Il Mosaiko 5-2005

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Il Mosai K o i

Il Mosaiko Kids si riceve tramite abbonamento annuale, richiedendolo al seguente indirizzo: Favolarevia Editore, via C. Alberto 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) - Tel. 0131 856018 e-mail: ilmosaiko @tiscali.it

Mimma Franco

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Anno 2 - n° 5 - maggio 2005 Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004 Proprietà ed Editore: Favolarevia, via C. Alberto, 13 - Castelnuovo S. (AL) Periodico mensile Direttore responsabile: Antonella Mariotti Stampa: tipografia litografia Fadia, via Soldini, 12 Castelnuovo Scrivia (AL)

U o min i n eri, b a mb o le mo r t e , fo bie , t e rro ri...

Te s s e r e d i un Mosaiko s o l i d a l e Un giornale per ragazzi è sempre una scommessa: difficile capire chi sono veramente i ragazzi d’oggi e difficile sapere se portano ancora dentro di loro la pazienza, il coraggio e l’umiltà di sedersi di fronte ad una pagina bianca e riempirla con un gesto antico. I mesi sono trascorsi e le pagine si sono animate di riflessioni attente e tormentate, di racconti immaginati e scritti con trasporto, di appelli sinceri lanciati al mondo degli adulti, di favole e di versi liberati da una fantasia che forse aspettava solo uno spazio e un’occasione per dimostrare che infiniti (e infinitamente belli) sono i mondi possibili. Per parafrasare uno slogan giustamente in voga, altri mondi sono davvero possibili, e non è detto che la porta su questi mondi sia aperta solo alla fantasia: esplorare e creare nuove realtà significa riversarle nella nostra quotidianità, significa introdurre un elemento di sogno che, per il solo fatto di esistere, sposta non di poco la lente con cui guardiamo alle cose di tutti i giorni. Ne abbiamo le prove: Il Mosaiko Kids, con la sua ancora breve e altalenante vicenda, con la sua ancora sperimentale veste di laboratorio della fantasia, ha raccolto consenso e solidarietà intorno ad alcune realtà di sofferenza raccontate sulle pagine del giornale. E ora ne raccoglie i frutti: un gruppo di genitori degli alunni che frequentano la scuola elementare di Castelnuovo Scrivia ha deciso di rinunciare all’acquisto delle bomboniere che è consuetudine regalare in occasione delle Comunioni e di destinare l’equivalente della spesa ad un ragazzo che vive in un paese povero e ha bisogno d’aiuto per continuare gli studi. In quinta pagina la vicenda è raccontata in tutti i suoi dettagli. E’ un piccolo gesto di solidarietà che non risolve i problemi del mondo, ma, come si usa dire in questi casi, la foresta è fatta di alberi, che magari appena nati erano poco più che un filo d’erba. Un gesto che regala una grande soddisfazione alla redazione de Il Mosaiko e che ci riempie di gratitudine per quel gruppetto di genitori che hanno saputo trasformare un asciutto rituale scolastico in una viva testimonianza di affetto per chi soffre. Un grazie particolare a chi ha coordinato tutta l’operazione: Manuela Gandolfi e Paola Picena.

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Mamma che paura!

I b amb in i e i g ra n d i n e l la g u e rra q u ot id ia na con i lo ro f ant as mi Elisa Pareti

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l Mosaiko Kids non ha mai paura. Su queste pagine si compongono le tessere felici delle favole, delle realizzazioni, dei sogni più belli e si impara a tenere sempre gli occhi aperti sulle tristezze e le vergogne del mondo. I problemi ci sono eccome, ma si affrontano, se ne parla e si agisce. È un impegno spontaneo e concreto che ci vuole protagonisti e non solo vittime della società. Non credete a chi vi dice che le esperienze negative fanno crescere, non è vero, sono solo delle prove a cui tutti ci dobbiamo sottoporre come dei vaccini programmati fin dall’antichità da un saggio Creatore. Invece i fallimenti e le esperienze troppo negative sono molto nocive. È solo col superamento e col trionfo sulle difficoltà che si cresce, che si impara a cavarsela e si acquista fiducia e sicurezza nelle proprie capacità. E dobbiamo imparare in fretta, noi che viviamo nell’epoca del Terrorismo, in un momento storico che sperimenta la paura come la più micidiale e sadica delle sue armi. Ed ad aver paura non sono più solo i soggetti deboli, ma soprattutto quelli che si credevano più forti e intoccabili.

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Il simbolo del Terrorismo infatti non sono gli occhi spaventati dei bambini di qualche etnia africana massacrata ma le macerie dei grattacieli più famosi del più potente stato del mondo, simbolo del progresso economico, politico, sociale che non conosceva limiti e sembrava che non dovesse fare i conti con nessuno. Quanta paura quel giorno! Quanti fantasmi si sono sparsi per il mondo, sono crollate certezze e quel colpo ebbe il potere di scuotere, anche se solo un attimo le nostre sedie dorate e farci provare in un secondo quella rabbia, quel dolore, quella voglia di vendetta o di pace che certi popoli provano da sempre. Internazionale è diventato il terrore, e non il progresso. Adesso tutti beviamo da bottiglie di plastica sigillate e le rovesciamo prima di aprirle schiacciando sui bordi per controllare che non vi siano veleni iniettati all’interno. Mangiamo con attenzione e timore, leggendo attentamente le istruzioni e la composizione dei cibi come fossero farmaci pericolosi, facciamo attenzione ai luoghi troppo affollati, ai bagagli abbandonati dai viaggiatori nei treni e negli aeroporti, non facciamo l’autostop

fabula - i racconti del Mosaiko POLVERE DI LUNA di Livia Granata FRAGOLE GELATE di Silvia Pareti

Un gesto di solidarietà per l’Africa MICHEL, RAGAZZO DEL BENIN

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VIDEOGIOCHI: una manna dal cielo di davide Varni UNA DISCUSSIONE IN FAMIGLIA di Martina Ruta PIANETA CANE N.4 Paola Maggi risponde alle domande dei lettori

PIKKOLISSIMI a pagina 4 PIKKOLI PIKKOLI a pagina 7

ne carichiamo nessuno, vediamo nella faccia pulita degli sconosciuti e dei conoscenti un inganno ed un pericolo, creiamo case bunker con grate alle finestre, allarmi e trappole e dormiamo male dopo le ultime notizie lette sui giornali e quello che magari è successo alla nostra vicina. Questo è il fantasma del Terrore che si è sparso nel mondo, ed è veramente una prova terribile per l’umanità. Riconquistare fiducia nell’uomo non è semplice perché non la si impone con le guerre, il fanatismo e le vendette. Per carità, ognuno ha le sue ricette, ed i suoi interessi, soprattutto se la violenza e la sopraffazione restano ottime occasioni per aumentare la ricchezza e il potere. Vivere comporta sempre un po’ di rischio ed un po’ di paura, fin dall’inizio, quando si è piccoli ed il mondo si popola delle più stravaganti fantasie e dei più temibili fantasmi. Cosa si nasconde sotto il letto, dentro gli armadi, e vive nel buio, pronto a morderci ed assalirci quando ci addormentiamo? Non l’ho mai scoperto, ma ancora oggi non riesco a dormire con le ante degli armadi ed i cassetti aperti o socchiusi perché mi sento insicura. segue a pagina 2

Hieronymus Bosch - I sette peccati capitali - Madrid, Prado

S o p r a v v i v e r e

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un habitat singolare Marta Lamanuzzi

