Redenzione di Francesco Breda

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REDENZIONE UN RACCONTO IN 14 CAPITOLI

Francesco Breda

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1. Non c’era modo di capire dove si trovasse e cosa ci facesse. Ignazio era solo, di questo poteva esserne certo. Forse avrebbe desiderato la compagnia di un altro bambino, ma forse anche no. In fondo (ma non c’era davvero modo di esserne certi), stava bene anche così. Ignazio si trovava per puro caso, o per destino (anche questo era incerto), all’inizio di un lungo corridoio. La parete destra era distrutta e lasciava vedere il cortile sassoso di un chiostro luminoso, al cui centro era collocato un pozzo. Avrebbe voluto avvicinarsi al pozzo, ma c’era una sorta di barriera magica (o di campo magnetico) che gli impediva ogni sorta di movimento in quella direzione. La parete sinistra del corridoio era invece alta e scura, quasi nera, incombente e minacciosa nella sua ieratica solidità. Visto che verso destra non poteva muoversi e verso sinistra nemmeno, Ignazio decise di percorrere il corridoio, che proseguiva perfettamente dritto in direzione est. Ignazio pensò che qualcuno di cui non si ricordava doveva avergli insegnato che ad est sorge il sole, per cui la camminata verso quel punto cardinale poteva considerarsi come una sorta di rinascita. Ma in realtà avrebbe maggiormente desiderato morire, non essere più, anche se l’atmosfera che respirava era abbastanza 2


tranquilla e serena. Continuò perciò il suo cammino verso est, seguendo un rigido percorso obbligato. Improvvisamente la vide. Si trattava di un porticina di legno chiaro collocata proprio al centro della parete contro cui il corridoio terminava. Si sentì piuttosto sollevato alla visione della porta, perché, camminando, stava cominciando a temere che il corridoio non avesse mai fine o che terminasse in un vicolo cieco senza vie d’uscita. Avrebbe forse potuto tornare sui suoi passi, ma , nell’universo in cui si trovava, non c’era proprio modo di stabilire da dove fosse arrivato: era come se si fosse materializzato da un nulla potente e scuro. Senza indugi, decise quindi di provare ad aprire la porta, che crollò a terra non appena spinse verso il basso la maniglia anch’essa di legno. Si trovava ora in una piccola stanza quadrata . Lungo le pareti erano disposti alcuni mobili antichi, che reggevano candelabri, scrigni aperti e chiusi, monete d’oro, panni di velluto viola, anelli con diademi verdi e rossi, collane ed altri gioielli. Questi oggetti parevano buttati lì alla rinfusa, ma in cuor suo Ignazio intuiva che lo schema delle loro posizioni doveva avere un significato ben preciso, che però non riusciva a comprendere. Nella stanza la calda luce del sole mattutino entrava attraverso una finestra a volta collocata sulla parete di destra. Osservò la finestra: non era molto grande ed era scandita da una grata di ferro nero. Attraverso di essa si poteva vedere una sorta di vasto bosco in lontananza, i cui alberi schematici risplendevano di semplicità stereotipata nella loro astrattezza. 3


L’atmosfera era nel complesso gradevole e distesa, se non fosse stato per un piccolo problema: dalla stanza non c’era via d’uscita. Ignazio non era però particolarmente preoccupato per questo, perché, in qualche modo, dopo aver guardato attraverso la finestra, sapeva che non doveva temere nulla. Fu allora che vide per terra una grossa chiave d’argento finissimo, su cui brillava la luce del sole. Era sicuramente troppo grande per poter entrare nelle piccole serrature degli scrigni chiusi sopra i mobili, e sicuramente non gli sarebbe stata di nessun aiuto neppure per aprire una porta, visto che di porte non ce n’erano: di quella da cui era entrato restavano solo i resti del legno crollato sul pavimento di pietra. Sicché, non c’era proprio via d’uscita. Ignazio decise allora con riluttanza di tornare indietro. Ma non appena rimise il piede sinistro nel corridoio, fu inghiottito magicamente da quel nulla da cui pareva essere stato creato, e si fece buio dappertutto.

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2. Dorothy si era appena svegliata e già stava piangendo. In quel momento non le importava proprio di essere una principessa. O almeno così le avevano detto i suoi genitori prima di partire: “Dorothy, tu sei una principessa destinata a sciogliere gli enigmi del nostro regno. Ma dovrai farcela da sola. O forse troverai qualcuno che ti aiuterà. Questo non lo sappiamo. Noi sappiamo solo che ora non possiamo più rimanere qui con te nel castello. Dobbiamo andare. Ci attende un lungo viaggio, di cui non possiamo svelarti la meta. Coraggio, devi essere forte. Forse un giorno ci rivedremo”. Da allora non li aveva più rivisti, ed erano passati già quattro anni. Dorothy aveva 12 anni ora, ed era sempre più sola. Nel suo enorme castello non c’era nessuno a parte lei. Era per questo che quella mattina stava piangendo: avrebbe tanto desiderato la compagnia di un’amica, o anche di un amico (perché no?), con cui condividere il suo destino. Ad essere sinceri, non sentiva molto la mancanza dei suoi genitori. La avevano cresciuta con durezza e, sebbene le avessero instillato fin dall’infanzia delle abitudini di cui non riusciva più a liberarsi, era contenta che per qualche motivo a lei oscuro si fossero ora tolti dalle scatole. Certo era però che la solitudine, dopo quattro lunghi anni, iniziava a pesare. 5


Come sempre, si asciugò le lacrime con un fazzolettino di pizzo bianco posato su un piccolo comodino di ebano posto accanto al letto a baldacchino. Pensava che in qualche modo doveva occupare la giornata. Guardò fuori dalla finestra al terzo piano del castello (in cui si trovava la sua stanza da letto), e, come sempre, vide a perdita d’occhio un bosco sterminato che si allungava in ogni direzione. Come sempre, si chiese cosa mai ci potesse essere di tanto pericoloso tra quegli alberi antichi. Infatti, uno dei suoi primi ricordi era quello di sua madre che le diceva: “Qualsiasi cosa accada, non uscire mai dal castello. Il bosco che lo circonda è pericoloso. Molto pericoloso. C’è qualcosa al suo interno che potrebbe ucciderti. Si tratta di una cosa sola, non so se piccola o grande (nessuno l’ha mai vista), che gira in continuazione attraverso questo bosco infinito, ma qualora la incontrassi, anche per puro caso, sentiresti prima dei dolori fortissimi e poi moriresti.” Non era mai riuscita a liberarsi di quel ricordo. Ed effettivamente questa “cosa”, che secondo sua madre si aggirava nel bosco, la terrorizzava. Non tanto perché avesse paura della morte (infatti era convinta che dopo la morte la vita non solo sarebbe continuata, ma sarebbe stata infinitamente più bella), quanto perché temeva molto il dolore, e non sapeva né di che genere avrebbe potuto essere quell’agonia, né quanto sarebbe durata. Per cui non osava uscire dal castello. Era una giornata piovosa, calda e umida. Forse era già estate. Nuvole grigie solcavano il cielo scuro sospinte da un tenue 6


