Un(ic)o

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valentina forzese, elaborazione grafica del tema “unico�

maginarium

issn 2282-3727

monografie visionarie

numero uno luglio - settembre 2013


mg

“Solitario sire

visioni  la carte

coronato d'alloro, l'unico e il solo,

emanuele forzese

23 poesia. tagliarsi la lingua

raif kaya

25

02 architettura. unicità “unica”?

fortunato giovine

Il fuori dal coro, tutto quel che separame da loro.”

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06 cinema. la setta degli unici estinti dalila zanca

09 estetica del colore. mono è un bivio 11

veronica vannoni

fotografia. biounicità

13

barbara dragoni

15

valentina dragoni

17

unicità,

biodiversità,

illustrazione. walking ferre’s way

letteratura-filosofia. dell’unicità

la

madelaine serravalle

mitologia. mostro unicità valentina forzese

20 moda. la matrigna uni-forme

condanna

concept-able

27 textcloud 28 wunderkammer 29 doppio editoriale


mg

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architettura. unicità “unica”?

Emanuele

forzese

consulente e progettista di scenari e spazi abitativi

«Bisogna immaginare, chiacchierare soltanto non serve: bisogna azzardarsi e mostrare ciò che sappiamo fare.» Oscar Niemeyer, 2012 bibliofila (o biblio-dipendente se vi pare… smet terebbe volentieri se trovasse un libro che gli insegni come fare), p e n s at o r e ( “ c i a r l o s o f o ” suonerebbe più realistico ma meno poetico), talentuoso nel tormentarsi intellettualmente mediante domande e provocazioni concettuali, trascorre il suo tempo esplorando costantemente i significati e le relazioni che legano tra loro l'architettura, la ricerca, il territorio e l'esistenza.

Rafael Moneo definisce l'opera architettonica un fenomeno unico e non riproducibile per sua natura, qualcosa che, essendo dotato di una propria identità e caratterizzato da ciò che ha di singolare, si sottrae a una qualsiasi classificazione. In realtà è possibile rintracciare alcuni caratteri comuni che consentono di delineare seppur artificiosamente una serie di distinzioni, ma questo per l'architetto spagnolo non intaccherebbe l'unicità dell'opera. Dunque può una costruzione architettonica definirsi “unica” in quanto singolare, irripetibile, inconfondibile ed eccezionale? Analizzando le varie sfumature assunte dall'unicità emerge una difficoltà nel rispondere affermativamente alla questione appena posta; anzi, si aprono immediatamente nuove domande a cui non è sempre così immediato replicare. L'aggettivo “singolare” fa riferimento a qualcosa che concerne un solo individuo; in ambito architettonico tale individuo può essere identificato con il progettista. Diversamente da quanto avviene nella pittura o nella scultura, la pratica artistica dell'architettura prevede uno sdoppiamento di ruoli: chi progetta l'edificio non coincide con chi lo realizza fisicamente. Un edificio infatti è l'esito di un lavoro collettivo svolto da squadre specializzate di operai sulla base di un disegno complessivo predisposto dall'architetto o dall'ingegnere: sorge il dubbio che ad essere singolare in quanto correlato ad un unico soggetto sia il progetto piuttosto che l'opera architettonica. Ma non è sempre così. Il pluralismo e la complessità richieste dall'approccio progettuale per tenere conto di molteplici e multiformi fattori – estetici, funzionali, tecnici, economici, ambientali, geografici, storici – hanno indotto il progettista a divenire una sorta di tuttologo perennemente costretto ad acquisire in breve tempo

architecture. is unicity the “only one”? Can we define the architectural building as a only one and irreproducible phenomenon because it's singular, unrepeatable, unmistakable or exceptional? Is it singular if created by one designer and realized by workmen? Is it unrepeatable if produced in a serial way? Is it unmistakable if thought in order to create only a spectacular and recognizable image? Is it exceptional if perceived trough distraction and indifference? keywords: architectural building, singular, common ground, unrepeatable, architectural design, unmistakable, oscar niemeyer, exceptional, perception

qualsiasi competenza si renda necessaria, fino a convertirsi in coordinatore di un sistema imprenditoriale cui prendono parte diverse figure di professionisti e tecnici specializzati. La tredicesima Biennale di Architettura di Venezia, curata da David Chipperfield nel 2012, ha fotografato questa tendenza di considerare l'architettura un “Common Ground”, ovvero un processo che coinvolge una sempre più numerosa varietà di operatori progettuali: non solo architetti, ingegneri e urbanisti, ma anche strutturisti, paesaggisti, agronomi, impiantisti, geologi, biologi, sociologi, psicologi, ecc… Tale tendenza di fatto determina la perdita di una dimensione autorale della pratica architettonica, che da o c c a s i o n e p e r l a c r e at i v i t à e l ' e s p r e s s i o n e autobiografica sembra ridursi a produzione corale di un business che necessita di ingenti risorse umane ed economiche.


mg

riferimenti visionari

Das Kunstwerk im Z e i ta lt e r s e i n e r t e c h n i s c h e n Reproduzierbarkeit, 1935; ed. it. l’opera d ’ a rt e n e l l ’ e p o ca d e l l a s u a riproducibilità tecnica, torino, einaudi, benjamin

wa lt e r ,

2011 b o e r i

s t e f a n o , roma-bari, laterza, 2011

L’anticittà ,

c a o

u m b e r t o ,

l’architettura prima della forma, macerata, quodlibet, 2009 costanzo michele, il tempo del disimpegno. r i f l e s s i o n i s u l l ’ a r c h i t e tt u ra contemporanea, macerata, quodlibet, 2010 dorfles gillo, horror pleni. la (in)civiltà del r u m o r e , r o m a , castelvecchi, 2008 longobardi

giovanni,

l’architettura non è un martini. aforismi del moderno , roma,

E' singolare un'architettura ideata ma non fisicamente costruita da un progettista oppure concepita da un team di professionisti con differenti specializzazioni? L'aggettivo “irripetibile” indica qualcosa destinato a non ripetersi. L'efficienza richiesta dall'attuale sistema consumistico ha imposto una semplificazione delle differenze che induce la massificazione e al contempo esprime l'impossibilità di riconoscere l'unicità tanto negli individui – trasformati da attori che costruiscono il paesaggio in semplici utenti - quanto negli edifici in cui essi dimorano. La ripetibilità si rivela essere il mezzo migliore per una rapida ed efficace diffusione di persone, merci e informazioni, con importanti ricadute per la pratica architettonica: il progetto perde il ruolo di strumento capace di integrare le esigenze sociali con le specificità locali nella gestione del territorio e gli edifici si traducono in pura immagine alienata tanto dal luogo quanto dalla costruzione medesima. Infatti il paesaggio dell'abitare contemporaneo si caratterizza per la genericità e la moltitudine create dalla ripetizione infinita di poche figure spaziali – la villetta, la palazzina, il capannone, il contenitore ludico e commerciale – che sorgono isolate al centro del proprio lotto senza intrattenere alcun dialogo con le ragioni del contesto, bensì tese ad assecondare esclusivamente le esigenze utilitarie. Le migliaia di “case gialle con infissi marroni” che infestano i nostri territori testimoniano come l'architettura domestica abbia perso il suo ruolo fondamentale di offrire un rifugio all'uomo per ridursi a merce di scambio priva sia di progetto sia di qualità, la cui costruzione è affidata prevalentemente all a responsabilità dei privati senza tenere conto del suo ruolo strategico nella definizione della forma urbana.

