Curiosità

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Roncaro, tra Storia e Memoria .. e Futuro

Un viaggio nel nostro passato ‌

‌ alla scoperta dei nomi e dei luoghi di un tempo sospeso


Roncaro, … tra Storia e Memoria …

… e Futuro …

Benvenuta / benvenuto nel documento «CURIOSITÀ» !!!! E’ una delle tappe del percorso che si chiama - “Roncaro: tra storia e Memoria –

Un viaggio nel nostro passato, alla scoperta dei nomi e dei luoghi di un tempo sospeso”, all’interno della cornice …

PERSONAGGI

CURIOSITA’

LUOGHI

CORNICE 2


Roncaro, … tra Storia e Memoria …

… e Futuro …

In questo documento presentiamo alcune curiosità. Le curiosità, si sa, sono un po’ .. intriganti. Ma, in concreto, cosa intendiamo per «curiosità» ?

Non c’è naturalmente nulla di strano. Si tratta, ancora una volta, di qualche fatto o di qualche personaggio o di qualche luogo (che quindi, a ben vedere, potevano anche essere inseriti negli altri documenti del progetto ..) che però hanno una qualche particolarità o forse, meglio, una qualche .. curiosità, appunto, che li rende un po’ diversi e per questo abbiamo pensato di dare loro una vetrina a parte. Come per tutto il resto, sono dei simboli, che mettiamo lì a ricordare che noi siamo il risultato di ciò che ci ha preceduto e che – nello stesso tempo – collaboriamo a costruire ciò che verrà. Viviamo il nostro tempo, senza paura e in piena libertà. Solo così saremo fieri del nostro passato e degni del nostro futuro.

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… e Futuro …

Mentre vedrai e leggerai, può darsi che ti venga in mente di tornare alla CORNICE, oppure di andare direttamente ai PERSONAGGI oppure ai LUOGHI. Puoi farlo, come più ti piacerà, magari alla fine di questo documento: 1. per tornare alla CORNICE - clicca qui ! 2. per andare a PERSONAGGI – clicca qui ! 3. per andare, invece, a LUOGHI – clicca qui !

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Roncaro, … tra Storia e Memoria … PER COMINCIARE … e Futuro … (parlando un po’ di me che scrivo…)

Sono nato a Roncaro nel 1957. Mio padre Mario è nato (a Roncaro) nel 1923. Suo padre Luigi, cioè mio nonno, è nato (a Torre d’Arese) nel 1875. Il padre di mio nonno, Andrea, cioè mio bisnonno, è nato (a Genzone) nel 1830. Dal mio bisnonno mi separano dunque circa 130 anni. Se continuassi a ritroso con lo stesso ritmo - 1 bisnonno ogni 130 anni - il 4° bisnonno sarebbe un contemporaneo di Leonardo da Vinci, il 9° dei Longobardi con Pavia capitale, il 15° addirittura dell’inizio dell’Impero Romano, con Ottaviano Augusto e Tiberio Imperatori, e quindi anche di Gesù Cristo. Soltanto 15 bisnonni mi separano da Gesù Cristo. Soltanto 15 ...

Forse sono un po’ matto o quanto meno un originale: a chi mai potranno interessare questi discorsi? A me comunque fanno riflettere: il passato non è affatto distante come sembra. E sono sicuro che ci sono in giro altre persone come me, un po’ strane e un po’ particolari, che, camminando per le strade e per i luoghi dei loro rispettivi paesi e città, si domandano con curiosità come quelle strade e quei luoghi erano stati nel passato, nei secoli andati, ma soprattutto com’erano .. vissuti, come cioè viveva la gente di quei tempi, sia nei grandi momenti della Storia sia in quelli, più grigi ma forse anche più duri, del giorno per giorno… Come cioè il mio bisnonno Andrea avrà vissuto in quel 1830, nel pieno ……..……………..

