Ski-alper 84

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A confronto I NUOVI MODELLI LA SPORTIVA, SALOMON E INOV-8

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SKI-TOURING > RING OF FIRE | DYNAFIT SKI TOURING STORYBOARD PEOPLE > LUCA CERRUTI | LAETITIA ROUX | DIDIER BLANC GRAND COURSE > PIERRA MENTA | TOUR DU RUTOR | PATROUILLE DES GLACIERS SKI-ALP RACE > FINALI DI COPPA DEL MONDO A TROMSØ | VAL MARTELLO PROVE SUL CAMPO > MERELLI M3D | GARMONT COSMOS | DYNAFIT BALTORO ANTEPRIMA > GPS MAGELLAN EXPLORIST 610 | GIPRON | HAGAN X-CARBON

MAGGIO 2012

mensile n.84 I € 6,00 ISSN 1594-8501

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Se le sono date di 'santa ragione' su e giù per le montagne più belle: dal Pierra Menta al Tour du Rutor, fino alla Patrouille des Glaciers, passando per le finali di Coppa del Mondo a Tromsø. Noi eravamo lì con loro, per raccontarvi tutto, ma proprio tutto… servizi e foto di Carlo Ceola e Riccardo Selvatico

REDAZIONE

Direttore responsabile: Davide Marta - davide.marta@mulatero.it Vice-direttore: Claudio Primavesi - claudio.primavesi@mulatero.it Marketing: Simona Righetti - simona.righetti@mulatero.it Segretaria di redazione: Elena Volpe - elena.volpe@mulatero.it Ski-alp race: Carlo Ceola - carlo.ceola@mulatero.it Ski-touring: Umberto Isman - umberto.isman@mulatero.it Materiali: Sebastiano Salvetti - sebastiano.salvetti@mulatero.it

Collaboratori: Leonardo Bizzaro, Renato Cresta, Fabio Meraldi, Flavio Saltarelli, Riccardo Selvatico Impaginazione: business-design.it Webmaster: Silvano Camerlo Hanno collaborato a questo numero: Giorgio Daidola Test materiali: Guido Salvetti, Adriano Salvadori, Alain Seletto Niccolò Zarattini

Distribuzione in edicola: MEPE - Milano - tel. 02 895921 Stampa: Reggiani - Brezzo di Bedero (VA) Autorizzazione del Tribunale di Torino n.4855 del 24/11/95. La Mulatero Editore srl è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697.


I concorrenti in partenza per la terza tappa del Tour du Rutor photo©Riccardo Selvatico

IN copertina Numero speciale dedicato alle grandi classiche dello ski-alp race. La copertina non poteva essere da meno. Ecco uno spettacolare passaggio durante il Tour du Rutor. photo©Carlo Ceola

ski - a Lper

N. 84 - MAGGIO 2012

SKI TOURING 14 Ring of fire, il racconto di un viaggio sci ai piedi durato quasi 15 anni

22 Dynafit Ski Touring Storyboard, ecco i vincitori PEOPLE 26 Luca Cerruti, global sales leader di Gore, ci

racconta la particolare struttura dell'azienda americana 64 Mi chiamo Laetitia Roux e tendo ad esagerare: intervista alla campionessa francese 74 Didier Blanc, dopo una stagione di difficoltà, sta lottando per tornare ai livelli che l'hanno contraddistinto

SKI-ALP RACE 30 Vi raccontiamo la Pierra Menta 42 Tour du Rutor, think different 56 Patrouille des Glaciers 78 Bianco e blu, le finali di Coppa del Mondo a Tromsø 86 Super-Pippo Beccari si impone nella Coppa delle Dolomiti

PROVE SUL CAMPO 108 Dalla fabbrica alla neve con i nuovi Merelli M3D 114 I polivalenti sci Dynafit Baltoro messi a dura prova 121 Ottimo rapporto qualità prezzo per gli sci Hagan X-Carbon 124 Prova in anteprima per il quattro ganci Garmont Cosmos 128 Abbiamo provato gli attacchini ATK Race RT 132 A confronto tre scarpe per correre dovunque: Inov-8 Mudclaw 272, La Sportiva C-Lite 2.0 e Salomon S-Lab Fellcross

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6 > rubriche

editoriale testo: Davide Marta

La copertina del prossimo numero avrebbe potuto essere così, sarà per la prossima estate...

L’altra copertina

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a bambino ho sempre vissuto in mezzo alla neve. I miei ricordi di infanzia sono indissolubilmente legati alle montagne, alle nevicate, agli sci. Sarà per questo che ne ho fatto anche il mio lavoro, o forse no, perché in questi casi, spesso, prevale l’effetto-rigetto. I primi sette anni di vita li ho trascorsi a Limone Piemonte, più precisamente a Quota 1400, dove papà faceva il maestro di sci e gestiva con mamma un minimarket. Nevicava sempre, tantissimo, metri e metri di neve dal tardo autunno fino a primavera inoltrata. Altri tempi verrebbe da dire, soprattutto alla luce dell’inverno appena trascorso. Avrò avuto tre o quattro anni quando - uno di quei racconti che in ogni famiglia si rinnovano nelle occasioni di ritrovo - domandai esplicitamente di andare qualche giorno in campagna dalla nonna. «Vorrei vedere un po’ di erba, un po’ di verde» dissi… Lì era tutto bianco, da mesi! Una frase che mi è tornata in mente, così come quel periodo della mia infanzia, quando in redazione abbiamo iniziato a pensare alla versione estiva della rivista. Forse solo in quel momento ho realizzato per davvero di essermi sempre e solo occupato di neve, quasi fossi rimasto quel bambino che, invece di andare all’asilo, girava sulle piste da sci. Corsa, trekking, mountain bike, paesaggi verdi, prati fioriti, laghi e torrenti. E il mare, perché no, addirittura i paesaggi a strapiombo sul mare! Il mondo mi è sembrato improvvisamente molto più grande e mi è venuta una grande voglia di fare, di sperimentare. Dalle pagine della rivista abbiamo anche chiesto un contributo ai lettori, che hanno risposto in massa con i loro suggerimenti, eterogenei ma tutti ugualmente preziosi. Pronti via, dunque, si parte! Scelto anche il nome della rivista, troppo ‘verticale’ Ski-alper per avvicinare nuovi lettori, troppo legato alla neve. Ma non si poteva nemmeno cambiare la testata… E allora sotto con

Sky-alper, basta una y al posto della i per stravolgere gli orizzonti della rivista e cambiarne i connotati, al punto da far indossare i pantaloni corti e le pedule anche all’omino del logo. Pur rimanendo sempre gli stessi. Un progetto che è nato ed è cresciuto velocemente, ma che, ahimé, è partito troppo tardi. Quando ci siamo resi conto di dover ancora chiudere tre uscite invernali, coordinare il test materiali per il prossimo inverno, abbiamo capito che mancava il tempo da dedicare all’estate. Niente erba, prati e torrenti, dunque, almeno per quest’anno… Ancora neve, anche quando non c’è. Ma va bene così, i nostri numerosi lettori ci hanno premiato per la seconda stagione consecutiva e Ski-alper è la rivista di montagna più venduta in edicola: non possiamo permetterci di abbassare il livello dei servizi, la qualità delle proposte, semmai è nostra intenzione alzare l’asticella. Per cui ci siamo presi un anno di tempo in più per mettere a fuoco il progetto, iniziando però ad inserire già da questo numero alcune sfumature più estive, come il test comparativo di tre modelli di scarpe top da sky-running. Prendetelo come un assaggio di come intendiamo lavorare in futuro. Il nuovo logo, intanto, farà ‘capolino’ sul sito skialper.it appena concluse le ultime classiche scialpinistiche e ci accompagnerà nella costruzione della versione estiva della rivista, di Sky-alper insomma. Potrete seguire gli aggiornamenti quotidiani dal mondo delle gare di corsa in montagna, leggere anticipazioni e test nella sezione materiali, mentre la redazione tecnica sarà impegnata ad ultimare la guida con tutti i test per l'invernale che sarà in edicola a novembre, con un occhio a quella sui prodotti estivi prevista per aprile 2013. Work in progress in piena regola, dunque. Per ora godetevi quest’ultima uscita stagionale di Ski-alper. C’è tanto agonismo (e tanta neve!), i nostri inviati hanno seguito gli atleti un po’ dappertutto per raccontarvi, con immagini e parole, quello che solo i protagonisti hanno potuto ammirare con i propri occhi.



8 > opinioni

PENSIERI BIZZARRI testo: Leonardo Bizzaro

Il futuro ha un cuore antico Dal ‘turismo sostenibile’ di Arco, inventato negli anni ‘80 da un gruppo di arrampicatori, alla ‘spedizione leggera’, all’ antica e senza pubblicità, di Manolo OMAGGIO A UN VISIONARIO

Maurizio Zanolla, in arte Manolo, ha compiuto 54 anni il 16 febbraio scorso. Un mese dopo, il 24 marzo, ha ‘liberato’ in Val Noana, a pochi minuti da casa, alla base delle Pale di San Martino, una via allucinante, che per gli appassionati dei gradi potrebbe essere valutata 8c+/9a (traducendo nella scala UIAA, sarebbe XI grado, sempre per i patiti dei numeri). «Una linea bellissima - l’ha definita - in un posto tranquillo». Tanto di cappello, ma non ho ricordato questo solo per congratularmi con lui. La via si chiama ‘Roby Present’ ed è un omaggio a Roberto Bassi, scomparso in un orribile incidente automobilistico nel settembre 1994. Bene, loro due - assieme a Heinz Mariacher, Luisa Iovane, Bruno Pederiva... ma soprattutto loro due - sono stati i primi a scoprire le incredibili potenzialità delle rocce di Arco, nel Trentino meridionale. Una località diventata nel giro di poche stagioni il nuovo Yosemite e l’esempio di come si possa rilanciare una destinazione, che fino a quel momento era una sorta di cronicario per anziani abbienti, puntando sul turismo sostenibile. Arrampicata, mountain bike, escursionismo: Arco è oggi la meta di giovani sportivi da tutto il mondo e attorno a questo ha sviluppato una rete di strutture ricettive, camping, parcheggi, negozi. Mantenendo un suo rigore urbanistico.Tutto è nato dalle frequentazioni di Manolo, Roby e amici agli inizi degli anni ‘80. La scoperta dell’arrampicata sportiva, gli esperimenti, lo sviluppo autonomo di attrezzatura e abbigliamento - in quello stesso periodo, a pochissimi chilometri di distanza, faceva i suoi primi esperimenti Roberto Giordani con un’aziendina casalinga che ancora non si chiamava Montura - gli allenamenti, la nascita di un movimento che ha trovato una sua via originale rispetto a francesi e americani, ma anche al ‘nuovo mattino’ delle Alpi occidentali e ai ‘sassisti’ della Val di Mello. Tanto che sul vangelo dell’arrampicata di quegli anni, ‘Cento nuovi mattini’ di Alessandro Gogna, pubblicato nel 1981 da Zanichelli, sul Trentino-Alto Adige c’è un grande buco bianco: nessuno a quell’epoca sapeva, oltre a loro, che cosa stesse combinando e quanto spostasse avanti

i confini quel gruppetto di amici. Quello dei trentini è stato, rispetto alle altre comunità di climber disseminate allora sulle Alpi e in parte sugli Appennini, un approccio più rigoroso, un tentativo di spingersi oltre che non si accontentava di guardare con occhi diversi le pareti di bassa quota. La loro è stata una puntigliosa ricerca tecnica che comprendeva ad esempio diete spesso fantasiose. La dedica di Manolo a Roberto Bassi me lo ha ricordato nella figura di Buntaro Mori, il protagonista del manga che in questi mesi sta diventando popolare tra gli appassionati di arrampicata e di montagna, ‘The Climber’, peraltro ispirato a un arrampicatore reale, in Giappone. Roberto era come lui, duro, un pochino asociale, rigorosissimo nelle sue scelte. Da leggere, nella traduzione della casa editrice J-Pop (www.j-pop.it). È arrivato al dodicesimo volumetto, non tocca aspettare un mese tra un’avventura e l’altra.

La bici no

I nepalesi hanno fermato il tentativo goliardico di Vittorio Brumotti che voleva salire sull’Everest in bicicletta. Ho guardato su YouTube le sue esibizioni (sembra che sia un ospite fisso di ‘Striscia la notizia’) e non si può non rimanere stupiti di fronte alla sua abilità da funambolo. Che cosa tutto questo c’entri con la montagna e l’alpinismo, non è chiaro. Potenza degli sponsor e della tv. Nelle interviste e sul suo lussureggiante sito si dichiarava sicuro di poter arrivare in cima senza mettere piede a terra, o qualcosa del genere, con l’intenzione di finire sul Guinness dei primati per varie altre ragioni. Il governo di Kathmandu lo ha rispedito a casa con un pretesto, l’affronto alla sacralità della montagna più alta da parte di una spedizione inglese che avrebbe avviato un commercio di orologi con il quadrante ricavato da pietre raccolte in cima, a 8.848 metri. Non si capisce che cosa tutto questo potesse aver a che fare con Brumotti, ma meglio così, la scusa è stata ben trovata. E non basta che il tentativo fosse avallato da Simone Moro, peraltro coinvolto come capospedizione del ‘circo’ che avrebbe avuto gran platea mediatica dalla televisione ai blog e alle pagine di vari quotidiani. Sui blog di montagna la riprovazione nei confronti del pedalatore acrobata si è ingiustamente allargata al bravo alpinista bergamasco, colpevole forse di aver accettato senza troppo pensarci la proposta di qualche sponsor potente e danaroso. Tramontata l’ascensione a due ruote, Moro sta puntando in queste settimane alla traversata Everest-Lhotse, mai riuscita prima, con una spedizione leggera, senza averlo annunciato prima di partire. Bello, un obiettivo che rimanda ai tempi eroici dell’alpinismo himalayano. Peccato averlo sporcato con quella sciocchezza.

Leonardo Bizzaro, cittadino torinese da ormai vent’anni, è nato a Trento nel 1958. Nella redazione di Repubblica sotto la Mole scrive di spettacoli e cultura, ma l’attenzione maggiore la dedica alla montagna. Ha collaborato con le riviste del settore, scritto libri, è stato per lungo tempo nel consiglio direttivo del Filmfestival di Trento, colleziona smodatamente libri, e non solo, dedicati alla sua passione. Alpinista, con e senza gli sci ha salito vette e attraversato ghiacciai in varie parti del mondo, dalla Patagonia all’Himalaya.


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“Mi alleno e corro su terreni sempre diversi. Per questo voglio una scarpa che unisca l’efficacia e la leggerezza di una scarpa da strada alla trazione e alla protezione di una scarpa da trail.” – jonathan Wyatt 2 volte atleta olimpico 6 volte Campione del Mondo di corsa in montagna

COPYRIGHT© SALOMON SAS. TuTTI I dIRITTI RISeRvATI. fOTOGRAfO: CHRISTOffeR SjÖSTRÖM. LOCALITà: dOLOMITeS, ITALY.


10 > rubriche

NEVE E DIRITTO

testo: Flavio Saltarelli

La responsabilità nell’incidente scialpinistico Quando viene riconosciuta la colpa di una persona? Quali I rischi di risarcimento?

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n questa mia rubrica ho più volte trattato di responsabilità derivanti dall’attività scialpinistica. Perché ci sia responsabilità è necessario un comportamento doloso o colposo e senza di questo comportamento colposo o doloso niente può essere rimproverato a nessuno. Mi sembra dunque il caso di approfondire questi concetti giuridici di dolo e colpa per individuare, anche alla luce della giurisprudenza, le situazioni più ricorrenti nello skialp. Per comportamento doloso s’intende quello previsto e voluto come conseguenza del proprio agire o della propria omissione. È chiaro, dunque, che la fattispecie dolosa non ricorrerà mai negli incidenti di montagna, non volendo pensare che un compagno di gita, una guida, un altro scialpinista incontrato per caso in montagna possano deliberatamente agire per ledere l’incolumità altrui. Nell’ambito che ci riguarda, pertanto, ogni responsabilità deriverà da un’azione giuridicamente ritenuta ‘colposa’. E per colpa l’ordinamento intende il comportamento che crea un danno contro l’intenzione di chi lo cagiona, quando l’evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Vediamo, alla luce dell’esperienza e della giurisprudenza, di estrapolare dalla casistica degli incidenti alcuni comportamenti che comportano una responsabilità colposa nell’ambito della pratica scialpinistica. La prima situazione è quella di colpa da negligenza (omissione di un’azione doverosa) ed è configurabile se la guida o l’istruttore non controlla il funzionamento dell’Artva dell’accompagnato, o che il cliente abbia ramponi e piccozza su un itinerario con ghiacciaio o primaverile. La colpa da imprudenza (mancata osservanza delle regole di esperienza consolidate) è ipotizzabile quando il capogita conduce gli amici su un itinerario con pendenza superiore ai 30 gradi con un bollettino nivo-meteo che indica rischio valanghe 3; o quando il capogita porta dei praticanti inesperti su itinerario qualificato come OSA, cioè adatto esclusivamente a ottimi sciatori alpinisti. O ancora quando la guida o l’istruttore porta i propri clienti ad appesantire un pendio già affollato da altri scialpinisti e con rischio valanghe oppure ancora quando uno scialpinista, con un bollettino che evidenzia pericolo valanghe marcato, stacca una slavina in zona antropizzata. C’è poi la fattispecie

di colpa da imperizia (mancata osservanza delle norme tecniche idonee): la guida o l’istruttore che traccia un pendio in neve fresca in modo non adeguato, passando ad esempio su evidenti accumuli; il capogita che in un’escursione su ghiacciaio non è in grado di recuperare da un crepaccio il compagno; la guida o istruttore di skialp che non allestisce secondo la miglior scienza ed esperienza una sosta per una discesa in corda doppia; la guida o capogita che lascia che un accompagnato si allontani dal gruppo e, sollecitando un pendio, provochi una valanga. Il caso dell’inosservanza di leggi riguarda lo scialpinista che, risalendo una pista, si scontra con uno sciatore oppure lo scialpinista che pratica skialp senza pala, sonda e Artva. L’inosservanza di ordini (provvedimenti amministrativi della pubblica autorità) è ipotizzabile se uno scialpinista pratica lo skialp nonostante l’esistenza di un’ordinanza comunale che vieta questa attività a causa del pericolo contingente. L’ultimo caso è quello dell’inosservanza di discipline (divieti di privati che hanno ‘ex lege’ il potere di gestire un’area), per esempio quando un atleta si allena risalendo una pista di notte violando lo specifico divieto posto dal gestore degli impianti. È ovvio che queste fattispecie rappresentano solo alcune, seppure le più frequenti, tra le diverse ipotesi configurabili. In caso di sinistro il sistema attuale della responsabilità civile prevede la possibilità di risarcire i seguenti danni a chi per colpa altrui abbia patito un pregiudizio: patrimoniale per cure sanitarie e riabilitazione (costo vivo delle cure e delle terapie); patrimoniale da mancato reddito o da riduzione dello stesso (differenza tra il reddito che il soggetto aveva e quello diminuito o annientato a causa della lesione patita); biologico-esistenziale (cosiddetto danno alla salute e alla vita di relazione), valutato in punti medico-legali in base a lesione ed età; morale (cosiddetto danno alla dignità umana), valutato in punti medico-legali in base a lesione e ad età del danneggiato; da invalidità parziale (valutazione economica del pregiudizio relativo ai giorni in cui il soggetto non ha potuto adempiere alle ordinarie funzioni in piena efficienza); da invalidità totale (valutazione economica del pregiudizio relativo a una menomazione permanente nello svolgimento delle ordinarie funzioni). La colpa può configurarsi come lieve o grave a seconda della rilevanza del comportamento riprovevole. Questa qualifica incide sull’ammontare di alcune voci di danno qualora alla richiesta segua un giudizio. Inoltre anche quelle poche polizze assicurative che contemplano il rischio da incidente scialpinistico spesso non coprono la responsabilità da cosiddetta ‘colpa grave’. Da ultimo segnalo che questi principi non valgono per gli incidenti occorsi nello svolgimento di gare di scialpinismo come ho già sottolineato in un’altra puntata della mia rubrica.

Flavio Saltarelli, classe 1963, avvocato civilista, pratica scialpinismo dall’età di 18 anni. Si occupa per passione delle problematiche legate alle responsabilità connesse agli sport in ambiente montano e ha partecipato a diverse competizioni di ski-alp. Per eventuali quesiti: studiolegalesaltarelli.grassi@fastwebnet.it



12 > ski-alper

abbonamenti

ABBONAMENTI A SKI-ALPER Per non perdere neppure una delle 5 uscite invernali di ‘Ski-alper’ potete scegliere una delle seguenti opzioni:

SOLUZIONE 1 - ANTICIPA IL PROSSIMO INVERNO: RISPARMIA E VINCI LA FASCIA DI SKI-ALPER (OFFERTA VALIDA FINO AL 15 GIUGNO) Compilare in stampatello il seguente modulo e spedire in busta chiusa allegando la ricevuta di pagamento a: Mulatero Editore ufficio abbonamenti - via Principe Tommaso, 70 - 10080 Ozegna (To). Oppure inviare un fax con coupon e ricevuta al numero 0124 421848. Modalità di pagamento: Versamento su c/c postale n. 57682668 intestato a Mulatero Editore srl. Carta di credito Visa e Mastercard.

abbonamento per la prossima stagione 2012/2013 a 5 numeri della rivista con servizio Postapress (consegna in 24/36 ore) a prezzo scontatissimo e bloccato. Assicurati le cinque copie della tua rivista preferita all'incredibile prezzo di 28 euro, e in più ricevi la fascetta Matt di Ski-alper in omaggio. L'offerta scade il 15 giugno, per cui affrettatevi! IMPORTO: 28 EURO

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abbonamento a 5 numeri consecutivi della rivista con servizio Postapress (consegna in 24/36 ore) + Trail runner plus, la lampada frontale ultraleggera (solo 70 g) prodotta da Silva. Si tratta di un prodotto ideale per allenarsi in qualsiasi condizione, infatti, grazie alla banda elastica antiscivolo, la lampada rimane perfettamente in posizione anche su terreni molto accidentati ed il sistema di illuminazione Silva Intelligent Light® technology consente un’ottima visuale sia sulla distanza che ravvicinata. IMPORTO: 75 EURO

ARRETRATI (prezzo 6 euro cadauno + spese spedizione) n.

L’abbonamento decorrerà dal primo numero raggiungibile dopo il ricevimento della richiesta completa di ricevuta di pagamento.

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13 > rubriche

PARETI DI CARTA testo: Leonardo Bizzaro 50 ESCURSIONI IN MOUNTAIN BIKE IN PIEMONTE E VALLE D’AOSTA di Toni Cavallo, Mirko Voyat, Franco Signorino e Davide Zangirolami Priuli&Verlucca, 152 pagine

9,90 euro

ARRAMPICARE, CAMMINARE, CONOSCERE IL MOTTARONE di Alberto Paleari - Monte Rosa edizioni, 160 pagine

22 euro

Piemonte e Valle d’Aosta in mountain bike Una guida da sfogliare per scegliere una meta, più che da portare nello zaino. Ma il formato in compenso permette di avere cartine e dislivelli più leggibili. La nuova collana di Priuli&Verlucca destinata a chi si avvicina a questo sport, in edicola e libreria, propone qui cinquanta itinerari in Piemonte e Valle d’Aosta per gli appassionati di mountain bike. Descritte minuziosamente, con una maggiore attenzione per le valli Susa e Chisone, le gite a pedali coprono un po’ tutti gli angoli delle due regioni.

Mottarone insolito Una guida da leggere, grazie all’autore Alberto Paleari, scrittore raffinato oltre che guida alpina. Per una montagna, oltretutto, su cui si arriva in auto, o in funivia, tagliata d’inverno dalle piste da sci. E invece tra i laghi d’Orta e Maggiore si trovano ancora terreno d’avventura, sentieri solitari e pareti di roccia magnifica, che Paleari racconta in maniera sopraffina.

Il paese IL PAESE di Luca Visentini - Luca Visentini editore, 272 pagine

12 euro

«Un paese vuol dire non essere soli», scriveva Cesare Pavese in ‘La luna e i falò’. Luca Visentini, nato nella metropoli, ha ritrovato un paese a Cimolais, nelle Dolomiti friulane. E lo ha raccontato come un Guareschi delle terre alte: personaggi, accadimenti, pareti di roccia e vino. Piccoli affreschi della montagna povera, per un editore e scrittore in quota come non ce ne sono più, autore di alcune delle monografie dolomitiche più accurate e originali che si possano trovare sugli scaffali di una biblioteca.

Roccia marcia SCARASON di Fulvio Scotto - Edizioni Versante Sud, 344 pagine

19 euro

Storia di una montagna, anzi di una parete, la nord-est dello Scarason, nelle Alpi del Sole, cuore del Marguareis, paradiso degli speleologi più che degli alpinisti. Ma da quando nel 1967 Alessandro Gogna e Paolo Armando riescono a forzare quest’inferno di roccia marcia, lo Scarason diventa la meta del pellegrinaggio di arrampicatori italiani e francesi. Fulvio Scotto, che l’ha salito più volte, ne racconta le vicende minuziosamente, portandoci nel cuore di questo universo nascosto e dando voce ai tanti che ci hanno lasciato la pelle delle dita.

La storia dell’alpinismo LES ANNÉES MONTAGNE. UNE HISTOIRE DE L’ALPINISME AU XX SIÉCLE di Jean-Michel Asselin - Glénat, 192 pagine,

35 euro

Impresa ardua, come un’arrampicata difficile, raccontare la storia dell’alpinismo moderno. Ci voleva un francese come Jean-Michel Asselin, giornalista, scrittore e alpinista guascone, che è stato direttore di tutte le riviste specializzate del suo Paese. Il punto di vista è ovviamente quello dell’altro versante delle Alpi, ma è innegabile che quella parte ha avuto un suo ruolo fondamentale nello sviluppo dell’alpinismo, soprattutto negli anni Ottanta. Gustoso, di parte, da sfogliare anche non conoscendo il francese, grazie alle sontuose fotografie.

La provocazione di Cesare DUEMILA METRI DELLA NOSTRA VITA di Cesare e Fernanda Maestri - Vivalda editori, 192 pagine,

19 euro

Vivalda ripubblica un classico dell’alpinismo di ieri proprio mentre divampano nuovamente le polemiche sulla via aperta da Maestri sul Cerro Torre a suon di chiodi a pressione. Chiodi martellati via un paio di mesi fa da due giovani arrampicatori. È un gioco delle parti e Maestri sapeva già allora, nel 1970, di compiere un sacrilegio. La sua salita con il compressore sull’urlo di pietra è una provocazione futurista e queste pagine - scritte assieme alla moglie che racconta l’attesa - attualissime ancora oggi, ne sono la dimostrazione.


14 > opinioni

TALLONE LIBERO testo: Giorgio Daidola Foto: Giorgio Daidola

IL TELEMARK GUARDA ALLE ORIGINI? Nel ricco programma dell’International Telemark Festival di Livigno hanno avuto grande successo le escursioni con le pelli. Che stia maturando la voglia di un telemark antico, con cui si salivano e scendevano le montagne?

L’

International Telemark Festival, la gia’ mitica ‘Skieda’, è giunto alla sua diciottesima edizione. Dei molti meeting di telemark quello di Livigno rimane senza dubbio il più importante. Quest’anno il Festival ha avuto luogo nell’ultima settimtana di marzo e gli arrivi di telemarker hanno superato quota 1300, segno che la nicchia di sciatori a tallone libero continua a svilupparsi e rappresenta, con lo scialpinismo, uno dei pochi settori in crescita dello sci. Non è possibile tracciare un identikit dei presenti a Livigno, il popolo del telemark è infatti sempre più variegato. Si può però dire che la componente under 30 era la più rappresentata, con un gran numero di belle ragazze molto brave a genuflettersi. Ciò fa pensare che l’anima del telemark, la sua eleganza in particolare, sia davvero femmina. Il motivo conduttore di questa edizione non era però lo sci al femminile (come avvenne in una bellissima Free Heel Fest del 2006) ma la natura attraverso i quattro elementi primari, ossia il fuoco, il vento, l’acqua e la terra, che hanno fatto da sfondo a tutti gli appuntamenti. Il tema ha permesso di dimostrare come la libertà di sciare non sia affatto antitetica ad una intelligente salvaguardia dell’ambiente alpino. Tante iniziative, tanto divertimento, uno sci all’insegna del buon umore, dell’allegria e di una passione genuina. Uno sci giovane ma rispettoso del passato, sensibile al senso del tempo. Proprio quello che manca sempre di più allo sci alpino di massa, allo ‘sci rigido’, come lo chiamano ironicamente i telemarker. Ottima come sempre l’organizzazione, con un occhio attento ai giovanissimi, ossia al futuro dello sci, attraverso corsi di telemark ed altre iniziative per i bambini ed i ragazzi. Quello che mi ha colpito di più quest’anno è stata però la massiccia partecipazione al nutrito programma di escursioni con le pelli. Ogni mattina centinaia di telemarker in fila indiana, accompagnati da guide alpine, risalivano i pendii degli stupendi itinerari scialpinistici del ‘Piccolo Tibet’ (così viene chiamata la misteriosa valle di Livigno, circon-

La lunga processione di telemarker durante una delle escurisoni a Livigno

data da ogni lato da grandi montagne). Questo fatto sembra dimostrare che i telemarker sono, nella maggior parte dei casi, anche degli sciatori alpinisti a pieno titolo, pur adottando attacchi e scarponi per la sciata a talloni liberi. Qualcuno penserà che ho scoperto l’acqua calda ed ha perfettamente ragione, visto che il telemark è nato per salire le montagne e non solo per scenderle. Occorre però notare che il telemark moderno, quello degli ultimi vent’anni tanto per intenderci, ha dimenticato un po’ per volta le sue origini. Complici le aziende, i loro consiglieri tecnici, nel tentativo di conquistare un maggior numero di sciatori rigidi, si sono sviluppati sistemi di scarponi-attacchi sempre più performanti ma al tempo stesso più pesanti e simili nelle prestazioni a quelli per lo stile alpino, trasformando il telemark in una disciplina da stazione. Un processo del tutto simile aveva interessato lo sci alpino molti anni prima, fino all’avvento dello sci di massa degli anni sessanta-settanta. Proprio quello sci di massa infarcito di regole, di rigide progressioni didattiche e di tecnologia dal quale, attraverso la ripresa del telemark, si voleva fuggire. Oggi ci sono telemarker che sciano solo in pista, più o meno in perfetta conduzione, difficilmente distinguibili negli atteggiamenti dagli stereotipati e ripetitivi sciatori rigidi. Mentre le inserzioni pubblicitarie esaltano il freeride a telemark, anch’esso disciplina da stazione. Il Festival di Livigno, con il successo delle classiche escursioni scialpinistiche, dovrebbe far riflettere sull’effettiva natura del telemark e far riscoprire, a chi sembra averla dimenticata, l’acqua calda… I telemarker non sono solo degli sciatori da stazione. Per questo avrebbero bisogno di attrezzature adatte ad una progressione in salita con un dispendio di energie simile (e non di gran lunga superiore, come accade con i materiali attuali) a quello delle attrezzature utilizzate dagli sciatori alpinisti. Il know-how per alleggerire scarponi ed attacchi da telemark pur mantenendone alte le prestazioni, certo non manca.



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Viaggi

testo: Umberto Isman, Giovanni Anderis FOTO: Giovanni Anderis, Antonio Curtabbi e Paolo Locatelli

The Ring of Fire Giovanni Anderis e Antonio Curtabbi sono i protagonisti di un'esplorazione sci ai piedi durata quasi 15 anni, che ha avuto per oggetto i pi첫 grandi vulcani della terra, lungo la linea ideale dell'anello di fuoco


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THE RING OF FIRE

KAMCHATKA PACIFICO Shiveluch Komen Bozymianny Krasheninnikov Ushkovsky Udina Zimina Tolibschik Gamchen Ichinsky Kronotscky Kizimen Zhupanovsky Karymsky Avachinsky Koryasky Vilyuchinsky Opais Mutnovsky Zheltovsky Kambalny RUSSIA Alaid Chikurachki Fuss Peak Krenitsyn

Le tappe di un viaggio unico sci ai piedi

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Kizimen Karymsky Koryasky Opais Zheltovsky Alaid Fuss Peak

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Daisetsuzan Yoteizan Tokachidake Iwakisan Iwatesan Chokaizan Azumayama Hiuchigadake Tateyama Nantaisan Yakedake Asamayama Hakusan Fujisan Daisen Hallasan Norikuradake Ontakesan Kujusan Asozan GIAPPONE Baitoushan

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Taranaki

Tongariro Ngauruhoe Ruapehu

Aoraki (Mt. Cook)

NUOVA ZELANDA

Lautaro

ARGENTINA ATLANTICO

I

l Ring of Fire (anello di fuoco) è una linea geografica a ferro di cavallo che contorna l'Oceano Pacifico e collega le aree terrestri a più alta attività sismica e vulcanica. È il risultato della tettonica a zolle e della collisione delle placche litosferiche, che hanno creato una cintura sismica lunga 40.000 chilometri che comprende 452 vulcani, il 75 per cento di quelli attivi e dormienti della terra. Ben il 90 per cento dei terremoti si sviluppa lungo il Ring of Fire. Una linea geografica ma nello stesso tempo ideale, che è stata alla base di esplorazioni scientifiche, ma anche di viaggi di scoperta o semplicemente turistici. Qualcuno ha anche pensato di esplorare alcuni dei vulcani sci ai piedi. Non un'esplorazione sistematica, non da professionisti, semplicemente il concatenamento di una serie di viaggi (undici) legati tra loro dal filo del Ring of Fire. Stiamo parlando di Gio-


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ViaggI

vanni Anderis e Antonio Curtabbi. Giovanni (detto Tano) fa il ferroviere all'ufficio manutenzione di Milano, mentre Antonio è un ex rappresentante di abbigliamento da montagna, oltre che socio fondatore dell'agenzia di viaggi Earth, per la quale attualmente lavora a tempo pieno. Li incontriamo a Lecco, la loro città. Com'è nato il vostro sodalizio? Tano: «Ci siamo conosciuti tanti anni fa nell'ambiente dello scialpinismo lecchese, poi abbiamo fatto il primo viaggio insieme con gli sci al Monte Elbrus nel '90. Io l'anno precedente avevo fatto il McKinley, Antonio l'aveva salito prima di me. È lui quello con l'esperienza maggiore. Ad esempio, in Patagonia è stato il primo a fare la traversata da Passo Marconi all'Estancia Cristina, percorso che su tutti i libri riporta il suo nome». Antonio: «Io vengo dal mondo delle gare, quelle che una volta si chiamavano 'rally'. Erano cose da pionieri, dove l'avventura era una componente importante. Vi ho partecipato fino alla fine degli anni '70 e più tardi sono entrato come istruttore nella scuola centrale del CAI». E l'idea del Ring of Fire come vi è venuta? Antonio: «Strada facendo, non è stata una cosa premeditata o un progetto organizzato. Nel '95 siamo andati insieme negli Stati Uniti, eravamo sul Ring of Fire e così ci è venuta l'idea di continuare lungo quella traccia ideale. Ma non posso neanche dire che i nostri viaggi siano stati finalizzati esclusivamente allo scialpinismo. Anzi, per salire montagne con gli sci credo che le Alpi siano un 'parco giochi' inesauribile, forse il migliore al mondo. Nei viaggi abbiamo sempre ricercato altre esperienze, più complete». Tano: «È vero. Se mi chiedessero di raccontare ad esempio del Giappone parlerei per ore di tutto tranne che dello scialpinismo. Prova a pensare a un paese in cui non sei in grado di leggere nulla e la gente non parla nemmeno l'inglese. Una delle imprese più folli è stata quella di attraversare Tokyo in auto. Poi siamo saliti al volo su un traghetto, ci siamo guardati in faccia e nessuno dei due sapeva dove stavamo andando». In questo genere di viaggi capita spesso che si creino delle tensioni. Siete sempre andati d'accordo? Tano: «Ohhh, noi due siamo famosi per le 'discussioni animate'. Ricordo quella sull'opossum in Nuova Zelanda. Devi sapere che io sono un sostenitore della Lonely Planet, mentre Antonio è convinto che non valga niente. Per dimostrarmelo mi fece vedere che l'opossum, incontrato più volte, non era neanche riportato sulla guida tra gli animali della Nuova Zelanda. Semplicemente perché non è autoctono ma importato, sostenevo io, e si scatenò un litigio furibondo. Oppure quella volta al Caffè Tortoni a Buenos Aires, uno dei locali più

esclusivi. La gente ci guardava esterrefatta. Si litigava su una questione fondamentale: il prezzo delle mutande in città. Ma quando si è in montagna, non si discute: Antonio è la mente e io il braccio». Antonio: «E ti ricordi quella volta in Giappone che non ne potevi più di dormire in sistemazioni di fortuna, auto o materassino per terra, e mi hai convinto ad andare in albergo?». Tano: «E come no! Hai messo il naso nella stanza e sei uscito ridendo come un matto. Niente letti, ma solo un tatami di un paio di centimetri per terra». Quanti viaggi avete fatto e come li avete organizzati? Antonio: «Tra il 1995 e il 2008 abbiamo fatto 11 viaggi, calcolando solo quelli sul Ring of Fire. Siamo stati tre volte negli Stati Uniti, tre volte in Cile, due volte in Patagonia, una volta in Kamchatka, Giappone e Nuova Zelanda. L'unico viaggio veramente organizzato, in cui ci siamo affidati a un'agenzia, è stato quello in Kamchatka, perché non si poteva fare altrimenti. Per tutti gli altri avevamo praticamente solo il biglietto aereo, poi si noleggiava un'auto o ci si muoveva coi mezzi pubblici». Tano: «Abbiamo sempre lasciato molto all'improvvisazione, c'è molto più gusto e si fanno esperienze più interessanti. Abbiamo vissuto avventure memorabili e anche divertenti. Come quella volta in Patagonia che ci siamo accampati e abbiamo appeso i viveri a un albero per paura degli animali. Io avevo fame e la mattina presto sono uscito di soppiatto dalla tenda e mi sono arrampicato. Solo

che, mannaggia, mi sono messo a mangiare i cracker, che quando li mastichi fanno rumore. I miei amici erano convinti che ci fosse qualche bestia feroce. Erano preoccupati per me e mi chiamavano a gran voce». Antonio: «Mi ricordo anche quella volta al Fuji, dove tra l'altro è proibito salire e scendere con gli sci. Ci eravamo avventurati per una strada che a una certa ora chiudeva, ma non avevamo visto la cancellata. Al ritorno era chiusa. Le abbiamo provate tutte per cercare di farci capire dai custodi giapponesi. Alla fine Tano, preso dalla disperazione, ha cominciato a parlargli in spagnolo. Sa solo una decina di parole: cumbre, esquiar.... ma ha funzionato e ci hanno aperto». Se qualcuno volesse seguire le vostre orme a chi gli consigliate di rivolgersi? Antonio, alla tua agenzia? Antonio: «Direi di no. Sono viaggi molto complessi da organizzare e il consiglio è quello di non pianificarli troppo, proprio come abbiamo fatto noi». Tano: «Solo tre riferimenti. Il sito www.skimountaineer.com/ROF/RingOfFire.html, molto ricco di informazioni. Il nostro sito www.ringoffire.it . E se qualcuno vuole chiedere delucidazioni mi può scrivere a carla.tano@libero.it. Per concludere, vorrei citare questa frase di Hans Gmoser che sintetizza più di tante parole il nostro pensiero sullo scialpinismo, e non solo: 'Un uomo dovrebbe avere le ali per portarlo dove vanno i suoi sogni, ma talvolta un paio di sci sono un buon sostituto'».


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DIARIO DI VIAGGIO Direttamente dal racconto dei protagonisti, alcuni estRatti di questa incredibile avventura

CILE

Il Cile? Un lembo di terra lungo quasi 5.000 chilometri in cui si trovano zone aride (Atacama), ma anche grandi ghiacciai (Hielo Continental), in cui si può costeggiare grandi laghi o inoltrarsi tra boschi di aracauria. E poi la mitica Patagonia. Tutto con una cosa in comune: i vulcani. Abbiamo viaggiato molto in questa terra, spesso con gli sci in macchina. Nel nord abbiamo visitato i Salar (laghi salati) punteggiati da guanachi e fenicotteri rosa e circondati da vulcani alti oltre 6.000 metri tra cui il Volcan Parinacota (6.330 metri). Dopo qualche giorno di acclimatazione lo abbiamo salito, portando gli sci in spalla fino in cima, per poi scoprire che i 'penitentes' (piccoli pinnacoli di ghiaccio) non ci avrebbero mai permesso di utilizzarli in discesa. Dalla cima il ricordo di un paesaggio duro, quasi monocolore, che più che mai dà l’idea della difficoltà della vita in questa regione. Nella zona centrale, in particolare nei dintorni di Santiago, ci sono possibilità scialpinistiche risalendo la Valle del Maipo fino al Parque National El Dorado (Cerro Rubillas) o a La Parva, dove si

Nella pagina accanto. Giovanni Anderis e Antonio Curtabbi durante l'intervista In alto. Da sinistra a destra. Una spettacolare vista del Parinacota, in Cile Il panorama dal Volcan Lanin

possono salire montagne che superano anche i 4.000 metri. Ma è dalla capitale e fino a Puerto Montt (circa 1000 chilometri) che incomincia il vero viaggio 'on the road'. Il paesaggio diventa sempre più verde e i fiumi, le cascate, i laghi rendono tutto più familiare, per arrivare a una decina di vulcani imbiancati, concentrati per lo più nella regione dell’Araucania. Quasi tutti sono facilmente avvicinabili per strade, a volte sterrate, in fondo a lunghe valli che danno la possibilità di osservare la vita quotidiana della popolazione. A volte bisogna adattarsi a sistemazioni di fortuna, ma è in fin dei conti il sale di ogni viaggio. Noi abbiamo avuto la fortuna di salire quasi tutti i vulcani dell’area in due occasioni diverse: Antuco (2.985 metri), Lonquimay (2.864 metri), Llaima (3.125 metri), Lanin (3.747 metri), Villarica (2.847 metri, particolarmente attivo) e Osorno (2.652 metri). E non è finita: per quelli che… non gli basta mai, come noi, a pochi chilometri c’è Bariloche (Argentina) e alcune aree niente male, come la zona del Rifugio Frey o del Tronador. L’ultima nota riguarda l’Isola di Chiloè, più volte raccontata dagli scrittori cileni, terra di leggende, con

le sue tipiche chiese in legno. Una visita è un 'must'. Da non dimenticare le ostriche giganti con Chardonnay cileno, meglio se a metà mattina, per rendere più gradevole l’intera giornata.

GIAPPONE

Più che di vulcani o di montagne, la tentazione di raccontare del resto del nostro viaggio è forte, perché in fin dei conti stiamo parlando del Giappone, un Paese che agli occhi di noi europei è decisamente ricco di sorprese e di contraddizioni, una terra che più di altre ti fa sentire un gaijin (straniero). A Tokyo donne in eleganti Kimono a stretto contatto con manager in camicia e cravatta, antichi santuari e grattacieli, e noi con evidenti problemi di lingua entusiasti di provare ad adeguarci ai loro usi, dalla fila composta sui marciapiedi del metrò, al mangiare pesce crudo (sushi) o all’immergersi nelle acque calde termali, magari sotto una nevicata. L’obiettivo iniziale sono i vulcani della fredda isola di Hokkaido, con la neve a livello del mare e un 4X4 obbligatorio. Quasi tutti i vulcani sorgono all’interno del Parco Nazionale del Daisetsuzan, il più grande del Giap-

«…un uomo dovrebbe avere le ali per portarlo dove vanno i suoi sogni, ma talvolta un paio di sci sono un buon sostituto…» Hans Gmoser


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Viaggi

In alto. Da sinistra a destra. In discesa tra i 'comignoli' dello Asahi Dake., la salita allo Yotei San, quota 2.290 sull'Asahi Dake, Qui accanto. Uno scorcio dal paese dello Yotei San

«…non posso dire che i nostri viaggi siano stati finalizzati esclusivamente allo scialpinismo. Anzi, per salire montagne con gli sci credo che le Alpi siano un 'parco giochi' inesauribile, forse il migliore al mondo. Nei viaggi abbiamo sempre ricercato altre esperienze, più complete…» Antonio Curtabbi

pone. Dislivelli non eccessivi con i solitari villaggi termali che diventano una buona base di partenza per le salite al Sandan-Yama (1.748 metri), al Tokachi-Dake (2.077 metri) e al Asahi-Dake (2.290 metri), la montagna più alta dell’isola, la cui divertente discesa nel cratere rasenta grossi buchi che sbuffano colonne di una decina di metri di vapore puzzolente. Caratteristica di queste salite sono proprio l’odore di zolfo e gli immancabili brontolii, a volte veri e propri boati, che fanno raddrizzare le antenne... A sud di Sapporo abbiamo salito anche l’Eniwa-Dake (1.320 metri) e l’Yotei-San (1.898 metri) un interessante vulcano con la classica forma a cono. Volati a Tokyo ci siamo quindi diretti a ovest verso il vero obiettivo del viaggio e cioè il FujiSan (3.773 metri), uno dei vulcani più famosi al mondo. Salita non impegnativa tecnicamente ma lunga, condizionata da un freddo intenso (macchine fotografiche bloccate). Salendo riflettevamo sulla sacralità di questa montagna per i giapponesi, un simbolo la cui ascesa è un pellegrinaggio vero e proprio, con l’obiettivo di raggiungere la cima prima del sorgere del sole. Naturalmente tutto questo si svolge d’estate, con rifugi che lungo l’itinerario danno accoglienza ai pellegrini, facilitati anche da una

strada asfaltata che arriva a circa 2.000 metri.

STATI UNITI

Il viaggio si snoda negli Stati della California, Oregon e Washington. Il terreno è quello della Cascade Range, una catena montuosa che corre parallelamente alla costa pacifica dal confine canadese fino a poco sotto la cittadina di Redding in California. Le caratteristiche principali dell’area sono la presenza di una ventina di vulcani, alcuni molto attivi (il S. Helens ebbe una violenta eruzione nel 1980), e alti anche oltre 4.000 metri. Normalmente in inverno nevica molto e le strade forestali non vengono pulite, per cui la stagione migliore per lo scialpinismo è sicuramente la primavera avanzata (dopo metà maggio), quando la neve si scioglie e gli avvicinamenti e i dislivelli diventano più umani. Si consideri anche che non esistono rifugi e bisogna essere autosufficienti in luoghi estremamente selvaggi.

Stato di Washington

Tutto ruota intorno a Seattle e al Mt. Rainier (4.392 metri), 'The King of Cascade', la più alta cima di tutta la catena, circondata da ben 26 ghiacciai. L’altezza e l’umidità dell’Oceano fanno sì che sia una montagna con un tempo estremamente imprevedibile e anche uno dei luoghi più nevosi al mondo. Sul con-


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fine canadese è molto bella la salita al Mt. Baker (3.285 metri). Noi, ai primi di giugno, siamo saliti sci ai piedi da 900 metri circa per il versante sud e l’Easton Glacier. Nella parte meridionale dello stato da tenere in considerazione il Mt. Adams (3.742 metri), una delle più belle sciate di sempre come condizioni di neve, e il già menzionato Mt. S. Helens (2.550 metri).

Stato dell’Oregon

Attraversato il Columbia River, in un attimo siamo alle pendici del Mt. Hood (3.426 metri) una delle montagne più frequentate del nord degli States. Si sale tra fumarole e si scende per la 'Devil’s Kitchen', tutto un programma. Un 'must' all’arrivo è un caffè al Timberland Lodge, che regala un’atmosfera d'altri tempi. Altre salite da segnalare il Mt. McLoughlin (2.894 metri) e The Three Sisters (3.157 metri), un complesso di tre vulcani molto vicini e simili. Interessante anche un salto sulla costa nei pressi della penisola di Long Beach o di Aberdeen, a mangiare ostriche giganti e cercare con lo sguardo le foche sulle spiagge oceaniche.