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L'aggettivo “inconfondibile” descrive qualcosa di identificabile con assoluta certezza mediante la presenza di inequivocabili elementi caratteristici; in ambito architettonico può essere impiegato per indicare quelle peculiarità espressive che caratterizzano un edificio. Attualmente si registrano per l'architettura i paradigmi della superfluità, dell'originalità e della spet tacol arità, nuove peculiarità-merci che il progettista-venditore deve esibire nello sforzo di ricorrere – o forse di rincorrere? - alla differenza come unica qualità che gli consenta di distinguersi da un'uniformità priva di senso; eppure è proprio la ricerca dell'inconfondibilità a tutti i costi, del cambiamento assunto come valore autoreferenziale a ledere inesorabilmente l'unicità degli edifici, delle città e dei paesaggi: come sostiene l'architetto catalano Antoni Gaudì, è l'ostentata originalità dell'opera d'arte a farle perdere la capacità di sedurre, smarrendo persino la

E' irripetibile un'architettura prodotta in modo seriale rispondendo esclusivamente alle logiche utilitarie, riducendosi così a mera edilizia?

mancosu, 2009 oscar niemeyer, museo, curitiba (immagine da http://europaconcorsi.com)


lucchini

introduzione alla c o m p o s i z i o n e architettonica, roma,carocci, 2008

la solitudine degli edifici e altri scritti. questioni intorno a l l ’ a r c h i t e tt u ra , moneo rafael, ed. it.

torino, allemandi, 1999 niemeyer oscar (a cura di alberto riva), il mondo è ingiusto, milano, mondadori, 2012 p a n z a

p i e r l u i g i ,

“l’architettura copia e incolla” , corriere della sera, 28 agosto 2012 piñon helio,

mg

flaminio,

teoria del

proyecto , barcelona, edicions de la universidad politècnica de catalunya, 2006; ed. it. sebastiano d'urso (a cura di), teoria del progetto, santarcangelo di romagna (rn), maggioli, 2009 Purini Franco, Comporre Architettura , B a r i , Laterza, 2006

propria dimensione artistica. Accade così che l'immaginazione architettonica si trova costretta ad assecondare due esigenze: da una parte il processo di spettacolarizzazione induce il progettista a esasperare la cifra stilistica individuale, dall'altro il sistema mediatico esercita un fenomeno totalizzante generando l'omologazione e l'uniformità dei linguaggi architettonici. Il risultato è l'incessante produzione di edifici che tentano di replicare il carattere seducente, finendo paradossalmente per assomigliarsi: è quanto accade nella produzione recente di alcune archistar, spesso accusate di un'ossessione formalistica insostenibile poiché individualista ed estranea tanto ai programmi funzionali quanto ai luoghi. L'architettura è arte in quanto immaginazione, per cui - parafrasando Oscar Niemeyer - quando si producono in serie opere eccessive e superflue l'architetto diventa banalmente operaio sottomesso alla logica consumistica. non è un caso che la curva di niemeyer, pur ricercando nuove forme di bellezza, si traduce in architetture sempre pensate in funzione dell’abitabilità, del programma funzionale e di tutto quello che le circonda, ovvero gli spazi. si traduce in architetture uniche.

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protratta nel tempo. In tal modo l'opera artistica sostituisce il valore legato alla propria eccezionale esistenza in un dato luogo e in un dato istante con uno esclusivamente connesso alla capacità di essere scambiata con altri elementi. Nell'esperienza percettiva la concentrazione cede il passo alla distrazione, e l'immaginazione viene ottenebrata dalle ipertrofiche stimol azioni sensoriali che i media veicol ano quotidianamente; questo spinge Gillo Dorfles a rivendicare per l'uomo contemporaneo un'autonomia mentale ed emotiva attraverso il ristabilimento di una pausa capace di contrapporsi all'eccesso di comunicazione che si tramuta nel suo opposto: il disturbo dell'informazione. Gli edifici costituiscono un esempio perfetto di percezione distratta da parte della società, dal momento che sin dall'origine fanno parte dello scenario esistenziale quotidiano dovendo rispondere al bisogno permanente di una dimora;

E' inconfondibile un'architettura pensata da un progettista che tende a ripetersi continuamente nelle sue ideazioni architettoniche allo scopo di produrre immagini spettacolari e riconoscibili? L'aggettivo “eccezionale” esprime qualcosa che per la sua straordinarietà deroga dalla norma; in ambito architettonico può essere correlato alla percezione degli edifici ed alla loro conseguente attribuzione di valore estetico, positivo o negativo. Nella prima metà del Novecento Walter Benjamin anticipa con acume le conseguenze derivanti dall'introduzione delle tecniche fotografiche e cinematografiche: l'arte tecnicamente concepita e riproducibile perde la propria “aura”, che, assicurandole una certa distanza, costringeva l'osservatore a esercitare un'attenzione paziente e oscar niemeyer, museo d’arte contemporanea, niteroi (immagine da http://europaconcorsi.com)


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pertanto essi interagiscono con i propri fruitori mediante l'uso e la percezione, modalità che si basano sempre più sull'abitudine e sull'indifferenza, impedendo di cogliere spesso l'unicità dei loro caratteri architettonici e urbani. è eccezionale un'architet tura percepita con distrazione e indifferenza nell'epoca dell a riproducibilità tecnica? L'idea che, in quanto pratica artistica, l'essenza dell'architettura sia unica e non riproducibile mediante la composizione originale degli elementi impiegati, sposta inevitabilmente l'attenzione sul progetto: esso è un modo specifico – e quindi unico – di ottenere la forma architettonica. Infatti, l'unicità di un edificio è correlata alle peculiarità che il processo progettuale attribuisce alla configurazione architettonica secondo regole proprie e indipendenti da qualsiasi precetto generale, comprensibili soltanto al termine del processo medesimo: singolarità della sintesi operata rispetto alle esigenze estetiche, funzionali, tecniche, economiche, topologiche; irripetibilità nella definizione del senso architettonico, urbano e paesaggistico; inconfondibilità come esito spontaneo di un'immaginazione libera; eccezionalità come deroga alla percezione distratta. Franco Purini paragona l'unicità dell'architettura all'unicità dell'uomo, affermando per essa la capacità di incrementare il valore attraverso il contenuto estetico:

“Ma in ogni caso, qualunque cosa esso sia divenuto, l'edificio è comunque l'apparizione di un'entità, di qualcosa che ha presenza e riconoscibilità, e che per questo si fa individuo tra gli individui umani. E in questa peculiarità c'è uno dei significati più veri del comporre architettura.” oscar niemeyer, teatro popolare, niteroi (immagine da http://europaconcorsi.com)


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cinema. la setta degli unici estinti

raif

kaya

scenografo, video-producer

«Vorrei tre vite: col cinema forse ne assecondo l'illusione.» alberto lattuada Origine turche, nazionalità italiana, una vita vissuta come una trasposizione di continuità fra la scena ed il reale, o m e g l i o , f r a l a r e a lt à scenografica e la sceneggiata della realtà.

tradizione. onore. disciplina. eccellenza. i 4 pilastri della vita accademica di welton nel vermont, dove i rampolli delle famiglie migliori, da generazioni, vengono indottrinati e preparati ad assolvere alle aspettive che i loro genitori proiettano sul loro futuro; un insieme di medici, avvocati, banchieri e politici del futuro. un insieme di giovani adolescenti, di diamanti grezzi, in realtà. quella vista da john keating, loro nuovo docente di lettere, che contrariamente alle rigide abitudini accademiche tradizionali di welton, li prende per mano conducendoli ad allenare il pensiero. non solo letterario, ma il pensiero libero: ciò che li rende consapevoli di se nel loro unico modo di essere e di voler vivere.

cinema. dead ones society a great movie tells us the generation's indoctrination in order to perfom the expectations about their future. the courage and the obstructions make them conscious about their unicity and free thought.

keywords: dead poets society, robin williams, carpe diem, think, freedom

“che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.” a diffidare del tempo per farselo alleato.