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ra gli ecosistemi che sappiamo elencare di certo trascuriamo quello che conosciamo meglio, perché durante gite e vacanze organizzate entriamo a farne parte: l’ecosistema del pullman. Come il ghiaccio costituisce l’ambiente dei Poli e la foresta pluviale dei Tropici, così un parallelepipedo grigio e asfittico costituisce l’ambiente del pullman. Il clima è afoso, con rare, sottili e intermittenti correnti gelide provenienti dalle bocchette. La fauna siamo noi, esseri viventi ap-

parentemente normali e simili all’inizio del viaggio, ma che subiscono, con il passare

del tempo in questo habitat, differenti e terribili metamorfosi. C’è chi diventa una

Scuolabus in India - foto Fiorenza Corradini

segue a pagina 2


2 Un habitat singolare

Tra isole e fattorie, la pseudo-realtà in declino per overdose

I l p u l l m a n All’inizio fu Il Grande Fratello segue dalla prima (Marta Lamanuzzi )

Stefano Pugliese

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sì all’inizio poteva anche essere la novità, la curiosità di spiare dentro una casa, per vedere la reazione di un gruppo di persone costrette a convivere fra loro, dovendo sfidarsi e dovendo superare prove più o meno difficili per procurarsi i soldi della spesa. Ora tutte le televisioni hanno fatto proliferare i così detti REALITY SHOWS. Forse provare a mettere personaggi più o meno famosi su di un’isola deserta piuttosto che in una fattoria poteva attirare l’at-

tenzione di quelle persone alle quali non interessava il risultato finale ma solo vedere questi VIP impegnati in prove di coraggio e di sopravvivenza. Ora non è troppo? Noi continuiamo ad avere serate televisive occupate da “attori” impegnati a svolgere il compitino a loro assegnato dal regista di turno, a litigare a comando o a far finta di innamorarsi per tenere sempre viva l’attenzione dei telespettatori. Li chiamano reality perché? Se di reale non hanno assolutamente niente. Parliamo del primo, chi sono le

segue dalla prima (Elisa Pareti) Sono tanti ad addormentarsi con una lucina accesa, abbracciando un orsacchiotto o meglio ancora nel letto di mamma e papà. Beh, sono tutti sintomi di un disagio che non va mai trascurato ed è buona norma per i genitori diventare un po’ anche acchiappafantasmi. Basta armarsi di una scopa o di un battiscopa, accendere tutte le luci e cominciare un’accurata ispezione della casa controllando con il figlioletto spaventato tutti gli angoli in cui quegli infingardi si potrebbero nascondere e, se non li trovate, meglio, significa che siete proprio bravi come acchiappafantasmi e probabilmente non si rifaranno più vedere. Le favole, la televisione, il computer, il mondo dentro le mura domestiche e fuori è prodigo di scene violente, terrificanti che turbano gli adulti e devastano le giovani menti. Gli esempi sono fin troppo evidenti ed i danni che provocano macroscopici. La morte, la brutalità sono e saranno sempre uno spettacolo in grado di attirare l’attenzione, dare emozioni capaci di restare a lungo impresse nelle menti. Questo è del tutto naturale e positivo perché in grado di metterci in allerta nelle situazioni di pericolo. Il brutto è che alla lunga ci si abitua persino alle scene più raccapriccianti e questo non può che portare ad un escalation del terrore.

Persino nei giocattoli, dopo avere inventato una serie infinita di mostri, hanno partorito la malsana idea di una bambola morta, chiusa nella sua piccola bara, con la facciotta cadaverica ed il sangue rappreso. Tutti sanno, perché almeno una volta nella vita l’hanno provato, che i bambini hanno negli occhi una grande magia che gli permette di vedere la Vita in tutto ciò che li circonda e possono parlare con gli animali e gli oggetti e muoverli come se avessero un’anima. I bambolotti poi sono da sempre i più amati dai più piccoli che vedono riflessi loro stessi, e li fanno diventare subito i loro figli o i loro fidati amici. Il piacere che può provare un bambino piccolo nel giocare con la bambola morta può avvicinarsi a quello di una madre che si culla il cadaverino del proprio bambino. Infatti dopo aver traumatizzato, ovviamente, e mandato dallo psicologo un po’di bambini alla fine hanno deciso di ritirarla dal commercio. Ogni tanto dovremmo anche deciderci a scegliere, e dire

persone che sono state prese per “giocare”? In teoria perfetti sconosciuti, persone normalissime che in cambio di un po’ di notorietà sono disposte a farsi rinchiudere e spiare da mille telecamere per cento giorni. Poi si scopre che hanno già fatto pubblicità, calendari, lavorato nel mondo dello spettacolo. Se dicessero a qualcuno di noi che dobbiamo chiuderci in una casa per cento giorni potremmo farlo? Dico potremmo, non vorremmo. Sfido chiunque a lasciare la propria casa, moglie, figli, genitori e lavoro

in cambio di nulla di certo. Degli altri meglio non parlarne, mi limito a dire che come un campione di un qualsiasi sport preferisce smettere quando è vincente, forse, anche i personaggi un tempo famosi avrebbero fatto bene a restare dove erano, così da essere ricordati con affetto e ammirazione.

in moto inutile, insensato e perpetuo. Ovviamente non mancano gli attentati e le lotte, sempre più accanite e feroci. L’atmosfera diventa veramente tesa e pericolosa quando, tra gli individui non “allarvati”, si innesca il circolo vizioso del furto dei posti. Tutto ha inizio da un solo esemplare che occupa il territorio di un altro, questi infatti farà lo stesso e sarà seguito dal nuovo spodestato. Al ritorno da ogni sosta all’autogrill è autentico terrorismo. Lasciare la propria roba sul pullman non serve, può essere spostata. Difendere la propria postazione è una questione di riflessi, di astuzia, di spregiudicatezza. Solo i più forti ne usciranno vivi.

Nota per chi vuole inviare i suoi scritti La rubrica Una voce fuori campo è espressamente dedicata alla pubblicazione di articoli, saggi, racconti, componimenti poetici o segnalazioni di chiunque desideri far uscire la propria voce dalle mura di casa. L’indirizzo a cui inviare il materiale è: Una voce fuori campo, redazione de “Il Mosaiko Kids” Via C. Alberto 13 - 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) e-mail: ilmosaiko@tiscali.it La redazione, ovviamente, si riserva il diritto di pubblicare solo ciò che ritiene meritevole.

M amma no a certi prodotti ai quali i bimbi non sono ancora pronti, evitando di allevare generazioni pavide e mammone. Non dobbiamo più raccontare la storia dell’uomo nero, del lupo cattivo e dell’orco mannaro vivendo in una società in cui gli extracomunitari cercano di integrarsi, i lupi sono in via di estinzione e non è sempre vero che chi è brutto è anche cattivo… Lasciamo stare i grandi classici, pieni di fanciulle per le quali la massima aspirazione è trovar-

larva smidollata che aderisce mollemente al substrato della poltrona, cade in letargo e perde del tutto la percezione di ciò che lo circonda, anche a causa delle cuffie che gli impediscono l’udito e gli rintronano il cervello. Questi esemplari ovviamente sono vittime inermi di ogni predatore che li attacca senza pietà, paciugandogli la faccia e inserendo qualunque cosa in qualunque cavità organica. Poi ci sono quelli che diventano nevrotici e rabbiosi, si sentono soffocare, soffrono improvvisamente di claustrofobia, abbaiano al minimo stimolo. Infine gli insofferenti, annoiati, esasperati, nauseati, con il volto deformato in orrende smorfie,

che paura!

