Speciale Economia

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speciale

CONTROVOCE

Il 2009 è stato un anno senza dubbio complicato per

giovani imprenditori, c’e’ posto per voi

l’imprenditoria mondiale e ancora di più ne hanno risentito le piccole e medie imprese, che sono la spina dorsale, la colonna del sistema economico italiano. Ma, come quasi sempre accade, gli imprenditori di casa nostra stanno trovando energie e risorse per riuscire a traghettarsi nella maggior parte dei casi fuori da questa tempesta. La fine dell’anno è un ottimo momento per fare un bilancio, per cercare di capire dove si è arrivati, che cosa è stato sbagliato e quali invece sono state le mosse corrette. E’ anche il tempo per guardare al futuro, per programmare gli investimenti dell’anno che sta per iniziare, per cercare di capire che cosa aspettarsi nel breve periodo. Un chiaro termometro dell’andamento di un’economia è costituito dalla presenza di giovani imprenditori: è su questo terreno che su questo numero della rivista intendiamo confrontarci. E il discorso finisce, inevitabilmente, ad esplorare un mondo, quello della formazione, che rappresenta il trampolino di lancio per il mondo delle professioni, dell’impresa, del lavoro.

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imprenditori si nasce o si diventa?

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’imprenditoria giovanile in Italia è in crisi? dai numeri pare proprio di si. Le analisi statistiche formulate dal Centro Studi Sintesi, oltre a quelle svolte appositamente per Mondo Lavoro dal Centro di ricerche EntEr dell’Università Bocconi e da Call World di ancona dimostrano in ef fet ti che sempre meno giovani under 30 scelgono di intraprendere un mestiere in proprio. Questa rivista - con l’ausilio di autorevoli esper ti ed osser vatori - ha dedicato ampio spazio all’analisi di tale tendenza, con il duplice obiet tivo di inquadrare compiutamente il fenomeno e tentare, laddove possibile, di individuare alcune proposte in grado, se non di inver tire la rot ta, almeno di fermare la caduta. Come si noterà dai singoli inter venti, l’indice è puntato molto spesso sulla formazione, da sempre considerata inadeguata alle necessità del mondo del lavoro.

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SPECIALE

L’imprenditoria giovaniLe in itaLia: aLcuni dati

ospitiamo in queste pagine una ricerca relativa agli indici di imprenditoria giovanile nel nostro paese. L’analisi è stata effettuata per mondo Lavoro da due giovani ricercatori del centro di ricerca enter dell’università Bocconi – chiara casalino e Fabio Lavista coordinati dal professor giuseppe Berta, direttore del centro ed editorialista de La Stampa in materie economiche

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a rielaborazione dei dati InfoCamere effettuata dal Centro studi Sintesi mostra una sensibile flessione dell’imprenditorialità giovanile nel 2008, sia quando il punto di riferimento sono i dati relativi all’anno 2007, sia quando il confronto è effettuato in base alla rilevazione del 2002. Il dato, come è stato messo più volte in evidenza anche dalle associazioni di rappresentanza (specialmente da Confapi che negli ultimi mesi non ha esitato ad evidenziare i segnali di “fuga dei giovani” dal manifatturiero) è indubbiamente preoccupante, ed ugualmente fanno riflettere i dati relativi alla distribuzione settoriale, di genere e geografica dei REGIONE

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TotaleÊ ditteÊ ind.

Tit.Ê <Ê 30Ê anni

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IncidenzaÊ %

“giovani imprenditori”. Esso si presta tuttavia a molteplici letture. Innanzitutto, per quanto riguarda la consistenza, assoluta e percentuale, dell’imprenditoria giovanile, bisogna rilevare che la flessione risulta meno netta se si prendono in considerazione i dati relativi alle sole ditte individuali, secondo l’elaborazione dei dati InfoCamere effettuata da EntER (Centro di ricerca Imprenditorialità e Imprenditori) dell’Università Bocconi. La scelta non è stata determinata dalla volontà di ridimensionare la preoccupazione, quando non allarme, scaturente da questa analisi, quanto dal fatto che i dati relativi alle ditte individuali sono indubbiamen%Ê SulÊ totaleÊ (ditteÊ <Ê 30)

Pop.Ê res.Ê >Ê 18Ê eÊ <Ê 30Ê

IncidenzaÊ %

Rapp.Ê Imp./ Pop.

Diff.Ê %Ê 20072008Ê TotaleÊ ditteÊ ind.

te più “sicuri”, a scapito ovviamente di un’inevitabile restrizione del campione preso in esame, rispetto a quelli comprendenti anche le informazioni sulle cariche ricoperte in azienda dagli under 30, presumibilmente invece conteggiati nell’analisi Sintesi. In altre parole, e semplificando, non è detto che ad un amministratore delegato under 30 corrisponda sempre un’impresa “giovanile”. In questo caso, come mostra la Tabella 1, pur in presenza di forti flessioni (nel confronto 2002-2008 spesso a due cifre e in alcuni casi superiori al 20 per cento), le variazioni sono di consistenza inferiore. Soprattutto, le contrazioni evidenziate risultano minori quando i dati

Diff.Ê %Ê 2007-2008Ê Tit.Ê <Ê 30Ê anni

Diff.Ê %Ê 20072008Ê Pop.Ê >Ê 18Ê eÊ <Ê 30Ê anni

Diff.Ê %Ê 20022008Ê TotaleÊ ditteÊ ind.

Diff.Ê %Ê 2002-2008Ê Tit.Ê <Ê 30Ê anni

Diff.Ê %Ê 20022008Ê Pop.Ê >Ê 18Ê eÊ <Ê 30Ê anni


relativi alle imprese under 30 vengano ponderati con i dati relativi alla popolazione residente nelle regioni italiane e di età compresa tra i 18 e i 30 anni: la popolazione che rientra in questa fascia di età ha subìto infatti anch’essa una sensibile flessione negli anni considerati, sebbene tale flessione resti indubitabilmente inferiore a quella fatta registrare dalle imprese under 30. I dati presentati da entrambi i centri studi meriterebbero certamente una più approfondita analisi settoriale e trovano probabilmente delle spiegazioni che sono specifiche per ogni area territoriale considerata. Qualche considerazione può comunque essere avanzata: innanzitutto, è evidente che le imprese under 30, come era abbastanza ovvio aspettarsi, sono correlate con la distribuzione della popolazione compresa tra i 18 e i 30 anni (in Campania, Lombardia e Sicilia si concentra la percentuale maggiore di imprese under 30 sul totale nazionale e lo stesso si può dire per la popolazione 18-30 anni). La situazione che fotografa la presenza dell’imprenditoria giovanile nel nostro Paese risulta però differente se si considerano congiuntamente i due indicatori, ossia guardando al rapporto tra le imprese under 30 e la popolazione residente compresa tra i 18 e i 30 anni: in questo modo la Lombardia presenta in realtà uno dei rapporti più bassi, mentre la Sicilia e la Campania concorrono a determinare la media nazionale, decisamente superiore al dato lombardo. In generale, le regioni che nel 2002 presentavano un valore del rapporto sopra menzionato superiore alla media erano principalmente quelle meridionali e quelle nelle quali era possibile registrare una maggiore presenza di distretti industriali, testimonianza probabilmente di due fenomeni differenti: da un lato, nelle regioni meridionali, il risultato era l’effetto congiunto della loro crescita relativa nel corso del decennio precedente, connessa però con la perdurante difficoltà di tale dinamica a tradursi in occasioni di occupazione

stabile per i giovani REGIONE - come emerge da un recente volume di Gianfranco viesti (Mezzogiorno a Tradimento. Il nord, il Sud e la politica che non c’è, 2009) e dal rapporto della Banca d’Italia L’economia della regioni italiane nel 2008 (2009); nell’altro, era il frutto della progressiva tendenza dei distretti ad esternalizzare alcune porzioni dei processi produttivi. In entrambi i casi risultava comunque incentivata la crescita del numero di aziende individuali e, in seno a queste, di imprese under 30. a spiegare i dati attuali contribuisce il fatto che proprio queste siano state le regioni che, nel corso degli anni successivi, hanno sperimentato un deterioramento maggiore del rapporto tra imprese under 30 e popolazione residente 18-30 anni. In sostanza, non vi è dubbio che la decrescita sia generalizzata, a testimonianza del rallentamento complessivo del Paese nel corso dell’ultimo decennio, ma essa è accentuata nelle regioni meridionali – che hanno fatto registrare dati peggiori delle altre regioni a partire dal 2003 – e in quelle a forte presenza distrettuale. Il trend negativo nel complesso evidenziato trova probabilmente spiegazione, anche se in misura diversa a seconda del territorio di riferimento, nella peculiare specializzazione in settori manifatturieri tradizionali che hanno risentito e risentono maggiormente della concorrenza internazionale - una configurazione dell’assetto manifatturiero italiano efficacemente delineata nel recente studio dell’Istituto per la promozione industriale su I distretti individuati dalle Regioni (2009).

2002

2007

2008

DifferenzaÊ percentuale

DifferenzaÊ percentualeÊ

La decrescita delle imprese under 30, specie quando si tratti delle sole imprese individuali, si inserisce dunque in un processo di lungo periodo che vede la progressiva diminuzione delle compagini di aziende caratterizzate da questa forma giuridica, come ben evidenziato dagli ultimi dati presentati da Unioncamere sulla natalità e mortalità delle imprese italiane nel terzo trimestre del 2009. Una tendenza che risulta quindi confermata, anzi accentuata, nell’ultimo anno, fortemente influenzato dal rovescio della congiuntura internazionale e dal prolungarsi della crisi. In sé il dato potrebbe non essere così negativo, se si potesse tradurre nella costituzione di un maggior numero di imprese di altra e più solida natura, che negli ultimi anni hanno mostrato di saper meglio affrontare periodi di turbolenza. allo stesso modo, suggerisce di pensare, accanto a provvedimenti che leniscano le ricadute sociali di questa contrazione, a politiche che favoriscano un ripensamento della specializzazione produttiva di molte aree del Paese. Chiara Casalino e Fabio Lavista Mondo LavoRo

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“gLi itaLiani La Sanno Lunga … o no?”

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ottor Caprarica, il suo ultimo saggio, appena uscito, s’intitola :”I Granduchi di Soldonia “. Ma perché in una fase estremamente dif ficile per l’economia mondiale ha voluto occuparsi di quelli che definisce “ i miliardari globali che se la ridono della crisi “ ? “Proprio per il fat to che ci troviamo nel bel mez zo di una crisi planetaria. Trovo singolare che di cer ti multimilionari ci preoccupiamo soltanto d’estate, quando le riviste patinate li ritraggono trionfanti sui ponti dei loro panfili. Per il resto dell’anno, non c’è interesse, non c’è dibat tito. Eppure, i loro compor tamenti, i loro eccessi, i loro sprechi come i loro investimenti hanno profondi riflessi sull’economia globale, e quindi su tut ti noi. Eccome, se li hanno.Ci sarebbe molto da riflet tere sulla misura in cui questi signori decidono i nostri destini”. Ma questi super ricchi non stanno pagando le conseguenze del collasso finanziario? “Stiamo parlando di 80 0 persone al mondo, che possiedono complessivamente 2.20 0 miliardi di dollari. Questo gruppet to di persone, una supercasta, una sor ta di padroni dell’universo, ci hanno pur troppo abituati alle loro follie, a capricci di ogni tipo, all’esibizione della loro ricchez za, che talvolta sfocia in un’ostentazione di pessimo gusto. La crisi ha appena sfiorato le loro for tune. non abbastanza da farli piangere, anzi. Sui guai degli altri, accrescono le loro 54

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e’ il titolo di uno dei numerosi libri di successo scritti da antonio caprarica, un volto che tutti noi conosciamo come corrispondente rai da diverse parti del mondo (medio oriente, mosca, Londra e parigi) nonché direttore di radio uno. da osservatore d’eccezione qual è, ci fornisce una brillante fotografia dell’italia ricchez ze”. Nel Suo for tunato libro “Gli italiani la sanno lunga … o no? ” Lei fa una diver tente quanto veritiera fotografia degli abitanti del Bel Paese. Ma come ci vedono all’estero? “all’estero, ma soprat tut to nel mondo anglosassone, sono stupiti. Gli italiani vengono visti come persone piut tosto pittoresche… Ma aldilà di queste osser vazioni generali, nelle popolazioni di matrice culturale protestante è for temente radicata una visione della cosa pubblica molto più rigorosa rispet to alla concezione che possono avere popoli tradizionalmente cat tolici come gli italiani e i francesi. Per quanto riguarda il nostro Paese, ad esempio,oltr’alpe si fa fatica a comprendere questa transizione infinita. L’Italia sembra sottoposta perennemente a sollecitazioni telluriche, sempre sull’orlo del collasso, che for tunatamente non av viene mai. Per un popolo come quello britannico, che ha nel proprio dna “the rule of the law”, il governo della legge, come si fa a comprendere la nostra cat tiva abitudine di arrabat tarci, di eludere la legge, di farla franca? ”. Eppure siamo un Paese con bellezze uniche, paesaggistiche ed ar tistiche.

“Sia chiaro: gli stranieri amano l’Italia, considerata la culla della civiltà e della bellez za, come scriveva già nel Set tecento il dot tor Johnson. Ci viene sempre riconosciuto il possesso del senso della bellez za”. Accompagnato da un giudizio poco edificante su altri versanti, come accennava prima. “all’estero si ha la net ta sensazione che le istituzioni economiche e politiche non siano assolutamente all’altez za. Considerano intollerabili la pesantez za della burocrazia, l’incer tez za delle regole e l’alta pressione fiscale”. Fisco, appunto : soltanto da noi c’è uno Stato così esoso? “anche in Francia la tassazione è molto elevata, però lì la Pubblica amministrazione raggiunge livelli di massima ef ficienza”. Parliamo della situazione economica : la crisi ha coinvolto tutte le economie avanzate, non soltanto la nostra. “Come si sa la crisi ha avuto una por tata generale. Questo carat tere globale ha compor tato una minor at tenzione nei confronti della precaria situazione italiana, nel senso che il nostro handicap si vede meno perché tut te le economie sono entrate in sof ferenza. Però le nostre dif ficoltà rimangono tut te: con un debito pubblico così pesan-

Antonio Caprarica, nato a Lecce nel 1951, si è laureato in Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi su Adam Smith con Lucio Colletti. Dopo aver lavorato presso il settimanale Mondo Nuovo e il quotidiano L’Unità, è stato condirettore di Paese Sera. Passato alla Rai nel 1988, è stato inviato e corrispondente fisso del Tg1 in Medio Oriente, Mosca (1993), Londra (1997) e Parigi (2006). Dell’esperienza britannica parla nel libro “Dio ci salvi dagli inglesi… o no!?”, vincitore del Premio Gaeta per la letteratura di viaggio e tra i best-seller del 2006. Dopo tre anni alla direzione di Radio Uno e dei giornali radio Rai, è tornato a Londra come Editorialista europeo della RAI. Vincitore di molti premi di giornalismo tra i più prestigiosi (Ischia, Fregene, Val di Sole),collabora con quotidiani e periodici

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SPECIALE te - che nulla a che vedere con i deficit di Francia, Germania e Regno Unito – sul palcoscenico dei Paesi industrializ zati rappresentiamo un caso anomalo e specifico. Il debito pubblico rischia di diventare un fardello capace di schiacciare la crescita”. In due parole è impossibile esplorare il problema, ma dal Suo privilegiato punto di osser vazione, perché tutto questo? “alla base vi sono ragioni storiche e culturali. non dimentichiamo che gli italiani sono stati sot tomessi per secoli a potenze straniere, che l’Italia è uno Stato giovane: ha appena 150 anni! altrove in Europa gli Stati-nazione sono sor ti già da 50 0 anni. Il risultato in quei Paesi è un for te senso di coesione e di appar tenenza nazionale “. Un’ultima domanda? La formazione in Italia come se la passa rispetto ad altri Paesi europei? “ E’ cer tamente il terreno su cui abbiamo meno da rallegrarci”. E’ la fuga dei cer velli a doverci preoccupare? “no, non è questo il problema. anzi: i nostri ragaz zi devono