“carpe diem… cogli la rosa quand'è il momento. rendete straordinaria la vostra vita.” ad ambire a qualcosa di più per volere e non per dovere.

“andai nei boschi perché volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita…” a rispondere della propria vita come unici possibili salvatori.

“venite amici, che non è tardi per scoprire un nuovo mondo. vi propongo di andare più in la locandina del film dead poets di peter weir, 1989

society


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riferimenti visionari

dead poets society (’la setta dei poeti estinti’) è un film drammatico di peter weir del 1989, prodotto in usa, i n t e r p r e tat o d a r o b i n williams e vincitori di numerosi premi fra cui un premio oscar, un golden globe ed il nastro d'argento alla regia.

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dell'orizzonte e se anche non abbiamo più l'energia che un tempo mosse la terra e il cielo, siamo ancora gli stessi. unica, eguale, tempra di eroici cuori…” ad alzare il volume del proprio pensiero, finchè diventi un grido distinto.

“dovete combattere per trovare la vostra voce. più tardi cominciate a farlo più grosso è il rischio di non trovarla affatto. osate cambiare. aspettiamo la battaglia mentre in realtà stiamo già combattendo.” e non temerlo mai nemmeno quando frainteso.

“l'amico anderson ritiene che tutto ciò che ha dentro sia stupido e imbarazzante. non è la sua peggiore paura?! e si sbaglia!” a perseverare nei tentativi soddisfazione, non prima.

fino

alla

scena dal film

dead poets society di peter weir, 1989

scena dal film

dead poets society di peter weir, 1989

completa

“rido, urlo, cado, balbetto… so fare di più. so fare di più!” stilando, davanti ai loro occhi increduli le leggi dell'unicità, mentre le sempre più pressanti repressive di familiari e altri docenti conducono le vite di alcuni di loro a tragici epiloghi. il professor keating, il fautore del loro pensiero libero, viene invece designato come capo espiatorio, da quel gregge di automi e gli altri ragazzi costretti ad accusarlo formalmente per segnare la fine della sua carriera da insegnante. il cerchio si è chiuso: welton è tornata 'normale'; non più motti di liberazione e poesie, non più racconti delle gesta eroiche di uomini del passato e fiamme vivaci di vita negli occhi dei


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ragazzi. tutto ciò che era stato di quel fuggente e brillante periodo di folle gioia e ansia di vita, sembra perso per sempre. keating va via fra gli studenti soggiogati che tengono gli occhi bassi. ma la tensione sale nei loro animi, la rabbia li stringe, le guance avvampano di indecisione… il loro cuore non riesce più solo a battere, vuole battersi. ad uno ad uno, prima che sia tardi, in piedi sui loro banchi nel volgergli il loro saluto saturo di comprensione e devozione, gratitudine e irrefrenabile bisogno necessario di sentirsi liberi, gridando “oh capitano, mio capitano!… fiduciosi del loro primo passo verso se stessi.

“ci teniamo tutti ad essere accettati, ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri anche se ad altri sembrano strani e impopolari, anche se il gregge può dire –non è beeene-. come ha detto frost –due strade trovai nel bosco ed io scelsi quella meno battuta. ed è per questo che sono diverso.”

scena dal film

dead poets society di peter weir, 1989

scena dal film

dead poets society di peter weir, 1989


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estetica del colore. mono è un bivio unico è un paradosso. mono ha il significato di 'uno solo' o 'formato da uno' ma può essere declinato in due versioni, graficamente: monocolore, mono-forma. dalila

zanca

«il giudizio estetico risiede nella mente dell’occhio.» alessandro morandotti, minime, 1979 33 anni. Un diploma all'accademia di Belle Arti di Venezia. Una propensione per l'Estetica. Una passione per i c o l o r i . D e c o r at r i c e p e r mestiere. Dipinge per scelta, scrive per caso.Le cromatiche le permettono di sperimentare le sensazioni non vissute… “Per i toni elettrici ci vuole coraggio, i pastelli rendono tutto più umano.”

dal greco μονόχρωμος, il monocròmo consiste nell'utilizzo di una sola tonalità cromatica su tutta la campitura o la superficie dell'opera. il colore, un unico colore, è protagonista assoluto. focalizzando la concentrazione su una determinata tinta, che riempie così il campo visivo, si ottiene un effetto grafico sobrio, pulito, assoluto. si sfrutta la semplicità per ottenere una grande forza stilistica ma anche empatica: purezza, intensità, decisione, apnea, amplificazione, sono solo alcuni dei messaggi emozionali veicolati.

colour aesthetics. mono is a fork unique is a fork with two parallel directions: shade of colour and texture. this two translations seem different as aesthetical choice, but they are faces of the only one medal.

keywords: color, monocromatic, pattern, 1950, texture, effect

intorno agli anni '50 viene sviluppato, artisticamente, un sistema segnico basato sulla ripetizione di un elemento grafico, quello che divenne il moderno pattern. questo indica una regolarità all'interno di un insieme; per semplificare, si tratta di un disegno o una stampa realizzata con la ripetizione di un unico elemento grafico. in qualche modo, definisce anche uno schema. anche in questo caso otteniamo un importante effetto grafico ma più ipnotico che puro, più espansivo che amplificato, travolgente. nel primo caso, dunque, un'unica tinta cromatica veste tutte le superfici, uniformandole per un certo verso; nel secondo caso, un unico elemento grafico genera un'opera di significato più grande grazie ad una regolare ripetizione. l'unico si uniforma e si ripete. ed in questo modo può unicamente amplificare se stesso. cseperoyal in collaborazione con suppré-neopaint,

look book 2010


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riferimenti visionari

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muzio francesca (a cura di),

u n t r a t t a t o universale dei colori, biblioteca dell’archivum romanicum nr. 384, firenze, editrice olschki, 2012 steiner rudolf, das wesen der farbe, 1921; ed. it. l’essenza dei colori, milano, editrice antroposofica, 2006

cseperoyal in collaborazione con suppré-neopaint,

look book 2010

cseperoyal in collaborazione con suppré-neopaint,

look book 2010

esempio di pattern vettoriale

esempio di pattern vettoriale


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fotografia. unicità, biodiversità, biounicità

veronica

vannoni

fotografa

«ogni piacere dei mortali e’ mortale.» michel de montaigne …alle reliquie, ai i feticci tribali, all'etruria e gli etruschi, alle costruzioni decadenti, ai ferri vecchi. alla carta stampata, alla fotografia e alle materie pl astiche, all'asia e al sud america, alla francia. alle rovine, alla gente caduta in disgrazia, alle muffe e ai funghi, alle materie deperibili in decomposizione e ai frammenti ossei. alla polvere, all a ruggine. alle cose dimenticate da tutti, ma non dal tempo.

giorni fa, sfogliando le pagine del national geographic, ho letto un bellissimo articolo che ci racconta con parole, immagini e numeri, il vorticoso scomparire delle biodiversità. in questo caso, si parlava degli aborigeni australiani, che per migliaia di anni hanno occupato la loro terra, vivendo come cacciatori-raccoglitori, parlando più di 250 lingue diverse e praticando svariate arti e religioni. nel 1779, james cook sbarca sulle inesplorate coste australiane: da quel giorno, fino ad oggi, la cultura degli aborigeni e non solo, viene brutalmente massacrata. attualmente, solo il 3 per cento del popolo australiano è un aborigeno; inoltre, la maggior parte di loro non sa cacciare, non conosce le danze tradizionali e solo un terzo vive nei territori d'origine. come gli indiani d'america, anche gli aborigeni, relegati da missioni religiose e non, in territori circoscritti , sono presto diventati schiavi dell'alcool, del tabacco e dei cibi spazzatura, che hanno cancellato le loro abitudini e tradizioni. questa ben poco bio uniformazione, sta coinvolgendo tutto il pianeta, tutti gli esseri viventi e non; in alcuni casi, come in questo sopra citato, è molto evidente, mentre in “occidente”, sembra essere meno eloquente questa perdita di riti e tradizioni, ma se ci pensate bene, non lo è affatto. In pochissimi anni abbiamo perso un'infinità di specie vegetali, di animali, di lingue e dialetti, di danze, di canzoni, di differenze etniche. l'uguaglianza non è sempre un bene.

photography. unicity, biodiversity, biounicity unicity is seen through the biodiversity of species in a photographic work. is diversity losing colour in transparency or disappearing through superimposition?

keywords: national geographic, james cook, tradition, race, species,


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papaveri, 2013 Una sovrapposizione di immagini di diversi fiori della stessa specie (in particolare papaveri) in trasparenza, per evidenziare l'unicitĂ di ognuno.