si un buon partito, e i protagonisti subiscono violenze e torture inaudite e inventiamoci delle favole che veicolino nuovi valori e speranze. È importante che i bambini vedano riflesse intorno a loro le immagini della felicità e della sicurezza imparando ad affrontare e superare ogni problema. Ognuno poi ha sempre i suoi fantasmi personali e se ci capita di spaventarci o di risvegliarci con un urlo da un incubo non dobbiamo sentirci deboli perché le persone ve-

ramente coraggiose fanno sempre i conti con la paura. I mostri no, ecco perché spesso nelle guerre si imbottiscono i soldati di alcool, fumo e stupefacenti. È recente la scoperta di un prodotto chimico che assunto inibisce ogni paura e sensibilità umana. I soldati così non avrebbero più paura di uccidere, di morire, o di commettere altre violenze e con una pillola si risolverebbe questo fastidioso difetto degli esseri umani. Io consiglio di vincere le no-

stre battaglie a mani nude, e abbattere tutti i fantasmi della vita restando esseri umani. Lasciate l’alcool, le droghe e le pillole ai vigliacchi, le nuove generazioni devono essere coraggiose, devono piangere, commuoversi alle brutte notizie dei telegiornali senza perdere mai la capacità di accendere le luci per far chiarezza sulle situazioni e picchiare con la scopa tutti i fantasmi più mostruosi. Tranquilli, Mosaiko Kids è con voi, ed è un acchiappafantasmi micidiale…

Hieronymus Bosch - Trittico delle tentazioni. Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga. Particolare della Meditazione


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Polvere di Luna Livia Granata

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gni sera lui andava da lei, ed ogni sera lei era là, sotto le fronde di quella imponente quercia che si ergeva più in alto di tutti gli alberi del parco che lui riusciva facilmente a scorgere dalla finestra della sua stanza. Scendeva in punta di piedi, nel silenzio più assoluto, per non svegliare la sorellina e i genitori che dormivano nelle stanze accanto, apriva la porta silentemente e con la stessa maestria di un provetto ladro se la richiudeva alle spalle...e poi correva, libero, senza più preoccuparsi di muoversi in punta di piedi, correva a perdifiato sino a raggiungere l’ingresso del parco e si fiondava al di sotto delle ombrose fronde della quercia, non temeva il buio, perché sapeva che c’era la luce di lei a rischiarare le tenebre. Non poteva evitare di rimanere sorpreso ogni volta che la vedeva, anche se scorgeva il suo brillio da più di dieci anni ormai, l’aveva intravista per la prima volta quando aveva più o meno cinque anni, e ora ne aveva sedici, ma in presenza d’ella era come se il tempo non fosse mai trascorso. Tuttavia quella non era una notte come le altre, non era una notte di sogno, era un notte d’incubo, era la notte destinata ad inghiottire tutti i rimasugli dei suoi *sogni infantili*, com’era solita chiamarli sua madre: era tempo di crescere, era tempo di dimenticare le favole. L’ombra era ancora fitta, non poteva scorgere quasi nulla, tuttavia conosceva bene la sua strada, l’aveva percorsa troppe volte in passato e non aveva paura di smarrirsi, un’ondata di malinconia lo colse quando si rese conto che quella sarebbe stata l’ultima volta, che non ci sarebbe stata un’altra notte così…che tutto stava per concludersi. Ormai era al di sotto della quercia, dove le tenebre erano più fitte, ancora due passi e fu in grado di scorgerla, fu in grado di scorgere la sua luce: ad una prima occhiata poteva

sembrare una lucciola un po’ troppo cresciuta…ma se la si guardava bene si riuscivano a scorgere un corpo di bambina miniaturizatto, e due cristalline ali di farfalla che si aprivano sul minuscolo dorso di quella che non poteva essere chiamata con altri nomi se non con quello di Fata. La sua fatina, la sua Lasher…era stata la sua compagna di giochi per tutta l’infanzia, e nessuno aveva trovato troppo strano che un bambino potesse vedere e parlare con una fatina, anzi, tutti ne erano rimasti entusiasti: i suoi insegnanti perché dimostrava di avere una notevole fantasia ed i suoi amici perché trovavano veramente divertente l’idea che James avesse come amica una fatina, proprio come Peter Pan. Gli anni però erano passati, erano passati per tutti, solo per Lasher sembravano non passare mai: quello che prima sembrava essere un gioco da bambini stava assumendo i connotati di una malattia psichica, e i suoi genitori erano preoccupati seriamente, l’avevano sottoposto ad ogni tipo di visita, l’avevano presentato ad ogni sorta di specialista, dai medici ai medium, dagli psicologi agli psichiatri, ma nessuno era riuscito a trovare qualcosa che non andasse veramente in lui, tutti erano convinti che la sua amica immaginaria sarebbe scomparsa col trascorrere degli anni. Ma lei non scompariva, l’attendeva sempre sotto le fronde di quella quercia, dopo lo scoccar della mezzanotte…ma ora anche lui si rendeva conto che era tempo che tutto ciò finisse, per la prima volta in vita sua provava vergogna a parlare di Lasher, si vergognava terribilmente, non voleva più avere niente a che fare con lei, era tempo di lasciarla. Perché? Beh ma perché voleva essere come tutti gli altri! Con decisione ma con la morte nel cuore si avvicinò a lei, si accovacciò innanzi al ramo su cui era seduta e la guardò intensamente per alcuni istanti…si rese conto immediatamente che qualcosa non andava, il suo corpo sembrava essere intermittente, come le luci che si usano per decorare gli alberi a Natale …e quando parò la sua voce così cara e familiare ri-

suonò lontana, una sbiadita eco della squillante voce che era abituato a sentire. “So già tutto, non scusarti….sapevo che questa notte prima o poi sarebbe giunta…” Lacrime di cristallo imperlavano le piccole gote della fata, mentre il suo corpo diveniva sempre più evanescente… voleva dirle qualcosa, gli faceva più male del previsto sentire quelle parole, quelle parole che in fondo desiderava con tutto il cuore non dover mai udire…aprì la bocca per parlare, ma un gesto della piccola mano di lei lo bloccò e così la lasciò proseguire nel suo dire: “Hai smesso di credere in me, e per questo sto scomparendo…è il destino di noi fate…io…credo di essere l’ultima rimasta, ma ora anche il mio tempo è giunto”. Le lacrime scendevano più copiose a rigare il minuto volto della creatura, e la voce spezzata era sempre più lontana mentre pian piano prendeva a scomparire del tutto. “Non c’è più posto per noi…il tempo di Faerie è terminato, ormai gli uomini non credono più in nulla che non possono toccare con mano, che non possa essere sperimentato scientificamente, e questa è la nostra morte…questo è il mio addio”. Si alzò in volo con le ultime forze che le rimanevano e si portò all’altezza degli occhi di James, che non poteva far altro se non fissarla attonito, troppe emozioni contrastanti si agitavano nel suo petto. “Non piangere per me…quando sentirai la mia mancanza alza il viso e osserva la Luna: nel suo riflesso scorgerai il mio sorriso, nel suo silenzio sentirai il mio canto”. Ciò detto si librò ancora in volo, sfiorò la guancia del ragazzo per un ultima volta e salì in alto, a toccare le stelle sue sorelle, lasciandolo solo nella notte buia, attonito e capace soltanto di pronunciare il suo nome, incapace di credere a quanto era successo, incapace di credere che lei se ne fosse andata…ma soprattutto incapace di credere che tutto ciò era successo realmente, e che lui aveva davvero conosciuto l’ultima delle Fate.