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GLI ITALIANI LA SANNO LUNGA …O NO? Euro 6,50 ISBN 978886061525 I GRANDUCHI DI SOLDONIA Euro 18,50 ISBN 978882004795 SPERLING & KUPFER EDITORI www.sperling.it info@sperling.it

andare all’estero, prendere la valigia e varcare i confini nazionali: il confronto è sempre positivo. Il vero nostro problema è il saldo tra dare e avere. Mi spiego: 30 0.0 0 0 ricercatori italiani studiano e lavorano all’estero, mentre solo 50.0 0 0 stranieri vengono in Italia. Il fat to è che gran par te di questi ultimi si occupa di materie ar tistiche, nelle quali noi, si sa, primeggiamo. Quando poi andiamo a vedere quanti sono i giovani ricercatori nelle discipline scientifiche che arrivano nel nostro Paese, il dato è allarmante”. Perché mancano centri di ricerca competitivi? “Le eccellenze ci sono: basti pensare al Politecnico di Torino o al Sant’anna di Pisa. Però, a par te queste rarissime eccezioni, le Università italiane sono troppo indietro. Se prendiamo le classifiche internazionali delle università migliori al mondo, le nostre figurano nelle zone basse... Bisogna arrivare al 190esimo posto per trovare Bologna !In India e Cina si laureano ogni anno tre milioni di ragaz zi,e in gran par te parlano fluentemente l’inglese. Tra essi, 250.0 0 0 sono ingegneri, cioè il numero complessivo dei nostri laureati. del resto, non c’è da meravigliarsi se si vede quanto destina lo Stato alla ricerca”. Cioè? “ Meno dell’1 per cento del Pil: è ri-di-co-lo. Senza contare che da noi è irrilevante la presenza del set tore privato nella ricerca: non si arriva al 6 per cento, contro il 26 per cento del Regno Unito e quasi il 20 per cento degli Usa. La par tecipazione delle aziende agli investimenti in Ricerca &Sviluppo, si sa, è un volano per l’economia”. di Paolo Duranti


SPECIALE

ai tedeSchi coSa piace deLL’itaLia? iL Suo “caoS organizzato” e’ l’opinione di oliver Birkner, corrispondente dall’italia del quotidiano tedesco die Welt

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ottor Birkner, da quanto tempo lavora come inviato in Italia? “Solo da due anni, però la mia esperienza italiana fortunatamente va ben oltre”. E’ stato Lei a scegliere di scrivere del nostro Paese? E se sì, che cosa l’ha portata a fare questa scelta? “volevo assolutamente tornare qua. Quando avevo 23 anni, nel 1993, venni a Bologna per motivi … sentimentali: nel capoluogo emiliano viveva una ragazza che avevo conosciuto in Germania. La storia finii presto, ma mi ero subito innamorato della bellezza del vostro Paese. allora decisi di rimanere fino alla laurea, nel 1999. Per motivi di lavoro sono poi tornato in Germania, però era difficile abituarsi di nuovo al modo di vita tedesco dopo sei anni italiani. Il mio scopo rimase già da allora di cogliere al volo la prima occasione per tornare in Italia. Ce l’ho fatta. ora sto felicemente a Firenze”. In linea generale, che idea si ha in Germania sull’Italia? “C’è un sentimento ambiguo: ti amo e ti odio, una relazione un po’ bizzarra. dopo la vittoria dell’Italia contro la Germania nella semifinale dei Mondiali 2006 è nata una tendenza di odio verso l’Italia che faccio fatica a ripercorrere. Sportivamente l’Italia ha quasi sostituito il rivale storico, l’olanda. Economicamente e politicamen-

te viene considerato come Paese poco affidabile, un Paese dove i furbi vincono sempre. Contemporaneamente, però, l’Italia è sempre una delle mete di vacanza più amate dai tedeschi, tutti amano andare nei ristoranti italiani e, in fondo, in tanti vi invidiano il vostro stile di vita”. Secondo Lei quali sono i punti di debolezza della società italiana? “Un aspetto molto delicato è sicuramente il divario tra Centro-nord e Sud. Però ritengo che per comprendere appieno il problema occorra essere nati e vissuti sempre qui. Poi ci si chiede anche come mai questa animosità, che si manifesta in diversi ambiti, dal tifo sportivo alla politica. Sembra quasi che l’obiettivo non sia quello di cercare una soluzione ai problemi, ma di polemizzare contro e far cadere

l’avversario. Sono d’accordo con Luciano Ligabue, che in un’intervista mi disse: “Mi chiedo come mai un Paese di così tanta bellezza sia capace di tante assurdità””. In che cosa la società tedesca si differenzia rispetto a quella italiana? “Parlando di stereotipi, le cose neppure in Germania funzionano sempre, ma funzionano meglio. ad esempio sono anche in grado di ottenere un documento burocratico in pochi giorni, invece di sei mesi. L’Italia è abitata da gente indubbiamente più aperta e calorosa, però è altrettanto vero che la Germania si può vantare di una grande apertura verso il mondo, dove i giovani vanno presto a vivere da soli, si parlano bene le lingue straniere, si è più disposti di viaggiare all’estero”. di Eleonora Baldi

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Fare riForme per Fare impreSa La situazione già difficile delle pmi italiane, anch’esse colpite dalla crisi, è aggravata dall’immobilismo del nostro paese in tema di riforme che sarebbero assolutamente necessarie per sbloccare la situazione

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n Pa e s e c h e n o n f a r i fo r m e r a p p re s e n t a u n f re n o p e r ic o l o s o p e r l ’e c o n o m ia. S p e c ie i n p e r io d i i n c u i il t re n d m o n d ia l e n o n è c e r to d e i m ig lio r i. Pe r r i s p o n d e re a d u na s i t ua z io n e c o m e q u e lla ve r i f ic a t a s i n e ll ’u l t i m o a n n o, c ’ è b i s o g n o d i f l e s s i b ili t à, d i c o lla b o r a z io n e t r a i v a r i a t to r i d e l s i s te m a s o c ia l e e d e c o n o m ic o, d i u n c o n te s to l e g i s la t i vo, b u ro c r a t ic o e f i na n z ia r io c h e s a p p ia s o s te n e re g li i m p re n d i to r i, s o p r a t t u t to i p ic c o li c h e av ve r to n o i n m a nie r a p i ù s e n s i b il e l ’a r re s to d e ll e c o m m e s s e s ia na z io na li c h e i n te r na z io na li. Pu r t ro p p o, p e rò, l ’I t a lia n o n si è mostrata in grado di assum e re q u e s to a t te g g ia m e n to e i r i s u l t a t i s o n o a p p a r s i c hia r i q ua n d o la Ba n c a M o n d ia l e a t t r ave r s o l ’I n te r na t io na l F i na n c e C o r p o r a t io n – c io è l ’a rea d e d ic a t a a l s e t to re p r i v a to – ha p u b b lic a to l ’a n n ua l e c la s s i f ic a d o i n g B u s i n e s s . at t r ave r s o q u e s to s t r u m e n to ve n g o n o a na li z z a te a l c u n e i m p o r t a n t i v a r ia b ili r i s p e t to a t u t t i i Pa e s i d e l m o n d o, c h e re s t i t u i s c o n o u na foto g r a f ia Nella classifica dei Paesi in cui sono maggiormente presenti le condizioni per “fare impresa”, siamo dietro Kirgikistan, Bielorussia, Montenegro e Panama

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d e lla s a l u te d e ll e v a r ie e c o n o m ie, a n d a n d o a c rea re u n r a n k i n g m o n d ia l e. L e v a r ia b ili p re s e i n e s a m e i n e r i s c o n o a l p e s o e a l c o s to d e lla Pu b b lic a a m m i ni s t r a z io n e e d e ll e p r a t ic h e b u ro c r a t ic h e, a lla c o m p l e s s i t à d e lla n o r m a t i v a re la t i v a a ll e i m p re s e – s o p r a t t u t to c o n r ig ua rd o ag li a d e m p i m e n t i n e c e s s a r i p e r av v ia re o c hi u d e re u n’a tt i v i t à – a i r a p p o r t i d i lavo ro p u b b lic i e p r i v a t i, a ll e p o s s i b ili t à d i a c c e s s o a l c re d i to, a l li ve ll o d i i m p o s te e ag li s c a m b i c o m m e rc ia li c o n l ’e s te ro. Pre n d e re i n e s a m e t u t t i q u e s t i p a r a m e t r i s ig ni f ic a p a s s a re a l s e t a c c io l ’e c o n o m ia d i u na na z io n e, a n d a n d o a p o rre l u c e t a n to s u i la t i p o s i t i v i q ua n to s u ll e c r i t ic i t à. L a c la s s i f ic a c h e s i ot t ie n e c o n f ro n t a n d o q u e s te v a r ia b ili, p u ò q u i n d i c o n s id e r a r s i u na foto g r a f ia a s s o l u t a m e n te fe d e l e d e lla s i t ua z io n e. E d i s ic u ro l ’I t a lia n o n p u ò e s s e re fe lic e p e r la p o s i z io n e o c c u p a t a i n q u e s t a a u to revo l e c la s s i f ic a. Ri s p e t to a lla g ià p e s s i m a p o s i z io n e d e ll ’a n n o s c o r s o, c o n s i d e r a n d o i d a t i d e l 2 0 0 9 l ’I t a lia s c i vo la a n c o r a i n d ie t ro, p o -

L’Italia occupa la 135esima posizione al mondo per quanto riguarda il peso “reale” della pressione fiscale a carico delle aziende, pari a quasi il 69 per cento

n e n d o s i a l 78 ° p o s to : u l t i m a t r a i Pa e s i i n d u s t r ia li d e ll ’o c s e e d av a n t i s o l o a lla G re c ia. a f a r re t ro c e d e re l ’I t a lia s o n o s t a t i il K i rg i k i s t a n, la Bie l o r u s s ia, il M o n te n e g ro e Pa na m a. U na s i t ua z io n e g ià g r ave c h e d ov re b b e i m m e d ia t a m e n te p o r t a re i ve r t ic i a r i f l e t te re s u i p e rc h é e c h e è a n c o r a d i p i ù re s a p e s a n te d a lla s ot to li n ea t u r a – s e m p re a ll ’ i n te r n o d e lla g ià c i t a t a c la s s i f ic a – d e l f a tto c h e n e ll ’u l t i m o a n n o l ’I t a lia n o n ha p rov ve d u to a d a l c u na r i fo r m a r ig ua rd o a i te m i a na li z z a t i. I p u n t i d e b o li c h e m ag g io rm e n te ve n g o n o r i m p rove r a t i a l n o s t ro Pa e s e r ig ua rd a n o l ’ i n c a p a c i t à d i f a r r i s p e t t a re i c o n t r a t t i i n e s s e re e la b u ro c r a z ia t r i b u t a r ia, c h e ha a s s u n to d i m e n s io ni s p ave n to s e. S e s i c o n s id e r a n o i n f a t t i p a rt ic o la r i i n d ic a to r i c o m e q u e s t i u l t i m i d u e a p p e na c i t a t i, l ’I t a lia s i av v ic i na p e r ic o l o s a -

m e n te ag li u l t i m i p o s t i d e lla c la s s i f ic a, c h e c o m p re n d e i n tot a l e 18 3 Pa e s i. Ri p re n d e n d o l e d u e a re e c r i t ic h e d i c u i s o p r a, i n f a t t i, t ro v ia m o il n o s t ro B e l Pa e s e a l 15 6 e s i m o p o s to p e r c iò c h e c o n c e r n e il r i s p e t to d e i c o n t r a t t i, s o p r a t t u t to a c a u s a d e i te m p i i n f i ni t i d e lla g i u s t i z ia c i v il e, d e l n u m e ro d i c a u s e a p e r te e d e l c o s to d e i p ro c e d i m e n t i. E d i p o c o m ig lio re è la s i t ua z io n e s e s i g ua rd a a l p ag a m e n to d e ll e i m p o s te : 13 5 e s i m a p o s i z io n e s ia p e r il p e s o “rea l e” d e lla p re s s io n e f i s c a l e a c a r ic o d e ll e a z ie n d e - p a r i a q ua s i il 69 p e r c e n to - c h e p e r l e o re r ic hie s te p e r a s s o l ve re ag li a d e m p i m e n t i t r i b u t a r i, c h e s o n o ve r a m e n te e s o r b i t a n t i. a l t r i p u n t i c r i t ic i m o s t r a t i d a ll ’a na li s i d e lla I n te r na t io na l F i na n c e C o r p o r a t io n s o n o q u e lli r ig ua rd a n t i l e r ig id i t à d e l m e rc a to d e l lavo ro, la re g i s t r a z io n e d e g li i m m o b ili e l ’a c c e s s o a l c re d i to. da ll e p e r s o na li t à i n m a te r ia economica più impor tanti e t i to la te c o m e a d e s e m p io il d i re t to re d e l Fo n d o M o n e t a r io d o m i niq u e St r a u s s - K a h n a r r i v a l ’ i nv i to a lla c la s s e d i r i g e n te i t a lia na a g ua rd a re a l p ro b l e m a r i fo r m e c o m e p r io r i t à, s o p r a t t u t to p e r t u te la re g li i n te re s s i d e ll e p ic c o l e e m e d ie i m p re s e, p re s e t r a l ’ i n c u d i n e – r a p p re s e n t a t a d a lla c r i s i m o n d ia l e - e il m a r te ll o – la m a n c a n z a d i f l e s s i b ili t à d e l s i s te m a i t a lia n o. E s e m p i v i r t u o s i a i q ua li r i f a r s i c e n e s o n o : b a s t a r i vo lg e re l ’a t te n z io n e a i Pa e s i n o rd ic i c h e ha n n o f a t to d e lla l e g g e re z z a e t r a s p a re n z a d e l s i s te m a il l o ro c av a ll o d i b a t t ag lia. Mondo LavoRo

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“potenziare iL vaLore “SociaLe” deLL’imprenditoriaLità” per Flavio guidi la figura dell’imprenditore è stata messa negli ultimi anni in cattiva luce, complice un atteggiamento sbagliato da parte delle istituzioni, ma non solo. e per arrestare il declino occorre partire dalla formazione

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erché secondo Lei assistiamo a una riduzione del tasso di crescita dell’imprenditorialità giovanile? “L’argomento è estremamente complesso e meriterebbe un’analisi approfondita, ma in linea generale ritengo che la risposta vada ravvisata nella mancanza di una cultura sul valore dell’imprenditorialità. Sottolineo il concetto di “valore” della funzione imprenditoriale perché sta qui il nodo della questione”. Eppure, i dati ci mostrano che il declino del tasso di imprenditorialità giovanile è un fenomeno tipico soltanto degli ultimi anni… “Il Welfare che ha caratterizzato gli ultimi decenni ha contribuito a creare una generazione carente da un punto di vista motivazionale, se con tale espressione ci riferiamo ad un sano spirito di intraprendenza. Insomma, lasciatemelo dire: nelle persone che hanno vissuto un’adolescenza difficile, di sacrificio, competitiva, l’indole alla reazione è senz’altro maggiormente stimolata”. Quindi una mancanza di stimolo individuale, a prescindere dalle condizioni ambientali? “assolutamente no. La famiglia, la scuola, la società, vivono purtroppo un’obiettiva fase di decli60

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no. Si ha quasi la sensazione, mi pare abbastanza diffusa, che per vivere e raggiungere il benessere si debba aspettare l’intervento della lunga mano dello Stato e in generale dell’amministrazione, piuttosto che fare leva sulle proprie energie, sulla propria intelligenza, sulle proprie capacità organizzative. anzi, direi di più: l’insieme delle regole, il sistema legislativo pubblico, nonché le condizioni tecnologiche e di mercato inibiscono ogni pensiero di imprenditorialità”.