Stato della California

L’impresa più difficile? Spiegare alle fidanzate che andavamo in California a sciare nel mese di giugno

In alto. Cono vulcanico sull'isola di Maui alle Hawaii. Qui sopra, in senso orario. Mount S.Helens, 2.550 metri nello stato di Washington, in salita verso i 3157 metri delle Three Sisters in Oregon e Mount Hood nell'Oregon, quota 3.426


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Viaggi

(Baywatch docet!). Da menzionare sicuramente la classica salita del Mt. Shasta (4.317 metri), la seconda cima più alta della Cascade Range, considerata dai nativi il centro del proprio universo. Bella salita anche al Lassen Peak (3.188 metri), specialmente il pendio iniziale.

PATAGONIA

In questo caso il vulcano è stato una scusa, chi per tornare e chi per andarci per la prima volta. Il luogo è lo Hielo Continental Sur e la scusa è il Volcan Lautaro, posizionato un poco più a nord del Paso Marconi. Il ricordo delle spedizioni è ancora molto intenso perché sono luoghi che fanno parte della storia dell’alpinismo e in particolar modo quello lecchese, o forse semplicemente perché nei due tentativi fatti mai siamo riusciti ad arrivare alla base del vulcano. Si sa, il tempo in Patagonia è estremamente imprevedibile e gli obiettivi vanno rimodulati in caso di necessità. Così nel 1999 siamo riusciti a scendere con gli sci dalla Gorra Blanca (2.907 metri) nei pressi del Paso Marconi per poi proseguire verso sud in direzione del Cerro Torre e uscire dal Paso del Viento. Quando il tempo è bello la traversata è magnifica, senza zaino sulle spalle e con la slitta che ti segue dolcemente ti gusti uno spettacolo incredibile, navigando nello Hielo con a sinistra i versanti occidentali del Cerro Torre e del Cordon Adela e a destra i pendii orientali del Cerro Mariano Moreno. Durante il secondo tentativo, sfruttando l’unico giorno veramente bello sui ventuno di ghiacciaio, siamo entrati nell’ampio anfiteatro detto Circo de los Altares e abbiamo risalito i pendii nevosi che portano all’attacco della Via dei Ragni al Cerro Torre. Uno stop in cima al Filo Rosso, con un Roby Chiappa commosso per i ricordi di oltre 30 anni prima, e poi una discesa memorabile in uno dei posti più belli del mondo. Bella esperienza la Patagonia, anche se normalmente i giorni di tenda o in truna sono sempre di più rispetto a quelli passati con gli sci ai piedi. Insomma, bisogna arrivare ben allenati.... a giocare a scopa d’assi.

NUOVA ZELANDA

La Nuova Zelanda è probabilmente il luogo più lontano dove sciare partendo dalla vecchia Europa. Il viaggio è lungo, ma ne vale assolutamente la pena perché il paese, a seconda delle stagioni, ha molte cose da offrire, tutte con un comune denominatore: la natura. I vulcani più alti sono concentrati nel Tongariro National Park, che risulta essere anche una delle zone vulcaniche più attive del paese e il centro più importante dell’isola del Nord per la pratica degli sport invernali. Le cime sono sostanzialmente due: il Mt. Ruapehu (2.797 metri) e il Mt. Ngauruhoe (2.287 metri), che in meno di 36 ore dal nostro arrivo 'mettiamo in cassaforte'. Salite tranquille, se non fosse che le condizioni atmosferiche e la poca neve le hanno rese un poco più faticose. Più impegnativa, sempre


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nell’isola del Nord, è la salita al Mt. Taranaki (2.518 metri), un vulcano proprio a sbalzo sul Mar di Tasman. Ne abbiamo un ricordo incredibile, appollaiati al rifugio a 2.000 metri con un tramonto sul mare colorato da tutte le sfumature, dal giallo all’arancione, fino al rosa e all’azzurro. Troppo poco per un viaggio così lungo? Niente paura, basta andare sull’isola del Sud: montagne di oltre 3.700 metri (Mt. Cook), ghiacciai che scendono quasi fino al mare (Franz Josef e Fox Glacier) e incantevoli fiordi (Milford Sound) ripagano abbondantemente del viaggio. Così in una giornata fantastica e grazie a un piccolo aereo, atterriamo sul Tasman Glacier, con lo sguardo catalizzato dal Mt. Cook (3.753 metri) e dalle altre cime che circondano il ghiacciaio. Restiamo quattro giorni alla Kelmat Hut. I rifugi, sebbene non siano custoditi, sono comunque tenuti in perfetto ordine, non c’è riscaldamento e occorre portarsi fornello e cibo. Saliamo tre cime, poi le condizioni del ghiacciaio e quelle meteo ci impongono un veloce rientro per non rischiare. Anche perché a Auckland c’è ad aspettarci una montagna di crostacei innaffiati da una bella bottiglia di Cloudy Bay.

KAMCHATKA

Quando il dito sulla carta geografica si è fermato sulla penisola della Kamchatka, proprio 'di fronte' all’Alaska, ci siamo guardati dubbiosi: un'appendice della fredda Siberia che conoscevamo

Nella pagina sinistra. Salendo verso il filo Rosso sul Cerro Torre. In questa pagina, in alto. Bellissima vista del Mount Taranaki. Qui accanto in senso orario. Uno spettacolare scorcio dell'Avancisky, osservando l'imponente Ziminà, il campo a Paso Moreno, 'relax' in truna

solo per il gioco del Risiko. Poi ci è tornato alla memoria un articolo di qualche anno prima sul mitico 'Dimensione Sci' e questo è stato sufficiente per decidere di andare. Il problema era decisamente quello logistico e così ci siamo affidati interamente (e per fortuna) a un'agenzia specializzata, decidendo di tentare di salire un gruppo di vulcani le cui altezze superano abbondantemente i 4.000 metri. Abbiamo organizzato una piccola spedizione con elicottero per l’avvicinamento. Purtroppo le montagne non erano in condizione: troppo ghiaccio e poca neve. Probabilmente siamo arrivati troppo presto, meglio forse in giugno, quando l’aumento delle temperature fa sì che nevichi anche in quota. Ma qui la materia prima abbonda, basta salire su vulcani più bassi come il Ziminà (3.080 metri) o il Tolbackik (3.672 metri) e, visto il freddo che fa a queste quote, possiamo solo immaginare più in alto. Belle giornate con gli

inevitabili scambi culinari con i russi, noi il grana e la bresaola loro lardo e vodka, che come aperitivo non è affatto male, come pure l’idea di quella stufa nella tenda comune. Il tempo passa veloce e così torniamo a sud verso Petropavlovsk. Saliamo a un campo di baracche un po’ in disuso e il giorno successivo saliamo l’Avancisky (2.745 metri), con la cima immersa in mezzo alle fumarole e le pietre calde che ci asciugano le magliette bagnate di sudore. Alla sera, prima di scomparire nei sacchi a pelo, i custodi ci raccontano degli incontri ravvicinati con gli orsi: speriamo che sia solo la vodka… Il tempo non è dei migliori, così rientriamo nella capitale, c’è ancora una possibile salita da fare e la facciamo in extremis 24 ore prima che l’aereo ci riporti a casa. Si tratta del Viluchinsky (2.180 metri), una gita di quasi 2.000 metri di dislivello con la parte iniziale in piano (qualche chilometro), trainati da un paio di motoslitte.


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DYNAFIT SKI TOURING STORYBOARD

vincitore categoria Fotografia

LE MOTIVAZIONI - E’ una fotografia venuta per caso, come ammette lo stesso autore e come è del resto evidente. Proprio la casualità la rende dinamica e divertente. La presenza dei due sciatori li lega sia visivamente che in un destino immediatamente successivo sul quale la foto stessa induce a fare previsioni.

di Valentino Spigariol «Questa foto è venuta quasi per caso. In discesa dal Gronlait il mio amico Simo si capotta!»

DYNAFIT SKI TOURING STORYBOARD

ecco i vincitori

È

stato un gran bel finale quello della prima edizione del concorso letterario, giornalistico e fotografico indetto dalla nostra redazione con il supporto di Dynafit. Durante la fiera Prowinter di Bolzano, infatti, nel programma dedicato allo scialpinismo del venerdì, la premiazione dei vincitori ha seguito la magnifica presentazione del video realizzato in Patagonia da Sebastian Haag. Sono stati chiamati sul palco, uno alla volta, i cinque vincitori che hanno potuto ritirare dalle mani del marketing manager per l’Italia di Dynafit, Luca Dragoni, un fiammante paio di sci Baltoro con attacchi. I lavori sono stati commentati in diretta dal responsabile della sezione viaggi di Ski-alper, Umberto Isman, che ha coinvolto i diretti interessati per commenti e considerazioni tecniche. «È un progetto molto interessante, che rispecchia appieno la nostra visione dello scialpinismo e dell’andare in montagna. Sicuramente è un’iniziativa che ha un luminoso futuro e sia-

mo soddisfatti di essere coinvolti in questo progetto» sono state le parole di Luca Dragoni al termine della premiazione. Rimanete dunque in contatto, sulla pagina skialper.it/Itinerari per le modalità di iscrizione alla prossima edizione di Dynafit Ski Touring Storyboard.

Consegnati a Prowinter i cinque sci Dynafit Baltoro con attacchi in palio per i vincitori

Roberto Galdiolo, vincitore nella sezione reportage con il servizio 'Laguna di vetro' già pubblicato sullo scorso numero di Ski-alper, premiato dal nostro Umberto Isman e da Luca Dragoni di Dynafit


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vincitore categoria Reportage

LE MOTIVAZIONI - Un bel racconto denso di sensazioni abbinato a una precisa descrizione dell’itinerario pubblicata sul database di Ski-alper. Dalla cronaca dell’ascensione si percepiscono tecnica ed esperienza nell’affrontare un itinerario tutt’altro che banale che rappresenta l’essenza dello scialpinismo di altissimo livello. Belle e spettacolari le foto di corredo.

BECCA DI GAY NORD di Guido Valota

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opo l’intero inverno in convalescenza a risalire le piste dietro casa vien voglia di liberare lo spirito. L’idea di Vale è perfetta, anche troppo, ma il gusto per una peccaminosa infrasettimanale compensa i dubbi. Fine primo turno - suo -, lo raccolgo e da Bergamo piombiamo in Valle dell’Orco e poi su al Vallone di Piantonetto. Da non credere: a casa nostra non c’è neve per concatenare due curve su centinaia di montagne. Qui che c’è, e anche bella, non è ancora salito nessuno! Al Pontese l’invernale è intonso, la legna per la stufa c’è tutta, e così passiamo una serata da alpinisti d’antàn. Notte sognando la rifugista assente, famosa per l’ottima cucina, noi che però siamo già sazi. Al mattino partenza comoda con la luce del giorno per non rischiare errori in posti così ampi. Rispetto a casa nostra qui le dimensioni sono moltiplicate per due. Il numero di goulottes, cascate, canaloni sciabili, pareti: per dieci. Si viaggia guardando in alto. Cinque minuti di skating da vecchia volpe fondista me ne fanno risparmiare venti sui bei pianori di Muande. Poi Vale mi ripassa in salita e finalmente si fan lavorare le pelli su vero terreno scialpinistico per 1000 metri articolati e di grande respiro, tutti al sole e su manto bello regolare senza tracce. Firn portante di ottima qualità sui quadranti tra SE e SW. Mi sembra la prima volta di sempre: dopo l’incidente in novembre e decine di piste risalite con prudenza mi ero scordato quanto sia bella la libertà. Passando sotto il canalone della normale, in cui scieremo al ritorno chiudendo l’anello, mi viene l’acquolina per una pacifica scialpinistica OSA con mega-sciata certa... e invece proseguiamo per l’incerto. Sotto l’imbocco del canalino per il colle estraiamo entrambe le piccozze perchè due metri di ghiaccio verticale evitabilissimo all’entrata sono un fausto presagio, e vanno bucati! Dal colle non c’è verso di scendere in sci per via del ghiaccio di colata i primi 100 metri, e sotto perchè la neve soffice non ha fondo e si toccano pietre enormi. Invece la terminale è larga e va saltata obbligatoriamente con gli sci, la giusta rincorsa per traversare in diagonale verso la Nord della Becca. Lo scivolo fa impressione, in queste condizioni. Soprattutto se si hanno a disposizione 3 viti, 4 friends, 2 cordini, una gemella, ai piedi ramponi 10 punte leggerini e molto consumati, picozze

non proprio da battuta. La terminale si lascia scalare tutta a destra, così proseguiamo su misto delicato fino alla lingua centrale di neve. Dopo altri 100 metri e due viti siamo su ghiaccio vetroso durissimo, sosta su vite media. Decidiamo di salire in diagonale e avvicinarci alle rocce del bordo destro per far giocare tutti gli ancoraggi a disposizione. Da lì in su siamo costretti a sei tiri da 60 metri: anche la conserva distesa protetta è troppo aleatoria su un terreno così carico di neve soffice senza un fondo duro che blocchi i massi appoggiati. E per fortuna oggi è ammesso il dry tooling! Vanamente profetizzato per anni da Topolino che prende a piccozzate la roccia sulla mia felpa Walt Disney azzurra. Comunque III e IV, che detto così fa ridere finchè non si prova a farlo con gli sci e i bastoni sullo zaino che puntano ogni tetto e ogni camino, gli scarponi da sci e i ramponi in un metro di neve soffice. Ma tutto ha una fine, perfino la Nord della Becca di Gay, e così rinasciamo al sole sulla calotta della cima. Diciamo che, scollinato il Baretti, nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dire all’altro che era meglio tornare indietro e farsi la bella sciata... però il succo dell’avventura, di quel poco che ci si può ancora inventare, è mettersi in gioco sfruttando bene i propri mezzi. Non è stato un azzardo ma abbiamo dovuto fare le cose per benino: due orette in più, a occhio. Tanto per perdersi la giusta cottura del firn, lasciare che molli del tutto e poi inizi a rigelare. Le ore 15 in marzo a 3600 metri a Sud con lo zero a 2400 può essere un buon orario per scendere! Io non capisco come possano essere valutate grandi gite sci alpinistiche certi pascoli tutti uguali da cima a fondo. Invece la discesa della Becca di Gay ha tutto senza mai essere troppo difficile, e il clou è il canale di circa 400 metri che reimmette in Piantonetto. Oggi sembra l’illustrazione di un libro d’alpinismo dell’’800 inglese, tra placconi di roccia verticali, tetti con festoni di ghiaccioli giganteschi, cascate di ghiaccio che ci affondano dentro, e un meraviglioso fondo in firn uniforme dal grip ideale. Sciata leggera in relax per non ferire la crosta in rigelo, i piani in leggerissima pendenza in conduzione per tenere la velocità, pochi passi per risalire al Pontese e recuperare le nostre cose. Giù al Teleccio i guardiani ci offrono il caffè per sentire il racconto e soprattutto parlare con qualcuno di diverso dai soliti stambecchi che gironzolano lì attorno.


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DYNAFIT SKI TOURING STORYBOARD vincitore categoria Reportage

LE MOTIVAZIONI - E’ un reportage di viaggio sintetico ma interessante che introduce in un mondo poco noto per lo scialpinismo. L’inquadramento geografico è ben fatto e utile per chi non conosce la zona. La cronaca è precisa e, abbinata alla descrizione dell’itinerario, alla traccia gps e alle fotografie pubblicate nel database di Ski-alper, costituisce uno strumento utile e interessante.

Ascesa all’Otiš - Massiccio del Prenj, Bosnia ed Erzegovina di Massimo Moratti

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una serata d’inizio aprile a Sarajevo, la capitale della Bosnia ed Erzegovina, fa relativamente caldo, e la stagione sciistica è finita già da qualche settimana. All’aereoporto arrivano gli ultimi voli della serata. Sto aspettando mia moglie, Yumiko, che viene da Belgrado e Christine che arriva direttamente dall’Olanda, un’amica di vecchia data. Lo scopo della riunione? Una gita scialpinistica sul Prenj, una delle più belle montagne della Bosnia. A breve arrivano entrambe, con tutta l’attrezzatura da scialpinismo, circondate dallo stupore degli altri viaggiatori, dato che lo scialpinismo è ancora una rarità in Bosnia. Appena arrivate, si parte per Mostar, nell’Erzegovina, regione adatta più a girare spaghetti western che a fare sci alpinismo. Una corsa veloce nella notte da Sarajevo a Mostar. Poco prima di Mostar, lasciamo la strada principale e ci inerpichiamo verso Rujiste, mille metri più in alto, uno sperduto villaggio dove pernotteremo. Ad aspettarci troviamo Edin, la nostra guida ed amico, Jure, Ivan, Andrea e Lorenzo: un gruppo misto di italiani e bosniaci. Il Prenj è un massiccio montuoso compreso tra Sarajevo e Mostar e lambito dal fiume Neretva, che scorre in un canyon spettacolare. La zona del Prenj è tra le più belle e selvagge del paese. I locali lo hanno ribattezzato l’Himalaya bosniaco. L’orografia di questa parte dell’Erzegovina è interessante. Le città sono adagiate nelle valli, lungo i fiumi, incastrate tra un massiccio montuoso e l’altro. Il Prenj ha una forma circolare, dal diametro di circa 20-21 km, con una superficie di 463 km quadrati. È una massiccio con valli a sè stanti, praticamente disabitato, percorso solo da sentieri e con pochissimi punti di appoggio, nessuno dei quali apre prima che le nevi si sciolgano. L’altitudine è modesta, la cima più alta, la Zelena Glava, arriva appena a 2.155 metri. Una decina di altri picchi superano di poco i 2.000 metri. Ciò non deve trarre in inganno: il Prenj è all’incrocio tra il clima mediterraneo di Mostar e quello continentale di Sarajevo, condizione che favorisce un ambiente unico, caratterizzato da copiose precipitazioni nevose e condizioni meteorologiche spesso imprevedibili. Questo fa sì che la neve permanga anche quando, sulla vicina costa dalmata, ad un’ora d’auto, la gente fa già i primi bagni. La nostra destinazione si chiama Otiš, uno sperone roccioso, di fianco alla Zelena Glava. L’ Otiš è alto 2097 metri, l’ascesa è di circa 900 metri di dislivello, ma la distanza da coprire è notevole. Il mattino dopo lungo uno sterrato alquanto mal-

messo raggiungiamo il punto di partenza, in prossimità di un capanno diroccato. La neve qui scarseggia, si parte sci in spalla e si segue il sentiero, ben marcato, che si inerpica nel bosco. Per circa trecento metri, il sentiero è delimitato da un nastro giallo e da segnali minacciosi, che ci ricordano il conflitto bosniaco finito diciassette anni fa: la zona attorno era stata minata, per cui è necessario stare sul sentiero. È un tratto breve e ben delineato, lasciato il quale si è al sicuro. Ma la neve manca ancora, bisogna camminare per un paio di chilometri, fino al rifugio di Bijele Vode, le ‘acque bianche’. Il rifugio è su un pianoro, sotto il massiccio della Sivadija a circa 1450 metri d’altezza. Poco più avanti, mettiamo gli sci. Siamo in un valle ampia, quasi pianeggiante. In lontanza le cime della Zelena Glava e dell’ Otiš: la sella che le separa termina in un canalino ripido ed invitante, chiuso tra due pareti rocciose. Il percorso è lungo, ci si alza poco alla volta. Edin è uno dei migliori conoscitori del Prenj ed uno dei pochi a frequentarlo durante tutto l’anno. Edin va avanti, cerca la via di salita. Qui non vi sono nè guide, nè indicazioni: con tutta probabilità quest’anno siamo gli unici sci alpinisti che si avventurano verso la cima. L’ Otiš pare inaccessibile dalla distanza. Edin risale il pendio alla destra della cima, pendio che si fa sempre più ripido su una neve oramai primaverile, poi

tolti gli sci, punta verso un’evidente cengia che segue il sentiero estivo. Aggiriamo lo sperone roccioso, raggiungendo la sella sopra il canalino. Di fronte a noi troneggia la Zelena Glava. La cima è oramai vicina, pochi, ripidi metri e si è sulla cresta sommitale. Lontana, si vede la cittadina di Konjic in una sonnolenta domenica pomeriggio. Ora di andare. Tolte le pelli, si parte con un paio di curve per i primi ripidi metri su ottima neve, fino a raggiungere la sella. La neve è buona, regge e allora ci tuffiamo direttamente verso il canalino roccioso. L’imbocco è spettacolare, si vedono solo le due pareti di roccia e la valle sottostante. Via, si prende velocità, due, tre, quattro curve rimbalzando sulle code e controllando con gli spigoli, poi, passato il punto più stretto, si allarga il raggio seguendo il pendio e svariando a destra e sinistra fino a fermarsi su un ballatoio che sembra fatto apposta per guardare lo spettacolo. Semplicemente fantastico! Se non fosse pomeriggio avanzato, lo si potrebbe rifare… Via ora verso la strada del ritorno, lungo lo stesso percorso, sci in spalla e camminata nel bosco compresi. Ma negli occhi rimangono sempre le immagini del canalino e della cima dell’ Otiš. Al villaggio ci aspetta un ottimo stufato… e una meritata birra. Chissà perchè il sapore della prima birra dopo una scialpinistica è sempre il migliore.


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vincitore categoria Racconto

LE MOTIVAZIONI - L’autore narra con parole precise ed essenziali un incontro mancato per poco, che introduce in un contesto selvaggio e misterioso. La scansione temporale segue perfettamente le specifiche del concorso. Molto azzeccata la descrizione dei luoghi e dell’atmosfera che, se pur sommaria, rende partecipe il lettore delle particolari sensazioni dell’autore.

IL SEGRETO DELLA VITA, DELLA MORTE E DELLA RINASCITA di Matteo Zeni

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olomiti di Brenta, versante orientale. Gli ultimi raggi di sole illuminano le cime dei larici ormai spogli, quassù al limite della vegetazione. Una gelida ma radiosa giornata di fine novembre lascia lentamente spazio alla notte. Scivolo veloce fra i tronchi secolari, sci ai piedi, godendo ancora una volta le sensazioni speciali della prima sciata della stagione. Una curva segue l’altra, nell’aria i soli suoni udibili sono quello inconfondibile ed inebriante della neve fresca e quello del mio fiatone. Pausa; recupero e ascolto. La foresta di abeti che si stende sotto di me è immobile, cupa e sprofondata nel silenzio invernale. Riparto tenendo a vista la mia traccia di salita lungo il crinale, per evitare di avvicinarmi a salti di roccia pericolosi e pini mughi ancora non del tutto ricoperti dalla neve. La interseco in prossimità di un passaggio obbligato e... quello che noto con la coda

dell’occhio mi impone un brusco arresto. Risalgo a scaletta i pochi passi che mi separano dalla traccia, che qualcuno ha seguito per alcune decine di metri. Inconfondibile, inaspettato, irreale ma al tempo stesso tangibile come null’altro: si tratta di un orso. Le larghe impronte del re delle montagne si sovrappongono ai solchi degli sci, sprofondando ulteriormente nella neve. Ogni volta è come la prima: l’orso o i segni del suo passaggio appaiono di rado, sempre all’improvviso, materializzandosi nella foresta come emanazione e sostanza della foresta stessa. Sfilo un guanto e seguo con un dito il profilo di un’impronta ben definita, dal cuscinetto plantare ai polpastrelli agli unghioni. Osservo i dintorni, ascolto. L’orso ha abbandonato la pista poco più in là, scomparendo dentro il versante meridionale del monte. La bella stagione ormai è finita: con tutta probabilità l’animale si dirige ad un inaccessibile ri-

WORLD CHAMPION

covero invernale, nel seno stesso della montagna. Respiro profondamente nel gelo del crepuscolo imminente; la mera presenza del misterioso ed elusivo simbolo della natura più selvaggia rende più frizzante persino l’aria. La sua traccia che lascia la mia pare quasi un passaggio stagionale di consegne: quando inizia la stagione degli sci alpinisti, l’orso comincia il suo lungo riposo invernale. Rimetto il guanto, mi alzo; punto gli sci a valle e riparto, scivolando tra gli abeti verso la sovraffollata, troppo spesso miope vita del fondovalle antropizzato. Il vento cancellerà in poche ore le tracce degli sci e le impronte dell’animale. Quassù rimarrà il silenzio a custodire la tana dell’orso e con essa, forse, il segreto della vita, della morte e della rinascita. E a primavera, quando il gelo allenterà la sua morsa, i giorni si faranno lunghi e la foresta risuonerà del canto di milioni di uccelli, l’orso tornerà, antichissimo e sempre nuovo prodigio. E finché ciò accadrà, sui monti esisteranno recessi appartati dove l’aria rimane viva e vibrante.

MIREIA MIRÓ W W W. DY NA F I T. C OM


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LUCA CERRUTI testo: Umberto Isman FoTO: Umberto Isman

UCA ERRUTI

Ci siamo fatti descrivere la struttura aziendale di Gore durante una salita con le pelli al Col Serena direttamente dal global sales leader dell'azienda americana. Luca è stato letteralmente ' folgorato' dallo scialpinismo fin da giovanissimo ed è cresciuto con i consigli del maestro Mario Grilli

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n Gore li chiamano leader, non manager. Pare una sottigliezza, ma non lo è. Il leader è sì un capo, ma tra i suoi simili, non sopra. Ce lo spiega proprio uno di loro, Luca Cerruti, leader del settore vendite internazionali di Gore abbigliamento. Cerruti lavora in Gore dai primi anni '90, un veterano nel vero senso della parola, in un mondo dove i manager, e anche i leader, sono in genere sottoposti a vorticosi cambi di casacca da un'azienda a un'altra. Classe '63, torinese, Cerruti è anche uno scialpinista coi fiocchi. Ci siamo dati appuntamento al casello di Ivrea, con un sole che, arrivando da Milano, fa brillare almeno un quarto dell'arco alpino, appena imbiancato, di una luce che non ricordavo da tempo. Buongiorno Luca... senta, stiamo andando a fare scialpinismo insieme, non penso riusciremo a darci del lei, ci diamo del tu?

«Certo, meglio il tu!».

Mi racconti qualcosa della storia di Gore?

«Gore è un'azienda privata, fondata da Bill e Vieve Gore nel 1958. Bill lavorava alla DuPont, ma aveva una mentalità molto creativa e quel posto gli stava stretto. Così con la moglie cominciò una nuova attività nel sottoscala della loro casa a Newark, nel Delaware. Tutto si basava sulle proprietà del politetrafluoroetilene, più semplicemente PTFE, un polimero con proprietà isolanti uniche che veniva ai tempi utilizzato soprattutto per il rivestimento dei cavi elettrici. Poi Bill, nel 1969, insieme al figlio Bob, inventò un metodo per espandere il polimero da cui nacquero le membrane in ePTFE. È questa membrana che ancora oggi sta alla base della maggior parte dei prodotti Gore, in campo medicale, industriale e nell'abbigliamento». Come funziona la struttura dell'azienda?

«Gore è interamente di proprietà dei membri della famiglia. Noi dipendenti riceviamo periodicamente quote della società e partecipiamo alla distribu-


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LUCA CERRUTI

…La nostra non è una struttura gerarchica piramidale. Siamo come la nostra materia prima, una rete di noduli collegati da fibrille. Un vero e proprio tessuto sociale paritario. Una struttura orizzontale in cui le decisioni vengono prese insieme e nella quale non esistono veri e propri capi, ma solo leader che sono eletti dal gruppo e non designati dall'alto...

zione di eventuali profitti. Proprio per questo ci chiamiamo 'associati'. Siamo quasi 10.000 in tutto il mondo, con un fatturato aziendale di circa tre miliardi di dollari. La cosa interessante è che la nostra non è una struttura gerarchica piramidale. Siamo come la nostra materia prima, una rete di noduli collegati da fibrille. Un vero e proprio tessuto sociale paritario. Una struttura orizzontale in cui le decisioni vengono prese insieme e nella quale non esistono veri e propri capi, ma solo leader che sono eletti dal gruppo e non designati dall'alto. In questo modo ognuno è imprenditore di se stesso, non deve rispondere a chi gli sta sopra ma a chi gli sta accanto. È un sistema che stimola la creatività e l'impegno continuo. Non è facile abituarsi a una simile organizzazione, è una questione culturale, di adattamento a un ambiente diverso dai comuni ambiti lavorativi». Saliamo in auto per la valle del Gran S. Bernardo e, spostandoci verso lo spartiacque di confine, ci infiliamo progressivamente nelle nuvole. Ci fermiamo a St. Rhemy, dove si spengono gran parte delle nostre velleità scialpinistiche: il maltempo non ci concederà granché. Ci accontentiamo così della classica e facile gita al Col Serena. Saliamo incontrando un gruppone di pensionati, di quelli che non li ferma neanche l'apocalisse. Luca, parliamo di scialpinismo, quando e come hai cominciato?

«A 17 anni, ero al liceo, un giorno è venuto un istruttore della SUCAI di Torino a parlarci di scialpinismo. Per me è stata una folgorazione. Sapevo già sciare bene, perché il papà mi aveva messo sugli sci a cinque anni, a Morgex. Ricordo ancora gli scarponcini di cuoio coi lacci rossi e l'attacco Kandahar, quello col cavo e la leva davanti. Papà e mamma però erano contrari che facessi alpinismo e scialpinismo, li ritenevano troppo pericolosi. Ho insistito molto, fino a quando, magnanimi, mi hanno rega-

lato tutta l'attrezzatura. E così ho cominciato». Chi sono stati i tuoi maestri?

«Mi piace ricordarne soprattutto uno, Mario Grilli. Era originario dell'Umbria, emigrato a Torino per lavorare. Andò in pensione presto per un problema di salute, ma da lì ebbe la possibilità di espandere la sua straordinaria, ricchissima, metodica attività scialpinistica. Scrisse tre guide che coprivano l'arco alpino occidentale, ancora oggi ritenute una sorta di bibbia, anche se ormai purtroppo introvabili. Le sue descrizioni erano minimali, schematiche, i dati tecnici e poco altro, ma erano comunque una garanzia di qualità. Nei tre volumi raccolse la bellezza di 2300 itinerari, la maggior parte percorsi personalmente. Bastava telefonargli e praticamente ogni giorno organizzava gite raccogliendo chi c'era, in settimana soprattutto studenti e pensionati. Si creavano gruppi eterogenei molto interessanti e, soprattutto, Mario era un pozzo di scienza. Dopo quell'esperienza, durata alcuni anni, non ho più avuto molto da imparare». E il tuo lavoro come è connesso con lo scialpinismo?

«All'inizio erano due ambiti completamente separati. Prima di entrare in Gore ho fatto varie esperienze lavorative che non c'entravano con la montagna. Poi anche in Gore mi occupavo di altro, di prodotti del settore medicale. Quando mi è stato proposto di passare alla divisione Garments (capi di abbigliamento) ho avuto in qualche modo la possibilità di unire passione e lavoro. Sono diventato automaticamente consumatore dei prodotti che vendevo e contribuivo a realizzare. Potevo finalmente testare sul campo l'oggetto del mio lavoro e contribuire allo sviluppo molto prima che arrivasse in negozio. In Gore ci sono molte persone appassionate di montagna e di sport outdoor. Diciamo che è una delle peculiarità di cui si tiene conto al momento dell'assunzione. Anche se nel complesso la nostra filosofia ri-

conosce allo stesso tempo la validità delle competenze trasversali. In azienda abbiamo un gruppo internazionale di scialpinisti appassionati, con i quali ogni anno mi ritaglio una settimana sulla neve, rigorosamente nel nostro tempo privato, sulle Alpi o all'estero. E altrettanto rigorosamente non si parla di lavoro, o quasi». Questo quando non sei in giro per il mondo per lavoro...

«Già, il 70 per cento del mio tempo lavorativo lo passo all'estero e una gran parte di questo in aereo. Ma è stata una mia scelta, mi piace confrontarmi con persone diverse da me, con altre culture. Quando passai dalla dimensione italiana a quella europea imparai subito a cambiare approccio, a riparametrare e sospendere i giudizi. In ambito internazionale poi è diventato fondamentale essere 'mimetici', integrarsi nei vari contesti, imparare a capire persone differenti. Anche in montagna è così, impari a capire la psicologia degli alpinisti di diverse nazionalità. I britannici ad esempio sono dei duri, temprati dalla severità delle loro montagne, avventurieri per definizione. I bavaresi sono più gioviali, seri sul lavoro e in montagna, ma con un lato ludico che poi li porta a far baldoria. I britannici non te li porti facilmente in 'piola' a mangiare le acciughe al verde, come si fa da noi, i bavaresi invece non vedono l'ora». Un grande bagaglio di esperienza, mi pare di capire...

«Sì, mi piace citare uno dei nostri principi aziendali, la waterline, linea di galleggiamento. Ognuno ha la sua waterline, più alta o più bassa a seconda dell'esperienza, della credibilità, del tipo di accesso all'informazione. In base a ciò si stabilisce il suo livello di responsabilità e gli errori sono ammessi solo sopra la waterline». Sul lavoro come in montagna, aggiungo io... e ci rituffiamo nella nebbia.


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‌i britannici non te li porti facilmente in 'piola' a mangiare le acciughe al verde, come si fa da noi. I bavaresi invece non vedono l'ora...


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PIERRA MENTA testo: Carlo Ceola foto: Carlo Ceola e Riccardo Selvatico


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La gran classica francese si è confermata la massima espressione dello skialp agonistico, la Woodstock delle pelli di foca. Con il tricolore a ricoprire i due gradini piÚ alti del podio, occupati dalle coppie Holzknecht-Reichegger e Martinelli-Pedranzini


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PIERRA MENTA

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lla Pierra organizzano anche il briefing serale per la stampa. E non siamo i soliti quattro 'sfigati' che si incontrano da anni. Ci sono un giornalista di Le Monde, alcune troupe televisive, colleghi accreditati da molti paesi, fotografi, insomma, si respira l’aria del grande appuntamento. Una giornalista alla sua prima apparizione in quel di Arêches mi ha chiesto sottovoce «Ma cosa avrà mai questa Pierra Menta?». Ci vediamo domenica, le ho risposto, e allora mi dirai tu cos’ha di speciale questa Pierra Menta. Non l’ho più vista, neppure ai briefing dei giorni seguenti. Peccato, perché non sa cosa si è persa. La Pierra Menta racchiude l’essenza dello scialpinismo, è la massima espressione agonistica di questo sport. C’è

tutto, ci sono tutti, c’è quell’adrenalina nell’aria che ti pizzica dentro e che ti fa tener botta per quattro giorni. Diecimila metri di dislivello su quattro versanti diversi, partendo e arrivando sempre nello stesso posto. 'Ambiance' dicono i francesi. Quell’atmosfera che si respira ad Arêches come in cima al Grand Mont, una magia che ti avvolge e ti entusiasma. Questa edizione sarà ricordata per le eccezionali condizioni di innevamento e infatti nella seconda tappa è stato riproposto il passaggio tra le vie del paese. Emozioni forti, con tutta la popolazione in strada e sui balconi ad applaudire i concorrenti che sfilavano increduli tra due ali di folla. È successo, tra le tante cose, che questa edizione parlasse interamente italiano, con la splendida vittoria delle intramontabili Pedranzini e Martinelli in campo femminile, mentre tra gli uomini il 'dream team'

Holzknecht-Reichegger ha colto un altro grandissimo successo. Vincere in Francia ha sempre un sapore speciale. Domenica, quando è ora di tornare a casa, si capisce per davvero cos’è la Pierra Menta, quando ormai è chiaro che dovrà trascorrere un anno intero per riprovare quei brividi che solo Lei sa regalare... La folla Sapete cosa sono cinquemila persone con gli sci? Provate a immaginare lo sfregamento di diecimila pelli sulla neve. È una sinfonia, un sottofondo che per qualche ora rimane sospeso nell’aria e che accompagna il lento incedere di una transumanza che ha come meta il Grand Mont. Una montagna anonima, che se non fosse per la Pierra Menta resterebbe tale. Per un giorno all’anno diventa la Mecca dello scialpinismo, un luogo dove


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UNA GARA MITICA di Riccardo Selvatico

gli appassionati si radunano per celebrare un rito, il rito dello scialpinismo. Di race c’è ben poco, di passione tanta, unita a uno smisurato amore per la montagna e per questa disciplina. Lassù si danno appuntamento da ogni dove, si parlano tante lingue, si canta, si mangia e si beve tutti assieme, lo skialp come comune denominatore. Non c’è un tempo, si aspettano i primi come gli ultimi, non ci sono bandiere, né confini, non ci sono fazioni o nemici, c’è solo entusiasmo, rispetto, amore e passione. Una festa, la Woodstock dello scialpinismo, oppure l'arrivo di tappa all'Alpe d'Huez del Tour de France, dove l’importante è esserci. L’ambiente è contagioso, corrono brividi giù per la schiena, ti prende il 'coccolone' e non sai spiegarti perché. Capisci solo che stai vivendo una magia e la tieni per te. Non sai raccontarla o spiegarla, o forse non vuoi farlo, tanto chi la

LA NOSTRA PIERRA MENTA Noi di Ski-alper la Pierra l'abbiamo vissuta così... Guarda il video con il tuo smarphone inquadrando il codice QR, oppure alla pagina skialper.it/Videos

Nalle foto. Sole, neve, montagne e tanto pubblico. Questi gli ingredienti principali della Pierra Menta, una tradizione che si rinnova negli anni

L’avvicinamento allo scialpinismo per ognuno di noi è avvenuto nei modi più diversi, ma non appena si mette un pettorale il collegamento alla Pierra Menta è presto fatto. Ci sono dei nomi che ti entrano in testa, più che altro ci sono appuntamenti che per chi 'gareggia' con le pelli di foca diventano l’obiettivo della carriera agonistica. Sono convinto che qualsiasi skialper sappia cos’è la Pierra Menta, magari non sa che il nome della competizione deriva dal monolite che sovrasta una valle appena sopra Arêches, ma sa che prima o poi la voglia di 'sciropparsi' più di diecimila metri di dislivello in quattro giorni verrà anche a lui. Per gli atleti finire il Pierra Menta vuol dire entrare in un club ristretto, è inutile negarlo, ma è proprio così e forse non ci sono nemmeno tante ragioni per ammettere il contrario. Da addetti ai lavori quando ritorniamo ad Arêches cerchiamo di capire quali sono i meccanismi che la rendono così speciale, magica. In modo critico cerchiamo di evidenziare quali possono essere i punti di forza e quali possono essere gli elementi che stonano un po’. Alla fine si potrebbe discutere delle ore intere su cosa funzioni e su cosa non funzioni, quello che importa è l’atmosfera particolare che si vive in quel paesino della Savoia. In ogni angolo si respira Pierra Menta e la cosa straordinaria è che queste sensazioni le vivono gli atleti, ma ancor più gli spettatori e chi, come noi, segue la gara per raccontarla con foto e parole. Raccontare la Pierra non è solo cronaca di una gara e dei suoi protagonisti, raccontare la Pierra è vivere intensamente quattro giorni di scialpinismo. Si parla solo di quello, dalle prime luci dell’alba fino a quando si spengono le ultime insegne dei pub. Fotografare il passaggio degli atleti sul Grand Mont avendo come colonna sonora l’assordante tifo delle migliaia di appassionati in festa è qualcosa che rimane tra i ricordi più belli. Sì, la Pierra Menta è mitica!


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PIERRA MENTA

SI PUò FARE di Tommylive Questa volta non so proprio da dove iniziare, la cronaca la lasciamo stare, le classifiche anche, di come è andato Tommy non parliamo, la Pierra è la Pierra punto e basta. Provate a descrivere la Coca Cola, direste mai.. una sostanza zuccherina al sapore di caramello? Ma fatemi il piacere... la bevete e basta. Già, direte voi, non è poi così facile bersi la Pierra. Prima l'iscrizione, poi tutto il resto, eppure non è impossibile, io quest'anno sono entrato in coppia mista e il capo squadra era una donna che mi ha iscritto a mia insaputa. Non sono ricorso a nessuna raccomandazione, nessun gancio strategico, anche perché non sai nemmeno a chi indirizzare le tue suppliche. Abbiamo provato ed è andata bene, pertanto se volete bere questa Pierra, non resta che provarci. Arêches quest'anno era veramente bella, finalmente tanta neve: un metro in paese, gli organizzatori hanno potuto sbizzarrirsi e hanno confezionato una gara con i fiocchi. Tanto per gradire il primo giorno ci hanno buttato lì un 2.700 metri, sul Mont Mirantin, con un passaggio in cresta da brividi, come solo la Pierra sa fare. D'altronde sono loro i precursori di una filosofia di alpinismo libero e responsabile, senza obblighi assurdi fatti solo per 'pararsi' da eventuali grane legali. Poche corde fisse, solo dove servono veramente, sei tu il responsabile delle tue azioni, stai attento, altrimenti vai a casa o peggio. Così siamo passati di creste in canali e poi giù discese belle come non mai. Oltre due metri di neve in quota cancellano le rughe alla montagna, fanno il lifting, trasformando le discese in piani inclinati dove scorrazzare liberamente. Non è poi così tutto facile, non vorrei tediare con le mie 'magagnette', ma mi sono beccato una bronchite pazzesca... Così il giorno dopo mi è toccato farmi portare a spasso come un cagnolino attaccato a un guinzaglio. Non vi dico l'espressione degli astanti una volta realizzato che chi tirava era una donna. Il secondo giorno è stato sulla falsa riga del precedente, qualche metro in meno, ma oramai eravamo in trance agonistica con un unico obiettivo: resistere a testa bassa e andare… Qualche occhiata all'orologio, tanto per controllare i cancelletti, mai banali alla Pierra, e siamo arrivati al terzo giorno, alla mitica tappa del Gran Mont. Per me, alla terza Pierra, il terzo giorno costituisce il giro di boa, se lo passi arrivi in fondo. Un giorno che temi per le sue incognite e difficoltà, ma che allo stesso tempo cerchi, perché ti resta dentro una vita. Cominci a realizzare cosa ti aspetta già dal mattino, quando dalla finestra vedi salire uno sciame di lucciole frontali lungo le piste. Ne assapori un piccolo antipasto quando, nei pressi dell'anticima, passi in mezzo a due ali di folla. Ma il bello viene solo dopo. Il Grand Mont non è un luogo fisico, è una metafora della vita. La cresta le difficoltà di ogni giorno, la cima il premio per averci creduto e per avere sofferto in silenzio, silenzio che d'un tratto si interrompe quando la neve prende il posto delle ultime rocce e lentamente di fronte a te si apre il sipario del teatro più meraviglioso del mondo. Oggi va in scena lo spettacolo della vita rappresentata dalla gente che riconosce il valore di chi ci crede e che applaude e incita proprio te. Il cambio pelli lo fai proprio lì in mezzo a loro, a migliaia di persone che ti chiamano per nome. Se solo incroci lo sguardo di uno qualsiasi è finita, scoppi a piangere per l'emozione. Sapevo che era così, ma non Monica, la mia compagna, che si è piantata, immobile come un platano. Il quarto giorno è stato tutto in discesa: solo 2300 metri, una passerella finale. Gli ultimi metri sono sempre una forte emozione: vuoi finire ma nello stesso tempo anche no, vorresti continuare in moto perpetuo. Ecco cosa è la Pierra o cosa è stata per me. La auguro a tutti e credeteci, si può fare. Per il momento, però, strafoghiamoci nella Coca Cola.

Nelle foto, da sinistra a destra. Il formaggio Beaufort grande protagonista anche sul Grand Mont. In paese ad Arêches tutti segueno la partenza della Pierra Menta. Il mitico passaggio al Grand Mont. Incitamenti per l'idolo di casa Bon Mardion. La folla attende i concorrenti in cresta


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PIERRA MENTA

In questa pagina, nelle foto, in senso orario: Kilian si è 'sobbarcato' anche gli sci di Pinsach per quasi tutte le salite. Grande prestazione di Matteo Eydallin in coppia con Denis Trento nella prima tappa. La caduta di Beccari: qui sono andati via i sei secondi che hanno separato lui e Kuhar da Kilian e Pinsach. La coppia Beccari - Kuhar in azione. Nella pagina accanto: Nina Silitch e Valentine Fabre

capirebbe. Tutto inizia il mattino presto verso le quattro. Arêches viene svegliata da un’orda di scialpinisti che prendono d’assalto le pendici del Grand Mont. Gli impianti vengono aperti dalle cinque e sono gratuiti. La lunga attesa per prendere la seggiovia viene allietata dalla distribuzione di caffè caldo e biscotti. È buio, fisarmoniche intonano canti che scaldano l’atmosfera. C’è chi non vuole fare la fila e calza gli sci direttamente dal paese. Salendo in seggiovia si vedono lucine che sbucano dal bosco, altre che salgono da versanti opposti, altre ancora già molto avanti che sembrano voler anticipare l’alba. Una cometa che illumina il cammino verso il Grand Mont. All’arrivo della prima seggiovia vengono dispensati cappellini, alla seconda regalano i buff della Pierra Menta, alla terza si mettono le pelli e via a camminare. La pista è intasata, mai successo di non riuscire a passare. Sembra di stare in

centro a Milano il giorno di Sant’Ambrogio. Famiglie intere con bimbi piccoli trasportati nello zaino, altri più grandicelli invece vengono agganciati e tirati con il cordino. Tutti in fila appassionatamente, ognuno con il suo incedere e con la sua attrezzatura. Con il mio abbigliamento 'racing' mi sono sentito davvero imbarazzato in mezzo a quella moltitudine che utilizzava ogni mezzo per salire. Sci di ogni tipo, misura, genere e anno, scarponi, ciaspole, ramponi e sci da fondo. Sulla schiena viene trasportato a monte il meglio del meglio. C’è una stufa da campo che viene smontata e a ognuno ne viene assegnato un pezzo. Bisogna alimentarla e allora si trasporta la legna. C’è il Beaufort, il formaggio locale per la fonduta, c’è il vino rosso rigorosamente francese, ma c’è anche chi porta su la slitta o la tavola per godersi una discesa alternativa. E poi ancora le vettovaglie, il pane, i mitici campanacci, le trombe, gli striscioni e le fisarmoniche. La


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festa inizia, nel frattempo passano anche gli atleti. È una tradizione, una di quelle di cui andare orgogliosi, che solo lo scialpinismo può vantare. UNA GIORNATA DA 'LANFRA' Il Grand Mont è una di quelle immagini che rimarrà per sempre negli occhi e nel cuore di Pietro Lanfranchi. Fare un cambio pelli davanti a una folla impazzita di cinquemila persone non capita tutti i giorni. Lui la sua Pierra Menta l’ha vinta a prescindere dal terzo posto finale. Gareggiava in coppia con Bon Mardion, l’idolo di casa, supportato da un fan club tanto rumoroso quanto numeroso. Arrivati per primi in vetta al Grand Mont, il loro ingresso tra due ali di folla è stato accolto da un boato che è riecheggiato in tutto il Beaufortain. La testa gli scoppiava, i timpani fischiavano, gli occhi non volevano andarsene da lì, il cuore era impazzito, un sogno cercato e voluto che è diventato re-

altà. Emozioni indelebili. «Una vittoria esagerata» così l’ha definita nel dopo gara al parterre, «un’emozione che vale una carriera». Se l’è meritata Pietro e, quasi presagisse che qualcosa di speciale sarebbe accaduto, ha voluto a tutti i costi portare in Francia la moglie Cristina in dolce attesa. Racconterà un giorno a suo figlio che c’era anche lui quel giorno… Storie che accadono solo nello scialpinismo, un tributo che i cinquemila della Pierra riservano solo ai grandi di questo sport. Beccari PRIMO DEGLI UMANI Filippo Beccari: ancora un’altra prova entusiasmante, per lui una stagione da incorniciare. Alla Pierra Menta, in coppia con Nejc si è piazzato addirittura ottavo in classifica generale. Prova autorevole la loro, sempre all’attacco, senza mai risparmiarsi. Il Pippo si esalta in questo tipo di prove dove prevale la tecnica e vengono fuori le doti alpinisti-

che. È un perfezionista il 'Becca', non si accontenta mai, anche se si rende conto che in classifica è il primo degli umani. Ha fatto coppia con un suo grande amico, lo sloveno Nejc Kuhar, sempre sorridente e disponibile. Bello sentirli parlare in inglese e quando non si spiegano integrano con vocaboli tedeschi e italiani. Si capiscono al volo invece in gara, grande affiatamento il loro, frutto di un legame consolidato lo scorso autunno quando Beccari ha ospitato Nejc a casa sua ad Arabba per allenarsi in Marmolada. Si sa che 'Pippo' non si risparmia, ma i risultati si vedono, eccome. Leggendo la classifica però lo 'urtano' quei sei secondi di distacco dalla coppia Kilian-Pinsach… E allora caro 'Pippo' ti facciamo vedere noi dove li hai persi. Seconda tappa, discesa dal Mont Coin, caduta rovinosa quanto spettacolare, che ti ha fatto perdere quei sei secondi che ti avrebbero permesso di battere Kilian. Anche se non l’hai battuto, resti comunque un grande!