venticello e formavano strane figure sopra gli alberi del bosco: potevano ricordare mostri mitologici o creature fantastiche e immaginarie, che forse esistevano davvero, ma che nessuno aveva mai visto e per questo venivano considerate frutto della fantasia. Come sempre, scese al secondo piano del castello e si mise a suonare il clavicembalo. Era questa infatti una di quelle pervicaci abitudini che i suoi genitori l’avevano costretta ad acquisire fin dalla primissima infanzia. Suonava con destrezza una malinconica Toccata di Froberger, mentre il suo vestitino rosa, ornato di pizzetti di raso argentato, accompagnava con delicatezza i movimenti delle sue braccia. Nella stanza da musica c’era un grande specchio che rifletteva la sua immagine e quella del clavicembalo. Come sempre, si chiese se quel clavicembalo nello specchio fosse lo stesso di quello che stava suonando lei e, nel caso non lo fosse, se mai avesse potuto suonare una musica più allegra. Ma questo pensiero la disgustava: in fondo era convinta che il clavicembalo fosse stato inventato per comporre e suonare musiche tristi. Una musica allegra suonata al clavicembalo sarebbe stata come un banchetto festoso subito dopo un funerale. Del tutto fuori luogo, in effetti. Come sempre, dopo aver suonato per circa un’ora, scese al primo piano del castello. Qui era pieno di cianfrusaglie. Ma in una stanzetta perfettamente quadrata, sopra un altare di pietra, era collocato un grande baule d’oro. Il baule. Quello di cui i suoi genitori per lungo tempo le avevano parlato. Dorothy ricordava ancora suo padre che le diceva: “In quel baule è 7


contenuto un tesoro. E’ una cosa preziosissima, l’unica che potrebbe permetterti di attraversare indenne il bosco e capire gli enigmi del nostro regno. Sfortunatamente nessuno nella nostra famiglia è mai riuscito ad aprirlo. E’ chiuso ermeticamente e magicamente. Forse ci vorrebbe una chiave, ma non sappiamo dove trovarla. Qui a castello non ve n’è traccia.” Dorothy pensò che i suoi genitori quattro anni fa forse erano partiti, sfidando i pericoli del bosco, proprio per trovare quella chiave. Come sempre, accese una candela e la pose sull’altare accanto al baule. Lo faceva ogni mattina. Era una tradizione che si era tramandata di generazione in generazione: si diceva fosse di buon auspicio. Come sempre, Dorothy scese al piano terra. Il portone di ingresso era spalancato, come lo era sempre stato. Avrebbe potuto uscire in ogni momento, se non fosse stato per la paura che aveva di quel bosco. Fece un passo fuori. C’era un piccolo giardino coltivato a rose e piccoli siepi. Uscì nel giardino e respirò il profumo soave delle rose. Improvvisamente sentì un rumore provenire dal bosco: sembrava un sordo fragore lontano. Poi le sembrò di sentire il tintinnio di una campanella. Poi più nulla. Come sempre, tornò dentro, risalì al terzo piano e si rimise a letto. E, come sempre, pianse amaramente.

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3. “E così, dott. Da Ros, ho sognato questa cosa di essere una principessa, di vivere da sola in un castello, del bosco pauroso, e tutto il resto che le ho detto” disse la signorina Semenzin mentre agitava nervosamente le gambe sul lettino di pelle nera. “Cosa le fa venire in mente questo sogno, signorina?” disse il dottore, sistemandosi distrattamente gli occhialini e grattandosi il pizzetto. “Mah… vede… non saprei… Io ho sognato questa cosa della principessa, ma non so cosa mi fa venire in mente, non mi viene in mente niente in realtà…” “Evidentemente, come le ho già detto la scorsa seduta, lei ha difficoltà con l’associazione di idee. Le avevo anche detto quindici giorni fa, quando abbiamo iniziato, che la psicoanalisi non era adatta per lei. Deve capire che la sua nevrosi ossessiva le impedisce di lasciarsi andare. Non riesce ad abbandonare il controllo.” “Sì , questo me l’aveva detto, ne sono consapevole. Ma ho provato tutte le terapie possibili e non è cambiato mai niente. Dottore, se lo lasci dire, per me lei è l’ultima possibilità. Io non posso continuare a vivere così. La mia vita è un inferno, nonostante mi riempia di psicofarmaci. Guardi, glielo dico 9


chiaramente: se anche la psicoanalisi non funziona, io mi suicido.” “Si rende conto, signorina, di che responsabilità mi mette sulle spalle? Non può aspettarsi l’impossibile, non ho la bacchetta magica… Deve imparare anche a convivere con le sue fobie, le sue ossessioni: non posso fare miracoli.” disse stancamente il dottore, poi continuò sempre più meccanicamente “E poi c’è questo aspetto psicotico di cui le accennavo la volta scorsa… insomma, lei ha scarse capacità di insight, lo deve riconoscere, per questo le dico che nel suo caso la psicoanalisi non sarebbe indicata.” Seguì un lungo ed imbarazzante silenzio. La signorina muoveva nervosamente la testa e cercava di rilassare i muscoli della schiena e del collo, contratti all’inverosimile, mentre lo psicoanalista respirava profondamente, perché, evidentemente, nonostante i suoi titoli accademici conseguiti brillantemente, nonostante non fosse un novellino nell’esercizio della professione, e nonostante volesse aiutare in ogni modo possibile quella paziente; nonostante tutto questo, questa situazione lo metteva fortemente a disagio e non sapeva come gestirla. “E allora mi suiciderò, se lei è così crudele, io la faccio finita appena esco di qui” sbottò la Semenzin. “E allora io mi vedo costretto a farla ricoverare”, replicò senza indugi Da Ros. “Lo sa che se mi fa ricoverare, non solo lei non mi vede più, ma io anche la denuncio?” 10


“Faccia come crede, ma io la prendo sul serio e non posso lasciare che questa notte si ammazzi, se non altro la mia etica professionale non me lo permette. Se vuole che le eviti il ricovero, lei deve promettermi che non si suiciderà e che stanotte continuerà a prendere i suoi farmaci”. Seguì un altro lungo silenzio, molto più imbarazzante di quello di prima. Non si sarebbe potuto dire chi tra i due si sentiva peggio. “Va bene, dottore, va bene… Non mi suicido. Ma lei deve promettermi che farà del suo meglio per curarmi.” disse alla fine le signorina. “Signorina Semenzin, io faccio del mio meglio con ogni paziente, per cui farò del mio meglio anche con lei. Ora la seduta è terminata, si può alzare, ci vediamo la prossima volta.” La giovane si alzò lentamente avviandosi verso l’uscita dello studio. “Mi scusi un secondo” la interruppe Da Ros “come si chiama di nome, lei? Devo scriverlo qui sulla fattura e non me lo ricordo mai, mi perdoni…” “Dorothy, mi chiamo Dorothy Semenzin”, rispose. “Va bene, grazie, può andare.” Uscita la signorina, Da Ros scarabocchiò qualche appunto relativo alla seduta su di un taccuino, poi pose il taccuino sulla scrivania piena di carte e penne stilografiche, spense la luce dello studio, e si avviò pure lui verso l’uscita. “Non so per quanto tempo potrò continuare a fare questo lavoro…” si disse tra sé “sono stanco… e poi questi pazienti sono sempre 11


più matti. Beh, coraggio Ignazio, sempre avanti…” si rincuorò alla fine, aprendo la portiera dell’auto.

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4. Ignazio era immerso nell’acqua fino alla vita. Si trovava sempre all’inizio del solito corridoio, ma stavolta la parete destra non era crollata e torreggiava marmoreggiante sopra di lui. C’era acqua dappertutto, acqua purissima e azzurrina che lasciava intravedere il pavimento di marmo bianco. Appesi al soffitto erano sistemate dei grossi globi luminosi che irradiavano una luce verdognola dappertutto. Ignazio non sapeva bene cosa fosse, ma riteneva che nell’acqua ci fosse qualcosa di molto pericoloso, che avrebbe anche potuto ucciderlo se non avesse fatto attenzione: forse si trattava di meduse o piccoli pesci velenosi. Timoroso, esitava quindi a muoversi. Vide appeso sulla parete sinistra un foglio di pergamena ingiallita, che recava le seguenti parole scritte in uno stile calligrafico molto contorto ed elaborato: “La principessa sta aspettando. La principessa sta morendo. Salva, salva, salva la principessa. Amen.” Queste parole misteriose lo resero inquieto. Non aveva la più pallida idea di chi fosse questa principessa, né in che modo potesse salvarla (né da cosa, se per questo), ma in fondo al suo cuore desiderava ardentemente almeno incontrare e conoscere quella principessa. In fondo, si sentiva molto solo, e trovare un’amica cui confidare i suoi segreti gli avrebbe fatto molto 13