Veronica Vannoni,

papaveri. Fotografia, 2013

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illustrazione. walking ferre’s way unico e inimitabile. sembra che tutti puntino a questo: l’unicità.

barbara

dragoni

pittrice, illustratrice, fashion designer, stylist, writer.

«l’immaginazione e’ l’unico mezzo che ci permette di vivere più di una vita. l’unico scaffale apparentemente disordinato che trova il suo ordine all’interno del nostro talento.» insegue, correndo con suole oramai consumate, ma mai stanche e rassegnate la sua imperfezione perfetta in un mondo dove non esiste criterio logico. con un piede piantato nel passato, uno appoggiato al presente e la mente proiettata al futuro cerca di mettere insieme questi trinomi nel modo migliore in arte come nella moda. ha sempre avuto un bisogno incontrollabile di essere sempre in movimento e avere lo spirito sempre saturo da nuove sensazioni e nuove immaginazioni. stabilità. non e’ una parola adatta. né mentale né fisica.

nel corso del convegno “walking ferre’s way”, tenutosi alla domus academy, questo ambito aggettivo veniva attribuito così puramente e gratuitamente al signor ganfranco ferrè, che mi convinse del fatto che se lo meritasse indubbiamente. durante la celebrazione ero attenta a tutte le sfumature emozionali che passavano sui volti delle persone che raccontavano le gesta di questo singolare personaggio. erano suoi compagni di classe d’università, suoi ex colleghi e critici che ne esaltavano, appunto, la sua unicità e il periodo di splendore che viveva milano nei primi anni novanta di cui anche lui ne era protagonista.

graphic art. walking ferre’s way an irregular path creates all the unrepeatable: immortal(izing) ferrè.

gradations

of

keywords: gianfranco ferrè, domus academy, michele venturini, franco raggi, pierino conti, architecture, baroque, fashion

mi accorsi che sapevo poco del signor ferrè a parte le sue gesta come grande stilista: le sue indimenticabili camicie bianche e l’importanza di questo colore, come la luce che emerge dal buio nei dipinti del caravaggio, lo sfarzo dei suoi abiti gioiello, le sue campiture cromatiche, che il sig. michele venturini associò a bacon, e naturalmente l’importanza delle sue illustrazioni, dei suoi disegni. non ero a conoscenza del suo titolo di studi, che appena mi fu svelato collegai inevitabilmente con l’importanza del disegno e l’importanza per la quarta dimensione del corpo: architetto. non sapevo neanche che fu insegnante alla domus academy, ma sapevo benissimo che mi sarei fatta amputare il braccio sinistro pur di assistere a una sua lezione. era divertente sentir parlare il sig. franco raggi, compagno di ferrè all’università, di come questo signore era così ossessionato dal barocco e dal sovraccaricare

ritratto di gianfranco ferrè


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ogni luogo che andava a creare. mentre raggi cercava di togliere, lui aggiungeva. erano in continuo scontro su come creare edifici, ma questo non mise a repentaglio le splendide collaborazioni dei due architetti. ero all’oscuro anche di come cominciò ad avvicinarsi al mondo della moda, e fu tramite i gioielli, che ferrè associava molto all’architettura e si divertiva a cercare nuovi e insoliti materiali da rielaborare. era un artista puro, ai massimi livelli, un gioiello raro che milano, la sua città, sembra aver dimenticato molto presto, come denuncia il critico pierino conti: “ci

regalò una visione gloriosa dell’umano che noi abbiamo cancellato con il finto minimalismo!” una gloria del ‘900. “gianfranco ferrè deve avere il suo museo personale!” grida infine il critico alterato, e dopo questa affermazione non feci altro che unirmi a uno scrosciante applauso. (un ringraziamento particolare alla fondazione gianfranco ferrè e alla domus academy)

barbara dragoni,

omaggio a gianfranco ferrè, 2013


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letteratura-filosofia. la condanna dell’unicità “natura il fece, e poi ruppe lo stampo.”

valentina

dragoni

cultural mediator, traduttrice

«la ragione non sovrasta mai l’immaginazione, mentre l’immaginazione spodesta frequentemente la ragione.» blaise pascal, 1670

Come sfruttare la mia mente rigorosa? Studiando le lingue, uno strumento razionale per dare infinite forme all'immaginazione umana. L'inglese, l a mia “lingua gemella”, mi ha aperto il mondo d e l l a l e t t e r at u r a . I l giapponese, lingua delle parole dipinte, mi ha fatto viaggiare per luoghi misteriosi. L'arabo, la lingua che odora di d e s e r t o , m i h a fat t o intravedere un universo ancora d a s c o p r i r e . Traduco per diletto, leggo per passione. Con le radici ben aggrappate alla mia adorata c a m p a g n a , d a genuina “biblio-antropologa” esploro la giungla letteraria alla ricerca di nuovi esemplari.

ludovico ariosto, orlando furioso

literature-philosophy. the unicity’s sentence

l'occasione per riflettere su questo nuovo tema è spuntata durante un momentaneo stop che mi ha costretto al riposo per qualche giorno (si sa, quando si è costretti all'immobilità fisica si diventa tutti un po' introspettivi): ignoriamo la nostra unicità per gran parte dei nostri primi anni di vita, poi d'un tratto sentiamo il bisogno di esplicitarla n modo più o meno plateale. ma essere unici è così degno di nota? ed è davvero così necessario sottolinearlo?

in spite of the unicity of genetic mixture characterizing us, we search a corresponding in others. is unicity a bundle so weighty to tolerate?

se facciamo un bel respiro e ci immergiamo nella lingua giapponese, vediamo che ci sono diverse parole che traducono “unico” con significati sottilmente diversi: la prima è yuiitsu che letteralmente può essere tradotta come “l'unico e il solo”, l'altra è tada hitotsu, “soltanto uno”. con molta probabilità entrambi gli aggettivi andrebbero bene per definire lo status degli esseri umani. ognuno è un unicum, un miscuglio imprevedibile di geni che in un dato momento hanno deciso di mettersi in un determinato ordine e generare difetti, qualità, atteggiamenti in percentuali insolite in ognuno di noi. quindi siamo delle singolarità (passatemi il termine, nessun riferimento ai buchi neri, mi beccherei come minimo un anatema da stephen hawking!) per merito della biologia, mentre quella strana forza dalla consistenza impalpabile chiamata tempo ha deciso che ciascun momento che viviamo sia uno, singolo, irripetibile (anche se in doctor who il tempo “it's more like a big ball of wibbly wobbly timey wimey stuff”... alla faccia dell'irripetibilità, ditemi voi se non è vago questo!).