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… e Futuro … …….. nel pieno del Regno Lombardo-Veneto oppure come suo padre Giuseppe e suo nonno Domenico (miei avi, di cui non ho - per ora - altre notizie) se la sono passata durante il Settecento, sicuramente poveri contadini della campagna lombarda tra Pavia e Milano.

Questo lavoro è quindi soprattutto il frutto della mia curiosità, che mi ha condotto, con pazienza e passione, negli anni tra la fine del Secondo Millennio e l’inizio del Terzo, a raccogliere notizie, fotografie, aneddoti e vecchie storie del passato di Roncaro e della sua gente, per lasciarne traccia, perché le prossime generazioni ne abbiano memoria e forse, perché no?, ne possano trarre anche qualche insegnamento. Non ho ambizioni. Voglio solo tentare di regalare un’emozione. Spero, almeno in piccola parte, di riuscirci. Naturalmente, se mai ciò avverrà, è anche grazie all’appoggio e alla cortese ospitalità che l’Amministrazione Comunale ha riservato a questo lavoro. Un grazie particolare ad Antonella Negri, per la preziosa collaborazione. Pierluigi Marabelli (anche mia mamma Luigia è nata a Roncaro, nel 1927, e anche mia nonna paterna Adele, nel 1884, e anche suo nonno Giovanni Battista – mio trisnonno – nel 1820. Ho dunque molti legami con questa terra …) Chiunque voglia integrare il lavoro con proprie correzioni, altre storie, altre fotografie (soprattutto!) può naturalmente farlo ed anzi è il benvenuto. Basta chiederlo, contattando o inviando il materiale agli uffici del Comune.

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… e Futuro …

CURIOSITA’ …. Bene, curiosiamo allora …. MOMENTI DI VITA, SENSAZIONI, del nostro paese, così come la memoria ricorda e la storia non dimentica ….

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Le “osterie” hanno sempre rappresentato nei vari paesi dei punti di ritrovo. Certo, quasi esclusivamente per uomini. Ma era pure un modo per tenere viva la comunità, momenti di incontro, di festa. A Roncaro vi erano varie osterie. C’era “l’Osteria del Sole” (che era dove oggi c’è la palestra) e c’era “l’Osteria San Michele” (che si trovava vicino alla Chiesa, a fianco del cortile parrocchiale), che sono state attive sino a circa gli anni Settanta del Ventesimo secolo. Nei decenni precedenti ce n’era anche un’altra, nella casa vicina al vecchio Municipio, e prima ancora una quarta nei locali del vecchio “Asilo” di via Campestre, e una quinta all’inizio del paese verso Calignano (che poi si trasferì in locali più adatti, diventando, appunto, l’ “Osteria del Sole”)

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Nella foto in alto - del 1943 - vediamo i “coscritti del 1923” (tra loro Federico Fenini e Mario Marabelli) davanti alla Osteria del Sole, che si trovava nel luogo dove oggi è la palestra e lo spazio antistante. A destra come si presenta oggi lo stesso spazio. 9


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Al centro della foto in alto – probabilmente degli agli anni Sessanta o Settanta del Ventesimo secolo - vediamo l’Osteria San Michele. Sulla sinistra il portico d’ingresso della «bottega del fabbro» e sullo sfondo, dopo la chiesa qualche costruzione poi abbattuta dove oggi c’è via Modena. A destra come si presenta oggi lo stesso spazio. 10


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Si noti nella fotografia il supporto per la bandiera posto sopra la porta d’ingresso: è a forma di fascio littorio, come d’obbligo durante l’epoca fascista. Al piano terreno ospitò per circa un secolo anche le Scuole Elementari. Il palazzo del Municipio fu costruito nel 1871, e venne a costare Lire 7.000.

L’edificio del Municipio (“e scuole comunali”) negli anni Trenta. Sulla destra dell’edificio vediamo la lapide dei Caduti della Prima Guerra Mondiale, oggi esposta nella piazzetta davanti alla Chiesa 11


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Via Umberto (non ancora asfaltata) in un giorno di festa. Erano, probabilmente, proprio i giorni della Sagra di San Michele, la seconda domenica di maggio. Sullo sfondo della via, davanti all’osteria (era l’osteria San Michele), si intravede infatti il tendone che di solito veniva piantato solo in quei giorni.