piacere. Ciò lo spinse a muoversi, sfidando i pericoli celati nell’acqua. In realtà, camminando, scoprì che non c’era alcun pericolo reale, ma che si trattava solo dei suoi più profondi timori che la lettura della pergamena gli aveva permesso di affrontare. Giunse così alla solita porta collocata al centro della parete con cui terminava il corridoio. Era sempre piccolina, ma stavolta non era di legno, bensì di oro massiccio (come potè scoprire dopo un’attenta analisi). Provò ad abbassare la maniglia, e la porta si aprì, rivelando la solita stanzetta perfettamente quadrata. Stranamente l’acqua non fluiva nella stanza, ma restava nel corridoio, come se fosse contenuta da un magico recipiente immaginario. Ignaziò entrò nella stanzetta, come al solito, e si accorse che fuori dalla finestra a volta era buio. Si potevano però vedere nel cielo miriadi di stelle. Pensò che forse le stelle erano qualcosa di magico e che la loro disposizione non era casuale. In particolare, poteva vedere attraverso la grata una porzione di cielo. Si accorse, dopo aver studiato le stelle per ore, che la loro posizione riproduceva perfettamente, anche se in scala maggiore, quella degli oggetti apparentemente buttati alla rinfusa sui mobili antichi nella stanza. Guardò per terra e vide la solita chiave d’argento. Decise di raccoglierla e mettersela in tasca. Stavolta però, accanto ad essa c’era un foglio pergamenato simile a quello che aveva visto nel corridoio. Su di esso, con grafia arabescata, erano scritte le seguenti parole: “ Queste posizioni sono mappe dei 14


movimenti della bestia del bosco. La bestia del bosco uccide. Salva, salva, salva la principessa. Amen.” Stava giusto riflettendo su queste parole, quando si accorse che al centro della stanza c’era una botola. Provò ad aprirla e vide che nascondeva delle ripide scale che scendevano. Animato dall’idea di aver finalmente scoperto una via d’uscita da questa stanza, scese con attenzione le scale e si ritrovò in un piccolo vestibolo, dalla cui opposta estremità c’era una scalinata che saliva verso uno spazio aperto. Deciso ad uscire da quel posto, iniziò a salire le scale, mentre dei teschi ingialliti roteavano verso il basso e si spaccavano sui gradini o sul pavimento del vestibolo. Si ritrovò così all’aperto, di fronte ad un intricatissimo bosco che si estendeva verso est. Capì allora che nel bosco c’era la bestia e che una misteriosa principessa aspettava di essere salvata da questo essere immondo. Ma aveva ancora paura ed esitava. All’improvviso, proprio di fronte a lui, si precipitarono fuori dal bosco due strane figure, un uomo e una donna. Saranno stati sulla quarantina ed era vestiti in modo regale, anche se, a dire il vero, dei loro abiti rimaneva veramente poco, essendo essi in gran parte lacerati. Non lo notarono subito. La prima cosa che fecero fu di gettarsi per terra. Fu allora che Ignazio si accorse che i loro corpi erano sfigurati dai bubboni della peste e che dovevano avere la febbre molto alta. Non osava avvicinarsi, temendo il contagio. Fu allora che l’uomo lo vide e, forse in preda al delirio, gli rivolse le seguenti parole: 15


“Quattro anni abbiamo vagato per questo bosco. Alla fine ci siamo anche dimenticati il motivo per cui volevamo attraversarlo. Abbiamo incontrato la bestia. Stai attento, il suo alito porta la peste! Salva, salva, salva nostra figlia.” Detto questo, cercò di alzarsi, ma la febbre e il dolore atroce dei bubboni non glielo permettevano. Barcollò e ricadde per terra con un sordo tonfo. “Elsa…” disse. La donna non rispose: era già morta. Dopo un interminabile istante emise un profondo lamento e il suo corpo si contrasse negli spasmi della morte. Il cielo nero si tinse di sangue.

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5. “Davvero non ha sognato nulla in questi giorni?” chiese il dott. Da Ros. “No, niente…” replicò la signorina Semenzin. “C’è qualcosa di cui desidera parlarmi, oggi?” incalzò il dottore. “Sì, una cosa c’è. Come sa mia madre è morta un anno fa. Stamattina ho saputo che mio padre, Ezio, l’ha raggiunta. Era malato da tempo, un tumore maligno. Prendeva la morfina da tre giorni. Tutto sommato, piuttosto che continuasse a soffrire, preferisco che se ne sia andato in pace.” “Noto che mi racconta questo fatto in maniera un po’ distaccata… la morte di suo padre non la addolora?” “Non più di tanto, se devo essere sincera. A parte il fatto che era molto anziano, come già le ho spiegato il tumore non gli ha lasciato scampo. Ha fatto una bella morte, non ha sofferto…” “Ma era pur sempre suo padre!” “Mio padre era già lontano dalla mia vita. Mi ha cresciuta con durezza, cosa di cui non lo posso perdonare. Però, in effetti è grazie a lui che sono diventata una pianista. Senza il rigore che mi imponeva da piccola durante le sue lezioni, non avrei mai potuto sviluppare la tecnica che ho adesso.” 17


“Però, signorina, lei non fa concerti, non lavora, non guadagna… Come pensa di mantenersi ora che i suoi genitori non ci sono più?” “Beh, mi hanno lasciato dei soldi da parte… userò quelli, finchè durano, poi… si vedrà.” “Però dovrebbe pensare di trovarsi un lavoro, se me lo consente. Non può ignorare del tutto il principio di realtà. Cosa le piacerebbe fare, se potesse avere tutte le possibilità a sua disposizione?” “Mah, la pianista credo proprio di no. Non ho mai amato il contatto con il pubblico. Poi ho già una certa età…” “Provi a pensare a qualcos’altro” “Sinceramente ci ho già pensato e ho concluso che non mi va di fare niente. A parte, forse, la principessa…” concluse con un sospirò Dorothy. Il dott. Ignazio da Ros non parlò e cominciò a riflettere. Si ricordò del suo sogno ricorrente, quello di trovarsi in un lungo corridoio senza vie d’uscita, ma gli venne anche in mente che la notte precedente aveva sognato quella frase… già… com’era quella frase? La principessa… salva… ah sì, salva, salva, salva la principessa. Poi c’erano quell’uomo e quella donna morti… e poi il sogno ricorrente di Dorothy, dove sognava appunto di essere una principessa sola in un castello… Era tutto un caso o forse… magari… ma no, sciocchezze, si trattava senz’altro di fortuite coincidenze, si disse. Eppure non riusciva ancora a parlare. “Perché non dice niente? Le sembra così strano quello che le ho detto?” esordì Dorothy. 18


