consecutivo la fiera avrà anche un circuito intitolato, la cosiddetta Prowinter Cup, grazie alla preziosa collaborazione con gli organizzatori dell’associazione ‘Dolomiti sotto le stelle’. Un circuito che include sette prove, alcune già svolte, dal Trentino all’Alto Adige, passando per il Veneto: la Lavaronda a Lavarone (22 dicembre), il Trofeo Mario Iori ad Alba di Canazei (9 gennaio), la Via del Bosco al Cermis (16 gennaio), il Memorial Fausto Giacomuzzi a Bellamonte (23 gennaio), il Carezza Trophy a Carezza (2 febbraio), il Memorial Felice Spellini in Paganella (21 febbraio) e La Zuita che gira de not ad Alleghe (22 febbraio). Gli atleti che al termine del circuito avranno guadagnato il maggior punteggio per ciascuna delle categorie individuate saranno premiati durante la fiera, direttamente sul palco del Prowinter forum.


Quotes Nelle foto: Alcuni momenti dell'edizione 2012 di Prowinter

pali competizioni nazionali e internazionali di scialpinismo: dalla tappa di Coppa del Mondo in Valle Aurina, al circuito organizzato dall’Associazione ‘Dolomiti sotto le stelle’. Il tutto nell’ambito di strategiche partnership istituzionali instaurate con realtà diventate punto di riferimento del settore, tra cui ISMF e Trento Filmfestival. Prowinter, fiore all’occhiello dell’offerta espositiva di Fiera Bolzano, da oramai 13 anni rappresenta l’unica fiera B2B in Europa nel settore del noleggio e dei servizi per gli sport invernali. Oltre a essere un’occasione unica di incontro, scambio e confronto tra gli operatori specializzati della montagna, proprio grazie alla sua collocazione temporale in chiusura di stagione è il momento ideale per conoscere in anteprima le novità del comparto e fare ordini in vista del prossimo inverno. Un appuntamento imperdibile che, numeri alla mano, ha saputo confermare il proprio successo anche in occasione della scorsa edizione insieme ad Alpitec, la fiera internazionale dedicata alla tecnologia alpina: 9.300 visitatori provenienti da 24 nazioni, 253 espositori in rappresentanza di 15 Paesi e un ragguardevole 99,3% di visitatori soddisfatti. L’inserimento dello scialpinismo come focus dedicato è frutto di una scelta ben precisa maturata all’interno del project team di Prowinter, scaturita dall’analisi delle tendenze e dello sviluppo del mercato degli sport invernali. Lo scialpinismo, in particolare, identifica un trend in crescita continua che, secondo recenti statistiche condotte nell’ambito dell’Osservatorio della montagna di Skipass Panorama Turismo, parla di un notevole incremento di praticanti: dai 33.000 della stagione 2010-2011, ai 36.500 del 2011-2012, ai 41.000 del 2012/13, pari a un + 12,33%. Prowinter Skitouring si

configura come una gallery espositiva dedicata, arricchita da un link (www.fierabolzano.it/ prowinter/Eventi_scialpinismo.htm) programma collaterale di appuntamenti e da collaborazioni con le associazioni e le realtà più importanti del mondo dello scialpinismo nazionale e estero. Tra le categorie merceologiche in mostra a Prowinter Skitouring: attrezzature e materiali per lo scialpinismo, l’alpinismo e la sicurezza, abbigliamento tecnico per scuole, club, associazioni, appassionati e sportivi professionisti, libri, guide, accessori, gruppi e associazioni di categoria. Tra le partnership istituzionali più significative, quella con ISMF, la federazione internazionale dello scialpinismo, capofila di tutte le competizioni ufficiali di Coppa del Mondo di scialpinismo. Di notevole interesse anche la collaborazione con Trento Film Festival, il noto festival internazionale di film di montagna, esplorazione e avventura, che lo scorso anno durante la fiera ha riproposto spettacolari filmati e immagini mozzafiato tratte dal proprio archivio cinematografico.

INFO Data di svolgimento: dal 17 al 19 aprile 2013 Orari di apertura: mercoledì e giovedì dalle ore 10.00 alle ore 18.00 - venerdì dalle ore 10.00 alle ore 17.00 Ingresso: riservato agli operatori Costo del biglietto: 12 euro; sconto del 50% con registrazione via Internet Informazioni: www.prowinter.it

«L’attenzione nei confronti del comparto skitouring, o skimountaineering, deriva dal fatto che Fiera Bolzano ha notato che sempre più i clienti di Prowinter, i noleggi in primo luogo, hanno proposte dedicate allo skitouring. Il contesto dove troviamo lo spirito giusto per promuovere la nostra fiera è quello delle gare, come nel caso del circuito Dolomitisottolestelle o in Valle Aurina con la Coppa del Mondo. Quando una fiera si attiva in una direzione, evidentemente cerca prima i rappresentanti di una realtà, e l’organo di maggior rappresentanza, oltre alla FISI e a organizzatori di manifestazioni già collaudate, è proprio l’ISMF. Con loro ci siamo incontrati, abbiamo discusso, abbiamo appreso con piacere che l’intenzione è quella di portare questo nuovo sport a diventare disciplina olimpica. Noi cerchiamo di aiutarli con i tanti canali di comunicazione a disposizione della fiera, promuovendo la piattaforma ai visitatori. Mettere in vetrina lo scialpinismo a Prowinter è un vantaggio per entrambi».