Veduta di via Umberto negli anni Trenta

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Il “roggiolo” è un fosso che nel tempo veniva utilizzato per l’irrigazione dei campi. Nel suo percorso passava e passa tuttora nel paese costeggiando per un buon tratto via Umberto, da via Strada Bassa fino all’uscita verso Calignano e Vivente. Ora corre, tombinato, sotto la strada e il marciapiede. Lungo il fosso vi erano tre o quattro ponticelli di legno che permettevano il passaggio da una riva, cioè dalla strada, alla riva opposta; originariamente, dall’altra parte non c’erano le case, ma soltanto orti, per cui i ponticelli servivano alle famiglie per accedervi.

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In questa foto degli anni Settanta del Ventesimo secolo, il fosso “roggiolo” non era ancora tombinato. In primo piano vediamo anche uno dei ponticelli di legno che permettevano il passaggio dalla strada all’altra riva. C’è anche un bidone. Dentro c’era il latte ed era lì in attesa del passaggio del “menalàt”, colui cioè che, due volte al giorno, poco dopo gli orari classici della mungitura, passava a raccogliere il latte dai vari piccoli produttori per portarlo alla latteria. 14


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Qui sopra, un altro momento della raccolta del latte, ripreso nello stesso punto precedente, però dalla parte opposta della strada. In primo piano Mario Fontana; alle sue spalle il muro d’angolo del fabbricato dell’Osteria del Sole (in altro si intravede il cartello con l’indicazione stradale: «Vicolo Umberto»)

Lo stesso luogo, oggi (c’è sempre il cartello stradale: «Vicolo Umberto»)

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L’ “essiccatoio” era un impianto che permetteva, appunto, di “essiccare” velocemente con aria calda le granaglie (grano, mais, riso) dopo il raccolto e la trebbiatura. I chicchi venivano inseriti dall’alto in una struttura, alta un paio di metri, a vari piani sovrapposti, l’uno distante dall’altro una trentina di centimetri. Poi - ad intervalli regolari di tempo – ciascun strato veniva spostato, attraverso un ingegnoso meccanismo, al “piano” immediatamente inferiore, e così via, man mano che la parte a livello del pavimento, già secca, veniva fatta uscire. Il calore era assicurato dalla immissione all’interno della struttura di aria scaldata dal fuoco acceso a lato e spinta all’interno grazie ad una ventola, a sua volta azionata da una grande ruota posta sul retro della costruzione, mossa dall’acqua di un fosso (esattamente come un mulino).

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A destra, l’edificio dell’essiccatoio ancora sostanzialmente integro (anni Settanta del Ventesimo secolo). A sinistra, l’area come si presenta oggi.

Sotto il porticato vi era l’impianto vero e proprio, con all’estrema destra il “forno” per il fuoco e al centro la struttura con i vari ripiani in cui i chicchi scendevano via via che si essiccavano. Davanti stava l’aia, dove avveniva l’essicazione “naturale”, al sole. Una targa sul muro della costruzione segnalava che l’impianto era stato premiato ad una fiera degli Anni Venti.

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Nel Novecento veniva chiamata da tutti “la cà dla Pinòn”, cioè: la casa della “Pinòn”, dal nome della sua ultima proprietaria ed abitante. “Pinòn” in dialetto significa letteralmente “Giuseppona”, ed era un soprannome (bonariamente ironico) attribuito alla Signora Giuseppa Pizzocaro, che in realtà era di statura bassissima. Si trovava in via Umberto, vicino alla Chiesetta di San Giusto, proprio sul punto dove la strada fa due curve, una in un senso e l’altra nel senso opposto. La casa costituiva il prolungamento delle abitazioni (le case “della Tira”) ed è stata abbattuta negli anni Ottanta del Ventesimo Secolo, per allargare la strada.