Illustrazione di Martina Delfanti

Silvia Pareti

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el grande Nord, dove il freddo pareva una titanica forza, universale padrone del suo territorio e dove muschi e licheni si facevano reciprocamente coraggio per sopportare i terribili geli, là, camminavano due giovani. Erano giunti dall’ovest, dove le tiepide terre baciate dal sole, venivano bagnate di giorno in giorno da atroci battaglie. Erano sfuggiti ai grandi conflitti degli uomini, ed ora vagavano in questo freddo dove tutto era ostile. Ma qui, mai un umano avrebbe ucciso un proprio simile. In questo angolo di mondo vigeva la legge del gelo e la natura del freddo. Appena giunti in una valle che sembrava un po’ meno fredda delle altre, si stabilirono in una capanna, e per vivere, piantarono un orto di cardi. Si amavano e stavano bene insieme però la ragazza so-

fragole gelate gnava di avere un orto di fragole sotto un tiepido sole. I giorni passarono ma il freddo, che non ammetteva intrusi, in un’alba di nebbia rapì la ragazza e la offrì alla morte. Al giovane, quel mattino, non rimase che il gelo. Nella capanna, nel cadavere della ragazza e nel suo cuore. Così uscì alle intemperie e gridò: - Freddo!!! Perché questo gelo? Perché questo silenzio? Questa terra? Questa vita? - Avrebbe voluto tornare ad ovest e sfogarsi in una qualsiasi guerra. E se fosse morto? Meglio ancora! Ma non lo fece, c’era già troppo dolore. Il giorno ruotò nella notte e poi nel mattino. Uscito di casa, forse per commettere pazzie, vide nel suo campo, accasciato a terra, un mostro ferito, enorme e ricoperto di peli in maniera raccapricciante. L’uomo lo trascinò in casa e lo curò.

Quando il mostro rinvenne chiese – Chi sei tu? Perché curi questo abominio capace di nulla tranne che di difendersi dal freddo? – L’umano rispose - Sono colui che affoga nelle lacrime di un gelido lutto, sono colui che ha perso la moglie per il freddo, sono colui che però non serba rancore per essere alcuno – Così l’abominio parlò con il giovane che le lacrime avevano reso vecchio e si fece raccontare tutto. Una volta guarito disse: - Vai giovane per i monti, e tra un mese ritorna, con un occhio di un uomo, con il tronco di una pianta e con un corno di stambecco ed io riporterò in vita il tuo amore – Così l’umano partì, anche l’abominio si incamminò, ma lui per le più ostili zone che la terra conosca, sempre più vicino al covo del freddo. Il gelo vide arrivare il mostro e rise; gli sputò in faccia tutta la neve; gli gelò i

peli fino alla pelle ma la creatura continuò a camminare imperterrita. La lotta non si notava, invisibile e furiosa. Così l’incubo delle nevi predò indisturbato nelle lande, finché giunse a tener sotto assedio la glaciale roccaforte del gelo. Ed il Freddo in persona venne a parlargli: - Cosa vuoi, fiera degli incubi, dalla forza che calma la materia, da colui che si contrappone al sole? – La bestia disse: - Voglio sciogliere il ghiaccio, non ho paura del freddo, voglio aiutare un amico; non ho paura di te Il Freddo urlò: - Perché vuoi davvero che un polo del mondo muoia? Si ribalteranno le terre e le galassie, nessuno sa cosa potrebbe accadere!La bestia finì: - Ritirati o freddo! Arroccati nel tuo palazzo e non uscirne!Il freddo arretrando: - E sia fiera degl’incubi, perirò quest’oggi per il tuo volere ma ri-

vivrò un giorno per dominare i poli e mantenere l’equilibrio nel mondo L’umano nel frattempo vagava, e vagava. Ad un certo punto vide una bella pianta, prese un’accetta, ma si accorse che alla base del suo tronco crescevano nuove e giovani pianticelle; ne ebbe pietà e si allontanò. Poi vide uno stambecco, gli saltò in groppa, lo ribaltò a terra, ma prima di finirlo per prenderne il corno, notò la sua femmina che lo guardava disperata e impotente e così, avendo provato cosa vuol dire la morte del proprio amore, lo risparmiò e proseguì. Dopo incontrò un vecchio e si accorse che la sua vita in quelle lande era difficile, lo vide arrancare nella neve con un secco bastone, combattere contro la morte con una ferma speranza, lo guardò negli occhi e capì che la vista era la sua unica arma

contro i predatori, il freddo, gli ostacoli e le avversità. Così alla fine del mese, con il sacco vuoto ritornò al suo campo piangendo. Anche la bestia era lì. Disse: - Giovane dammi la tua sacca, cosicché io possa prenderne ciò che ti ho chiesto Il ragazzo gliela porse e chiuse gli occhi, improvvisamente sentì un raro tepore ed una voce: – Chi non vuole la sofferenza degli altri, merita l’amore! Il giovane si guardò intorno, ora la vallata era verde, riscaldata dal sole. Al centro c’era un grande campo di fragole, nel mezzo del quale dormiva la sua amata. Si avvicinò e le accostò alle labbra una fragola. Lei si alzò e si abbracciarono. Da lontano la creatura guardò i due giovani, poi si girò, e come il tempo, ricominciò a camminare.


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Pikkolissimi Bambini e burattini

CONCLUSO IL PROGETTO “SARINA”

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rande partecipazione al progetto “Sarina” della classe 1A della scuola elementare di Castelnuovo Scrivia, realizzato grazie alla CRT e alla Fondazione Sarina di Tortona che noi insegnanti ringraziamo caldamente. Il progetto prevedeva tre momenti importanti: 1) Visita guidata alSarina di l’Atelier Tortona dove i bambini hanno incontrato i burattini del grande Peppino Sarina, e alcuni pupazzi moderni tra cui Dodo, reso famoso dalla trasmissione televisiva “L’albero azzurro”. Gli alunni hanno animato i pupazzi e hanno conosciuto l’affascinante mondo del teatro dei burattini. 2) Momento della costruzione del burattino. Un animatore, Massimo, è intervenuto al pomeriggio nella classe per insegnare ai bambini e alle maestre come fare un burattino: carta da giornale, nastro di carta adesiva e… fantasia. 3) Momento dell’animazione. A distanza di dieci giorni l’animatore Massimo è tornato nella scuola per animare i burattini costruiti dai bambini. Questo è stato un momento molto interessante: intanto ogni bambino ha dovuto dare un nome e un’anima al proprio burattino e sono nate alcune storie interessanti. L’esperienza è stata positiva e ha dato l’opportunità a tutti di dare spazio alla creatività e alla fantasia. Ci auguriamo per il prossimo anno di poter continuare questa esperienza. Le insegnanti della 1A a nome degli alunni

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Il risveglio del sole Al mattino, una grossa palla di fuoco, si sveglia cullata da un mare di piccoli batuffoli bianchi. Mentre muove i suoi raggi, diffonde calore sulla terra addormentata. Si nasconde timido dietro a una montagna, e scioglie i suoi ghiacci. Cecilia Battaiola, 5ª A Scuola Elementare “Bandello” Castelnuovo Scrivia

Il mio diario Luca Beretta, 5ª A, Scuola Elementare di Castelnuovo Scrivia 11 Aprile 2005

Caro diario, ti sto per raccontare una giornata molto movimentata. Questa mattina non mi volevo svegliare; non ho neanche sentito la mamma che mi diceva di sbrigarmi, così è dovuto intervenire papà che mi ha fatto la solita “predica”: -Alla sera si va a letto presto!-. Sono arrivato abbastanza presto a scuola e mi sono messo a chiacchierare con i miei amici anche se non mi interessava molto l’argomento: Valentino Rossi. In classe abbiamo iniziato a leggere “Il diario di Anna Frank”. Mi ha colpito moltissimo il modo in cui venivano perseguitati gli ebrei. Non avrei mai pensato che gli uomini arrivassero a tanto. Dopo l’intervallo, il colpo di scena: la maestra ci ha fatto fare una prova geografica a sorpresa. Spero di averla fatta giusta! Fuori da scuola, altro colpo di scena: la mamma ha incontrato la maestra Franca che le ha raccontato che sono troppo agitato. La mamma si è arrabbiata un pochino e mi ha invitato a stare più calmo. Nel pomeriggio sono andato a casa di Marcello per finire la ricerca di religione. Purtroppo non abbiamo trovato notizie e così domani dovremo andare in biblioteca. Spero che i prossimi giorni saranno migliori! Ciao da Luca!