keywords: yuiitsu, hitotsu, unicum, stephen hawking, doctor who, biology, individuality,similarity, exception


mg

riferimenti visionari Ariosto

Orlando

Ludovico, Fu r i o s o ,

1516-1532 Arnalds Ól afur - So Close (feat. Arnór Dan) Bowen Elizabeth,

La casa

di Parigi, 1935 Doctor Who, serie 3 (2007), episodio 10 “ Colpo d'occhio” (originale “BLINK”) Stirner Max, L'unico e la sua proprietà, Adelphi, 1999

se quindi siamo unici per definizione biologica, cos'è tutta questa enfasi che il mondo sembra mettere sulla necessità di doversi per forza distinguere dagli altri? l'unicità sembra essere un'ossessione della modernità, dove tutto il rischio è concentrato nel non riuscire a distinguere la propria individualità da quella della massa (nutro una profonda diffidenza nei confronti di tale parola), percepita universalmente come uniforme e omologata. è qui che per me si annida il paradosso: questo continuo tentativo di diversificazione della propria identità sembra portare da un lato a snaturare la propria unicità trasformandola in qualcosa di falsificato, dall'altro a ritrovarsi immersi in un gruppo di persone che si impegnano a loro modo a distinguersi. e questa non è omologazione? volendo ad ogni costo esasperare la nostra unicità ci ritroviamo di fatto più uguali agli altri e svuotiamo la nostra essenza. un pensiero alquanto sconsolante, non vi pare? apriamo la nostra personalità come una scatola di biscotti e mangiamo uno ad uno tutti i nostri tratti distintivi, ritrovandoci con un contenitore vuoto. questa immagine è esplosa nella mia testa leggendo qua e là mentre cercavo spunti per questo articolo; sono incappata in una frase dell'opera di max stirner, autore che non avevo mai incontrato prima: “se io baso la mia causa su di me, l'unico, essa riposa sul proprio effimero e perituro creatore che si auto divora, e posso dire: "ho basato la mia causa su nulla". svuotandola dal significato politico che può avere (stirner fu uno dei principali intellettuali individualisti e da molti visto come avo dell'anarchismo), la mia attenzione è caduta sul concetto di effimero del sé, sul fatto che se puntiamo tutto sulla dimensione autoreferenziale della nostra mania di unicità ci ritroveremo a sottrarre il significato a tale caratteristica, riducendola ad un motivo di conflitto. ci che è ò ricchezza diventa un ostacolo. e allora, cui prodest? otteniamo davvero dei vantaggi se lottiamo tanto per affermare la nostra unicità, o di fatto l'annientiamo?

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viene allora da pensare che in fondo non siamo poi così orgogliosi della nostra eccezionalità, la quale suona più o meno come una condanna alla solitudine. siamo intimamente spaventati dall'idea di essere “gli unici e i soli” e ciò ci spinge a cercare costantemente nell'unicità degli altri un sostegno alla nostra. strano no? facciamo di tutto per distinguerci, ma torniamo a bramare costantemente lo sguardo di chi ci sta intorno, aspettandoci che questi riconoscano il nostro status di creature uniche, ma che allo stesso tempo mostrino dei punti di contatto con noi, delle caratteristiche comuni che non ce li rendano degli estranei. questa ricerca però sembra non soddisfarci mai fino in fondo, perché raramente scoviamo un barlume di similarità con l'altro, rimanendo intrappolati nella nostra rassicurante unicità.

“frequentare persone diverse da noi non allarga i nostri orizzonti; serve solo a confermarci nell'idea di essere unici.” elizabeth bowen, la casa di parigi


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mitologia. mostro unicità

MADELAINE

SERRAVALLE mitologa

«Per lo storico il mitologo è un esaltato; per il mitologo lo storico è un sobrio.» Calabrese, mitologa, mitomane, colleziona cammei e dispensa storie.

barbetta caprina, zoccoli, coda da leone, corpo bianco, testa rossa, alato o non alato, occhi blu profondo, sembianze di cavallo ed un lunghissimo corno coriaceo a torciglione che svetta sulla fronte. l'unicorno. un vero orrore, a dirla così, ma il valore dell'unicostraordinario-eccezionale-irripetibile, di cui è diventato simbolo, è mostruoso davvero. conosciuto anche col nome di liocorno, il mito del fantastico animale risale ad epoche molto antiche. prime rappresentazioni furono ritrovate nelle grotte di lascaux, in francia, stimate d'epoca paleolitica. la figura mitologica dell'unicorno è comune in molte culture diverse e con numerose varianti, a cominciare dalle popolazioni orientali alle quali si attribuisce la nascita del mito: l'abath malese, l'al-mi'radj islamico simile ad una lepre gialla, il bulan altaico simile al rinoceronte, il camphur indonesiano, il kilin cinese avente il corpo di antilope o di cervo, il kirin giapponese; dall'oriente il mito dell'unicorno giunge nell'antica grecia, tramite lo storico ctesia. nel vi a.c., egli narrava di aver visto un “asino simile ad un cavallo con ali ed un solo corno”. l'animale mitologico a cui si riferiva ctesia era in effetti più precisamente un pegaso, in quanto cavallo alato, e non un unicorno.

mythology. unicity is a monster the myth of unicorn from eastern beginning to modern symbolism. the transformation from magic horse to legendary monster.

keywords: liocorn, alicorn, lascaux, ctesia, william shakespeare, fantasy, umberto eco, exception

ad ogni modo, nell'antica grecia l'unicorno venne facilmente associato, nella fantasia popolare, ad un rinoceronte, per via della presenza di un corno solo sulla fronte. successivamente, in occidente, si diffonde la medesima leggenda ma con la raffigurazione del cavallo. ctesia, infatti, non fu l'unico storico a riferire dell'animale; come lui, il filosofo eliano, pochi secoli più tardi. questo destò a tal punto l'interesse popolare che, in epoca medievale, vennero organizzate delle vere e proprie spedizioni per trovarlo e catturarlo. bonnie rodriguez,

immagine di repertorio


mg

riferimenti visionari ch'eng-en wu,

viaggio in

occidente storia della bruttezza eco

umberto,

helft

claude,

la

mitologia cinese salinger

jerome david,

il

giovane holden shakespeare

william,

la

tempesta wendell

holme

oliver,

l ' a u t o c rat e d e l l a prima colazione

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in seguito, perfino shakespeare, si riferì ad esso come ad un “animale incredibile” ne la tempesta. si diceva che l'unicorno avesse un'indole docile, dotato di sensibilità e che se ne trovasse solo uno vivente per volta. il corno, detto alicorno, si pensava potesse essere lungo circa 50 centimetri e fosse dotato di poteri magici. quest'ultimo è l'elemento comune, a tutte le mitologie legate all'unicorno, e motivo di tanta fama: l'unicità del corno e le sue qualità rarissime. l'alicorno era ritenuto dotato di poteri terapeutici, guaritori e anti veleno. non tutti potevano vedere e avvicinare l'unicorno, leggenda vuole che fosse un animale così puro che solo persone dall'animo candido potessero cavalcarlo. perciò veniva raffigurato, molto spesso, cavalcato da una vergine, da un mago o da un elfo, o ancora nella rappresentazione della nascita profetica di un sovrano o di un uomo eletto. con l'affermarsi della moderna scienza naturalistica, l'impossibilità di trovare un esemplare di unicorno ne provocò l'esclusione definitiva dalla lista degli animali esistenti. in tempi recenti, la simbologia legata a questo animale si è diffusa nelle favole tradizionali del nord europa, e nei racconti di genere fantasy. la mitologia dell'unicorno costituisce un vero cardine nella storia dei mostri, nonostante le caratteristiche magicamente benevole e sognanti. come scrisse umberto eco, bellezza e bruttezza sono concetti che si implicano l'uno con l'altro, invece di essere due opposti. demoni, strane presenze, creature repellenti e deformi, “sfiorano il sublime” perché sorprendenti. così, “brutto di natura, brutto spirituale, asimmetria, disarmonia, in un succedersi di meschino, debole, banale, casuale, arbitrario, goffo, insulso, e indecente…” si trascinano dietro un alone misterioso estremamente affascinante, fortemente caratterizzante, ipnotico e dunque bello. ben hopper,

naked girl with mask


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se giocassimo ad invertire le fila, dovremmo chiederci se l'unicità ci rende mostruosi? tendenza dei nostri giorni è incarnare il mito.