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PIERRA MENTA

SCOREBOARD

Pierra Menta 15/18 marzo | Tipologia: gara a tappe diurna | Circuito: Grande Course

1

2.652

TAPPA

metri di dislivello

VINCITORI

Holzknecht - Reichegger

2

2.735

TAPPA

metri di dislivello

La grinta in partenza, come se non ci fossero 10.000 metri di dislivello

VINCITORI Eydallin - Trento

Le due coppie azzurre si involano in testa

GLI ITALIANI PARTONO FORTE

IL 'BOTTO' DI ANTHAMATTEN

È troppa la foga di Bon Mardion, che attacca deciso fin dal via trascinandosi Lanfranchi. Due uomini in fuga per le montagne fino a metà gara quando, complice un calo di Lanfranchi, da dietro rientrano Holzknecht e Reichegger prima e poi anche Trento ed Eydallin, che prendono il comando nella terza salita verso il Grande Journée. Lanfranchi paga il ritmo forsennato delle prima parte di gara e si aggancia al cordino di Bon Mardion, ma perdono ugualmente minuti che alla fine risulteranno fondamentali. Stessa situazione per lo svizzero Anthamatten che, in coppia con Troillet, è vittima di una giornata negativa e si attarda nelle retrovie. I battistrada, nel frattempo, volano e le due squadre si controllano tagliando il traguardo appaiate. Terzo gradino per Bon Mardion e Lanfranchi.

Si parte con il passaggio degli atleti tra le vie del paese a piedi, poi nella prima parte di gara non succede nulla. Ma è solo il preludio all’attacco che puntuale viene sferrato da Troillet e Anthamatten. I due non hanno più nulla da perdere e così vanno alla ricerca della vittoria di tappa. Nella seconda salita se ne vanno, solo 'Holz' e 'Manny' danno la sensazione di poter tenere. Nell'ascesa al Mont Coin i fuggitivi transitano con oltre un minuto di vantaggio. Dietro si ricompone il duo Holzknecht-Reichegger ed Eydallin-Trento che nel frattempo sono rinvenuti forti dalle retrovie. Nella discesa Anthamatten è protagonista di una caduta impressionante. Lui si rialza integro, la sua attrezzatura invece ne esce malconcia. Nell’ultima salita 'Eyda' e Trento trovano le forze per imporre ancora il ritmo, prendono quei dieci secondi che manterranno fin sotto lo striscione dell’arrivo. Vittoria di tappa e leader provvisori di classifica.

CLASSIFICA

CLASSIFICA

1. 2. 3. 4. 5.

1. 2. 3. 4. 5.

Holzknecht - Reichegger .......................................................2h 37' 06" Trento - Eydallin .......................................................................2h 37' 07" Bon Mardion - Lanfranchi ......................................................2h 39' 32" Favre - Sevennec ....................................................................2h 42' 38" Antonioli - Boscacci ................................................................2h 43' 35"

La sorpresa: gran bella prestazione dei nostri giovani Espoir Antonioli e Boscacci che chiudono quinti assoluti una gara in rimonta. La delusione: Anthamatten e Troillet, dati tra i favoriti, accumulano oltre sei minuti di distacco: per loro la Pierra Menta finisce qui. La curiosità: difficile trovare un’altra classifica in cui Kilian risulti in dodicesima posizione. Nelle salite a piedi si è sempre portato anche gli sci del compagno Pinsach, ma oggi il giovane spagnolo davvero era in bambola.

Eydallin - Trento....................................................................... 2h 53' 06" Holzknecht - Reichegger .......................................................2h 53' 17" Favre - Sevennec ....................................................................2h 55' 05" Buffet - Ecouer ........................................................................2h 55' 41" Bon Mardion - Lanfranchi ......................................................2h 56' 36"

La sorpresa: il miglior Trento della stagione, quello che non ti aspetti, capace di esaltarsi in questa gara e di balzare in testa alla classifica. La delusione: nella notte Boscacci viene colpito da virus intestinale e quindi non si presenta al via. Per i ragazzi una vera disdetta e grande rammarico vista la bella performance del giorno precedente. La curiosità: impressionante il rimbombo prodotto da cinquecento scarponi che picchiano sull’asfalto tra le vie di Arêches.


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Il francese Bon Mardion si è 'accasato' con il nostro Lanfranchi nel tentativo di vincere questa Pierra Menta. Lui che è nato e vive in queste valli coltiva fin da piccolo questo sogno. La concorrenza quest’anno è stata tanta e ben assortita e la gara si è decisa in una battaglia all’ultima salita. Dietro c’è stato chi ha lottato per la classifica e chi per riuscire a completare la Pierra. I cancelli orari non erano certo banali...

3

2.542

TAPPA

metri di dislivello

VINCITORI

Bon Mardion - Lanfranchi

4

TAPPA

1.734

metri di dislivello

VINCITORI

Holzknecht - Reichegger

Bon Mardion e Lanfranchi in testa

L'arrivo trionfale di Holzknecht e Reichegger

BON MARDION E 'LANFRA' L'APOTEOSI DI HOLZ E NELLA LEGGENDA DEL MANNY GRAND MONT Oggi è tappa per cuori forti, c’è da affrontare il Grand Mont e la gran folla. Nell’anticima passano un po’ tutti assieme, poi Bon Mardion prende il comando, con l’intento di non deludere i suoi numerosi fan saliti fin quassù per lui. E così, quando con Lanfranchi sbucano per primi dalla cresta e si infilano tra la folla, si scatena l’apoteosi, il Grand Mont scoppia come il tappo di un vulcano. Grande performance di Holzknecht e Reichegger che limitano i danni sui fuggitivi, ma fanno gara sui capolista Trento ed Eydallin ai quali infliggono un distacco di oltre un minuto, quel tanto che basta per diventare loro i leader di classifica.

Per i leader di classifica si tratta di gestire il vantaggio, dietro di tener duro e portare a termine questa indimenticabile Pierra Menta. 'Holz' e 'Manny' sono sul tetto della Pierra grazie a una condotta regolare per tutti e quattro i giorni. Grande condizione la loro, hanno saputo sprecare poco, sono stati lucidi e tattici nei momenti cruciali. Per vincere la Pierra Menta bisogna non sbagliare nulla, sapere amministrarsi e dosare le forze, essere dei campioni. Anche nell’ultima tappa Bon Mardion e Lanfranchi sugli scudi, chiudono la tappa ex aequo con i vincitori, mentre in terza posizione si classifica il duo dell’esercito Trento-Eydallin, autori anche loro di una meravigliosa Pierra Menta.

CLASSIFICA

CLASSIFICA FINALE

1. 2. 3. 4. 5.

1. Holzknecht - Reichegger....................................................... 9h 41' 57" 2. Trento - Eydallin .......................................................................9h 45' 17" 3. Bon Mardion - Lanfranchi ......................................................9h 46' 24" 4. Favre - Sevennec.................................................................... 9h 52' 26" 5. Gachet - Jacquemoud .........................................................10h 05' 17" 6. Buffet - Ecouer ......................................................................10h 09' 40" 7. Jornet Burgada - Pinsach ....................................................10h 27' 51" 8. Beccari - Kuhar .....................................................................10h 27' 57" 9. Sbalbi - Pellissier ...................................................................10h 37' 10" 10. Cappelletti - Galizzi ...............................................................10h 55' 29"

Bon Mardion - Lanfranchi.......................................................2h 33' 30" Holzknecht - Reichegger .......................................................2h 34' 48" Favre - Sevennec ....................................................................2h 35' 22" Eydallin - Trento .......................................................................2h 36' 08" Gachet - Jacquemoud ...........................................................2h 40' 11"

La sorpresa: Beccari e Kuhar balzano in settima posizione in classifica generale davanti a Kilian, il 'Becca' dalla felicità scia a un metro da terra. La delusione: non mi hanno permesso di andare sulla cresta del Grand Mont a fare le foto, troppo pericoloso, mentre per il fotografo di Le Monde il pericolo aveva qualche grado in meno. La curiosità: i cinquemila del Grand Mont sono uno spettacolo impareggiabile, la cosa più bella di questa Pierra Menta.

La sorpresa: dopo il quinto posto al Sellaronda, Cappelletti e Galizzi agguantano il decimo posto in classifica generale. Per loro una soddisfazione immensa. La curiosità: la coppia inglese ultima classificata ha impiegato esattamente il doppio del tempo dei vincitori. Sono stati in giro per montagne una media di quasi cinque ore al giorno. Duri!


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PIERRA MENTA

SCOREBOARD LA GARA FEMMINILE

Pedranzini e Martinelli, ancora una volta grandissime protagoniste

LA GARA FEMMINILE Pedranzini e Martinelli hanno corso per la storia, hanno scritto per la quinta volta il loro nome nell’albo d’oro della Pierra Menta. Dove trovino ancora stimoli non lo sanno neanche loro, ma il richiamo del Pierra evidentemente è più forte della tentazione di mollare. La sanno lunga queste due ragazze, consapevoli che per vincere avrebbero dovuto fare corsa sulla svizzera Pont Combe, la compagna di Laetitia Roux che ha sostituito l’infortunata Mireia Mirò. E nella prima tappa, quando si sono accorte che la Pont Combe era in difficoltà, hanno dato tutto, chiudendo con un vantaggio incolmabile per le avversarie di ben nove minuti. Avversarie che poi si sono aggiudicate tutte e tre le tappe successive, tentando in ogni modo di rientrare, ma le 'nostre' d’esperienza hanno saputo gestire il vantaggio, portando a casa la quinta Pierra Menta della loro straordinaria carriera. In terza posizione, con un distacco di oltre un'ora, si è classificata l’altra squadra svizzera, composta dalla Richard e dalla Magnenat, che hanno preceduto Laura Besseghini e Corinne Clos, anche loro autrici di una Pierra Menta da incorniciare.

CLASSIFICA FINALE 1. 2. 3. 4. 5.

Pedranzini - Martinelli ..................................................................................12h 22' 51" Roux - Pont Combe......................................................................................12h 26' 37" Richard - Magnenat .....................................................................................13h 43' 28" Besseghini - Clos......................................................................................... 14h 06' 46" Silitch - Fabre............................................................................................... 14h 47' 37"

Giovani, 2500 metri di gloria Per la Pierra Menta i giovani sono capaci di qualsiasi cosa, è il fascino di questa gara, il grande richiamo, conta esserci. Si continua a predicare che bisogna ridurre i dislivelli nelle categorie giovanili e poi via tutti alla Pierra Menta a farsi del male. Per loro 2.500 metri di dislivello suddiviso in due giorni. Così capita che ci siano state squadre cadette che sono rimaste in giro sei ore e nessuno si è lamentato! Ricordo bene invece le polemiche di inizio stagione al Tonale... Maguet e Stradelli si confermano coppia solida e affiatata, vincono la categoria Junior maschile su Vanzetta-Ferrari e Pedranzini-Faifer. In campo femminile ottima prova di Alessandra Cazzanelli che in coppia con la svizzera Fiechter ha ottenuto il secondo posto assoluto. Tra i cadetti femminili Alba De Silvestro e Giulia Compagnoni ci hanno preso gusto, hanno fatto loro anche la Pierra Menta battendo le francesi Milloz-Payot, mentre sul terzo gradino del podio troviamo le belle e brave bormine Mastrota-Martinelli.


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TOUR DU RUTOR testo: Carlo Ceola foto: Carlo Ceola e Riccardo Selvatico

TOUR DU RUTOR

THINK DIFFERENT


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Il Tour du Rutor è diverso per indole. Tre giorni di scialpinismo libero, in cui i concorrenti sono a stretto contatto con la montagna, in uno scenario da togliere il fiato. Da registrare il dominio dall'astro nascente Jacquemoud in coppia con Kilian e della coppia d'assi Roux-Mirò


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TOUR DU RUTOR

«A

nche noi abbiamo la nostra Pierra Menta». È stato questo il leitmotiv dell'ultimo Tour du Rutor, che in effetti ha dimostrato di aver poco da invidiare alla più famosa manifestazione francese. Il Tour du Rutor è un po’ figlio della Pierra Menta, è noto infatti che il patron Marco Camandona abbia un forte legame con l’entourage francese, con il quale collabora da tempo. Ma si sa che non basta copiare, sarebbe troppo facile. Il Tour du Rutor ha una precisa identità, un’anima tutta sua, un fascino che ci rende orgogliosi di poter annoverare in Italia una

simile gara di scialpinismo. Tre giorni di grande spessore tecnico e umano, settemila metri di emozioni, un lungo viaggio interiore fatto di fatica e passione. In definitiva: un sogno. Il format su più giorni è un valore aggiunto perché si creano un’atmosfera e un legame che resteranno per sempre. Gli sci e le pelli sono il mezzo, non solo per raggiungere le vette, ma il mezzo che ha permesso di vivere tutto questo. Se non si prova non si potrà mai capire cosa significa. È un lungo viaggio con il proprio io, il compagno e gli avversari, con la fatica e la gioia, con le emozioni e con i sorrisi di tanta gente che condivide la stessa passione. Ci si sfida per vette, ma poi si gioisce assieme per un traguardo che il mattino

sembrava insperato; si condividono timori e speranze, quando si taglia il traguardo il terzo giorno un po’ dispiace che tutto sia finito. Arriva il momento dei saluti, di un ultimo sguardo verso le montagne che per tre giorni hanno dato forma al sogno, che hanno reso possibile questa grande esperienza. Tutto inizia il giovedì pomeriggio nella sala polifunzionale di Arvier. È come ritrovarsi al check in dell'aeroporto. Incontri i tuoi compagni di viaggio, fai conoscenza con l’organizzazione e, una volta arrivato a destinazione, apprendi il programma nel dettaglio. Tutto organizzato nei particolari, nessun dubbio e una grande certezza: qui si fa sul serio. Saranno settemila metri che lasciano il segno, per qualcuno nel vero senso della pa-


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Il Tour du Rutor ha una precisa identità, un’anima tutta sua, un fascino che ci rende orgogliosi di poter annoverare in Italia una simile gara di scialpinismo. Tre giorni di grande spessore tecnico e umano, settemila metri di emozioni, un lungo viaggio interiore fatto di fatica e passione. In definitiva: un sogno.

rola, perché la tecnicità è il marchio di fabbrica del Tour du Rutor. Le discese hanno esaltato i concorrenti. Unanime all’arrivo il loro consenso e la gioia nell’aver solcato canali e ripidi pendii sul firn. Tracciati nervosi con molti tratti da affrontare a piedi, creste aeree, canalini ripidi, salite e discese in rapida successione, continui cambi assetto e quota sono le caratteristiche che hanno reso unica questa manifestazione. Il resto lo hanno fatto le montagne, con pendii che sembrano disegnati apposta per lo scialpinismo e che gli organizzatori hanno saputo sfruttare al meglio. Sono stati giorni frenetici, iniziati con le colazioni all’alba e proseguiti con i soliti rituali di una gara. Il sole e le temperature primaverili hanno aiutato le attività di relax e

recupero post-tappa, poi nel tardo pomeriggio grande appuntamento ad Arvier per il briefing e la visione del filmato di giornata. All’area expo delle aziende si consumava il tradizionale aperitivo, motivo di incontro e confronto. L’occasione per dare un occhio alle novità della prossima stagione. È capitato così di vedere Kilian che affettava bresaola per tutti. 'Eyda', come una lucertola, ha trascorso i pomeriggi ad abbronzarsi, altri 'sono andati' di birra, altri ancora ne hanno approfittato per fare acquisti o guardare la mostra fotografica tra le vie di Arvier. Questo è Tour du Rutor, una festa nella festa, che fa parlare di sé non solo per i grandi dislivelli e le fatiche con gli sci. Questo è lo scialpinismo che sa coinvolgere un’intera comunità, che esprime valori e

Nelle due foto in alto. Spettacolari fasi di gara di un'edizione del Tour du Rutor particolarmente felice dal punto di vista del meteo


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TOUR DU RUTOR

FACCE DA RUTOR Al Tour du Rutor sono stati tutti protagonisti, quelli che sono transitati davanti e quelli che hanno lottato nelle retrovie per la semplice soddisfazione di portare a termine la tre giorni di gara.


Sopra. Le fasi del lancio della terza tappa del Tour nell'abitato di Planaval. In alto a destra. Kilian e Mathéo sbucano in testa sullo Chateau Blanc prima della picchiata verso il traguardo finale

rappresenta un’opportunità. Lo ski-alp è tradizione e cultura, non è solo uno sport, ma un modo di essere. Il Tour du Rutor ha saputo mettere assieme tutto questo, ha saputo valorizzare territorio e ambiente, accomunare generazioni e trasmettere emozioni. Nessuno ha fatto proclami, per tre giorni il Tour ha semplicemente raccontato quanto sia bello lo scialpinismo. Scialpinismo libero Il Rutor ha voluto dare una svolta. Marco Camandona l’ha chiamato scialpinismo libero, io lo definirei scialpinismo responsabile. Si va per montagne, ci sono regole da rispettare, ma viene introdotta la libertà di muoversi, che responsabi-

lizza molto gli atleti e che è piaciuta. È la filosofia di Marco: predisporre tracciati spettacolari e metterli in sicurezza, senza però richiedere all’organizzazione di accompagnare gli atleti e di portarli a ogni costo al traguardo. A questo devono pensarci i concorrenti, non per niente si chiama scialpinismo e la componente alpinistica in queste gare conta al 50 per cento. L’atleta deve essere conscio delle proprie capacità, poi ognuno è libero di esprimersi e utilizzare i dispositivi predisposti lungo il tracciato. Si aveva la sensazione che gli obblighi fossero più a tutela degli organizzatori che degli atleti. In questa tre giorni è stato dimostrato che responsabilizzare l’atleta è un investimento in sicurezza, una cooperazione che fa cre-


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TOUR DU RUTOR


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NELLA PANCIA DEL GRUPPO di Micol Murachelli

P

oco più di due settimane prima della gara Claudia, la mamma di due bimbe che sciano nel mio sci club, mi ha chiesto di partecipare con lei al Tour du Rutor. Non ci ho pensato nemmeno un attimo, la mia risposta è stata subito sì! Quest'anno ho fatto solo una gara, il Trofeo Miserin a Champorcher, perciò ero contenta di poter partecipare al Rutor, che rappresenta un ottimo allenamento in vista della Patrouille des Glaciers di fine aprile. E così pronti via, venerdì mattina sveglia alle 5.30 e mi ritrovo in partenza a Mondanges. So bene quello che mi aspetta, una tappa durissima di 2600 metri. Conosco alla perfezione la salita all'Arp Vieille. Quante volte negli anni sono andata su e giù da questi pendii, sotto il sole o con la luna piena, da sola o in compagnia! D'altronde vivo qui vicino, dall'altra parte del Rutor e questa diventa un po' la gara di casa, la festa a cui non voglio mancare. Claudia e io saliamo al nostro ritmo nella pancia del gruppo, si scambia qualche parola con gli altri concorrenti, si fa un sorriso ai tifosi sul percorso, ci si chiede mille volte «ma chi me lo ha fatto fare?». Eppure sono ancora qui e ancora mi sto divertendo perché in fondo la fatica mi fa stare bene. La mia prima partecipazione al Tour du Rutor risale al 1999, ero proprio una 'bociassa', non avevo praticamene mai calzato scarponi e sci da scialpinismo, ma il sorriso c'era già. A tutti i controlli ci sono persone che conosco, mi chiamano per nome, si ride e si riparte lungo la cresta in una fila indiana abbastanza ordinata. Nessuno ha interesse a spingere e sorpassare, siamo tutti nella stessa situazione e allora godiamoci il panorama e divertiamoci! Che bella discesa, troppo corta però ed ecco che si ricomincia a salire e ancora in cima al canale del Morion con i ramponi. Lassù ci sono gli amici ad aspettarci e soprattutto so che hanno la Coca Cola! Questo è uno stimolo incredibile, la sete è così grande che non avverto nemmeno la fatica. Mi suggeriscono di bere piano ma io inghiotto due bottigliette di Coca in pochi secondi e posso ripartire verso la cima del Rutor. Da lontano si nota la Madonnina. L'anno scorso per la verità non mi ero nemmeno accorta di esserle passata vicino, ma quest'anno il ritmo è più tranquillo e posso godermi anche l'intero panorama verso La Thuile. In tutte le mie partecipazioni a questa gara mi è sempre successo di provare una certa emozione quando si scende sul versante di La Thuile, mi sento a casa. Giù verso il traguardo la discesa è divertente, non banale ma sciabilissima. Di corsa sulla diga e voilà, la prima tappa è fatta! Sabato si dorme mezz'ora in più, anche il mio cane è contento di non essere svegliato così presto. Sono di nuovo in partenza con la tenace Claudia, pronta per un percorso completamente diverso da quello di venerdì, più facile e molto più sciabile. Tutti in fila lungo la carrozzabile che costeggia la diga di Beauregard e poi su a zig-

zagare nel bosco. So che una volta usciti dagli alberi, il percorso diventa stupendo, sto bene e sono contenta di esserci. A Plontaz trovo Seb, 'mon ami français' che con la sua telecamera mi segue per un pezzo e scambiamo due battute. Esulta perché Mathéo e Kilian sono davanti a tutti. Si sale, si passa nelle vicinanze del rifugio Epée, luogo incantevole per le passeggiate estive. La seconda salita ci porta al Sigaro: di nuovo i nostri amici e di nuovo la tanto sognata Coca Cola. Terza salita e giù prima su neve durissima e poi in un canale dove ognuno si arrangia come può, a piedi o con gli sci, in mezzo a radici e ruscelli. Qualcuno brontola un po', io personalmente sono felice perché anche la seconda tappa è fatta! Domenica altra levataccia e altro tappone di 2200 metri, il giro classico del Tour du Rutor, quello che si fa tutti gli anni, quello che non perdona. Partenza nel borgo di Planaval. Non so chi abbia avuto quest'idea, ma è davvero suggestivo passare di corsa nella stretta via e poi su per il pendio, tra sterpaglie e resti di valanga. Al canalino a piedi siamo in quattro o cinque squadre femminili, tutte assieme. Alessandro e Benny, che sono di servizio lungo il canale, ridono perché noi 'ciacoliamo' di continuo: è proprio vero che siamo donne! Siamo sulla seconda salita, quella che porta al colle di Planaval, quella dove fa sempre caldo, quella che più temo, quella dove vedi un'interminabile serie di zig zag là davanti e pensi «ce la farò?». Quando metto gli sci sul colle ogni volta gioisco, qui c'è sempre l'arietta fresca di La Thuile e poi la cresta del Flambeau è uno spettacolo. Se hai il tempo di guardarti in giro, riesci a vedere il Grand Combin, il Cervino, il Monte Rosa e ovviamente il Monte Bianco. Al colle dello Chateau Blanc oggi gli amici hanno portato anche i campanacci per fare il tifo. Lasciamo perdere cosa urlano a gran voce quando ci avvistano sul ghiacciaio sottostante, comunque fa piacere e aiuta a trovare le energie per l'ultima salita a piedi. Finalmente è discesa, tutta discesa, una magnifica discesa di 1.800 metri. Claudia e io ci mettiamo sicuramente più tempo degli undici minuti impiegati dai forti, ma cosa importa, io mi sto divertendo e visto che ci ho messo tanto per arrivare, lasciatemi fare qualche curva appagante! È finita, ce l'abbiamo fatta, Claudia è al settimo cielo, io sto bene e non mi ero mai così divertita al Tour du Rutor. Mi sono goduta appieno tre giornate favolose, ho apprezzato tante cose che quando sei 'al gancio' nemmeno vedi: i tifosi, gli amici ai controlli, lo scenario, i percorsi, le discese. Unico neo di queste tre giornate, e a Camandona l'ho subito fatto notare, la mancanza della birra al traguardo, una bella birra fresca, quella che ti sei sognata lungo tutto il percorso… alla Pierra Menta c'è! A parte questo, faccio davvero un immenso plauso a Marco e Barbara e a tutti i volontari che hanno contribuito a rendere memorabile quest'edizione del Tour du Rutor!


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TOUR DU RUTOR

...nella terza tappa Jacquemoud è stato praticamente perfetto, nessuna sbavatura e nessun cedimento. Le solite insinuazioni sul ricorso al doping si sono rincorse nel dopo gara. Onestamente ritengo che Mathéo a 21 anni sia già un campione... scere il livello. È piaciuta molto anche l’idea di non mettere cancelli orari, nata dalla consapevolezza che questo Tour du Rutor voleva essere alla portata di tutti, dando la possibilità a chiunque di partecipare. Un comitato organizzatore lungimirante quello del Rutor, che ha dimostrato grandi capacità e professionalità, oltre a una smisurata dedizione, un comitato che si è preso anche i suoi rischi. Basti pensare all’ultima discesa del secondo giorno. Non è da tutti far scendere 500 persone in un varco aperto solo qualche giorno prima in un bosco svalangato. Sono piovute anche critiche, ci stanno, ma non è stato impedito a chi volesse scendere a piedi di farlo e in molti l’hanno fatto. Sono concetti nuovi, difficili da digerire, che rappresentano il futuro di questa disciplina. Organizzazione ed atleti devono collaborare e confrontarsi, Camandona l’ha

capito, gli applausi che il popolo del Rutor gli ha tributato sono il miglior attestato di riconoscenza per il lavoro svolto. È nata una stella: Mathéo Jacquemoud Il Tour du Rutor consacra definitivamente questo giovane talento francese tra i grandi dello scialpinismo. Una settimana prima in Val Martello era stato capace di ottenere la terza posizione assoluta in una prova di Coppa del Mondo ai danni di Manny Reichegger. Si pensava a una giornata di grazia, con uno stato di forma eccellente. Al Tour du Rutor si è presentato al via al fianco di Kilian e sinceramente nessuno avrebbe scommesso su simili prestazioni. Classe 1990, finora si era messo in mostra nella categoria Espoir con buoni risultati, ma in questa tre giorni ha saputo stupire.

Tecnicamente è completo, dal punto di vista alpinistico è forse tra i migliori del gruppo Elite, in discesa è praticamente un fenomeno. Al Rutor ha sorpreso la determinazione e la personalità con cui ha affrontato le gare. Paura di nessuno, rispetto per tutti. Il primo giorno ha letteralmente trascinato Kilian al traguardo, vittima di una giornata storta. Nella prima salita della seconda tappa ha fatto il vuoto, ha preso cinquanta metri allungando anche sul suo compagno. Nella terza tappa è stato praticamente perfetto, nessuna sbavatura e nessun cedimento. Le solite insinuazioni sul ricorso al doping si sono rincorse nel dopo gara. Onestamente ritengo che Mathéo a 21 anni sia già un campione. Testa e talento, grande personalità e convinzione nelle proprie possibilità, questi gli ingredienti del vincitore, in coppia con Kilian, del Tour du Rutor Extreme 2012.


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+ ZOOM

il RUTOR IN CINQUE SCATTI

Alcune immagini tra le tante scattate dai nostri inviati nelle tre giornate di gara per illustrare la grande sfida degli atleti in un paesaggio di alta montagna magnifico e impegnativo


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TOUR DU RUTOR

SCOREBOARD

Tour du Rutor 30 marzo/1 aprile Tipologia: gara a tappe diurna | Circuito: Grande Course

1

TAPPA

2.700

metri di dislivello

VINCITORI

Bon Mardion - Lanfranchi

SUBITO SELEZIONE La tappa di apertura è stata volutamente resa durissima per fare selezione fin da subito, anche in virtù del fatto che non c’erano cancelli orari. Quattro salite, due canalini, una cresta aerea e una discesa di 1900 metri, questi dati da soli rendono l’idea delle difficoltà tecniche del percorso. Testa a testa: nella prima salita Bon Mardion e Lanfranchi attaccano decisi, seguiti da Kilian-Jacquemoud e Holzknecht-Reichegger. La situazione sembra essere subito positiva per la coppia italo-francese. Kilian infatti non è in giornata, fatica e perde terreno. Stessa cosa per 'Holz' che non riesce a tenere il ritmo dei battistrada e non ha il passo brillante della Pierra Menta. Nella seconda salita il distacco si dilata, siamo nell’ordine del minuto. È la terza salita che sembra fare la differenza con i fuggitivi che incrementano fino ad accumulare oltre due minuti di vantaggio. Nel ripido canale a piedi Jacquemoud si fa carico di chiudere il buco, trascinandosi dietro Kilian. Il giovane francese capisce che due minuti nella tappa di apertura potrebbero essere decisivi e così si mette a caccia di Bon Mardion e Lanfranchi. Nella salita al Rutor dimezzano il gap e, complice un problema al cambio ramponi di Lanfranchi, le due squadre cambiano molto vicine. In discesa il margine rimane invariato, forse gli inseguitori guadagnano qualcosa nel tratto a piedi della diga, ma alla fine saranno comunque 40 secondi a dividere le due squadre. Sul terzo gradino si piazzano Eydallin-Trento, mentre tagliano il traguardo con quasi quattro minuti di distacco Holzknecht e Reichegger. La sorpresa: stupisce la personalità di Jacquemoud che chiede strada al suo capitano e lo trascina in vetta, riuscendo nell’impresa di ridurre lo svantaggio di oltre due minuti. La delusione: Holzknecht non riesce a limitare i danni in una giornata storta e compromette il Rutor. La curiosità: le prime squadre impiegano meno di 15 minuti a percorrere l’ultima discesa di ben 1.900 metri di dislivello che comprendeva anche un lungo tratto della diga a piedi. Pazzesco!

2

TAPPA

2.000

metri di dislivello

VINCITORI

Holzknecht - Reichegger

JACQUEMOUD 'SCATENA L'INFERNO' Sarebbe dovuta essere la tappa di transizione, quella meno tecnica e più facile. Invece Jacquemoud scatena l’inferno e obbliga gli avversari a una rincorsa estenuante. Ne succedono di tutti i colori.

Testa a testa: il giovane francese è in condizioni di grazia, sale facile con ritmi furiosi e se ne va. A metà della prima salita si presenta solo, con un passo impossibile per tutti, compreso il suo compagno Kilian che non riesce a stargli incollato. Pennella la prima discesa e al cambio attende Kilian. Dietro le due squadre Bon Mardion-Lanfranchi e Reichegger-Holzknecht non possono far altro che inseguire, il loro svantaggio a metà gara è di quasi due minuti. Tutto resta invariato fino all’ultima discesa e, quando ormai si attendono i fuggitivi al traguardo, succede l’imprevisto. Kilian rompe prima uno sci e poi l’altro, deve così affrontare la parte finale del canale a piedi e raggiungere il traguardo di corsa. Da dietro rientrano, 'Holz' e Manny ne approfittano e vincono la tappa. Tutto viene rimandato così all’ultima giornata. La sorpresa: finalmente Antonioli e Boscacci ci provano, vengono fuori con autorità nella seconda parte di gara, e sono protagonisti di una grande rimonta. La delusione: dopo il terzo posto nella tappa di apertura ci aspettavamo l’attacco di Eydallin-Trento, che invece sprofondano in quinta posizione e di fatto chiudono qui il loro Tour du Rutor. La curiosità: i due modi di soffrire di Kilian e Lanfranchi. Il primo non siamo abituati a vederlo 'impiccato' e fa un certo effetto la sua testa piegata e una smorfia sconosciuta che lo rende umano. Il 'Lanfra' è da libro Cuore, lui la smorfia ce l’ha disegnata dalla partenza all’arrivo, combatte come un guerriero, non molla un metro. Dà l’idea di fermarsi da un momento all’altro, invece non si ferma mai. Immenso.

CLASSIFICA

CLASSIFICA

1. Bon Mardion - Lanfranchi ..........................................................2h 35' 59" 2. Jacquemoud - Jornet Burgada ................................................2h 36' 36" 3. Eydallin - Trento ..........................................................................2h 38' 23" 4. Holzknecht - Reichegger ..........................................................2h 39' 47"

1. Holzknecht - Reichegger ..........................................................2h 07' 51" 2. Jacquemoud - Jornet Burgada ................................................2h 07' 57" 3. Bon Mardion - Lanfranchi.......................................................... 2h 07' 57" 4. Antonioli - Boscacci ...................................................................2h 09' 56"


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3

TAPPA

2.300

metri di dislivello

VINCITORI

Jacquemoud - Jornet Burgada

PROVA DI FORZA DI KILIAN E MATHÉO

Tappa conclusiva e decisiva, il percorso è quello classico che ha reso famosa questa manifestazione. Tanto spettacolare quanto dura, ma il vero spettacolo sono i quasi 600 atleti che percorrono l’affilata cresta del Flambeau in uno scenario meraviglioso al cospetto dei giganti della Valle d’Aosta. Testa a testa: dopo la delusione del giorno prima, si pensava che Jacquemoud e Kilian potessero pagare anche emotivamente il fatto di aver sprecato la grande occasione di chiudere in anticipo il Tour du Rutor. Invece la loro performance è stata ineccepibile, sempre in testa dall’inizio alla fine, una prova di forza che permette loro di vincere meritatamente questa sedicesima edizione del Tour du Rutor. La sorpresa: Cazzanelli e Gachet vincono la prova freeride in discesa impiegando solo 11’ 05” per coprire i 1.800 metri che dividono lo Chateau Blanc da Planaval… Due pazzi! La curiosità: al cambio sotto la cresta del Flambeau abbiamo visto una coppia prendere la direzione opposta e inoltrarsi nel ghiacciaio del Rutor. Si è temuto il peggio, li abbiamo scorti rientrare dopo una ventina di minuti… erano andati a recuperare uno sci perso in discesa. Eroi! Delusione: la birra all’arrivo dopo la terza tappa ci stava!

CLASSIFICA FINALE 1. Jacquemoud - Jornet Burgada ............................................... 7h 15' 34" 2. Bon Mardion - Lanfranchi ..........................................................7h 18' 52" 3. Holzknecht - Reichegger ..........................................................7h 22' 08" 4. Eydallin - Trento ..........................................................................7h 26' 47" 5. Favre - Sevennec....................................................................... 7h 29' 48" 6. Antonioli - Boscacci ...................................................................7h 32' 10" 7. Beccari - Kuhar ..........................................................................7h 43' 43" 8. Palzer - Rottmoser ......................................................................7h 50' 19" 9. Cazzanelli - Gachet ....................................................................7h 55' 22" 10. Pellissier - Sbalbi....................................................................... 8h 09'12"


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TOUR DU RUTOR

SCOREBOARD LA GARA FEMMINILE

LA GARA FEMMINILE Il pronostico era tutto per loro, le due fuoriclasse Laetitia Roux e Mireia Mirò, che hanno deciso di correre assieme il Tour du Rutor. Così è stato, hanno vinto a mani basse e hanno dato spettacolo per tre giorni. Davvero pazzesca la loro performance che le colloca in diciassettesima posizione assoluta. Le abbiamo ammirate in salita, discesa, nel tecnico e nei tratti a piedi. Per i prossimi dieci anni vinceranno tutto, deve ancora nascere chi può impensierirle. In seconda posizione ci sono Pedranzini e Martinelli, la storia dello scialpinismo al femminile. Cosa dire ancora di loro? Niente se non grazie per la passione e la classe che ci mettono, per essere le uniche che ancora ci provano. Sul terzo gradino del podio Gloriana Pellissier ed Elena Nicolini, al di là dell’ottima performance due vere amiche, due donne che hanno saputo interpretare con lo spirito giusto questo Tour du Rutor.

L'azione delle due bormine Pedranzini e Martinelli

CLASSIFICA FINALE 1. Roux - Mirò ................................................................8h 41' 55" 2. Pedranzini - Martinelli............................................... 9h 25' 54" 3. Pellissier - Nicolini .................................................. 10h 32' 06" 4. Silitch - Swidrak..................................................... 11h 08' 43" 5. Grassl - Stockklauser ............................................ 11h 34' 06"

EXPLOIT DI STRADELLI E MAGUET Anche la categoria Junior ha affrontato la gara su tre giorni. Prova massacrante la loro, con dislivelli importanti. Vincono i favoriti, la coppia Stradelli-Maguet, che ha fatto le prove generali per la Patrouille des Glaciers di fine aprile in Svizzera che correranno con il 'treno tedesco' Anton Palzer. Ottima la prova della coppia Fognini-Gusmeroli della Val Tartano: ha avuto la meglio sui francesi Locatelli-Marullaz. La domenica sono entrati in scena anche i Cadetti: doppietta francese in campo maschile con la coppia Bellabouvier-Chavanes e in campo femminile con MillozMollard.


CATINACCIO JACKET

Freddo intenso e vento radente. Un terzo strato leggero che addosso dà calore quando serve. Lo metto sempre nello zaino. Ruba pochissimo spazio e mi garantisce la termicità necessaria sia per l’allenamento che quando ritorno a casa. Un capo da non dimenticare mai!

Didier Blanc Karpos Team Cervinia 19.12.2011

OUTDOOR EXPERIENCE FROM

SPORTFUL.COM/KARPOS


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PATROUILLE DES GLACIERS testo: Carlo Ceola foto: Riccardo Selvatico

A VERBIER‌ CON LA CORRIERA! Cronaca di un'edizione tribolata della Patrouille des Glaciers: avrebbe dovuto essere un grandissimo happening, alla fine ha scontentato tutti


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Nella pagina accanto: uno dei pullman che hanno scaricato i concorrenti a Verbier dopo averli caricati ad Arolla. In questa pagina, sopra: Un jet dell'Esercito svizzero in volo sopra Zermatt photoŠpdgnews.ch, sotto un momento della premiazione


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PATROUILLE DES GLACIERS Da sinistra, in senso orario: i concorrenti pronti alla partenza, un momento del briefing in chiesa, i concorrenti nelle vie di Zermatt, bagagli ancora da sistemare prima della partenza

P

atrouille des Glaciers, un nome a cui vengono accostate grandi imprese, che fanno parte della leggenda dello scialpinismo internazionale. È una gara nata in ambito militare nel lontano 1943, con l'obiettivo di testare i reparti dell'esercito svizzero, che si corre con pattuglie composte da tre persone. Dopo una lunga sospensione, a causa di un tragico episodio che vide scomparire un'intera pattuglia in un crepaccio, è stata ripresa nel 1984. Quest'anno si è corsa la diciottesima edizione. Il percorso è quello classico, da Zermatt a Verbier, che si snoda lungo una delle haute route più amate dagli scialpinisti, con un dislivello positivo di 4000 metri diluito su 53 chilometri. Partenze scaglionate nelle giornate di mercoledì e venerdì dalle 21 di sera sino alle 3 del mattino. Quest'anno ben 1520 le squadre iscritte, un re-

cord assoluto. L'Esercito svizzero si sobbarca l'intera organizzazione della gara, qualcosa di mostruoso, con oltre 1600 addetti tra cui 45 medici, 6 specialisti valanghivi, 4 meteorologi e 16 cani da valanga. Numeri da capogiro anche quelli degli spettatori, stimati in circa 75 mila sul campo, in aggiunta a quelli che restano incollati alla tv con la diretta sui canali nazionali. Ma qui tutto è un record, come la spesa dichiarata dall'Esercito, che per organizzare la Patrouille des Glaciers spende la bellezza di 7,5 milioni di franchi svizzeri. PDG-mania si potrebbe dire, una febbre contagiosa, qui infatti sembrano tutti matti. Ci si aspetta quindi un finale di Grande Course con il botto, qualcosa che resterà per sempre, una di quelle gare a cui non si può rinunciare per niente al mondo, diversamente non si spiegherebbero i quasi cinquemila scialpinisti al via. Per questo motivo abbiamo deciso di posti-

cipare di una settimana la chiusura dell'ultimo numero di Ski-alper, per includere il racconto di questa grande classica internazionale di scialpinismo. E così arriviamo con il famoso trenino a Zermatt, trasformata per l'occasione in un'enorme caserma. Ci dirigiamo alla prevista conferenza stampa delle 15.30, svoltasi rigorosamente e solo in tedesco: una grande 'marchetta' commerciale per giornalisti in giacca e cravatta, ai quali hanno potuto raccontare di tutto, tanto di scialpinismo non capivano nulla. Per loro contava sapere a che ora e dove si sarebbe cenato, dove fosse l'hotel e chi li avrebbe portati a Verbier. Io e Riccardo abbiamo dormito due ore in auto, siamo stati i primi a scrivere e comunicare a Verbier che la gara era stata sospesa. In pista, con pettorale ma dotata di iPhone, avevamo Micol, con la quale siamo stati in stretto contatto, la nostra preoccupazione in-


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A sinistra: il passaggio dei concorrenti visto dai locali alla moda di Zermatt. Sotto a sinistra: un nuovo coach per la squadra giapponese?, il concerto con i corni nel centro di Zermatt

INTERVISTA ESCLUSIVA A MIREIA MIRO' Guarda l'intervista alla vincitrice Mireia Mirò inquadrando il QR code con il tuo smartphone, oppure all'indirizzo skialper.it/Videos.png

fatti era poter documentare e raccontare meglio possibile questo straordinario evento. In conferenza siamo arrivati con zaini e macchine fotografiche, il buff al posto della cravatta, occhiali da sole e non da vista, abbronzatura non da lampada solare, ma da chi da oltre sei mesi sta in pista. Finita la conferenza, o celebrazione che dir si voglia, siamo stati dirottati al briefing che si è tenuto in chiesa, in una location straordinaria a cui si poteva accedere solo se dotati di bracialettino rosso. Un altro colpo ad effetto della regia svizzera. Scriverà così Pietro Crivellaro sul Sole 24 ore: «La 'messe à l'eglise' annunciata dal programma non è affatto una messa e i fortunati cinquecento sui banchi non sono esattamente dei fedeli: le prime file sono piene di autorità e alti gradi militari e dietro un popolo multicolore e compostissimo di sportivi della montagna. Sopra l'altare uno schermo ci rassicura che qui non si invoca come un tempo il bellicoso Dio

degli eserciti perchè siamo alla solenne cerimonia di apertura della diciottesima Patrouille des Glaciers». Chi non ha trovato posto in chiesa se lo farà raccontare questo breafing che, dopo i saluti della autorità, ha aperto con il racconto di una strana parabola del camoscio, e chiuso con l'inno nazionale svizzero suonato da un quintetto di ottoni con tutti i militari schierati sull'attenti. In mezzo anche comunicazioni tecniche di servizio sulla gara. Fortunatamente dalle 21 si inizia a parlare di scialpinismo, si succedono le partenze, con il solito fantastico colpo d'occhio rappresentato dalla sfilata degli atleti tra le vie gremite di una Zermatt chiamata a raccolta in strada e sui balconi ad augurare buon viaggio a questi intrepidi scialpinisti, che sfideranno i ghiacciai di notte. In quota verranno accolti da folate di favonio ad oltre 80 chilometri orari. Racconta Boscacci che in discesa dovevano procedere a spazzaneve, passando di

palina in palina, «non si vedeva nulla, un'autentica bufera». Alle 4.15 abbiamo ricevuto la telefonata di Micol che si trovava ferma ad Arolla a causa del distacco di una valanga al Pas du Ciat a quota 2.400, motivo per cui la gara veniva fermata. L'Esercito svizzero ufficialmente ha dichiarato che il vento e le alte temperature sconsigliavano la prosecuzione della gara e che la sicurezza degli atleti veniva prima di tutto. Ma di valanga si è trattato, anche di dimensioni abbastanza rilevanti, che evidentemente è sfuggita al loro controllo: meglio quindi tacere e tenere un profilo generico. Noi stavamo raggiungendo Verbier da cui saremmo saliti in quota per fotografare il passaggio alla Rosablanche, alle cinque invece siamo transitati in auto sotto lo striscione d'arrivo, in una Verbier deserta, scossa dal vento, tradita e abbandonata da quella stessa Patrouille che a Verbier arriverà in pullman solo quattro ore dopo.


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PATROUILLE DES GLACIERS

In alto: il vento è stato il grande protagonista della notte di venerdì photo©pdgnews.ch Nelle cinque foto, in senso orario: Silvano Gadin 'distrutto', è stata una lunga stagione anche per lui. Un dettaglio del concerto di corni in piazza a Zermatt. Pirmin Zurbriggen, una delle star del percorso breve del mercoledì. Holz un po' sconsolato nel dopo gara photo©pdgnews.ch

Chi si aspettava la celebrazione di un grande evento è rimasto deluso, come chi si aspettava di leggere la cronaca e la descrizione di una grande manifestazione. La stessa delusione che ha accompagnato il nostro rientro a casa. La Patrouille des Glaciers è una gara finta, che corsa di notte ben si presta a racconti di ogni genere, in cui nessuno deve vedere o sapere ciò che accade. Non si spiegano altrimenti le vittorie in serie di squadre svizzere, che per gli organizzatori rappresentano il coronamento del loro successo. E immancabilmente anche in questa edizione c'è stata la riprova, in vetta alla Tête Blanche infatti solo le squadre svizzere sono state messe al corrente che la gara sarebbe terminata ad Arolla, permettendo loro di guadagnare posizioni sulle altre squadre che invece viaggiavano con ritmi impostati su uno sforzo di almento altre tre ore. La settimana prima c'erano state le avvisaglie con la clamorosa esclusione del team dell'Esercito italiano, dopo essere stato ufficialmente invitato. Motivazione: è arrivato con due giorni di ritardo il cambio di nominativo da Lenzi a Trento tra i componenti la pattuglia. Continuando così, rischiano di tornare ad organizzare la gara riservata al solo Esercito svizzero. Avrei preferito raccontarvi della passione e del grande entusiasmo degli abitanti di queste vallate per la loro manifestazione, invece non ho visto e sentito nulla di tutto ciò. La Patrouille des Galciers alla fine non è altro che una parata sportivo militare, una grande operazione commerciale e di comunicazione, cose d'altri tempi.


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SCOREBOARD

Manifestazione: Patrouille des Glaciers | data: 25-28 aprile 2012 Località: Zermatt (Sui) - Verbier (Sui) | Dislivello: 4000 metri | Sviluppo: 53 km Testa a testa: A Kilian, Bon Mardion e Jacquemoud il grande compito di provare a sfatare la tradizione che vede gli svizzeri perenni vincitori. Troillet, Athamatten ed Ecoeur come da pronostico si mettono davanti a tutta sin dal via. Dopo il tratto a piedi toccano il massimo vantaggio di quattro minuti. Sembra di leggere un copione già visto, ed invece nella seconda parte di salita, quella da affrontare con gli sci che porterà in vetta alla Tête Blanche, si assiste al grande forcing del team ispanicofrancese che si porta al comando e se ne va. Transitano in vetta con due minuti, vantaggio che manterranno fin sotto l'improvvisato traguardo di Arolla, e che permette loro di vincere la diciottesima edizione della Patrouille des Glaciers. I nostri Lanfranchi, Boscacci e Holzknecht si alternavano tra il terzo e quarto posto, poi una volta che è stato comunicato agli svizzeri che la gara sarebbe stata dimezzata, da dietro sono rinvenuti forte e nel tratto in skating alle porte di Arolla hanno completato il sorpasso. Lanfra racconta che aveva percepito qualcosa perché al cambio prima di Arolla, dove c'era da slegarsi, mentre lui riponeva accuratamente la corda nello zaino, gli svizzeri facevano un gomitolone e ripartivano a mille. Stesse dichiarazioni di Beccari, appena dietro al Team Trab, che si è visto superare da un terzetto di svizzeri con le 'bave alla bocca', quando in teoria mancavano ancora tre ore di gara. Holz racconta che ad Arolla era l'unico fermo a mangiare e bere, tutti passavano 'a fuoco'... La sorpresa: hanno vinto i più forti. La curiosità: per tutto il giorno Holz e Bosca hanno girato scalzi per le vie di Verbier, podio compreso. Ho chiesto se fossero in cerca di uno sponsor, queste invece le loro motivazioni: «Siamo arrivati a Zermatt prendendo gli impianti da Cervinia, quindi con lo stretto necessario per la gara. Pensavamo di ritrovare le scarpe da corsa utilizzate nella prima parte di gara, invece alla Pdg le scarpe utilizzate dai concorrenti non vengono restituite, ma donate in beneficenza».