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In questa foto del 1953 vediamo la parete esterna della casa della “Pinòn”, che si affacciava direttamente sulla strada, in mezzo alle due curve. Sulla parete, tra le due finestrelle, si nota chiaramente anche il dipinto popolare che raffigurava la Madonna.

Oggi, la casa della “Pinòn”, semplicemente, non c’è più …

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Le processioni hanno senz’altro rappresentato per lungo tempo un momento particolarmente intenso ed importante anche dal punto di vista sociale, oltre che naturalmente religioso. La comunità pressoché intera si ritrovava in questi momenti, passando nelle vie del paese. Nelle foto che seguono, vediamo la processione con la Statua di San Michele, patrono della comunità.

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Nella processione del 1953 – già ampiamente documentata in altre fotografie di questo documento riconosciamo: in alto a sinistra, la Statua di S. Michele con il baldacchino, portata a braccio (vediamo in particolare i “portatori” Federico Fenini e Angelo Previ); sempre in altro, a destra, la fila “istituzionale” con addirittura il Vescovo, preceduti dalla banda di Villanterio, che quasi sempre veniva a Roncaro; in basso: a sinistra le suore di Roncaro (la direttrice suor Albertina, Suor Giacinta e Suor Angela); e infine a destra la croce, portata da Pietro Zucchi, da tutti conosciuto come il “ Ciò, con la divisa della Confraternita.

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Il 15 novembre 1905 l’Azienda agricola più importante del paese cambiò proprietà. Dal Marchese Malaspina di Pavia fu infatti venduta ad Erminio Pecci, il «Cavaliere», di cui abbiamo già parlato (nel documento «Personaggi») e che già la conduceva in affitto. Adesso però ci interessa l’esame dell’atto di acquisto dell’azienda, nel quale possiamo trovare anche qualche curiosa descrizione delle case del paese (quelle ovviamente che facevano parte della proprietà dell’Azienda). Leggete un po’ …

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Roncaro, …

Estratto dall’atto del notaio Morandotti di Pavia, 15 novembre 1905 - (descrizione dei beni dell’Azienda Agricola “di Roncaro”) Qui sotto c’è la descrizione – inserita nell’atto del notaio - del CASEGGIATO COLONICO detto «della Tira» … con annessi rustici, corte, sedimi ed orti colonici (p.m. 0.95)

Consta di n. 7 vani terreni con relativi superiori, ad uso case coloniche, del forno del pane, il portico con sottostanti porcili, e della corte. Confini:  a est: fondo di consorti Bianchi fu Luigi;  a sud: accesso agli stabili di Bianchi e Muzzio, lasciato anche un gelso sul ciglio;  a ovest: strada comunale del paese;  a nord: beni Pizzocaro.

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Le case “della Tira” (in dialetto, più precisamente:“la tira dla carta vùncia”, cioè la «fila della carta sporca», come venivano inspiegabilmente ma comunemente definite) erano così descritte nel 1905. Notiamo con simpatia “il forno del pane”, e anche “il gelso sul ciglio”, segni di un’epoca certamente diversa dall’attuale, ma forse non peggiore. Il “forno” era uno dei tre a disposizione della comunità; un altro era vicino alla Chiesa, in fianco all’osteria San Michele, e un terzo alle Case Nuove. Funzionavano tutti i giorni: una donna era incaricata di stabilire i turni per l’uso di ciascuna famiglia che si prenotava. Nessuna famiglia voleva essere la prima della giornata; la “prima cotta” infatti era la peggiore, perché il forno si doveva ancora scaldare.