Lei punta l’indice contro un certo sistema assistenzialista manifestatosi negli ultimi decenni, che ha penalizzato l’intraprendenza. “Fare l’imprenditore oggi è più difficile che un tempo”. In che senso? “Il sacrificio in termini psicologici, di sforzo e di tempo impiegato è molto più elevato rispetto ad un rapporto di dipendenza, in particolare di natura pubblica. Un discreto stipendio percepito presso un’amministrazione pubblica in senso lato, per orari di lavoro, impegno richiesto, grado di responsabilità, vale di più di un’attività d’impresa o professionale: non si rischia minimamente il patrimonio (se non ovviamente per atti illeciti), si può godere di molto tempo libero, anche per seguire la famiglia. non c’è dubbio che il sistema premia questa figura professionale, questo sistema di vita. Intraprendere, viceversa, viene spesso vissuto come speculativo, aggressivo, presuntuoso, invadente. Il sistema malversa l’imprenditore come un furbacchione che specula sul lavoro, non paga le tasse e inquina l’ambiente. L’imprenditorialità non viene vissuta come un valore”. Non ritiene che vi possano essere rimedi a tale visione? “Il contesto non fa nulla e non è nemmeno maturo e tecnologicamente capace di stimolare processi di sviluppo imprenditoriale. Ma soprattutto andrebbe potenziato il valore dell’imprenditorialità, come comportamento che distingue ed eleva l’individuo al livello superiore nei confronti della massa in termini di coraggio di capacità organizzative nonché strategiche. andrebbe evidenziato il merito in termini sociali per il sacrificio e l’assunzione del rischio, il contenuto innovativo e/o

CHI E’ FLAVIO GUIDI Fondatore del Gruppo Sida, società tra le maggiori in Italia nei settori della consulenza e della formazione, con sede ad Ancona. Dottore commercialista, esperto di strategia ed organizzazione aziendale, progettista e formatore nell’ambito delle aree della Direzione aziendale, ha promosso l’ISD – Istituto Studi Direzionali - e significative integrazioni territoriali e prestigiose joint-venture internazionali. Ad oggi ha formato più di 2.500 tra quadri, manager e dirigenti. Autore di numerose pubblicazioni per prestigiosi editori ed articoli per Il Sole 24 Ore.

creativo che la professione comporta, per le ricadute positive sull’economia e sul suo sviluppo, per il contributo in termini di miglioramento della competitività del sistema”. Insomma, una rivoluzione culturale nel modo di “vedere” l’imprenditore. “Un nuovo atteggiamento mentale in questo senso non si può peraltro pretendere nell’immediato. necessiterebbero processi formativi capaci, una cultura del valore del “fare”, dell’”agire”, dell’intraprendenza, la predisposizione di un quadro normativo capace di agevolare e sostenere gli start-up, strutture di servizi di sostegno delle iniziative da affiancare nei processi di formazione e consolidamento dell’organismo imprenditoriale, sostegno da parte degli altri attori del sistema economico: credito, pubblico, fiscalità, mercato del lavoro”. di Paolo Duranti

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“gLi itaLiani preFeriScono inveStire in titoLi puBBLici piuttoSto che riSchiare” per gianfranco rossi, programmista e regista rai, nonché autore di numerosi programmi, le conseguenze di questa mancanza sono evidenti: l’italia non riesce a tenere il passo non solo degli usa, ma anche di molti altri Stati europei, come Finlandia, olanda, germania e Svezia

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ottor Rossi, in un bellissimo libro (si veda la scheda a fianco…) Lei parla dell’esperienza di dieci italiani che hanno cercato e trovato successo negli USA. Cosa accomuna questi personaggi? “non è difficile rispondere a questa domanda. Si tratta di vite tutte accomunate da uno stesso filo conduttore: persone nate in Italia, formatesi nelle scuole e nelle università italiane che poi hanno scelto, per mancanza di lavoro o per maggiori possibilità di realizzazione professionale, di abbandonare il Belpaese alla volta degli Stati Uniti. Lì, soprattutto in California, hanno trovato i capitali per realizzare le loro invenzioni e creare le proprie imprese, divenendo, talvolta, venture capitalist per incentivare le imprese di altri ricercatori”. Ci vuole parlare di alcune di queste testimonianze? “Premettendo che le dieci storie sono tutte estremamente interessanti per capire bene ciò che spinge una persona brillante a cercare di realizzarsi negli Usa, tra le varie testimonianze mi hanno colpito le biografie di Roberto Crea, biochimico di fama internazionale, scopritore dell’insulina umana artificiale; di Federico Faggin, uno degli italiani più famosi negli Stati Uniti per essere il coinventore del microprocessore; di Pierluigi Zappacosta, perfezionatore del mouse e fondatore della Logitech, azienda che produce strumenti per interfacciare

l’uomo al computer, come mouse, webcam e quant’altro si collega al terminale. Si può tranquillamente affermare che il loro successo è dettato dalle “condizioni ambientali” che hanno trovato nella Silicon valley: se hai una buona idea, lì trovi i soldi per realizzarla e non importa quanto sei giovane o quali titoli accademici hai. In poche parole, ci si può affidare alla propria capacità e alla propria passione”.

“Si possono fare molte cose importanti per il proprio Paese anche stando all’estero”

Il fenomeno della migrazione scientifica, se possiamo chiamarla così, è un handicap per il nostro Paese: seconMondo LavoRo

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SPECIALE

do Lei si può, in poche battute, individuare i motivi principali di questa tendenza? Nepotismo, fragilità delle nostre aziende sul versante degli investimenti e scarsa sensibilità da parte delle istituzioni? “Se l’ambiente americano e, in particolare, quello californiano possono definirsi ottimali per realizzare e far crescere una propria idea, ciò non può dirsi per il nostro Paese. In Italia, come tutti sanno, bisogna confrontarsi con l’eccessiva burocrazia e politicizzazione, con gli insufficienti investimenti nella ricerca e con la scarsa propensione al rischio. Sono rimasto particolarmente colpito da un’affermazione di alberto Sangiovanni vincentelli, professore di Scienze dei calcolatori a Berkeley, il quale, spiegando il perché non fosse più tornato dal 1975 a lavorare per il Politecnico di Milano, ha dato una visione molto più cosmopolita e meno ortodossa delle opportunità che possono riscontrarsi all’estero. Sentendosi ‘cittadino del mondo’, ha sostenuto che per avere successo l’uomo debba trovarsi in giusta armonia con l’ambiente. non necessariamente una persona sviluppa le proprie capacità stando in Italia: si possono fare molte cose importanti per il proprio Paese anche stando all’estero. Certo, sarebbe stato meglio che molte scoperte fossero state fatte nel Belpaese ma, non ritrovandosi nelle condizioni ottimali, l’italianità può esprimersi anche 64

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stando fuori”. Alcuni mesi fa sulla nostra Rivista ci siamo occupati della crisi economica: autorevoli esperti, seppur da angolature diverse, hanno sottolineato l’insostenibilità del peso burocratico non soltanto per le aziende, ma anche per i lavoratori. E’ così difficile avere successo nel lavoro nel nostro Paese? “La burocrazia è senz’altro un freno per entrambe le realtà, imprese e lavoratori. Proprio per le imprese sono vitali la mancanza di strettoie burocratiche e la velocità della concessione del credito. due elementi che negli Usa rappresentano un punto di forza di quel sistema. a tale proposito mi permetto di citare, a solo titolo esplicativo, la mia esperienza personale: sono titolare di alcune invenzioni industriali. Ebbene, per l’ultimo brevetto ho dovuto sostenere, come prassi, tutte le spese per la consulenza, la progettazione e la realizzazione dei prototipi, nonché quelle assai onerose per la richiesta del brevetto europeo. Ed ora, ottenuto il sì dall’Ufficio Europeo Brevetti per passare alla fase dei depositi nazionali, ho difficoltà a trovare investimenti per portare in produzione il mio ritrovato tecnico. La mia esperienza, insieme alle tante testimonianze che ho ascoltato, mi fa arrivare alla conclusione che in Italia manca la propensione al rischio, sia da parte delle strutture bancarie che degli investitori privati. Infatti, se da un lato


il Libro i Leoni della Silicon valley Storie geniali di italiani all’estero Kostoris Fiorella rossi giancarlo editore: guerini e associati

penso a quanto possa essere difficile ottenere un prestito da una banca per finanziare un’idea innovativa, dall’altro mi rendo conto di quanto sia assente la figura del venture capitalist. Infatti, gli italiani che dispongono di capitali preferiscono investire in Bot e Cct, accontentandosi quindi di una rendita sicura, anche se modesta, piuttosto che rischiare i propri soldi in progetti promettenti. Le conseguenze di questa mancanza sono evidenti: l’Italia non riesce a tenere il passo non solo degli Usa, ma anche di molti altri Stati europei. Siamo indietro, per fare qualche esempio, alla piccola olanda che ha inventato il cambio automatico, l’audiocassetta, il Cd; alla Svezia, che ha avuto il merito di aver ideato il tetrapak e le attuali cinture automobilistiche di sicurezza; alla Germania, che con il motore diesel e il servosterzo pose le basi per un futuro radioso nel campo automobilistico; alla Finlandia, che è la patria dei telefonini e sappiamo bene che rivoluzione, in ambito mondiale, ha portato questo aggeggio nel modo di comunicare. In Italia sappiamo bene quanto poco si investa in innovazione e le poche idee valide difficilmente riescono a sopravvivere e a trovare impiego in prodotti destinati al mercato mondiale. In questo scenario, in cui mancano sia le potenzialità economiche che l’organizzazione, le capacità dei singoli subiscono un brusco ridimensionamento, tant’è che Faggin e Zappacosta sono riusciti ad imporre i loro prodotti divenendo imprenditori di sé stessi, il primo con il sostegno della Intel, il secondo fondando la Logitech. Un’opinione, la mia, che trova conferma anche nella recensione che Fabio Ranchetti, giornalista del Corriere della Sera, fa dei dieci protagonisti del libro: ‘dalla loro esperienza, si ricava nettissima l’impressione che mai in Italia avrebbero potuto ottenere le scoperte e raggiungere i successi che li hanno resi famosi (e miliardari): oltre alla loro evidente formazione culturale, anche italiana, alla loro forza di volontà e, ovviamente, al loro talento, decisive sono state le condizioni «ambientali» che hanno trovato nella Silicon valley’”. di Paolo Duranti

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“L’incertezza generaLe conduce a una minore propenSione aL riSchio” per roberto ruozi, già rettore della Bocconi – presso la quale è ora professore emerito - ed ora presidente del touring club italiano, il calo del tasso di imprenditoria giovanile non deve allarmarci, essendo dovuto in massima parte a fattori strutturali

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rofessor Ruozi, in Italia ci sono sempre meno giovani imprenditori. Perché? “Il problema è complesso, ma ritengo che per inquadrarlo e per dar vi una prima risposta si debbano fare tre ordini di considerazioni. Innanzitut to, c’è un fat tore strut turale: stiamo at traversando un periodo carat terizzato dal calo della popolazione

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giovanile, che colpisce anche la fascia delle persone per le quali è giunto il momento di fare determinate scelte professionali. In secondo luogo, la società nel suo insieme è cambiata”. In che senso? “Molti giovani non se la sentono più di af frontare una vita di sacrifici qual è quella dell’imprenditore. E’ un fenomeno piut tosto dif fuso in alcune aree del Paese,

come ad esempio il veneto, che sta vivendo una crisi generazionale non trascurabile”. E il terzo motivo? “Siamo di fronte a un fat to congiunturale palese: ci but tiamo alle spalle due anni di crisi profonda. In questo periodo, senza dubbio, il rischio ha dimostrato il suo lato negativo, nel senso che abbiamo assistito ad una evidente drammatica caduta


della propensione al rischio”. Cosa ci possiamo aspettare per il futuro? “Io sono un ot timista per natura: ciò mi por ta a ritenere che il calo del tasso di imprenditoria giovanile sia un fat to temporaneo, anche considerando che il nostro Paese ha da sempre una for te vocazione imprenditoriale”. La leva fiscale, la semplificazione amministrativa, le facilitazioni al credito possono aiutare ad invertire la rotta? “No. Il problema è a monte, e va intravisto a mio av viso nelle considerazioni che ho svolto poc’anzi. Poi naturalmente, per i giovani che hanno superato la prima fase, cioè che hanno operato una scelta imprenditoriale, è ov vio che questi tre fat tori – fisco, burocrazia, credito – hanno un peso notevole. Però siamo già su di un piano diverso del problema. Si sa che l’aspet to burocratico in Italia non ha mai aiutato le persone, ma cerchiamo di essere ot timisti: il mondo imprenditoriale tornerà ad essere abitato da numerosi giovani”. Nell’ambito di un rapporto molto spesso negativo tra cittadino e Pubblica Amministrazione, al nostro Paese si imputa, anche all’estero, un’eterna incertezza normativa. Può essere una concausa della scarsa propensione al rischio? “Più che di incer tezza normativa parlerei di un’incer tezza in generale: nei consumi, nel mercato, nel lavoro. Ne consegue certamente una cer ta dif ficoltà ad assumere decisioni impor tanti, almeno in questo periodo”. Lei, da ottimista qual é, ma sta motivando in modo razionale una visione rosea del futuro. Però gli imprenditori non so se sono d’accordo…

Roberto Ruozi, nato nel 1939, dal 1995 al 2000 è stato Rettore dell’Università Bocconi e fino al 2002 Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari. Ora presso il medesimo Ateneo è Professore emerito. Ha insegnato nelle Università di Ancona, Siena, Parma, Parigi (Sorbona) e al Politecnico di Milano. Presidente di numerosi Consigli di Amministrazione (tra i quali Palladio Finanziaria, Axa Assicurazioni, Touring Club Italiano, Touring Vacanze, Touring Viaggi, Mediolanum), Presidente del Collegio sindacale di Borsa Italiana Spa, Monte Titoli Spa, Mts Mercato Titoli di Stato Spa. Autore di numerose pubblicazioni di carattere scientifico-tecnico.

li”. Parliamo di un tasto dolente: la formazione. In Italia ci sono anelli deboli nel ciclo formativo della persona o il malessere della nostra istruzione è generalizzato, va dalle elementari ai corsi post-universitari? “Il problema è complicato e a mio av viso riguarda l’intero ciclo della formazione individuale. Piut tosto, ritengo fare un’osservazione di questo tipo: una volta la scuola secondaria italiana era carat terizzata da un for te orientamento verso la formazione tecnica (ragionieri, geometri, periti, ecc.). Successivamente si è entrati in una seconda fase, che ha visto il predominio dei licei. Oggi ci si è accor ti che vi è stato uno scollamento tra i due mondi, quello della scuola e quello del lavoro, con un conseguente ritorno della consapevolezza che è necessario un loro riav vicinamento. Perciò ritengo che il ritorno dei tecnici sia un fat to positivo. La stessa cosa dev’essere det ta per le Università”. di Paolo Duranti

“Vede, due anni fa le aziende predisponevano i budget, purtroppo di lì a poco scalzati dalla crisi economica. Nel 20 08 l’incer tezza dif fusa ha indot to i più a non fare gli stessi errori, per cui si é per lo più scelto di non adot tare budget periodici. Ora si sente che tira un’altra aria: si ritorna a programmare il futuro, talvolta anche con piani triennaMONdO LaVOrO

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“OccOrre fare rete per un migliOr accessO al creditO” e’ uno dei suggerimenti di giancarlo Zanella, conduttore del programma economico di rai tre “i nostri soldi”, secondo il quale anche i piccoli imprenditori hanno peccato eccessivamente di campanilismo e di individualismo

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ottor Zanella, qual è il futuro delle Pmi italiane? “Innanzitutto mi sia consentito rivolgere un saluto particolare ai vostri Lettori marchigiani, che – dati sugli share alla mano - sono assidui telespettatori del nostro programma, sempre nelle zone alte delle classifiche per regioni. Passando alla sua domanda, ritengo sia prioritario procedere ad una rivoluzione che io chiamo “ristrutturazione del terziario””. Ci può spiegare? “attualmente il terziario è qualunquista, generico, direi senza futuro. Come mi diceva giustamente il professor Vaciago alcuni giorni fa, le crisi cicliche sono benefiche per l’economia, perché impongono alle aziende di specializzarsi: chi non si adegua, muore”. Quindi secondo Lei in futuro avremo Pmi sempre più specializzate? “Il futuro premierà le piccole aziende che sapranno specializzarsi ma al contempo “fare rete”. Una spinta alle aggregazioni tra imprese di piccole dimensioni sarà resa necessaria o quanto meno opportuna anche per accedere più facilmente al credito. Chi non si specializzerà e non contribuirà a creare reti di impresa, sarà penalizzato anche sul versante dei finanziamenti”. E chi non ce la fa, riduce il personale… “Il nostro piccolo imprenditore è uno che stringe la cinghia piuttosto che licenziare. E questo sia per il legame

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personale che spesso si instaura tra il datore di lavoro e il lavoratore, sia perché quest’ultimo è nella maggior parte dei casi un artigiano ad alto valore aggiunto. Se lo licenzio oggi, un domani che la ripresa mi permetterà di incrementare le commesse avrò grandi difficoltà a reperirne un altro con caratteristiche simili. Quindi il piccolo imprenditore tende semmai a riorganizzarsi, a razionalizzare la squadra, ma non a privarsi degli elementi migliori”. Dobbiamo ammettere che lo Stato da una quindicina d’anni a questa parte è molto sensibile alle esigenze delle Pmi (vedi aiuti a Ricerca & Sviluppo, premi di concentrazione, facilitazioni ai distretti industriali, moratorie sui crediti bancari). “La politica purtroppo dà risposte insufficienti. Un’efficace forma di tutela i piccoli imprenditori se la creano. Vi sono a questo proposito alcuni begli esempi, come ad esempio l’iniziativa messa in campo da numerose piccole aziende che si può consultare al sito www.impresecheresistono.it. Ma ve ne sono anche altre”. Ad esempio, sul fronte del credito, l’impegno diretto da parte dei Confidi: nel Varesotto, ad esempio, hanno assunto un ruolo di pseudobanche per le Pmi del territorio.. “Esattamente. Questa è l’ennesima dimostrazione che vi è bisogno di una rete anche per resistere meglio sul quel fronte, cioè quello creditizio, che è un aspetto, si sa, delicatissimo”. I distretti possono avere un impor-

“Chi non si specializzerà e non contribuirà a creare reti di impresa, sarà penalizzato anche sul versante dei finanziamenti”

tante ruolo in questo senso? A me pare che la situazione dei distretti industriali, da nord a sud del Paese, sia un po’ a macchia di leopardo: alcuni creano reali servizi per le aziende che vi appartengono, altri sono rimasti indietro… “Il problema è che anche i distretti devono essere alimentati: non è sufficiente il solo spontaneismo, perché altrimenti il loro successo dipende esclusivamente dalle persone che vi operano. Troppo poco per la situazione attuale. Inoltre l’Italia soffre di un problema in più, che si riflette anche in campo economico: c’è troppo campanilismo, e anche i piccoli imprenditori – se mi è permesso fare un’osservazione un pizzico acida – talvolta peccano di individualismo”. di Paolo Duranti