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Michel, ragazzo del Benin M

ichel Tamoute non ha un letto e dorme sul fondo argilloso della sua capanna: i suoi genitori, i suoi nonni, i nonni dei suoi nonni hanno sempre fatto così e a nessuno, nel villaggio di agricoltori dove vive, verrebbe mai in mente di fare in un altro modo. Il letto, per chi abita nell’arido nord del Benin, è forse l’ultimo dei problemi: l’acqua scarseggia, il terreno è duro, sul duro si dorme bene e sul fondo della capanna non c’è mai umidità. Dopo una bella dormita, però, al mattino presto ci vuole un po’ d’acqua fresca per rinfrescarsi la gola e lavarsi via il caldo della notte tropicale. Un torrente c’è, basta prendere una brocca, fare qualche centinaio di metri e scendere ad attingere quel poco d’acqua che scorre. Michel lo fa tutte le mattine, ma l’acqua che lo aspetta non sgorga da una sorgente: scorre all’aperto e ha già raccolto tutto quello che i villaggi più a monte hanno scaricato direttamente nel canale, non avendo fognature. Michel quell’acqua torbida l’ha bevuta e ribevuta tante volte, e qualche mal di pancia se l’è preso. Tanti suoi amici sono nati meno forti e meno fortunati di lui, Michel ricorda con disperazione di averli visti dimagrire fino a che erano talmente sottili che la vita non ce l’ha più fatta a muoversi tra le loro ossa. I progetti di cooperazione e di aiuto al Benin sono tanti, così come tanti sono i fuoristrada con le insegne dell’ONU, della FAO e di prestigiose Organizzazioni Non Governative che sfrecciano per le strade della capitale, ma fino all’anno scorso nel villaggio di Michel nessuno ha trovato la voglia o il tempo di scavare un pozzo o mettere una pompa per l’acqua. Ora una pompa c’è e grazie al suo semplice meccanismo molte vite saranno salvate. Installare una

pompa per l’acqua non costa più di 2.000 €, ma tra le colline brulle delle regioni del nord, tra i villaggi sparsi nelle aride campagne di Natitingou, ragazzini ben più giovani di Michel camminano silenziosi all’alba con la loro piccola zappa in mano e la pancia gonfia per l’acqua malsana, ringraziando il cielo se a sera porteranno ai loro genitori almeno la paga di una intera giornata, mezzo euro se le cose vanno bene. Michel, invece, ha avuto una grande fortuna: suo padre, dopo una vita di sacrifici in campagna, è riuscito ad iscriverlo alla scuola dei padri missionari a Natitingou e per mantenere i suoi studi si è trasferito a 50 km dal villaggio, a fare il bracciante dove la terra è un po’ più fertile e la paga meno misera. Michel può studiare, Michel può sognare un futuro migliore, Michel può capire quel che succede al suo paese e alla sua gente, Michel domani può battersi per restituire dignità al suo popolo e alla sua terra. Michel può persino parlare la lingua dei colonizzatori, e grazie al francese, in un torrido pomeriggio del 1999, ha potuto rispondere alle domande di un gruppetto di turisti bianchi che camminavano incuriositi tra le capanne e i campi di manioca. Quel gruppetto, una coppia di italiani e una coppia di francesi in Africa occidentale per vedere quella parte del mondo che paga il conto del nostro benessere, eravamo noi. Turisti a Natitingou non se ne vedono mai, l’Africa dei grandi paesaggi non abita più lì: gli alberi sono stati tagliati quasi tutti perché senza la legna al villaggio non si potrebbe accendere il fuoco e cucinare, gli animali sono stati mangiati quasi tutti perché trovarsi la pancia piena alla sera è sempre una gran scommessa. Michel ci ha accompagnati sulle colline deserte e silenziose e ci ha raccontato del

grande Parco Naturale della Pendjari, dove i leoni, gli ippopotami e gli elefanti scorrazzano felici e sicuri, dove ci sono bravi guardiaparco e veterinari pronti ad aiutarli e ad assisterli quando sono malati, dove i turisti - là sì - arrivano numerosi al fine settimana e portano denaro prezioso, dove bambini orfani e abbandonati cercano di entrare per elemosinare qualche spicciolo e sono scansati con fastidio dai turisti in safari e vengono maltrattati dai sorveglianti che non vogliono fastidi. Michel aveva allora 11 anni ma capiva e giudicava: sapeva che la vita sua valeva e vale molto meno di quella di un leone, sapeva che chi ha l’acqua potabile tiene ben chiuso il rubinetto perché troppi sono i poveri che hanno sete e un pozzo lo asciugherebbero in mezz’ora, sapeva che nessuno si preoccupa del Benin perché non ci sono né petrolio né diamanti e sapeva persino che quando si chiede aiuto a chi è ricco ci si deve aspettare che quello si lamenti di essere pieno di grattacapi e fastidi e che protesti di non potersi fare carico di tutti i problemi del mondo. Tutto questo ci ha detto con una severità e un’amarezza che mostravano impietosamente quanto lunghi sono undici anni trascorsi nella miseria. Poi, vincendo la timidezza e l’orgoglio, ha fatto quello che tutti nelle sue condizioni devono fare: ha chiesto aiuto a chi ha molto, troppo più di lui. Una bicicletta, anche usata – ci ha detto – sarebbe stata per lui una benedizione: la scuola è lontana e a piedi ci si mette parecchio tempo. Le biciclette, chissà perché, in Africa costano come in Europa, e i nostri soldi per il viaggio erano contati. Gli abbiamo detto di no, ma quel no ci ha accompagnati per dei mesi come una nuvola nera. A Castelnuovo, tempo dopo, guardavamo tristemente

le vecchie biciclette che si riempivano di polvere nel cortile di casa. La più malridotta di quelle biciclette avrebbe reso felice Michel. Abbiamo nascosto tra due foto un po’ di franchi francesi, sigillato bene la busta e spedito una raccomandata per l’Africa. Il messaggio diceva «Se ricevi questi soldi, comprati una bici!». Sei mesi dopo è arrivata la foto che vedete in queste pagine. Michel sulla bici nuova. La sua espressione vale di più di qualunque considerazione. Michel ora è cresciuto, ha 17 anni, continua a studiare all’École du Petit Séminaire St. Pierre di Natitingou e conta sull’aiuto che riescono a dargli i suoi amici italiani. I fondi che un gruppo di genitori degli alunni della Scuola Elementare “Bandello” ha deciso di raccogliere e destinare a Michel sono un sollievo straordinario e insperato sia per lui che per tutta la sua numerosa famiglia. Con la somma che è stata raccolta sicuramente potranno essere risolti gran parte dei loro problemi: 250 euro a Natitingou sono il salario di un anno. Per caso, quasi per gioco, ci si presenta l’occasione – marginale ed episodica quanto si vuole - di ritrovare un senso e una logica nell’assurda dimensione del nostro privilegio. Il passo che è stato fatto, la semplice sensatezza di genitori che sanno misurare i limiti delle convenzioni e decidono di impiegare in modo profondamente diverso una piccola somma destinata a scomparire nei rituali distratti di fine anno scolastico, lascia sicuramente un segno profondo tra le capanne del Benin ma anche, inevitabilmente, nelle pieghe del nostro involontario correre a servire l’ingiustizia. (Mauro Mainoli, Fiorenza Corradini).