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CASEGGIATO COLONICO detto «della Tira»

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Le case “della Tira” oggi, sempre da via Umberto

Le case “della Tira” negli Anni Cinquanta del Ventesimo secolo, viste da Via Umberto 24


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CASEGGIATO COLONICO detto «della Tira»

Le case “della Tira”, sempre negli Anni Cinquanta Ventesimo secolo, viste dal cortile interno

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Le case “della Tira” oggi. Vista del cortile interno. 25


Roncaro, …

Estratto dall’atto del notaio Morandotti di Pavia, 15 novembre 1905 - (descrizione dei beni dell’Azienda Agricola “di Roncaro”)

Qui sotto c’è la descrizione – inserita nell’atto del notaio - del CASEGGIATO COLONICO detto «alla Piazza» (p.m. 0.28)

Risulta di n. 3 vani terreni, dei corrispondenti superiori e dei rispettivi solai morti superiori a questi ultimi, tutti adibiti per abitazioni coloniche, e dell’antistante corte con sovrastanti porcili in cotti  a est: beni Celesia e corte di Muzzio Pietro;  a sud: corte e caseggiato Soldati;  a ovest: strada comunale interna del paese;  a nord: beni di Muzzio Pietro e beni Celesia.

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Il caseggiato “alla Piazza” ovviamente deve il nome al fatto di essere posto al centro del Paese, in quella che veniva comunemente definita “la piazza”, lo spazio cioè tra la Chiesa Parrocchiale e il vecchio Municipio. Si noti che sono considerate soltanto tre abitazioni, perché le altre che vi sono oggi affiancate non erano della stessa proprietà (le costruzioni all’inizio e alla fine del caseggiato) oppure furono costruite in epoche, e quindi logicamente estranee all’originario fabbricato.

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CASEGGIATO COLONICO detto «alla Piazza»

Le case del fabbricato “alla Piazza” negli Anni Cinquanta Ventesimo secolo, viste da Via Umberto

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Le case del fabbricato “alla Piazza” oggi, sempre da via Umberto. Sono cambiate … ma non troppo

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Di fronte al caseggiato colonico detto “alla Piazza”, c’era da sempre la “bottega del fabbro”, aperta direttamente sulla strada pubblica, al servizio di tutta la comunità, attiva sino ai primi anni Settanta del ‘900. Vi si svolgevano attività sia di vero e proprio “fabbro ferraio” (costruzione di attrezzi per i lavori dei campi: zappe, aratri, ecc.) sia soprattutto di ”maniscalco”, costruendo cioè ed applicando i ferri forgiati agli zoccoli dei cavalli.

Sino a alla fine del ‘900, sul muro della casa di fronte erano ancora fissati gli anelli che servivano a legare i cavalli in attesa di essere ferrati.

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Qui sopra vediamo l’ingresso della “bottega del fabbro”, come appariva nel maggio 1953. A metà, sulla sinistra, si vede chiaramente il tetto spiovente che dava sulla strada (nel cerchio rosso). La “bottega” aveva il suo ingresso proprio sotto a quel tetto, nell’area in cui all’epoca il fabbro ferrava i cavalli.

L’area come appare oggi. La “bottega del fabbro” … non c’è più. Adesso, lì, si apre il “passaggio Malaspina”. 29


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Abbiamo diffusamente parlato ”dell’Azienda agricola” (la cascina) più importante del paese, quella che si fonda nei secoli nelle proprietà della famiglia Beccaria prima, poi Giorgi, poi Malaspina ed infine Pecci. Ma le aziende e cascine erano numerose, anche di solito piccole ed esclusivamente famigliari. Una però contendeva, per così dire, il primato a quella principale: l’Azienda detta oggi «Corte Grande», che si trovava e si trova tuttora vicino alla Chiesa Parrocchiale, attualmente di proprietà dei Signori Scotti, imprenditori dell’industria del riso. Le due principali Aziende avevano e hanno sostanzialmente le stesse dimensioni e la stessa organizzazione.

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Ecco come si presenta attualmente l’esterno dell’Azienda agricola “Corte Grande”, da via Roma 31


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Il carrubo è un albero originario del Mediterrano orientale. La chioma sempreverde di esemplari di grandi dimensioni è bellissima, anche per la grande forma ad ombrello. I frutti erano apprezzati in antichità, sia freschi che secchi ed erano utilizzati sia per l’alimentazione umana che animale.