“niente è così comune come il desiderio di essere eccezionale.” oliver wendell holme. l'autocrate della prima colazione, 1858 non più racconti e favole e dipinti e leggende eccezionali da tramandare per diffusione culturale ma egocentrismi e deliri d'onnipotenza che popolano i desideri di ciascuno. ciascuno, infatti, vuole, crede, pretende, esige, impera di essere l'unico e il solo e diverso da chiunque altro. ciascuno è realmente diverso dall'altro, ma diverso non significa unico. diversità non significa eccezione…e questa non è mitologia.

“eccezionale. ecco una parola che detesto con tutta l'anima. è così fasulla.” jerome david salinger, il giovane holden, 1951 le popolazioni del medioevo credevano che se il corno fosse stato rimosso, l'unicorno sarebbe morto. non dobbiamo privarci del favolesco ne dell'immaginario, dovremmo nutrircene: questi rappresentano il nostro alicorno. basta fare attenzione a non agitarlo troppo, potremmo rimanerne feriti.

laura dark,

unicorn


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moda. la matrigna uni-forme Storia di una stretta parentela: 4 discendenze non tutte a lieto fine.

L'uniforme militare e la prole delle fogge civili.

valentina

forzese

fashion designer, stylist, illustratrice, writer.

«Come il fluire incessante del fiume, senza né pace né posa si muovono le mie passioni, finché tutto ciò che disegno,scrivo o creo non abbia respiro proprio.» Durante e dopo l'excursus accademico (Fashion Design prima, Styling e Comunicazione Visuale poi) si appassiona agli studi di filosofia estetica, semiotica ed all'applicazione dell'arte in più ambiti culturali, concentrandosi su varie forme di comunicazione. Non ultima la scrittura. E' nota per le sue identità multiple, con una lama a doppio taglio: il binomio genio & sregolatezza. Possibili complicazioni non s o n o a n c o r a a c c e r t at e . Prognosi riservata.

Diversi indumenti e accessori di uso comune devono la loro materializzazione alle divise di truppe, ufficiali e leggendari eroi in armi: la cravatta, il trench, bomber e montgomery, e la stessa canonica giacca maschile (ormai priva di genere) sono, sorprendentemente, fratellastri di marsine, galloni, mostrine e coccarde. L'abito identico, unico, per appartenenza ad una determinata categoria cominciò ad essere fondamentale nelle tradizioni delle legioni romane; a partire dal Seicento, l'uniforme distingueva i civili dai soldati, i vari contingenti fra loro ed infine i gradi degli ufficiali, ma dovremo aspettare fino all'Ottocento per poter parlare di 'fascino della divisa'. La nascita degli eserciti nazionali fa entrare in contatto le masse popolari con i concetti di rispettabilità e decoro dell'abito non solo per tradurre il proprio orgoglio patriottico. E così, l'abito militare, sancisce il proprio contributo alla foggia degli abiti civili favorendo l'affermazione di norme basilari di decenza sull'abbigliamento maschile, determinandone forme e tagli, comodità e praticità. Per intravederne un uso femminile, bisognerà attendere fino agli anni '40 del Novecento.

fashion. the uni-form stepmother historical and cultural path from beginning of uniform to multi-decorated making uniform: all the fairy tales and all the royal families have a stepmother.

keywords: military, trench, bomber, montgomery, 1800, 1940, emancipation, 1960, unisex, aesthetics, prototype, uniformation

L'uniformazione di genere e la stirpe degli unisex. Mentre gli uomini erano al fronte, la guerra costrinse le donne a sostituirli in molti dei loro lavori, anche in servizi di tipo militare. Fu così che le donne si abituarono ad indossare le uniformi e l'essenzialità dello stile militare, fece presto breccia nella moda, a cominciare dai cappotti. L'intero abbigliamento divenne funzionale, l'elemento lezioso venne più o meno bandito, i A sinistra: Ola Beszter by Roman Ziaja, Design Scene, Dicembre 2012. A destra: “Militaryportrait” by Li Qi, GQ China, Ottobre 2012.


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riferimenti visionari

unifórme

agg. [dal lat. uniformis, comp. di uni- e formis «-forme»]. – Che ha una sola e medesima forma, un solo e medesimo aspetto; c o s ta n t e m e n t e u g u a l e , senza variazioni.

Unifórme s. f. [uso sostantivato dell'agg. prec., sul modello del fr. (habit) uniforme«(abito) uniforme», per cui fino all'Ottocento la parola è stata usata anche al masch.]. – Particolare foggia di vestire, detta anche divisa, meno comunem. montura, che serve a distinguere chi la indossa indicandone l'appartenenza a una determinata categoria e a un dato corpo, e anche, eventualmente, il grado e la funzione che egli riveste all'interno di quel corpo.

fronzoli aboliti. Le donne, soprattutto lavoratrici, constatarono che le uniformi e gli abiti da lavoro erano pratici e avevano anche un certo fascino, facendole apparire serie, competenti, professionali, finché anche i pantaloni diventarono un'abitudine insieme alla tuta che r i c o r d a v a l ' u n i f o r m e d e g l i a m at i a v i at o r i . L'abbigliamento relativo alla sfera lavorativa era però ancora malvisto nelle occasioni mondane, il trionfo dei pantaloni marciava a rilento come l'emancipazione. Evento, quest'ultimo, che negli anni '60 condurrà alla ripresa dell'uniforme per virarla da abbigliamento che richiama all'ordine fino a manifestazione estetica di ribellione, per poi esplodere nel successivo decennio. Antesignani esercizi di stile che diedero vita alla discendenza dello stile boyfriend e da garçon sulle donne ed allo sviluppo dei moderni capi unisex. Allo stesso modo, molti abbigliamenti o decori anche delle uniformi mediche, accademiche, ecclesiastiche, diventarono dettagli icona di codici di trasgressività, sessualità estrema, ribellione e soprattutto, da quel famoso '68, di deidentificazione.

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di lattice e mostrarsi al mondo come un morto che cammina ma con il ciuffo sempre perfetto. Fino a che il delirio passa ma senza scomparire, semplicemente cambiando direzione alla bandiera come cambia il vento. Omologazioni malate ma paradossalmente libere nel loro provenire da una insensata imposizione del signor nessuno: male, dunque, non farebbe pagarlo un canone per tali 'passaggi di fisicità' e darci un taglio senza più tormentarci con le taglie. Un divorzio annunciato che non vedrà mai la luce, dato che la questione tocca ormai tutti e ci ha altrettanto sfiniti eppure, come per tutte le coppie patinate… se ne fa solo un gran parlare e la messa in scena continua. Non facciamo caso al fatto che nelle innumerevoli opere d'arte a nostra disposizione il canone estetico varia continuamente e che se pure una fra quelle sarà apprezzata da molti può singolarmente non piacerci e non attrarci? Non vogliamo, forse, essere opere d'arte ma solo ammiratori dell'opera altrui.