Nasce da un gruppo di genitori l’iniziativa per Michel

La bomboniera magica

La somma è stata raccolta rinunciando ai piccoli gadget e regali di fine scuola

A

lcuni genitori degli alunni della Scuola Elementare “Matteo Maria Bandello” di Castelnuovo Scrivia hanno preferito rinunciare al consueto rito delle bomboniere che accompagna le Comunioni e la fine dell’anno scolastico e versare l’equivalente della spesa su un fondo di solidarietà per Michel Tamoute, ragazzo del Benin incontrato nel 1999 da una coppia di Castelnovesi. La somma, 250 €, è stata versata alla famiglia del ragazzo tramite la società Western Union, specializzata in trasferimenti di denaro. Immediatamente dopo il versamento, la somma è diventata disponibile presso uno qualunque degli agenti Western Union del Benin e due giorni dopo è stata ritirata dal padre di Michel, Boko Tamoute, presso l’ufficio delle poste di Natitingou. Il contatto diretto tra chi versa e chi riceve e l’utilizzo del trasferimento di denaro tramite agente garantiscono l’arrivo della totalità della somma senza alcuna dispersione e senza che i soldi rimangano impigliati nei meandri spesso tortuosi dei meccanismi di aiuto ai paesi poveri. Il canale ora è aperto e collaudato, soprattutto grazie alla tenacia e all’ostinazione di Manuela e Paola, che hanno coordinato l’operazione. (Favolarevia)

Dall’alto al basso: Michel sulla bici nuova, sulla strada a Natitingou, bambini al lavoro nei campi, una gomma per giocattolo... (foto fiorenza corradini)

Caro insegnante, i nostri bambini hanno affrontato un appuntamento delicato e molto atteso del loro percorso di crescita: la Prima Comunione. In questa particolare occasione, pur volendo condividere questa gioia con i maestri, che sappiamo avere un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli, non abbiamo voluto ricorrere alla tradizionale “bomboniera”. Potere effettuare un gesto di solidarietà da parte dei nostri piccoli festaggiati verso altri bambini meno fortunati ci sembrava più educativo ed attinente a questo contesto. Confidiamo nella sensibilità di chi riceve questo nostro segno che non vorremmo fosse valutato come una scarsa riconoscenza, ma la condivisione di un principio di solidarietà nel quale crediamo e che abbiamo sempre cercato di sviluppare nei bambini. Speriamo invece che le faccine che vedete nella foto vi suggeriscano un sorriso e un po’ di tenerezza quando tra qualche anno loro saranno cresciuti e a noi tutti resterà questa immagine a ricordo di una giornata speciale. I genitori di: Barilli Lorenzo, Tosino Riccardo, Chiapedi Marta, Crivelli Cecilia, Mandirola Laura, Marini Federica, Viceconte Silvia, Marcone Andrea, Amendola Luca, De Agostini Leonardo, Carli Marika, Costa Federico.

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K r i t i K a

Re t r o s c e n a d i u n m e r c a t o c h e p u n t a e s p l i c i t a m e n t e s u g l i a d o l e s c e n t i

V i d e o g i o c h i

manna dal cielo per l’economia (e per lo stato). E per gli utenti? Davide Varni

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ra stato un mio compagno ad accendere la discussione: lui, i videogiochi, li scaricava da internet. Niente di nuovo. Mi piacquero assai le sue motivazioni: tanto i programmatori non ci guadagnano niente e sono tutte tasse. Lì per lì sono rimasto un po’ spiazzato e non sapevo cosa rispondergli: che scaricare videogiochi da internet sia reato? Che comunque i produttori abbiano la loro parte? Che me ne doveva prestare qualcuno? Così ho fatto una piccola ricerca. Il “percorso” di un videogioco parte dalla società che lo sviluppa, passa per l’editore, il distributore, il negozio che li vende e, infine, arriva a casa nostra. Prendiamo un videogioco che costa 50 euro. La società che li sviluppa prende qualcosa come 9 euro (18% del ricavo più o meno). All’editore spetta il 15%, cioè 7,50 €. Il distributore prende un bel 17%, e così anche il negozio ( fanno 8,50 euro a testa). Poi, ogni videogioco ha la confezione, il manuale, la traduzione, c’è anche la pubblicità da contare… questi costi di gestione assorbono circa 6 euro, anche se in alcuni casi la spesa è di molto superiore. Lo stato si incassa ciò che rimane, quindi 10 euro. Questi sono calcoli basati su alcuni articoli trovati su riviste specializzate,

Illustrazione di Carlotta Ruotolo

quindi nulla di ufficiale: sono comunque dati che fanno riflettere. Sviluppare un gioco non è per nulla semplice: servono attrezzature, spese per l’elettricità, stipendi, mantenere la squadra per mesi, spesso bisogna anche acquistare un motore fisico ed adattarlo al gioco progettato. Non bisogna neanche dimenticare che per un gioco di dieci anni fa bastavano una manciata di programmatori, mentre per sviluppare un videogioco serio oggi ne servono molti di più. Si capisce subito come la metà del sudato cinquantone sia praticamente inutile. Le tasse potrebbero essere dimezzate senza rischi, e anche le percentuali del negozio e del distributore (in fondo la loro funzione è solo quella di tenere accumulato il materiale in attesa di acquirenti) potrebbe essere diminuita senza tracolli inarrestabili dell’economia. Però questo non succede anche per una questione psicologica: se bisogna scegliere tra due beni di consumo, di solito scegliamo sempre quello che costa di più. Si è radicata in noi l’idea che quello che costa meno è di scarsa qualità, e lo stesso vale per i videogiochi. Quei 20 euro aggiuntivi inutili ed esosi servono come garanzia della qualità del prodotto. Alla faccia! Segnali di svolta non se ne vedono, ma ricordate che una copia in più venduta fa differenza.

Il tema di Martina Ruta

SCRIVI SOTTO FORMA DI DIARIO UNA DISCUSSIONE AVVENUTA IN FAMIGLIA

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aro diario, come stai? In questo periodo andava tutto bene, però proprio l’altro ieri ho avuto una discussione con mia madre. Una discussione che si poteva evitare ma a causa del “cinema” questa discussione ha preso una brutta piega. Era proprio un venerdì di marzo, io e i miei amici avevamo deciso insieme di andare al cinema alle 20.00 a vedere un bel film… va bene arrivo al punto, sono andata da mia madre le ho chiesto se potevo andare e mi ha risposto forte e chiaro “NO”. Quando mia madre pronuncia quelle due lettere sta per iniziare la solita discussione. E infatti, caro diario, avevo proprio ragione, la discussione stava per prendere vita. Le ho chiesto il perché del “no”, e lei mi ha risposto: “perché no” e io mi sono chiesta: “ma se da quando sono piccola mi hanno insegnato a dire il perché delle mie affermazioni, ora mia madre ritorna bambina?” Allora io, da buona figlia, avrei dovuto lasciare perdere, invece con la mia faccia tosta andai da lei e le chiesi: “Mamma, forza, dimmi il perché!” Lo so, diario, avrei dovuto lasciare perdere, la voce di mia madre stava per alzarsi; “Perché sei troppo piccola, e poi perché di sera non ti faccio uscire.” Cosa?!? Sono troppo piccola? Mia madre stava bene? Io ho dodici anni non ne ho più cinque, e poi di sera non mi fa uscire? Ma qui stiamo peggiorando? Ma scusami diario, ti sembra giusto che io dodicenne non possa uscire? Indovina cosa ho fatto? Le sono andata a chiedere spiegazioni! Ed è qui che iniziava a raccontarmi di quando lei aveva la mia età, non poteva uscire… la solita tattica delle madri per mettere confusione nelle teste delle figlie. “Io quando avevo la tua età andavo a dormire alle otto e mezza, non guardavo la televisione e non uscivo finché non ho compiuto 18 anni.” Certo, io dovrei aspettare ancora sei anni? Dissi a mia madre che non era giusto, perché gli altri andavano e io no, lei sai cosa mi rispose? “Tu nella vita non dovrai mai seguire gli altri.” E dopo questa frase chiuse la bocca e se ne andò. Questa frase mi è sembrata molto banale ma significativa, ed è lì che ho capito dove mia madre mi ha fatto arrivare con l’intelligenza, a te diario sembrerà stupida questa frase, a me no, “non seguire gli altri”… questa frase me la ricorderò sempre, perché? Perché me l’ha detta una persona saggia, mia madre. Per ora è tutto, grazie di avermi seguito. Illustrazione di Carlotta Ruotolo