Così invece appariva l’esterno della vecchia cascina, verso la strada che porta al cimitero, l’attuale via Roma. La costruzione in primo piano è la stalla delle mucche da latte, con il porticato e il fienile sovrastante. Davanti alla costruzione, un albero di carrubo, ultimo esemplare in quel momento rimasto (anni Ottanta del Ventesimo secolo) di un gruppo più numeroso, quasi una piantagione, segno anche questo di una epoca che fu. Sullo sfondo la Chiesa.

I semi – chiamati “carati” – servivano un tempo per pesare l’oro ed i preziosi, perché erano durissimi e dal peso costante. 32


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Nella vecchia cascina si trebbia il riso e si portano le mucche alla vicina stalla. I fienili sono pieni. Il carro in mezzo alla corte era per i buoi. Lo si riconosce dalla forma arcuata della stanga, tipica dei buoi. Per i cavalli, infatti, la stanga (cioè il timone centrale del carro, a cui veniva attaccata la coppia di animali) di solito era diritta.

Sempre la vecchia cascina, stavolta vista dal cortile interno (la «Corte Grande»). Le fotografie, almeno quella di sinistra, sono state fatte sicuramente prima del 1925, perché lo scorcio della facciata della Chiesa sullo sfondo appare ancora com’era prima dei lavori di quell’anno.

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Ancora la vecchia cascina, (il muro sulla destra), come appariva dall’esterno, vista dal sagrato della Chiesa. In primo piano via Umberto, ancora in terra battuta. La stessa prospettiva, dal sagrato della Chiesa. La vecchia cascina … non c’è più 34


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Tra le vecchie carte dell’archivio diocesano, negli anni Ottanta del Ventesimo secolo l’allora parroco di Roncaro don Ermanno Segù trovò un documento riguardante Roncaro, risalente al 1564. Si tratta di una convenzione tra l’Abbadessa e le Monache di Sant’Agata in Pavia (proprietarie allora di parecchi terreni in Roncaro) con il console e gli uomini di Roncaro (oggi diremmo: il Comune). Le Monache, proprietarie dei terreni della Chiesa e del Cimitero di Roncaro, concedono che la loro Chiesa diventi «parrocchiale di Roncaro» – ossia di uso per la comunità – e che gli uomini di Roncaro eleggano il loro curato (parroco). In cambio di questo privilegio di usare la chiesa, il cimitero e gli altri locali annessi a vantaggio del paese, nonché la facoltà di eleggere il proprio Parroco, la comunità di Roncaro pagherà al monastero ogni anno mezza libra di pepe oppure verserà una somma corrispondente. Nella traduzione di don Ermanno ecco l’inizio del documento:

Nel nome del Signore. Amen. Nell’anno 1574, il 25 novembre, verso sera, a Roncaro, alla presenza di me notaio e degli uomini

abitanti in Roncaro, dato il suono della campana della detta Chiesa di S. Michele, per comando rev.do don Achille Torelli, in assenza del console di Roncaro, Paolo Mella, ho fatto la convezione … Al termine del documento, un prevosto di S. Teodoro (don Giovanni Maria Simonetta) afferma di aver trovato altri due documenti riguardanti Roncaro, uno del 1356 e l’altro del 1440, con la stessa convenzione del 1576. Segno evidente che la comunità era viva e vivace anche all’epoca, con sacerdoti presenti in paese.

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Capita di chiedersi il perché una certa via (magari quella in cui abitiamo noi stessi…) si chiami in un certo modo, con un nome che può anche sembrare curioso o inspiegabile. Qui proviamo a riprendere il nome di alcune delle vie di Roncaro, quelle che ci sembrano meritevoli di qualche spiegazione. In questo documento abbiamo già trovato (se abbiamo seguito bene il succedersi di vari nomi) il perché di …. via don Pasquale BARBIERI, via LAGHETTO, via (Giuseppe) MORETTI, il PRATO DELLA CONSERVA (Alcibiade Goffredo MORETTI), via PESCHIERA, vicolo SAN GIUSTO, piazzetta don Ercole PIZZOCARO, via Camillo MODENA, via GIORGI, via BECCARIA, passaggio MALASPINA,. Proviamo adesso a cercarne altri ….