Seguì un lungo silenzio. “Strano… sì, strano…” il dott. Ignazio da Ros stava perdendo tutta la sua flemma professionale. “Ah, ah, ma molte donne da bambine hanno sognato di essere delle principesse!” rise Dorothy “cosa c’è di così strano? Mi pare normale, perché se la prende tanto?” “Signorina, le dispiace se oggi terminiamo prima la seduta? Mi sono ricordato improvvisamente di un impegno urgente. Mi scusi tanto, ma dovremmo sospendere, anche io… non so… perché io… insomma signorina, questa situazione mi sta sfuggendo di mano.” Concluse asciugandosi con il dorso della mano le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. “Mi sta dicendo che mi vuole scaricare? Solo perché le ho detto quasi scherzando che non farei altro lavoro che la principessa? Ma mi sta prendendo in giro?” Dorothy si alzò dal lettino e lo vide seduto sulla sua sedia tutto sudato e tremante. “Dottore, sta male?” “Senta, io devo parlarle di una cosa, Dorothy…non dovrei, però…” “Cosa deve dirmi, dottore?” chiese Dorothy sbigottita. “Beh, vede, non dovrei dirglielo, ma quando studiavo psichiatria mi sono interessato anche di occultismo. Da un punto di vista patologico, ovviamente. Tuttavia, ci sono ora delle circostanze che mi inducono a pensare che io e lei… insomma… io e lei dovremmo unire i nostri sogni.” concluse. “Unire i nostri sogni? Come in un film?” Dorothy stava iniziando ad entusiasmarsi “è una bella idea, così potremo trovarci in sogno. Io non ho studiato occultismo, eppure mi 19


pare una cosa talmente ovvia! Certo, ho capito, lei pensa che siamo connessi oniricamente! Mia madre mi parlava spesso di questa cosa quando era viva. Era una bravissima sensitiva! Ma come facciamo, eh, come facciamo? E quando lo facciamo?” “Con calma, Dorothy, con calma” decise di iniziare a darle del tu “dobbiamo fare con calma. Io credo, ma forse è solo una supposizione, che sul piano astrale siamo effettivamente interconnessi: i nostri destini sono intrecciati. La cosa migliore, Dorothy, è che ora tu venga con me a casa mia. Lì potremo dormire stanotte e sognare assieme, perché la vicinanza fisica rafforza il contatto onirico. Sei d’accordo?” “Non chiedo altro, dottore, sento che questa è la terapia giusta per me” disse Dorothy rossa in viso contemporaneamente per l’eccitazione e per il sollievo. “Allora, andiamo, … principessa. E, per favore, d’ora in poi chiamami Ignazio.”

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6. “Li sento, stanno arrivando, li posso percepire” pensò l’idolo “è incredibile quello che riescono a fare gli esseri umani… se solo Lui non li avesse aiutati… ma li aiuta sempre… senza il Suo aiuto non ce l’avrebbero mai fatta. E io dovrei rassegnarmi, quindi? Stare qui, in questo involucro di pietra, aspettando la mia fine? No, mai! Non deve essere una battaglia persa… millenni fa ho perso la Guerra, ma questa battaglia la posso ancora vincere. Almeno qui. Sì, è vero, Lui mi ha confinato in questo corpo di pietra. Non posso muovermi. Ma la bestia del bosco è mia, è una mia creazione, l’ho creata io e ne vado fiero. Io sono la Bestia. Tutte le bestie, i mostri, le malattie, le pestilenze, le carestie e le morti sono mie! Lui non può nulla contro di me! Crede di avermi sconfitto per sempre… illuso… ho ancora forza e quei due esseri umani saranno miei! Io so che verranno qui. Devono venire qui, è scritto. E saranno distrutti, come tutto il regno. Questo è il loro destino. Sono ancora potente. Sono un dio… Il dio del male.”

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7. E fu così che Ignazio si decise ad entrare nel fitto bosco, consapevole dei rischi che correva. Era estate e gli uccellini variopinti cinguettavano allegri sugli alberi. Le ampie foglie verdi scuro oscillavano e frusciavano alla brezza calda di luglio e i tronchi possenti si stagliavano imperiosi. A dire il vero, non pareva poi un posto così minaccioso. Ma Ignazio ormai sapeva che qui c’era una bestia in grado di ucciderlo trasmettendogli il batterio della peste, per cui doveva andare molto cauto. Conosceva i suoi movimenti, almeno in questa parte orientale del bosco, se li ricordava a memoria dopo aver studiato la posizione delle stelle e degli oggetti sui mobili. Ogni volta che la bestia pareva essere nelle vicinanze, si sentivano prima un sordo fragore lontano e poi il vago tintinnio di una campanellina: anche questi suoni lo tenevano all’erta e lo avvisavano dell’incombente pericolo, inducendolo a spostarsi. Le stagioni passavano e già era autunno inoltrato. Le foglie erano ora rosse, gialle e brune e cadevano per terra accartocciandosi sotto il vento forte e fresco. Ignazio si nutriva di bacche e di erbe selvatiche. A volte trovava, nascosto tra le rocce, del miele. Sapeva che doveva cercare una principessa, ma non aveva la più pallida idea di dove 22


andare. Per cui procedeva un po’ a caso, cercando ad ogni modo di dirigersi sempre nella stessa direzione, cioè verso ovest. Doveva però stare attento anche ai movimenti della bestia, e questo molto spesso lo induceva a cambiare direzione, deviando verso nord o sud o tornando sui suoi passi. Questo complicava assai una già ardua impresa. E venne anche l’inverno. Cadde la prima neve che ricoprì il suolo muschioso di un manto bianco. Il sole scaldava poco ed era molto freddo. Alla fioca luce dell’inverno la coltre di neve caduta pareva, verso l’alba o il tramonto, quasi azzurrina. E sempre Ignazio sentiva quel sordo fragore e quel tintinnio, che non cessavano mai. Non aveva con sé vestiti pesanti, per cui iniziò a mostrare i primi sintomi di assideramento. Camminava a fatica, tossiva e respirava male. Pensò che non ce l’avrebbe mai fatta a trovare la sua principessa e stava proprio per gettarsi a terra per lasciarsi morire quando, alla fine di un lungo sentiero innevato, intravide un’ampia radura.

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8. “Chi sei?” chiese la ragazza. Ignazio non riusciva a parlare. Vedeva questa ragazzina di dodici anni, soave come il mantello di lana rossa che la riscaldava, e non parlava. “Non so chi sei. Non me lo vuoi dire?” insistette la ragazza. Quella fanciulla era veramente bellissima. Di corporatura esile, aveva dei lunghi capelli biondi che teneva sciolti sulle spalle e due occhi azzurri e profondi che rivelavano anche solo al primo sguardo un’ infinita tristezza. “Però sono contenta che sia arrivato qualcuno. Sai che è da quando avevo otto anni che sono sola in questo castello?” Ignazio ancora non parlava. La voce di questa creatura era dolcissima ed ancora un po’ infantile e la neve che le cadeva sul berrettino di lana verde la rendeva nel complesso ancora più affascinante. “Tu stai male, bambino.” capì alla fine la ragazza “E’ per questo che non mi parli. Devi aver preso molto freddo qui fuori. Su, dai, vieni dentro con me nel mio castello. Ti potrai riscaldare un po’.” Ignazio la seguì lungo un sentierino che si snodava attraverso delle piccole siepi e dei cespugli di rose senza fiori. Entrarono

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quindi nel castello attraverso il portone sempre aperto e salirono quattro rampe di scale, arrivando così al terzo piano. “Questo è il mio letto” disse la ragazza indicando un grande letto a baldacchino “ma tu ora hai più bisogno di me di riposare. Mettiti sotto le coperte… sono di lana, sai? Tengono molto caldo. Io intanto accenderò il fuoco.” Ignazio si mise a letto, mentre lei armeggiava con della legna e un acciarino attorno ad un piccolo caminetto. Lì si sentiva al sicuro. Non doveva più preoccuparsi del freddo, né della bestia. Finalmente, saranno state le coperte o il fuoco appena acceso, sentì un piacevole calore e subito si lasciò andare al sonno. Dormì per circa cinque ore. Quando si svegliò, fuori era già buio e il freddo era diventato più intenso. Ogni tanto si sentivano, tra il bosco circostante, un possente fragore e un tintinnio come di campanella. “La senti?” chiese la ragazza “è la cosa che gira nel bosco. I miei genitori mi hanno detto, prima di partire, che se mi avventurassi nel bosco mi ucciderebbe dopo una lenta agonia. Tu come hai fatto ad arrivare fino a qui? E da dove arrivi?” “Tu sei una principessa, vero?” fu la sola cosa che riuscì a chiedere Ignazio. “Così mi hanno detto i miei genitori. Mi hanno detto anche che dovrò uscire da qui da sola o con qualcuno per capire i misteri del regno. E tu sei quel qualcuno?” “Credo di sì. Ti chiami Dorothy, vero?” “Sì… come lo sai?” “Credo di averlo sempre saputo” rispose. 25