Baci, Martina


Pikkoli Storia di Marta e Claudia, intrepide sognatrici Sofia Falchetto quarta parte E’ ovvio che non si fecero prendere dal panico, presero le loro bombe (in realtà erano uova e la cavalletta era lo scivolo) e iniziarono a tirarle addosso alla cavalletta; ed in men che non si dica la sconfissero. La fata, allibita per la rapidità, disse subito l’indovinello: “E’ un animale che da piccolo cammina a quattro zampe, da grande cammina a due zampe e da vecchio cammina a tre zampe. Chi è?”. G.A. e G.V. erano molto pensierose perché su quel pianeta c’erano animali stranissimi e dovettero ragionare molto, ma infine G. A. rispose: “E’ l’uomo, perché da piccolo

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Pikkoli f a v o l a r e v i a

La

Porta

Magica

Favola di Lisa Rita Magnaghi, 5ª elementare

ottava puntata

L

’uomo pensava di essersi liberato per sempre dei suoi inseguitori. Giunto alla fonte, prese dal suo mantello un’ampolla e la riempì d’acqua; quando stava per chiuderla, Popotus e gli amici gli saltarono addosso cogliendolo alla sprovvista e lo immobilizzarono. “Il tuo viaggio nel tempo finisce qui” disse Popotus estraendo un telecomando che fece apparire la sua astronave temporale. Partirono immediatamente ed arrivarono in uno strano luogo. “Qui il nostro uomo sarà al sicuro” disse Popotus agli amici. I nostri amici tornarono nella sala ottagonale dove trovarono un messaggio: “Complimenti, siete riusciti a fermare uno dei tre nostri nemici ma ora tutto diventerà più difficile perché loro si sono arrabbiati e cercheranno di neutralizzarvi; la vostra prossima meta sarà Roma”.

r a c c o n t a

cammina a gattoni, cioè a quattro zampe, da adulto cammina con due piedi, cioè a due zampe, e da vecchio cammina con il bastone, cioè a tre zampe. La fata rispose: “Bravissime, vi consegno questo mio anello, così avete il permesso per ritirare il

CLEO LA FORMICA

lasciacomprare da Grande Occhio; addio piccole amiche!!”. Detto questo la fata ritornò sul fungo e le due capitane si rimisero a correre verso la casa di Grande Occhio; bussarono e appena esso aprì la porta G. A. gli disse: “Abbiamo il permesso di ritirare il lasciacomprare!!”. Grande Occhio rispose subito: “Mi fido molto di voi, ma prima dovete

di Fabio Porta Scarta

CAPITOLO 2 : LE GRANDI PAURE DI CLEO

farmi vedere l’anello della Fata del Fungo”. G. V. frugò nelle tasche del suo grembiule, ma dell’anello nessuna traccia... Chissà dov’è finito l’anello?

B a s t a a s p e t t a r e l o d i r ò .

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p r o s s i m o

n u m e r o

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v e

via Emilia Sud, 22 15055 Pontecurone Tel. 0131 886373 0131 886932 Fax 0131 887637 N. verde 800-603471 e-mail: info@hotellarosablu.it www.hotellarosablu.it

I

giorni scorrevano velocemente. Accudite e coccolate dalle formiche nutrici, le giovani formichine crescevano tranquille e cominciavano a esplorare le gallerie curiose. Cleo non aveva ancora le sue antennine ed era sempre in compagnia di una delle sue sorelle. Nel formicaio c’erano migliaia di gallerie, una perfettamente uguale all’altra come un labirinto. Cleo non potendo orientarsi rischiava di perdersi. La piccola Cleo osservava tutti i grandi che svolgevano il loro lavoro fieri e instancabili e ascoltava con attenzione i discorsi delle sue sorelline. Parlavano di progetti futuri per migliorare e rafforzare la loro grande comunità. All’improvviso Cleo pensò: “Io presto sarò grande… e se non avrò le mie antenne… come potrò essere utile? E se le mie sorelle si stancassero di me… io….sarò…sola?” Le sue zampine tremavano perché questi pensieri si trasformavano in grandi paure. Le sorelline videro Cleo assorta nei suoi pensieri, era triste. Insistenti, la chiamavano per giocare con loro, allora le grandi paure di Cleo all’improvviso svanirono nel nulla. E nel momento in cui le passò accanto la regina madre che sorridente disse: “Ti vogliono bene Cleo”, ella tirò un lungo sospiro di sollievo.

Progetto grafico e impaginazione: Favolarevia - Mauro Mainoli Fotografie: Bruno De Faveri, Paola Maggi, Fiorenza Corradini, Favolarevia Redazione Direttore Resp.: Antonella Mariotti Presidente: Mimma Franco Anna Bruni - Giovanna Spantigati Paola Maggi - Alessandro Pugliese Elisa Pareti - Mauro Mainoli.

Proprietà artistica letteraria Casa Editrice Favolarevia Via C. Alberto, 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL)

Silvia Pareti (Capo redattore) - Marta Lamanuzzi (Capo redattore) - Livia Granata (Capo redattore) - Anna Baiardi (inviato) - Sara Serafin - Giada Gatti - Simona Lucarno (inviato) Davide Varni (Capo redattore) - Elena Pisa - Paolo Pareti (Capo redattore) - Costanza De Faveri - Marcello Spinetta - Giorgia Bresciani - Cecilia Sacco - Andrea Accatino (inviato)

Mini reporter Stefano Pugliese (Capo redattore) Piccoli Piccoli Lisa R. Magnaghi (Capo redattore) Cecilia Mariotti - Martina Ruta (Capo redattore) - Sofia Falchetto (Capo redattore) - Daniele Accatino - Marta Poggio - Alberto Arzani - Fabio Porta Scarta - Claudia Poggio Piccoli Artisti Carlotta Rubin, Victoria Ferrari Collaboratori Maria Serafini - Cristiana Nespolo Claudio Bertoletti - Cristina Bailo Bruno De Faveri - Elisabeth Daffunchio Illustrazioni Martina Delfanti - Carlotta Ruotolo Vietato riprodurre senza autorizzazione testi, fotografie e impostazione grafica


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Pianeta n. 4

a cura di Paola Maggi isolato con la mamma ed i fratellini come unica compagnia non c’è da stupirsi se una volta arrivato in casa ogni rumore ignoto (l’aspirapolvere ad esempio) per lui è fonte di paura: non l’ha mai incontrato prima. Sapendo questo bisognerà prevedere eventuali situazioni per lui problematiche (rumori forti, persone nuove) ed abituarcelo piano piano per evitare di creare traumi che poi si trascinerà dietro per molto tempo se non addirittura per sempre. Anche il carattere della mamma e degli altri animli con cui è cresciuto giocherà la sua parte nell’indole del nostro cucciolo: come pensate che considererà gli estranei se ogni volta che se ne avvicina uno sentirà la sua mamma mettersi in ten-

Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno mandato domande e per farlo dedico questo numero del “pianeta” alle risposte. Mi rende molto felice sapere che le mie righe su questo giornale hanno stuzzicato il vostro interesse.