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Via Zaccaria LORINI Zaccaria Lorini fu l'ideatore ed il progettista del Cavo “Lorini-Marocco”, un corso d'acqua che costituisce un importantissimo punto di riferimento per l'attività agricola del paese e di molti paesi vicini. Più che un cavo, il "Lorini-Marocco" è un sistema di cavi, lungo nel complesso più di 100 km, e diviso in 6 rami: cavo Grande, cavo di Filighera, cavo di Genzone e S. Cristina, cavo di Villanterio, cavo della Pieve e cavo Alto Pavese. Il "nostro" cavo è quello chiamato "di Filighera", che è uno dei due rami (l'altro è quello di Genzone") in cui si divide il cavo Grande una volta raggiunto il territorio di Marzano. Il canale arriva a Roncaro, poi a Cura, a Barona, quindi a Buttirago ed infine a Filighera. All'origine, le acque provengono dal milanese, in parte sorgenti ed in parte da altri canali: Naviglio Martesana, Redefosso, Muzza. Dopo avere progettato ed iniziato l’impresa, Zaccaria Lorini dovette purtroppo abbandonarla perché costretto al fallimento. Vi subentrò l’Avv. Carlo Marocco di Milano, che rilevò il progetto, o meglio - come si esprime una pubblicazione di oltre un secolo fa ("Disegno geografico della Provincia di Pavia" di Emilio Galletti) - "gli diede l'ultima mano e ne trasmise la proprietà alla Sua famiglia”. La dedica della via – posta accanto all’altra via denominata “Carlo Marocco” e allo stesso Cavo vuole pertanto essere un riconoscimento a chi ha avuto la lungimiranza di ideare un’opera che nel corso del tempo ha molto contribuito alla vita del paese.

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Via Carlo MAROCCO Carlo Marocco fu un avvocato milanese che visse tra il settecento e l'ottocento e il suo nome è per il nostro paese legato alla costruzione del "cavo Lorini-Marocco ", di cui rilevò il progetto dopo il fallimento del suo ideatore Zaccaria Lorini, portandolo a compimento (come ampiamente descritto nella pagina precedente).

La dedica della via risponde quindi all’opportunità di un riconoscimento per aver compiuto un’impresa importante per il nostro paese. Significativamente, la via è accanto all’altra via dedicata a Zaccaria Lorini ed entrambe sono adiacenti allo stesso “Cavo Lorini-Marocco”.

Via DONINO “Donino” è il nome di una delle cascine che gravitavano attorno all’abitato di Roncaro. E’ stata l’ultima cascina ad essere abbandonata e distrutta, all’inizio degli anni Settanta del XX secolo (altre cascine erano state nel tempo la Cascinazza, il Cantalupo, la Pila). Si trovava a ridosso dell’Olona, lungo la strada verso Vialone, più vicina per la verità sia a Vialone e a Cura Carpignano che a Roncaro, del cui territorio però ha sempre fatto parte. Intorno al 1960 contava fino a 100 abitanti. La via vuole pertanto ricordare questa parte della nostra storia, ormai chiusa, ma non dimenticata. 38