“E tu sei… forse… Ignazio?” chiese Dorothy. “Sì… come lo sai?” “Credo di averlo sempre saputo” rispose. “Ovviamente. Sai che sei un bambino molto carino, Ignazio?” “Davvero? Cosa ti piace di me?” “Beh.. quei capelli scuri, quegli occhi neri e profondi… Devi avere più o meno la mia età, no?” “Ho undici anni.” “Io dodici…” concluse “quasi, quasi…” “Quasi, quasi, cosa?” “Beh, insomma dai, io sono femmina, tu sei maschio…” “E allora?” “E allora, posso darti un bacetto?” “Va bene, ma non sulla bocca. Qui sulla guancia.” “Va bene, ma tu chiudi gli occhi…” “Ok.” “Ah, ah, te l’ho dato sulla bocca, proprio sulla bocca, un bacetto sulla bocca, ah,ah!” “Ti avevo detto sulla guancia…” protestò Ignazio. “Ma tu hai chiuso gli occhi…” replicò Dorothy con innocenza “Sei furba!” concluse Ignazio “Lo so, ma ti voglio già bene!” “Anch’io, Dorothy.” Passarono qualche minuto a guardarsi in maniera furtiva e a ridere. Poi Dorothy chiese all’improvviso: “Nel bosco hai per caso trovato i miei genitori?” “Dorothy, io credo… che i tuoi genitori… insomma… hai capito?” 26


“Sì” disse Dorothy rabbuiandosi in volto “lo sapevo, hanno incontrato la cosa e sono morti…” “Mi dispiace, Dorothy, davvero tanto…” “Non importa, non fa niente. Io posso stare anche da sola. Poi ora ci sei tu… Ma tu non hai trovato la cosa?” “Quella che tu chiami cosa è una bestia che trasmette la peste. I tuoi genitori sono appunto morti di peste.” “Una bestia? Grande o piccola?” “Non lo so, Dorothy, io non l’ho incontrata, conoscevo i suoi movimenti e sono sempre riuscito ad evitarla, non so come sia fatta o se sia grande o piccola.” “Ah, ho capito” riflettè Dorothy. Poi aggiunse: “Sai che qui nel castello c’è un oggetto che può proteggere dalla bestia? “Davvero?” “Sì, sì! Ma è chiuso in un baule d’oro e io non so come fare per aprirlo…” “E se qualcuno avesse una chiave?” sorrise Ignazio in modo furbetto “Oh, beh, allora sarebbe magnifico!” si illuminò Dorothy, per poi incupirsi subito dopo: “Ma chi…?” “Io” disse Ignazio “io ho una grossa chiave d’argento qui con me. Non resta che provarla.” Corsero giù al primo piano senza quasi pensarci, trovarono il baule d’oro chiuso sopra l’altare e vicino ad esso la candela ormai spenta che Dorothy aveva accesa la mattina. “Dai, mettila nella serratura!” urlò Dorothy in preda all’impazienza. 27


“Un attimo… ecco… mi pare che… sì, gira!” urlò Ignazio dall’entusiasmo. Così il grande baule d’oro chiuso da secoli e forse da millenni, finalmente si aprì con un sordo click. Al suo interno c’era una splendido diamante luccicante e finemente lavorato. Quello stesso diamante, che Dorothy si mise subito in tasca, avrebbe protetto i due ragazzi dall’aggressione della bestia, quando, in futuro, avrebbero lasciato il castello e si sarebbero diretti verso la parte occidentale del bosco alla ricerca di una risposta ai misteri del regno.

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9. Decisero di mettersi in viaggio verso la fine dell’inverno. Finchè non arrivò la prima aria primaverile, trascorsero le loro giornate al sicuro nel castello. Dorothy suonava sempre un’ora al giorno ed Ignazio era molto felice di ascoltarla. Forse ora Dorothy poteva pensare che il clavicembalo riflesso nello specchio avrebbe anche potuto suonare della musica allegra, senza che questo fosse considerato disdicevole. Un giorno Dorothy disse: “Fuori ci sono le primi rondini, è primavera!” “Sì” rispose Ignazio annuendo con la testa “forse dovremmo lasciare il castello…” “Per andare dove?” replicò Dorothy con aria smarrita “e poi si sta tanto bene qui!” “Dorothy, io mi sto annoiando” sentenziò Ignazio “tu almeno puoi suonare e a me fa piacere ascoltarti, è vero. Però io non so cosa fare, e non so come passare le giornate…” “Potresti imparare a suonare anche tu!” disse Dorothy entusiasta. “Sì, sarebbe bello, ma, cara Dorothy, ricordi quello che ti dissero i tuoi genitori prima di partire? Che dovevi lasciare il castello e affrontare il bosco per scoprire i misteri del regno? Ecco, io credo sia giunto il momento. E’ primavera ormai, 29


l’aria è più tiepida. E poi abbiamo con noi il diamante. Ci proteggerà dalla bestia.” “Ma il bosco è grande… da che parte andiamo?” rispose Dorothy dubbiosa. “Ad est non c’è niente al di fuori di un chiostro, di un lungo corridoio e di una stanzetta quadrata. Lo so perché io sono arrivato da lì. A nord e a sud, sinceramente non lo so: forse il bosco si estende all’infinito o si ripete sempre uguale in sezioni modulari, oppure ci sono paludi inaccessibili. Non lo so, ma non ha importanza. Quello che so è che io ho letto nelle stelle, quella notte che ho visto morire i tuoi genitori, che dobbiamo proseguire verso ovest: lì ad un certo punto tutto ci sarà svelato.” “Allora d’accordo, Ignazio, partiamo, andiamo ad ovest, mi fido di te”. Uscirono quindi dal castello e Dorothy decise di chiudere il portone di ingresso, che era rimasto sempre aperto, perché aveva il presentimento che lì non avrebbe più fatto ritorno. La aspettava una nuova vita. La primavera portava allegria nel bosco. Erano tornati gli allegri e colorati uccellini e le foglie stavano sbocciando sugli alberi e sugli arbusti, mentre la neve era ormai completamente sciolta. Il tutto si colorava di una tinta verde pastello. Sbocciavano anche i primi fiorellini: erano azzurri, viola, verdi e gialli. C’erano margheritine dappertutto tra l’erba che stava crescendo. Ignazio e Dorothy stavano seguendo un sentierino stretto e tortuoso che conduceva verso ovest snodandosi tra la 30


vegetazione primaverile. Ad un certo punto giunsero, quasi senza accorgersene, ad una piccola radura, al centro della quale era collocata un’antica fontana piuttosto grande e di forma circolare. Stavano giusto esaminando l’acqua contenuta nella vasca della fontana, quando udirono un rombo lontano seguito dal suono di una campanella. “E’ la bestia, sta arrivando!” urlò spaventata Dorothy “dobbiamo scappare subito o prenderemo la peste e moriremo!” “No, invece!” replicò deciso Ignazio “restiamo qui e la affrontiamo! Tira fuori il diamante.” Dorothy obbedì e prese in mano il diamante che ora stava brillando di una luce potentissima. “Sei sicuro, Ignazio?” chiese timorosa. “Sì, faremo così. Il rumore proviene da ovest. Mettiamoci rivolti ad ovest sollevando in alto il diamante” sentenziò Ignazio. E così, quel giorno innocente di primavera vide apparire nella radura la bestia immonda: era un enorme drago rosso dalle enormi scaglie di metallo lucente che, producendo un fragore quasi insopportabile se sentito da vicino, sputava dappertutto uno schifoso e puzzolente alito pestilenziale. Gli artigli poderosi pure di metallo graffiavano il suolo e distruggevano l’erba e i fiori senza pietà alcuna, creando grosse buche. Ma il diamante protesse i due giovani audaci. Il drago non fece neppure tempo a vederlo. Appena mise piede nella radura, dal diamante partì un fascio di luce azzurra che lo ridusse all’istante in un mucchietto di cenere rossa e fumante. 31