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ricOstruiamO la meritOcraZia e’ l’invito-monito di roger abravanel: il sistema italiano ha bisogno di una scossa per ripartire ed invertire la tendenza

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l problema della mancanza di meritocrazia in un’Italia da sempre sogget ta ad un clientelismo dif fuso in tut ti i set tori e a tut ti i livelli, rischia di essere una zavorra non più sostenibile per il nostro sistema, che non è stato in grado di suppor tare in maniera adeguata il passaggio da un’economia agricola ad una industriale, impedendo a giovani meritevoli di potersi conquistare il proprio posto favorendo così anche il rilancio del sistema economico generale, che proprio nel rinnovamento dovrebbe avere la propria linfa. Il peso di questo problema ha por tato roger abravanel ad interrogarsi non solo sui danni causati dalla mancanza di meritocrazia ma anche su proposte che possano concretamente contribuire a migliorare lo status quo. Ingegner Abravanel, ci illustra la Sua idea sul problema della meritocrazia in Italia? “In realtà il concet to di meritocrazia è piut tosto semplice: i migliori salgono a prescindere dalla classe sociale di appartenenza, dal luogo del mondo in cui sono nati, dal loro background. E’ solo la capacità, la competenza, a contare. In Italia pur troppo questa semplice equazione non viene mai applicata come accade invece nei Paesi nordici o in america. Il caso Obama da noi non si sarebbe mai verificato. E questa impossibilità è legata all’incapacità

dello Stato di accompagnare il passaggio che si è avuto da un’economia di tipo agricolo ad una industriale. L’unità fondamentale dell’economia agricola era la famiglia; lo Stato avrebbe dovuto sostituirsi ad essa ma non garantendo semplicemente il passaggio della proprietà da padre in figlio come accadeva prima, al contrario creando un contesto di regole e di opportunità create soprat tut to at traverso la scuola, che potessero at tivare la meritocrazia. Ciò che è successo, invece, è che è andato aumentando sempre di più il problema della disuguaglianza economica per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri, oltre a veder peggiorare la propria situazione, hanno sempre meno possibilità di sov ver tirla. L’Italia è il Paese più ineuguale del mondo, quello dove la mobilità sociale è pari a zero e dove i figli si trovano bloccati nelle professioni dei genitori. Questo problema è molto più grave di quanto non si creda, sta conducendo il Paese a un declino costante, ad un impoverimento graduale con un tasso di par tecipazione dei giovani al mondo del lavoro e del sociale sempre minore. C’è bisogno di una net ta inversione di tendenza”. Da queste considerazioni, l’idea del libro “Meritocrazia : Quattro proposte concrete per valorizzare il talento

e rendere il nostro Paese più ricco e più giusto” e del blog collegato. “Esat tamente. Girando il mondo mi sono accor to che noi italiani non abbiamo assolutamente nulla da invidiare a nessun altro Paese del mondo. Però se andiamo ad analizzare qualsiasi classifica in merito di sviluppo sociale, economico o scientifico, siamo sempre agli ultimi posti. Mi è venuto spontaneo domandarmi il perché di questa situazione. E la risposta l’ho trovata proprio nella mancanza di meritocrazia. Se poniamo a confronto due aziende che abbiano la stessa base di par tenza e met tiamo a capo dell’una un professionista competente che agisce nel rispet to delle regole e a guida dell’altra una persona poco capace che trova sempre il modo di eludere le normati-

“non è un caso se in paesi come la norvegia la presenza di donne nei consigli di amministrazione sia pari al 40 per cento e comunque la media in europa sia all’incirca del 20 per cento, a dispetto del 4 per cento italiano”

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ve, possiamo con suf ficiente sicurezza af fermare che dopo qualche anno la prima – quella vir tuosa – sarà in grado di comprare l’altra. Questo perché alla fine il merito paga. Ma bisogna crederci, investire sulla creazione di un sistema, appunto, virtuoso e meritocratico. L’uscita del mio libro ha destato molto interesse a tut ti i livelli, tanto che sono stato sommerso da inviti in trasmissioni televisive, conferenze, richieste di inter viste. Non potendo essere presente e rispondere a tut ti, ho deciso l’aper tura di un blog grazie al quale poter essere comunque in contat to costante con chiunque voglia lasciare le proprie riflessioni, la propria storia, le proprie proposte. animare il dibat tito su un tema tanto impor tante è fondamentale”. Lei però non si limita a far notare le storture del nostro sistema, ma propone anche alcune aree di inter vento. “Ov viamente non ci si può limitare solamente a criticare. Ho cercato di analizzare il sistema italiano e vedere in quali settori fosse più necessario un inter vento diret to ed immediato. Quat tro sono quelli che ho trattato nel libro: la pubblica amministrazione, il set tore educativo, la concorrenza in economia e la presenza femminile in ruoli di leadership. Credo per prima cosa che vi sia bisogno di una radicale trasformazione dello Stato, at traverso la creazione di unità di eccellenza, come accade ad esempio in Inghilterra, che garantiscano miglioramenti concreti in capo ai cit tadini. Immediatamente si dovrebbe agire sulla giustizia, per garantire il rispet to della normativa soprattut to nel set tore commerciale –

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Chi è Roger Abravanel Nato a Tripoli nel 1946, si è laureato nel 1968 in Ingegneria chimica a pieni voti al Politecnico di Milano, vincendo il premio di “più giovane ingegnere d’Italia”. Presso la stessa Università, fino al 1970, ha svolto l’attività di ricercatore presso l’Istituto di Fisica Tecnica. In seguito ha conseguito un Master in Business Administration presso la business school Insead, dove ha ricevuto la “High Distinction”. Ha lavorato per 35 anni per la società di consulenza McKinsey & Company, raggiungendo le cariche di Principal nel 1979 e Director nel 1984, terminando la sua esperienza nel 2006. Attualmente opera nel settore del private equity, svolgendo l’attività di advisor per i fondi di buyout Clessidra e per il fondo di venture capital Wanaka in Israele. E’ inoltre membro dei Consigli di amministrazione di Luxottica Group, Banca Nazionale del Lavoro, Teva Pharmaceutical Industries Ltd e dell’Istituto Italiano di Tecnologia. È presidente dell’Insead Council italiano. Dal 2008 è editorialista per il Corriere della Sera. Autore del libro “Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto”, edito da Garzanti nel 2008.

che è il vero fondamento della nostra società - e poi anche in quello penale. C’è bisogno di un inter vento focalizzato, grazie al quale porre persone competenti e giovani nei posti chiave”. E relativamente alla formazione? “altro set tore fondamentale che dev’essere riformato è poi quello del sistema scolastico. Ho proposto l’adozione di test da somministrare in tut ti gli istituti scolastici per capire lo standard sul quale essi si at testano ed andare ad inter venire in maniera puntuale dove occorre. Nel nostro Paese non esistono pari oppor tunità: se prendiamo due ragazzi, uno residente al Nord e uno al Sud, sappiamo già con ragionevole sicurezza che il primo sarà più av vantaggiato del secondo perché può contare su un sistema scolastico migliore, o meglio maggiormente razionalizzato. E’ stato av viato su questo tema un proget to impor tante: il Proget to “Qualità e Merito”, un proget to pilota che lavora sui programmi di matematica di 50 0 scuole italiane - 30 0 del Sud - per dimostrare come at traverso l’adozione di miglioramenti e test di valutazione specifici è possibile creare situazioni di meritocrazia”. La terza area di inter vento è quella più strettamente collegata all’economia. “Esistono, è vero, un’infinità di norme che regolano il libero mercato; peccato che poi esse non vengano rispet tate. C’è una folle corsa ad emanare sempre più leggi, sempre più severe. Si perde però di vista il fat to che a prescindere dalla severità, il problema reale è che non vi è la cultura del rispet to delle norme. E la salute di un sistema


economico si vede proprio da questo, da quanto si è capaci di muoversi all’interno dell’assetto normativo. In Italia il rispetto delle regole in economia è diventato quasi un disvalore. Si pensa a come evadere le tasse, non a come migliorare i profit ti della propria azienda. Ecco perché in un contesto come questo, l’impresa ha bisogno di ot timi tributaristi piut tosto che di eccellenti professionisti. Non c’è allora da stupirsi se la metà dei nostri giovani laureati non trova lavoro. Chi assume sono le grandi imprese, e in un sistema come il nostro non si cresce, non c’è cultura, le piccole imprese resteranno tali e non si of friranno nuove oppor tunità”. Infine, l’aspetto collegato al management femminile. “Quando ho proposto che nelle società quotate fosse obbligatorio avere almeno due donne nel consiglio di amministrazione, sono stato at taccato dalle femministe che mi tacciavano di voler replicare quanto già fat to con le quote rosa. Niente di più

“nel nostro paese non esistono pari opportunità: se prendiamo due ragazzi, uno residente al nord e uno al sud, sappiamo già con ragionevole sicurezza che il primo sarà più avvantaggiato del secondo perché può contare su un sistema scolastico migliore”

“l’italia è il paese più ineuguale del mondo, quello dove la mobilità sociale è pari a zero e dove i figli si trovano bloccati nelle professioni dei genitori”

cento e comunque la media in Europa sia all’incirca del 20 per cento, a dispet to del 4 per cento italiano”. Chiudiamo con un accenno alle Comunità del merito: cosa sono e quali sono? “In Italia c’è un for te bisogno di cambiamento, e non tut ti sono restii. Ecco, chi crede nelle necessità di guardare alla meritocrazia come leva at traverso la

lontano dalla mia idea. Io sono convinto che vi sia bisogno di donne alla guida delle grandi aziende, perché nella loro personalità sono presenti lati che favoriscono la leadership, che aiutano a lavorare meglio. E lo so per esperienza personale, per avere accanto a me nei consigli di amministrazione di alcune grandi realtà delle colleghe che dimostrano questa necessità. Non è un caso se in Paesi come la Nor vegia la presenza di donne nei Cda sia pari al 40 per

quale rilanciare il nostro Paese e creare finalmente oppor tunità per i giovani, costituisce queste Comunità del merito. alcune che posso citare sono quelle dei giovani imprenditori di prima generazione, le comunità delle donne leader, quella degli scienziati italiani all’estero, quella degli insegnanti, ma anche quelle costituite da imprenditori illuminati, che appoggiano questa mia proposta di di Eleonora cambiamento”. Baldi MONdO LaVOrO

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“fOrse mancanO alcuni stimOli, tra cui il BisOgnO” franco Vergnano è un economista, docente di cultura d’impresa al san raffaele di milano ed editorialista del sole 24 Ore e del mensile di management l’impresa

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l suo è quindi un osser vatorio privilegiato per commentare i movimenti che si svolgono, spesso sot to traccia, negli “animal spirit” del made in Italy che ha “un livello di imprenditorialità generale invidiato da tut to il mondo e sot tolineato dalle principali classifiche internazionali”, come spiega in questa inter vista a Mondo Lavoro. Professor Vergnano, il tasso di imprenditorialità giovanile (under 30 ) è pari al 6 per cento, con un calo del 27 per cento rispetto al 2003. Secondo Lei perché? “Premet to che non conosco in det taglio il rappor to e la sua metodologia di ricerca. Il dato merita però senza dubbio qualche riflessione di carat tere più generale. Sul piano della normativa negli anni vi è stato, almeno sul piano teorico, un fiorire di iniziative. Inoltre le crescenti dif ficoltà occupazionali, il ricorso sempre più frequente a forme contrat tuali flessibili dovrebbe far scaturire nei nostri giovani la voglia (spesso legata al bisogno di un’occupazione e di un reddito conseguente) di intraprendere, come hanno fatto i nostri padri”. Ma non siamo la patria delle Pmi, dei distretti e delle reti d’impresa? “E’ uno dei mille dualismi italiani. Oggi tra i giovani ci sono spesso dei problemi ad intra72

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prendere, forse mancano anche alcuni stimoli, tra cui quello del bisogno. ricordo un “one to one” televisivo fra Prodi e una platea di giovani della fascia che può far ricorso alle agevolazioni per la imprenditoria giovanile dove uno solo dichiarò di voler get tare il cuore oltre l’ostacolo nel mondo della imprenditoria. Il che la dice lunga sulla dif ferenza tra padri e figli...”. Troppe carte e bolli per creare un’impresa? “La overdose di burocrazia che nel nostro Paese grava sulle aziende sicuramente non aiuta”. Che cosa fare? “abbiamo anche un ministro per la semplificazione. Bisognerebbe snellire tut ta una serie di procedure sulla scia di quanto av viene, ad esempio, con il regime dei contribuenti minimi. Il calo della “voglia d’impresa” segnalato dalla ricerca può in par te at tribuirsi anche al momento economico. da una par te quindi si deve lavorare sull’individuazione di set tori per i quali vi sia un mercato che lasci intrav vedere spazi di inserimento e crescita. dall’altra bisogna assicurare la possibilità di ricorrere al mercato del credito con percorsi più veloci, agevolati, meno sot toposti a lacci e lacciuoli, come disse appunto Guido Carli in un famoso discorso ai Giova-

ni imprenditori riuniti a Santa Margherita Ligure. Si trat ta di due ingredienti chiave per far nascere e prosperare iniziative imprenditoriali che si reperiscono con fatica in questo quadro che presenta, nonostante le dichiarazioni o qualche segnale recente, ancora incer tezze sul piano della crescita economica generale e dei consumi”. Altre cose da segnalare? “Un paio. La prima è che, comunque e nonostante tut to, sia il tasso di natalità delle nuove imprese sia il saldo complessivo continua a rimanere positivo, come segnalano i periodici ed autorevoli rappor ti di Unioncamere. Il secondo è che crescono molto le microimprese degli extracomunitari. anche qui un segnale del mondo che cambia. Un messaggio di stimolo per le nuove generazioni che devono


sapersi riconquistare il benessere ereditato dai padri, magari a volte essere un po’ più proat tivi, o forse meno “pigri”. Ser vono maggiori stimoli”. Uno dei tanti problemi connessi é quello della formazione: in Italia è rimasta al palo rispetto alle esigenze del mondo del lavoro? Prendiamo ad esempio scuola secondaria, università e post universitaria. Come vanno le cose su questo versante? “Il raccordo tra formazione scolastica e mondo del lavoro è sempre stato un aspet to critico nel nostro Paese. anche perché esiste il retro pensiero che la formazione professionale in ambito scolastico sia ancillare rispet to a una tradizione umanistico-let teraria molto radicata.

La stessa che, por tata alle estreme conseguenze, ha prodot to nel tempo deficit di ingegneri e scarsa af fezione alle facoltà scientifiche. Inoltre anche infelici scelte lessicali hanno contribuito alla scarsa at tenzione verso gli aspet ti più pratici della formazione professionale: l’idea che tut ti i corsi di studio della secondaria superiore venissero definiti “liceo” la dice lunga quando una definizione chiara ed incontrover tibile come istituto tecnico poneva le premesse per un collegamento tra scuola, impresa e territorio”. Più in generale, il tasso di imprenditorialità complessiva é due punti percentuali inferiore rispetto alle altre economie avanzate. Inoltre la Banca

mondiale ci posiziona al 78° posto quanto a possibilità di “fare impresa”. Anche qui, che tipo di considerazioni si possono fare? “Premet to sempre che bisognerebbe andare a vedere in det taglio la metodologia d’indagine e capire bene che cosa si va esat tamente a misurare. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, devo dire che questo distacco non mi meraviglia. anzi, visti gli scarti che ci sono in genere tra noi e gli altri Paesi Ocse in altre graduatorie (efficienza e altro come dice molto bene la World Bank) mi sembra tutto sommato un risultato neanche malvagio. Perché in Italia la produt tività si ferma ai cancelli della fabbrica”. di Odette Paesano

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made in italy e crisi: quali i settOri più cOlpiti? Ora si parla (anche se non tutti sono d’accordo) di ripresa: quali sono i settori della nostra industria che hanno retto meglio e dove invece sono emerse le difficoltà maggiori?