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Via Sant’AGATA La denominazione della via è stata scelta in memoria del Monastero di S. Agata in Monte di Pavia. Tale Monastero fu eretto nell’anno 673 dal re longobardo Bertarido, in riconoscenza a S. Agata per avergli, a suo dire, salvato la vita. Sorgeva a Pavia nel luogo occupato per tantissimi anni dall’ospedale clinica Morelli, in piazza XXIV Maggio. Fra i possedimenti del Monastero, risulta che fin dai tempi antichi vi fossero dei terreni nella zona di Roncaro. Lo abbiamo visto proprio all’inizio di questo documento, quando abbiano parlato del nome del nostro paese, ricordando il documento del 24 febbraio 1190, con il quale il vescovo di Pavia, San Lanfranco, su domanda della monaca Sibilla, badessa del Monastero, assegna alla chiesa di San Michele in Roncaro tre porzioni di decima spettante al Monastero stesso, allo scopo di concorrere al mantenimento della chiesa. Da documento emerge quindi l’antichissima influenza e gli stretti legami che il Monastero di S. Agata ebbe sulla comunità di Roncaro. Nel corso dei secoli successivi tale legame continuò, con punte significative nell’anno 1700, al momento della costruzione dell’attuale chiesa - per la quale il Monastero donò parte dei legnami per il tetto - e nel 1783, quando l’allora parroco don Barbieri acquistò dal Monastero per lire 400 l’organo che ancora oggi risiede nella chiesa stessa. In quegli stessi anni il Monastero fu soppresso. 39


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«Campo di casa» non è il nome di una via (o almeno non lo è ancora …). E’ però il nome, appunto, di quel che era un campo, subito dopo l’abitato, lungo la strada verso il cimitero, sulla sinistra, oggi in parte via Laghetto e in parte ancora campo. Lo ricordiamo perché …. beh, perché è un nome curioso e interessante …

Campo di casa Il “Campo di casa”, letteralmente chiamato “Ponchione della casa” (in dialetto: “Puncion d’la cà”) è un campo limitrofo alla cascina. L’espressione dialettale “ponchione” (“punciòn”) probabilmente deriva dal verbo “puncià”, che significa cucire grossolanamente pezze di stoffa, quasi ad indicare un “pezzo” o una “parte” di un terreno attaccato ad un altro terreno o ad altro bene; quindi un terreno non autonomo, quasi un ritaglio, uno scampolo, spesso a forma di punta, vicino ad un altro terreno o a una costruzione più importante. Questo campo ne precedeva altri due che, in rapida successione, prendevano nome dalla stessa circostanza: quella cioè di essere “vicini alla Casa”, ossia: vicini alla cascina. Dopo il Campo di Casa (Ponchione della Casa), c’erano infatti il Campo di Casa Largo (“Camp da Cà larg”) e il Campo di Casa Lungo (“Camp da Cà lung”), poi unificati in un unico terreno. I terreni così definiti venivano quasi sempre adibiti a culture domestiche: ortaglia, per avere verdura e frutta, o vite, per avere l’uva e produrre vino. Venivano cioè considerati non tanto a servizio dell’azienda, quanto, piuttosto, in funzione delle esigenze familiari soprattutto del fittabile; insomma: il campo .. di casa!

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Abbiamo parlato di CURIOSITÀ. E’ una parte del progetto che abbiamo definito un «viaggio nel nostro passato, alla scoperta dei nomi e dei luoghi di un tempo

sospeso ». Nel documento «cornice» abbiamo detto che tutto il progetto non vuole essere «la Storia di Roncaro», ma, più semplicemente, vuol essere un contributo per conservare il più possibile la memoria di quello che è stato il nostro paese, anche nei suoi piccoli e apparentemente meno significativi particolari. Con questo documento abbiamo presentato qualche aneddoto, qualche particolarità del nostro paese, sempre confrontandolo ove possibile come si presentava nel passato rispetto a come si presenta oggi.

Volevamo ricordare e trasmettere armonie e sensazioni di un tempo che sembra passato e che invece è sempre presente (per questo lo abbiamo definito «tempo sospeso»), cercando di regalare, molto semplicemente, emozioni. Speriamo di esserci riusciti.

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Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo e che, anche quando non ci sei, resta ad aspettarti. (Cesare Pavese, La luna e i falò)

Le cose non sono amabili in virtù dei luoghi d’origine, ma i luoghi d’origine lo sono in virtù delle cose Papa Gregorio Magno, anno 597

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… e Futuro …

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