“Così facile?” rise Dorothy incredula “questa era il potere della bestia che tanto ci spaventava?” “Non era da sottovalutare” replicò Ignazio “era il potere del diamante ad essere fortissimo. Quel diamante ha un potere immenso: può annientare il male.” Nel trambusto non si accorsero che sopra le acque della fontana era comparsa una piccola fatina rosa, che, aiutandosi con le piccole ali, svolazzava qua e là seguita da brillii di luce dorata. “Ehi voi!” disse la fatina “venite un po’ qui”. I due si stupirono di vedere un essere così piccolo e così vivace, ma subito fecero amicizia. “Ciao fatina” esordì Dorothy “come ti chiami?” “Mi chiamo Rosary, e sono qui per aiutarvi.” rispose con un filo di voce. “Arrivi tardi!” rise Ignazio “la bestia è morta e il merito è tutto nostro!” “Se fossi in te, mi darei un po’ meno arie, giovanotto” replicò stizzita Rosary “per esempio, è possibile che vi sia sfuggito qualcosa…” “Cosa ci è sfuggito, fatina?” chiese Dorothy. “Guardate quella campanella sospesa a mezz’aria sopra le ceneri del drago. Fossi in voi la metterei in tasca assieme al diamante, può sempre tornare utile.” “Oh” arrossì Ignazio “non l’avevo vista… ma che ci fa lì una campanella?” “Adesso è troppo presto per dirvelo, lo saprete al momento opportuno. Vi dirò io quando usarla, perché, se non avete 32


niente in contrario, d’ora in poi io verrò con voi.” concluse Rosary. “Oh, no, vieni pure” esclamò entusiasta Dorothy “ci fa piacere avere compagnia, vero Ignazio?” “Sì, anche per me va bene” disse Ignazio senza troppo trasporto. “Beh, è ora di riprendere il cammino, che ne dite?” “Sì” disse Rosary svolazzando sopra le teste dei due giovani “la fine del bosco è vicina.”

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10. “Cosa? Aargh, nooooooo! Non è possibile!” pensò l’idolo “la bestia, hanno ucciso la mia bestia! Avevo impiegato anni per forgiare quel drago! Ma che importa! Stanno arrivando, stanno venendo qui con quella stupida fata: ci penserò io a distruggerli. Quando sarò libero, quando mi sarà concesso di essere libero, li schiaccerò, perché è così che deve finire. Lui non c’è, dorme, è assente. Non lo percepisco più… Il diamante! Hanno trovato il diamante! Ma con me… bah… illusi! Sempre Lui che li aiuta, in ogni modo: quel diamante è Suo. Ma ora…sì… silenzio… non lo sento più… Ahahahahah! Li ha abbandonati! Proprio ora! Fa sempre così, è tipico Suo… Nel momento di maggior bisogno ti abbandona… L’ha fatto anche con me, quando gli ho chiesto di essere come Lui. Lo desideravo ardentemente… era il mio più grande desiderio… essere come Lui… Aargh! Ma quando gli l’ho chiesto… cosa ha fatto? Mi ha imprigionato qui dentro, senza pietà. Non lo posso distruggere, è troppo forte. Ma adesso sembra che dorma… ottimo! Quei ridicoli esseri umani saranno annientati e io diventerò di nuovo potente. Ogni anima che strappo a Lui mi rafforza. Sì, sono ancora forte, sono ancora potente, sono un dio… Il dio del male.” 34


11. Improvvisamente, così come era cominciato, il bosco terminò. E si videro finalmente i confini ovest del regno: un immenso baratro senza fondo. C’erano però delle scale in pietra che salivano verso l’alto, in cielo. La loro forma e le loro intersezioni ricordavano le geometrie impossibili di Escher. “E ora?” chiese Ignazio, sbigottito da quanto stava vedendo. “Già, e ora?” gli fece eco Dorothy con un filo di voce. “E’ molto semplice” rispose Rosary “ora dobbiamo salire.” “In cielo?” chiese stupita Dorothy. “No, non in cielo, ma verso l’alto, un po’ più su, oltre quelle nubi.” rispose Rosary. “Ma, Rosary, come facciamo a sapere qual è la scala giusta? Ce ne sono un’infinità! “Non importa quella che prenderemo” concluse la fatina con fare indifferente “tanto portano tutte allo stesso posto.” Decisero di salire per la scala che pareva essere più larga e confortevole, mentre Rosary svolazzava attorno le loro teste. Ad un certo punto la scala terminava nel vuoto. Presero quindi una scala obliqua un po’ più stretta che conduceva sempre verso l’alto, ma un po’ anche a destra. Ma videro che dopo circa cento scalini mancavano quattro gradini. Erano troppi per saltare, anche se la scala continuava il suo percorso. 35


Decisero quindi di seguire una scaletta ancora più stretta che scendeva a strapiombo verso sinistra, perché avevano potuto notare tra il cielo blu che alla fine di essa ne saliva una grande a forma di spirale. Fecero questo percorso e salirono ancora per centinaia e centinaia di metri, contando innumerevoli scalini. Dalla scala a chiocciola partivano una miriade di scale e scalette in ogni direzione, ma preferirono attenersi al cammino principale. Ad un certo punto la scala si interruppe bruscamente: furono quindi costretti a scendere di qualche ventina di gradini e prenderne una di color cremisi che saliva in maniera ondulata. Alla fine di quest’ultima scalinata (l’unica colorata) le nubi iniziarono a dissiparsi e i giovani e la fata videro che si trovavano di fronte ad un tempio molto antico. “Ecco, siamo arrivati” disse Rosary solennemente. “Cosa c’è dentro a questo edificio?” osò chiedere Ignazio. “C’è la risposta a tutti i vostri interrogativi.” sentenziò Rosary. Iniziarono a salire la scalinata che conduceva all’ingresso del tempio: era costruito in marmo bianco e circondato da alte colonne pure di marmo, alcune delle quali però erano praticamente crollate o presentavano delle inquietanti grosse crepe sulla loro superficie. Superata la soglia di ingresso e le colonne, si trovarono in una stanza quadrata di medie dimensioni. C’era una luce giallastra innaturale che permeava l’atmosfera e consentiva di vedere un piccolo idolo verde posto sulla parete destra. Dalla stanza si 36


poteva uscire per quattro porte, tre piccole a nord, est ed ovest ed il solenne portone di ingresso collocato a sud. “Questo posto mi fa paura…” disse Dorothy “io… vorrei tornare indietro.” “Hai chiuso la porta del tuo castello, Dorothy. Significa che non ci vuoi più tornare. Significa che vuoi cercare di più. Significa che sei stanca di essere sola. Significa che non può arrenderti ora che sei ad un passo da ciò che cerchi!” “Bravo, Ignazio” esultò Rosary “è proprio vero quello che dici!” “Allora siamo d’accordo!” rispose Dorothy risoluta “avanti tutta! Per che porta proseguiamo?”. “Proviamo a nord, se siete d’accordo” suggerì Rosary. Si ritrovarono in un’altra stanza esattamente uguale alla precedente, ad eccezione del fatto che il piccolo idolo posto sulla parete destra era di colore viola. Ci misero poco a capire di trovarsi in un labirinto di stanze tutte identiche, ognuna con un idolo di colore diverso posto sulla parete destra. “Ma dove siamo, Rosary?” protestò Ignazio “dove stiamo andando?” “E’ il tempio degli dei. Ognuno di questi idoli è un dio che hanno adorato gli uomini e le donne che millenni fa abitavano questo regno, prima che…” “Prima che?” chiese Dorothy. “Prima che uno di questi dei, forse più potente o forse solo più malvagio distruggesse tutti gli esseri umani…” “E chi è questo dio?” chiesero Ignazio e Dorothy quasi all’unisono. 37