I tre vincitori della gara maschile

CLASSIFICA MASCHILE 1. Kilian - Bon Mardion - Jacquemoud ...........................................2.54.36 2. Anthamatten - Troillet - Ecouer .....................................................2.56.02 3. Sévennec - Favre - Buffet .............................................................3.04.39 4. Marti - Marti - Bruchez ..................................................................3.09.59 5. Boscacci - Lanfranchi - Holzknecht............................................ 3.10.53 6. Beccari - Follador - Kuhar .............................................................3.11.16

PDG in rosa Era l'ultima grande occasione per Pedranzini, Martinelli e Pellissier di sfatare il tabù dell'unica gara che non sono mai riuscite a vincere nella loro straordinaria carriera. L'impresa non era poi così impossibile su un percorso lungo e massacrante come la Patrouille des Glaciers, dove tutto può accadere e con l'esperienza dalla loro parte. Il Mezzalama dello scorso anno insegna in tal senso. Avrebbero dovuto far gara su Severine Pont-Combe, l'atleta sulla carta meno forte del team di Mireia Mirò e Laetitia Roux. Una preparazione a puntino, mirata proprio a questa gara, confermata dall'ottima prestazione di una settimana prima al Tour du Grand Paradis. Avevano programmato una tattica di gara accorta e precisa, con partenza alle 2. Di certo avremmo assistito ad un grande spettacolo. Avevamo scaricato l'App che ci permetteva di seguire live la loro posizione durante tutta la gara, grazie al segnale gps emesso dal chip in dotazione ad ogni team. Gloriana invece, poche ore prima del via ha accusato dolori allo stomaco, una volta partita è stata colta da conati di vomito, e così non è rimasto altro che rientrare a Zermatt. Una disdetta. Visto poi come sono andate le cose, probabilmente per le nostre non ci sarebbe stata storia. La prestazione di Mireia, Laetitia e Severine infatti ha dello stupefacente. Con il tempo di 3 ore e 31 minuti sono risultate addirittura none in classifica generale. Quel che più sconvolge è che mentre gli uomini hanno peggiorato di quattro minuti il tempo rispetto all'edizione precedente, nonostante sapessero che la gara sarebbe terminata ad Arolla, le donne invece hanno abbassato il parziale di quasi venti minuti. E pensare che Mireia ci ha confidato che si erano tenute per andare in progressione nella seconda parte di gara!

Le tre protgoniste della gara in rosa, autrici del nono tempo assoluto photo ©pdgnews.ch

CLASSIFICA FEMMINILE 1. Mirò-Roux-Pont Combe ................................................................3.31.55 2. Etzensperger-Troillet - Gex Fabri .................................................3.53.36 3. Daucourt - Delamorcaz - Gentieu ................................................4.18.35


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LA GRANDE COURSE testo e foto: Riccardo Selvatico

PRIMI VERDETTI I nomi di Bon Mardion in campo maschile e di Roux e Mirò (ex-aequo) in campo femminile sono i primi ad iscriversi nell'albo d'oro del circuito che 'consorzia' le cinque grandi classiche dello scialpinismo

La premiazione del ranking maschile de La Grande Course in piazza a Verbier

C

on la Patrouille des Glaciers termina anche la prima edizione de La Grande Course, una sorta di campionato mondiale di scialpinismo, con le grandi classiche che si sono consorziate dando vita a questo circuito di durata biennale. Mezzalama, Pierra Menta, Adamello Ski Raid, Tour du Rutor e Patrouille des Glaciers, queste le magnifiche cinque gare che alla fine del biennio hanno decretato i migliori atleti, dopo un grande viaggio, una lunghissima emozione, attraverso lo scialpinismo che piace e che appassiona. A vincere questo prestigioso circuito è stato il francese William Bon Mardion, il più regolare, il più completo, un ragazzotto conosciuto per le sue grandi doti da discesista, ma che da quest’anno va fortissimo anche in salita, il vero spauracchio di Kilian, l’unico capace (talvolta) di batterlo. Il podio poi parla tutto italiano con i nostri due alfieri, Lorenzo Holzknecht e Pietro Lanfranchi. Un secondo e terzo posto che confermano la loro stagione entusiasmante, ad altissimi livelli. In campo femminile Laetitia Roux e Mireia Mirò si spartiscono il montepremi ex-aequo, le più forti, imbattibili, tutti in piedi ad applaudirle. Il podio è completato da Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini, ancora loro, la storia dello scialpinismo, il nostro orgoglio. Un ricco

montepremi, uguale per uomini e donne. Dislivelli e fatiche non hanno distinzione di sesso, quindi nemmeno il riconoscimento economico è giusto che le abbia: 4.000 euro per il vincitore, 3.200 per il secondo e 2.500 per il terzo. Sono dieci euro per ogni metro di dislivello, atleti di altri sport sorriderebbero davanti a questa cifra. Questi però sono scialpinisti, c’è da essere fieri di questi ragazzi a cui brillano gli occhi pensando di portare a casa lo stipendio di due mesi. Holz andrà a Cuba con quei soldi, il Lanfra farà la cameretta per il piccolo Riccardo in arrivo a giorni, il Bomma li investirà nelle sue coltivazioni biologiche. Abbiamo voluto sentire direttamente il presidente della Grande Course, Adriano Favre, per un primo bilancio. «Siamo molto soddisfatti di questa prima edizione del circuito - ha commentato il presidente, nonché patron del Mezzalama - in questi due anni abbiamo lavorato su un progetto nuovo, innovativo, che raccogliesse i sogni e le aspettative non solo degli atleti di vertice, ma di tutti i concorrenti. Oltre all’appeal delle cinque classiche, possiamo misurare il successo del circuito dalle iscrizioni pervenute alle gare e dal numero di tessere Grande Course vendute in questi due anni». Soddisfazione, dunque, ma anche progetti per il futuro. «Nei prossimi mesi cercheremo di 'aggiustare il

tiro' e di migliorare alcuni elementi. Ogni gara ha le sue specificità, molteplici esigenze di cui tener conto. Insieme agli altri membri abbiamo deciso di iniziare subito a lavorare per la prossima stagione. Il 7 e 8 giugno con tutti gli organizzatori ci troveremo nel Vallese, in Svizzera, per una full immersion di due giorni. All'ordine del giorno sono previsti moltissimi argomenti, dall’armonizzazione dei regolamenti alla creazione di un protocollo ben preciso per le fasi istituzionali durante le competizioni. Per quanto riguarda i regolamenti, non stravolgeremo le regole delle singole gare, ma tracceremo delle linee giuda ben precise per uniformarci. Ad esempio ci dovranno essere dei punti saldi sulla tipologia dell’abbigliamento tecnico. Inoltre un tema molto importante sarà quello che riguarda gli accrediti e le selezioni alle gare. Dopo questa prima esperienza la classifica della Grande Course sarà una sorta di ranking. Dobbiamo creare un metodo di selezione semplice, trasparente ed equo per tutti i concorrenti. Ci saranno anche altri argomenti di cui discutere, ma per il momento non anticipo altro, dopo la riunione potrò essere più preciso». Le pagine web di skialper.it vi terranno informati e vi racconteranno l’andamento di questa fase dei lavori della prossima Grande Course.


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LAETITIA ROUX testo: Carlo Ceola Foto: Riccardo Selvatico

SONO LAETITIA ROUX E TENDO AD ESAGERARE Si può stravincere senza essere una fuoriclasse? A sentire Laetitia Roux sembrerebbe di sì: tanto allenamento, metodo e programmazione maniacale sono le sue parole d'ordine. Nulla è lasciato all'improvvisazione, con un imperativo: non 'dovere' ma 'potere' vincere


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LAETITIA ROUX

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ome si concede a una star, rimango ad aspettarla oltre mezz'ora nell'atrio dell'hotel di Arêches. Con un sorriso si conquista il mio perdono e incominciamo la nostra intervista. È bellissima Laetitia, ha due isole negli occhi che non sai se naufragare o attraccare. Sono abituato a cercare la sua esile figura tra quella degli uomini lungo i canali e i pendii delle montagne. L'eleganza e lo charme che la contraddistinguono già in tutina vengono enfatizzati da jeans e t-shirt che indossa con molta disinvoltura. Mi rendo conto che l'approccio con l'intervista a una donna è diverso. Con gli uomini salto i preliminari per andare subito alle domande, con Laetitia i convenevoli invece si dilungano, giusto il tempo di rubarle un altro paio di sorrisi e via, si parte decisi. Mi racconta che non è stata una bambina prodigio, piuttosto una a cui riusciva semplice qualsiasi sport praticasse. È nata in Provenza, sulle rive del lago di Serre-Poncon, località nota ai surfisti, ma fin da piccola ha avuto un'attrazione particolare per gli sci. Suo padre è un grande appassionato di sport e la prima volta con i 'due legni' risale all'età di due anni. Nuoto e bicicletta la facevano da padrone in estate, mentre in inverno praticava assiduamente lo sci alpino. Le lunghe passeggiate in montagna per Laetitia erano una vera attrazione, era avida di nuovi orizzonti, voleva scoprire cosa c'era oltre ogni cima. All'età di nove anni la sua prima escursione con le pelli. Nessuna folgorazione, la ricorda come una maniera faticosa per guadagnarsi le discese. Verso i quattordici anni si è avvicinata al mondo delle competizioni partecipando alle prime gare di sci alpino, dove in breve tempo ha iniziato a conquistare i primi punti FIS. Ed è venuto fuori lo spirito agonistico di Laetitia, una donna che in gara si trasforma. Gli anni passano veloci, diventa maestra di sci e si iscrive alla facoltà di biologia presso l'Università di Grenoble. In realtà si iscrive a biologia solo perché le prime tre del corso potevano avere libero accesso alla facoltà di fisioterapia. Questo obiettivo per un anno è diventato la sua sfida personale… e ha conquistato un altro podio, volando alla facoltà di fisioterapia. Un caratterino niente male quello di Laetitia. Se si pone un traguardo dà tutta se stessa per raggiungerlo, quella forza interiore capace di indurla a rinunce e sacrifici per sostenere una scelta personale è innata in lei. Sarà così anche nello sport, i suoi successi passano proprio da questa chiave di lettura. «Non sono un talento, di certo sono dotata, ma i

miei successi arrivano dal gran lavoro, dalla dedizione e dal sacrificio quotidiano. So soffrire per ottenere ciò che voglio, so lottare per un successo, non mi è mai piovuto nulla dal cielo». Nel 2006 Laetitia ha iniziato a fare sul serio anche con le pelli, partecipando a qualche competizione ed è nato un amore smisurato per questa disciplina. «Mi è piaciuto da subito lo scialpinismo race, provavo grandi emozioni, mi appassionavo di giorno in giorno e venivano esaltate le mie caratteristiche di polivalente. E poi c'era la grande componente del territorio: vivere e allenarsi in montagna è sempre stata una mia grande aspirazione». In estate si dedica alla corsa in montagna, al trail, utilizza la mountain bike e allena lo specifico con sedute di skiroll. Altro non è dato di sapere: Laetitia è sembrata molto gelosa delle sue metodologie di allenamento. Si allena tantissimo, sei giorni alla settimana, 'doppia' quasi sempre e varia i suoi allenamenti inserendo uscite di corsa e sedute in palestra. In totale si allena mediamente venti ore settimanali. È arrivata alla Pierra Menta con ben centocinquantamila metri di dislivello positivo sugli sci… una macchina da guerra! Nel 2008 si è laureata in fisioterapia, attività che, unita a quella di maestra di sci, le ha permesso di guadagnarsi da vivere, o meglio, di allenarsi. Laetitia alternava così le sue giornate tra allenamento e lavoro, ma ha presto capito che non riusciva a svolgere bene né un'attività né l'altra. Doveva scegliere, doveva decidere cosa fare 'da grande'. Il suo obiettivo è diventato allora quello di essere un'atleta di vertice. Così avrebbe potuto tentare l'ingresso in qualche corpo sportivo militare, anche se in Francia è quasi un'utopia perché vengono selezionati solo atleti di discipline olimpiche. Dal 2008 Laetitia ha iniziato a vincere tutto quello che si poteva vincere. È la donna da battere, la campionessa che fa parlare di sé per le grandi performance, i giornali iniziano a dedicarle servizi, per lei iniziano a scomodarsi le tv. Nel 2010 entra a far parte del team Salomon e il suo nome viene spesso accostato a quello di Kilian. Due storie molto diverse e due caratteri molto diversi, di certo li accomunano le grandi doti da endurance, anche se entrambi sono capaci di prestazioni da velocisti. Una parola in particolare li associa: campioni. Laetitia ha raggiunto un altro obiettivo e dal giugno del 2011 fa parte del PGHM (Peloton de Gendarmerie de Haute Montagne) presso il distaccamento di Briançon. Dallo scorso anno è un'atleta professionista a tutti gli effetti, solo in estate partecipa alle esercitazioni di soccorso ma, non avendo ancora completato l'i-

«…non sono un talento, di certo sono dotata, ma i miei successi arrivano dal gran lavoro, dalla dedizione e dal sacrificio quotidiano. So soffrire per ottenere ciò che voglio, so lottare per un successo, non mi è mai piovuto nulla dal cielo…»


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LAETITIA ROUX

IL SUO MOTORE

167 cm Altezza

50 kg Peso

37

Frequenza cardiaca a riposo

185

Frequenza cardiaca max

«…ho avuto la fortuna di avere due genitori che non mi hanno mai imposto nulla, ma hanno assecondato le mie aspirazioni. Poter fare da bambina quello che ti appassiona e non quello che piace ai tuoi genitori o che loro non sono riusciti a fare, è il grande privilegio che ho avuto…» ter formativo, non è ancora stata impiegata in vere e proprie operazioni. La sua vita è cambiata. «Ho capito presto che con lo scialpinismo non sarei riuscita a campare. Le vittorie mi hanno permesso di acquisire titoli per entrare a far parte del glorioso PGHM che per me rappresenta un vero onore. Con la mia laurea di fisioterapista e il brevetto di maestra di sci comunque mi ero assicurata un futuro, non avrei dovuto dipendere dallo scialpinismo e questo mi ha aiutata moltissimo. Non devo vincere per i soldi, ma per dare un senso alla mia quotidianità. È diverso poter vincere e dover vincere». Le chiedo come si diventa una campionessa e lei sorride, si fa timida, piega il viso e mi riappaiono quelle due isole luccicanti. Un raggio di sole le illumina il ciuffo biondo sul viso, sembra non trovare le parole, gioca con quella luce, poi preme il tasto rewind e… «Potrei tediarti con chissà quanti racconti, ma ognuno dei ragazzi che oggi era al via alla Pierra potrebbe averne di

uguali o migliori. Ognuno ha la sua storia e il suo destino. Non c'è una ricetta per raggiungere il successo, magari! Ritengo sia l'insieme di più combinazioni, di certo ci vuole molta dedizione e convinzione, anche quando i risultati non arrivano. I successi passano dalle sconfitte, le vittorie sono l'apice di un gran lavoro, iniziato tanti anni prima, con l'aiuto di più persone. Il successo va condiviso con tante persone, a partire dai genitori. Io ho avuto la fortuna di avere due genitori che non mi hanno mai imposto nulla, ma hanno assecondato le mie aspirazioni. Poter fare da bambina quello che ti appassiona e non quello che piace ai tuoi genitori o che loro non sono riusciti a fare, è il grande privilegio che ho avuto». Sappiamo che ti sei affidata a un professore universitario, che la tua programmazione passa da lui. «Avevo la necessità che qualcuno mettesse delle regole, perché io tendo a esagerare. Ho discusso la mia tesi universitaria con il professor Daniel Mercier, una persona fantastica, che arriva dall'atleti-

ca. È il titolare della Ciclyde, una società per la quale io stessa ho lavorato, che elabora software di allenamento per diverse discipline. Mi sono appassionata alla preparazione atletica, sperimentando su di me macro e micro clicli, tipologie di allenamento e programmi. Ha elaborato e costruito un programma che seguo per dodici mesi all'anno e che mi sta dando enormi soddisfazioni». Laetitia ha bisogno di essere programmata e seguita nei suoi allenamenti. Non c'è spazio per l'improvvisazione, è una perfezionista in tutto quello che fa, una professionista sotto tutti i punti di vista. «Il mio carattere mi porta a questo, io devo prevedere tutto, a volte in modo anche maniacale, ma devo sapere dove sto andando, niente sorprese e nessun imprevisto, le caselle devono essere tutte al loro posto. So che può sembrare un limite, ma cerco una stabilità sia fisica che mentale e posso dire che ho trovato il mio equilibrio, sto bene con me stessa».


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BOTTA& RISPOSTA

Un segreto dei tuoi allenamenti?

«Ho capito che al termine della stagione di scialpinismo serve una lunga pausa. È stato provato che è fondamentale rigenerarsi a livello fisico e mentale per ripartire con rinnovata energia e nuovi stimoli. Il periodo rigenerante più efficace per me è di tre settimane».

Lo scialpinismo è donna?

«So che questi diecimila metri di dislivello alla Pierra allontanano le donne dallo scialpinismo, fanno paura. Ritengo che si possa rivedere il tutto a beneficio dello spettacolo, senza però snaturare lo sport ed è fondamentale che vengano offerte le stesse opportunità a uomini e donne. Se togliere metri di dislivello significa non passare per il Grand Mont o gareggiare solo su due giornate, allora è meglio lasciare tutto com'è».

Sei maniacale anche nella dieta?

«L'alimentazione ha un ruolo importante, in una donna sportiva ancora di più. Premesso che mi piace mangiare, mi piace ancor di più prendermi cura di me e del mio corpo. La sana alimentazione è un benessere indipendentemente dallo sport, è un valore, un fatto di cultura. Mi piace documentarmi, studio, sperimento e cucino. Sono vegetariana, prediligo il cibo biologico e non trasformato, evito se posso i fast food e i cibi precotti, ma non ho preclusioni di alcun genere. Non mi privo di nulla, ho il mio regime alimentare con il quale sto benissimo e vivo in armonia».

Il tuo futuro?

«Professionalmente cercherò di diversificare le gare, anche per cercare nuovi stimoli, preferendo quelle a coppie, dove c'è molta più competitività. A livello personale spero di diventare mamma e moglie, di avere una famiglia tutta mia. Una cosa certa è che nella mia vita futura viaggerò molto. È una mia passione, cercherò di abbinare viaggio e sport. Ho avuto l'opportunità di visitare il Marocco, la Turchia e la Nuova Zelanda, esperienze talmente grandi che ti arricchiscono dentro e ti fanno crescere come persona. Sono delle opportunità che ti riserva la vita, dei grandi insegnamenti che nessun libro può darti».

«…mi piace documentarmi, studio, sperimento e cucino. Sono vegetariana, prediligo il cibo biologico e non trasformato, evito se posso i fast food e i cibi precotti, ma non ho preclusioni di alcun genere. Non mi privo di nulla, ho il mio regime alimentare con il quale sto benissimo e vivo in armonia...»

Carta d'identità

Nome: Laetitia Cognome: Roux Soprannome: Letty Data di nascita: 21 giugno 1985 Sci: Ski Trab Scarponi : Gignoux Attacchi: Gignoux Abbigliamento: Montura Pelli: Pomoca Integratori alimentari: Overstims


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TOUR DU GRAND PARADIS testo: Carlo Ceola foto: Riccardo Selvatico

INVERNO SUL

GRAN PARADISO


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Condizioni meteo al limite per il Tour du Grand Paradis, in una giornata di fine aprile… invernale!

M

erita una citazione in apertura di questo servizio il comitato organizzatore della manifestazione, fatto da gente semplice, di poche parole, ma di tanti fatti. La sera prima della gara erano terrorizzati che le bizze del meteo potessero vanificare il grande sforzo profuso nei giorni precedenti, riecheggiavano i fantasmi dell’ultima edizione. Era annunciato freddo e vento, con il sole che avrebbe fatto capolino solo da mezzogiorno e possibile nevischio al mattino. Alle 21 il giudice Mottini dal rifugio Chabod faceva sapere che imperversava una bufera di vento e neve, fiocchi che ben presto hanno iniziato a scendere anche in valle. Con queste premesse nessuno la notte è riuscito a prender sonno. Alle 5 del mattino Mottini ed i suoi erano fuori a tracciare in direzione Gran Paradiso, tutta la macchina organizzativa era all’opera per permettere il regolare svolgimento della manifestazione. Alla fine le forti raffiche di vento ed il freddo hanno negato la vetta, ma la gara si è svolta regolarmente, grazie al la-


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TOUR DU GRAND PARADIS

In alto. Le difficili condizioni meteo non hanno impedito lo svolgersi della gara, Qui a lato, da sinistra. La grinta di 'Boscaccino'. La partenza con i due dell'Esercito subito all'attacco. Reichegger in versione freeride, con tanto di GoPro sul casco

voro improbo di questi uomini che, una volta messo in sicurezza il tracciato, hanno saputo compiere un autentico miracolo. Ma veniamo alla cronaca. In Valsavarenche, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso, si è disputata la quinta edizione del Tour du Grand Paradis, prova valida per il Campionato Italiano Top Class lunghe distanze. Una manifestazione che si svolge con cadenza biennale, uno di quei tracciati che rappresentano una classicissima per lo scialpinismo. I ghiacciai, i panorami e le vette che sovrastano il percorso sono un valore aggiunto, da soli valgono il prezzo dell’iscrizione. La scarsità di neve di questa maledetta stagione, la crisi e la concomitanza con altre manifestazioni hanno ridotto il parterre al via ad un centinaio di squadre, un vero pec-

cato perché i presupposti per una grande edizione c’erano tutti. Anche se il tracciato è stato modificato, privando gli atleti del passaggio in vetta e riducendo il dislivello di 400 metri, è stato comunque un grande spettacolo. È sempre un’emozione particolare vedere gli atleti in ghiacciaio procedere legati, uniti da una corda non solo per ragioni di sicurezza, ma da una passione e da un legame che nello scialpinismo fa la differenza. Corda da cui diventava difficile separarsi a causa del vento e del freddo che, sulla schiena d’asino a 3600 metri, hanno congelato le mani agli atleti. Sofferenza pura che si trasformava in adrenalina nelle discese in neve profonda e polverosa, prima verso il rifugio Vittorio Emanuele e poi al traguardo di Pont. Uno sballo, aspettato e cercato per un’intera sta-

gione, che abbiamo trovato solo a fine aprile sul Gran Paradiso. Lasciamo la Valsavarenche che sono quasi le otto di sera, dopo un pomeriggio passato ad aggiornare il sito, a montare il video e scaricare foto. Chiudiamo il portone del Comune, dove era ubicato l’ufficio stampa, ed il rimbombo echeggia nella valle. Regna un silenzio irreale, il profilo del Gran Paradiso colorato di rosa e ancora spazzato dal vento si staglia maestoso nel cielo. I camosci pascolano tranquilli a bordo strada, accosto l’auto e mi addentro nell’alveo del fiume per scattare alcune foto. Le ombre lunghe della sera si specchiano nel ruscello ingrossato dalla neve che inizia a sciogliersi nei prati, giochi di forme. Magia di una valle autentica e selvaggia dalla quale è difficile andarsene.


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SCOREBOARD

MANIFESTAZIONE: Tour du Grand Paradis 22 APRILE 2012 | Tipologia: gara a COPPIE Coppa Italia - Campionato Italiano Top Class | Dislivello positivo: 2460 metri

Interviste di rito per i due vincitori

Testa a testa: le premesse c’erano tutte per vedere una gran battaglia, i favori del pronostico erano divisi tra la squadra dell’Esercito e le coppie Holzknecht-Lanfranchi e Boscacci-Antonioli. Invece il testa a testa è durato giusto il tempo di arrivare sopra il Rifugio Chabod, laddove ci si addentrava nel ghiacciaio Lavaciou e bisognava legarsi. In partenza sono schizzati Boscacci e Antonioli che si sono messi davanti a fare il ritmo nel tratto a piedi. Al cambio assetto ha preso la testa della corsa il team dell’Esercito composto da Reichegger ed Eydallin, i quali hanno incrementato il vantaggio grazie ad una condotta di gara accorta, impostata su ritmo regolare e sostenuto, senza mai strappare. La loro grande esperienza in questo tipo di gare ha fatto il resto, staccando gli avversari sul traguardo di oltre tre minuti. Bravi Boscacci ed Antonioli, sempre all’attacco, caparbi e tenaci, ci provano e stanno crescendo forte i due giovani. Holz è sembrato in riserva dopo una stagione 'a tutta', si capisce dal passo appesantito, da quella posizione china con la testa bassa: non risponde nemmeno agli incitamenti! Il Lanfra è sempre quello, tira come un toro, lui sente la fatica solo all’arrivo, prima la testa ed il cuore anestetizzano il dolore e le cattive sensazioni. Una garanzia. Bella la prestazione di Follador in coppia con l’austriaco Fasser. Si mette davanti a fare il ritmo, comanda lui le operazioni, da vero leader guida il team sul podio. Mi aspettavo qualcosa di più da Brunod, visto in grande spolvero una settimana prima in Norvegia che correva in coppia con il giovane Cazzanelli, quest’ultimo invece incappa in una giornata no, e così chiudono attardati. Sbalbi e Seletto fanno la loro gara onesta, chi stupisce invece sono Collè e Barazzuol, autentica sorpresa di giornata, che chiudono in quinta posizione assoluta. Nella categoria femminile scontata la vittoria delle due fuoriclasse Roberta Pedranzini e Francesca Martinelli, che chiudono la loro prestazione addirittura in tredicesima posizione assoluta. Benissimo anche Gloriana Pellissier in coppia con il marito Massimo che chiude appena davanti alle Bormine. Le “nostre” donne non tradiscono mai, dietro piuttosto è preoccupante la situazione, a

Follador e Fasser in azione

breve non si vede un ricambio all’altezza. C’è da sperare tengano duro ancora qualche anno. La sorpresa: Collè e Barazzuol stupiscono per la quinta posizione, grande esperienza e determinazione la loro, vanno forte in salita e sono redditizi in discesa. Non belli da vedersi in giù, ma scendono di mestiere e 'dislivellano' a grande velocità. La delusione: Holzknecht ci ha abituati troppo bene, e allora ci aspettiamo di vederlo sempre davanti. Fosse ancora in forma oggi avremmo assistito ad un gran duello al vertice. Paga la stanchezza anche a livello mentale, ha bisogno di andare al mare ad arrampicare... La curiosità: sul traguardo e al party finale le donne della Valsavarenche hanno deliziato atleti ed ospiti con magnifiche torte sfornate la mattina mentre gli atleti erano in gara. Strepitose… Al resto ci ha pensato il genepì anch’esso rigorosamente 'chilometro zero'.

CLASSIFICA MASCHILE 1. Eydallin-Reichegger .....................................................................2.25.03 2. Boscacci-Antonioli .........................................................................2.28.17 3. Follador-Fasser ...............................................................................2.31.37 4. Sbalbi-Seletto ..................................................................................2.33.56 5. Collè - Barazzuol ............................................................................2.35.57

CLASSIFICA FEMMINILE 1. Pedranzini-Martinelli .......................................................................3.00.16 2. Orlando-Tornatore ..........................................................................3.53.38 3. Stuffer-De Simone ..........................................................................4.14.19


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DIDIER BLANC testo: Carlo Ceola foto: Riccardo Selvatico

DIDIER BLANC UNO DI NOI

L

a scorsa stagione è stato protagonista di una magica doppietta Pierra Menta-Mezzalama insieme a Kilian. Quest'anno ritrovo Didier Blanc all'expo della Pierra presso lo stand Karpos con l'aria di chi sta provando una grande nostalgia. Didier, quanto è dura guardare gli altri? «Durissima, tra un po' me ne devo andare perché sta diventando insopportabile. Lo scorso anno qui ho vissuto uno dei più bei momenti della mia vita, non solo sportiva, oggi ritrovarmi fermo ai box è deprimente». Stagione finita, ma cos'è successo? «Non lo so e questo mi destabilizza. La stagione era iniziata secondo le aspettative con un terzo posto ai campionati francesi, poi ad Andorra ho preso l'influenza e da lì non mi sono più ripreso. Una ricaduta dietro l'altra, tra otite, faringite e bronchite non sono più riuscito ad allenarmi. Anche il morale è finito a terra. Mi sento perduto, adesso dovrò ritrovare le motivazioni e provare a rientrare per il finale di stagione». Come si reagisce ad una situazione del genere? «Penso che anche questo faccia parte dello sport e devo accettarlo. Non serve a nulla disperarsi e voler dare un senso a ogni cosa. Il prossimo anno nevicherà ancora, questa è l'unica certezza!». Una storia particolare quella di Didier, nato ad Evian, in Alta Savoia, località nota per le fonti termali, dove lavora in qualità di tecnico riparatore. Ha conosciuto lo scialpinismo accompagnando alle gare i suoi due fratelli maggiori, Patrick e Philippe. Un ragazzo che sa da dove arriva, la vita non gli ha fatto nessuno sconto. Nei weekend e durante tutta l'estate aiutava il padre con le vacche all'alpeggio. Vita dura, fatta di sacrifici. Il padre è morto quando Didier non aveva ancora vent'anni. «La vita va avanti, certo è stata dura», taglia corto. Di quella vita in montagna conserva i ricordi più belli e dentro gli resta quell'abitudine alla fatica. «Allenarsi per me è un divertimento, se hai conosciuto la fatica vera, sai che tutto il resto è ben altra cosa». La sua prima volta con le pelli a 22 anni, la prima gara a 24 anni, le prime vittorie da subito. Motore e resistenza non gli mancavano, però doveva migliorare tecnicamente. Dopo qualche anno ha ottenuto di poter lavorare in turno così di giorno riusciva a ritagliarsi tempo per sciare e i risultati hanno iniziato a dargli ragione e in breve tempo è diventato uno degli atleti di punta della nazionale francese. Didier non conosce la parola allenatore, né tantomeno tabelle e programmi di allenamento. Si allena a sentimento, è un generoso, sono i suoi stessi colleghi di

Passare da una stagione trionfale ad un'altra in cui la salute ti impedisce di competere è un duro scoglio da superare per chiunque. Didier, però, conosce le reali difficoltà della vita e non ha paura di lavorare duro per tornare ai suoi livelli lavoro a infondergli fiducia, a credere in lui, sono loro i suoi primi tifosi. Non sa quanto dislivello copra in una stagione di sci, né quante ore dedichi all'allenamento. È contento perché lo stato francese riconosce al suo datore di lavoro cinquanta giorni di ferie all'anno che lui può utilizzare per allenarsi. «È un lusso tutto questo e sinceramente, quest'anno che non ho ottenuto risultati, mi sembra quasi di aver rubato dei soldi». Per lui lo scialpinismo è pura passione, storie di amicizia vera. «Io ho già un lavoro e mi basta, se lo scialpinismo rappresentasse un altro lavoro dovrei fare delle scelte. Posso dire che i miei avversari sono i miei amici, che Kilian è il mio migliore amico, che atleti come Pedrini sono delle persone vere, il cui valore non si misura in base alle vittorie, ma con quello che hanno dentro. Per questo sono triste, a me in questa stagione manca tutto ciò, non le vittorie o il successo, ma i miei avversari, i miei amici». Didier è orgoglioso dei suo sponsor, italiani al cento per cento, come Karpos e Merelli. «Non ho un rapporto aziendale, ma di amicizia. Testo, sviluppo, mi confronto e collaboro con loro per migliorare i prodotti. Per me è un onore poter indossare capi che sento anche un po' miei o sciare con scarponi e sci che ho visto nascere. Se oggi sono qui è per loro, non certo per me». Esce dalla stanza abbracciando la sua Pauline, un ultimo 'cinque', un sorriso e la certezza che questo ragazzo è uno di noi. Non conta che vinca, ma che torni.


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COPPA DEL MONDO testo: Carlo Ceola foto: Riccardo Selvatico

suona La Marsigliese

IN Val Martello

Grandi prove di Bon Mardion e Roux nella tappa di Coppa del Mondo altoatesina ed exploit dell'Espoir Jacquemoud, terzo assoluto

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Kilian e Bon Mardion nel serrato testa a testa, vinto dal francese nella discesa finale

nnullata la tappa del Lagorai per mancanza di neve, la 'carovana' della Coppa del Mondo si è trasferita il 25 marzo in Alto Adige e precisamente in Val Martello con la prova individuale del Trofeo Marmotta. La manifestazione si è potuta disputare solo grazie alla caparbietà e al lavoro massacrante degli organizzatori che, nonostante la carenza di neve, sono comunque riusciti a mettere in piedi un 'signor' tracciato, degno di una tappa di Coppa del Mondo. William Bon Mardion e Laetitia Roux sono stati ancora una volta i grandi protagonisti di questo finale di stagione. Mentre in campo femminile Laetitia ha fatto gara a sé, combattuta ed entusiasmante è stata la prova maschile con un continuo rimescolamento di posizioni al vertice che ha reso avvincente la sfida. La Francia applaude anche la grande prova di Mathéo Jacquemoud, autore di una performance strabiliante che gli ha permesso di conquistare addirittura la terza posizione assoluta. Un exploit per un Espoir. La Spagna deve accontentarsi con i due secondi posti dei soliti Kilian e Mireia, mentre l'Italia esce senza podi, ma comunque protagonista con una grande prova di squadra. Giornata di sole, ma non più con temperature di stampo estivo come i giorni precedenti. La


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A sinistra. Alba De Silvestro e Giulia Compagnoni sul podio Cadette insieme alla spagnola Balet Sotto. Il 'nostro' Marco Sinicato in azione nella gara FISI

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SCOREBOARD

Classifica maschile

1. William Bon Mardion ................1h 52' 40" 2. Kilian Jornet Burgada ..............1h 53' 02" 3. Mathéo Jacquemoud ..............1h 54' 42" 4. Manfred Reichegger ................1h 55' 17" 5. Lorenzo Holzknecht .................1h 57' 29" 6. Pietro Lanfranchi .......................1h 57' 39" 7. Robert Antonioli ........................1h 58' 23" 8. Xavier Gachet ...........................1h 58' 28" 9. Martin Anthamatten ..................1h 59' 17" 10. Yannich Ecouer ......................1h 59' 44"

Classifica femminile

1. Laetitia Roux .............................1h 27' 46" 2. Mireia Mirò .................................1h 29' 39" 3. Gloriana Pellissier .....................1h 35' 50" 4. Marie Troillet ..............................1h 37' 53" 5. Maude Mathys...........................1h 38' 10"

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neve presente nella parte bassa del tracciato era davvero al limite, mentre in alto si presentava farinosa. La cronaca della gara è come sempre avvincente. Kilian è scappato in salita, Bon Mardion prima lo ha preso e poi superato in discesa. Mi sono appostato in cima al ripido canalino, pronto a gustarmi l'ultimo atto del duello. Bon Mardion è arrivato come un kamikaze alla zona cambio, è uscito velocissimo e ha anticipato Kilian di quasi due minuti. Kilian a sua volta è schizzato fuori come un forsennato e si è messo a rincorrerlo. Lo ha preso poco prima del canalino e lo ha superato a doppia velocità. Kilian ha affrontato il canalino di corsa, Bon Mardion, 'bava alla bocca', gli si è infilato dietro. Se le sono date di santa ragione, Kilian ha allungato nel tratto a piedi, ma a stupire è stato Bon Mardion che non ha ceduto, per la serie: si piega ma non si spezza. Rimessi gli sci per gli ultimi 300 metri di dislivello, che hanno salito con numerose inversioni, Kilian ci ha riprovato e si è avvantaggiato di una quarantina di secondi. Pochi, e questo Bon Mardion lo sapeva. Ecco dunque che Kilian ha preso il pendio in discesa con un 'coast to coast', Bon Mardion invece ha seguito le bandierine nella linea di massima pendenza, salutando Kilian e anticipandolo di venti secondi sul traguardo. I nostri sono racchiusi dal quarto posto di Reichegger al settimo di Robert Antonioli.

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In campo femminile, detto delle due 'extraterrestri', il terzo posto è stato appannaggio di un'altra veterana, quella Gloriana Pellissier protagonista di mille battaglie, che anche in Val Martello ha dimostrato tutta la sua classe. Se davanti hanno entusiasmato, come sempre il vero spettacolo è stato offerto dalle retrovie. Erano oltre 200 gli scialpinisti della categoria FISI che hanno colorato salite e discese del Marmotta, offrendo un colpo d'occhio fantastico. Vittoria di Follador in campo maschile e di Roberta Pedranzini in quello femminile. Al via c'erano anche i Giovani: per loro ultimo atto di Coppa del Mondo. Nella categoria Junior il tedesco Palzer sembra fare un altro sport, prende e se ne va subito: lo rivedranno solo alle premiazioni. Mostruoso! Ottima prova del 'mago' Maguet che ha conquistato un argento che vale oro. Quarto, quinto e sesto posto rispettivamente di Ferrari, Nicolini e Stradelli. I nostri ci sono, bravi ragazzi. Categoria Cadetti colorata di azzurro, con Alba De Silvestro e Giulia Compagnoni che ci hanno preso gusto con il podio: un'altra doppietta ai primi due posti. Davide Magnini, se non avesse bisticciato con la tuta all'ultimo cambio, avrebbe vinto. Invece ha rotto la cerniera, non è riuscito a togliere le pelli e lo svizzero Thomas Corthay gli è sfuggito. La laureanda Elisa Compagnoni ha vinto la categoria Espoir, per lei una conferma della crescita costante in questa stagione.

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COPPA DEL MONDO testo: Carlo Ceola foto: Carlo Ceola e Riccardo Selvatico


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Bianco e blu Lo spettacolare panorama di Tromsø, in Norvegia, dominato dal mare e dal candore accecante della neve, è stato il palcoscenico per l'incoronazione di Kilian e Roux


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COPPA DEL MONDO

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romsø, città norvegese 350 chilometri oltre il circolo polare artico, ha ospitato le finali di Coppa del Mondo di scialpinismo. 'La città dell’aurora boreale, la capitale della Lapponia, la Parigi del Nord': si sprecano gli aggettivi per descrivere questa località, ma una cosa è certa, è meravigliosa! Sorge sulle sponde di un fiordo collegato direttamente al mare di Norvegia e viene considerata la porta d’accesso al Polo Nord. Nonostante si trovi a queste latitudini il suo clima è mitigato dalla corrente del golfo. Ecco perché la temperatura più fredda mai registrata a Tromsø è di meno venti gradi. Nei mesi invernali il sole non sorge, mentre in estate è possibile ammirare il fenomeno del sole di mezzanotte. È il posto migliore al mondo per osservare l’aurora boreale e se ci vivono 60.000 persone un motivo ci sarà. Tromsø rappresenta la mecca dello scialpinismo: montagne ricoperte di neve adagiate su fiordi che non ghiacciano, un paesaggio da togliere il fiato, una regione benedetta dalla natura che qui ha voluto dare il meglio di sé. È un susseguirsi di scorci strepitosi, senza fine, un gioco di contrasti forti in una natura a

«...salendo non riuscivo a distogliere lo sguardo dal mare, ero eccitato, continuavo a fermarmi per scattare fotografie. Solitamente temo che gli atleti arrivino in vetta prima di me, se questa volta fosse successo non mi sarei disperato, lo spettacolo a cui stavo assistendo avrebbe giustificato qualsiasi ritardo...»

due colori, il bianco della neve e il blu del cielo e del mare. Il giorno dell’individuale ho messo gli sci in spiaggia e nel giro di un’ora mi sono ritrovato in vetta al Moch, una montagna incastonata tra due fiordi i cui pendii si specchiano sulle acque. Ero solo lassù, non sapevo più cosa fotografare, non avevo abbastanza occhi per fermare le immagini di quell’angolo di paradiso. Salendo non riuscivo a distogliere lo sguardo dal mare, ero eccitato, continuavo a fermarmi per scattare fotografie. Solitamente temo che gli atleti arrivino in vetta prima di me, se questa volta fosse successo non mi sarei disperato, lo spettacolo a cui stavo assistendo avrebbe giustificato qualsiasi ritardo. Quando ho visto il casco arancione di Manny sbucare dal fiordo e la sua tuta blu confondersi con le acque del mare, a stento ho trattenuto le lacrime. Kilian ripeteva «Che spettacolo», la 'Glo' invece non aveva parole, era ammutolita. Impossibile davvero restare impassibili di fronte a tanto splendore. È la forza di questo sport che, in quanto a spettacolarità, non è secondo a nessuno. Tromsø ha ospitato una due giorni dai grandi contenuti spettacolari e tecnici e si candida a ospitare i Mondiali del 2015. Nessuno potrà portarglieli via, almeno lo spero per il bene dello scialpinismo.

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1. Bon Mardion si lancia verso la discesa e la vittoria 2. Uno scorcio paesaggistico 3. Robert Antonioli con vista cattedrale 4. L'avveniristico ponte 5. Gloriana Pellissier in azione nel tratto a piedi della sprint 6. Le case affacciate sul mare 7. Elisa Compagnoni 8. Navi e neve 9. Kilian in versione cameraman con la GoPro 10. Il monumento al baleniere, uno dei simboli di Tromsø 11. Il tedesco Rottmoser nella sprint 12. Le montagne attorno al sito di gara 13. Laetitia Roux ci pensa un attimo prima di scendere e ammira il paesaggio 14. Vista notturna di Tromsø 15. Tracce nella powder norvegese 16. Foto di gruppo per la spedizione azzurra alle finali di Tromso 17. Marcel Marti in picchiata verso i fiordi 18. Grande terzo posto per Robert Antonioli 19. Cartolina da Tromsø 14

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COPPA DEL MONDO

SCOREBOARD FINALI COPPA DEL MONDO | Tromsø (Nor)

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APRILE

Sprint VINCITORI individuale Marti | Silitch

La sprint è una gara che non trova molti consensi tra gli atleti e gli addetti ai lavori perché non rappresenta il vero scialpinismo. Quella disputata a Tromsø è stata la più spettacolare della storia di questa disciplina. La location era strepitosa: un’arena ricavata nella piazza principale di Tromsø tra il fiordo e la cattedrale, con un pubblico di almeno tremila persone, alcuni direttamente accomodati in barca, altri nei tavolini dei bar o nei balconi delle abitazioni. Partenza della gara alle ore 12, a cento metri dall’hotel. Tra una batteria e l’altra veniva distribuito pane e salmone annaffiato da ottima birra, musica e tanto folklore locale. Di più non so cosa si possa pretendere. Testa a testa: dopo le qualificazioni, via ai quarti, semifinali e finali. Portiamo in finale Robert Antonioli e Manny Reichegger. Parte male Robert, con il bastoncino che affonda nella neve riportata; resta al palo. Stessa cosa dalla parte opposta dello schieramento per lo svizzero Marcel Marti. Prende la testa il tedesco Rottmoser. Ritmi impressionanti fino al cambio assetto; nel breve tratto a piedi Robert recupera e si mette in scia del battistrada. Da dietro sale come una furia Marcel Marti: cambi al fulmicotone, nei tratti a piedi e con gli sci impone ritmi indiavolati, uno showman. 'Manny' non è perfetto come di consueto e nell’ultimo cambio perde quei cinque metri che risulteranno fatali. Robert prova ad attaccare il tedesco, si batte come un leone nell’arena, alla fine sarà un grandissimo terzo posto. In campo femminile l’americana Nina Silitch vince addirittura per distacco. Prova convincente di Elena Nicolini che chiude in quinta posizione, ma è lì con le altre, se l’è giocata fino sul traguardo. La sorpresa: nessuno si sarebbe aspettato il capitano 'Manny' in finale, invece il ragazzo ha una tempra incredibile, lui ci crede sempre. Vince addirittura i quarti di finale su Bon Mardion e Anthamatten. Orgoglio ed esempio per tutti. La delusione: Jacquemoud preferisce andare a sciare e così non si presenta al via, preservando la gamba per l’individuale. Sarà forte come atleta, deve diventarlo come uomo… La curiosità: la sprint in piazza piace, un messaggio promozionale convincente per lo scialpinismo.

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individuale VINCITORI

APRILE

Bon Mardion | Mirò

La gara partiva in riva a un fiordo, a circa 30 minuti d’auto da Tromsø. La località non è stata scelta a caso, davvero un colpo d’occhio fantastico, con un susseguirsi di cime e baie, tantissima neve e un tiepido sole a illuminare la giornata. Testa a testa: 'Manny' vuol chiudere la stagione con il 'botto' e si mette in testa fin dal via. In discesa Bon Mardion lo passa, ma lui inesorabilmente in salita lo supera. Così nell’ultimo attacco al Moch le prova tutte per guadagnare secondi preziosi e si presenta solo in vetta, 'tirando' un passo incredibile. Dietro Bon Mardion transita con la bava alla bocca, Kilian è in terza posizione, più rilassato e già con le braccia al cielo. In discesa il fenomeno Bon Mardion si conferma tale, fa paura, solo lui riesce a tenere queste linee dritte su massima pendenza. Non bastano forza e tecnica, ci vuole anche un coraggio da leone. 'Manny' in discesa non vede una porta direzionale e alla fine lo penalizzeranno di ben cinque minuti, facendolo precipitare in ottava posizione, dietro a Dennis Brunod. Davvero una prova convincente la sua e primo degli italiani. In campo femminile Mireia Mirò si presenta sola in vetta con un gran margine su Laetitia Roux che in discesa addirittura la supera. Anche per lei stessa sorte di 'Manny': non vede la porta e viene penalizzata di cinque minuti, retrocedendo in seconda posizione. La sorpresa: lo svizzero Anthamatten riesce a non 'ammazzarsi' in discesa e conquista un grande terzo posto dietro all’amico Ecouer. Prove generali di Patrouille des Glaciers? La delusione: l’invisibile porta direzionale in discesa ha fatto vittime eccellenti. A 'Manny' è costata il secondo posto in classifica generale di Coppa, a Laetitia Roux la vittoria di tappa, a Kilian avrebbe potuto fare perdere la Coppa del Mondo se non avesse avuto un margine così cospicuo. Non è un multavelox, la porta direzionale va segnalata e non nascosta! La curiosità: in vetta al Moch mancava il passaggio di due italiani. Pensavo che si fossero ritirati, perché davvero restavano solo gli ultimi. Invece in penultima e terzultima posizione vedo salire le due sagome inconfondibili di Eydallin e Holzknecht. Nella prima discesa hanno sbagliato strada, avrebbero potuto ritirarsi. Invece non hanno voluto rinunciare allo spettacolo offerto dalla natura e così in vetta ci siamo fermati assieme qualche minuto a contemplare il paesaggio.

Classifica maschile

Classifica femminile

Classifica maschile

Classifica femminile

1. Marcel Marti (Sui) 2. Josef Rottmoser (Ger) 3. Robert Antonioli (Ita) 4. Manfred Reichegger (Ita) 5. Yannick Ecoeur (Sui)

1. Nina Silitch (Usa) 2. Anna Figura (Pol) 3. Emilie Gex-Fabry (Sui) 4. Laetitia Roux (Fra) 5. Elena Nicolini (Ita)

1. W. Bon Mardion (Fra) .....1h 32' 48" 2. Y. Ecoeur (Sui) ................1h 33' 39" 3. M. Anthamatten (Sui) .....1h 33' 41" 4. V. Favre (Fra) ...................1h 35' 25" 5. M. Jacquemoud (Fra) ....1h 35' 51"

1. M. Mirò (Esp) ................1h 35' 52" 2. L. Roux (Fra)................. 1h 40' 24" 3. G. Pellissier (Ita) ............1h 43' 15" 4. E. Gex-Fabry (Sui) ........1h 45' 25" 5. M. Mathys (Sui) .............1h 46' 31"

è FINITA!

Non si può dire che i valtellinesi non siano di parola! Conclusa la stagione di Coppa del Mondo, Robert Antonioli ha mantenuto la promessa di tuffarsi nel gelido mare norvegese...