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e imprese italiane hanno affrontato la crisi cercando di fare appello a tutte quelle caratteristiche che fanno parte del dna del nostro tessuto produttivo. E grazie alle capacità imprenditoriali, alla qualità del lavoro e dei prodotti, alla professionalità, all’inventiva, sembra ormai che chi è riuscito a traghettarsi oltre il periodo peggiore, possa guardare al futuro con rinnovato ottimismo. Sul versante economico e finanziario, sulla base delle proiezioni dei più autorevoli organismi internazionali, sembra ormai poter tornare il sereno – anche se ovviamente ci vorrà ancora del tempo prima di poter ripartire ai massimi regimi e tornare alla situazione pre-crisi – mentre cautela è ancora necessaria sul versante dell’occupazione. Può essere allora interessante vedere, in questo momento di ritrovata calma se così possiamo dire, qual è la situazione dei vari comparti, quali sono stati quelli che hanno sofferto di più e perché. Caratteristica delle imprese italiane è quella di essere fortemente dipendenti dalle esportazioni, motivo per cui forse più degli altri Paesi questa crisi è stata avvertita nel nostro Paese: il calo della domanda che ha pesato sulle industrie non è stato infatti solo quello relativo al mercato italiano ma anche a quelli degli altri Paesi che si rivolgono alle nostre imprese pro-

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duttrici. Il Made in Italy è molto ricercato all’estero; questo è senza dubbio motivo di orgoglio e di maggiore profitto, ma quando si ha a che fare con una crisi mondiale come l’attuale, rappresenta anche un punto di forte criticità. Ovviamente poi non tutti i comparti hanno reagito allo stesso modo. a sottrarsi alla situazione negativa è stato soprattutto il settore alimentare, che poco risente di crisi congiunturali come questa. Nei primi sette mesi del 2009 la produzione in tale comparto è sì diminuita, ma soltanto del 3,4 per cento rispetto al 21,4 per cento che ha fatto registrare in media

l’industria manifatturiera. In particolare, poi, la biscotteria ha segnato un incoraggiante +1,4 per cento. Più vicino ai valori medi, è stato invece il calo dell’export: 5,5 per cento contro il 5,9 per cento medio. Sul versante dell’occupazione, il comparto che si è comportato meglio è stato quello della meccanica strumentale. Infatti, grazie agli ordini accumulati prima dello scoppio della crisi, nonostante il fermo quasi totale di nuove commesse, si è riusciti a godere di buoni livelli di lavoro. Il problema degli ordini è stato avvertito fortemente anche nel settore dell’elettronica, dove nei


primi sei mesi dell’anno è stato registrato un calo di ben il 32,4 per cento. Una percentuale, questa, imputabile in gran parte alla mancanza di commesse dal mercato estero oltre che allo stallo di quello interno. anche il settore della robotica, che negli ultimi anni era stato una miniera d’oro per progettisti e costruttori italiani, ha subìto una dura battuta d’arresto: il -34,9 per cento di domanda interna rende bene l’idea. Forte anche il calo dell’export, con valori sempre attorno al 30 per cento. ad essere forse però più in difficoltà di tutti gli altri, sono stati quei settori manifatturieri che da sempre rappresentano il portabandiera del Made in Italy nel mondo: calzaturiero, tessile, abbigliamento, arredamento. In molti dei distretti manifatturieri infatti, vi sono state ingenti perdite per le piccole e medie aziende, alcune delle quali sono anche state costrette a chiudere. ad aggravare la situazione, oltre all’impossibilità di contare su una domanda all’altezza degli anni passati, la conseguente difficoltà a sanare i debiti contratti con gli istituti di credito. Per quanto riguarda, in modo

nei primi sei mesi del 2009 l’export di arredamento ha registrato un calo di oltre un miliardo e 500 milioni di euro

particolare, il settore della moda, il punto che ha permesso comunque alla maggior parte delle aziende di rimanere in piedi è stato il poter contare sulla forza di un marchio, di un brand riconoscibile - o nel caso delle contoterziste, essere collegato a queste grandi aziende – che comunque ha saputo parare almeno in parte i colpi

della crisi. Tuttavia la situazione non è stata di certo rosea: un calo di produzione che si attesta attorno al 19 per cento e una flessione dell’export superiore al 20 per cento. E tutto ciò ha prodotto una perdita di ben 37mila posti di lavoro. anche in questo settore, si è avvertito pesantemente il problema del credito, con ben 2,8 miliardi di euro non rientrati nelle casse degli istituti di Credito. Come si accennava sopra, grande importanza per l’economia italiana ha anche il settore legno-arredamento, con oltre 77mila imprese operanti, per un numero approssimativo di circa 400mila addetti impiegati. I primi sei mesi del 2009 sono stati senza dubbio difficili per questo comparto, con una perdita nell’export di oltre un miliardo e 500 milioni di euro – pari al 25 per cento. E le previsioni non parlano di una rapida ripresa, che si ipotizza solo per il 2010 inoltrato. MONdO LaVOrO

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crisi e OccupaZiOne secOndO le marche “stiamo attraversando un periodo congiunturale decisamente precario, ma la regione marche riesce a resistere e a reagire meglio di altri sistemi regionali”

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f fermazione giusta ed aggressiva mossa dal Presidente della Giunta della regione Marche Gian Mario Spacca, secondo il quale, inoltre, “avevamo previsto per il 20 09 un anno “horribilis”, e così è stato, in tut to il mondo. La crisi finanziaria internazionale si è trasferita con ripercussioni pesantissime sull’economia reale e sull’occupazione e anche questa regione non poteva sfuggire alla più grande crisi dell’economia reale dal dopoguerra” ( set tembre 20 09 ). Nonostante la crisi, a giugno 20 09 gli occupati complessivi delle Marche rimangono sostanzialmente gli stessi del giugno 20 0 8 : 657mila unità, con un valore stabile ( - 0,1 per cento) rispet to al 20 0 8 ( 658mila ). Il set tore dei ser vizi è quello che constata una maggior perdita di occupati, ma sempre inferiore alla media nazionale. L’’Istat rileva anche che dall’inizio della crisi internazionale le Marche, l’Emilia romagna e il Trentino alto adige sono le uniche

regioni italiane a non aver subìto cali degli occupati rispet to all’anno precedente in ciascuno dei trimestri del periodo della recessione mondiale (a par tire dal quar to trimestre 20 0 8 ). Il tasso di disoccupazione regionale nel secondo trimestre 20 09 cresce al 6,3 per cento, ma resta sempre inferiore alla media nazionale ( 7,4 per cento). Secondo il Presidente Spacca, “il sistema-Marche reagisce a queste dif ficoltà con resistenza e flessibilità, impegnando-

tabella 1.1. Occupati per settore di attività economica, regione marche, anni 2006-ii trimestre 2009

fonte: elaborazione su dati istat

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si a mantenere il più possibile nel tessuto economico il grande patrimonio di risorse umane e professionali accumulato, e preparandosi a ripar tire appena le condizioni esterne lo consentiranno”. Lo scorso 1° dicembre l’Istat ha pubblicato anche dati nazionali sull’occupazione in riferimento al ter zo trimestre 20 09 (dati prov visori). Si può constatare che a livello nazionale il tasso di occupazione è at tualmente pari al 57,6 per cento ( - 0,1 punti percentuali rispet to a set tembre e - 0,9 rispet to a ottobre 20 0 8 ). anche il tasso di disoccupazione è leggermente aumentato, raggiungendo l’8,0 per cento (+ 0,1 punti percentuali rispet to al mese precedente e +1,0 punti percentuali rispet to ad ot tobre 20 0 8 ). Poco confor tante è la situazione dei giovani italiani, il cui tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,9 per cento, segnando un aumento di 0,6 punti rispet to al mese precedente e di 4,5 punti percentuali rispet to a ot tobre 20 0 8. dall’analisi della situazione congiunturale sembra quasi che il peggio debba ancora venire. E’ questo l’allarme lanciato a settembre dall’Oc se ( Organisation for Economic Cooperation and development): infat ti, se in alcuni Paesi si è registrato un forte aumento della disoccupazio-


grafico 1.1 tasso di disoccupazione 2003-2009, regione marche

fonte: dati istat, elaborazione del sistema informativo statistico, regione marche

ne a causa della crisi, “per altri, come Italia, Germania e Francia, la crescita della disoccupazione deve ancora arrivare”. L’Italia avrà alla fine del 2010 circa 1,1 milioni di disoccupati in più rispet to alla fine del 20 07, con un tasso di disoccupazione nell’ultimo trimestre del prossimo anno al 10,5 per cento, superio-

re al 9,9 per cento della media Oc se ( rappor to Oc se, Giovani, set tembre 20 09 ). anche le stime previste per la regione Marche non sono confor tanti: infat ti la ripresa sarà ancora più lenta che nel resto del Paese e soltanto nel biennio 2011-2012 la crescita si allineerà ai valori nazionali.

Le previsioni parlano di assunzioni soprat tut to per gli operai specializ zati e condut tori di impianti e macchine (35,6 per cento complessivamente), seguito dalle professioni commerciali e nei ser vizi ( 20,8 per cento), dal personale non qualificato (18 per cento), dai dirigenti e dalle professioni specialistiche e tecniche (14,9 per cento) e infine dagli impiegati (10,7 per cento). In rappor to alle professionalità in ingresso nel mercato del lavoro, la richiesta da par te delle imprese di giovani neo-diplomati registra un incremento di quasi 6 punti percentuali (45,9 per cento) rispet to al valore 20 0 8. In flessione risulta essere la richiesta di giovani con un livello di istruzione universitario, che scende dall’8,9 del 20 0 8 (valore più alto registrato dal 20 02 ) al 7,6 per cento. L’istruzione e la formazione


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professionale inver tono il passo e scendono dal 15,4 per cento del 20 0 8 al 10,3 per cento. La classe di età non è considerata rilevante dal 25,8 per cento delle imprese marchigiane inter vistate, ma quelle che comunque hanno espresso un’indicazione, si sono indiriz zate prevalentemente verso la classe compresa tra i 25 e i 29 anni (41,4 per cento), seguita da quella tra i 30 e i 4 4 anni ( 23,3 per cento) e da quella fino a 24 anni ( 6,9 per cento). Per gli over 45 anni il valore è pari a 2,6 per cento. In termini dimensionali, la classe tra 25 e 29 anni è quella più richiesta dalle piccole imprese (1-9 dipendenti) e quelle con 50 e oltre dipendenti. a livello previsionale le prospet tive di assorbimento nel

grafico 1.2. richieste di assunzioni previste per la regione marche - 2010

mercato del lavoro intravedono una richiesta soprat tut to nell’ambito dei ser vizi (48,1 per cento), con un marcato 65 per cento nelle at tività ricet tive ( stagionali e non ), quali alberghi, ristoranti, ser vizi turistici, e nei ser vizi alle persone e alle imprese.

e la tradizione continua Via Lago Maggiore 115 Villa Ceccolini (PU) Tel. 0721482285

fonte: elaborazione su dati unioncamere, rapporto excelsior 2009

Fabio Di Giulio Call World Srl Divisione indagini e ricerche di mercato f.digiulio @ callworld.it


SPECIALE

internaZiOnaliZZiamO anche la ricerca

spesso si addita la fuga di cervelli italiani all’estero come problematica maggiore per la ricerca e l’innovazione nelle nostre aziende. certo, questa è una grave perdita, ma altrettanto critica è la mancanza di collaborazione tra il sistema nazionale e il resto del mondo: aprire agli scienziati stranieri deve essere una priorità

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nvestire di più in ricerca&Sviluppo è a detta di tutti una delle chiavi di volta per rilanciare la competitività del nostro Paese a livello mondiale. La nostra imprenditoria sembra essere piuttosto attenta a questo aspetto, e il nostro sistema universitario è stato per molto tempo, e lo è tuttora in alcuni casi, punto di riferimento per la qualità dei programmi didattici seguiti e per la competenza dei docenti. Tuttavia a questo quadro positivo fa da contraltare una realtà che vede una situazione precaria della ricerca nel nostro Paese. Manca infatti un programma definito e condiviso a più livelli che metta in campo una serie di misure atte non solo a frenare la ormai endemica fuga di cervelli italiani all’estero, ma anche ad attirare ricercatori stranieri in Italia. Il problema infatti si pone su questo duplice fronte e produce come risultato una perdita enorme non solo dal punto di vista della capacità di proporre innovazione ma anche sotto il profilo del “fare formazione”: infatti, poter creare gruppi di lavoro nei quali giovani dottorandi e scienziati promettenti italiani vengono a contatto con colleghi provenienti da altre parti del mondo, è una ricchezza sulla quale poco si riflette ma che invece rappresenta una miniera di creatività e di idee. Secondo taluni, il primo passo da fare sarebbe quello di costituire

un’agenzia con il compito di coordinare tutto il sistema della ricerca e dell’innovazione, stabilendo protocolli precisi e “leggeri”, che cioè non debbano sottostare ad assurde lungaggini burocratiche. Inoltre ci si dovrebbe preoccupare di creare criteri meritocratici e trasparenti che spazzino via una volta per tutte il pessimo binomio tra Italia e clientelismo. Non si può poi prescindere anche dall’affrontare un altro aspetto, sempre molto scomodo: quello dei finanziamenti. affinchè l’Italia possa veramente competere con i Paesi più avanzati al mondo, non fornendo loro menti intellettualmente dotate ma mantenendo le loro professionalità all’interno dei confini nazionali e attirando colleghi stranieri a lavorare qui, è necessario prevedere investimenti e finanziamenti che vengano incontro ai giovani scienziati e che gli permettano di compiere tutte quelle attività che si rendano necessarie, anche se a volte prevedono l’impiego di tecniche e tecnologie molto costose. Sembra quindi fondamentale procedere alla creazione di “sportelli di finanziamento” di progetti di ricerca, che possano affiancare le già esistenti agenzie private. Convincere gli scienziati italiani a non andarsene all’estero rappresenta soltanto la metà del problema: l’altra metà riguarda esattamente l’opposto, cioè attrarre studiosi stranieri. L’autoreferenzialità del nostro siste-

ma di ricerca è infatti innegabile se si guardano alcuni dati forniti dall’Ocse (datati 2005): nel nostro Paese solo il 2 per cento degli studenti nell’istruzione terziaria è straniero, contro il 10 per cento, ad esempio, della Francia. Inoltre vi è soltanto l’1,4 per cento di ricercatori esteri, contro il 15 per cento del regno Unito. Un altro miglioramento da introdurre allora nel nostro sistema potrebbe consistere la creazione di programmi ad hoc dedicati agli studiosi stranieri, con la previsione di borse di studio o altri contratti simili. Importante anche favorire la permanenza di questi giovani scienziati nel nostro Paese, creando percorsi burocratici che evitino richieste assurde, che finiscono con il vessare l’individualità e conducono spesso a scegliere Paesi meno “complicati” da questo punto di vista.

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l’inserimentO prOfessiOnale dei laureati quanto conta possedere una laurea al momento di entrare nel mondo del lavoro? quali sono le tipologie di lauree maggiormente richieste? quale la percezione dei ragazzi rispetto al loro impiego? Basandoci su un’indagine istat, cerchiamo di rispondere a queste domande

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na volta laureati, i ragazzi riescono più o meno facilmente a trovare impiego e soprattutto in un settore e posizione professionale che rispecchi il titolo di studio conseguito? Per dare risposta a questi importanti quesiti, ci viene in aiuto ancora una volta l’Istat con un indagine condotta nel 2007 atta proprio ad analizzare in ottica comparativa il rendimento dei diversi titoli di studio sul mercato del lavoro. I risultati di questa indagine, che si propone di verificare quali siano le lauree che più spesso conducono a trovare occupazione, sono disponibili in un opuscolo online pubblicato il 18 maggio 2009. Nelle rilevazioni si è anche voluto mettere a confronto il rendimento delle lauree di corso lungo - laurea tradizionale del vecchio ordinamento e laurea specialistica a ciclo unico – con quelle dei corsi di laurea triennali del nuovo ordinamento. L’universo di riferimento dell’indagine è costituito da 260.070 laureati, di cui 167.886 in corsi lunghi di durata 4-6 anni e 92.184 in corsi di durata triennale. differenziare le situazioni post laurea dei corsisti del vecchio ordinamento – laurea quinquennale – e di quelli del nuovo, basato sulla concezione del 3+2 con tre anni per conseguire la laurea di primo livello e due per l’eventuale percorso specialistico, si è reso necessa80

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rio per confrontare la rispondenza del mercato del lavoro a questi due differenti modelli. Se infatti si analizzano le prospettive lavorative dei due gruppi di laureati, si possono sottolineare delle differenze importanti. Nel 2007, il 73 per cento dei laureati in corsi quinquennali e di quelli in possesso di una laurea di primo livello, dichiaravano di aver trovato lavoro nei tre anni successivi al conseguimento del titolo. Tra coloro che non hanno un impiego, si nota come siano quelli provenienti dal vecchio ordinamento a cercare maggiormente lavoro (il 14 per cento all’incirca), rispetto a quelli delle triennali, che si attestano attorno al 12 per cento. La variazione

di due punti percentuali è da attribuire con molta probabilità al fatto che per i laureati di primo livello vi è anche la possibilità di continuare il proprio percorso di studi, aggiungendo i due anni di specialistica. Un dato in favore delle lauree “di lungo corso” riguarda la possibilità di trovare un impiego continuativo: 56 per cento dei laureati del vecchio ordinamento contro il 48 per cento dei laureti “brevi”. La considerazione però che forse maggiormente interessa è connessa al rapporto tra titolo di studio e mercato del lavoro. In altre parole: quali sono le lauree che più delle altre sembrano favorire la ricerca di occupazione? anche per dare conto di questo


aspetto, è opportuno tenere separati i due modelli di conseguimento del titolo. Per quanto riguarda le lauree quinquennali, la Facoltà che più delle altre sembra garantire un ottimo peso nel mercato del lavoro è quella di Ingegneria: nei tre anni successivi alla laurea, l’89 per cento degli ingegneri meccanici risultano occupati, così come l’88 per cento dei laureati nel settore telecomunicazioni e l’85 per cento degli ingegneri chimici. Subito dopo si posizionano Facoltà quali Farmacia con l’82 per cento, Economia aziendale con il suo 76 per cento ed Odontoiatria col 75 per cento. L’altra faccia della medaglia riguarda invece i laureati del gruppo medico che svolgono un lavoro continuativo solo in rapporto di 24 su 100, quelli di Giurisprudenza (e Facoltà correlate) con il 38 per cento, quelli di Educazione Fisica con il 45,8 per cento. Tra il 46 e il 49 per cento si collocano invece i laureati in discipline geo-biologiche o letterarie. Per quanto riguarda i corsi triennali, la percentuale più alta di giovani impegnati in un’attività lavorativa di tipo continuativo, dopo il conseguimento del titolo di studio, riguarda soprattutto i laureati nei corsi attinenti al settore sanitario, in particolar modo per le professioni infermieristiche e ostetriche, che dichiarano di avere un’occupazione continuativa nel 72,4 per cento dei casi. a seguire, troviamo i laureati in Scienze e tecnologie farmaceutiche (67,3 per cento) e Scienze e tecnologie informatiche (66,4 per cento). Buona anche la situazione dei laureati in Scienze della mediazione linguistica (62,4 per cento) e in disegno industriale (61 per cento). al lato opposto troviamo ancora una volta – proprio come accade per i laureati del vecchio ordinamento i laureati del gruppo giuridico con appena il 22 per cento di occupati, i laureati dei gruppi geo-biologico