P

erché si dice che il Rottweiler è un cane mordace senza chiedersi di chi è la vera colpa dell’avvenuto? Purtroppo il rottweiler è uno dei cani più bistrattati dalle cronache giornalistiche e dal “passaparola” popolare… e devo dire decisamente a torto!!! Purtroppo spesso chi acquista un cane lo fa spinto solo da questioni estetiche senza domandarsi cosa si porterà dietro come “memoria di razza”. Il rottweiler è un cane dal carattere solidissimo ma anche molto determinato, non dimentichiamoci che nella sua antichissima storia ha ricoperto di volta in volta i ruoli di guardiano di mandrie, cane da tiro, guardiano degli incassi dei commercianti della zona di Rottweil (da cui il suo nome): essi infatti avevano l’abitudine di legare al collo del cane una borsa contenete gli incassi della giornata prima di affrontare le strade buie e pericolose per il rientro a casa. Va da

sé che con una storia del genere alle spalle dobbiamo aspettarci un cane molto fiero e con una capacità difensiva elevata, per questo è fondamentale che la famiglia che lo accoglie sappia tirarlo su con polso in modo da fargli capire chiaramente che le decisioni spettano al suo padrone “capobranco”. Se questo non avviene non sapremo mai quando potrà capitare che il nostro cane legga in una situazione magari per lui nuova un pericolo per la sua famiglia e decida quindi che è suo dovere prendere l’iniziativa per difenderla. Purtroppo spesso avviene tutto il contrario: per una sciocca mania di “machismo” si tende ad esal-

il livello di comunicazione istintiva che si sviluppa tr a un “cucciolo d’uomo” ed un cucciolo canino è affascinante da osservare ed impressionante nella sua forza e profondità

tare questa sua reattività gloriandosi del cane “forte” convinti stupidamente di poterlo controllare. In questo modo si cercano solo guai: un cane controllato a forza o con la paura prima o poi coglierà il padrone di sorpresa e darà sfogo ai suoi istinti che NOI UMANI abbiamo incanalato in modo scorretto. Quando poi succede l’incidente la colpa è sempre del cane perché noi umani quasi sempre ci consideriamo troppo superiori per ammettere di aver sbagliato o per chiederci cosa è andato storto. Vorrei chiudere la risposta con un aneddoto personale: durante il corso per istruttori cinofili che ho frequentato accompagnata dal mio maschio (una “creaturina” di una settantina di chili) il nostro compagno abituale di esercizi è stato proprio Huron, un maschio di Rottweiler di 4 anni… nonostante l’età il sesso e le nomee rifilate alle varie razze per tutte le 170 ore di durata del corso non c’è stato il minimo screzio o un qualunque comportamento che potesse minimamente impensierirmi né tra i due maschi né nei confronti delle persone. Chi acquista un cucciolo perché non chiede quasi mai da dove arriva il soggetto, chi sono i genitori, che carattere hanno…? Questa è un’ottima domanda le cui radici temo affondino nell’abitudine a considerare il cane come una sorta di “oggetto animato” o “strumento” (per la guardia, per il lavoro o per la compagnia) senza riconoscergli la possibilità di una sua personalità e soprattutto senza pensare che in origine quasi tutte le razze sono state selezionate per un scopo ben preciso dove sono state rafforzate quelle caratteristiche che servivano a svolgere il compito deciso dall’uomo. Capita così che si prenda un bassot-

sione e magari ringhiare? Un cucciolo non è una bambola che esce dalla sua scatola, è la somma di quello che ha potuto assorbire durante il suo primo periodo di vita quindi sarebbe ottima cosa prestare molta attenzione quando ci rechiamo a visitare il luogo dove è nato per poter “pianificare” al meglio il suo inserimento in casa. Cosa ne pensa di far conoscere questi stupendi animali… a partire dai bambini … e quindi dalle scuole? Che l’idea è eccellente per tante ragioni!!! In primo luogo perché i bambini non hanno tutta quella barriera fatta di preconcetti che molti adulti purtroppo hanno invece ormai “assorbito” e faticano a lasciare. Quando affido i cuccioli da me allevati a famiglie con bambini consiglio sempre che siano proprio loro ad occuparsi in prima persona dell’educazione del cane: il livello di comunicazione istintiva che si sviluppa tra un “cucciolo d’uomo” ed un cucciolo canino è affascinante da osservare e impressionante nella sua forza e profondità. In secondo luogo perché, a costo di suonare retorica, tutte le speranze sul futuro di una società sono riposte nei suoi giovani e penso che solo educando loro alla comprensione si possa arrivare ad una convivenza più armoniosa tra le razze umana e canina lasciandoci alle spalle quella dei nostri giorni fatta perlopiù di divieti (anche a causa, ammettiamolo, di padroni maleducati che non rispettano coloro che il cane non l’hanno e non lo vogliono) , di obblighi e di paure infondate. In Italia ci sono pochissimi “progetti pilota” di questo genere, io ne conosco uno portato avanti da un centro di addestramento di Lodi con le scuole della provincia, ma tutti riportano buoni se non ottimi risultati nella stragrande maggioranza dei casi. È uno dei miei “sogni nel cassetto” (chi dice che da grandi si smette di sognare?) ed è una delle ragioni per cui ho frequentato tra i vari corsi anche quello di istruttore cinofilo. Mi piacerebbe molto poter prestare la mia opera in un progetto simile in quel di Castelnuovo: penso che per tanti bambini aprire gli occhi sul pianeta cane “dal vivo” sarebbe un’esperienza meravigliosa. Chiudo qui perché temo di aver già ampiamente “sforato” lo spazio a mia disposizione…Nel prossimo numero parleremo di un altro tema che ha suscitato diverse domande: l’ordinanza Sirchia sui cani pericolosi.

per una sciocca mania di “machismo” si tende ad esaltare questa sua reattività gloriandosi del cane “forte” convinti stupidamente di poterlo controllare to perché occupa poco posto ed è così simpatico a vedersi senza pensare che è stato creato per dare la caccia agli animali nelle loro tane (riuscite ad immaginare qualcosa che richieda più coraggio e tenacia dell’infilarsi in un luogo sconosciuto stretto e buio per azzannare un qualcosa da dover poi trascinare fuori a forza?) e poi ci si stupisce del fatto che sia molto testardo e volitivo. Decenni, a volte addirittura secoli di selezione non scompaiono dall’oggi al domani perché abbiamo deciso noi di cambiare la sua funzione, dovremo abituarci a considerare queste sue caratteristiche ed educarlo in modo che queste possano convivere con la vita della famiglia. Altro discorso molto importante è poi quello del cosiddetto “imprinting”, chiunque decida di accogliere un cucciolo dovrebbe prestare una grande attenzione alle condizioni in cui è stato allevato. Se è cresciuto in un box

un regolamento per difendere gli animali Continuiamo la pubblicazione a puntate degli articoli del regolamento voluto dall’Amministrazione Comunale di Castelnuovo Scrivia in difesa dei diritti del regno animale. Art. 5 - Maltrattamento di animali 1. E’ vietato mettere in atto qualsiasi maltrattamento o comportamento lesivo nei confronti degli animali (...) in particolare a scopo di scommesse e combattimenti tra animali di qualsiasi tipo. 2. E’ vietato tenere gli animali in spazi angusti, privarli dell’acqua o del cibo necessario o sottoporli a temperature climatiche tali da nuocere alla loro salute. 3. E’ vietato tenere animali in isolamento e/o condizioni di impossibile controllo quotidiano del loro stato di salute o privarli dei necessari contatti sociali intraspecifici ed interspecifici tipici della loro specie. 4. E’ vietato tenere animali in terrazze e balconi permanentemente o per periodi di tempo comunque non compatibili con il loro benessere psico-fisico, isolarli in cortili, rimesse, box o cantine oppure segregarli in contenitori o scatole, anche se poste all’interno dell’appartamento. 5. E’ vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita.


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