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KILIAN E LAETITIA VINCONO LA COPPA DEL MONDO 2012 A Tromsø si è conclusa la Coppa del Mondo 2011-12 che ha meritatamente incoronato Kilian Jornet Burgada e Laetitia Roux. Un’altra stagione perfetta per i due fortissimi atleti che hanno saputo fare della regolarità l’arma vincente. Onore ai vinti, in particolare un grandissimo Bon Mardion che ha battuto Kilian in occasione dell’individuale agli Europei e in Val Martello, l’unico che sembra davvero in grado di impensierire il fuoriclasse spagnolo. Giù il cappello per il nostro capitano, Manny Reichegger, un terzo posto fantastico, da spellarsi le mani. Grande Italia con il quarto posto di Holzknecht, il sesto di Pietro Lanfranchi e il nono assoluto per l’Espoir Robert Antonioli. In campo femminile, detto della Roux, al secondo posto si piazza la spagnola Mireia Mirò e chiude il podio la svizzera Maude Mathys. Una garanzia Gloriana Pellissier in sesta posizione, un plauso grande così all’Espoir Elisa Compagnoni che chiude in nona posizione assoluta, appena davanti a una convincente Elena Nicolini.

Classifica finale Coppa del Mondo maschile 1. Kilian Jornet Burgada (Esp)...................................... 543 2. William Bon Mardion (Fra)......................................... 479 3. Manfred Reichegger (Ita) ..........................................473

Classifica finale Coppa del Mondo femminile 1. Laetitia Roux (Fra).................................................... 630 2. Mireia Mirò (Esp) ...................................................... 570 3. Maude Mathys (Sui)................................................. 437

IL VIDEO DEL TUFFO DI ROBERT Guarda il filmato della 'performance' di Antonioli con il tuo smartphone, inquadrando il QR code, oppure vai all'indirizzo

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EMERGENTI

Stefano Stradelli

Data e luogo di nascita: 27 luglio 1993 ad Aosta Residenza: Valtournenche/fraz. Breuil Cervinia (Ao) Peso: 64 kg Altezza: 183 cm Sci club: Corrado Gex Categoria: Junior Materiali: sci Dynastar, scarponi SCARPA, attacchi e bastoncini ATK

È

un atleta di talento, di quelli che fanno ben sperare per il futuro del nostro scialpinismo e che ha già saputo mettersi in mostra a ottimi livelli anche in campo internazionale. Ci crede Stefano, si dedica con entusiasmo al suo sport, agevolato dal fatto di vivere a Cervinia. È cresciuto sotto la spinta del cugino François Cazzanelli, da lui ha appreso molto e ha ereditato la tuta nella squadra azzurra. Difende i colori dello sci club Corrado Gex, dell’Asiva e della nazionale italiana per la categoria Junior. Marco Camandona, il suo allenatore da sempre, ci ha raccontato che Stefano, sotto il profilo tecnico, è completo, con ottima predisposizione per la discesa e grande padronanza del gesto in salita. Deve però imparare a conoscersi e a credere di più in se stesso, perché ha potenzialità inespresse e ancora un notevole margine di miglioramento sotto il profilo del rendimento e dell’ottimizzazione dell’allenamento. Un suo limite è rappresentato dall’emotività che lo porta a vivere in modo ansioso le vigilie dei grandi appuntamenti, sprecando preziose energie psico-fisiche. Ragazzo educato e disponibile, sa fare gruppo e farsi rispettare.

QUANDO LA PRIMA VOLTA CON LE PELLI?

LA GARA PIÙ IMPORTANTE CHE HAI VINTO?

IL TUO LIBRO PREFERITO?

IL TUO ALLENATORE?

LA GARA CHE VORRESTI VINCERE?

PREGI E DIFETTI?

Nel 2008 con mio cugino François Cazzanelli. Alessandro Plater.

Tour du Rutor 2011 insieme a Nadir Maguet.

QUANTI ALLENAMENTI SETTIMANALI?

Il Mezzalama: fin da bambino l’ho sempre seguita perché parte davanti a casa mia!

SALITA O DISCESA?

IL TUO CAMPIONE PREFERITO?

Sei.

Entrambe, ma mi diverto di più in discesa! Soprattutto quando vado con Nadir Maguet. PISTA O FUORIPISTA?

Fuoripista, in mezzo alla natura dove non c’è nessuno!

ALTRI SPORT?

Corsa, bici da strada e downhill. SCUOLA O LAVORO?

Purtroppo ancora a scuola! INDIRIZZO SCOLASTICO?

Istituto professionale regionale turistico. DA GRANDE FARÒ?

Si vedrà, non ho ancora progetti per il futuro.

Jean Pellissier.

UN SMS AL TUO ALLENATORE?

‘We lupo com’è? Visto che non mi ricordo, cosa devo fare oggi?’

Non sono un gran lettore di libri, ma leggo molte riviste e quotidiani. 
Sono un po’ timido, sono molto generoso e disponibile con tutti.
 PIATTO PREFERITO?

Le lasagne che fa mio papà Marino! A COLAZIONE PRIMA DI UNA GARA?

Tè, pane e marmellata di pesche. IL TUO APPROCCIO A UN GRANDE EVENTO?

HAI UN PORTAFORTUNA?

La notte prima di una gara dormo male perché sono un po’ agitato e sento molto la competizione...

I TUOI AMICI NELLO SCI?

OBIETTIVI PER LA PROSSIMA STAGIONE?

La mia collana e i miei orecchini! Penso di avere un buon rapporto con tutti, ma quelli più vicini sono i compagni del Comitato e dello sci club.

Migliorare sempre di più e piazzarmi bene nei Mondiali e nella Coppa del Mondo.

TRE CANZONI SUL TUO IPOD?

Marco Camandona, Alessandro Plater, mamma e papà e tutti quelli che mi stanno vicino.

‘Highway to Hell’ degli AC/DC, ‘No Apologies’ di Bon Jovi, ‘We Are Who We Are’ di Kesha.

GRAZIE A...


???

ph: Roby Trab

Who is CRAZY

Jkt EIGER Man


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COPPA DELLE DOLOMITI

SUPER-PIPPO

U

na protagonista annunciata e una lieta sorpresa. Si può riassumere in questa frase l’esito agonistico della ventesima edizione di Coppa delle Dolomiti, il prestigioso circuito di scialpinismo che si è sviluppato quest’anno su cinque gare, escludendo l’atto conclusivo del Palaronda Ski Alp, annullato per carenza di neve. Scontata, dunque, la vittoria finale della valtellinese Roberta Pedranzini dello sci club Alta Valtellina, che ha sfruttato al meglio la sua esperienza, aggiudicandosi la graduatoria senza particolari affanni; più combattuta e frutto di tanta costanza, culminata con la splendida vittoria alla Ski Alp Val Rendena, l’affermazione di Filippo Beccari dello Ski Team Fassa. Il trentaduenne di origini bolognesi, 'trapiantato' a Livinallongo, che quest’anno si è preparato con dedizione e costanza proprio per cercare un risultato importante, ha scritto per la prima volta il proprio nome nell’albo d’oro di uno dei più prestigiosi circuiti europei, siglando con un

trionfo la sua migliore stagione in assoluto. Abituati nelle ultime edizioni a sentenze annunciate già con una o più prove di anticipo, quest’anno abbiamo assistito a una Coppa delle Dolomiti particolarmente avvincente e ricca di interesse proprio per la grande incertezza nella graduatoria maschile. Nelle prime prove a farla da padrone era stato il valtellinese Matteo Pedergnana, poi è salito in cattedra Beccari, grazie anche alla vittoria di Pinzolo che gli ha dato un’iniezione di fiducia e la consapevolezza di poter indossare definitivamente il pettorale rosso Haglofs-Tata. Nelle ultime due prove è dovuto ricorrere a tutte le proprie energie per resistere agli attacchi del falcadino Alessandro Follador, un senatore di Coppa Dolomiti, autore di un'ottima prestazione al Trofeo Marmotta. Ma quella di Beccari non è stata l’unica lieta sorpresa del circuito, visto che in campo maschile si sono messi in evidenza nella graduatoria finale lo sloveno Nejc Kuhar, sul terzo gradino, il giudicariese Davide Galizzi, quarto assoluto, e l’altoatesino di Colle Isarco Roberto De Simone, che ha chiuso al

settimo posto, preceduto da due veterani come Riccardo Dezulian e Ivo Zulian. In campo femminile ha sorpreso la costanza e la grinta della ventottenne Federica Osler, alla sua prima stagione agonistica e capace di centrare subito un piazzamento rilevante, ottenendo il secondo posto nella classifica finale, davanti all’altoatesina Birgit Stuffer, altro volto nuovo del mondo skialp nazionale. Dal punto di vista organizzativo è stata una delle stagioni più difficili, per la carenza di neve, purtroppo un comune denominatore in questo anomalo inverno. Delle sei prove in calendario è saltata solamente l’ultima, forse la più attesa perché doveva celebrare i nuovi campioni sul campo, costringendo il direttivo del circuito a una cerimonia extra, comunque in un palcoscenico nuovo e autorevole come il 60° Trento Film Festival. «La poca neve in quota ha messo a dura prova i nostri comitati organizzatori - è stato il commento del segretario generale di Coppa delle Dolomiti Alberto Stedile -, che però hanno dimostrato grande professionalità e preparazione, riuscendo a proporre sempre percorsi alternativi in grado di fare selezione e apprezzati da tutti i concorrenti. Peccato per il PalaRonda ma, se sull’altopiano delle Pale di San Martino c’era neve in abbondanza, non c’erano le condizioni di sicurezza in discesa e un dislivello all’altezza del nome nella parte iniziale». Come spesso accade, dai momenti di difficoltà si riesce a tirar fuori


89 > ski-alp race

Filippo Beccari, portacolori dello Ski Team Fassa, si è imposto nella combattuta graduatoria maschile del circuito dolomitico, scontata la vittoria della Pedranzini tra le donne


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COPPA DELLE DOLOMITI A fianco. Da sinistra a destra. Laura Chiara Besseghini e Jennifer Senik, terze nella Pitturina Ski Race Inseparabili: Roberta Pedranzini e Francesca Martinelli vincitrici della prima prova di Coppa delle Dolomiti, la Pitturina Ski Race a coppie. Sotto. Varie fasi delle gare del circuito

SCOREBOARD Classifica ventesima Coppa delle Dolomiti Maschile

il meglio e nuove idee, come quella di prevedere d’ora in avanti sempre la premiazione finale del circuito in un momento a sé; o come l’intenzione di cercare fin dalla prossima stagione di avere una maggiore attenzione nei confronti degli 'stakanovisti' che partecipato a tutte le prove di Coppa delle Dolomiti. Per quanto riguarda invece il numero di gare, dopo alcune stagioni con addirittura nove prove in calendario, il format attuale, che si assesta sulle cinque o sei gare, è decisamente il più azzeccato. «Lo riproporremo anche nelle prossime edizioni e punteremo ancora su iniziative collaterali come il concorso fotografico 'Entra nella storia di Coppa delle Dolomiti' che ci consente di far conoscere il nostro movimento al di fuori degli addetti ai lavori». Il calendario gare della ventesima edizione di Coppa delle Dolomiti ha avuto per il secondo

anno consecutivo l’esordio con il Memorial Fabio Stedile, la competizione dedicata esclusivamente ai Giovani, che si è disputata a dicembre sul ghiacciaio Presena e che ha visto l’apertura anche alla categoria Espoir, con un numero di iscrizioni davvero inatteso. I Senior e i Master hanno iniziato a dare la caccia al pettorale rosso Haglofs-Tata l’ultima domenica di gennaio con la quarta Pitturina Ski Race, quindi a febbraio con il quarto Tour de Sas e l’ottava Ski Alp Val Rendena e a marzo con la cinquantaduesima Scialpinistica dell’Adamello e il Trofeo Marmotta, valido come prova di Coppa del Mondo. Cinque competizioni, sei se includiamo il PalaRonda, su quattro province e tre regioni diverse: Trentino Alto Adige, Lombardia, Veneto e con uno sconfinamento in Austria, visto che una piccola parte del tracciato della Pitturina Ski Race dà un ulteriore tocco di internazionalità alla Coppa delle Dolomiti.

1. Filippo Beccari (Ski Team Fassa) ...................270 2. Alessandro Follador (Dolomiti Ski Alp) ...........227 3. Nejc Kuhar (Slovenia) ......................................202 4. Davide Galizzi (Brenta Team) .........................178 5. Ivo Zulian (Bogn da Nia) ..................................144 6. Riccardo Dezulian (Bogn da Nia) ...................128 7. Roberto De Simone (Gossensass) .................125 8. Lois Craffonara (Badiasport) ...........................124 9. Valerio Pozzi (Alta Valtellina) ............................110 10. Thomas Martini (Brenta Team) ........................94 11. Ivan Antiga (Brenta Team) ...............................66 12. Alex Salvadori (Alpin Go Val Rendena)..........53 13. Alessandro Taufer (Ski San Martino) ..............48 14. Marco Del Missier (Ss Fornese)..................... 33 15. Andrea Protti (Dolomiti Ski) ..............................22 16. Mauro Bonazza (Brenta Team) .......................18 17. Nicola Calzolari (Dolomiti Ski) .........................16 18. Fabrizio Puntel (Cus Padova) .........................16 19. Andrea Mattiato (Lagorai Ski Team) ...............14 20. Valentino Dalpiaz (Brenta Team) ......................6 21. Alessandro Capovilla (Gossensass) ................6 22. Fabrizio Ferrari (Alpin Go Val Rendena).......... 5 23. Giuliano Ioriatti (L'Arcobaleno) ..........................5 24. Renè Irsara (Badiasport) ...................................5 25. Giancarlo Lira (Sc Cima Dodici) .......................5 26. Andrea Mattei (Alpin Go Val Rendena) ............5 27. Cristian Orsi (Alpin Go Val Rendena) ...............5 28. Paolo Podetti (Fondo Val di Sole) .....................5 29. Mauro Redolfi (Fondo Val di Sole) ....................5 30. Loris Casna (Brenta Team) ...............................5

Femminile 1. Roberta Pedranzini (Alta Valtellina) ................360 2. Federica Osler (L'Arcobaleno) ........................231 3. Birgit Stuffer (Gossensass) ..............................174 4. Stefanie De Simone (Gossensass) .................130


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Classe 1968, originario di Alzano Lombardo, campionissimo della mountain bike, Marzio Deho mette gli sci solo con il buio, per allenarsi. Solo che… le vince tutte!

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i piace essere scontati con un personaggio che sulle due ruote ha vinto un po’ tutto: più di 300 gare in ventitré anni di attività. Che equivale a vincere una gara al mese, tanto per intendersi. Regolare come le lune che crescono e poi calano. Uno che ha fatto dello sport una ragione di vita e che ha saputo cavalcare il fenomeno della mountain bike fin dai primordi, nei lontani anni novanta, diventando oggi quasi il guardiano del faro di questa disciplina. Ci piace essere scontati con un personaggio per cui vincere è un po’ come abbonarsi a Quattroruote, che ogni mese stai lì in poltrona ad aspettare che ti sia imbucato nella cassetta della posta, sicuro che arriverà. Ci piace essere scontati con un personaggio che mette gli sci una volta alla settimana, giusto quella mezz’ora alla sera, e per dieci edizioni si aggiudica il circuito ‘Sci e Luci nella Notte’. Uno che si è ‘guadagnato’ l’appellativo di cannibale, che gli altri se li ‘mangia’ se solo provano a stargli davanti. Ci piace pensare che i fenomeni esistano e che se hai un sogno nella vita, basta un intruglio di determinazione, assiduità e meticolosità, perché i sogni diventino realtà. Perché, in effetti, vincere una gara al mese, non è poi proprio come star lì ad aspettare che il postino ti porti il giornale a casa. E questo Marzio Deho lo sa.


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Cosa non hai vinto sulla due ruote?

«Mi mancano i Mondiali, poi bene o male ho vinto un po’ tutto. Più di trecento gare».

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Quali le gare che ti porti nel cuore?

«In Italia la Dolomiti Superbike, in Canada la Transrockies e fra le gare a tappe la Roc d’Azur in Francia».

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Quando hai iniziato con gli sci?

«Con gli sci ho iniziato ancor prima che con la bici, fin da piccolo, a sei anni. Poi a diciotto anni ho messo i miei primi sci d’alpinismo. Le prime cotte le ho prese nel Vallese, dove mi piaceva andare in gita con gli amici. Poi, passato dalla scuola MeraldiGreco, sono venuti i primi rally e ho corso un po’ con tutti i forti dell’epoca: Vescovo e Nicolini tanto per fare due nomi».

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Perché meglio la notte?

«Più che altro il ciclismo professionistico ti porta via un sacco di tempo e di giorno non ti rimangono tanti spazi per altre discipline. E così gli sci li calzo solo

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«All’inizio degli anni ‘90, in pratica quando sono arrivate le prime mountain bike in Italia, fin da subito con il numero sulle spalle».

alle nostre notturne, per fare qualche sparata! Mi piacerebbe far più gare di giorno; avrei tanto voluto partecipare a questo Tour du Rutor che mi hanno detto essere stato fantastico».

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Quando hai iniziato con la bici? E con le prime gare?

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«Pedalo e lavoro in un’azienda che produce componenti per bici».

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Cosa fai nella vita?

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Quante ore alla settimana ti alleni?

«Praticamente tutti i giorni. In inverno alla bici abbino un po’ di piscina, palestra e qualche giro sugli sci il sabato. In estate bici, bici, bici».

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Come vedi la tua vita senza sport?

«Non esiste!»

Hai mai pensato di smettere?

«Ho fatto della regolarità la mia carta vincente. L’anno scorso ho chiuso ancora al primo posto del ranking italiano di mountain bike. Non credo abbia senso pensarci, oggi».

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Obiettivi per quest’anno?

«Vestire ancora la maglia dell’Italia, che poi dovrebbe essere cosa fatta visto che al primo raduno già sono stato convocato».

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Pasta in bianco o patatine fritte?

«Pasta in bianco, ne ho appena mangiato un piatto». Acqua o vino?

«Acqua, più che altro perché il vino non mi piace tanto». Il tuo dolce preferito?

«Il gelato».

THE FREESKI COMPANY

www.movementskis.com


94 > ski-alp race

SKI-ALP SOTTO LE STELLE E IL SOLE

Gran finale all'Arp Vieille

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iornata nebbiosa per la finale del circuito 'Ski-alp sotto le stelle e il sole' 2012, ma nel complesso senza maltempo. Così lo scorso 18 marzo è andata in scena per la prima volta dopo otto edizioni la salita e la discesa dall’Arp Vieille, la gita scialpinistica più conosciuta della Valgrisenche. Ultimo atto di un circuito iniziato a dicembre 2011, con gare notturne e diurne, che è riuscito a mettere insieme le vallate e le località valdostane e piemontesi. Un plauso a Sauze d’Oulx, Doues, Ollomont, Valtournenche, Torgnon, Champorcher, Rhêmes-Notre-Dame, Saint Barthelemy, Locana, Pian del Frais e Valgrisenche (la gara di Oropa è stata purtroppo annullata) e a tutto il comitato organizzatore. Gara impegnativa quella della Valgrisenche, due salite da 800 metri e due discese: la prima brevissima, la seconda interminabile, dalla vetta dell’Arp Vieille (quota 2950 metri) alla pista di fondo di Mondange, con tanto di corsa sulla diga e di passo pattinato prima e dopo. Un ringraziamento speciale all’organizzatore Rinaldo Garin e a tutto lo staff di Valgrisenche per l’ottimo lavoro svolto per rendere sicuro e ben visibile l’impegnativo percorso di gara. Massimo Junod, Fabio Bazzana e Michel Cinesi si sono alternati al comando in salita e discesa fin dalla partenza, con continui sorpassi ma sempre nel giro di pochi secondi. Alla fine gli sci velocissimi da Massimo Junod, del Corrado Gex, hanno avuto la meglio nel tratto finale dalla diga e gli hanno regalato un vittoria meritata in 1h 43’ 11”. Una vittoria particolare perché ottenuta nella vallata di casa e per la prima volta in contemporanea con la moglie Gloriana Pellissier, come al solito protagonista della gara femminile.

La gara della Valgrisenche è stata l'ultima del circuito 'Ski-alp sotto le stelle e il sole' con competizioni in Valle d'Aosta e Piemonte, di giorno e di notte Sul podio sono saliti anche Fabio Bazzana, secondo in 1h 43’ 27” e Michel Cinesi, terzo in 1h 43’ 36”. Quarto posto per Matteo Giglio, quinto per Paolo Poli, seguito da Martino Cattaneo, Pietro Broggini, Angelo Corlazzoli, Corrado Vigitello ed Enzo Passare. Nella categoria 'over 45' vittoria di Martino Cattaneo su Giuseppe Ovrier e Federico Acquarone. Negli 'over 55' Carlo Chabod si è imposto su Pierino Stacchetti ed Eraldo Bergeretti mentre nella 'tecnica libera' la vittoria è andata a Giancarlo Costa. A partire dalle 14,30 è stata la volta della grande premiazione finale. Si è cominciato con il sorteggio di ottanta paia di guanti tecnici 'Security' per chi ha partecipato ad almeno due gare e a non più di quattro. Sono stati sorteggiati anche venti borsoni trolley della Leki tra gli atleti che hanno partecipato a cinque gare e venti tute della Camp fra chi ha preso parte ad almeno sei delle nove gare previste. C'è stato spazio infine per chi è meno fortunato: 1050 euro verranno devoluti dall’organizzazione a nome di tutti gli atleti alla Onlus Overland for Smile come contributo per le iniziative a scopo umanitario.


95 > ski-alp race

Dallo skialp... al trail Il circuito è stato sponsorizzato, tra gli altri, da Mandala Trail che organizza eventi di trailrunning e skyrunning. Dopo il Lafuma Volcano Trail (www.volcanotrail.it) del 22 aprile, il prossimo appuntamento è il 3 settembre con l'Etna Valetudo Skyrace (www.etnaskyrace. it), 26 km e 1600 m d+/d-. Dal 13 al 20 ottobre si correrà l'Amalfi Coast Trail (www.amalfitrail. it), 85 km con oltre 6500 m d+ per un totale di cinque tappe, intervallate da una giornata di relax sull'Isola di Capri. Il 3 novembre si concluderà in bellezza con Neuberg Etna Marathon (www.etnamarathon.com), 42 km e 900 m d+ tra colate laviche, pinete e crateri. www.mandalatrail.it

Dall'alto da sinistra a destra. La partenza della tappa di Valtournenche. Dennis Brunod 'in fuga' a Torgnon. Gloriana Pellissier nella gara di Doues. Fasi di gara a Locana. I due vincitori assoluti della categoria Senior. Filippo Barazzuol e il nazionale Matteo Eydallin in testa al gruppo a Sauze d'Oulx. Partenza della gara di Pian del Frais. La premiazione della gara di S. Barthelemy. Una fase della gara all'Arp Vieille

I vincitori del circuito Cadetti/Junior maschile 1. Francesco Berta 2. Erik Mus 3. Simone Tarchini

Over 45 maschile

1. Guido Ferro 2. Flavio Dalla Zanna 3. Gianni Alessio

Over 45 femminile 1. Claudia Titolo

Over 55 maschile 1. Livio Berta

Senior maschile

1. Oscar Dalbard 2. Roberto Tanotti 3. Andrea Bertolino

Senior femminile

1. Giuseppina Marconato 2. Gloriana Pellissier 3. Raffaella Miravalle


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Aziende Crazy Idea

BORN to be Crazy

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bbiamo assistito allo shooting fotografico in occasione della presentazione della nuova collezione Crazy Idea per l'inverno 2012/13. Ci aspettavamo la 'solita' presentazione in azienda, al cospetto di fotografi, importatori, clienti e rappresentanti. Crazy invece ha voluto stupire con una location fantastica, al rifugio Sunny Valley (2800 m) sopra Santa Caterina Valfurva. I modelli d’eccezione erano Michele Boscacci e Robert Antonioli, accompagnati dalle bellissime Chiara Gianola e Francesca Sambrizzi. La nuova collezione non è necessariamente rivolta al solo settore agonistico e la produzione per l’outdoor ha superato in termini di fatturato quella race. Le linee per il freeride, l’alpinismo, lo scialpinismo tradizionale, il running, la bike e la nuova 'boulder' sono sempre più apprezzate dai consumatori affezionati al marchio. La presentazione di Santa Caterina è stata l'occasione per approfondire la conoscenza di questa realtà leader nello skialp che, nonostante la crisi economica, riesce a trovare nuovi spazi e incrementare la propria quota di mercato. Un'azienda in contro tendenza perché ancora oggi produce circa il 90 per cento dei suoi capi rigorosamente in Italia. A guidare il brand valtellinese Valeria Colturi, fondatrice,

titolare e designer e il marito Luca Salini, direttore commerciale e marketing, già responsabile del Comitato FISI Alpi Centrali e, con Adriano Greco, del settore giovanile dello Sci Club Alta Valtellina, autentica fucina di campioni. Crazy Idea è nata a Bormio nel 1989 e da subito ha prodotto abbigliamento per le competizioni, dal cross country alla mountain bike, fino al running e allo scialpinismo. È soprattutto nello scialpinismo però che ha sviluppato nuovi articoli e trovato i necessari sbocchi commerciali per impegnarsi nella ricerca e nell’innovazione. Fino alla fine degli anni ’90 nessun'altra azienda produceva capi appositamente studiati per lo skialp race. All’inizio del secolo l’impegno nel settore è diventato ancora più importante con la fornitura ufficiale della neonata squadra nazionale di scialpinismo, di quella svizzera, andorrana, slovacca e di altre. Sono di questo periodo anche le prime partnership internazionali con gli atleti migliori che portano i colori Crazy sui podi delle più prestigiose gare di scialpinismo. Il team Crazy, capitanato dal francese Stephane Brosse, è arrivato a vincere Mezzalama, Pierra Menta e Patrouille des Glaciers. Soprattutto quest’ultima vittoria ha destato scalpore perché mai prima una squadra 'civile' e per di più non svizzera aveva vinto la massacrante Pdg. Dall’edizione successiva, grazie a un


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L'azienda valtellinese sta per inaugurare un nuovo stabilimento e un punto vendita a Finalborgo. Tra le novità per il 2013 la tuta a compressione muscolare per smaltire l'acido lattico

accordo con i vertici militari della Pdg, tutti gli atleti militari della Patrouille hanno vestito Crazy e l’azienda per due edizioni è diventata fornitore della manifestazione. Anche i valtellinesi Boscacci e Murada che all’inizio degli anni 2000 hanno vinto Mezzalama, Campionati del Mondo e Pierra Menta, hanno contribuito a dare lustro e visibilità al marchio. Il segreto del successo dei capi Crazy Idea per le competizioni sta nella qualità, nella ricerca e nella personalizzazione. È fondamentale la collaborazione con le aziende produttrici di tessuti per cercare di ottenere materiali specifici che abbinino tecnicità, leggerezza, capacità termica e rapida asciugatura. Il rapporto con gli atleti del Team Crazy International è un fattore determinante per la promozione del marchio e per i test dei materiali. Oggi i migliori interpreti della disciplina 'vestono Crazy' e il Team è composto da una decina di atleti che nelle ultime stagioni sono stati vittoriosi in tutte le più importanti manifestazioni. Kilian Jornet Burgada, William Bon Mardion, Florent Troillet, Martin Anthamatten, Robert Antonioli, Michele Boscacci, Valentin Favre, Mathéo Jacquemoud e Alexis Sevennec sono le star che, anche in questa stagione, hanno portato al marchio non solo vittorie e visibilità, ma soprattutto esperienze ed idee. L’ultima idea di Valeria Colturi è la tuta da gara NRG, un

prodotto ad alto contenuto tecnico con l’innovativo Energy Compression System che, grazie alla compressione muscolare, permette il facile smaltimento dell’acido lattico. L'azienda valtellinese dichiara una quota di mercato nel settore scialpinismo race attorno al 60 per cento. Nonostante questo la produzione è ancora artigianale nel senso migliore del termine: per gli sci club è possibile scegliere tessuti, colori e loghi. Da due stagioni Crazy Idea è presente anche nei migliori negozi di articoli sportivi, sia nel Nord Italia, sia in Spagna, Francia, Svizzera, Slovacchia e Corea del Sud. Inoltre i capi Crazy sono in vendita nei cinque punti vendita in Valtellina e prossimamente nel nuovo 'store' di Finalborgo (Sv), dove sarà dato ampio spazio alle collezioni trekking e arrampicata con la nuova linea Boulder, oltre ovviamente alle migliori attrezzature da arrampicata. I programmi di sviluppo dell’azienda prevedono anche una nuova sede a Tirano con un ampliamento dell'organico e una sala appositamente studiata per lo sviluppo e la ricerca, oltre alla vendita di calzature da running e da arrampicata nel punto vendita di Tirano. Crazy Idea è un’azienda giovane, dallo stile inconfondibile, che cresce anche grazie al rapporto esclusivo con i suoi clienti, dando forma alle loro aspettative. Ecco il segreto del successo...


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Aziende DYNAFIT

È mezzanotte a Zermatt quando, l’ordine del comandante delle forze militari terrestri Svizzere si propaga per le vie. È un ordine perentorio, non si può disertare è l’ordine di partire per la conquista della PDG… Eccoci qua, Lorenzo, Paolo ed io lanciati nella sfida della gara di scialpinismo più dura al mondo. Faccio un veloce re-wind, dato che il cammino di avvicinamento a questa grande impresa in realtà parte da lontano. Era autunno quando Dynafit ci propose di partecipare ad un progetto strutturato su tre campi tecnici e pratici in alcune località alpine europee coinvolgendo altri team di diverse nazioni. Conoscevo già i miei compagni Lorenzo e Paolo, ma durante questa esperienza ho avuto modo di approfondire la conoscenza, d’altronde eravamo tutti e tre concordi che certe imprese si preparano con l’allenamento ma soprattutto con il giusto spirito di squadra. Ed eccoci qua, a distanza di alcuni mesi, su due piedi e relative scarpette, sulla linea di partenza, per una gara che per gli Svizzeri è un evento di importanza nazionale, quasi religioso, a partire dal briefing, che si svolge come da tradizione proprio in chiesa! Superiamo tutte le formalità burocratiche tipicamente svizzere a partire dalla registrazione meticolosa dei materiali al limite di una crisi di nervi, per poi sistemarci alla meglio in attesa della notte più lunga dell’anno. La PDG è una corsa atipica, si parte di notte, ti tuffi nelle tenebre dei ghiacci della Tête Blanche, riemergi alle luci dell’alba e sei a metà percorso ad Arolla, per poi farti abbagliare dalla luce e dalle infinite sequenze delle cime del confine italo-svizzero, fino all’abitato di Verbier. Partiamo, la corsa di snoda attraverso l’affollatissimo boulevard di Zermatt, gremito di locali e di belle ragazze che fanno il tifo, e dalle quali inspiegabilmente fuggiamo… Buffo no? Paolo sentendosi come Ulisse cede al richiamo delle nausichee e accenna uno stop ma Lorenzo gli intima di proseguire, assisto a questa esilarante scenetta surreale, ma è il momento di concentrarsi sulla corsa, ed è proprio il caso di dirlo difatti corriamo, corriamo, corriamo per quasi un’ora, fino ad indossare gli scarponi, finalmente il gesto è quello che riconosciamo. La pendenza aumenta, siamo sul ghiacciaio, ci leghiamo. Lorenzo è il diesel, parte lento ma tiene sempre, meglio metterlo davanti, io come sempre in mezzo, come il prezzemolo e Paolo il nostro motore per ultimo, il motore posteriore non si era mai visto prima. Il vento comincia a farsi sentire, d’altronde ci avevano avvertiti, e presto si palesa lanciando il suo ululato dal cielo, scivola sui fianchi innevati, pettina le cime degli abeti e plana infine su di noi con la forza della natura più selvaggia, prima con raffiche di avvertimen-

Il nostro Tommylive ha partecipato alla PDG 2012 nel team Dynafit Italia composto da giornalisti. Ecco il suo racconto Nella foto. Il team Dynafit Italia in azione alla PDG, con il nostro Tommaso Zanotelli tra Lorenzo Scandroglio e Paolo Gregorini

SOLO LA VALANGA CI PUO' FERMARE... to e poi sempre più costante e teso. Paolo, forse ricordando l’Alaska di qualche anno prima, quando partecipando all’Idita Road si è trovato in analoghe situazioni, lancia incitamenti a non mollare, Lorenzo è lontano anche se solo dall’altro capo della corda ma la distanza è abissale e la parola non passa. La situazione è difficile, ma avanziamo, in un momento di tregua decidiamo di vestirci facendo attenzione che il vento non ci strappi dalle mani il materiale, di tanto in tanto siamo costretti a fermarci per qualche istante con i bastoncini ben piantati, ma seppur traballanti proseguiamo. Siamo nel cuore del ghiacciaio, circondati da seracchi grandi come palazzi a tre piani, ne percepisco la presenza intravedendone il profilo ma più ancora dall’odore acre che emanano dopo essere riemersi dopo millenni. Lorenzo continua, la corda è in balia del vento e mulina davanti a me senza toccare terra, finalmente giungiamo al punto di massima elevazione alla Tête Blache a 3.710 metri, dalla quale scolliniamo prima possibile verso la seconda breve salita. La discesa è al limite, una raffica ci colpisce in faccia fino a bloccarci, ci troviamo con gli sci in massima pendenza ma fermi, sono momenti

difficili ma l’unica cosa da fare e proseguire e non lasciarsi domare, il torpore e il sonno sono altri nemici da sconfiggere. Sono le tre di notte quando lancio uno sguardo all’orologio, Paolo forse da dietro mi vede e mi incita a tenere duro, leggendomi nel pensiero e sono parole che fanno bene. All’imporvviso giù in fondo alla valle si vedono luci, segno di presenza umana. È Arolla che si mostra assieme ai primi chiarori dell’alba, ci arriviamo presto e d’un tratto come per miracolo il vento si placa, giunti in prossimità del cambio uno strano assembramento di folla nella zona cambio crea qualche sospetto, Lorenzo mi guarda perplesso, e subito i nostri dubbi si sciolgono, gara sospesa ci dicono. Apprenderemo poi che una valanga si è abbattuta sul tracciato, costringendo il comando a prendere la sofferta decisione. D’un tratto entriamo in una dimensione diversa, un misto di sconforto ma non abbattimento e frustrazione. Razionalmente è giusto così, ma in fondo in fondo peccato, alla fine questa PDG ci ha lasciato l’amaro in bocca, ma la natura non si può addomesticare, il vento l’ha fatta da padrone e si è portato via la seconda parte della gara… Chissà se nel 2014 ce la restituirà, noi saremo lì.


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Aziende

GORE-TEX

GORE & La Sportiva per l’alpinismo estremo

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ore-Tex®, da sempre punto di riferimento per gli appassionati di sport outdoor, e La Sportiva, marchio leader nel mercato delle calzature tecniche da montagna, hanno collaborato alla realizzazione del nuovo scarpone da alpinismo estremo, il Batura 2.0 GoreTex®, rivoluzionario per la presenza della membrana sia sulla ghetta esterna integrata, sia all’interno dello scafo. Soluzione innovativa che garantisce un’impermeabilità, una traspirabilità e un isolamento termico senza precedenti. Il nuovo Batura 2.0 Gore-Tex®, risultato di due anni di ricerca congiunta da parte del team di ricercatori di La Sportiva e di Gore e di test sul campo, è composto dal guscio di protezione in Cordura®, altamente idrorepellente e anti abrasione, con membrana Gore-Tex® integrata nella ghetta, e dallo scafo interno in membrana Gore-Tex® Insulated Comfort, impermeabile e traspirante. Questa struttura garantisce un comfort climatico superiore, grazie al funzionamento sinergico tra le membrane e ai materiali utilizzati negli 11 strati totali che compongono la calzatura. Il sottopiede in carbonio assicura invece una leggerezza ottimale, per poter contare su una struttura e un isolamento eccellenti, ma in un volume contenuto. La cerniera termosaldata esterna è idrorepellente e rinforzata, mentre il velcro di copertura fornisce ulteriore protezione dagli agenti atmosferici, per una maggiore durata nel tempo. I test sul campo si sono svolti presso il Planica Olympic Center in Slovenia, condotti da un team di 40 guide alpine impegnate su un percorso di oltre 160 chilometri, con un dislivello di 10.700 metri in totale. Sono stati raccolti circa 250.000 dati oggettivi e soggettivi sulla durata dell’impermeabilità, sull’isolamento termico e sull’umidità e l’asciugatura. I risultati oggettivi dei test svolti dimostrano che il nuovo Batura 2.0 Gore-Tex® è impermeabile, totalmente traspirante, più isolante della versione precedente e più leggero grazie al sottopiede in carbonio. Un risultato confermato da Simone Moro, che ha testato il nuovo scarpone in condizioni estreme, fino a 6.000 metri di altezza. L’alpinista bergamasco, che lo scorso anno ha raggiunto la vetta del Gashebrum II (Himalaya), il primo a compiere l’eccezionale impresa, e che grazie alla sua impareggiabile esperienza partecipa attivamente allo sviluppo tecnico dei prodotti La Sportiva, commenta così il nuovo scarpone: «Ogni passo in più verso l’alto è uno in meno verso la cima. Batura 2.0 Gore-Tex® è il passo più alto compiuto negli scarponi da alpinismo estremo».

Il nuovo scarpone Batura 2.0 Gore-Tex® è perfettamente impermeabile, isolante e traspirante Nelle foto, dall'alto. I test di laboratorio e i test effettuati in Slovenia. Qui a lato. La Sportova Batura 2.0


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NEGOZI

testo: Claudio Primavesi FoTO: Claudio Primavesi

Urban climbing

ll Montura Shop di Torino propone, oltre ai 'soft goods' del marchio trentino, la più ampia selezione di attrezzatura per l'alpinismo. In ogni mese dell'anno e a due passi da Piazza Castello

U

no di noi. Davide Morana, responsabile del Montura Shop di Torino, sotto i portici della centralissima via Gian Battista Viotti, a due passi da Piazza Castello, è l'amico che ti consiglia quale rampone o quale piumino prendere perché prima l'ha provato o ti porta ad arrampicare a Finale Ligure per darti i primi rudimenti della materia. Non una guida, ma un compagno di cordata. «Il giovedì vado ad arrampicare con gli amici che

frequentano anche il negozio, è vero» dice il quarantaseienne con fisico atletico e venti anni di esperienza in montagna alle spalle. Nel negozio non c'è nulla per caso, ogni indumento e soprattutto ogni attrezzo è stato provato. Un 'corner' ben fornito nel cuore di Torino: potrebbe essere questo il motto del Montura Shop, aperto nel novembre del 2010. Viste le premesse a varcare la soglia del 'negozietto' all'ombra della Mole si può stare tranquilli. Le tre vetrine del piano terra e i piccoli locali ospitano soprattutto attrezzatura da arrampicata. «Sembra una ferra-

menta» dico con tono forse irriverente. «Per l'arrampicata e l'alpinismo abbiamo veramente tutto - mi risponde pacatamente Davide - e, quello che è più importante, in ogni mese dell'anno. Se uno viene a luglio o ad agosto e mi chiede un chiodo da ghiaccio, ce l'ho, come pure un piumino o un guanto in Primaloft». Una rarità per Torino. Quando si scendono le scale, si apre un altro negozio: nella vecchia cantina sono stati ricavati spazi tre volte più grandi rispetto al piano superiore. Qui, nelle viscere di Torino, c'è il regno di Davide, della moglie Roberta Benvenuto


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e di Andrea Trombetta. I grandi blocchi di gres porcellanato che formano il pavimento sembrano un'immensa parete tra le macchie di colore di pile, T-shirt, piumini, cappellini Montura, scarpe e zaini. «Abbiamo quasi tutto per la montagna, tranne sci, scarponi e Artva, il laboratorio richiederebbe troppo spazio» dice Davide. Nei 250 metri di area commerciale si può trovare dal berretto per un simpatico regalo agli abiti per l'alta quota. «Conoscevo Montura perché utilizzavo i capi di questo marchio in montagna, l'ho sempre considerata un'azienda con prodotti di grande qualità ai giusti prezzi, per questo, parlando con Roberto Giordani, è nata l'idea di uno 'shop' nel cuore di Torino». Il Montura Shop di via Gian Battista Viotti, però, propone non solo il top, ma anche qualità a diversi prezzi. «Grazie agli accordi che Alpstation fa con alcuni marchi di attrezzatura, per esempio Edelrid e Grivel, possiamo vendere la piccozza hi-tech e il prodotto valido ma a un prezzo competitivo. La qualità, però, deve sempre esserci, non vogliamo scendere a compromessi». Lo spirito di 'cordata' ha contagiato anche la politica dei prezzi: «Niente saldi, ma solo sconti sui prodotti a fine serie. Da cliente non ho mai sopportato il fatto che qualcuno potesse spendere la metà di me acquistando lo stesso piumino pochi giorni dopo». E dopo? Tutti ad arrampicare insieme!

per l'arrampicata e l'alpinismo abbiamo veramente tutto e, quello che è più importante, in ogni mese dell'anno. Se uno viene a luglio o ad agosto e mi chiede un chiodo da ghiaccio, ce l'ho, come pure un piumino o un guanto in Primaloft Davide Morana

In alto a sinistra. Davide nella sua 'ferramenta', accanto Davide Morana, Roberta Benvenuto e Andrea Trombetta. Di fianco alcuni degli scatti nello store torinese


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LA NEVE E LE VALANGHE

testo: Renato Cresta

Scritto dal vento

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Quanti giorni d’autunno e d’inverno ho passato fuori Concord, tentando di ascoltare ciò che era nel vento, per capirlo e portarlo con me (da Walden, di Henry D. Thoreau - 1854)

ccomi alla conclusione di questa stagione invernale, così povera di neve sulle Alpi che mi sembra quasi scorretto parlare di inverno. Mentre mi accingo a scrivere, sto terminando di rileggere per la terza volta Walden, ovvero Vita nei boschi di Thoreau. Dopo la frase citata nel sottotitolo, la memoria torna a quel passo in cui l’autore paragona il suo impegno di scrittore al lavoro di quell’indiano che aveva intrecciato molti cesti di vimini convinto di venderli, ma non riusciva a concludere una vendita perché non si era preoccupato di sapere se i suoi cesti potevano essere utili alle genti di Concord. Anch’io, come l’indiano, per tutto l’inverno «… ho intrecciato panieri di trama assai fine, senza preoccuparmi di farli apparire agli altri degni di essere comprati. Nondimeno avevo pensato che valesse la pena di farli …». In questo mio quinto e ultimo paniere voglio rinchiudere il vento, quel vento che, quand’ero ragazzo, mi affascinava, mi ammaliava al punto che nelle giornate ventose, che a Genova non mancano mai, fuggivo tutto solo dalla città per raggiungere il crinale dei monti. Andavo incontro al vento e vagavo solitario alla ricerca di ciò che era nel vento. Trovato il posto giusto, mi mettevo al riparo dietro un muretto o in una depressione del terreno e, mentre lasciavo che il vento mi passasse sopra, ascoltavo la sua musica. La neve era rara sui monti di Genova

e il sole la spazzava via rapidamente, ma sulle Alpi e sui gruppi montuosi più elevati degli Appennini la neve dura a lungo e il vento ha molto tempo per conversare con lei. Su questi monti non mi fermo più all’ascolto del suono del vento, osservo invece i suoi giochi con la neve. La raggiunge, l’accarezza dolcemente e le increspa il leggero abito bianco, poi l’invita a danzare, la solleva, la fa volteggiare lievemente in aria e la depone delicatamente al suolo e ancora, come nel crescendo del Bolero di Ravel, la riprende, la trascina in un turbinoso vortice e la porta via con sé. Infine, come accade sovente nella vita, l’abbandona. Il bell’abito bianco della neve è ora tutto spiegazzato, talvolta persino lacerato, ma in queste pieghe e in questi strappi si può leggere il racconto di questo suo incontro con il vento. Eccovi dunque un altro paniere, colmo delle storie d’amore tra la neve e il vento. Ai tempi delle mie prime esperienze nel mondo della neve più di uno tra i miei insegnanti ha affermato che il vento è un fabbricante di valanghe. Con il trascorrere degli anni mi sono reso conto della validità dell’affermazione e ho cercato di capire come funziona la catena di montaggio di questa fabbrica di valanghe. La materia prima è la neve, questo è ovvio, ma il vento è un incostante che cambia facilmente direzione, temperatura, velocità e durata e questo continuo variare dei parametri modifica rapidamente gli effetti.


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Direzione

Il vento esercita un’azione di prelievo dalla superficie del manto nevoso dei versanti sopra vento; la neve sollevata è tenuta in sospensione e trasportata fino a quando la velocità del vento non diminuisce; questo avviene soprattutto sui versanti sottovento, dove si deposita. Più avanti riprenderemo in esame questo argomento. È il parametro più facile da analizzare: la direzione è sempre quella di provenienza e proprio il luogo di origine può determinarne la temperatura.

Temperatura

La temperatura dell’aria controlla la temperatura della superficie del manto nevoso per non più di 20-30 centimetri sotto la superficie e, in funzione del rapporto tra temperatura degli strati di superficie e di fondo, si avvia il processo dei metamorfismi della neve. Le Alpi Liguri e Marittime sorgono a breve distanza dal Mar Ligure, quindi un vento meridionale sarà solitamente piuttosto caldo e umido, mentre un vento dai quadranti settentrionali sarà più secco e freddo. Simile, ma meno evidente, la situazione sull’Appennino Centrale: il vento giunge sempre dal mare, ma i venti che giungono dal Tirreno sono generalmente meno freddi di quelli che arrivano dall’Adriatico, che hanno sovente origine dai Balcani o, come questo inverno, addirittura dalle steppe russe. Sulle Alpi, in particolare su quelle centrali, la differenza di temperatura tra venti settentrionali e venti meridionali è meno accentuata, ma sono frequenti gli episodi di fœhn, il vento che scavalca i crinali e, durante la ricaduta verso valle, si riscalda più di quanto si è raffreddato durante la salita e spazza via ogni nube dalla Pianura Padana. Il fœhn spazza via anche la neve dai monti, e questo avviene in due

modi. Chi si trova a fondo valle lo percepisce come un vento caldo che porta rapidamente la neve a temperatura di fusione e il manto nevoso s'inumidisce o s’inzuppa d’acqua, con pericolo di distacchi. Quando la temperatura tornerà a valori negativi si avrà un processo di gelo della fase liquida di quanto è rimasto del manto nevoso e formazione di croste di ghiaccio, anche 'tirato a specchio'. Attenzione però, il fœhn è caldo quando giunge a fondo valle, ma in quota è quasi sempre un vento freddo. Il riscaldamento si aggira su un grado ogni 100 metri di perdita di quota, quindi un vento che giunge a 1.500 metri con una temperatura di + 10 gradi dopo aver scavalcato un crinale sui 3.000 metri, sullo spartiacque avrà una temperatura di - 5 gradi. Per questo motivo, lo stesso vento che umidifica e porta alla fusione le nevi di fondo valle, alle quote più elevate asciuga e priva di umidità le nevi perché la forte circolazione d’aria allontana dai grani di neve le molecole di vapor d’acqua e le disperde nell’atmosfera. Non stupiamoci se parlo di vapor d’acqua a temperature inferiori a 0 gradi: a questa temperatura un metro cubo d’aria può contenere fino a 4,9 grammi di vapore e la neve contiene molta più aria che acqua. La neve lavorata da un vento freddo diventa inerte e gessosa e gli sci s’inchiodano improvvisamente.