(31,3 per cento, psicologico (32,2 per cento) e letterario (35,3 per cento). Rapporto tra titolo di studio e lavoro svolto La maggior parte di chi decide di frequentare l’università ha come motivazione la volontà di trovare successivamente un’occupazione che possa rispondere alle proprie personali aspettative. Ecco allora che quando si sceglie una Facoltà piuttosto che un’altra, a questa decisione sarà legata l’idea di una professione che nel futuro si vorrebbe svolgere. Ma in quanti casi questo ideale viene poi rispettato una volta conseguita la laurea? La buona notizia che emerge dai dati Istat riguarda il fatto che la coerenza tra il titolo di studio posseduto e quello richiesto per lavorare, aumenta al crescere del livello di istruzione. Confrontando infatti le percentuali relative ai laureati in corsi di tre anni e quelle che si riferiscono ai laureati quinquennali, vediamo che i primi dichiarano di svolgere un lavoro per il quale era formalmente richiesto il titolo posseduto nel 65,8 per cento dei casi, mentre tra i secondi tale percentuale sale al 69 per cento. Scendendo più in profondità, possiamo ancora sottolineare come all’interno di questo 69 per cento, rilevino la maggiore coerenza le professioni attinenti al gruppo medico, a quello chimico-farmaceutico nonché a quello ingegneristico. Per quanto concerne i corsi triennali la quota di laureati impiegati in lavori che richiedono lo specifico titolo di studio di cui sono in possesso è particolarmente alta soltanto per i laureati nelle professioni sanitarie, con ben il 94 per cento. riflettendo su questi dati, si potrebbe dire che non sempre la rispondenza del mercato del lavoro alle professionalità implementate con

nei tre anni successivi alla laurea l’89 per cento degli ingegneri meccanici risultano occupati la laurea è a livelli ottimali. Tuttavia, buona parte dei laureati sembra esprimere una buona soddisfazione rispetto al proprio lavoro. In particolar modo gli aspetti che più degli altri contribuiscono a creare questo giudizio positivo riguardano il grado di autonomia concesso e la tipologia di incarichi affidati. aspetti invece che sono percepiti in maniera negativa riguardano la retribuzione economica e le prospettive di avanzamento di carriera. Un altro aspetto dolente è quello delle tipologie contrattuali con le quali i ragazzi possono avvicinarsi al mondo del lavoro. Nel 2007, circa il 41 per cento dei laureati quinquennali e il 48 per cento dei laureati di primo livello affermava di essere impiegato con contratti a termine o in attività “parasubordinate”. Il tempo indeterminato regolava invece i rapporti professionali per il 40,6 per cento dei laureati col vecchio ordinamento, a fronte di una percentuale del 42,4 per cento che avevano seguito i corsi triennali. Queste percentuali però, riguardano una forbice di anni più ampia rispetto ai precedenti dati: sono infatti registrati tenendo conto di un periodo di tempo che vari dai quattro ai sei anni dopo la laurea. Infine, anche i dati di questa indagine ci confermano la scarsa propensione ad intraprendere un’attività autonoma che riguarda i neolaureati. Infatti solo il 19 per cento dei laureati di corso lungo fa propria questa scelta, e addirittura solo il 9 per cento di quelli frequentanti corsi triennali. di Eleonora Baldi MONdO LaVOrO

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SPECIALE

i diplOmati e il laVOrO: qual è la situaZiOne in italia? attraverso i dati istat riferiti al 2007 sui diplomati dell’anno 2004, è possibile analizzare in maniera esaustiva gli elementi critici che i giovani si trovano ad affrontare quando, usciti dagli istituti superiori, si affacciano al mercato del lavoro

d

preciso scopo di analizzare il percorso di transizione scuola-lavoro ha realizzato delle indagini sull’argomento intervistando i ragazzi e ponendo loro domande in merito ai risultati del percorso scolastico, alle opinioni sull’esperienza nella scuola, alla prosecuzione degli studi (universitari e non), all’inserimento nel mondo del lavoro. L’ultima indagine di questo tipo, della quale sono stati pubblicati i dati nel novembre di quest’anno, è quella realizzata nel 2007, per la quale sono stati presi come campione rappresentativo gli studenti diplomatisi nel 2004. La statistica quindi illustra sinteticamente le scelte dei diplomati del

opo gli anni della scuola dell’obbligo, si apre per i ragazzi una prima possibilità di scelta: rivolgersi direttamente al mercato del lavoro oppure proseguire il proprio percorso di studi con l’intenzione di formarsi un bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze che possano permettere maggiori opportunità professionali. Questo certo molto dipende dall’aspirazione personale e dalla maggiore o minore fiducia nelle istituzioni scolastiche, in quanto appunto produttrici di conoscenza – tanto teorica quanto pratica - che possano comunque essere utili. Per questo motivo l’Istat con il

2004 per quanto riguarda il loro ingresso nel mercato del lavoro. dopo la scuola secondaria, si ripropone ancora una volta la scelta per il ragazzo: proseguire gli studi – con un percorso universitario o altra tipologia di corso – oppure entrare nel mondo del lavoro. Secondo i dati Istat, a tre anni dal conseguimento del titolo, il 29,9

percentuali di diplomati che lavorano, per area geografica

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per cento dei 415.247 diplomati del 2004 era impegnato esclusivamente negli studi universitari, mentre il 67,4 per cento risultava attivo nel mercato del lavoro: oltre la metà dei diplomati si era dichiarata occupata (52,6 per cento) mentre il 14,8 per cento in cerca di un’occupazione. Questi dati devono sempre essere interpretati tenendo conto che a volte, terminati gli studi superiori, i ragazzi si concedono del tempo durante il quale di può parlare di “situazioni miste”, in cui sperimentano sovrapposizioni tra studio, ricerca del lavoro ed occupazione, che inevitabilmente condizionano non solo le scelte occupazionali, ma anche le

caratteristiche del lavoro svolto. nel 2007, mentre il 29,9 per cento di ragazzi era impegnato unicamente negli studi universitari e il 39,3 per cento aveva scelto di lavorare soltanto, il 13,3 per cento riusciva a coniugare studio e lavoro, mentre l’8 per cento è contemporaneamente iscritto all’università ed alla ricerca

Percentuale di diplomati che hanno scelto di proseguire gli studi, per area geografica

di un lavoro. Una variabile che in Italia rileva costantemente, a causa delle grandi differenze di mentalità ed opportunità che si possono riscontrare, è quella relativa all’area geografica di provenienza: la percentuale di chi si è già inserito nel mondo del lavoro diminuisce notevolmente da nord a

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SPECIALE Sud, passando dal 62,6 per cento di occupati nell’Italia nord-occidentale a solo il 45 per cento del Sud e al 44,6 per cento delle Isole. In particolare, le regioni che si contraddistinguono per i tassi di occupazione più elevati sono la Lombardia (65,1 per cento), il veneto (63,4 per cento) e il Piemonte (61,5 per cento), mentre la Basilicata (35,6 per cento), il Molise (37,1 per cento) e la Calabria (37,4 per cento) sono i fanalini di coda. La decisione di continuare a studiare piuttosto che lavorare, è spesso influenzata anche dalla difficoltà effettiva di inserirsi nel mercato del lavoro. non stupisce allora che nel Mezzogiorno la quota di diplomati in cerca di un’occupazione, a tre anni dal conseguimento del titolo, aumenti significativamente: il 21,5 per cento dei diplomati – con picchi del 24,7 per cento in Sardegna, del 23,7 per cento in Basilicata e del 23,4 per cento in Calabria – a fronte del 7,9 per cento registrato al nord. Per illustrare visivamente tale situazione, di può ricorrere alle figure di seguito riportate. altro fattore altamente impattante sulle possibilità di inserimento lavorativo dei giovani è quello riguardante la tipologia di scuola

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frequentata. Come si può vedere dai dati sopra esposti, la quota di occupati è molto più alta tra coloro che hanno seguito percorsi di tipo professionalizzante, rispetto a chi ha intrapreso gli studi liceali. Le caratteristiche dell’occupazione Concentriamoci ora sulla situazione di chi effettivamente ha trovato lavoro immediatamente dopo il conseguimento del diploma: quali sono le caratteristiche di questi impieghi? Sempre prendendo i con-

siderazione i dati relativi all’anno 2007 – e riguardanti i diplomati del 2004 – si vede come il 19,7 per cento dei diplomati che hanno iniziato l’attività dopo l’ottenimento del titolo, svolge un lavoro occasionale o stagionale. Percentuale confortante – pari all’80 per cento - è invece quella di chi ha un’occupazione continuativa, che viene svolta con cadenza regolare anche se talvolta con contratti a termine. altra differenza che è possibile sottolineare, riguarda poi la scelta della tipologia di inquadramento professionale: lavoro dipendente, contratto a progetto, rapporto di lavoro autonomo. anche a questo proposito si possono proporre delle interpretazioni differenti dei dati a disposizione dell’Istat tenendo conto di variabili come il tipo di scuola frequentato, il sesso e l’area geografica di provenienza. da questi dati possiamo vedere che il lavoro dipendente è ancora quello più diffuso, seppure in presenza di percentuali differenti in connessione con le variabili di interpretazione introdotte. La propensione ad intraprendere un lavoro da libero professionista è piuttosto bassa, soprattutto nella componente femminile. ad essere più intraprendenti sono comunque i ragazzi del Sud e delle Isole, che alzano leggermente la media. I canali di accesso altra domanda alla quale è interessante rispondere è la seguente: in che modo si effettua l’accesso al mercato del lavoro? Sempre interpretando i dati forniti dall’indagine Istat, tra i canali utili per trovare lavoro, quello che maggiormente sembra efficace è il contatto diretto con il datore di lavoro: infatti circa il 41 per cento dei diplomati afferma di aver trovato in questo modo l’attuale occupazione.

I requisiti di accesso al lavoro Ultima riflessione, sulla percezione che del proprio lavoro hanno i giovani. non sempre infatti l’occupazione trovata dal diplomato si dimostra adeguata al percorso scolastico effettuato. Una completa coerenza tra lavoro svolto e livello di istruzione conseguito viene dichiarata comunque dal 45 per cento dei ragazzi; in questi casi, il titolo di studio è stato effettivamente richiesto al momento dell’assunzione e le competenze acquisite vengono utilizzate nell’attività svolta. ad essere inquadrati in posizioni per cui non è stato richiesto il diploma, sotto il profilo né formale né sostanziale, è il 15 per cento dei diplomati. Quasi un diplomato su tre dichiara invece di utilizzare nel proprio lavoro la formazione ricevuta, nonostante il titolo non abbia costituito un requisito di accesso, mentre il 7,7 per cento dei ragazzi, pur avendo ottenuto il lavoro in quanto diplomato, non utilizza le competenze acquisite. Il quadro restituitoci da questi dati merita una riflessione: sarebbe forse il caso che vi fosse una maggiore interrelazione tra il mondo della scuola e quello del lavoro, in modo tale che le competenze formate nel momento del percorso di studio siano poi effettivamente utili al momento della loro applicazione pratica. Sarebbe forse possibile in questo modo ottenere una maggiore soddisfazione dei datori di lavoro e anche dei giovani, che potrebbero operare sfruttando competenze già acquisite. Se in generale, infatti, i diplomati occupati esprimono giudizi sostanzialmente positivi del proprio lavoro, gli aspetti più critici appaiono proprio l’utilizzo delle conoscenze acquisite nella scuola secondaria di secondo grado - 4 diplomati su 10 si dichiarano poco o del tutto insoddisfatti - e le possibilità di carriera, con ben il 32 per cento di insoddisfatti.

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SPECIALE

TuTelare il risParmiaTore e gesTire il rischio Questi gli obiettivi dello studio cogliandro raparo, che a macerata svolge attività di analisi e consulenza finanziaria indipendente, fondato e diretto da riccardo cogliandro e da massimo raparo

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el recente passato si è assistito a una perdita di efficacia nell’offerta di consulenza finanziaria, spesso ricondotta a una mera vendita di strumenti e di prodotti a danno della clientela più inconsapevole o dell’azienda non sufficientemente preparata dal punto di vista della finanza d’impresa. Basti pensare ai bond Parmalat, Cirio o Lehman Brothers, venduti dalle banche quando tali aziende erano già prossime al default, o le numerose ipotesi di vendita di strumenti derivati, proposti e ceduti ad imprenditori totalmente ignari di ciò che acquistavano. Ciò ha prodotto una profonda perdita di fiducia nei confronti del mercato e delle istituzioni finanziarie. Il recupero di valore aggiunto può essere perseguito soltanto attraverso la progressiva separazione dell’attività di consulenza dalla vendita di prodotti finanziari; processo che conduce a un’allocazione ottimale delle risorse della clientela verso strumenti più efficaci, con la creazione di valore aggiunto tangibile per l’azienda e per il cliente privato. Il cliente, privato o azienda, dev’essere messo in grado di approcciare il mercato finanziario con modalità più trasparenti rispetto al passato. I prodotti messi a disposizione dagli intermediari finanziari devono essere preventivamente selezionati dal consulente in fase di pianificazione. ottenere un mutuo, allocare il risparmio in prodotti finanziari efficaci e poco costosi, costituire una rendita pensionistica, coprirsi dal rischio fi-

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nanziario attraverso la corretta valutazione di un contratto derivato, sono attività da affrontare con un approccio professionale. Il cliente beneficia di un servizio professionale ed imparziale basato su valutazioni analitiche e non commerciali. Questo determina l’assenza di commissioni implicite nei prodotti acquistati presso la propria banca, il mantenimento di un livello di rendimento e rischio appropriato e l’accesso agli strumenti finanziari in condizioni di parità informativa rispetto alla banca che li propone e li vende. La parcella che retribuisce l’attività dello Studio è sempre ampiamente ripagata dal risparmio di costi e dal recupero di efficienza dei prodotti in portafoglio. nei confronti dell’impresa lo Studio propone un servizio di consulenza in materia di gestione dei rischi finanziari. Questa tematica

consente di monitorare e coprire i rischi derivanti dall’inevitabile esposizione del bilancio a variabili finanziarie come tassi di interesse, tassi di cambio, costo delle materie prime. La gestione di tali variabili permette di fissare preventivamente il tasso massimo pagato sui finanziamenti a tasso variabile o di abbassare il costo del passivo a tasso fisso. Consente inoltre alle aziende importatrici o esportatrici in valuta di fissare o gestire, secondo i propri budget, il margine di profitto o di costo delle operazioni con l’estero. Questo permette all’imprenditore di concentrarsi sull’attività caratteristica, fissando i listini, programmando il fatturato o i costi a prescindere dall’andamento dei mercati finanziari. L’attività di risk Management consente di intervenire anche sulla variabilità del prezzo delle materie prime per quelle aziende particolarmente esposte alla volatilità di tali variabili. di Raffaella Scortichini

Lo Studio Cogliandro Raparo ha la propria sede a Macerata, in Via Trento. Per ulteriori informazioni è possibile contattare il numero 0733.260961 o scrivere alla mail info@studiocogliandroraparo.it. www.studiocogliandroraparo.it