“E’… il dio del male. E’ stato chiamato in molti modi, Pazuzu, Arimane, Satana o altro, vi basti solo sapere che è terribilmente malvagio e menzognero. Ed anche potente…” aggiunse con un filo di voce. “E’… è… è qui?” chiesero i ragazzi terrorizzati. “Sì, nell’unica stanza senza luce. In quella stanza è completamente buio. Dobbiamo andare lì…” “Perché?” gemettero i due giovani “Perché è necessario, lo capirete poi… ora se la memoria non mi inganna… dovremmo trovarci proprio in questo punto del tempio… quindi, ah sì, ora ricordo, seguitemi!” Rosary faceva strada attraverso le stanze ognuna dedicata ad un dio diverso, mentre i ragazzi la seguivano lentamente e tremando. Era proprio necessario tutto ciò? E alla fine la videro. La stanza nera. Nera come la notte senza luna e senza stelle, come la vita senza speranza, come il dolore, come la malattia, come la morte. Dorothy faceva luce con il suo corpo scintillante. E videro anche lui, l’idolo di pietra che corrispondeva al dio del male, completamente grigio, malvagiamente sogghignante, e schifosamente eretto contro la parete nord. “Dorothy, suona la campanella, quella del drago. Deve essere evocato. Deve tornare” ordinò Rosary. “Non posso… ho paura… troppa paura… ti prego, Rosary” gemette disperata Dorothy tra le lacrime. “La suono io” disse allora Ignazio con voce ferma “questo è un affare da uomini!” 38


La campanella d’argento, scossa dalle mani di Ignazio, emise quel tintinnio acuto che tante volte aveva udito nel bosco, ormai lasciato alle spalle. E l’idolo di pietra si frantumò.

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12. “Libero, finalmente!” Lo scenario era mutato: non più il tempio con le sue stanze, ma un vasto e tranquillo mare circondato da altissime montagne innevate. Al centro di tutto e sopra di tutto torreggiava una figura luminosa e bellissima che pareva quasi un angelo. Dorothy e Ignazio si trovavano in cima ad uno strapiombo sul mare proprio davanti a lui. “Libero! Dopo millenni! Grazie Rosary, merito tuo! Ma, Dorothy, Ignazio, ciao, come state, io vi conosco, vi ho guidato io fino a qui.” I ragazzi guardavano incantati l’angelo di luce. “Venite, venite da me, buttatevi in acqua e sarete per sempre con me… sono così bello, così luminoso, vero?” “Non lo ascoltate!” urlò Rosary con quanto fiato aveva in petto “è il dio del male, è menzognero, si sta solo camuffando da angelo di luce, questa non è la sua vera natura!” “Ma no, non ascoltate questa sciocchina” continuò la figura in cielo “su, forza, buttatevi e sarete per sempre felici e troverete tutte le risposte ai vostri dilemmi…” “No! Vi ucciderà! E’ quello che vuole! L’ha sempre voluto! Ricordate… vi ho detto che ha sterminato tutti gli uomini e le donne del regno!” 40


I due ragazzi non sapevano cosa fare ed erano estremamente confusi. Quella figura di luce era davvero bellissima, non avevano mai visto nulla di simile: come poteva essere così malvagia? Eppure Rosary li aveva aiutati. Però… aiutati? Forse… costretti? Da quando avevano sconfitto il drago, aveva deciso tutto lei… “La bella fatina mente, ragazzi. E’ lei la vera bugiarda! Vuole impedirvi di essere felici. Io amo, anzi, adoro gli esseri umani! Venite, dai, buttatevi, venite a me!” “Ragazzi, vi scongiuro… il diamante! Usate il diamante, guardate attraverso di esso. Il dio del male è troppo potente per essere distrutto come è accaduto nel caso del drago, ma il diamante è puro, purissimo e vi rivelerà la vera forma di questo… “angelo” “ supplicò Rosary. Quasi istintivamente, forse mossi da un arcano terrore o da una profonda saggezza, si misero il diamante davanti agli occhi, e lo videro nella sua vera essenza. Era un mostro così orrendo che parole umane non basterebbero a descriverlo: si può solo dire che era un caos di ombre, di tenebre, di morti, di cadaveri, di sangue innocente sparso, di germi mortali, di piaghe di lebbra, di bubboni di peste, di zanne affilate, di denti aguzzi incrostati di bile, di code svolazzanti, di terrificanti urla di agonia e di dolore. “Maledetta!” urlò “ah, maledetta Rosary e maledetto Lui! In eterno! Ma non è finita qui! Io vi distruggerò, sono potente e sono libero ora! E allora Rosary cambiò aspetto. Diventò infinitamente più grande ed era vestita da guerriera. In ciascuna delle due mani 41


teneva delle lunghissime lance, una d’oro e l’altra d’argento. Si librò in cielo e la battaglia finale iniziò. Il mare era diventato scuro come la pece ed era solcato da grossi serpenti guizzanti tra le onde altissime e spumeggianti, in cielo infuriavano tempeste di tuoni agghiaccianti e fulmini saettanti, le montagne grondavano sangue, urla di terrore si udivano dappertutto, alcuni uomini, o spiriti di uomini di altre epoche, si gettavano nell’ acqua scura per non riemergene mai più. I ragazzi osservavano tra la pioggia sferzante i due contendenti: la Guerriera del Tempo, che era Rosary trasformata, e il dio del male nella sua vera essenza. Non si poteva vedere con chiarezza quello che stava succedendo, ma era piuttosto evidente che la Guerriera del Tempo stava cercando di infilzare ripetutamente con le due lance magiche il corpo del suo avversario. Questi, a sua volta, cercava di circondarla con il suo corpo ed il suo spirito ed infonderle nell’animo una disperazione tale da indurla a cedere. Come sarebbe andata a finire? Ad un certo punto si vide un lampo più intenso di luce mistica e una voce possente, molto più forte di tutti i rombi di tuono che si erano uditi finora, gridò nell’aria: “Apriti!” E per i due ragazzi fu l’incoscienza.

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13. Dorothy ed Ignazio emersero dal buio un po’ alla volta. Si guardarono attorno ancora scossi. Videro che si trovavano in un lungo corridoio che procedeva verso est. Alla fine di esso sembrava loro di vedere una grande fonte di luce. Rosary era lì con loro e svolazzava sopra le loro teste con atteggiamento festoso nella sua solita forma di fatina. “Ben svegliati” disse infine “come vi sentite?” “Sono confusa” rispose Dorothy “cos’è successo?” “Io ricordo quel mare in tempesta e quella battaglia nei cieli…” le fece eco Ignazio “ma poi… nulla…” “Eh, eh” se la rise Rosary con fare molto tranquillo. “Ma tu Rosary… chi sei in realtà?” chiese Dorothy ancora molto confusa. “In realtà?” rispose Dorothy “in realtà io sono la Guardiana e la Guerriera del Tempo. In questo universo io sono stata creata da Colui di cui durante la battaglia, prima di svenire, avete sentito la voce. Egli è sempre con me, ed io ero con Lui quando nella sua mente infinita ha pensato a questo magico mondo possibile in cui vi trovate ora e attraverso cui avete viaggiato.” “Ma chi è questo Lui?” protestò Ignazio “dove si trova, io voglio vederlo!” “Sì, anch’io lo voglio vedere!” si aggiunse Dorothy. 43