Velocità

La velocità pilota gli effetti di deflazione (modesta diminuzione dello spessore del manto nevoso) e di erosione (importante azione fisica di disgregazione, rimozione e trasporto). Un vento leggero (< 10 km/h) svolge solo effetti di deflazione sulle nevi fresche e leggere: ne increspa la superficie, modellandola in leggere ondulazioni, come se fosse la superficie di uno

specchio d’acqua. Se la velocità aumenta (1020 km/h) il vento fa rotolare i grani di neve e, come avviene con le sabbie del deserto, forma dune e barcane di neve. Quando vediamo queste forme sulla superficie del manto nevoso non dobbiamo preoccuparci, solo aumentare la nostra attenzione nella ricerca d’indizi che segnalino qualche attività locale di trasporto e deposito. Quando la velocità supera i 25 km/h, il vento solleva i grani di neve fino all’altezza di un paio di metri, li lascia cadere, li riprende al rimbalzo e, insieme con quelli che sono stati mobilizzati dall’impatto, li trasporta lontano, fino a qualche luogo dove, diminuita la velocità, li lascia ricadere definitivamente. Nelle zone di erosione la neve si presenta come nell'immagine in basso a sinistra. I cristalli di neve, sbriciolati dai continui impatti, sono ormai ridotti a polvere di ghiaccio che si accumula in depositi e lastroni, anche di grande estensione. Quando il vento si fa più forte (> 50 km/h) solleva la neve in quella sospensione turbolenta che è ben riconoscibile nei pennacchi e nelle nubi di neve che si alzano dai crinali. Molta neve sarà dispersa nell’atmosfera e, per sublimazione, tornerà allo stato di vapore, ma altra sarà depositata per formare nuovi lastroni sui versanti sottovento. Con questo genere di venti non è facile identificare le zone di deposito, sovente molto lontane dal crinale. Impariamo a leggere e interpretare ciò che il vento ha scritto sulla neve, potrebbe evitarci l’incidente: nelle fotografie a sinistra e in basso il vento proveniva dalla destra, nell'altra immagine dal versante opposto. Solo nei casi simili alle situazioni evidenziate a sinistra e in alto a destra si possono essere formati lastroni in qualche depressione o a valle di un cambio di pendenza. Non dimentichiamo che il vento può soffiare anche al traverso di un versante

A sinistra. Esempio di erosione eolica Sopra. Pennacchi di neve. Sotto. Barcane di neve


104 > rubriche

LA NEVE E LE VALANGHE ALCUNI ESEMPI DI ACCUMULO FASE 1

FASE 2

FASE 3

SLITTAMENTO Sotto l’effetto del vento la neve che sta in superficie comincia a muoversi

ACCUMULO Si forma un accumulo consistente dovuto al dislivello del terreno

VALANGA L’ulteriore spinta del vento fa si che l’accumulo ceda sotto al suo peso crescente

DIREZIONE DEL VENTO

TERRENO STRATO DI NEVE NEVE SMOSSA

sopravento e che, in questo caso, si possono formare depositi negli avvallamenti o nei canaloni che lo incidono (vedi foto pagina seguente e il commento successivo). Sciare su un pendio dove il vento ha depositato la neve è come muoversi su un campo minato: sappiamo che ci sono le mine, ma non sappiamo dove sono nascoste. Ricordiamoci che in un ambiente morfologicamente movimentato il vento non tiene mai una velocità costante: accelera dove trova una riduzione della sezione e rallenta dove può espandersi ed è proprio in quest’ultimo ambiente che si creano i depositi. Nei pressi di un cespuglio, un masso, un muretto troveremo sempre un accumulo: questo modesto mucchio di neve non costituisce pericolo, ma ci indica la direzione del vento e ci permetterà di comprendere che dietro la gobba, oltre il crinale, nel canalone può essersi formato un lastrone. I crinali piuttosto affilati creano una brusca caduta della velocità del vento e sono spesso orlati da cornici e queste, anche se modeste, ci segnalano la presenza di un lastrone sul pendio sottostante (si veda foto a sinistra nella pagina seguente). Sfortunatamente le cornici si formano solo sui bruschi cambi di pendenza e più difficilmente sulle dorsali ampie e arrotondate. In questi casi ricordiamoci che il vento ha comunque perso velocità e che il deposito può essersi formato a una certa distanza dal cambio di pendenza. Gli schizzi dovrebbero aiutarci a capire dove può essersi formato un deposito, un lastrone.

TERRENO STRATO DI NEVE NEVE SMOSSA

TERRENO STRATO DI NEVE NEVE SMOSSA

un esempio, purtroppo tragico: verso il mezzogiorno del 18 febbraio due scialpinisti sono stati travolti da una valanga che essi stessi hanno provocato su un pendio rivolto a sud-est del Monte Cristallo, a nord-est di Cortina d’Ampezzo. Il Bollettino emesso il giorno precedente dal Centro Valanghe di Arabba informava che il grado di pericolo era 2 e precisava «…i forti venti in quota di oggi e dei giorni scorsi hanno determinato una importante erosione della poca neve al suolo con la formazione di ampie zone erose e depositi soffici di neve ventata nelle localizzazioni sottovento… Le situazioni più critiche, per distacchi provocati di lastroni soffici da vento, sono ubicate oltre il limite del bosco… I lastroni sono poco consolidati con la vecchia neve; il pericolo è ben localizzato per la poca neve presente… saranno possibili distacchi provocati di lastroni soffici superficiali anche con debole sovraccarico (singolo sciatore)…». Un’attenta lettura di questo bollettino, che non sia limitata a prendere in considerazione soltanto il grado di pericolo, dovrebbe farci 25-50km/h 20-50 cm deposito PERICOLO VALANGHE MARCATO

50

INCREMENTO DEL DEPOSITO

Durata

La velocità del vento controlla il tipo di erosione, mentre la durata del vento controlla l’entità, il trasporto e lo spessore dei depositi. Il diagramma, basato sulle osservazioni di diversi ricercatori, ne fornisce un quadro orientativo, in funzione della velocità, per una durata di 24 ore. A questo punto il mio ultimo paniere è quasi colmo, ma resta ancora lo spazio per

DIREZIONE DEL VENTO

DIREZIONE DEL VENTO

25

Relazione tra velocità del vento e incremento del deposito

>50km/h >50 cm deposito PERICOLO VALANGHE FORTE

10-25km/h 0-20 cm deposito

10

PERICOLO VALANGHE MODERATO

comprendere che, inserite in una situazione generale che non è preoccupante, esistono situazioni critiche, ben localizzate, nella quali la nostra presenza può rappresentare quel 'debole sovraccarico' che innesca la valanga. Il processo decisionale non si è dunque concluso con la lettura di 'grado di pericolo 2 quindi si può andare', ma deve continuare fin dal momento di presa di contatto con la neve e al raggiungimento dei 'passaggi chiave'. Il passaggio chiave, in questo caso, era l’inserimento nel canalone. La fotografia a destra nella pagina seguente, scattata dalla Squadra della SAGF di Cortina, ci mostra le tracce dell’ingresso nel pendio: sono inspiegabilmente parallele e fanno ritenere che l’ingresso sia avvenuto in contemporanea, originando un elevato sovraccarico. Se osserviamo bene l‘immagine possiamo notare che, tra il cambio di pendenza e la linea di frattura, è presente una modesta cornice di neve che corre dal grande masso al margine sinistro dell’immagine ai due massi vicini alla dorsale e prosegue ancora per qualche metro. È un chiaro indizio della presenza di un lastrone nel canalone, è un segnale di pericolo che i due sciatori forse non hanno notato. Ricordiamocene almeno noi: a valle di una cornice, per modesta che sia, c’è sempre un lastrone. Statisticamente questo episodio rientrerà in quel 25 per cento d’incidenti che avvengono con grado di pericolo 2, proprio come ho anticipato nel numero precedente, in cui ho sollecitato una riflessione sulle indicazioni dei bollettini e il confronto con le informazioni che l’ambiente ci offre, un accorgimento che dovrebbe diventare un automatismo. Resta un dubbio: forse la cornice era stata notata, ma anche una buona analisi può essere seguita da una cattiva decisione; questo modo di agire rientra nella personalità dello sciatore e può portare a quelle 'trappole psicologiche' di cui ho parlato qualche tempo fa. Eccoci giunti alla conclusione di una stagione


105 > rubriche Sotto, da sinistra a destra. Una cornice e la zona di distacco dell'incidente di Cortina

mai sentito un nuovo Mosè, capace di salire su un Monte Sinai carico di neve e di discenderne con il 'Decalogo delle Valanghe'. A mio parere, la pretesa di dettare regole è un atto di presunzione che può ingannare chi, in buona fede, vuole rispettarle. Ammesso che si possa fissare anche una sola regola, questa sarebbe applicabile solo dopo che la nostra capacità di osservazione ha colto tutti gli aspetti della circostanza e il nostro spirito critico è giunto a definire la situazione. A questo punto non c’è bisogno di una regola che dica 'situazione sicura: procedi - situazione critica: rinuncia'. Per

giungere a questa decisione non servono regole, serve solo il buon senso. Nel tempo, sono stati proposti diversi metodi per organizzare il processo decisionale; ognuno di questi ha i suoi aspetti positivi ma, se li analizziamo bene, ci accorgiamo che possono essere sintetizzati in un semplice consiglio: osserva, memorizza, ragiona. Impegniamoci a osservare il territorio in cui ci muoviamo e impariamo a usare al meglio le informazioni che ne ricaviamo. Spero ci si possa tutti incontrare all’inizio della prossima stagione invernale.

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invernale che molti diranno anomala, irregolare, e che invece rientra in quella che io definisco 'la regola dell’irregolarità', che è propria della natura. La natura se ne infischia delle statistiche inventate dagli esseri umani che, dopo poco più 150 anni di osservazioni meteorologiche, pretendono di dare delle regole a fenomeni atmosferici vecchi di almeno quattro miliardi di anni. Come ho detto all’inizio, in questi mesi ho 'intrecciato panieri' nei quali ho depositato molte informazioni, qualche consiglio, nessuna regola. Nessuna regola perché non mi sono

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LETTERE ALLA REDAZIONE MAIL: skialper@mulatero.it

POSTA QUESTIONE DI TESTA Avrei da farvi due proposte... per la vostra bellissima rivista. Fino all’anno scorso facevo gare di scialpinsimo. Poi giusto un mese fa, a seguito di una frattura del collo del femore del 2008, mi sono sottoposto a protesi dell’anca. Ora la mia intenzione sarebbe quella di riprendere a fare gare (il prossimo anno) sempre che le sensazioni siano quelle giuste (per ora a 45 giorni dall’intervento cammino senza stampelle vado in bici da strada e faccio nuoto… siamo sulla buona strada). La proposta sarebbe quella di scrivere alcuni racconti/sensazioni su questa mia risalita in sella. Inoltre potrei aggiungere in questo racconto le sensazioni delle gare disputate.... se mai avverrà, ma io sono fiduciso. Nel 2008 dopo tre mesi di totale riposo, ho ripreso a correre, fare gare e ho concluso la stagione con il più bel Mezzalama (2009) della mia corta carriera. Faccio questo non perché voglio diventare famoso o altro, anzi se avverrà il mio nome sarà coperto da nickname (preferirei) ma per fare capire che a volte la vita ci mette alla prova e risalire l’ostacolo può sembrare difficile, ma con la testa si può andare oltre. Seconda proposta: sarebbe interessante fare qualche articolo su come si allena la gente comune (da fondo classifica) mettendo a confronto anche con consigli dati da persone esperte tipo preparatori atletici o ex-altleti. Per il resto che dirvi... continuate così: avete fatto una bella rivista sia per gli ‘assatanati’ come il sottoscritto, sia per lo scialpinista tradizionale. Teo Baronti Ciao Teo, ti ringrazio delle proposte, che terremo senz’altro in considerazione. Per il racconto del tuo ritorno all’attività agonistica ti consiglierei di aprire un blog. Potrebbe

essere lo strumento migliore per aggiornare quotidianamente sui tuoi progressi. Noi potremo di tanto in tanto ‘linkare’ al nostro sito o alla pagina facebook della rivista i principali post con i progressi più significativi. Facci sapere! A PROPOSITO DI SKI-ROLL Buon giorno redattori, volevo spendere due parole per la proposta pubblicata sul numero 83 da Marco Cantaloni rigurdante le gite da fare con ski-roll. Mi trovo d’accordo su quanto scritto, sarebbe un bel modo per mantenere il contatto con il gesto atletico/motorio, anche se le alternative non mancano. Mi sorge un dubbio. Gli scialpinisti non sono sempre visti di buon occhio sulle piste, se ci sorprendono le forze dell’ordine ci multano (vedi lettera di Gianluca Iavelli sempre sul numero 83), non è che risalendo su strade, anche secondarie, si rischi di incappare in divieti di transito? Non sono certo, ma i pattini a rotelle non possono viaggiare sulle strade, per cui anche gli ski-roll sono soggetti alle regole del codice della strada. Vedete un po’ voi, siete bravi in tutto e ci aiuterete come sempre. Nel caso si potesse skirollbandare (da scorribandare) non dimenticate nessuna regione e pubblicate tutte le strade percorribili! Grazie per avermi letto e buon lavoro. Aldo De Gaspari Ciao Aldo, gli ski-roll rientrano per il legislatore nella categoria dei pattini. La norma che può darti una risposta è l’art. 190 del nuovo Codice della Strada. Tale articolo ha tre commi che si occupano dell’argomento, i commi 8, 9 e 10 che così recitano: «8. La circolazione mediante tavole, pattini od altri accelera-

CONCORSO FOTOGRAFICO FERRINO Salve a tutti, voglio ringraziare tutto lo staff di Ski-Alper, nonché il servizio maketing dell’azienda Ferrino per aver scelto come foto la mia. Nel mio equipaggiamento è sempre presente un prodotto Ferrino questo grazie alla qualità ed affidabilità che l’azienda concepisce. Aver vinto questo concorso per me è una cosa meravigliosa, visto che sono amante della fotografia e della natura, davvero un ottimo binomio. Alfredo Bronda Ciao Alfredo, grazie a te per aver partecipato e complimenti per le tue belle foto.

tori di andatura è vietata sulla carreggiata delle strade. 9. E’ vietato effettuare sulle carreggiate giochi, allenamenti e manifestazioni sportive non autorizzate. Sugli spazi riservati ai pedoni è vietato usare tavole, pattini od altri acceleratori di andatura che possano creare situazioni di pericolo per gli altri utenti. 10. Chiunque viola le disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 23 a € 92». Tutto ciò di fatto limita pertanto la circolazione con gli skiroll solo alle piste predisposte (pochissime in Italia). Sull’argomento torneremo comunque in modo più esaustivo in uno specifico articolo. (Flavio Saltarelli) LA MONTAGNA AL CENTRO DELL’INTERVISTA Gentile redazione di SkiAlper, mi chiamo Tiziano, sono nato in Germania nel 1983 e sono un lettore della rivista nonchè un grande appassionato di sci alpinismo, di montagna, di corsa. Mi interesso in modo particolare alla pratica classica dello scialpinismo, strizzando un occhio anche al mondo delle competizioni, tuttavia senza prenderne parte. Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di poter frequentare persone dalla notevole esperienza che mi hanno introdotto alla pratica con le dritte giuste sin dall’inizio. Il mio campo d’azione e di apprendistato è la Val di Zoldo (o comunque l’area Bellunese), dove, a momenti alterni, vivo. Sono infatti spesso fuori valle per motivi di lavoro; opero nel settore dell’arte contemporanea, come giovane artista. Questo mi porta a passare dei periodi in luoghi urbani. Mi reputo uno scialpinista della domenica (escluse alcune salite/discese di cui vado più fiero che ho realizzato 2 anni fa), ma al contempo mi sento atipico se mi confronto col mio lavoro sebbene penso non esistano degli stereotipi fissi. Esistono dei personaggi che però si distinguono, mi viene subito in mente Lorenzo Holzknecht: mi piace e mi fa sorridere positivamente l’immagine dell’atleta che sembra un intellettuale. Mi viene in mente anche Eydalin, senza voler escludere altre persone. Ho insomma notato che con la nuova redazione, skialper si è aperta alle persone così. Alle carriere trasversali, per così dire; é diventata contemporanea, fresca, attuale, mi sembra maturata, aperta ai consigli, alle novità e alle opinioni dei lettori. Ancora più di come già era. Un atteggiamento di grande umiltà. Ed ecco che arrivo al motivo della mia mail, la quale mi imbarazza vagamente, infatti non sono solito proporre o propormi per timidezza/rispetto verso gli altri. So che in genere le cose vanno al contrario, almeno nel mondo dell’arte in cui mi muovo io. Ad ogni modo durante un lungo viaggio in treno oggi, leggendo Ski-alper, pensavo ad una possibile rubrica, ad una pagina che mi piacerebbe vedere in mezzo alla rivista. Non so se sia una cosa nuova o se sia già stata fatta. Consultando un volume sullo sci alpinismo e sci ripido nel Bellunese, ho riflettuto a lungo sulla figura dello scialpinista vero, duro e puro... Lui, il prototipo, è per me una persona schiva, poco autocelebrativo, silenzioso, solitario. Non documenta le proprie discese estreme. Le tiene ben salvate nel suo “hard disk” però. Ne parla poco volentieri, le programma anche un pò misteriosamente: non se le vuole fare rubare. Leggendo queste relazioni sui libri ci si fa un’idea del tracciato, dell’ambiente in cui si trova, ma ci si può solo affidare all’immaginazione: proprio come quando si legge un buon libro, non è come ascoltare una persona raccontare la propria storia. Per mia fortuna conosco più di una di queste persone chiave dello sci ripido nella zona in cui vivo. Oggi pensavo dentro di me alla possibilità di intervistar-


107 > rubriche

LETTERE ALLA REDAZIONE MAIL: skialper@mulatero.it

le. E vi chiedo cosa ne pensate. Ma il nocciolo dell’intervista questa volta non sarebbe il personaggio, bensì la montagna ovvero la discesa specifica. Colui che l’ha effettuata, (senza sentenziare sulla prima discesa assoluta, senza polemiche) lo schivo e modesto skialper, potrebbe condividere in questo modo le sensazioni che l’hanno accompagnato durante, prima e dopo la sua impresa, e aprirsi ai curiosi, entrando nei dettagli del caso. Mi pare anche di capire che questa tipologia di scialpinisti sono a loro volta variopinti, insomma anche uno che fa le gare il mercoledì notte ha all’attivo magari alcune prime discese assolute dietro casa di alto spessore tecnico. Si potrebbe parlare di materiali, in modo analitico, delle ore di sonno la notte prima, delle reazioni dei colleghi ecc. Insomma, mi vengono in mente molte domande curiose. Io non sono un giornalista, neanche uno scrittore e neanche una guida alpina ahimè! Escluse 4-5 discese, non vanto un curriculum scialpinistico estremo, non conosco nemmeno molte delle persone chiave, sono di una generazione che non ha nulla a che vedere con questo scialpinismo esplorativo nel bellunese, ma mi piace pensare ad un approccio diverso, trasversale appunto. E mi interessano queste persone, ma soprattutto mi interessano le discese. Le imprese, perchè molte di queste discese sono quasi eroiche, dipendono dall’innevamento, si realizzano magari ogni 4 anni. Mi piacerebbe sentire un vostro schietto parere per non

POSTA

causarvi inutili perdite di tempo. In ogni caso fedele lettore. Tiziano Martini

Tiziano, ti ringraziamo innanzitutto dei complimenti e ci fa piacere immaginare un giovane artista in viaggio in treno che legge Ski-alper e pensa a possibili rubriche da proporci. Beh, che dire… perché no? Facciamo una prova?

componenti il Direttivo in quanto ritengono che ciò sia un ostacolo per una maggiore adesione di associati. Le chiedo, se può, un parere circa le mie responsabilità qualora dovessi soprassedere a questa mia ferma richiesta del certificato nel caso in cui dovesse verificarsi un ‘incidente’ dovuto a pregresse patologie ad un associato nel corso di una escursione. Grato per quanto potrà fare, Le porgo distinti saluti. Franco Adriani

IDONEITA’ MEDICA, OPPURE NO? Egregio avvocato Saltarelli, La seguo nella sua rubrica che appare mensilmente sulla rivista Ski-Alper. Mi chiamo Franco Adriani e sono presidente di una Asd denominata Mountain Team Terminillo. La nostra associazione, che ha sede in Terminillo, non ha scopo di lucro ed ha per finalità la pratica dello scialpinismo per i propri associati. Inoltre nella stazione invernale organizziamo 2/3 gare di scialpinismo di cui una sprint in notturna; per i nostri associati abbiamo un calendario di uscite in ambiente innevato con accompagnatore ‘non qualificato’. Nella mia qualità di presidente sono molto fiscale sul fatto che ogni associato, al momento del tesseramento, debba consegnare il certificato del medico di base attestante l’idoneità alla pratica dello sport (scialpinismo) amatoriale. Questa mia fiscalità è spesso causa di contestazione da parte di alcuni

La sua fiscalità va apprezzata in quanto, secondo la migliore giurisprudenza, i certificati agonistici debbono essere conformi alla disciplina effettivamente esercitata dall’atleta in gara o quantomeno devono attestare l’idoneità rispetto ad un’attività sportiva che implica stress psicofisici analoghi a quella di fatto svolta dall’interessato. Tali certificati devono poi, ovviamente, essere attuali (durata massima un anno dalla visita). In mancanza, in ipotesi di incidente riconducibile ad una inidoneità specifica del soggetto coinvolto, il presidente dell’organismo che ha indetto la gara ne risponde penalmente per il reato - lesioni colpose o omicidio colposo - e civilmente (attraverso il risarcimento dei danni patiti). Ed è ben difficile - riscontrandosi ipotesi di colpa grave - che un’eventuale assicurazione sia disposta a rivalere l’assicurato di quanto abbia dovuto corrispondere alla persona lesa o ai suoi aventi causa. (Flavio Saltarelli)


SKI-ALPER tested

108 > materiali

PROVE SUL CAMPO testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Umberto Isman

Magellan

eXplorist 610

C

SCHEDA TECNICA* Magellan eXplorist 610 www.magellangps.com

Tipologia: ricevitore GPS Funzioni: GPS, memorizzazione traccia, bussola elettronica a 3 assi, altimetro barometrico, microfono, fotocamera digitale, altoparlante Cartografia: World Edition (rete stradale USA, Canada, Europa, Asia incluse aree urbane e rurali, laghi e fiumi), Summit Series Europa (terreni e altitudini) Display: touchscreen a colori da 3” (240 x 400 pixel) Fotocamera: si (3.2 megapixel) Alimentazione: 2 batterie AA Autonomia: 16 ore Memoria: interna 500 MB, espandibile con MicroSD Connessioni: USB Materiale: plastica/gomma/metallo Dimensioni: 128 x 65 x 37 mm Peso: 195 g Prezzo: 479,99 euro *dati dichiarati

RILEVAMENTI

Qualità costruttiva: ���������������������� ottima Autonomia: ��������������������������������������7/8 ore Peso: ������������������������� 197 g (senza batterie) 243 g (con batterie) Pro: affidabilità Contro: complicato l’utilizzo a guanti indossati

ompatto, solido e robusto, con un peso di 197 g senza batterie che, in ordine di marcia, cresce a circa 240 g, il ricevitore GPS Magellan eXplorist 610 ha tra i propri punti di forza la precisione nella determinazione della posizione, specie dell’altitudine, sebbene a prezzo di una discreta attesa per l’aggancio dei satelliti. Attesa altrettanto necessaria qualora si desideri tornare alla modalità standard dopo aver optato per il setup ‘sospensione’, pressoché irrinunciabile in quanto permette di aumentare l’autonomia del dispositivo spegnendo il display ma mantenendo attiva la registrazione delle tracce GPS. Proprio l’autonomia rappresenta una nota dolente: difficile superare le 7/8 ore. In compenso merita lodi la resistenza agli agenti atmosferici; è garantito contro gli effetti dell’immersione temporanea, ovvero per 30 minuti alla profondità di 1 metro, mettendo così al riparo da sgradite sorprese in caso di maltempo. Ricca la cartografia: sono pre-caricate sia le mappe Magellan World Edition (che includono la rete stradale di USA, Canada, Europa e Asia comprese aree urbane e rurali, laghi e fiumi) sia le mappe Summit Series Europa (con informazioni relative a terreni e altitudini). Meno convincenti la visibilità in condizioni di piena luce e la risoluzione (240 x 400 pixel) del display touchscreen a colori da 3”, così come la navigazione tra le schermate e la selezione delle opzioni, rese difficili a guanti indossati dalle ridotte dimensioni delle icone. Laborioso anche l’inserimento del blocca schermo. La funzione macchina fotografica (da 3.2 megapixel) non entusiasma sia, come accennato, per la scarsa visibilità del display, unico sistema d’inquadratura, sia per la resa poco fedele dei colori. La dotazione, infine, è essenziale: cavo USB, 2 batterie non ricaricabili e un manuale semplificato. Per consultare le istruzioni complete è necessario scaricare il file dedicato dal sito Magellan. Analoga operazione per qualsivoglia software. Quando collegato al pc, eXplorist 610 viene visualizzato come una semplice periferica di archiviazione di massa.

Compatto, robusto e ottimamente schermato dagli agenti atmosferici, il ricevitore GPS Magellan è preciso nel determinare posizione e altitudine.


109 > editor’s choice

ANTEPRIMA

Salomon Guardian 16 Il nuovo attacco da backcountry di Salomon consente di passare dalla modalità salita a quella discesa senza togliere gli sci e con la sola azione del bastoncino. Pesa 1.465 g e i valori di sgancio sono compresi tra 7 e 16 DIN

P

assare dalla modalità salita a quella discesa grazie alla sola azione del bastoncino. E senza togliere gli sci. Fantasia? Tutt’altro. Salomon Guardian 16, inedito attacco da freeride mountaineering (insignito del riconoscimento Ispo Award 2012 quale prodotto più innovativo della propria categoria), è dotato del comando Hike & Ride per commutare la fase walk in ski. Nel dettaglio, selezionata con il bastoncino l’opzione ‘Ride’, e portato l’alzatacco in posizione di riposo, è sufficiente esercitare una pressione in corrispondenza della base dell’attacco, ancorata allo sci, per bloccare la talloniera. Soluzione apprezzabile specialmente in caso di terreni impervi dove la sosta non sarebbe agevole o sicura. Qualora si desideri tornare alla modalità walk, basta premere il pulsante ‘Hike’, collocato in corrispondenza dell’estremità posteriore di Guardian 16, per liberare la talloniera, portando quindi l’alzatacco in posizione bassa, con il punto

di battuta pressoché a livello dello sci, oppure rialzata. Sviluppato per oltre tre anni in collaborazione con il Salomon Freeski Team, Guardian 16 beneficia di un assetto moderatamente rialzato (26 mm), così da favorire la stabilità e la ‘comunicazione’ con il terreno, e di una base ampia (80 mm), a tutto vantaggio della trasmissione degli impulsi alle lamine; anche in abbinamento a sci particolarmente larghi. La talloniera ha un’escursione longitudinale di 55 mm per ospitare scarponi di diverse taglie, mentre il puntale, corredato di ganasce regolabili sia in altezza sia nell’inclinazione, in modalità salita raggiunge un’angolazione sino a 90° rispetto al terreno. I valori di sgancio sono compresi tra 7 e 16 DIN, mentre il peso dichiarato si attesta a 1.465 g. Guardian 16 sarà disponibile, analogamente al ‘gemello’ Atomic Tracker 16, a partire dall’autunno. Una dimostrazione pratica del funzionamento dell’attacco francese è disponibile all’indirizzo web www.salomonfreeski.com/guardian.


110 > materiali

Prove sul campo testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Salvetti

Merelli M3D

Sono tra gli scarponi pi첫 leggeri al mondo. Realizzati con materiali avveniristici, escono dagli schemi grazie alla leva del sistema ski-walk collocata anteriormente e alla calzata posteriore. Prestazioni da race puri, ma richiedono una meticolosa personalizzazione


SKI-ALPER tested

A

l debutto di una vettura da corsa sia i piloti sia gli ingegneri sono coscienti che, allo stato grezzo, l’auto ha limitate chance di vittoria. Per quanto ‘indovinata’ e tecnologicamente evoluta, perché sfoderi prestazioni superlative necessita di un lungo e certosino lavoro di affinamento. Specie per entrare in sintonia e adattarsi quanto un vestito d’alta sartoria a chi ne stringerà tra le mani il volante. Facendo le debite proporzioni, lo scarpone Merelli M3D è una vettura da corsa al 100%. Potenzialmente letale per gli avversari grazie a una leggerezza da primato, a un’eccezionale escursione del gambetto e alla trasmissione degli impulsi assai diretta, ma solo una volta completata una meticolosa personalizzazione sulla base della morfologia dell’utilizzatore e un attento abbinamento dei componenti che ne formano la struttura. In estrema sintesi, un prodotto race dalle prestazioni top destinato ad atleti e appassionati profondamente motivati e per questo pronti ad affrontare un inevitabile periodo di rodaggio.

COME È FATTO

Base dello scafo in CarboTitanio Può essere descritto con mille aggettivi tranne uno: scontato. Lo scarpone Merelli esce dagli schemi grazie alla leva di bloccaggio del meccanismo ski-walk collocata anteriormente anziché posteriormente, quest’ultima soluzione condivisa da pressoché tutti i concorrenti, così come riproponendo la calzata posteriore, per lo più abbandonata in epoca moderna. Al contempo spopola il carbonio, ma con una ‘miscela’ di derivazione motoristica. Andando con ordine, il passaggio dalla fase di salita a quella di discesa avviene abbassando la leva metallica collocata nella parte anteriore del gambetto. Questa s’incastra in un perno posto lungo la parte sommitale dello scafo e ancorato allo stesso mediante una torretta in carbonio senza soluzione di continuità rispetto alla scocca. Nel dettaglio, il cordino elastico che passa attraverso una delle svasature

d’alleggerimento della citata leva ha l’unico scopo di mantenere questo componente in posizione rialzata durante le fasi di camminata e salita. Il cordino è ancorato al vertice del gambetto grazie a della minuteria metallica e la tensione può essere regolata mediante un classico sistema a nodo. Quanto alla leva, variandone il punto di ancoraggio al gambetto è possibile modificare l’inclinazione di quest’ultimo in base a sei diversi setup. La calzata, come accennato, è del tipo posteriore in quanto il gambetto risulta composto da due semigusci forti ciascuno di uno specifico snodo a livello dello scafo; la configurazione pressoché unanimemente adottata dai rivali prevede invece una struttura monolitica con linguettone frontale o linguette laterali a supporto della tibia. Originale anche la scelta dei materiali, dato che se lo scafo è realizzato con del ‘normale’ carbonio, il gambetto si avvale di una soluzione in fibre composite con proprietà anti vibranti mutuata dal mondo della Formula 1. In proposito, non bisogna farsi trarre in inganno dalla finitura estetica del semiguscio posteriore del gambetto, simile al Kevlar. E il bloccaggio del piede? Nessuna leva metallica per Merelli che punta piuttosto su due fasce in velcro. La chiusura a livello tibiale è affidata alla prima di queste, mentre all’interno dello scafo c’è la seconda, che funge da tirante, scongiurando il sollevamento del tallone durante l’azione. All’insegna del minimalismo la suola, o forse sarebbe meglio dire il battistrada, dato che M3D è corredato di tasselli in gomma incollati direttamente alla parte inferiore dello scafo. Parte inferiore che, specie nella sezione centrale, si avvale di un intreccio di carbonio e titanio in grado, oltre che di incrementare la resistenza alla torsione, di scongiurare le rotture. Una soluzione mutuata dal mondo dei motori: supercar del valore di oltre un milione di euro come Pagani Zonda R e Huayra si avvalgono di telai monoscocca nello stesso materiale, vale a dire CarboTitanio. Degne di lodi, in conclusione, le finiture. Superiori a rivali quali Carbonstreet e Gignoux e vicine a quanto garantito da produttori dalla vocazione decisamente meno artigianale.

A SECCO

Attenzione all’accoppiamento dei semigusci 577 grammi! Un valore da primato. Nella storia dei test di Ski-alper solo Carbonstreet Aragon K ha fatto registrare un valore inferiore (566 grammi). Ad onor del vero, però, nella taglia 27 MP; M3D in prova è invece caratterizzato dalla misura 27,5 MP. Per valutare meglio questo dato bisogna considerare che il Pierre Gignoux XP 444 si attesta a 598 grammi (27

111 > materiali

SCHEDA TECNICA* Merelli M3D

www.merelliski.it Scafo: carbonio Gambetto: composito antivibrante Mobilità gambetto: 90° Inclinazione gambetto: 37° + 6 opzioni Leve: metallica frontale per il sistema skiwalk + 2 fasce in velcro Suola: tasselli in gomma intercambiabili Scarpetta: Merelli by Gronell termoformabile Peso: 520 g (26,5 MP) Misure: da 25,5 a 29,5 MP Colori: nero/rosso *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura...................................................27,5 MP Peso*........................................................ 577 g Peso scocca*........................................... 517 g Peso scarpetta*..........................................59 g Predisposizione attacchino............................sì Destinazione d’uso.....................................race Prezzo..........................................1.400,00 euro (inclusa personalizzazione) * dati rilevati

Pro: trasmissione degli impulsi Contro: bloccaggio del tallone

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: Passo del Tonale (TN) Temperatura: da +8°C a +4°C Condizioni atmosferiche: sereno Neve: fradicia primaverile, rigelo nelle zone d’ombra


112 > materiali

Prove sul campo

MP), mentre scarpe race di alto livello quali Dynafit Dy.N.A. Evo e Scarpa Alien 1.0 fanno registrare, rispettivamente, 698 e 710 grammi; così come il full carbon La Sportiva Stratos Evo tocca quota 754 grammi. Rivali, peraltro, tutti nella taglia 27 MP. Gli scarponi Merelli si collocano quindi ai massimi livelli quanto a leggerezza e, in vista della prossima stagione, è previsto un ulteriore ‘dimagrimento’ grazie ad alcune modifiche in corrispondenza del vertice del gambetto. Al di là dei dati numerici, gli scarponi orobici hanno volumi decisamente ridotti e tutto ciò che serve per richiedere… una buona dose di pazienza. L’accesso allo scafo risulta abbastanza agevole, complice la calzata posteriore e la scarpetta priva di lacci, ma l’alloggiamento e il bloccaggio del piede impongono un certosino lavoro di personalizzazione. Non a caso gli M3D sono disponibili solamente presso le Case Merelli, punti vendita dedicati ai prodotti della ‘factory’ bergamasca dove è possibile un approfondito lavoro di boot fitting apponendo, o rimuovendo, spessori nella zona metatarsale, del tallone, dei malleoli o della tibia. In caso di polpacci particolarmente voluminosi o piante decisamente larghe, vengono assemblati scafi e gambetti di taglie diverse. Nello specifico, il nostro testatore, con un polpaccio voluminoso, ha lamentato fin da subito un discreto fastidio nella zona d’accoppiamento dei semigusci del gambetto, peraltro confermatosi sulla neve. Il bloccaggio del tallone richiede inoltre precisi interventi mediante spessori interni in gomma e neoprene, in quanto la fascia in velcro nella zona metatarsale non garantisce autonomamente una perfetta aderenza allo scafo. In sintesi, ‘infili un piede e vai’? Tutt’altro. Piuttosto ‘infili un piede e torni… a Casa Merelli’.

Work in progress Alcune fasi di personalizzazione in funzione del piede del nostro testatore, realizzate all’interno della Casa Merelli di Clusone (BG), sede dell’azienda bergamasca. Come tutti i prodotti artigianali, anche gli scarponi orobici sono in costante evoluzione e lo sviluppo s’arricchisce delle valutazioni apportate dai clienti.

Merelli Race 160 In abbinamento agli scarponi M3D abbiamo avuto modo di prendere contatto con l’evoluzione 2012 degli sci Merelli Race 160. Gli attrezzi che hanno consentito a Didier Blanc di trionfare al Mezzalama 2011 si avvalgono di un inedito materiale antivibrante per ottimizzarne il comportamento in presenza di nevi dure o artificiali. Il peso dichiarato si attesta, come in passato, a 650 grammi nell’unica misura 160 centimetri e la struttura è, da tradizione, interamente in carbonio. Sciancratura di 99/65/79 millimetri. Le prime impressioni denotano un’ottima reattività e precisione sia su placche, sia in presenza di accumuli di neve fradicia, con una stabilità degna di nota anche al crescere della velocità. Per una prova più completa e approfondita non perdete la guida all’acquisto di Ski-alper, in edicola a fine autunno.

SULLA NEVE

Eccezionale escursione del gambetto L’escursione del gambetto è eccezionale, al punto da consentire sia di tirare il passo al limite delle proprie capacità sia di correre e camminare con la massima libertà. Gambetto tanto mobile da arrivare, in alcuni casi, in battuta rispetto alla torretta che ospita il perno metallico d’incastro della leva del sistema ski-walk. Inconveniente, in ogni caso, cui Merelli ha già posto rimedio con un’evoluzione dell’M3D. Esemplare il funzionamento della citata leva di commutazione dalla salita alla discesa, esente da impuntamenti, rapida da attivare, precisa negli innesti e, contrariamente ad alcuni rivali, al riparo da indesiderati disaccoppiamenti o entrate in funzione. In discesa si apprezza il notevole sostegno garantito dal gambetto, la precisione nella trasmissione degli impulsi e la reattività. Attenzione alla scarsa imbottitura nella

zona dei malleoli, causa di arrossamenti da sfregamento. Destinata a un pubblico di atleti o appassionati preparati sia tecnicamente sia fisicamente, questa scarpa fa della rigidità una delle proprie caratteristiche distintive al punto che arretramenti, anche lievi, portano a immediate reazioni degli sci, a dimostrazione della nitidezza nella trasmissione degli impulsi. Paragonabile a uno scarpone race da sci alpino il supporto laterale che favorisce la presa di spigolo e invoglia a cimentarsi in archi di curva anche ampi, affrontati a velocità sostenuta. Rovescio della medaglia, tanta rigidità potrebbe riversarsi su articolazioni e ginocchia dell’utilizzatore in caso di neve compatta, dossi o cunette ghiacciati. Infine, un plauso alla ghetta in Nylon in corrispondenza del collo del piede che, nonostante la neve primaverile, ha impedito la penetrazione d’acqua all’interno dello scafo risultando addirittura poco bagnata al termine del test.


113 > materiali

4. Chiusura tibiale in velcro La chiusura tibiale del gambetto composto da due semigusci è affidata esclusivamente a una fascia in velcro. Assente, contrariamente alla maggioranza dei concorrenti, qualsiasi soluzione mediante gancio metallico.

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5. Calzata posteriore Il gambetto è composto da due semigusci la cui apertura agevola la fase di calzata. Nel dettaglio, si nota come l’imbottitura interna nella zona tibiale e del polpaccio sia solidale alla scocca anziché costituire, come tradizionalmente accade, la naturale estensione della scarpetta. 6. 7. Tirante interno sul metatarso Il bloccaggio del tallone nelle fasi d’azione e l’aderenza del piede alla scarpetta sono affidati a una fascia in velcro collocata internamente allo scafo, in corrispondenza del metatarso e sotto alla torretta d’incastro della leva frontale del sistema ski-walk. Gli unici indizi di questa soluzione sono rappresentati dalla parte di fibbia che fuoriesce dalla scocca, consentendo l’azione sul citato tirante, e dal fermo della stessa, posto lungo il lato opposto. 8. Ghetta sul collo del piede In corrispondenza del collo del piede è prevista una ghetta in Nylon che agevola l’escursione del gambetto e, al tempo stesso, favorisce l’alloggiamento di arti particolarmente voluminosi.

3 6 1. 2. Scarpetta da record Con un peso di 59 grammi la scarpetta in materiale espanso termoformabile utilizzata da Merelli, prodotta dall’italiana Gronell, è la più leggera al mondo. I componenti di Carbonstreet Aragon K e Pierre Gignoux XP 444 si attestano rispettivamente a 102 e 138 grammi. Caratteristica in parte dovuta al fatto che l’imbottitura in corrispondenza di tibia e polpaccio è solidale al gambetto anziché costituire il naturale prolungamento della zona metatarsale della scarpetta. Dato che consente alla Factory bergamasca di non lesinare sulla robustezza della scocca. Quest’ultima, infatti, fa registrare una massa di 517 grammi: superiore ai citati Aragon K (464 grammi) e XP 444 (460 grammi). 3. Blocchi di gomma incollati Anziché di una suola tradizionale è meglio parlare di tasselli in gomma incollati direttamente alla parte inferiore dello scafo; quest’ultima rinforzata nella parte centrale grazie all’utilizzo della lega di CarboTitanio. Pregevole, nel dettaglio, la protezione applicata alla sporgenza del tacco.

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9. 10. Leva di bloccaggio anteriore La leva che consente il bloccaggio dell’escursione del gambetto è collocata anteriormente e nelle fasi di camminata, corsa e salita è mantenuta in posizione rialzata, quindi di quiescenza, mediante un cordino elastico. La tensione di quest’ultimo, fissato al vertice del gambetto grazie a della minuteria metallica, è regolabile mediante un classico nodo. Merelli, in proposito, sta sperimentando un’evoluzione del sistema che consenta un ulteriore contenimento delle masse rinunciando alla minuteria metallica.

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114 > rubriche

FILO DIRETTO A CURA DI: Sebastiano Salvetti

Il rocker di casa Dynastar

Anima in legno e acrilico La gamma Dynastar ski mountaineering. Pierra Menta Rocker (secondo da destra a sinistra) ‘pensiona’ il grantour Alti Patrouille Des Glaciers. Rispetto a quest’ultimo cresce l’ampiezza in punta, 96 mm contro 92, mentre resta immutata la superficie sotto lo scarpone (65 mm) e si riduce la larghezza in coda da 82 a 79 mm. Raggio più contenuto: 22 m anziché 24. Peso pressoché invariato e nell’ordine dei 900 g. Confermata l’anima in Rohacell, unione di legno e acrilico.

Curvatura analoga al Pierra Menta RC La curvatura rocker di Pierra Menta Rocker deriva dal race Pierra Menta Rocker Carbon, quest’ultimo immutato rispetto al passato fatta eccezione per il peso dichiarato lievemente superiore, 720 g contro 690, e la dicitura Rocker Carbon anziché Pro Carbon. Pierra Menta Rocker è disponibile nelle misure 150, 160 e 169 cm, mentre Pierra Menta Rocker Carbon unicamente nelle lunghezze 150 e 160 cm.

Caro Ski-alper, ho scoperto durante il Tour du Rutor che i miei Dynastar Pierra Menta adottano la tecnologia rocker. Pensavo che il termine si rifacesse a un marchio e non sapevo dell’esistenza di questo tipo di sci. Premesso che mi trovo benissimo sia su nevi dure sia in pista sia in presenza di fondi soffici, volevo capire quali differenze può dare questa tecnologia, che grado di rocker ha il mio sci e cosa ne pensate. Avete avuto modo di provarlo? Nella comparativa pubblicata sul primo numero di Ski-alper (n. 80 - novembre 2011, ndr.) era recensito il Pierra Menta Pro Carbon. Enrico

Caro Enrico, la tua convinzione non era del tutto infondata. Il termine rocker è infatti sempre più in voga e viene spesso utilizzato ‘gratuitamente’, ovvero per identificare soluzioni che, con il reale concetto di rocker, hanno poco a che vedere. Quando si parla di rocker ci si riferisce alla configurazione delle aste che, alla curvatura tradizionale, ovvero all’arco positivo definito camber, predilige un andamento verso l’alto, più o meno marcato, di punta e coda rispetto alla parte centrale. Un disegno ‘a culla’ che fino a pochi anni fa appariva quanto di più lontano dallo scialpinismo, oggi invece assai di moda e declinato in diverse varianti, più o meno accentuate, che possono riguardare sia la punta sia la coda degli attrezzi, oppure unicamente la spatola. Questo è il caso, ad esempio, dei Dynastar Pierra Menta Rocker in tuo possesso, sci evoluzione del modello della scorsa stagione Alti Patrouille Des Glaciers e che condividono con i race 2012/2013 Pierra Menta Rocker Carbon sia la sciancratura sia la curvatura. Pierra Menta Rocker Carbon che, dal canto proprio, altro non sono se non… i Pierra Menta Pro Carbon eletti da Ski-alper miglior race 2011/2012. In sintesi, è cambiato

FILO DIRETTO CON LA REDAZIONE TECNICA Dubbi, problemi, richieste di chiarimenti? Per tutto ciò che riguarda la vostra attrezzatura potete contare sulla redazione tecnica di Ski-alper. Inviate una mail all’indirizzo skialper@ mulatero.it. Saremo lieti di darvi un aiuto o anche solo un suggerimento. Inoltre ogni mese sceglieremo la mail più interessante anche per gli altri lettori da pubblicare in questa rubrica.

il nome degli sci da gara Dynastar, così da includere la tanto gettonata dizione ‘rocker’, ma non la sostanza. I tuoi Pierra Menta Rocker, pertanto, hanno le stesse geometrie dei Pierra Menta Rocker Carbon e dei Pierra Menta Pro Carbon, ovvero 96/65/79 mm e raggio 22 m, e condividono anche l’estensione della curvatura ‘a culla’ per 38,5 cm dalla punta al centro dello sci. Una conformazione che favorisce, in linea teorica, il galleggiamento e l’inserimento in curva, specie in presenza di nevi impegnative. Definire il grado di rocker è difficile, in ogni caso nei modelli in oggetto appare decisamente moderato, in quanto non esiste una scala di valori condivisa che ne consenta la classificazione. Una mancanza che cesserà a partire dalla prossima stagione grazie alla guida all’acquisto di Ski-alper: abbiamo ideato un sistema di rilevamento che ci consentirà di definire oggettivamente l’incidenza del rocker sul disegno delle aste e che debutterà proprio con questa inedita pubblicazione prevista per fine autunno. Nella quale, peraltro, verranno inclusi i Pierra Menta Rocker in tuo possesso, al momento non ancora testati dal nostro staff tecnico.


SKI-ALPER tested

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ANTEPRIMA testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORI: Guido Salvetti e Niccolò Zarattini

LEGGERO COME UNA PIUMA

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elemento tecnico di maggior spicco del modello 779 Piuma è il sistema di bloccaggio a leva Flicklock che permette, con un unico gesto, la regolazione telescopica. Si compone di un meccanismo esterno a camme che, quando chiuso, comprime le sezioni dei bastoni per creare una struttura solidale. I tubi sono realizzati in ergal e zicral, leghe d’alluminio note per la resistenza meccanica e spicca la notevole estensione dell’impugnatura in neoprene, utile nei traversi. Sono forniti con rotella sia tradizionale sia dal diametro ridotto e anche nella versione con lunghezza telescopica da 110 a 130 centimetri. Ergal e zicral, ma con spessori racing, anche per 407 F: bastoni a lunghezza fissa derivati dallo sci nordico come dimostrano la punta corta ricurva, la ‘papera’ da fondo e l’assenza dell’impugnatura antiscivolo estesa. La manopola è in neoprene, con la parte superiore in fibre sintetiche.

Sulla neve

Il peso è uno dei punti di forza dei Piuma Flicklock: grazie alla massa di 188 grammi, insidiano modelli ben più costosi dotati di tubi in fibra di carbonio. Ben bilanciati, brillano per facilità e rapidità di regolazione della lunghezza. Particolarmente proficua in fase di spinta la marcata distanza della rotella dalla punta, superiore alla media di quanto offerto dai concorrenti. Solida e rifinita con cura l’estensione in neoprene dell’impugnatura. Meno eclatante il peso di 407 F, inferiore di solo 2 grammi (nella misura 130 cm) al modello a due sezioni. Un valore in ogni caso tra i migliori della categoria dei bastoni a lunghezza fissa in alluminio. Nel caso di entrambi i prodotti Gipron, infine, il lacciolo è facilmente adattabile qualora lo si accorci, risultando invece più laborioso agire in senso contrario, specie alla luce del rischio, in assenza di un fermo dedicato, di sfilare inavvertitamente il lacciolo stesso dall’impugnatura.

Abbiamo testato due modelli di punta della gamma di bastoni Gipron

SCHEDA TECNICA* Gipron 779 Piuma Flicklock

www.gipron.it Materiale tubi: ergal/zicral Sezioni: 2 Manopola: foam Punta: lunga tradizionale Lunghezza: da 125 a 145 cm Peso: n.d. Prezzo: 52,00 euro *dati dichiarati

IDENTIKIT

Peso*........................................................ 188 g Destinazione d'uso ���������������grantour/freeride mountaineering *dati rilevati Pro: leggerezza Contro: regolazione lacciolo

Bloccaggio a camme Il sistema di bloccaggio a leva Flicklock permette, con un unico gesto, la regolazione telescopica del modello 779 Piuma. Si compone di un meccanismo esterno a camme che, quando chiuso, comprime le sezioni dei bastoni per creare una struttura solidale.