Reinhold Marsoner, direttore di Fiera Bolzano SpA

«Sono particolarmente soddisfatto della nuova partnership fra Prowinter e la nostra Federazione: Fiera Bolzano ha capito che lo scialpinismo è una disciplina sportiva in forte e costante crescita in tutto il mondo. Lo scialpinismo si presenta come un’offerta di particolare interesse in un momento di crisi nel settore degli impianti di risalita». Armando Mariotta, presidente ISMF International Ski Mountaineering Federation «Nello scialpinismo i materiali sono veramente importanti: in discesa è fondamentale avere uno sci che sia forte e anche scarponi che tengano e in salita siano molto leggeri. È molto difficile trovare il compromesso tra il peso e la sciabilità. Io pratico questa disciplina da 12 anni ed è incredibile l’evoluzione dei materiali in questo periodo: quando ho iniziato gli scarponi erano in plastica, i più leggeri pesavano 1,2 kg, oggi abbiamo scarpe in carbonio da 400 grammi e in 10 anni l’evoluzione è stata veramente incredibile».

Kilian Jornet

«Nello scialpinismo i materiali oggi sono molto importanti e aiutano noi atleti nelle performance ma anche chi pratica lo scialpinismo a livello amatoriale. È una disciplina che è destinata a crescere molto nei prossimi anni. Il fatto che una fiera dedichi la propria attenzione allo scialpinismo è sicuramente importante e una scelta vincente».

Mathèo Jacquemoud


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LOCALITÀ monterosa ski

Powder fino a maggio Il comprensorio a cavallo tra Valle d’Aosta e Piemonte sarà teatro anche del Mezzalama. Dal 24 marzo al 14 aprile lo skipass è gratuito grazie alla promozione Sciare Gratis

l Monterosa Ski è fra i più grandi comprensori sciistici non solo della Valle D’Aosta, ma di tutte le Alpi: dal massiccio del Monte Rosa abbraccia le valli d’Ayas, di Gressoney e la piemontese Valsesia. Comprende 37 impianti di risalita, 180 chilometri di tracciati completamente battuti e il 98% delle piste è coperto da innevamento programmato. 69 in totale le piste, con 41 tracciati per sciatori intermedi, 22 per principianti e 6 piste nere per i più esperti. Ma il comprensorio è conosciuto sia in Italia sia all’estero anche come un vero paradiso del freeride, Monterosa Ski regala infinite possibilità: dai tracciati tra i boschi di Champoluc a quelli in quota al Passo dei Salati e sui 3.275 metri del ghiacciaio di Indren, raggiungibili comodamente grazie al Funifor Passo dei Salati-Indren, che sfiora la vetta del Monte Rosa. Tutte e tre la valli offrono splendide serpentine sui pendii più belli del comprensorio, ripidi couloir, ampi spazi di neve polverosa e chilometri di facili percorsi, che si snodano tra baite e laghi alpini. Da Gressoney, così come in Val d’Ayas e nella zona di Alagna Valsesia, ci sono veramente tante opportunità di divertimento per gli amanti della ‘powder’. Torna anche quest’anno la stagione del fuoripista a Gressoney-La-Trinité e

Nelle foto: Alcuni fuoripista facilmente raggiungibili dalla zona degli impianti del Monterosa Ski

INFO: Monterosa Ski VTel. 0125.303111 info@monterosa-ski.com www.monterosa-ski.com