“Forse lo conoscerete anche voi, anzi sono quasi sicura che tra poco vi visiterà. Egli, durante la battaglia, ha aperto i cieli di questo mondo possibile e ha distrutto per sempre il dio del male, ricacciandolo nell’abisso senza fondo.” “E tu, hai combattuto?” chiese Dorothy a bocca aperta. “Facevo quello che potevo, cercavo di contenerlo affinchè non si avvicinasse a voi e non vi uccidesse. Ma da sola non avrei mai potuto sconfiggerlo, forse saremmo andati avanti a combattere in eterno. Senza il Suo aiuto e il Suo intervento, io, che sono la Guardiana e la Guerriera del Tempo e che ho da Lui ricevuto l’incarico di liberare il dio del male affinchè potesse essere annichilito una volta per tutto, dicevo, io stessa, che pur ho tutto questo potere, in realtà non sarei in grado di fare proprio nulla.” “Oooh!” esclamò Dorothy “ma… ma… e adesso? E il regno?” “Piccola principessa” iniziò a spiegare Dorothy con fare materno “il regno di Tallys, di cui io sono la guardiana, si sta adesso finalmente ripopolando. Gli uomini e le donne che erano stati uccisi dal dio del male stanno tornando un po’ alla volta. Hanno già costruito villaggi nel bosco, e strade, e ponti sui torrenti e sui fiumi. Presto inizieranno anche a commerciare e allora i piccoli villaggi diventeranno città. In queste città vivranno in pace uomini e donne di ogni genere, commercianti, artigiani, scienziati, alchimisti, maghi e filosofi. Ma più ci sarà posto per il male, quel male di cui avete visto i segni: il drago, la campanella, la peste ed, infine, il suo stesso dio. 44


Voi invece, intendo tu ed Ignazio, siete stati i segni del Bene che Egli ha voluto restassero in questa fase di latenza del Regno di Tallys, finchè l’ordine non fosse stato ristabilito. Tu, Dorothy, sei stata la Principessa Reggente e Ignazio il Principe: assieme avete affrontato il male e la morte, ed assieme avete vinto. La chiave, il baule, il diamante e le stelle del cielo vi hanno aiutato. Ora però dovete tornare al vostro mondo, anche perché gli uomini e le donne che stanno popolando il Regno, presto acclameranno un Re ed una Regina che governeranno con sapienza e saggezza. Dorothy, Ignazio, il vostro compito qui è finito, o almeno sta per finire.” “Ma, Rosary, dove siamo adesso? Come faremo ad andarcene da qui” chiese preoccupato Ignazio. “Siamo in alto, molto in alto, più in alto del tempio degli dei, più in alto del cielo, molto di più. Seguitemi lungo questo corridoio. Egli è li che vi aspetta…” replicò Rosary con infinita dolcezza. Iniziarono quindi a percorrere il lungo corridoio verso la fonte luminosa che si trovava alla sua estremità. All’ improvviso notarono che due figure eteree avvolte da una veste bianca stavano camminando verso di loro. Dorothy non impiegò molto a riconoscerli. “Mamma! Papà!” esclamò a gran voce correndo loro incontro. “Dorothy, piccola bambina…” risposero all’unisono. Si abbracciarono e baciarono a lungo. Poi Dorothy si rabbuiò per un momento ed improvvisamente chiese: “Perché siete stati così duri con me quando ero piccola? Sapete che quando siete partiti ero quasi 45


contenta? E che quando ho saputo che eravate morti ho accolto la notizia quasi con indifferenza?” “Piccola principessa” risposero “ci piangeva il cuore a trattarti così. Ma anche noi eravamo Suoi strumenti e sapevamo in che impresa ti saresti dovuta imbarcare. Così cercavamo di rafforzarti il carattere, di infonderti l’energia per superare le più impervie difficoltà. Certo, forse abbiamo sbagliato. Ma riconoscerai che non si può affrontare il male senza tanta forza d’animo…” “Ho capito” rispose Dorothy “ ho capito e vi perdono se avete sbagliato. Ma anche vi ringrazio perché ora sono più forte e ho trovato Ignazio che sicuramente mi aiuterà ad affrontare la vita…” Si abbracciarono e baciarono ancora. Poi Rosary disse: “E’ giunto il tempo di vedere la Luce. Dorothy, Ignazio, il vostro viaggio sta per finire.” Alla fine del corridoio si trovava una grande stanza quadrata completamente bianca. Al centro di essa, era collocato un altare di pietra bianchissima. Sopra l’altare c’era un’arpa d’argento che suonava da sola un melodia così pregnante e soggiogante che mai Dorothy aveva potuto suonare al clavicembalo. La musica saliva verso l’alto, verso una luce trascendente e mistica, bianchissima anch’essa, che nessuna parola umana potrebbe descrivere. Dorothy ed Ignazio osservavano estasiati ed in contemplazione tutto quel chiarore metafisico e sentivano una grande sensazione di pace e di benessere, anche perché sapevano che il loro viaggio nel Regno di Tallys era concluso 46


e che avevano portato a compimento, nel loro piccolo, la volontà di Colui che questo Regno aveva creato. “Ascoltate… nelle vostre anime… nel profondo del vostro cuore… ascoltate… sentirete ora la Sua voce” bisbigliò Rosary. “… Io sono il Dio degli dei. Io sono Colui che era, che è e che viene. Io Sono. La mia mente è infinita. Ho creato il mondo possibile che corrisponde al regno di Tallys assieme ad infiniti altri in infinite dimensioni. Vi chiederete perché non ho distrutto io stesso il dio del male, evitandovi tutte queste tribolazioni. Non l’ho fatto, altrimenti voi non sareste esistiti. Ed io vi volevo accanto a me, perché vi amo di un Amore infinito, come tutto quello che ho creato in cielo e in terra. Volevo che imparaste che non sempre la luce e la potenza significano il Bene. Volevo che imparaste ad essere umili e a lasciarvi aiutare da me, che tutto posso e tutto so. Dorothy, Ignazio, tornate ora, è giunto il tempo, dormite, dormite…”

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14. Sarà stato verso mezzogiorno quando il dottor Da Ros di svegliò. Il suo primo pensiero fu che quella notte aveva dormito talmente tanto da essere mancato a tutti gli appuntamenti con i pazienti della mattina. Ed effettivamente, il suo cellulare era pieno di messaggi da parte della sua segretaria. Poi si girò sul letto e vide accanto a lui la signorina Semenzin che si stava ridestando. “Dorothy?” chiese con un filo di voce “allora, hai sognato?” “Ignazio… sì, ho fatto uno strano sogno…” rispose. “Anch’io… e cosa hai sognato?” Dorothy raccontò tutto il lungo sogno, mentre Ignazio stava ad ascoltare a bocca spalancata. “Ma…” disse alla fine “ma… è esattamente la stessa cosa che ho sognato io!” “Evviva!” esultò allora Dorothy “allora era vero che eravamo interconnessi!” “Già…” Ignazio si fece titubante “mi chiedo però cosa tutto questo significhi… era davvero solo un sogno?” “Io penso di no” replicò Dorothy “io credo che dovremmo imparare qualcosa da questo sogno, anche se sono convinta che non è stato solo quello…”

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“In effetti” Ignazio si fece pensoso “ il fatto che i nostri sogni fossero perfettamente uguali e tutti i vari significati simbolici delle varie entità presenti nel sogno, farebbero pensare che…” “Che cosa?” Dorothy si avvicinò un pochino. “Insomma, che io e te, se tu sei d’accordo, ecco…” balbettò Ignazio “beh, forse dovremmo affrontare la vita assieme, come nel sogno abbiamo affrontato il male”. “Io ti piaccio, Ignazio?” chiese Dorothy sistemandosi i lunghi capelli biondi. “Sì, Dorothy, sei una bella donna…” rispose Ignazio acuendo gli occhietti scuri “e ti voglio bene…” “Allora, senti, Ignazio…” sorrise Dorothy maliziosa. “Cosa?” rispose lui che già aveva capito tutto. “Non è che posso darti un bacetto?” chiese Dorothy sorniona. “Sì, ma non sulla bocca. Qui, sulla guancia” scherzò Ignazio. Risero assieme e piansero di gioia. “Ah,ah, te l’ho dato sulla bocca! Un bacetto sulla bocca!”

FINE

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