SPECIALE

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onendosi come “cuscinetto” tra banche e imprese, il sistema dei Confidi si è ritagliato un nuovo ruolo tra gli strumenti anticiclici di politica economica a disposizione dei Governi. ne sono testimonianza i dati di sintesi del lavoro di Eurofidi nel 2009: con proiezione al 31 dicembre, la società ha garantito un flusso di finanziamenti bancari di quasi 2,5 miliardi di euro, arrivando a uno stock complessivo di finanziamenti garantiti di quasi 8,5 miliardi. Questi numeri impattano in modo incisivo sull’accesso al credito delle imprese garantite da Eurofidi - ormai più di 40mila, presenti in buon numero anche nelle Marche, in Umbria e in abruzzo, regioni dove la società è attiva dal 2004. I Confidi accordano il proprio intervento secondo logiche istruttorie vicine alle esigenze delle imprese e liberano da impegni i patrimoni imprenditoriali, rendendo così più flessibile e più agevole l’accesso al credito. anche a tale modello, tuttavia, viene chiesta un’evoluzione in termini di efficienza e di ulteriore efficacia, al fine di assicurare alle imprese un sostegno ancora più qualificato. Eurofidi ha adeguato il suo modello organizzativo e di compliance e ha proseguito verso l’iscrizione tra gli intermediari vigilati da Banca d’Italia (articolo 107 del Testo unico bancario): il 29 gennaio scorso Eurofidi ha ufficialmente presentato la domanda e sta procedendo con l’invio di alcu-

Per il benessere

ne integrazioni richieste dall’Istituto Centrale. Il 26 novembre scorso, il Consiglio della vostra impresa. di amministrazione ha approvato il piano di sviluppo 2010/2012, che si è incentrato sul ruolo anticiclico di Eurofidi quale supporto alle Pmi. ruolo che può essere svolto soltanto da strutture ben patrimonializzate: l’indice di solvibilità di Eurofidi è del 12,15 per cento, valore doppio rispetto al 6 per cento richiesto dalla Banca d’Italia. Per rafforzare ancora la struttura, il Consiglio di amministrazione ha anche deliberato un aumento di capitale di 50 milioni di euro da attuarsi nel primo semestre 2010. “Proprio in questi giorni stiamo procedendo con l’invio a Banca d’Italia delle integrazioni richieste e confidiamo cheNoiil ciprocesso siamo. Per possa condividere gli obiettivi. Per darvi le soluzioni. Crescere insieme,afare della nostra la condividere vostra forza.gliQuesto concludersi positivamente breve Noi esperienza ci siamo. Per obiettivi. Per darvi le soluzioni. di Eurogroup. Sappiamo che insieme, sono le a fare la Crescere farepersone della nostra esperienza la vostra forza. Questo anche grazie allel’impegno imprese del Cendifferenza. Persone sempre al vostro fianco,dipronte ad ascoltarvi, a capire, Eurogroup. Sappiamo che sono le persone a fare la tro nord che ci hanno dato, e con- l’impegno differenza. Persone sempre al vostro anco, pronte ad ascoltarvi, a capire, Proiettate al futuro ma consapevoli, oggi, della firealtà tinuano a farlo,a immedesimarsi. la loro fiducia”, a immedesimarsi. Proiettate futuro mafidi, consapevoli, oggi, della realtà della vostra impresa. Su noi, potete contare. Leader nellaalgaranzia commenta Giuseppe Pezzetto, finanziarie, vostra impresa. Sucazioni noi, potete contare. Leader nella garanzia fidi, nella consulenza in agevolazioni della in certifi di qualità, nella consulenza in agevolazioni finanziarie, in certificazioni di qualità, Presidente Eurofidi, che aggiunge:in gestione in internazionalizzazione, aziendale, in formazione, in in internazionalizzazione, in gestione aziendale, in formazione, in “non ritengo che i Confidi siano la intermediazione finanziaria. Due società, più di 420 professionisti e 28 intermediazione finanziaria. Due società, più di 420 professionisti e 28 Eurogroup, un Gruppo che sostiene lo sviluppo delle imprese. soluzione a tuttefiliali. le incomprensioni filiali. Eurogroup, un Gruppo che sostiene lo sviluppo delle imprese. che talvolta si generano nel rapporto tra banca e impresa, ma sono, e saranno sempre più, un valido “strumento di compensazione”, grazie anche alla prossimità con il territorio”.

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reggendo l’onda d’urto della crisi, eurofidi - una delle maggiori confidi italiane - si sta rivelando sempre più un concreto supporto per il benessere l’accesso al credito per le imprese. Per in crescita il suo ruolo nel centro nord della vostra impresa.

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eurofidi, un “cuscineTTo” Tra banche e imPrese

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SPECIALE

miur, Provincia, unicam e unimc insieme Per far crescere il TerriTorio si è concluso positivamente l’accordo di programma quinquennale tra il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, la Provincia di macerata, l’università di camerino e l’università di macerata

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’intesa comprende un coordinamento e un’integrazione funzionale tra le Università di Camerino e di Macerata, al fine di dotare la provincia e l’intera area centromeridionale delle Marche - grazie anche alla presenza consolidata dei due atenei nel fermano e nell’ascolano - di un polo universitario forte e competitivo, a livello nazionale ed europeo, all’interno del quale due Università storiche siano in grado di giocare un ruolo fondamentale a sostegno della vitalità economica e sociale del territorio. L’accordo disciplina l’integrazione dei servizi, la qualificazione e la razionalizzazione dell’offerta formativa, il contenimento e il consolidamento delle sedi collegate, la promozione unitaria dell’Istruzione Tecnica Superiore. da parte sua il Ministero si impegna ad erogare annualmente ai due atenei un contributo economico da dividere in parti uguali e ad assegnargli, per il quadriennio 2010-2013, un Fondo di Finanziamento ordinario non inferiore a quello consolidato del 2009. La Provincia di Macerata, oltre a sostenere economicamente l’accordo, si impegna a coinvolgere nel sostegno delle attività universitarie nelle Marche centro-meridionali le altre amministrazioni (regione, altre Province, Comuni) e gli attori economici del territorio.

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nessuna fusione tra i due atenei, dunque, ma solo “un’occasione irripetibile, direi storica – ha commentato il rettore Esposito – per mettere in sinergia le competenze e le potenzialità delle Università di Camerino e di Macerata, attraverso l’attivazione di percorsi differenziati ed integrati per coprire tutte le esigenze del mercato, e poter essere quindi sempre di più al servizio del territorio regionale e nazionale”. anche i Presidenti degli spin-off UniCam, infatti, accolgono con estremo interesse e positività l’accordo di programma, che potrà aprire l’opportunità ad iniziative imprenditoriali multidisciplinari in settori ritenuti strategici dai piani di sviluppo territoriale, nonché quella di sostenere il territorio con una innovazione più coordinata e sistematica avendo a

disposizione un più ampio partenariato di conoscenze e competenze non in competizione tra loro. Tutto ciò permetterà infatti di accelerare il processo di innovazione del territorio regionale e nazionale, così da renderlo più competitivo alla sfida globale, favorirà lo sviluppo del sistema produttivo locale e valorizzerà la cultura imprenditoriale dell’innovazione e della creatività quale fattore di crescita economica e sociale.

Ufficio stampa e Comunicazione Palazzo ducale – Piazza Cavour 62032 Camerino (Mc) Tel. 0737/402762-2755 - Fax 0737/402100 e-mail: comunicazione.relazioniesterne@unicam.it web site www.unicam.info


SPECIALE

il Parere PosiTivo di confindusTria maceraTa

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elle linee di programma che Confindustria Macerata ha presentato nel luglio scorso, in occasione della sua annuale assemblea, veniva sottolineato, tra l’altro, quanto un solido sistema universitario sia fondamentale per la crescita socio-economico a medio e lungo termine. Ebbene, Confindustria ritiene che, per il territorio maceratese e per le Marche, il 2009 si chiuda con buone prospettive su questo fronte. L’accordo di programma che la Provincia ha promosso, portando le due Università del territorio a confrontarsi e a collaborare tra loro, è un fatto estremamente positivo che va nella direzione di un rafforzamento della formazione universitaria nella nostra realtà. Fare “squadra” e mettersi in “rete” significa utilizzare al massimo le singole potenzialità ed ottimizzare le risorse disponibili. Questa associazione di categoria, che auspica continuamente la sinergia tra realtà produttive, non può che plaudire alla rapidità e alla previdente concretezza con cui enti pubblici, quali la Provincia e le Università di Camerino e di Macerata, hanno saputo interpretare una necessità del territorio e un bisogno delle istituzioni accademiche. altro aspetto positivo è dato dalla piena approvazione del Ministero dell’Università e della ricerca, che è parte dell’accordo e che lo sostiene anche finanziariamente. Una volta tanto Macerata, intesa come comunità socio-economica e come entità territoriale a livello provinciale, si muove in anticipo, evitando così di rimanere indietro.

Le Università di Camerino e Macerata compiono oggi un passo a cui tra qualche anno sarebbero state obbligate. In quel caso, però, gli effetti si sarebbero forse potuti rivelare tardivi e quindi inefficaci. Lungimirante, pertanto, è stato il presidente della Provincia, Capponi, il quale si è fatto carico della soluzione di un problema che nessuno sembrava avesse il coraggio di affrontare per primo. Ed altrettanto avveduti e responsabili sono stati i due rettori, Esposito e Sani, nel comprendere la non rinviabilità di un intervento capace di ridare vigore ai due atenei. Entrambe le Università sono patrimonio scientifico della nostra comunità e

il sistema produttivo locale guarda ad esse anche come una fonte della propria crescita. Confindustria si era dichiarata sempre pronta ad ampliare ed intensificare il rapporto con le università e gli istituti di ricerca. oggi, dopo questo accordo in grado di prospettare un futuro di concreto sviluppo ad entrambi gli atenei, la nostra associazione è ancora più convinta dell’opportunità di essere parte di uno sforzo comune di tutte le istituzioni, affinché il sistema universitario marchigiano sia maggiormente capace di creare ogni condizione utile alle aziende per crescere ed innovarsi. Mondo Lavoro

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SPECIALE

il nuovo corso dell’universiTà marchigiana l’accordo che permetterà agli atenei di camerino e macerata di rilanciarsi sul piano didattico è stato approvato dal consiglio Provinciale di macerata. sentiamo al riguardo il Presidente della Provincia franco capponi

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residente, perché ha voluto fortemente questo accordo? “La sua sottoscrizione è un passo fondamentale nel processo di rinnovamento e miglioramento dell’offerta didattica dei due atenei marchigiani. Il modello territoriale al quale si ispira l’accordo non soltanto prevede la collaborazione tra i due atenei, nella volontà di rilanciarsi sul piano della didattica, ma consente anche una maggiore interrelazione a livello territoriale che senza dubbio sarà positiva per tutta la provincia di Macerata”. E un bell’esempio per tutta Italia… “Questo modello di collaborazione intrapreso dalle due più antiche ed importanti Università marchigiane costituisce un esempio che presto molte altre strutture in Italia dovranno adottare, una volta che le direttive della riforma Gelmini saranno effettivamente applicate”. L’idea iniziale fu avanzata da Lei, che colse prima di altri la necessità di recepire in anticipo le direttive della Riforma Gelmini, anche per evitare quei tagli che si sarebbero resi necessari all’interno delle strutture universitarie. “Gran parte del merito va senz’altro ai due rettori - Fulvio Esposito per l’Università di Ca90

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merino, e roberto Sani per l’Università di Macerata – che hanno condiviso l’idea iniziale. E’ stato così possibile dare effettivamente avvio ai vari passi che hanno condotto fino alla stesura finale dell’accordo, approvato il 30 novembre 2009, con votazione che ha visto l’unanimità all’interno del Consiglio Provinciale di Macerata”. Cosa prevede l’accordo? “Il testo del documento prevede che i due atenei, mantenendo intatta la propria autonomia, daranno corso ad una azione di razionalizzazione dei servizi, al fine di dedicare, allo stesso tempo, maggiori risorse al potenziamento dell’offerta didatticoformativa. Caratteristica che entrambe le Università condividono e che sarà potenziata grazie a questa nuova collaborazione, riguarda il forte radicamento nell’area fermana ed ascolana: grazie a questo importante passo, sarà

possibile creare un sistema universitario radicato nel territorio centro-sud delle Marche, ancora più qualificato. Le richieste alle quali si risponde, grazie a questo accordo, si riferiscono principalmente ad una maggiore organizzazione degli atenei nonché a una loro penetrazione sul territorio che faciliti anche l’inserimento lavorativo dei laureati. raggiungendo questi obiettivi, sarà molto più facile arrivare agli standard fissati dalla riforma Gelmini e confermare ancora una volta l’eccellenza delle Università di Macerata e Camerino”. Si parla spesso della necessità di “fare sistema”, di costituire reti tra differenti attori operanti nel medesimo territorio. Mi pare che questo ne sia proprio un esempio. “Un esempio forte e concreto di una collaborazione che certamente migliorerà l’offerta didattica e in termini di servizi per gli studenti e allo stesso tempo

restituirà un’immagine ancora più affidabile ed efficiente dei due atenei coinvolti. Farsi concorrenza, per due atenei che si trovano a soli 25 chilometri di distanza, non ha alcun senso; collaborare, invece, rappresenta la scelta più intelligente”. L’accordo raggiunto è aperto ad altre adesioni? “La costituzione del C.U.M. – Comitato per l’Università nelle Marche -, prevista sempre dal testo dell’accordo, di cui faranno parte la Provincia di Macerata, l’Università di Camerino e l’Università di Macerata in quanto soci fondatori, rappresenta la base di partenza per la formazione di una vera e propria rete sul territorio marchigiano tra tutti gli enti e le istituzioni che sono coinvolte nei vari progetti formativi. Il Comitato infatti sarà immediatamente aperto per ulteriori adesioni da parte di enti quali i Comuni di Camerino, Macerata, Civitanova Marche, Fermo, ascoli Piceno, le Province di ascoli Piceno e Fermo, la regione Marche, ma anche istituzioni territoriali come le Camere di Commercio e le varie Fondazioni presenti in regione. In altre parole: questo accordo rappresenta solo il punto di partenza di un percorso che deve condurre a potenziare il settore della formazione universitaria marchigiana, che gode già di attenzione e prestigio in tutta Italia ma che ha ancora ampi margini di miglioramento”. di Raffaella Scortichini

www.provincia.mc.it

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il coaching nelle marche un metodo di sviluppo delle potenzialità individuali e di gruppo, a disposizione delle imprese marchigiane per migliorare la qualità e il management, realizzare cambiamenti strategici, motivare e trattenere talenti. a questo proposito ospitiamo l’intervista a franco rossi e alessandro Pannitti

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i sente spesso parlare di “coaching”, ma cosa è in realtà? “Per rispondere in modo comprensibile diciamo innanzitutto chi è il coach. Il coach è il professionista che “tira fuori il meglio dall’individuo e dall’organizzazione”, grazie ad uno specifico metodo di sviluppo: il coaching, appunto. Il coaching, attraverso l’allenamento delle potenzialità personali è dunque un metodo che accompagna il cliente (detto anche coachee) nel raggiungimento di obiettivi concreti e misurabili”. E il coaching in ambito aziendale, come si sviluppa? “non sono forse concretezza e risultati le cose di cui hanno bisogno le nostre aziende? nel Business Coaching, il coach attraverso sessioni individuali o di gruppo, segue e stimola il cliente (imprenditore, manager o dipendente) affinché tutte le sue potenzialità umane e professionali emergano, aiutandolo a sviluppare la sua capacità di analisi del problema, e rafforzando la creatività e l’autonomia operativa. L’obiettivo strategico del Business Coaching consiste nel coniugare la valorizzazione della persona, attraverso la massima espressione delle proprie potenzialità, con le esigenze di competitività e sviluppo dell’azienda. Questa nuova ottica pone l’accento sulla formazione di manager e dipendenti in azione, superando così il concetto più classico di formazione frontale, la quale, pur fornendo il know-how teorico necessario, spesso non riesce ad attivare concretamente 92

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Chi é Franco Rossi Laureato in scienze motorie, consulente e formatore aziendale. Coach specializzato in Business Coaching – Sport Coaching – Life Coaching con un’esperienza ultradecennale sia nel mondo aziendale che sportivo Chi è Alessandro Pannitti Laureato in psicologia, formatore aziendale. Coach specializzato in Business Coaching – Life Coaching – Team Coaching con una lunga esperienza commerciale anche internazionale nel settore dell’abbigliamento

il cambiamento e la crescita auspicati. Il coaching si presenta oggi come il metodo formativo ideale per rispondere alle esigenze di formazione efficace, veloce e personalizzata, e lo si può affiancare con successo a percorsi formativi e processi consulenziali già esistenti”. Quali sono i benefici effettivamente riscontrabili? “attraverso la tecnica del goal setting system, ossia l’individuazione di obiettivi e la conseguente definizione di piani di azione concreti, un intervento di coaching in un’organizzazione porta ad effettivi miglioramenti, per esempio, nelle seguenti aree: • nella leadership e nella capacità decisionale • nel pensiero creativo e strategico