ad Alagna che prolunga l’inverno con impianti aperti fino al 5 maggio, weekend e festivi. Un’emozione ancora più indimenticabile è raggiungere il proprio punto di partenza per il freeride in elicottero: grazie al servizio di heliski si sale con ‘le ali’ e si scende con gli sci sul manto immacolato, raggiungendo quote superiori ai 4.000 metri. E per chi desidera farsi accompagnare, le guide alpine di Monterosa Ski sono a disposizione: il modo perfetto per vedere il comprensorio in maniera inedita e vivere un’esperienza da veri esperti di montagna in piena sicurezza. Ci sono guide specializzate in ogni valle: Guide Monterosa, Società delle Guide Alpine di Gressoney, Guide Champoluc, Guide Alagna. Dal fuoripista allo scialpinismo le emozioni non finiscono mai. Appuntamento con la diciannovesima edizione del Trofeo Mezzalama, che festeggia gli 80 anni sul Monte Rosa: da Cervinia a Gressoney-La-Trinité, il 27 aprile 2013, torna la storica manifestazione sportiva che richiama gli atleti più forti da tutto il mondo. Inoltre se si prenota la vacanza in Val d’Ayas o in Valle di Gressoney dal 24 marzo al 14 aprile, lo skipass è gratuito grazie alla promozione Sciare Gratis! Un inverno di emozioni con Monterosa Ski!


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CONTROCOPERTINA

testo: Umberto Isman

Siamo riusciti a intervistarlo, ma non a fotografarlo, troppo veloce foto©Samuel Pradetto

Lo scialpinista del futuro Siamo andati nel 2213 a intervistare il più forte ski-alper del mondo

N

ome? «Mehmet Gargiulo, ma mi chiaun nuovo modello La Scarpiva». mano tutti Mega. È una tradizione di faE per gli attacchi? «Attacchi?... Ah, quelli che ho visto al miglia: il mio bisnonno si chiama Chrimuseo dello scialpinismo di Ozegna. Noo... non si usano stian, mio nonno Mehmet, mio papà più da tanti anni. Il sistema magnetico è molto più efficace, ma sto cambiando sponsor e non posso ancora citarlo». Christian, fino a mio nipote di nuovo Pelli di foca? «Foca, foca... ma da dove vieni tu, da un’altra Mehmet. Sciano tutti e nell’ambiente o hai un soprannome o è un casino». epoca? La foca che sappia io è quell’animale estinto più di Età? «51, quasi 52». cento anni fa, cosa c’entra?». Umberto Isman Nato a? «Luttach, in Valle Aurina». Ok, non sono di foca, ma quelle cose che si attaccano Dove vivi? «A Posillipo. Sono ritornato al luogo di origine della mia fa- sotto gli sci per farli tenere in salita come le chiamate? «Il sistema miglia. Sai, dopo il cambiamento climatico in montagna faceva troppo antigravitazionale intendi, ma mica si attacca sotto gli sci. Boh, comunfreddo e c’era troppa neve, il ghiacciaio Stokaisergletscher continuava a que è un chip integrato, senza marca». crescere e ormai spingeva quasi contro il muro di casa. A Posillipo alme- Programmi per il futuro? «Mah... vorrei dedicarmi un po’ di più alle no, verso maggio, la neve si scioglie». gare sprint sui 10.000/15.000 metri di dislivello in salita, quelle senza Dove ti alleni? «Gran parte al simulatore, un po’ sulla collina dietro discesa intendo. Poi non so, il futuro è sempre una grossa incognita, casa, in estate qualche volta in montagna». anche a livello di attrezzatura. L’evoluzione tecnica è talmente veloce che So che hai vinto l’ultimo Mezzalama, con che tempo? «700 kg tra- vattelapesca con cosa scieremo tra dieci anni». sportati in 9 giorni, 7 ore, 26 minuti, 13 secondi. È la miglior prestazio- Senti una cosa, ti andrebbe di collaborare con Ski-alper? Non so, ne assoluta della nuova era, sai, dopo che Adriano Favre ha rivoluziona- potresti tenere una rubrica per rispondere alle curiosità dei lettori, to il regolamento». oppure scrivere cronache delle tue esperienze. Mi viene anche in Adriano Favre? «Sì, sempre lui, mi hanno detto che è un po’ che c’è. mente che potresti far testare la tua attrezzatura a Sebastiano SalvetInsomma, tanti anni fa, dopo che un concorrente si era presentato co- ti. «Pensiamoci... potremmo anche utilizzare il mio thinking-monitor perto solo da tre piccole strisce di cerotto riscaldante, Favre ha preso la per un collegamento in diretta con i lettori. Tieni presente che non ho grande decisione. Adesso vince la squadra che trasporta più peso e a molto tempo: tra gare e allenamenti sono impegnato circa una cinquantina di giorni al mese per sedici mesi all’anno». parità di peso vince chi ci mette più tempo». Quali sono i tuoi sponsor? «Per gli sci l’interno è Newtrabmolecular e Quanto ci costerebbe la tua collaborazione? «Mi sembrate gente perl’esterno Dynamit. Il tubolare invece è Barilla-Ski. Ai piedi sto testando bene, un po’ ‘all’antica’, potrei farlo anche gratis».


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Crédit photos : Arnaud chidéric - Dan Ferrer

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foto di Daniele Lira Valfloriana - Carnevale dei Matoci


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