SCHEDA TECNICA* Gipron 407 F

Piuma Flicklock

407 F

Punta tradizionale o corta ricurva Il modello 779 Piuma Flicklock è dotato di punta lunga e rotella tradizionali, mentre 407 F, derivato dallo sci nordico, si avvale di ‘papera da fondo’ e punta corta ricurva.

www.gipron.it Materiale tubi: ergal/zicral racing Sezioni: 1 Manopola: foam Punta: corta ricurva Lunghezza: da 110 a 145 cm ogni 5 cm Peso: n.d. Prezzo: 39,00 euro *dati dichiarati

IDENTIKIT

Peso*........................................186 g (130 cm) Destinazione d'uso ��������������������race/grantour *dati rilevati Pro: prezzo Contro: regolazione lacciolo


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PROVE SUL CAMPO testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORI: Niccolò Zarattini e Guido Salvetti

Parola d’ordine polivalenza: peso non eccessivo e 84 millimetri sotto il piede consentono ‘incursioni’ nei settori sia del grantour sia del freeride mountaineering. Portati al limite non tradiscono, specie al cospetto di nevi difficili, a patto di disporre di una buona tecnica

Dynafit

Baltoro


SKI-ALPER tested

V

eri e propri Suv delle nevi. Analogamente alle sport utility, infatti, i Baltoro rifuggono la specializzazione, puntando piuttosto sulla polivalenza e consentendo a sciatori di medio/alto livello di affrontare efficacemente ogni tipo di pendio e neve. Sono sci che esulano dalle categorie tradizionali, dato che da un lato il peso non eccessivo consente loro incursioni nei settori del grantour e dello ski-alp classico, dall’altro la larghezza di 84 millimetri sotto il piede li avvicina al freeride mountaineering. Non mirano a prestazioni estreme, privilegiando piuttosto valori quali maneggevolezza, galleggiamento e capacità di ‘emersione’ in condizioni di neve difficile. Richiedono però una buona tecnica per essere deformati e sfruttati al 100 per cento.

COME SONO FATTI

Un po’ sandwich, un po’ cap Sotto il profilo costruttivo, la struttura di Baltoro è tutt’altro che banale. Denominata 3D da Dynafit, si presenta come una via di mezzo tra sandwich e cap, oltretutto variabile in base alla sezione dell’attrezzo. Nel dettaglio, il centro sci vede la parte inferiore del fianco congiungersi con la soletta formando un angolo di 90°, mentre la parte superiore volge in una finitura tipo cap. Configurazione che in corrispondenza della tre quarti anteriore e posteriore dell’asta evolve in un cap puro, per abbracciare quindi la soluzione sandwich al 100% in punta e coda. In aggiunta, la superficie dell’attrezzo è caratterizzata da marcate nervature longitudinali a disposizione piramidale, digradanti verso le estremità, a tutto vantaggio del contenimento delle torsioni. L’anima in legno di Paulownia è rivestita sia inferiormente sia superiormente da una strato a intreccio biassiale di fibra di vetro e carbonio. Soluzione che scongiura l’effetto memoria tipico dei laminati metallici. Gli sci Dynafit non rinunciano, inoltre, alla soluzione tecnica più in voga del momento, ovvero la curvatura rocker in punta, più precisamente estesa per il 30 per cento

della lunghezza delle aste. Vale a dire che, considerando la deformazione dell’attrezzo dovuta a uno sciatore di peso medio (75 kg), la superficie di contatto risulta pari al 70 per cento della lunghezza dello sci. Un valore analogo a un ‘freeride mountaineering oriented’ quale K2 Wayback. Peculiare di Baltoro è inoltre la geometria a doppio raggio; vale a dire che analizzando singolarmente le sezioni dal centro alla punta e dal centro alla coda, si ottengono sulla carta due raggi di sciancratura differenti. Tutt’altro che scontata la finitura estetica, con la grafica sia superficiale sia lungo il lato soletta che trova la propria composizione solo una volta affiancati correttamente gli sci, consentendo di fatto la rapida identificazione dell’asta destra e sinistra.

A SECCO

Pelli Pomoca dedicate 84 millimetri sotto il piede: un valore in bilico tra gli attrezzi da freeride mountaineering (K2 Wayback, ad esempio, si attesta a 88 millimetri) e sci grantour o votati allo ski-alp classico. Un ‘ibrido’ concettualmente simile al neonato Movement Bond-X; quest’ultimo forte di una sciancratura di 119/84/108 millimetri nella lunghezza 169 centimetri contro i 115/84/102 millimetri su 167 centimetri appannaggio di Baltoro. Sci Dynafit che tradiscono immediatamente la vocazione scialpinistica grazie all’inserto in punta e alla svasatura in coda per il fissaggio delle pelli e che fanno registrare una superficie di contatto pari a 136 centimetri. Valore esiguo, sebbene i citati K2 Wayback, pur sensibilmente più lunghi (174 centimetri),

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: ghiacciaio del Presena (BS) Temperatura: da -2°C a +4°C Condizioni atmosferiche: parzialmente nuvoloso Neve: parzialmente trasformata, crosta ventata non portante

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SCHEDA TECNICA* Dynafit Baltoro

www.dynafit.it Costruzione: sandwich/cap Anima: legno di Paulownia Soletta: grafite sinterizzata Lamine: acciaio Sciancratura: 115/84/102 mm (167 cm) Raggio: 21/19 m (167 cm) Peso: 1.380 g (167 cm) Lunghezze: 149, 158, 167, 176, 183 cm *dati dichiarati

IDENTIKIT Lunghezza dichiarata ������������������������� 167 cm Lunghezza rilevata ������������������������������ 167 cm Sciancratura dichiarata ��������� 115/84/102 mm Sciancratura rilevata �����������115/83,5/101 mm Superficie di contatto �������������������������� 136 cm Superficie di portanza ���������������������1.302 cm² Raggio calcolato ���������������������������������� 18,9 m Peso dichiarato ������������������������������������ 1.380 g Peso rilevato ����������������� 1.979 g (con attacco) Destinazione d’uso ��������������������������� grantour/ ski-alp classico / freeride mountaineering Prezzo.............................................450,00 euro Attacchi abbinati ����������������������������Dynafit TLT Radical ST Baltoro Pelli abbinate ������������������� Dynafit by Pomoca Speedskin Baltoro Pro: capacità di ‘emersione’ in neve crostosa Contro: impegnativi per sciatori alle prime esperienze in ‘fresca’


118 > materiali

PROVE SUL CAMPO

non vadano oltre 134,5 centimetri. Un indizio dell’incidenza del rocker sulla struttura di questi sci. La superficie di portanza si attesta così a 1.302 cm², risentendo sia della misura relativamente corta sia, come accennato, del rocker. Per chiarire questa affermazione, basti considerare il grantour Movement Random-X. Quest’ultimo, sebbene caratterizzato da una minore larghezza sotto il piede (76 millimetri) e da una sciancratura simile (115/76/105 millimetri su 167 centimetri), a parità di lunghezza può contare su di un contatto di 145 centimetri e una portanza di 1.337 cm²: valori favoriti dalla curvatura tradizionale. Baltoro che, dal canto proprio, riscuotono lodi quanto a finiture. Spicca, in particolare, la cura costruttiva dedicata alla realizzazione dell’inserto in punta per il fissaggio delle pelli. Oltre alla protezione in metallo in corrispondenza della parte sommitale del cap, si apprezza, nel dettaglio, la depressione lungo il lato soletta che consente al top fix di non entrare in contatto con la neve, evitando inutili attriti, così come il piccolo incavo nella zona d’innesto dell’elastico che ne scongiura

1. 2.. 3. 4. Fianco variabile La struttura di Baltoro è una via di mezzo tra sandwich e cap. Il centro sci vede la parte inferiore del fianco congiungersi con la soletta formando un angolo di 90°, mentre la sezione superiore volge in una finitura tipo cap. Configurazione che in corrispondenza della tre quarti anteriore e posteriore dell’asta evolve in un cap puro, per abbracciare quindi la soluzione sandwich al 100% in punta e coda. 5. Struttura 3D La superficie è caratterizzata da marcate nervature longitudinali a disposizione piramidale, dello spessore di 1 mm, digradanti verso le estremità. 6. Soletta evocativa Lungo la soletta di una delle aste sono riportati i ‘dati tecnici’ del ghiacciaio del Baltoro e una carta topografica stilizzata del gruppo montuoso del Karakorum, in Pakistan. 7. 8. 9. Inserto in punta L’inserto in punta per il fissaggio delle pelli è caratterizzato da una protezione in metallo in corrispondenza della parte sommitale del cap e da una marcata rientranza lungo il lato soletta che consente al top fix di non entrare in contatto con la neve. Pregevole il piccolo incavo alla base della zona d’innesto che agevola il posizionamento dell’elastico e al contempo ne scongiura l’usura dovuta a sfregamenti.

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punta

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coda

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il deterioramento. In abbinamento agli sci vengono fornite pelli Pomoca presagomate, realizzate in base a specifiche Dynafit e dotate di una membrana impermeabile collocata tra pelo e superficie rivestita dal collante. Il peso dichiarato per le pelli Speedskin Baltoro in Nylon/mohair è di 225 grammi (167 centimetri); valore persino pessimistico, dal momento che alla nostra bilancia hanno fatto registrare una massa di 211 grammi (167 centimetri) al pezzo, complete di elastici e ganci metallici per il fissaggio.

SULLA NEVE

Risposta elastica vigorosa La maneggevolezza di un grantour in un corpo da freeride mountaineering. I Baltoro brillano per capacità di galleggiamento e portanza anche in condizioni di neve crostosa, difficile, dalla quale emergono facilmente grazie alla struttura tutt’altro che cedevole. Condizioni nelle quali non tradiscono: maggiore la decisione dello sciatore nell’affrontare le coltri ventate, tanto più elevate le prestazioni. Proprio la consistente

risposta elastica richiama alla mente gli attrezzi maggiormente votati al freeride, destinando i Baltoro a sciatori di medio/alto livello che vogliono un unico attrezzo per ogni utilizzo. Vale a dire per affrontare salite contraddistinte anche da marcati dislivelli e cimentarsi in discese impegnative, magari in condizioni di neve non ottimale. Gli sci in prova, nonostante solette a dir poco ‘aride’, da tempo digiune di sciolina, sono comunque risultati più agili e reattivi, specie nel corto raggio, rispetto a un modello da freeride mountaineering puro. Consentendo al contempo di ‘tirare’ curve condotte in velocità. Sci che possono pertanto ben adattarsi all’utilizzo da parte di guide alpine e accompagnatori di scialpinismo, a patto di destinarli a ski-alper non alle prime esperienze in neve fresca; questi ultimi, infatti, potrebbero accusare difficoltà nel deformarne correttamente la struttura e, conseguentemente, nel progredire tecnicamente. I Baltoro, in sintesi, garantiscono ottime prestazioni con qualsiasi condizione di pendio e neve, a patto di essere condotti da sciatori padroni di una buona tecnica.

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10. Svasature in coda Gli sci austriaci presentano apposite svasature in coda per agevolare il fissaggio dei ganci metallici delle pelli dedicate. Non mancano, inoltre, bordoni protettivi in gomma. 11. 12. Pelli dedicate I Baltoro possono essere dotati di pelli dedicate Dynafit by Pomoca Speedskin Baltoro in Nylon/ mohair, dal peso rilevato di 211 grammi nella misura 167 centimetri. Costano 155 euro complete di elastici e ganci metallici per il fissaggio. 13. Serigrafia composita La grafica superficiale trova la propria composizione solo una volta affiancati correttamente gli sci, consentendo l’identificazione dell’asta destra e sinistra.

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PROVE SUL CAMPO testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORI: Niccolò Zarattini e Guido Salvetti

Ski Trab Helmet I caschi di Trab non spiccano tanto per leggerezza quanto per stabilità di calzata, comfort e rapidità di regolazione. Costruiti con cura, possono essere accessoriati con visiera e paraorecchie dedicati

C SCHEDA TECNICA* Ski Trab Race Helmet www.skitrab.com

Calotta: policarbonato Interno: polistirene ad alta densità Aerazione: .7 fenditure superiori + 6 laterali Visiera: predisposto Ganci ferma lampada: in Nylon amovibili Peso: 240 g Omologazione: CE EN 12492 Misure: M (51-58) – L (59-62) Colori: nero/giallo *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura �����������������������������������������������M (51-58) Peso* ������� 271 g (con ganci ferma lampada) Destinazione d’uso ��������������������race/grantour Prezzo ��������������������������������������������145,40 euro *dati rilevati

Pro: calzata Contro: peso

ondividono calotta in policarbonato e rivestimento interno in polistirene ad alta densità, altresì detto polistirolo, integrati in un’unica struttura mediante fusione. Al di là della somiglianza, si differenziano in funzione della diversa destinazione d’uso. I caschi Ski Trab (realizzati dalla bergamasca Kask in base alle specifiche della factory valtellinese), sono contraddistinti da sette fenditure d’aerazione superiori e sei laterali nel caso del modello Race, quattro feritoie unicamente lungo la parte sommitale della calotta per il modello Sintesi. Differenze cui si accompagna, nel caso del prodotto a destinazione agonistica, la presenza di un rinforzo tra parte centrale esterna e interna della calotta mediante un sottile laminato metallico onde rientrare nei parametri stabiliti dalla normativa europea CE EN 12492 in materia di protezioni per l’alpinismo. Il ‘fratello’ Sintesi, invece, è privo di tale ‘intercapedine’ e rispetta i vincoli della direttiva CE EN 1077 dedicata allo sci alpino. Comuni, e amovibili grazie al fissaggio in velcro, il supporto a livello della fronte e il sistema di regolazione della taglia. Sistema, quest’ultimo, esemplare per semplicità ed efficacia: due lembi in velcro le cui estremità scorrono una entro l’altra. Tra le peculiarità condivise vi sono la possibilità di applicare, oppure togliere, i ganci fermalampada in dotazione e di montare la visiera dedicata. Operazione intuitiva che prevede la rimozione di due clip in Nylon e l’inserimento di supporti entro i quali inserire una rondella e una vite, entrambe in plastica, per il fissaggio. Identici la fibbia di chiusura a sgancio rapido

e il sottogola regolabile, corredato da un solido fermo in gomma per le estremità dei laccioli nonché da un sottile rivestimento in neoprene. Infine, entrambi i caschi Ski Trab prevedono la possibilità di applicare un paraorecchie dedicato (optional a 25,80 euro).

Sulla neve

E’ feeling a prima vista. O meglio, al primo utilizzo. Innanzitutto per le capacità auto centranti d’entrambi i modelli: qualsiasi sia la sollecitazione cui vengono sottoposti, Race e Sintesi Helmet restano sempre in asse con il capo, scongiurando fastidiose inclinazioni laterali tipiche di gran parte dei concorrenti. In aggiunta, il sistema di regolazione della taglia è quanto di più intuitivo. Quanto alle masse, con 271 g contro 281 g, valori che includono i ganci ferma lampada, Race Helmet è sì meno pesante rispetto a Sintesi, ma non si colloca tra i prodotti più leggeri del settore. 10 g di differenza che, invece, consentono al casco da grantour/ski-alp classico di rientrare nella media della categoria. Qualche critica per la visiera (optional). Non tanto per la mobilità, è anzi stabile e mantiene la posizione prescelta (2 opzioni), quanto per la curvatura pronunciata che provoca frequenti contatti con il volto. Contatti resi solo in parte meno fastidiosi dal ‘nasello’ in gomma incorporato nella lente, non esteso lungo l’intera area aderente alla pelle. Lodi, invece, quanto a fruibilità della visiera da parte dei portatori di occhiali da vista che beneficiano dell’alloggiamento interno sufficientemente ampio, così come per la protezione dall’aria garantita anche ad alta velocità.


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Race & Sintesi 1

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1. 2. Inserti traspiranti Race e Sintesi Helmet si differenziano quanto a fodera e inserti: il primo è contraddistinto da due blocchi centrali in polistirene e gomma piuma (1), il secondo da un sottile strato, sempre in gomma piuma, lungo l’intero sviluppo della calotta interna (2). Identici il supporto a livello della fronte e il rivestimento in Coolmax, fibra traspirante ricavata dal poliestere. 3. 4. Kit visiera da 32 g Per montare la visiera intercambiabile in policarbonato è sufficiente rimuovere le apposite clip laterali in Nylon e inserire (a pressione) la base del meccanismo di rotazione. Base entro la quale collocare una rondella e, oltre all’estremità della visiera, una vite di tenuta in plastica. Il kit completo pesa 32 g e costa 40,80 euro. 5. Nasello in gomma La visiera intercambiabile è realizzata in policarbonato con finitura antigraffio esterna e antiappannante interna. La svasatura centrale presenta un nasello in gomma. 6. Intercapedine metallica Il laminato metallico tra parte centrale esterna e interna della calotta del modello Race funge da rinforzo onde rientrare nei parametri sanciti dalla direttiva CE EN 12492.

2 SCHEDA TECNICA* Ski Trab SINTESI Helmet

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Calotta: policarbonato Interno: polistirene ad alta densità Aerazione: 4 fenditure superiori Visiera: predisposto Ganci ferma lampada: in Nylon amovibili Peso: 270 g Omologazione: CE EN 11077 Misure: M (51-58) – L (59-62) Colori: nero/giallo canarino *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura �����������������������������������������������M (51-58) Peso* ������� 281 g (con ganci ferma lampada) Destinazione d’uso �� grantour/ski-alp classico Prezzo ��������������������������������������������117,30 euro

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*dati rilevati

Pro: stabilità Contro: contatti tra volto e visiera

7. 8. Omologazioni diverse Il casco Race segue la direttiva CE EN 12492 e, come riportato nelle vignette lungo la parte posteriore della calotta (7), è idoneo allo ski-alp e all’alpinismo. Sintesi Helmet rispetta invece la normativa CE EN 1077: pertanto è omologato per lo sci alpino (8).

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9. Ganci ferma lampada amovibili Entrambi i caschi condividono le clip ferma lampada amovibili, dal peso di 3 g l’una, il sistema di adattamento della taglia mediante velcro e il cinturino sottogola (10) regolabile con fibbia di chiusura a sgancio rapido.

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: Passo del Tonale (BS) Temperatura: da -2°C a +4°C

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Condizioni atmosferiche: sereno


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PROVE SUL CAMPO Ski Trab Aero Lamp Ski Trab debutta nel settore delle lampade frontali. Dalla partnership con MagicShine, specialista in torce e sistemi d’illuminazione per biciclette, nasce un inedito prodotto a Led da 1.600 lumen dotato di un supporto specifico per caschi oppure per la fascia elastica in dotazione. In entrambi i casi il fissaggio avviene mediante velcro. Lungo la parte posteriore del bulbo vi sono due pulsanti destinati all’accensione e alla regolazione dell’intensità luminosa (4 livelli). Tasti forti della retroilluminazione di colore variabile in base alla carica delle batterie. L’accumulatore è composto da 4 celle ricaricabili al litio rese solidali all’interno

di un case protetto e schermato dagli agenti atmosferici mediante uno spesso rivestimento in gomma. Da una prima presa di contatto con la versione da 1.200 lumen, non commercializzata in Italia, la qualità costruttiva appare impeccabile. Specie per quanto concerne il bulbo in alluminio. I pulsanti di accensione e regolazione sono però ostici da individuare in movimento, specie a guanti indossati. Sulla neve, una volta vincolato il bulbo al relativo supporto mediante gli elastici in dotazione, è agevole fissare la lampada sia al casco, dopo aver applicato lungo la calotta una sezione adesiva con il velcro,

sia alla fascia elastica. In quest’ultimo caso, però, la stabilità del sistema è apparsa precaria, specie in discesa. La lampada in configurazione da 1.200 lumen pesa 103 g senza accumulatore, che diventano 349 g con pacco batterie e cavo di collegamento. Accreditata di un’autonomia di 2h 30’ alla massima potenza, garantisce una valida illuminazione per 2h 55’, mentre la ricarica richiede poco più di 3h. Aero Lamp viene fornita completa di fascia elastica e adattatore, anche per il casco, e sarà disponibile, oltre che con potenza di 1.600 lumen (169,90 euro), nella versione da 400 lumen (108,90 euro).

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SCHEDA TECNICA Ski Trab Aero Lamp 1.600 lm

www.skitrab.com Materiale telaio/bulbo: plastica/metallo/ gomma Sorgenti di luce: 4 Led Potenza massima: 1.600 lm* Portata alla massima potenza: > 500 m* Durata alla massima potenza: 2h 20’* Alimentazione: accumulatore ricaricabile al litio Tempo di ricarica: 3h 30’* Peso: nd. Prezzo: 169,90 euro *dati dichiarati

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1. 2. Supporto unico La lampada Ski Trab può essere abbinata al casco o alla fascia elastica dedicata grazie a un unico supporto che si fissa mediante velcro. In caso di utilizzo del casco è necessario applicare preventivamente alla calotta il lembo adesivo in dotazione, corredato di velcro lungo il profilo esterno. 3. 4. 5. Fascia elastica La fascia elastica in dotazione prevede un inserto frontale in velcro per il fissaggio della lampada. Il bulbo e il supporto sono resi solidali mediante un elastico specifico. Nella parte posteriore del bulbo vi sono i pulsanti per l’accensione e la regolazione dell’intensità del fascio luminoso.

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PROVE SUL CAMPO

testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORI: Niccolò Zarattini e Guido Salvetti

Prezzo aggressivo, maneggevolezza, rapidità nell’inversione degli spigoli e feeling immediato sono le principali doti degli sci austriaci. Non amano le alte velocità e le nevi difficili. Il peso abbastanza elevato li destina allo ski-alp classico

Hagan X-Carbon V alue for money. Espressione inglese traducibile con ‘ottimo rapporto qualità prezzo’. Oppure, nel caso di X-Carbon, come ‘valgono ogni euro speso’. Tradizionali quanto a struttura e materiali, gli sci Hagan beneficiano di una ‘spolverata’ di modernità rappresentata dalla curvatura rocker in punta e dalla larghezza sotto al piede di 75 mm, lievemente superiore alla media della categoria. Soddisfacenti la maneggevolezza e la reattività in archi di curva brevi, ma la

struttura non molto rigida va in affanno in condizioni di neve difficile e ad alta velocità. Ideali per donne e soggetti esili, così come per sciatori in evoluzione, a causa del peso abbastanza elevato non si rivolgono tanto ai grantour quanto allo ski-alp classico, ovvero a escursioni giornaliere di medio livello con salite dal profilo altimetrico non proibitivo.

COME SONO FATTI

Rocker moderato Le soluzioni costruttive, prese singolarmente, sono tradizionali. Moderno è piuttosto l’abbinamento tra di esse. Gli sci Hagan

si caratterizzano infatti per una struttura a metà strada tra sandwich e cap nella parte centrale. Più precisamente, la zona (estesa per 60 cm) in corrispondenza del piede vede la parte inferiore del fianco congiungersi con la soletta formando un angolo di 90°, mentre la parte superiore adotta una finitura cap. Configurazione che in corrispondenza della punta e della coda delle aste evolve in un cap puro. L’anima in legno è rivestita sia inferiormente sia superiormente da un laminato in fibra di vetro, mentre in corrispondenza delle lamine sono inseriti degli elastomeri a sviluppo longitudinale lungo


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PROVE SUL CAMPO

SCHEDA TECNICA* Hagan X-Carbon

www.hagan-ski.com Costruzione: sandwich/cap Anima: legno Soletta: grafite sinterizzata Lamine: acciaio Sciancratura: 112/75/100 mm (163 cm) Raggio: 16,0 m (163 cm) Peso: 1.270 g (163 cm) Lunghezze: 147, 155, 163, 170 cm

IDENTIKIT

*dati dichiarati

Lunghezza dichiarata ����������������������� 163 cm Lunghezza rilevata ������������������������� 162,9 cm Sciancratura dichiarata ����������112/75/100 mm Sciancratura rilevata ���������������111/74/99 mm Superficie di contatto ��������������������� 132,7 cm Superficie di portanza �������������������1.188 cm² Raggio calcolato ���������������������������������14,2 m Peso dichiarato ���������������������������������� 1.270 g Peso rilevato ��������������������������� 1.288 -1.276 g Destinazione d’uso ��������������� ski-alp classico Prezzo ������������������������������������������248,00 euro Attacchi abbinati: ����������������������ATK Race RT Pro: reattività nel corto raggio Contro: capacità di ‘emersione’ in neve crostosa

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: ghiacciaio del Presena (BS) Temperatura: da -2°C a +4°C Condizioni atmosferiche: parzialmente nuvoloso Neve: parzialmente trasformata, crosta ventata non portante


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1. Svasature in coda Le svasature in coda agevolano il fissaggio di pelli lunghe quanto gli sci e corredate da ganci metallici per il bloccaggio.

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2. Punta ‘pulita’ La vocazione scialpinistica non è immediatamente palese a causa dell’assenza di fori o inserti in punta per il fissaggio delle pelli; per l’utilizzo di queste ultime è necessario ricorrere a un tradizionale sistema a gancetto.

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3. 4. 5. Fianco double face La struttura si caratterizza per l’abbinamento delle soluzioni sandwich e cap nella parte centrale dell’attrezzo. La zona (estesa per 60 cm) in corrispondenza del piede vede la parte inferiore del fianco congiungersi con la soletta formando un angolo di 90°, mentre la parte superiore adotta una finitura cap. Configurazione che in punta e coda evolve in un cap puro.

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l’intera lunghezza degli sci, con la funzione sia di smorzare le vibrazioni sia di assorbire eventuali impatti. Secondo tradizione la soletta in grafite sinterizzata ad alto peso molecolare, così come le lamine in acciaio. Più che la costruzione, sono geometria e curvatura a guardare alle tendenze del momento. In primis la larghezza sotto al piede, dal momento che con 75 mm contro, ad esempio, i 71 mm del più leggero grantour Hagan X-Ultra, X-Carbon privilegia portanza, galleggiamento e facilità d’utilizzo rispetto alla ricerca esasperata del contenimento delle masse. Allineandosi in questo modo, sia per destinazione d’uso sia per sciancratura (112/75/100 mm su 163 cm) a modelli dalle inclinazioni più turistiche che race quali Dynafit Broad Peak (112/74/96 mm su 167 cm) e Dynafit Seven Summits (113/78/100 mm su 163 cm). In seconda battuta, gli sci austriaci adottano una lieve

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curvatura rocker in punta, estesa per il 25% della lunghezza delle aste. Vale a dire che, considerando la deformazione degli attrezzi dovuta a uno sciatore di peso medio (75 kg), la superficie di contatto risulta pari al 75% della lunghezza degli sci.

A SECCO

Superficie di portanza contenuta La vocazione scialpinistica non è immediatamente palese a causa dell’assenza di fori o inserti in punta per il fissaggio delle pelli. Unica concessione in tal senso, la presenza in coda di protezioni in Nylon e svasature per agevolarne il bloccaggio. Quanto al peso, con una media di 1.282 g nella misura 163 cm gli sci austriaci non sono tra i più leggeri sul mercato, risultando anzi più pesanti rispetto allo standard della categoria grantour (1.000/1.100 g). Elan Alaska, miglior

grantour 2011-2012 in base ai nostri test, fa sì registrare una massa di 1.320 g, ma nella lunghezza 170 cm, mentre best seller quali Movement Random-X e Ski Trab Duo Sint Aero si attestano rispettivamente a 899 g su 167 cm e 1.065 g su 171 cm. X-Carbon è quindi un plinto di granito? Tutt’altro. Va piuttosto inquadrato correttamente, ovvero come uno sci per lo ski-alp classico, votato all’utilizzo non esasperato. S’avvicina infatti a prodotti di simile estrazione quali Dynafit Seven Summits (1.225 g su 170 cm), Black Diamond Guru (1.240 g su 167 cm) e Völkl Mauja (1.250 g su 170 cm), pur facendo registrare una massa sempre lievemente superiore. Parliamo, come accennato, di peso medio, in quanto vi è una lieve differenza tra un’asta e l’altra: 1.288 g contro 1.276 g. Discrepanza accettabile anche alla luce delle ridotte tolleranze, nell’ordine del mm per difetto, per quanto riguarda lunghezza e misure caratteristiche. La superficie di portanza, infine, si attesta a 1.188 cm²: un valore decisamente contenuto, sul quale incide, più che il rocker, la ridotta lunghezza degli sci in prova. I Dynafit Seven Summits, ad esempio, nella misura 170 cm possono contare su 1.330 cm², mentre i Dynafit Broad Peak, anch’essi caratterizzati da geometrie simili, vantano 1.255 cm² su 167 cm.

SULLA NEVE

Strizza l'occhio alle donne Gli sci austriaci sono intuitivi, facili da interpretare, destinati a sciatori di medio livello o in evoluzione che desiderano cimentarsi in escursioni non troppo impegnative. In presenza di nevi crostose la struttura poco rigida denota alcuni limiti non aiutando in fase di ‘emersione’, richiedendo anzi un discreto impegno onde svincolare l’attrezzo. Se utilizzati da sciatori in possesso di forza e di una buona/ottima tecnica denotano alcune lacune, non riuscendo sempre a rispondere con prontezza e nitidezza agli impulsi. In compenso si adattano perfettamente a persone dalla corporatura minuta, specie donne, grazie al feeling pressoché immediato, alla risposta elastica tutt’altro che violenta e alla progressività nella deformazione della struttura. Il meglio lo offrono in sequenze di curve strette, dove brillano per rapidità in inserimento, grazie anche alla curvatura moderatamente rocker in punta, reattività nell’inversione degli spigoli e maneggevolezza. Non amano, invece, le alte velocità. Qualora condotti in archi di curva ampi affondando sull’acceleratore, la struttura discretamente cedevole non garantisce un solido appoggio tendendo anzi a scappare sotto il piede e a torcere in punta. In sintesi, un modello da ski-alp classico: tranquillo, maneggevole, facile da utilizzare, senza fronzoli. Proposto a un prezzo da discount.


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PROVE SUL CAMPO testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Alain Seletto

Garmont Cosmos


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Il nuovo quattro ganci di Garmont spicca per leggerezza e conferma l’indole polivalente. Brilla per fedeltà nella trasmissione degli impulsi ed efficacia in fase di camminata. L’escursione non particolarmente generosa del gambetto, però, ne condiziona la scelta per un utilizzo grantour

C

osmos in greco antico significa ‘ordine’ e nel linguaggio scientifico identifica l’universo, la totalità. In termini scialpinistici, la polivalenza. Proprio la duttilità è l’obiettivo del nuovo modello Garmont, caratterizzato da una lodevole leggerezza per uno scarpone a quattro ganci. Se il peso strizza l’occhio ai grantour, non altrettanto si può dire della mobilità del gambetto, non particolarmente ampia. La precisione nella trasmissione degli impulsi e il solido supporto sia frontale sia laterale lo rendono adatto al freeride mountaineering, mentre ‘comfort’ è la parola d’ordine in fase sia di calzata sia di camminata. In sintesi, non tradisce il proprio nome, rivelandosi polivalente e sfruttabile in ogni condizione, a patto di privilegiare la discesa rispetto alle lunghe salite.

COME SONO FATTI

Scocca in plastica Derivano concettualmente dal ‘fratello’ Radium, punta di diamante della precedente gamma a quattro ganci, dal quale si discostano innanzitutto per il materiale della scocca, realizzata in Grilamid, polimero idrorepellente immune dagli sbalzi di temperatura e resistente agli urti, anziché in Pebax. Entrambe sono varianti della plastica, più precisamente del Nylon (poliammide), con la prima però più rigida e sensibile alla trasmissione degli impulsi. La scocca si caratterizza inoltre per le marcate nervature di rinforzo lungo gambetto e scafo. Nervature dello scafo che, in particolare, vedono collocati al proprio vertice i punti d’innesto delle leve per il bloccaggio del piede. Leve dello scafo disposte, analogamente a Radium, con

un orientamento inverso rispetto ai ganci lungo il gambetto e forti del design Wide & Easy Open by Garmont. Si tratta di una conformazione ad arco che ne facilita la chiusura abbinata a una molla incorporata che, una volta aperte, le solleva lontano dalle rastrelliere, scongiurando interferenze in fase di calzata. Le leve, nel dettaglio, sono realizzate in magnesio ed ergal e arricchite dalla regolazione micrometrica. Una soluzione mutuata dai modelli destinati allo sci alpino, al pari della possibilità di adattare il canting, ovvero l’inclinazione laterale del gambetto. Il meccanismo ski-walk, anziché a sbalzo come per Radium, è incassato. Il passaggio dalla configurazione discesa a quella salita, e viceversa, è affidato a una levetta che, ruotando rispettivamente verso il basso o verso l’alto, libera oppure vincola il gambetto a un’asta in metallo, parzialmente a vista. Asta che, nella modalità walk, scorre all’interno del gambetto, separata dalla scarpetta da una protezione in plastica. La scarpetta Garmont EZ Fit PowerLite è termoformabile al 100 per cento, la parte esterna è realizzata in Lycra, fibra elastica in poliuretano. Tra le particolarità ci sono la possibilità di personalizzazione mediante lacci, una membrana elastica nella zona metatarsale per fasciare il piede senza creare pressioni e il rivestimento a T (in Nylon) del linguettone in corrispondenza della zona d’appoggio tibiale. Il sostegno anteriore può inoltre contare su di una fascia in velcro da 40 millimetri. Degni di nota il sottopiede estraibile corredato di un rivestimento antishock in corrispondenza del tallone e la suola in gomma bimescola realizzata dalla specialista italiana Vibram su specifiche Garmont, estesa lungo l’intero arco plantare.

SCHEDA TECNICA* Garmont Cosmos

www.garmont.com

Scafo: Grilamid (plastica) Gambetto: Grilamid (plastica) Mobilità gambetto: 60° Inclinazione gambetto: 11,5°, 13° Leve: 4 micrometriche + fascia in velcro da 40 mm Suola: Vibram AT bimescola Scarpetta: Garmont EZ Fit PowerLite termoformabile Peso: 1.450 g (27,5 MP) Misure: da 25 a 31,5 MP Colori: bianco/nero *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura ��������������������������������������������������27,5 MP Peso*..................................................... 1.477 g Peso scocca* ��������������������������������������� 1.186 g Peso scarpetta* �������������������������������������� 291 g Predisposizione attacchino ���������������������������sì Destinazione d’uso ����������������ski-alp classico/ freeride mountaineering Prezzo ��������������������������������������������520,00 euro *dati rilevati

Pro: efficacia sistema ski-walk Contro: possibile scalzamento in salita delle leve lungo lo scafo

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: Breuil-Cervinia (AO) Temperatura: da -7°C a -2°C Condizioni atmosferiche: sereno Neve: fresca, lievemente ventata


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PROVE SUL CAMPO

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1. 2. 3. Ski-walk a leva Ruotando la levetta del sistema ski-walk si provoca la fuoriuscita di un perno solidale al gambetto che vincola o meno quest’ultimo a un’asta in metallo, verniciata in rosso e parzialmente a vista. Quando il perno entra in azione il gambetto viene bloccato. Quando rientra, l’asta scorre all’interno del gambetto e questi beneficia di un’escursione dichiarata di 60°. 4. Inclinazione di 11,5° o 13° La vite inferiore in prossimità del meccanismo ski-walk permette di variare l’inclinazione frontale del gambetto di 1,5°, optando così per un setup di 11,5° oppure 13°. Compiuta questa operazione, la levetta del sistema ski-walk, quando in modalità discesa, blocca automaticamente il gambetto nella posizione prescelta. 5. Protezione plastica L’asta del sistema ski-walk, in modalità salita, scorre all’interno del gambetto, separata dalla scarpetta solamente da una protezione in plastica. 6. 7. Sicura antiscalzamento Le leve lungo il gambetto sono corredate da una ‘sicura’ metallica che ne scongiura l’apertura durante le fasi di salita e camminata. Le rastrelliere possono essere adattate in base a quattro macroregolazioni. 8. Easy Open La conformazione ad arco delle leve lungo lo scafo. La molla incorporata, una volta aperti, solleva automaticamente i ganci dalle rastrelliere. 9. 10. Ghetta impermeabilizzante La piccola ghetta con funzione impermeabilizzante in corrispondenza dell’avampiede, la cui vista è resa possibile dal ribaltamento in avanti del linguettone. 11. Spoiler posteriore Lo spoiler posteriore asimmetrico al vertice del gambetto, rimovibile e regolabile in altezza.

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12. 13. Gomma bimescola La suola bimescola, realizzata dall’italiana Vibram, si estende lungo l’intero arco plantare. La gomma di colore nero, lungo il profilo esterno, è più rigida e resistente all’usura, mentre quella rossa, in corrispondenza della parte interna, ha una mescola soft a tutto vantaggio dell’aderenza. 14. Inserti antishock In corrispondenza del tallone sono previsti inserti in poliuretano espanso collocati tra scafo e scarpetta. Assorbono le vibrazioni, attenuano gli shock e favoriscono l’isolamento termico. Sono corredati di un’etichetta adesiva per individuare la taglia corretta: se il piede, inserito nello scafo, termina all’interno della zona rossa, è consigliabile optare per una misura superiore.

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A SECCO

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Ottimo bloccaggio del tallone 1.477 grammi rappresentano un risultato degno di nota. Specie considerando la configurazione a quattro ganci. Cosmos è infatti più leggero di modelli dalla vocazione analoga sia a tre leve, quali Crispi SKR!!M (1.675 grammi - 27 MP) e Black Diamond Prime (1.700 grammi - 27 MP), sia a quattro leve, come Dynafit ZZero4 C MF (1.755 grammi - 27 MP) e Scarpa Maestrale (1.570 grammi - 27 MP). Insidiando al contempo scarponi a tre ganci votati ai grantour quali il ‘cugino’ Garmont Masterlite (1.365 grammi - 27 MP) e Scarpa Rush (1.440 grammi - 27 MP). Merito, in particolare, della scocca, dato che con 1.186 grammi è più leggera, ad esempio, degli analoghi componenti appannaggio dei citati Maestrale (1.300 grammi) e ZZero4 C (1.375 grammi). La calzata è agevole grazie soprattutto alla possibilità di ribaltare in avanti il linguettone e non si segnalano particolari punti di compressione, fatta eccezione per la parte alta del gambetto, caratterizzata da volumi contenuti. Per ovviare a ciò è sufficiente ricorrere alla regolazione micrometrica delle leve o macrometrica delle rastrelliere; in quest’ultimo caso spostando all’esterno (sono disponibili quattro opzioni) i punti di fissaggio. Apprezzabili, infine, la possibilità di allacciare la scarpetta, personalizzando ulteriormente il livello di chiusura, così come il bloccaggio del tallone, efficace anche in assenza della termoformatura.

SULLA NEVE

Rullata agevole Meritano lodi quanto a comfort di camminata, così come per la libertà di movimento e la reattività nella rullata. La mobilità del gambetto, però, non convince appieno in salita con le pelli. Se, infatti, il piegamento in avanti è ampio e privo di ostacoli, altrettanto non si può dire per l’escursione all’indietro, non essendo di fatto possibile spingersi oltre un’angolazione di 90° tra scafo e gambetto. Una caratteristica che non agevola nel tirare il passo e che inficia in parte la vocazione grantour di Cosmos, indirizzandoli maggiormente verso lo skialp classico forte di escursioni di medio livello con salite dal profilo altimetrico non proibitivo. Il modello Garmont, del resto, ha nel proprio DNA soprattutto il freeride mountaineering. Merito in special modo della precisione nella trasmissione degli impulsi, tra le migliori della categoria ‘a quattro ganci’ e degna di un modello da sci alpino. Inappuntabili il funzionamento del sistema ski-walk, intuitivo e rapido da azionare, così come l’efficacia della sicura antiscalzamento in corrispondenza dei ganci lungo il gambetto, utile in salita quando si riduce il livello di chiusura sulla tibia. Negli stessi frangenti risulta invece meno positiva la tendenza delle leve lungo lo scafo a sollevarsi dalle rastrelliere. Tendenza che scongiura sì eventuali interferenze in fase di calzata, ma in salita, una volta allentata la pressione dei ganci sul piede, può provocare scalzamenti indesiderati, specie in presenza di nevi crostose.


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Prove sul campo testo E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORI: Niccolò Zarattini e Guido Salvetti

ATK Race

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Realizzati in ergal e destinati principalmente ai grantour, grazie a un peso di 170 g si collocano non troppo distanti dagli attacchi race. Con i quali, attingendo agli optional, condividono la soluzione dell’alzatacco ‘a sportellino’. Ricca dotazione di accessori

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arco Masini porta sfortuna. Elvis Presley è ancora vivo. Gli alieni vivono tra noi. E, soprattutto, gli attacchini sono tutti uguali. Dicerie. Voci prive di fondamento. La prova? Le creazioni ATK Race e, nel dettaglio, il modello RT. Sigla che sottintende la denominazione ‘Race Touring’, ovvero un prodotto destinato ad appassionati evoluti, che pur non mirando all’attività agonistica, alla quale la factory modenese destina i modelli SL


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2 1. 2. Doppia scala graduata La talloniera consente di regolare lo sgancio sia frontale sia laterale con valori DIN compresi tra 5 e 10. Per questo è presente una doppia scala graduata (con relativa tacca di riferimento) rispettivamente lungo la base e la parte posteriore della torretta. 3. Puntale personalizzabile Una vite corredata da una scala graduata all’estremità del puntale consente di incidere sull’apertura delle ganasce in salita, rendendo più o meno agevole, mediante un sistema a espansore, il movimento della leva frontale.

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6. 7. 8. 9. Alzatacco a sportellino Grazie all’alzatacco ‘a sportellino’ (optional a 68,00 euro) è possibile usufruire della funzione alzatacco senza ruotare, come normalmente accade con RT, la torretta. Lo sportellino, infatti, una volta ribaltato in avanti s’innesta sopra le forche della molla a U.

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World Cup (115 g) e SL-R World Cup (117 g), considerano leggerezza, robustezza, efficienza e cura costruttiva dei requisiti imprescindibili.

COME SONO FATTI

4. 5. Fissaggio al vertice della torretta L’alzatacco ‘a sportellino’, dal peso rilevato di 12 g, va fissato al vertice della torretta sfruttando la vite di regolazione dello sgancio frontale.

Valori DIN da 5 a 10 Triple Regulation System: vale a dire la possibilità di regolare lo sgancio frontale e laterale dello scarpone in corrispondenza della talloniera personalizzando al contempo l’apertura delle ganasce del puntale in salita. Con valori DIN compresi tra 5 e 10, ovvero rispettando i parametri definiti dall’ente

tedesco per la standardizzazione (Deutsches Institut für Normung) in materia di sistemi di ritenzione e sicurezza applicati allo sci alpino. Una peculiarità, quest’ultima, fiore all’occhiello dell’attacco modenese, dotato in corrispondenza della talloniera di una doppia scala graduata DIN (con relativa tacca di riferimento) rispettivamente lungo la base e la parte posteriore della torretta, a rimarcare la possibilità di variare i valori di sgancio sia frontalmente sia lateralmente. L’adattamento del precarico molla avviene agendo rispettivamente sulla vite collocata

10. 11. Seconda posizione rialzata Qualora si desideri una seconda, più estrema, configurazione d’alzatacco, si ruota la torretta di 180° bloccando in posizione rialzata lo sportellino. Quest’ultimo si tramuta così nel nuovo, più alto (+6 mm), punto di battuta.

al vertice della torretta (sgancio frontale) e sulla vite di maggiori dimensioni e colore rosso all’estremità posteriore (sgancio laterale). In aggiunta, una vite corredata da una scala graduata collocata all’estremità del puntale consente di incidere sull’apertura delle ganasce in salita rendendo più o meno agevole, mediante un sistema a espansore, il movimento della leva frontale. Puntale e talloniera, sono entrambi realizzati in ergal lavorato dal pieno, quindi sfruttando una lega a base d’alluminio con innesti di zinco, argento, magnesio e zirconio. Lega nota per


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Prove sul campo

la resistenza meccanica e l’insensibilità agli sbalzi di temperatura. Unica eccezione le viti di fissaggio, complessivamente 8, in acciaio, materiale meno sensibile agli agenti corrosivi.

A SECCO

SCHEDA TECNICA* ATK Race RT

www.atkrace.com Tipologia: low tech Materiale puntale: ergal Materiale talloniera: ergal Materiale viti: acciaio Viti per il montaggio: 8 Alzatacco: rotazione talloniera Posizioni alzatacco: unica Predisposizione rampanti: si Peso: 170 g DIN: 5-10 Colori: nero/oliva *dati dichiarati

IDENTIKIT*

Peso puntale* ������������������������� 88 g (senza viti) Peso talloniera* ���������������������� 82 g (senza viti) Peso singola vite* �������������������������������������1,5 g Peso complessivo* ��������������170 g (senza viti) Destinazione d’uso �����������������������������grantour Prezzo ��������������������������������������������440,00 euro * dati rilevati

Pro: cura costruttiva Contro: durezza della torretta in rotazione

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: ghiacciaio del Presena (BS) Temperatura: da -2°C a +4°C Condizioni atmosferiche: parzialmente nuvoloso Neve: parzialmente trasformata, crosta ventata non portante

Accoppiamenti precisi 170 g senza viti, che in ordine di marcia divengono 182 g. Valori che collocano a pieno titolo ATK Race RT nella categoria grantour, a ridosso di prodotti race quali Ski Trab TR-Race (143 g) e La Sportiva RSR (140 g). Sotto il profilo funzionale, come la stragrande maggioranza degli attacchi low tech, senza telaio analogamente al capostipite Dynafit ideato da Fritz Barthel a fine anni ‘80, l’innesto dello scarpone nel puntale avviene esercitando una pressione in corrispondenza del punto di forza tra le ganasce, provocando la chiusura di queste ultime con il conseguente innesto dei perni nelle apposite svasature degli scarponi. Nulla di nuovo nemmeno quanto a talloniera, con il bloccaggio dello scarpone in vista della discesa affidato alle forche della molla a U, laddove la configurazione salita viene ottenuta mediante la consueta rotazione della torretta. Con il primo movimento di 90°che consente di accedere alla funzione alzatacco, in tal caso la parte sommitale della torretta funge da punto di battuta, mentre il secondo spostamento di 90° porta ad avere il tallone libero con appoggio a livello dello sci. In configurazione standard, come accennato, la posizione d’alzatacco è unica, mentre attingendo agli accessori ATK Race è possibile optare per una soluzione del tipo ‘a sportellino’, novità 2012-2013, anch’essa in ergal lavorato dal pieno e mutuata dal mondo race, in grado di modificare il consueto schema d’utilizzo di RT. Tale componente, una volta fissato al vertice della torretta sfruttando la vite di regolazione dello sgancio frontale, permette di passare alla posizione alzatacco, pressoché alla stessa altezza di quella comunemente ottenuta ruotando la torretta, senza però la necessità di quest’ultima operazione; è infatti sufficiente ribaltare in avanti lo sportellino che s’innesta sopra le forche della molla a U. Qualora si desideri un secondo appoggio più estremo, si ruota la torretta di 180° bloccando in posizione rialzata lo sportellino. Quest’ultimo si tramuta così nel nuovo, più alto (+6 mm), punto di battuta. Un accessorio che non inficia la leggerezza di RT, attestandosi a 12 g, e che si integra perfettamente grazie a incavi e innesti realizzati con precisione. Sotto il profilo costruttivo, del resto, la Factory modenese è esente da critiche, specie per quanto concerne la pulizia delle fresature e

l’assenza di bave metalliche, così come per la ridotta tolleranza negli accoppiamenti. Sempre restando nell’ambito dell’accessoristica, infine, RT è predisposto per ospitare i rampant dedicati in alluminio, innestabili secondo il tradizionale metodo a scorrimento laterale nei supporti solidali ai puntali dell’attacco.