Le forme fisiche sposano un unico canone: il matrimonio del secolo. Secolare, difatti, è il decreto del canone estetico dato in pasto alla massa. Una poltiglia da mandare giù che promette la felicità: non troppo curioso come questo ricordi le droghe. La fisicata tonica, il macho palestrato, l'androgina, il metrosexual, la pin up burrosa, l'androgino, l'anoressica, l'hipster rammollito… (en)cicliche che si perpetuano, i media che ne fanno sermoni, il pubblico che se ne carica le coscienze nella speranza della gratia plena. Così accade che la scheletrica da una vita preferisce ingoiare, ad un certo punto, silicone e la morbida eccedente si precipiterà a perdere chili a iosa; l'ometto smilzo si infliggerà bombe ormonali e orari da servo della gleba in palestra cibandosi di solo triste pollo ai ferri e l'un tempo tracagnotto datosi all'astinenza da cibo patirà le pene dell'inferno pur di rimanere 'inscheletrito' ed entrare in quei jeans/guanto A sinistra: Toni e Niclas Garrn, Tush Magazine, 2009. A destra: Zlata Mangafic e Niall Underwood, I-D Magazine, Aprile 2013.


mg

cocciolo laura, sala davide,

S t o r i a i l l u s t rata della moda e del costume, Demetra Editore, 2001

uniform exposed. from conformity to transgression, berg, craik

jennifer,

2005. giannone antonella, calefato patrizia, manuale

d i c o m u n i ca z i o n e , sociologia e cultura della moda, volume v, meltemi editore, 2007

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Re e Reginette di stile assurgono a reietti di categoria. Siamo tutti unici con l'immagine degli altri. Siamo uniformi. Se la moda si potesse davvero riassumere in estetiche 'copia-incolla' ci saremmo risparmiati la fatica e sarebbero stati creati semplici stampini o una divisa unica; ma se in una immensità di simboli e linguaggi preferiamo parlare tutti la stessa lingua non si tratta più di imposizione ma di autolesionismo. L'affermazione di molti in quanto reali dello stile e detentori della corona dei trend è ad elezione popolare, quello stesso popolo che, come appurato, non si ama ma si amalgama. Quando si dice avere il sangue blu… chiaro sintomo che ci si è bevuti il cervello e non lo si può più ossigenare. Ce lo avevano detto gli antichi greci ed i romani che più che indicare nobiltà, quel blu, ricordava solo le stirpe dei barbari. Morale della favola: da militari a civilizzati ribelli, da civilizzati ribelli a prototipi di plastica, da prototipi di plastica a rifiuti indifferenziati. Qualcosa sta andando uniformemente storta.

A sinistra: Karli Kloss, Vogue Italia, Dicembre 2011. A destra: Marquita Pring, by SølveSundsbø, 2010.

Carolyn Murphy in “multifaceted woman” by Steven Meisel, Vogue Italia, Settembre 2012.


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poesia. tagliarsi la lingua tagliarsi la lingua poetry. to cut one’s tongue

ovvero come distruggere l'ultima nota incantarci tutti del medesimo frastuono.

fortunato

giovine

«teatro e’ guardare vedendo. serve ad attraversare le frontiere fra te e me.» (giorgio albertazzi) autore teatrale, isol ano, isolato, disarmato, diserbante s u l f o r m a l e , s c r e d i tat o praticante. Scrive terribili descrizioni ma bellissimi similannunci.

poetica

e

nessuna citazione poetica. solo citazione di danni. whatsappami, googlalo, fammi una call, quant'è top, trovarti never eh?, in quel posto cool, ti invito per il breakfast, che trip ti fai, sei veramente wow!, ma ce l'hai una mission?,… …10 coltellate a sangue freddo inflitte alla lingua, la nostra lingua. 10 coltellate fra le tante. coltellate ripetute centinaia di volte al giorno.

the transformation of ordinary language and the cosmopolitan grafting make the original language an amnesia: the voluntary (?) obscuring of a distinct feature of unicity.

keywords: words, language, cosmopolitism, identification, unesco

la lingua romanza d'eccellenza, la figlia primogenita del bel parlare fiorentino del '300, la lingua delle eccezioni è finita sul rullo della fabbrica omologazioni. passa, la poveretta, da accetta ad accetta per smaltire il “superfluo”, per essere abbreviata, accorciata, acconciata di ghingheri stranieri, estirparne le difficoltà spigolose, essere accessibile a qualsivoglia bocca, 'cosmopolita', tecnologizzata, standardizzarla fino ad una poltiglia solubile senza nazionalità. stiamo vandalizzando la nostra diversità. quel tratto distintivo che mai sarebbe possibile replicare, emulare o imitare. stiamo dando via la nostra spilla dell'unicità in cambio di una maglia ricordo di quelle che si comprano ai concerti per rendere la platea una massa informe che porta lo stesso nome in fronte e fa molta scena. in fondo, abbiamo ancora molti altri simboli di identificazione nazionale, per dire, al mondo, chi siamo… la politica, ad esempio… no, quella meglio di no; l'artigianato ed il made in italy… no, forse non sempre; l'arte ed i beni culturali… che però stanno decomponendosi sotto i nostri occhi impassibili; i cervelli george marx,

can’t hear you


mg

riferimenti visionari bassani giorgio, cuore, 1984

di là dal

bernini fabrizio, la razza, 2003

stessa

ed i grandi talenti, ecco! ah no, quelli non stanno più da queste parti… …però, ci è rimasta la cucina, “pizza, basilico, pomodoro e mozzarella” e abbiamo fatto la bandiera. ma senza lingua, niente avrà più il suo sapore.

http://www.unesco.it

“fra due o trecento anni, quando la lingua italiana sarà diventata veramente nazionale, e non sarà più indispensabile far studiare ai ragazzi delle scuole il latino, il quale resta a tutt'oggi l'unico connettivo del caos linguistico nazionale, allora, anche in italia, tutto sarà possibile.” giorgio bassani, di là dal cuore, 1984 dunque, nessuna speranza.

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culture, ma anche di integrazione e educazione multilinguistica.” http://www.unesco.it non neghiamoci quell'unica opportunità reale, che abbiamo, di non scendere a compromessi. rimaniamo noi stessi.

“in fondo è questo, lasciare scappare ciò che nutre il sangue, poterne fare a meno. abituarsi al secco cuore. dal mattino una distrazione il resto: andare, venire, umiliare le braccia e la sobrietà. ogni tanto un passaggio, una stretta affondata che ha ragione nel fumo della sigaretta. ecco il marchio. ciò che siamo è invulnerabile.” fabrizio bernini, la stessa razza, 2003

salviamoci la lingua “dal 1999 l'unesco (organizzazione delle nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura) ha ufficialmente riconosciuto nel 21 febbraio la data per la celebrazione della giornata internazionale della lingua madre in tutto il mondo. questa data simbolica è stata scelta per rievocare le lotte dei giovani bengalesi che nel 1952 scesero in piazza per preservare l'unicità della propria lingua rispetto a quella urdu che il pakistan voleva imporre loro. i sacrifici di moltissimi ragazzi e l'affermazione del riconoscimento della lingua d'origine hanno fatto sì che quella giornata divenisse simbolo di rispetto della diversità delle george marx,

straining to hear


mg

concept-able.

percezioni evocative su un piano...

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mg ...anzi due

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mg

textcloud.

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un addensamento di sfumature testuali in sospensione nell’atmosfera del tema visionario.


mg

wunderkammer.