SULLA NEVE

Talloniera sensibile alle regolazioni L’alzatacco a sportellino avvicina decisamente RT ai modelli race quanto a rapidità nel passaggio dal movimento a tallone libero a livello degli sci a quello con punto di battuta rialzato. Rendendo meno rilevante, al contempo, uno degli aspetti meno positivi dell’attacco modenese, ovvero la durezza della torretta in fase di rotazione, superiore a concorrenti d’analoga estrazione. Al contempo si apprezza lo ‘scatto’ a fondo corsa previsto per entrambe le posizioni del citato sportellino, che scongiura azionamenti o movimenti indesiderati. Il puntale, sebbene non rapidissimo nel favorire l’innesto dello scarpone e poco sensibile alle personalizzazioni legate all’apertura delle ganasce, è perfetto nel funzionamento tanto nelle fasi di salita quanto in discesa. Al contempo, la talloniera si rivela ricettiva rispetto alle regolazioni del precarico delle molle per quanto concerne lo sgancio sia frontale sia laterale, garantendo un preciso adattamento alle caratteristiche fisiche e tecniche dello sciatore.


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ATK Race Universal Ski Brake Una delle principali novità 2012-2013 di ATK Race sono gli ski-stopper universali in ergal e Nylon, attivi anche in fase di salita. Pesanti 61 g al pezzo (senza viti), possono essere abbinati a sci e attacchi di qualsiasi marca. Il sistema di blocco/sblocco è affidato a un perno plastico che s’innesta in un supporto determinando con la propria presenza l’entrata in funzione o meno delle forche d’arresto. Perno collegato mediante un cavo in Kevlar allo scarpone: in caso di separazione tra sciatore e sci, viene automaticamente rimosso il fermo permettendo l’attivazione dello ski-stopper.

Per il montaggio sono complessivamente necessarie 4 viti (1 g l’una). Gli ski-stopper universali ATK Race costano 80,00 euro e sono disponibili in 4 misure (75, 91, 107 e 117 mm) così da adattarsi a sci di diversa larghezza. Sulla neve Prima di arrivare sulla neve va affrontato il montaggio, non particolarmente agevole a causa delle viti autofilettanti che richiedono un discreto impegno per essere innestate correttamente. Al contempo, il bloccaggio mediante due soli punti di contatto con lo sci gioca sì a favore della

leggerezza, ma non scongiura lievi movimenti da parte dell’intero sistema. Una volta sulla neve gli ski-stopper si rivelano efficaci nel fermare gli sci in caso di caduta. Lungo le diagonali accade però che i blocchi di neve crostosa possano provocare la fuoriuscita accidentale del perno di bloccaggio, azionando le forche. Queste ultime, contrariamente a prodotti simili tra i quali anche il modello ATK specifico per i soli attacchi modenesi, una volta rialzate in posizione di riposo non rientrano verso l’interno, favorendo il rischio di contatti con la neve in caso di marcate inclinazioni.

ACCESSORI DELLA LINEA ATK RACE 1. 2. Escursione longitudinale di oltre 60 mm Le piastre da noleggio ATK Race R04 adottate nel corso della nostra prova consentono una regolazione longitudinale della posizione della talloniera superiore a 60 mm e sono compatibili con i modelli RT, SL e SL-R dell'azienda modenese. L’adattamento avviene agendo sulla vite posteriore. Realizzate in ergal lavorato dal pieno, pesano 71 g al pezzo (senza viti). Per il montaggio sono complessivamente necessarie 8 viti (1,5 g l’una). In dotazione vengono fornite due viti lunghe di ricambio per la regolazione dell’escursione longitudinale. Le piastre ATK Race R04 costano 96,00 euro. 3. 4. 77 g e innesto rapido I rampant ATK Race sono realizzati in alluminio mediante lavorazione dal pieno. Pesano 77 g l’uno nella configurazione

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da 91 mm e sono disponibili in quattro misure (75, 91, 107 e 117 mm) onde adattarsi a sci di diversa larghezza. Costano 48,00 euro. Il montaggio prevede l’innesto del perno di scorrimento del rampant (in foto) angolato a 90° negli appositi incavi solidali al puntale dell’attacco, mediante una semplice traslazione laterale. 5. 6. 7. 8. Tubi in ergal Oltre ai bastoni in carbonio e in carbonio/Kevlar, per la stagione 2012-2013 ATK Race propone un modello a lunghezza fissa con tubi in ergal da 16 mm di diametro, ‘papera’ da fondo con fenditure per l’espulsione della neve e punta in Vidiam (carburo di tungsteno sinterizzato). La manopola è in gomma a doppia densità. Lunghezze da 115 a 145 cm ogni 5 cm. Il peso dichiarato si attesta a 185 g nella misura 125 cm; alla prova della bilancia abbiamo rilevato una massa di 204 g nella misura 135 cm.


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Prove sul campo TESTO E FOTO: redazione tecnica Ski-alper TESTATORE: Adriano Salvadori

POTETE CORRERE

DOVE VOLETE


SKI-ALPER tested

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Inov-8 Mudclaw 272, La Sportiva C-Lite 2.0 e Salomon S-Lab Fellcross: tre modi diversi di dire skyrunning race. L’inglese, eccezionale per trazione sui fondi a ridotta aderenza, è destinata alla corsa in montagna e al vertical kilometer, l’italiana, dalla struttura robusta e con un elevato grip su roccia, nasce per i trail duri, mentre la francese, leggera e precisa nei traversi, è la più completa


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Prove sul campo

P SCHEDA TECNICA* Inov-8 Mudclaw 272 www.inov-8.com Tomaia: mesh in Nylon + laminati di poliuretano Fodera: avampiede mesh, mesopiede e tallone fibra di Nylon Intersuola: Eva + 3 vertebre longitudinali + 1 scanalatura trasversale Sottopiede: foam Allacciatura: asimmetrica, lacci a spessore differenziato Suola: Inov-8 Mudclaw Peso: 272 g (42 EU) Misure EU: da 36 a 47 (anche ½) +48 Colori: nero/rosso *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura �����������������������������������������������������42,5 EU Lunghezza* ������������������������������������������� 295 mm Lunghezza alloggiamento piede* ������ 265 mm Peso* ����������������������������������������������������������310 g Peso esoscheletro* �����������������������������������285 g Peso sottopiede* �����������������������������������������25 g Spessore sottopiede* ������������������� 3,5 mm (ant.) 6 mm (post.) Ampiezza appoggio anteriore* ����������� 105 mm Ampiezza appoggio arco plantare* ��������62 mm Ampiezza appoggio posteriore* ������������72 mm Ampiezza alloggiamento avampiede* ������������������������������������������� 100 mm Ampiezza alloggiamento arco plantare* ������������������������������������������71 mm Ampiezza alloggiamento tallone* ����������55 mm Altezza tomaia ai malleoli* ����������������������63 mm Tasselli lungo la suola* ����������������������������������� 60 Profondità tasselli anteriori* ����������������������8 mm Profondità tasselli posteriori* ������������������10 mm Destinazione d’uso ������������� corsa in montagna vertical kilometer Prezzo ���������������������������������������������� 129,00 euro *dati rilevati Pro: reattività in salita Contro: tenuta laterale nei traversi

rima o poi doveva arrivare il momento di riporre le pelli nell’armadio. La primavera, del resto, porta con sé sole, luce, erba, fiori e… disgelo. Ciò significa smettere di frequentare la montagna? È escluso. Interrompere l’allenamento? Inaccettabile. Rinunciare all’adrenalina delle competizioni? Una privazione eccessiva. La soluzione? Skyrunning. O, per dirla alla francese, trail running. Molto semplicemente, corsa. Corsa in montagna. Tra rocce, sentieri, lingue di neve, creste e cime. Lo stesso ambiente amato d’inverno. Solo che, ora, ai piedi ci sono le scarpe. Scarpe alle quali si chiedono caratteristiche simili agli scarponi da scialpinismo: leggerezza, comfort, sensibilità, reattività, resistenza all’usura e trazione. Praticamente tutto. Scarpe profondamente diverse dai prodotti da running ‘ordinari’ in quanto più strutturate, meglio schermate da fango e acqua, con maggiori protezioni per le abrasioni e forti di suole dalla mescola soft e dal battistrada aggressivo. Peculiarità irrinunciabili quando ci si trova lontani (anni luce) dall’asfalto. Come gran parte degli ski-alper passa dalle pelli alle suole in gomma, così ha fatto il nostro staff tecnico mettendo a dura, durissima prova, tre modelli da skyrunning adatti sia all’allenamento intensivo sia, soprattutto, alla gara. Prodotti da altrettante aziende specializzate quali l’inglese Inov-8, l’italiana La Sportiva e la francese Salomon. Un confronto serrato dal quale sono emerse anime differenti: votata alla corsa in montagna e al vertical kilometer l’anglosassone, destinata ai trail più duri la connazionale, ideale per lo skyrunning tecnico la transalpina. Scarpe diverse per esigenze diverse. A voi la scelta.

COME SONO FATTE

100% mesh per La Sportiva Condividono la tomaia in mesh di Nylon, integrale per La Sportiva, abbinata a laminati di poliuretano (TPU), al tatto simili a un sottile strato in gomma, per Inov-8 e Salomon. Nel caso della scarpa inglese i lamierati sono collocati in corrispondenza del mesopiede e dell’arco plantare, contribuendo al supporto laterale, mentre per la francese si protendono anche lungo il tallone. In aggiunta, nella calzatura transalpina s’estendono mediante termosaldatura sino alla suola. Mesh per tutti, specie in corrispondenza dell’avampiede, ma con delle distinzioni: la tessitura è a maglie larghe per Mudclaw 272, a maglie strette per Salomon e La Sportiva. Quest’ultima forte della ghetta integrata che si estende lungo la zona d’allacciatura a protezione da fango

e acqua. Soluzione parzialmente ripresa da Salomon che colloca un rivestimento elasticizzato in mesh sopra la linguetta, ma sotto il cordino d’allacciatura. L’unico modello a presentare una fodera interna in corrispondenza dell’avampiede è S-Lab Fellcross, che si distingue anche quanto ad allacciatura. Opta infatti per un cordino a trazione rapida abbinato a un cursore autobloccante. Quest’ultimo, in plastica, scorre liberamente in direzione della scarpa, ma non effettua il percorso inverso senza la pressione di un apposito pulsante, mantenendo la trazione desiderata. Secondo tradizione, ovvero simmetrica e mediante lacci, l’allacciatura di C-Lite 2.0, mentre Mudclaw 272 adotta una conformazione asimmetrica, estesa anche a tomaia e linguetta, con lacci a spessore differenziato. La suola della scarpa inglese è caratterizzata da tasselli a conformazione piramidale, alcuni dei quali forti di un ulteriore spuntone in gomma, una sorta di ‘chiodo’, e da una mescola morbida derivata dal mondo dell’arrampicata. La Sportiva si affida invece a una gomma bimescola con tasselli a incli-


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Le pagelle (voti da 0 a 5)

Inov-8

La Sportiva

Salomon

Flex soft medium/hard medium Calzata Reattività in salita Trazione erba/fango Trazione sfasciumi/roccia Stabilità Tenuta nei traversi Ammortizzazione Impermeabilità Comfort

Natural running Il brand inglese Inov-8 fa del ‘natural running’ la propria filosofia. Per natural running s’intende un’andatura basata sull’appoggio dell’avampiede e del mesopiede (la parte centrale del piede), anziché del tallone con successiva rullata, mantenendo il centro di gravità più avanzato rispetto alla corsa tradizionale. I corridori scalzi adottano questo stile. Le scarpe Inov-8 sono strutturate in funzione del natural running e si definiscono ‘minimaliste’ in quanto hanno una minore ammortizzazione e sono sempre neutre. La transizione verso il natural running è graduale. Il brand anglosassone prevede infatti 4 livelli d’ammortizzazione decrescente, simboleggiati da dei ‘baffi’ lungo il tallone. Ad ogni step corrisponde un ‘tacco’ di 3 mm. Nel dettaglio, il modello in prova Mudclaw 272 ha 2 ‘baffi’, equivalenti a 6 mm d’intersuola antishock. Le scarpe Inov-8 sono distribuite in Italia dalla trentina Aicad. www.aicad.com

CONDIZIONI DEL TEST Luogo: Santicolo di Corteno Golgi (BS) Temperatura: da 1°C a 9°C Condizioni atmosferiche: pioggia mista a neve, schiarite Terreno: fango, erba, neve, roccia, sfasciumi


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Prove sul campo

1. 2. 3. Protezioni in punta A protezione della punta di Mudclaw 272 è previsto un bordone in Nylon, corredato da una coppia d’inserti riflettenti, esteso sino all’arco plantare. Bordone in gomma con un ulteriore doppio rinforzo in punta per C-Lite 2.0, mentre S-Lab Fellcross si affida a un laminato di poliuretano abbinato al prolungamento della suola verso l’alto.

SCHEDA TECNICA* La Sportiva C-Lite 2.0 www.lasportiva.com Tomaia: mesh in Nylon Fodera: avampiede mesh, mesopiede e tallone fibra di Nylon Intersuola: Eva a iniezione + inserto anti torsione Sottopiede: Eva + foam Allacciatura: simmetrica Suola: La Sportiva FriXion AT Peso: 290 g Misure EU: da 36 a 47,5 (anche ½) Colori: giallo/nero, azzurro/giallo, rosso/ nero, nero *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura ������������������������������������������������������43 EU Lunghezza* �����������������������������������������285 mm Lunghezza alloggiamento piede* ����270 mm Peso* ������������������������������������������������������� 330 g Peso esoscheletro* �������������������������������� 297 g Peso sottopiede* ���������������������������������������33 g Spessore sottopiede* ��������������������3 mm (ant.) 4 mm (post.) Ampiezza appoggio anteriore* ���������107 mm Ampiezza appoggio arco plantare* ��� 65 mm Ampiezza appoggio posteriore* ��������� 82 mm Ampiezza alloggiamento avampiede* �����������������������������������������102 mm Ampiezza alloggiamento arco plantare* ��������������������������������������� 72 mm Ampiezza alloggiamento tallone* ������� 62 mm Altezza tomaia ai malleoli* ������������������� 67 mm Tasselli lungo la suola* ���������������������������������41 Profondità tasselli anteriori* ������������������� 6 mm Profondità tasselli posteriori* ����������������� 6 mm Destinazione d’uso ������������������skyrunning/trail Prezzo ��������������������������������������������109,00 euro *dati rilevati Pro: ampiezza appoggio a terra Contro: peso

4. 5. 6. Tomaia in mesh Inov-8 ha una tomaia in mesh di Nylon abbinata a laminati di poliuretano. Mesh, nel dettaglio, a maglia larga e senza fodera interna in corrispondenza dell’avampiede. La Sportiva, anch’essa priva di fodera lungo l’avampiede, si affida a una soluzione ‘pura’, 100% mesh, ma a maglie strette. Queste ultime condivise da Salomon, corredata inoltre di una sottile fodera interna in Nylon e di laminati di poliuretano termosaldati lungo avampiede, arco plantare e tallone. 7. 8. 9. Intersuola in Eva Inov-8 adotta un’intersuola in Eva con 3 vertebre longitudinali in polimeri a densità ridotta che si diramano in direzione del metatarso, cui si aggiunge una scanalatura trasversale interna, in corrispondenza dell’avampiede, onde agevolare la flessione. La Sportiva abbina all’intersuola in Eva un inserto anti torsione, Salomon uno strato in foam. 10. 11. 12. Allacciatura simmetrica o asimmetrica L’allacciatura di Mudclaw 272 è asimmetrica, così come tomaia e linguetta, e sfrutta lacci a spessore differenziato: rugosità superficiali che favoriscono la tenuta. C-Lite 2.0 prevede una soluzione simmetrica tradizionale con ghetta integrata a protezione dei lacci, mentre S-Lab Fellcross si affida a un cordino a trazione rapida con bloccaggio mediante cursore. Quest’ultimo, al pari del cordino, riponibile in una piccola tasca ricavata al vertice della linguetta. 13. 14. 15. Mescola soft La suola di Inov-8 presenta tasselli a conformazione piramidale, alcuni dei quali sormontati da un piccolo spuntone aggiuntivo in gomma, una sorta di 'chiodo' morbido. La mescola deriva dal mondo dell’arrampicata. Gomma bimescola per La Sportiva; la suola FriXion AT è caratterizzata da tasselli a inclinazione differenziata. Inclinazione differenziata anche per i tasselli Salomon, forti inoltre dell’orientamento direzionale. 16. 17. 18. Tasselli da 6 a 10 mm Mudclaw 272 può contare su di un battistrada con 60 tasselli dalla profondità di 8 mm gli anteriori, 10 mm i posteriori. 41 tasselli per La

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Sportiva, tutti da 6 mm, dei quali 6 lungo l’avampiede e 3 in corrispondenza del tallone predisposti per accogliere i chiodi da neve. Sono invece 45 i tasselli Salomon, profondi 7 mm anteriormente e 8 mm posteriormente. 19. Sottopiedi Inov-8 adotta un sottopiede in foam dallo spessore di 3,5 mm anteriormente e 6 mm posteriormente, mentre La Sportiva prevede un componente in foam ed Eva da, rispettivamente, 3 e 4 mm. Salomon si affida a un sottopiede OrthoLite in schiuma derivata dai pneumatici riciclati con una protezione in Eva in corrispondenza del tallone. Lo spessore anteriore è di 4 mm, il posteriore di 6,5 mm. 20. 21. Impronta a terra La Sportiva ha la calzata più ampia: 102, 72, 62 mm in corrispondenza di avampiede, arco plantare e tallone. Valori superiori a Inov-8 (100, 71, 55 mm) e Salomon (97, 70, 62 mm). L’ampiezza dell’impronta a terra vede primeggiare C-Lite 2.0, forte di una larghezza della suola rispettivamente di 107, 65, 82 mm contro i 105, 62, 72 mm della rivale inglese e i 99, 60, 75 mm della concorrente francese.

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nazione differenziata, disposti onde ridurre gli effetti degli impatti con il terreno. Mescola unica, infine, per Salomon, la cui suola Contagrip Mud&Snow nasce dall’esperienza nel settore delle calzature invernali e prevede tasselli direzionali.

A SECCO

Salomon calza come un guanto Taglie simili, ma volumi e pesi diversi per le scarpe in prova. La più leggera è Salomon, che nella taglia 42 2/3 EU fa registrare 284 g, seguita da Inov-8 (310 g - 42,5 EU) e La Sportiva (330 g - 43 EU). Quest’ultima più corta, ma allo stesso tempo più generosa quanto a volumi interni. Sia in lunghezza, con 270 mm contro i 267 mm di S-Lab Fellcross e i 265 mm di Mudclaw 272, sia in ampiezza, con 102, 72 e 62 mm in corrispondenza, rispettivamente, di avampiede, arco plantare e tallone. Valori superiori a Inov-8 (100, 71 e 55 mm) e Salomon (97, 70 e 62 mm). Scarpa francese che si connota come la più fasciante, mentre spicca, nel dettaglio, la ridotta ampiezza tallonare di Mudclaw 272, legata alla filosofia del natural running (box dedicato) che privilegia l’appoggio anteriore implicando un bloccaggio particolarmente saldo del tallone. La Sportiva primeggia quanto a protezione della caviglia, con un’altezza della tomaia ai malleoli di 67 mm contro i 63 mm di Inov-8 e i 65 mm di Salomon, e quanto ad ampiezza dell’appoggio a terra, potendo contare su di una larghezza della suola di 107, 65, 82 mm in corrispondenza rispettivamente di avampiede, arco plantare e tallone, contro i 105, 62, 72 mm della rivale inglese e i 99, 60, 75 mm della concorrente francese. Salomon, pertanto, la più ‘magra’

Il testATORE 21

Adriano Salvadori, 46 anni di Santicolo di Corteno Golgi (BS), è skyrunner dal 1992. All’attivo ha oltre 50 ‘maratone del cielo’. Runner, ma anche scialpinista di alto livello. Terzo alla Pierra Menta 1994 e 1997, quarto nel 1998, ha vinto la Coppa delle Dolomiti (1994), due tappe di Coppa Europa in coppia con Fabio Meraldi (1994) e Omar Oprandi (1999) e pressoché tutte le gare nazionali degli Anni ‘90, laureandosi vicecampione italiano sia individuale sia in coppia. Fondatore, organizzatore e direttore di gara della sky marathon ‘Sentiero 4 Luglio’, non più tardi di 3 anni fa si è classificato quinto nella gara di casa, tappa di Coppa del Mondo.


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Prove sul campo

SCHEDA TECNICA* Salomon S-Lab Fellcross www.salomonrunning.com Tomaia: mesh in Nylon + laminati di poliuretano Fodera: Nylon Intersuola: Eva + foam Sottopiede: OrthoLite Allacciatura: simmetrica mediante cordino Quick Lace Suola: Salomon Contagrip Mud&Snow Peso: 262 g (42 2/3 EU) Misure EU: da 38 2/3 a 46 2/3 Colori: rosso/nero *dati dichiarati

IDENTIKIT Misura ����������������������������������������������� 42 2/3 EU Lunghezza* �����������������������������������������289 mm Lunghezza alloggiamento piede* ����267 mm Peso* ������������������������������������������������������� 284 g Peso esoscheletro* �������������������������������� 266 g Peso sottopiede* ���������������������������������������21 g Spessore sottopiede* ��������������������4 mm (ant.) 6,5 mm (post.) Ampiezza appoggio anteriore* ����������� 99 mm Ampiezza appoggio arco plantare* ��� 60 mm Ampiezza appoggio posteriore* ��������� 75 mm Ampiezza alloggiamento avampiede* ������������������������������������������� 97 mm Ampiezza alloggiamento arco plantare* ��������������������������������������� 70 mm Ampiezza alloggiamento tallone* ������� 62 mm Altezza tomaia ai malleoli* ������������������� 65 mm Tasselli lungo la suola* ���������������������������������45 Profondità tasselli anteriori* ������������������� 7 mm Profondità tasselli posteriori* ����������������� 8 mm Destinazione d’uso ����������corsa in montagna/ vertical kilometer/skyrunning/trail Prezzo ��������������������������������������������165,00 euro *dati rilevati Pro: leggerezza Contro: ammortizzazione tallone migliorabile

del lotto. Valori confermati in fase di calzata, con la scarpa francese che avvolge il piede come una seconda pelle, garantendo sin dal primo contatto comfort e feeling. Caratteristiche che rendono pressoché superflua la fase d’adattamento invece necessaria con le rivali. Specie La Sportiva, i cui generosi volumi interni da un lato favoriscono i corridori con piedi a pianta larga, dall’altro portano i runner con arti affusolati a insistere con forza nella trazione dei lacci, dando luogo a innaturali punti di pressione onde ottenere una soddisfacente sensazione di bloccaggio. Un plauso, in proposito, merita il sistema d’allacciatura Salomon, rivelatosi rapido, preciso e in grado di copiare come un guanto la conformazione del piede. Inov-8, dal canto proprio, porta in dote una discreta pressione in corrispondenza del tallone, confermata dai ridotti volumi rilevati, in ogni caso supera-

bile dopo i primi km. Quanto a traspirazione, Mudclaw 272 è il punto di riferimento, seguita da La Sportiva e Salomon. Rovescio della medaglia, l’inglese protegge poco o nulla in condizioni di bagnato, l’acqua entra abbondantemente, mentre La Sportiva e Salomon si equivalgono, garantendo una buona schermatura anche da fango e neve.

OFF THE ROAD

Inov-8: trazione da cingolato sull’erba Come in una gara di skyrunning partiamo da bassa quota, dove erba e fango fanno da padroni. La massima trazione è garantita da Mudclaw 272, forte di una suola dal grip eccezionale lungo questi fondi, neve inclusa, nonché di una struttura più flessibile rispetto alle rivali, tale da garantire la massima sensibilità nel ‘leggere’ il terreno. Malleabilità che agevola il runner in ogni fase di salita, grazie


141 > materiali

La metodologia dei rilevamenti L’ampiezza d’appoggio anteriore viene rilevata a 75 mm dalla punta della scarpa, ovvero in corrispondenza del fulcro di spinta. Consiste nella misurazione della larghezza della suola, analogamente a quanto accade per l’ampiezza d’appoggio posteriore; questa volta mantenendosi a 60 mm dalla parte terminale della calzatura, ovvero in corrispondenza del punto di contatto in fase di rullata. L’ampiezza d’appoggio dell’arco plantare cade nel punto più stretto della suola stessa. Più complesso ricavare i dati relativi ai volumi interni. Nel dettaglio, l’ampiezza d’alloggiamento dell’avampiede viene misurata mantenendosi a una distanza di 55 mm dalla punta e a un’altezza di 15 mm dalla base della scarpa, esercitando una dilatazione sulla tomaia pari a una forza di 5 newton (misurazione dinamometrica). Identiche pressione, altezza dalla base della scarpa e procedura per quanto concerne l’ampiezza d’alloggiamento del tallone; collocandosi, in tal caso, a 20 mm dalla parte terminale interna. La misurazione dell’ampiezza d’alloggiamento dell’arco plantare viene effettuata in corrispondenza del punto più stretto della suola. Tutte le misurazioni sono state effettuate senza sottopiede in quanto i multiformi ingombri che tale componente può assumere sono in grado di alterare i rilevamenti. I pesi, infine, sono sempre riferiti al ½ paio. anche al preciso bloccaggio del tallone e alla reattività dell’intersuola. Una scarpa tutt’altro che ‘inerte’, bensì in grado di seguire con precisione i movimenti del piede. S-Lab Fellcross, lievemente più rigida, si colloca a breve distanza, mentre C-Lite 2.0 paga una struttura abbastanza hard che, in fase propulsiva, rende necessario caricare maggiormente gli appoggi per ottenere una discreta risposta elastica. Orizzonti nettamente diversi nei traversi al limite dell’equilibrio, con Inov-8 che va in affanno a causa del ridotto supporto laterale, il feeling con la scarpa inglese scema rapidamente, La Sportiva che si difende grazie alla struttura tutt’altro che cedevole e alla marcata altezza della tomaia, tale a dire il vero da creare qualche fastidio a livello dei malleoli, e Salomon che regala sensazioni di grande affidabilità, inducendo a forzare il passo nonostante la precarietà del terreno.

S-Lab Fellcross offre il meglio proprio in questi frangenti, dove la coesione con il piede abbinata al buon supporto laterale permette di concentrarsi esclusivamente sulla gestione delle energie anziché prestare attenzione agli appoggi. Iniziano i primi sfasciumi e i sassi smossi. È il momento di C-Lite 2.0: trazione elevata, ampio appoggio a terra e struttura più rigida delle rivali consentono di forzare il ritmo. Un vero e proprio ‘carro armato’. Un plauso, in particolare, lo merita il rendimento della mescola FriXion AT che su roccia consente di avventurarsi dove, ad esempio, Mudclaw 272 non infonde fiducia. La flessibilità della struttura di Inov-8 espone gli arti a frequenti torsioni, costringendo ad accorciare il passo e valutare attentamente gli appoggi. Salomon, dal canto proprio, pur non garantendo una ‘spensieratezza’ pari a C-Lite 2.0, si difende efficacemente in attesa

di uno dei terreni ad essa più congeniali: la discesa. La scarpa francese è la meglio ammortizzata, sebbene non sia un ‘cuscino’, attenua gli shock e consente di correre in attacco anche quando le pendenze si fanno proibitive. La Sportiva segue a breve distanza, mentre Mudclaw 272 risulta ‘secca’ sulle asperità, poco propensa ad assorbire gli impatti, specie in corrispondenza del tallone. In sintesi, l’inglese è la scarpa ideale per il vertical kilometer e la corsa in montagna, ovvero distanze brevi e terreni scorrevoli, anche fangosi o innevati, dove può primeggiare per reattività e trazione. La Sportiva, all’opposto, guarda ai trail più duri e impegnativi, dove ampio appoggio a terra, rigidità strutturale e grip su roccia sono irrinunciabili. Salomon è ‘l’arma’ per lo skyrunning: completa, adatta a ogni terreno e utilizzo, con calzata e feeling esenti da critiche.


142 > materiali

Prove sul campo

Le categorie del running alpino La corsa in ambiente naturale si divide principalmente in ‘corsa in montagna’, ‘skyrunning’ e ‘trail running’. La ‘corsa in montagna’ è regolamentata dalla FIDAL (Federazione Italiana d’Atletica Leggera), l’altitudine massima raggiungibile è di 2.000 metri e la pendenza media del percorso deve essere pari a circa il 10%. I sentieri rispettano precisi requisiti di sicurezza, sono ammessi brevi tratti asfaltati e la distanza per le gare internazionali è di circa 12 km per gli uomini e 8 km per le donne. Lo ‘skyrunning’, gestito dalla ISF (International Skyrunning Federation), è una versione estrema della corsa in montagna. Dislivelli e pendenze sono superiori, così come le quote raggiunte. I sentieri possono essere scoscesi, con passaggi attrezzati ed è ammesso l’uso dei bastoni. A livello agonistico si divide in ‘sky marathon’, con un minimo di 2.000 m di dislivello totale e una distanza che varia tra i 31 e i 43 km, ‘ultra sky marathon’, gara che supera i parametri della sky marathon di oltre il 5%, ‘skyrace’, ambientata tra i 2.000 e i 4.000 m di altitudine con una lunghezza di minimo 20, massimo 30 km, ‘vertical kilometer’, ascesa di 1.000 m di dislivello non superiore a 6 km, e, infine, ‘skyraid’, sfida a squadre su lunghe distanze che abbina lo skyrunning a sport come il ciclismo o lo scialpinismo. Il ‘trail running’, infine, è la terza branca della corsa in ambiente alpino e sta prendendo piede in Italia mediante le Ecomaratone, gare di 42 chilometri su percorsi sterrati o mulattiere con dislivelli anche di 1.500 metri e percorsi meno estremi rispetto allo skyrunning. Radicalmente diversa l’interpretazione del ‘trail running’ all’estero, specie in Francia, dove sia le distanze sia i dislivelli sono ragguardevoli. Un esempio per tutti l’Ultra-Trail du Mont-Blanc, giro del massiccio del Monte Bianco in tappa unica (166 km e 9.500 metri di dislivello).

Glossario Eva Etilene Vinil Acetato, ovvero un materiale copolimerico (etilene + acetato di vinile)

flessibile ed elastico, nell’industria calzaturiera utilizzato in forma solida simile alla gomma.

Foam Letteralmente schiuma, vale a dire un materiale ricavato intrappolando del gas in un liquido o in un solido. Nel settore dell’industria sportiva assume la consistenza di una spugna più o meno compatta ed è solitamente ricavato da polimeri plastici.

Mesh Indica la struttura a maglie di un materiale. Solitamente ricavata dal Nylon, identifica un tessuto o un materiale la cui struttura è a maglie più o meno fitte. Polimeri Macromolecole, ovvero molecole dall’elevato peso molecolare, costituite da gruppi molecolari uniti “a catena” mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame. In relazione alle proprietà di deformazione si dividono in termoplastici, termoindurenti ed elastomeri.


SAVE THE DATE 4 grandi appuntamenti con lo skyrunning in Val di Fiemme e Fassa

STAVA SKYRACE SELEZIONE PROVA SKYRACE PER SKYGAMES 2012 Data: 24 giugno 2012 Edizione: settima Località: Tesero (TN) - Val di Fiemme - Trentino Sviluppo: 24,8 km Dislivello ascesa: 2.125 m Partenza: Tesero (Piazzale delle Scuole) Quota massima: Monte Agnello (2.358 m) Arrivo: Tesero (Piazzale delle Scuole) Cancelli orari (dall'orario di partenza): Monte Cornon (1 ora e 45 minuti); Monte Agnello (3 ore 15 minuti) Info: cornacci.tesero@virgilio.it Iscrizioni: www.uscornacci.it/skyrace

VERTICALE DEL CORNON GARA CAMPIONATO ITALIANO SKYRUNNING Data: 24 giugno 2012 Edizione: seconda Località: Tesero (TN) - Val di Fiemme - Trentino Sviluppo: 5 km Dislivello ascesa: 1.150 m Partenza: Tesero (Piazzale delle Scuole) Quota massima e arrivo: Monte Cornon (2.189 m) Info: cornacci.tesero@virgilio.it Iscrizioni: www.uscornacci.it/skyrace

DOLOMITES VERTICAL KILOMETER GARA WORLD SERIES 2012

DOLOMITES SKYRACE GARA WORLD SERIES 2012

Data: 20 luglio 2012 Edizione: quinta Località: Alba di Canazei (TN) Sviluppo: 2,1 km Dislivello ascesa: 1.000 m Partenza: Alba di Canazei - località Ciasates (1.465 m) Quota massima e arrivo: Crepa Neigra Località Ciampac (2.465 m) Info: info@dolomiteskyrace.com Iscrizioni: www.dolomiteskyrace.com

Data: 22 luglio 2012 Edizione: quindicesima Località: Canazei (TN) Sviluppo: 22 km Dislivello ascesa: 1.702 m Partenza: Canazei (Piazza Marconi) - 1.450 m ore 8.30 Quota massima: Piz Boè (3.152 m) Arrivo: Canazei (TN) Cancelli orari (dall'orario di partenza): Passo Pordoi (1 ora e 5 minuti); Forcella Pordoi (1 ora e 50 minuti) Info: info@dolomiteskyrace.com Iscrizioni: www.dolomiteskyrace.com


RAPTOR GTX

CAL TROPHY LOGO

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TESTATA.indd 2

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VIGO - VAEL TROFEO BRUNO DELUCA Vigo di Fassa tel. 333.1741081

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TUTTE LE GARE ESTIVE DATA

19/05/2012 20/05/2012 27/05/2012 02/06/2012 03/06/2012 10/06/2012 16/06/2012 17/06/2012 17/06/2012 24/06/2012 29/06/2012 01/07/2012 08/07/2012 14/07/2012 15/07/2012 22/07/2012 27-28/07/12 29/07/2012 03/08/2012 05/08/2012 11/08/2012 12/08/2012 19/08/2012 26/08/2012 02/09/2012 09/09/2012 15/09/2012

GARA - DESCRIZIONE

JAMA-RUN (Trail 13 km) CRONOSCALATA AL CASTELLO (Vertical running) THE NORTH FACE TRAIL MONTE SOGLIO CASERE - TROFEO GHERARDI TRENTA PASSI (Skyrunning) RESEGUP RIFUGIO COCA PANICO GIR DE LE MALGHE MARATONA DELLA VALLE INTRASCA (Skyrunning 32km a coppie) TRAIL OASI ZEGNA INTERNATIONAL VALMALENCO - VALPOSCHIAVO LA MARCIA DELLE MERCI - TROFEO S. LIMBANA (Trail 60 km) MONVISO VERTICAL RACE INTERNATIONAL CARNIA ALPE DI MERA VERTICALE DEL CORNON - TROFEO ANA RALLY VALTARTANO STAVA CANCERVO - VENTUROSA BIELLA - OROPA - MONTE CAMINO TERMINILLO THE NORTH FACE LAVAREDO (Ultra Trail) MARATONA DEL CIELO ORMEA - MONTE ARMETTA VAL RESIA PERALDA KMILLE MEMORIAL LUIGI MAURI VALLE ELVO (Skyrunning Rifugio Coda) VALDINFERNO (Skyrunning) ALPI APUANE BLUMON MARATHON INTERNATIONAL BETTELMATT TRE LAGHI - TRE RIFUGI TRE RIFUGI (Ultra Trail) VAL GARDENA MOUNTAIN RUN PREALPI (Trail 90 km) AT ZALUT (Skyrunning Memorial Gerla) TOUR DEL PANCHEROT (Skyrunning) GRAN SASSO RED ROCK GRAN SASSO OROBIE LA 5 PONTI (Skyrunning) KILOMETRO VERTICALE MOTTARONE MOZZAFIATO ORTLES-CEVEDALE TRAIL VALSESIANO - FRA' DOLCINO TRE FUNIVIE CORSA MONTANA VENTASSO (Trail & Vertical Day) TRE RIFUGI CAMPO IMPERATORE DOLOMITE FRIULANE MADDALENE TROFEO LATEMAR AOSTA-CHARVENSOD-BECCA DI NONA DELLA ROSETTA MONTE CAVALLO TORCOLE 2000 (Skyrunning Classic Trail) SCARPONE D'ORO SELLA RONDA (Ultra Trail)

VERTICAL RODELLA Canazei tel. 335.1305801

22

set

LUOGO

VERTICAL PENIOLA Moena tel. 335.7422132

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set

CIOCK VEDELER Soraga tel. 333.2161587

CONTATTI

Dolina (TS) dusty.trieste@tiscalinet.it Castello San Giusto (TS) info@caicim.it Forno Canavese (TO) www.trailmontesoglio.it Val Taleggio (BG) darietto50@tiscali.it Marone (BS) caimarone@libero.it Lecco (LC) info@2slow.it Valbondione (BG) www.orobieskyraid.it San Donato (FR) atinatrailrunning@gmail.com Caregno (BS) www.promosportvallibresciane.it Verbania (VB) www.caiverbano.it Bielmonte (BI) www.valsesseratrail.eu Valmalenco (SO) www.international-skyrace.org Genova (GE) www.marciadellemerci.org Crissolo (CN) iat.comune@crissolo.cn.it Paluzza (UD) www.usaldomoro.net Scopello (VC) www.scopellomerasky.alteravista.org Tesero (TN) www.uscornacci.it Morbegno (SO) www.valtartano.it Tesero (TN) www.uscornacci.it San Giovanni Bianco (BG) www.gsorobie.it Pollone (BI) www.gsapollone.it Terminillo (RT) www.terminilloskyrace.it Cortina d'Ampezzo (BL) www.ultratrail.it Aprica (BS) www.maratonadelcielo.it Ormea (CN) www.verticalkmormea.altervista.org Resia (UD) www.valresiaverticalkilometer.it Sappada (BL) www.peralbamarathon.com Ponte di Legno (BS) serini.giampietro@libero.it Sordevolo (BI) www.valleelvoskyrunning.it Garessio (CN) www.sciclubgaressio.it Fornovolasco (LU) www.skyrace.it Piana del Gaver (BS) www.promosportvallibresciane.it Val Formazza (VB) www.bettelmattskyrace.it Valbondione (BG) www.trelaghitrerifugi.it Bobbio Pellice (TO) www.3rifugivalpellice.it Selva (BZ) www.gherdeinarunners.it Brescia sportetempolibero@libero.it Premia (VB) marcotosi64@aliceposta.it Valtournenche (AO) info@sciclubcervinoval.it Fonte Cerreto (AQ) www.gransassoskyrace.it Vezza d'Oglio (BS) www.vezzadoglioturismo.it Fonte Cerreto (AQ) www.gransassaoskyrace.it Presolana (BG) www.orobieskyraid.it Bagolino (BS) www.sportivabagolino.it Omegna (VB) www.caiomegna.it Cannobio (VB) www.mozzafiatoskyrace.it Santa Caterina Valfurva (SO) www.santacaterina.it Rassa (VC) skyracevalsesia@yahoo.it Sestriere (TO) info@sciclub.sestriere.to.it Ramiseto (RE) atleticaatletica@tin.it MondovĂŹ (CN) www.trerifugi.it Fonte Cerreto (AQ) www.parkstrail.it Forni di Sopra (UD) www.fornidisopra.it Madonna di Senales - Rumo (TN) www.maddaleneskymarathon.it Predazzo (TN) www.caisatpredazzo.com Aosta (AO) beccadinonaskyrace.com Rasura (SO) www.sportracevaltellina.it Pian Cavallo (PN) www.montanaiaracing.it Piazzatorre (BG) www.piazzatorre.eu Ormea (CN) www.rifugio-mongioie.com Canazei (TN) www.dolomiteskyrace.com

RAPTOR GTX


VERTICAL K

C-LITE 2.0 www.lasportiva.com - Become a La Sportiva fan

06 OTT

SCALDAGAMBE Tesero tel. 333.1741081

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COSTOLINA Ziano di Fiemme tel. 366.6809610

COME LEGGERE IL CALENDARIO GARE

TUTTE LE GARE ESTIVE DATA

GARA - DESCRIZIONE

16/09/2012 23/09/2012 30/09/2012 06-07/10/12 07/10/2012 13-20/10/12 14/10/2012 21/10/2012 28/10/2012 03/11/2012 21/11/2012 01/12/2012

VK SR SM USM

Vertical Kilometer: 1.000 metri di dislivello in salita al 30% con distanze di 3,5/6 km 24-04-2012 9:51:40 SkyRace: 20/30 km con più di 1.000 metri di dislivello e quota massima da 2.000 metri SkyMarathon: 31/43 km, oltre 2.000 metri di dislivello o oltre 4.000 metri di dislivello su qualsiasi distanza Ultra SkyMarathon: oltre 44 km con più di 2.100 metri di dislivello

LUOGO

CONTATTI

IVREA-MOMBARONE Ivrea (TO) SENTIERO DELLE GRIGNE Pasturo (LC) TROFEO BESIMAUDA Peveragno (CN) TRAIL DI OULX Oulx (TO) SALITA AL PAVILLON Courmayeur (AO) VERTICAL SPRINT Palazzo Lombardia (MI) ETNA VALETUDO Nicolosi (CT) KMW - MEMORIAL BRANTINA Auronzo di Cadore (BL) MORENIC TRAIL Brosso (TO) COMO - VALMADRERA (Trofeo Rusconi Skyrunning) Valmadrera (LC) GRANFONDO VALLEINTRASCA (Skyrunning) Cambiasca (VB) MULATERA DE PIA Pian Camuno (BS) GIRO DEL MONTE UBIONE (Skyrunning) Ubiale Clanezzo (BG) TROFEO DEI PRESIDENTI (Staffetta Skyrunning) Monte Palanzone (CO) AMALFI COAST TRAIL Costiera Amalfitana (NA) TARTUFO (Trail Running 50km) Calestano (PR) VALGOGLIO Aviasco (BG) MONTE BARONE (Skyrunning) Coggiola (BI) SKYRUNNING EXTREME Limone sul Garda (BS) LAFUMA TRAIL DEL MONTE CASTO Adorno Micca (BI) ETNA NEUBERG MARATHON Zafferana Etnea (CT) CONTROTRAVERSATA DEL MAESTRO Sgonico (TS) VIALATTEA TRAIL Sestriere (TO)

marcozodo@libero.it www.caimissaglia.it www.trofeobesimauda.com www.oulxtrailers.net magicteam.runners@libero.it www.verticalsprint.it www.etnaskyrace.it info@caicim.it www.morenictrail.com 0341 550758 www.uscmarathonvb.it info@lemulatere.it www.altitude.it caifinomornasco.wordpress.com www.amalfitrail.it www.tartufotrail.it www.trelaghitrerifugi.it www.valsesseratrail.eu www.skybikextreme.com www.spiritotrail.it www.etnamarathon.it info@caicim.it www.vialatteatrail.com

GLI APPUNTAMENTI INTERNAZIONALI DATA

GARA - DESCRIZIONE

29/06/12 - 08/07/12 07/05/2012 09/05/2012 12/05/2012 20/05/2012 27/05/2012 10/06/2012 20/07/2012 21/07/2012 22/07/2012 28/07/2012 29/07/2012 12/08/2012 18/08/2012 19/08/2012 26/08/2012 29/09/2012 14/10/2012 20/10/2012 28/10/2012 11/11/2012

SKYGAMES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012 SKYRUNNER WORLD SERIES 2012

VERTICAL K

LUOGO

CONTATTI

Ribagorza Románica - Skyrunning World Championship (Pirenei - Spagna) www.ocisport.net/skygames Elbrus Vetical Kilometer Caucaso (Russia) www.elbrus.redfox.ru Elbrus SkyRace Caucaso (Russia) www.elbrus.redfox.ru Transvulcanica Ultra Marathon La Palma (Spagna) www.transvulcania.com Maratòn Alpina Zegama - Aizkorri - Main races Zegama - Paesi Baschi (Spagna) www.zegama-aizkorri.net Ziria Cross Country SkyRace Goura - Corinto (Grecia) www.zccr.gr Gerania Vertical Kilometer Loutraki (Grecia) www.verticalkilometer.gr Dolomites Vertical Kilometer Canazei - Trento www.dolomiteskyrace.com Tyn Lon - Volvo International Snowdon Race Llanberis - Galles (UK) www.snowdonrace.co.uk Dolomites SkyRace Canazei (TN) www.dolomiteskyrace.com Speedgoat 50k Snowbirth - Utah (USA) karlmeltzer.com Giir di Mont Skymarathon - Main races Premana (LC) www.aspremana.it Course de Sierre - Zinal - Main races Zinal - Vallese (Svizzera) www.sierre-zinal.com Marathon du Montcalm Auzat - Ariège (Francia) www.pays-du-montcalm.com Pikes Peak Marathon - Main races Colorado (USA) www.pikespeakmarathon.org Trofeo Kima Ultra SkyMarathon Val Masino (SO) www.kima.org Cavalls del Vent Cadi - Pirenei (Spagna) www.ultracavallsdelvent.com Mount Kinabalu Climbathon - Main races Sabah - Borneo (Malesia) www.climbathon.my Le KM Vertical de Fully - Martigny - Vallese (Svizzera) www.teamlatrace.ch La Course des Templiers Millaud - Grand Causses (Francia) Vetical Kilometer del Puig Campana Valencia (Spagna) www.puigcampana.com

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146 > rubriche

CONTROCOPERTINA

testo: Umberto Isman

Con questa immagine il fotografo afgano Massoud Hossaini dell’agenzia France Presse ha vinto il Premio Pulitzer 2012, dopo che nel 2011 la stessa foto si era classificata seconda al World Press Photo Award. È stata scattata a Kabul lo scorso dicembre durante una processione sciita in cui un kamikaze si fece esplodere in mezzo alla folla.

Senza parole Omaggio al premio Pulitzer 2012. Per ampliare il nostro orizzonte e ricordare che lo scialpinismo è un gioco per persone fortunate

B

asterebbe probabilmente soltanto la foto. Ci sono immagini che hanno la straordinaria capacità di comunicare in modo univoco e potente. Ma al ‘senza parole’ che meriterebbe vorrei comunque aggiungere qualcosa. Stavo viaggiando in treno verso Bolzano, da solo in uno scompartimento trovato vuoto dopo che uno stupido computer ci aveva ammucchiati in un altro. ‘Cazzeggiavo’ con lo smartphone, come ormai troppo spesso si fa invece che leggere un buon libro. Facebook, il post di un’amica, un link e mi si apre questa foto. Complice la solitudine, un groppo in gola e gli occhi che diventano lucidi. Pensieri che vagano fulminei, poi l’occhio che si posa sul ‘mi piace’. Non sono solito mettere tanti ‘mi piace’, lo trovo un modo troppo comodo e pigro di esprimere posizioni. Ma in questo caso sento di doverlo fare. «Mi piace cosa?» mi domando. Sono titubante, mi sembra quasi un mancare di rispetto a una tragedia. Poi clicco deciso: mi piace che Laura l’abbia postata, mi piace questa fotografia. Su Ski-alper pubblichiamo tante immagini, cerchiamo di fare in modo che siano belle e interessanti. Ma le nostre foto rappresentano

quasi sempre cose che sono a loro volta belle. Spesso sono tanto belle quanto futili e banali. Non sempre, per fortuna. A volte mi viene da pensare che la bellezza di una fotografia sia invece inversamente proporzionale a quella del suo soggetto. La bellezza è forza, è chiarezza, è semplicità. Sono spesso i drammi, più di ogni altra cosa, ad avere queste caratteristiche. La bellezza è anche utilità, e la denuncia di una tragedia è quanto di più tremendo ma utile possa esistere. Per dirla tutta, da fotografo, quello è forse il genere di immagini che mi sarebbe piaciuto fare. Raccontare quelle storie lontane e troppo dimenticate, o colpevolmente rimosse. Ho la fortuna di essere amico di un paio dei più noti e bravi reporter e fotografi di guerra. Vi assicuro che negli occhi hanno una luce speciale. E Ski-alper? Ski-alper si occupa di scialpinismo, cerca di non essere superficiale e troppo oleografico. Cerca di approfondire, di scavare, di essere anche trasversale. Abbiamo imparato a guardare le cose anche con la coda dell’occhio, ad ampliare il nostro orizzonte oltre quello delle montagne. Ma lo scialpinismo è un gioco, ricordiamolo, un gioco per persone fortunate. E quella bimba, si chiama Tarana, per favore, cerchiamo di non dimenticarla mai.


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Crédit photos : Arnaud chidéric - Dan Ferrer

PIERRA MENTA ROCKER CARBON



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