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antesignana del concetto di museo, la ‘camera delle meraviglie’ veniva usata dai collezionisti per raccogliere tutti gli oggetti straordinari.

yayoi kusama,

immagine di repertorio yayoi kusama,

immagine di repertorio

giuseppe borsoi,

autoscatto cinetico

lonely

herbert bayer, metrpolis, 1932

yayoi kusama,

immagine di repertorio

mostra

“il corpo solitario”, 2012 kings of leon album cover,

“only by the night”

ed fairburn,

map portrait

nel film Legami di Pedro Almodovar, si spiega l'unicità del proprio percorso di vita disegnandola come fosse il percorso di una linea della metropolitana con le sue personalissime stazioni.


imaginarium monografie visionarie

niente ‘visse due volte’ “tutto è connesso. ciascuno di noi lo è, come se la nostra vita non ci appartiene. da grembo a tomba siamo legati ad altri. passati e presenti. e da ogni crimine, da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro.”

issn 2282-3727

editor in chief, creative director

valentina forzese assistant director, graphic designer

cloud atlas

emanuele forzese

siamo legati ad altri. cellule, nomi, fisionomie, giungono a noi attraverso un passaggio infinito. da individuo a individuo. ciascuno è il risultato di una mistura, che deriva da una precedente mistura e che darà vita, a sua volta, ad una ennesima amalgama… che, strano a dirsi, sarà unica nelle sue caratteristiche. irripetibile anche se frutto di moltiplicazione.

visionary contributors

“nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma.” antoine-laurent de lavoisier forse, unico, in quanto “il solo esistente, sia in senso a s s o l u t o s i a r e l at i v a m e n t e a d e t e r m i n at e caratteristiche”, è tutto ciò che frutta dall'albero della metamorfosi, tutto ciò che cresce nel liquido amniotico del cambiamento, l'opera fabbricata con i cocci di tutto ciò che si è spezzato. i resti del vaso rotto, rimessi insieme ed incollati, non ritornano mai vaso originario: sarà un vaso diverso, con una storia in più. in questo modo, l'unicità può continuare a ripetersi senza mai venir meno.

valentina forzese - editor in chief

Barbara dragoni valentina dragoni emanuele forzese valentina forzese fortunato giovine raif kaya madelaine serravalle veronica vannoni dalila zanca contact www.monografievisionarie.net info@monografievisionarie.net È vietata la riproduzione, anche parziale, degli articoli pubblicati senza l’autorizzazione degli autori. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. ciascun autore garantisce la paternità dei contenuti inviati al direttore responsabile sollevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su ta l i c o n t e n u t i . L e i m m a g i n i pubblicate sono state fornite dagli autori al Direttore Responsabile di questa e-zine.

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uni-codice a (s)barre t r a l e m a l at t i e c h e a f f l i g g o n o l a s o c i e t à “terapeutizzata” del xxi secolo, una delle più temibili perché subdola - talmente sottovalutata da sfuggire finora alla catalogazione nel famigerato manuale diagnostico e statistico – è il coercitive unicity disorder (cud), ovvero il ‘disturbo da unicità costrittiva’; trattasi di una patologia generata dall'ansia incontenibile di distinguersi dagli altri esseri umani per le proprie caratteristiche fisico-intellettuali o per le particolari abilità possedute.

“tutti vogliono essere originali e in alcuni casi ciò è quasi patetico.” (felix candela) ciascuno di noi porta metaforicamente stampata con sé una sequenza di barre verticali con diversa spaziatura e spessore che permette il proprio riconoscimento al lettore ottico usato dalla società contemporanea; ma nessuno di noi si è accorto che quelle barre si sono tramutate in sbarre, che per sfuggire dall'omologazione con i nostri simili ci siamo imprigionati nel tanto rassicurante quanto ingannevole modello dell'homo unicus. l'unicità è una trappola per topi. la buona notizia è che per guarire non serve alcun farmaco, che la chiave per uscire dalla prigione dell'unicità l'abbiamo sempre posseduta: la spontaneità. se agiamo naturalmente senza mai porci il problema di essere – o apparire? – unici, solo allora potremmo davvero considerarci tali. e allora rompiamo le righe – verticali in questo caso – ed evadiamo dal codice a (s)barre. emanuele forzese - assistant director


THE STORY Imaginarium è un viaggio metafisico. Parte ora, non sappiamo dire dove approda. Un crocevia. Una camera con vista. Un caleidoscopio su una cellula che si riproduce. Visioni ad occhi aperti. Il filo rosso che le cuce. E' più mondi sul comò.E' l'occhio del voyeur. E' quello che non c'era, e adesso c'è. THE REASON

CREDIAMO nelle visioni di David Lynch, Diane Wreeland, Aldous Huxley e Oscar Niemeyer. CREDIAMO nel potere, nelle idee, nei giochi e nelle parole: nel potere delle idee, nelle idee giocose, nei giochi di potere, nel potere delle parole, nelle parole del gioco... ma anche nei giochi di parole e in tutte le altre possibili combinazioni. CREDIAMO di potere. DUBITIAMO delle abitudini, dei miti, delle contaminazioni di massa, delle certezze, del presente, dei compromessi e delle menti annoiate. DUBITIAMO anche dei nostri dubbi.

Imaginarium è un'idea nata da un'insoddisfazione. Imaginarium è una webzine indipendente a contenuto monografico e trasversale. Imaginarium nasce dalla voglia di leggere e lasciarsi ispirare da qualcosa che non sia l'ennesimo blog-rimbalzo delle notizie trite e ritrite del momento, l'ennesimo website delle scelte pescate la mattina dall'armadio dai ¾ della popolazione fashionista, l'ennesimo chi-cosa-quando e perché, l'ennesimo reportage di date e città dei prossimi mostre ed eventi, l'ennesimo “just another web-magazine”.

DIFENDIAMO la libertà di espressione, il lavoro artistico, l'autenticità, l'ampiezza degli orizzonti, la cultura, le streghe dalla caccia, l'indipendenza dai dogmi, l'ambizione, la ricerca, e l'amor proprio. DIFENDIAMO noi da noi stessi, prima ancora che dal mondo. CONTESTIAMO chi non (si) mette in discussione.

Imaginarium nasce dalla voglia di sperimentare.

ACCETTIAMO la cronaca e la critica, la crasi e la crisi… purché fatte con criterio. ACCETTIAMO i limiti geografici ed ecologici, politici ed economici, tecnologici ed etici… ma sogniamo tutti i giorni di scavalcare il confine.

Imaginarium nasce laddove vorremmo chiudere gli occhi sui clou del momento storicopolitico-economico-culturale e aprirli in scenari di gran lunga più ampi e migliori perché il velo pietoso non è coprente abbastanza.

RIFIUTIAMO gli abusi, i linguaggi e/o le immagini gratuitamente offensive, le discriminazioni verso qualsiasi tipo di razza, religione, sesso, cultura o appartenenza politica… però ci vanno bene le caramelle dagli sconosciuti (sugar free, magari).

THE VIEW IN VISION WE TRUST

AMIAMO la bellezza in tutte le sue forme culturali, le prese di posizione, perderci fra gli scaffali delle librerie, trovare una cosa quando se ne stava cercando un'altra,l'incoscienza.

CREDIAMO nel limbo sospeso tra conoscenza e creazione, ma anche tra reale e possibile. CREDIAMO nell'intuito e nell'emozione, nel pensiero e nella sensazione, nell'istinto e nell'immaginazione. CREDIAMO nell'inter-disciplinarietà, nella pluri-disciplinarietà e nella transdisciplinarietà. CREDIAMO nell'analisi generale del particolare e nell'analisi particolare del generale, nell'importanza marginale.

ODIAMO la sterilità culturale, il gossip, il qualunquismo, la perdita dell'immaginazione. IMMAGINIAMO. THE END(LESS)


monografie visionarie

numero uno luglio - settembre 2013

maginarium

“One is the loneliest number that you'll ever do. Two can be as bad as one, It's the loneliest number since the number one. -No- is the saddest experience you'll ever know. -Yes- it's the saddest experience you'll ever know… 'Cause one is the loneliest number that you'll ever do. One is the loneliest number, worse than two.“ three dog night "one (is the loneliest number)"

renè magritte, l’hereux donateur, 1966


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