• nella gestione del tempo e delle priorità operative • nella comunicazione interpersonale e nelle relazioni • nella gestione di situazioni di difficoltà e di cambiamento • nella capacità di gestione dello stress”. Qual’è la situazione del coaching in Italia? “recenti studi hanno rilevato che il

coaching in Italia sta già uscendo dal ristretto ambito delle grandi società multinazionali (le corporate), per diffondersi nel mondo delle PMI e, più in generale, nella società civile”. A chi rivolgersi per un intervento di coaching professionale? “Molte sono le società che si propongono alle imprese, ma non tutte svolgono un vero intervento di coaching. Spesso tale competenza viene improvvisata e/o mascherata sotto le vesti di un’attività di tipo consulenziale. Il coaching, al contrario, prevede un metodo e un percorso specifici su cui basa la propria efficacia”. Esistono società di coaching specializzate nelle Marche? “In CoaCHInG, società che si presenta come il punto di riferimento del coaching nelle Marche, nasce dal nostro incontro. Siamo entrambi coach professionisti, co-fondatori dell’aICP (associazione Italiana Coach Professionisti), di cui alessandro Pannitti ne è vice Presidente”. Nello specifico, quali attività propone IN COACHING? “In sintesi, i nostri servizi coprono tutti gli ambiti di intervento del Business Coaching, cioè: • Executive Coaching, percorso formativo altamente personalizzato destinato allo sviluppo personale di imprenditori, manager, professionisti, ecc… • Corporate Coaching, rivolto all’organizzazione nel suo insieme, rappresenta un intervento ideale per rafforzare la cultura aziendale e la creazione di valori condivisi coerenti con la cultura stessa. • Team Coaching, rivolto ai gruppi di lavoro per sviluppare ed integrare le potenzialità della squadra e portare al massimo livello di efficienza l’intero sistema. • Scuola di Coaching, attraverso percorsi formativi progettati ad hoc per formare nuovi manager-coach all’interno delle organizzazioni. di Raffaella Scortichini

Un caso di coaching in azienda “Pensavamo che questo tipo di promozione fosse ormai superata e invece abbiamo più che raddoppiato il risultato dello scorso anno… Come è possibile?” Questa domanda ci è stata posta dopo un percorso di coaching effettuato con i responsabili di area di una nota azienda commerciale. In effetti, i risultati ottenuti sono eclatanti, ma in realtà sorprendono solo chi non conosce ancora le vere potenzialità del coaching. Il nostro intervento è stato focalizzato sulla presa di coscienza, da parte dei capi area, di quanto determinante fosse al fine dei risultati dei propri collaboratori commerciali, il passaggio da un’interpretazione passiva del proprio ruolo di manager a un approccio attivo. Abbiamo così costruito un nuovo atteggiamento manageriale sviluppando il senso di autoefficacia e una leadership positiva. È stata introdotta una nuova e maggiore consapevolezza nella gestione degli obiettivi ed è stata attivata la cultura del riconoscimento individuale e dell’autonomia espressiva nell’ambito delle diverse funzioni operative. Assieme ai capi area si sono progettate iniziative volte alla costruzione di una visione comune e alla conseguente condivisione degli obiettivi, dinamiche tipiche presenti nelle squadre di successo. A livello metodologico, infine, il lavoro è stato svolto integrando momenti di formazione manageriale a programmi di coaching sia individuali che di team.

è un marchio di Rossi & Co. Sas Via Manzoni, 12 - 60019 Senigallia (An) Franco Rossi - 333.8032223 Alessandro Pannitti - 335.5492298 info@incoaching.it - www.incoaching.it

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i masTer visTi dall’alTra ParTe della barricaTa cosa ne pensa chi fa selezione del personale? siamo andati a sentire Piero agostini che, con oltre vent’anni di esperienza come responsabile della selezione, formazione, sviluppo risorse umane di indesit company, ha organizzato e gestito numerosi programmi formativi per neo-laureati e per professionals

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opo una breve introduzione sull’attuale fenomeno formativo dei “Master”, finalizzata a chiarirne la storia ed alcuni concetti base, parliamo in questo numero di come chi fa selezione del personale da numerosi anni per importanti aziende riconosce questo tipo di percorsi post lauream. Intervistiamo dunque un personaggio di spicco nell’economia marchigiana (ma non solo): il dott. Piero agostini, che dal 2005 è consulente aziendale e collabora con il Gruppo Sida nella selezione e formazione del personale e nell’organizzazione aziendale. In relazione alla Sua esperienza professionale cosa pensa che rappresenti un Master oggi, nell’attuale contesto economico? ”Il contesto economico-industriale derivante della globalizzazione dei mercati è profondamente diverso da quello di alcuni anni fa. oggi un neo-laureato ha molte difficoltà a trovare lavoro, si sente rispondere sempre più spesso “la tua laurea non è in linea con la nostra attività … dobbiamo ridurre il personale … abbiamo necessità di persone che abbiano già maturato esperienza, ecc.”. Cosa fare allora? reagire con determinazione ed intelligenza, cercando la strada più adeguata a soddisfare le proprie aspirazioni e rispondere alle difficoltà svilup-

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pando il “marketing di se stessi”, con l’obiettivo di valorizzare le proprie capacità e competenze, i propri valori personali e culturali. I ragazzi devono imparare a confrontarsi in maniera molto realistica con il mercato del lavoro e capire quanto il loro profilo sia appetibile. anche nel mercato del lavoro bisogna battere la concorrenza evidenziando le proprie caratteristiche distintive e valorizzando le proprie risorse e i propri punti di forza. Per lo sviluppo del “marketing di se stessi”, il Master rappresenta certamente un percorso molto uti-

“Per assicurarsi il vantaggio competitivo le aziende devono innovarsi continuamente e per questo motivo, anche per coloro che sono già in azienda, un master rappresenta l’innovazione e l’acquisizione di nuove competenze”

le per riflettere su chi si è, su come si è, sugli obiettivi e sugli strumenti per raggiungere tali obiettivi, per confrontarsi con gli altri”. Dopo la Sua lunga esperienza di


selezionatore presso importanti aziende, quali differenze ha notato tra coloro che hanno affrontato un Master e coloro che non l’hanno effettuato? ”Mi vengono subito in mente gli obiettivi prioritari di un Master post-universitario, che sono quelli di completare il percorso formativo della persona in termini globali e di trasmettere valori che nelle Università non sempre vengono adeguatamente sviluppati, quali la fiducia in sé stessi, la responsabilizzazione, il lavoro in team, lo sviluppo delle capacità decisionali, la flessibilità, la creatività e la capacità di vivere ed affrontare il cambiamento in maniera positiva e costruttiva. Queste sono le capacità oggi richieste ad un neo-laureato dal mercato del lavoro e la partecipazione ad un Master ne favorisce l’apprendimento. I Master, inoltre, in molti casi aiutano da un lato a sviluppare una propria visione personale e a capire meglio cosa si voglia realmente, dall’altro supportano i giovani laureati nella scelta dei percorsi formativi più idonei per la ricerca di un lavoro in linea con i propri obiettivi”. Secondo Lei, le aziende come valutano un ragazzo che ha frequentato un Master? Può fare la differenza? ”Le aziende, per quanto detto precedentemente e per le esperienze vissute, considerano di grande interesse le competenze acquisite attraverso la partecipazione ad un buon Master post-universitario; conosco delle aziende che non prendono in considerazione i giovani laureati se non in possesso di un’esperienza di questo tipo. oggi la velocità di cambiamento è talmente rapida che servono persone pronte subito, in linea con le esigenze imposte dal mercato globale e capaci di gestirsi autonomamente in azienda”.

“anche nel mercato del lavoro bisogna battere la concorrenza evidenziando le proprie caratteristiche distintive e valorizzando le proprie risorse e i propri punti di forza” Ritiene che un Master possa essere utile anche al personale già inserito in azienda? In quale modo? ”La formazione continua è di fondamentale importanza per tutti. Guai a fermarsi! Le risorse umane sono la chiave di successo delle aziende, di tutte le aziende. La globalizzazione e le grandi sfide competitive ad essa collegate impongono lo sviluppo di competenze diffuse e la crescita costante del capitale intellettuale dell’azienda. Per assicurarsi il vantaggio competitivo le aziende devono innovarsi continuamente e per questo motivo, anche per coloro che sono già in azienda, un Master rappresenta l’innovazione e l’acquisizione di nuove competenze, la verifica dei propri punti di forza e di debolezza e costituisce una grande occasione in termini formativi e motivazionali”. Secondo Lei sulla base di quali criteri andrebbe scelto un Master affinché abbia un reale riscontro in ambito aziendale? ”I criteri attraverso i quali individuare il Master da frequentare sono legati ad importanti obiettivi: facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro, acquisire know how e competenze tali da favorire il successo in ambito professionale ed adeguare il percorso universitario effettuato alle proprie aspirazioni e capacità”. Partiamo dal primo obiettivo: facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro. “Certamente una più ampia ed ap-

profondita preparazione culturale e professionale offre maggiori opportunità di farsi conoscere ed apprezzare dalle aziende. attraverso lo strumento dello stage, affiancato ad un valido percorso in aula dal taglio concreto ed operativo, il Master rappresenta il trait d’union, altrimenti difficile da raggiungere, tra il giovane e l’azienda”. Perché Lei parla di acquisizione di know how? ”Il secondo obiettivo, come dicevo, inerisce alla possibilità di acquisire know how e competenze che favoriscano il successo professionale. a questo proposito vorrei consigliare i giovani neo-laureati in questo periodo di stasi occupazionale di continuare ad investire nella loro formazione per prepararsi in maniera più adeguata alle future opportunità professionali che la ripresa offrirà, anche per effetto della riduzione di professionals che in questo momento si sta verificando in tutte le aziende”. Infine, il terzo obiettivo: adeguare il percorso universitario alle proprie aspirazioni e capacità. “La mia esperienza di selezionatore mi ha fatto notare come molti laureati non abbiano scelto facoltà in linea con le proprie capacità o reali aspirazioni professionali. Il Master, in questo senso, può rappresentare un efficace correttivo, e, se scelto attentamente, permette di riequilibrare le conoscenze e ridare motivazione ed entusiasmo, offrendo una preparazione più idonea ad affrontare il mercato del lavoro con maggiori possibilità di successo”. di Lucia Belardinelli

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formazione grazie ai fondi PariTeTici inTerProfessionali intervista a sergio carbone, responsabile area fondi interprofessionali e certificazioni di irsa (istituto per la ricerca e lo sviluppo delle assicurazioni)

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ottor Carbone, cosa sono i Fondi Interprofessionali? “I Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei sindacati attraverso specifici accordi interconfederali. Tali fondi finanziano piani formativi individuali, aziendali, settoriali e territoriali “Le imprese, soprattutto quelle piccole, da sole non riescono né ad effettuare l’analisi del fabbisogno formativo, né conseguentemente ad attivare il processo di richiesta, gestione e rendicontazione delle risorse”

che le imprese possono realizzare per i propri dipendenti in varie forme. Il meccanismo di finanziamento si fonda sul versamento volontario da parte delle imprese di una quota di contributi all’Inps che vengono destinati alla formazione presso un fondo indicato dall’impresa stessa. Fondi di analoga natura sono presenti in altri Paesi europei già da alcuni decenni. nel nostro Paese ne sono stati ad oggi costituiti diciotto”. Perché oggi è importante parlare di Fondi Interprofessionali? “In primo luogo perché si tratta di un canale di finanziamento della formazione continua a tutt’oggi poco conosciuto dalle imprese, nonostante la normativa istitutiva risalga al 2001 e i fondi per primi costituiti operino 96

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da più di cinque anni. C’è poi da porre in evidenza una ragione di natura congiunturale legata alla crisi, che rende il ricorso ai Fondi Interprofessionali strategicamente rilevante. In periodi come questo, in cui le risorse finanziare a disposizione delle imprese tendono a comprimersi, la formazione rientra tra gli investimenti con il rischio maggiore di venire ridotti o eliminati del tutto. Tuttavia, è

proprio durante i periodi di crisi che vanno mantenuti se non potenziati gli investimenti in formazione per affrontare con successo gli inevitabili cambiamenti che la crisi porta con sé e guidare il rilancio post-crisi. d’altro canto, i Fondi Interprofessionali sono nati come punto di sintesi tra l’esigenza di aumentare la competitività delle imprese e favorire il mantenimento dell’occupabilità dei


lavoratori”. Ci faccia un esempio di come una Pmi potrebbe trovare utile l’utilizzo dei Fondi. “In questo ambito occorre precisare, in via preliminare, che ogni Fondo eroga le risorse in base a regole differenti. E’ consigliabile, quindi, prima di aderire ad un fondo, richiedere supporto ad un consulente esperto in grado di indirizzare adeguatamente l’impresa. Tornando all’esempio, è ovvio che gli investimenti in formazione producono valore sia per l’impresa, sia per il lavoratore. Una Pmi ha sempre convenienza ad iscriversi ad un fondo per incrementare le risorse da destinare alla formazione. La convenienza è maggiore poi quando l’impresa, soprattutto se medio-piccola, decide di aderire ad un Fondo che eroga risorse in base

Sergio Carbone è il Responsabile Area Fondi Interprofessionali e Certificazioni di Irsa (Istituto per la Ricerca e lo Sviluppo delle Assicurazioni). Si occupa di consulenza per compagnie di assicurazioni e banche nell’area dei fondi interprofessionali, del project management, dell’analisi e sviluppo organizzativo, della standardizzazione e certificazione di processo di reti distributive. Saggista di Global Business (Victor Uckmar e Maurizio Guandalini), collabora come commentatore di Ict, sviluppo economico e consulenza con radio e televisioni nazionali e straniere. Autore di numerose ricerche e pubblicazioni sul divario digitale, il mobile business, l’e-consulting, il commercio internazionale, l’euro, l’internazionalizzazione del sistema bancario ed assicurativo. E’ autore, con Maurizio Guandalini, di “Vendo capre su Internet”, testo sul divario digitale.

ad un meccanismo di tipo mutualistico, ossia prescindendo dalla sua capacità di contribuire. In questo modo può concorrere all’assegnazione di risorse per finanziare interamente anche gli interventi formativi più ambiziosi. Molti fondi, poi, mettono a disposizione risorse per finanziare anche attività diverse dalla formazione tout court, come, per esempio, indagini di mercato, analisi di fabbisogno, attività di assessment, coaching ed altri strumenti molto utili ai fini formativi ma che il più delle volte non sono alla portata di talune Pmi”. Ma perché molti Fondi non riescono ad utilizzare interamente le risorse di cui dispongono? “Le ragioni sono varie e differiscono da fondo a fondo. In termini generali, possiamo innanzitutto considerare il fatto che la relativa novità dei fondi li rende ancora poco conosciuti alla grande platea delle grandi imprese e delle Pmi, paradossalmente anche di quelle che vi hanno aderito. alcuni

fondi, poi, non sono ancora attrezzati per sopperire alla mancanza di strutture di formazione interne alle imprese, soprattutto in quelle piccole, che da sole non riescono né ad effettuare l’analisi del fabbisogno formativo, né conseguentemente ad attivare il processo di richiesta, gestione e rendicontazione delle risorse il cui impiego è peraltro assoggettato alla vigilanza da parte del Ministero del Lavoro. In generale, poi, non è ancora del tutto chiaro che i Fondi Interprofessionali differiscono in maniera sostanziale dai classici canali di finanziamento della formazione di tipo pubblicistico e che il loro funzionamento è più in linea con le esigenze organizzative e gestionali delle imprese”. Ci può spiegare i principali vantaggi per le imprese nell’utilizzo dei Fondi Interprofessionali rispetto ai fondi pubblici “tout court” (Fse, Legge 236, altre linee di finanziamento pubblico)? “dal mio punto di vista, uno dei vantaggi principali dei Fondi Interprofessionali - non di tutti per la verità - è il fatto che operano a livello nazionale e in base a poche e semplici regole. Ciò comporta per le aziende il vantaggio di potersi muovere in maniera più agevole senza doversi fare carico di oneri amministrativi eccessivamente rilevanti. I fondi pubblici che lei ha segnalato vengono gestiti di norma a livello regionale e in alcuni casi anche a livello provinciale. Ciò significa, per esempio, per una media impresa che abbia la sede principale in Lombardia e due strutture produttive in regioni limitrofe, dover programmare il finanziamento della formazione facendo riferimento almeno a tre distinti interlocutori pubblici, con differenti tempistiche di pubblicazione dei bandi, diverse scadenze, differenti regole di gestione e di rendicontazione, diversi tempi e regole di erogazione dei finanziamenti”. di Agnese Ausili Mondo Lavoro

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SPECIALE

fior di risorse area marche: “manager 2010: sangue freddo!” nel numero precedente abbiamo presentato lo spazio periodico che dedicheremo alla formazione manageriale come riflessione ed ascolto delle necessità del mercato e come opportunità per redistribuire la conoscenza in una modalità sistematica ed organizzata

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spitiamo in questo numero la testimonianza del network “Fior di risorse” che vede coinvolti i decision makers delle aziende del Centro Italia (romagna, Marche, Toscana ed Umbria). nato circa un anno fa, dall’idea di osvaldo danzi e Luca Battistini, la community conta già 1.600 iscritti ed è considerata il primo Business Club Italiano del Centro Italia che innova il concetto di “risorse Umane” attraverso il più importante social network professionale “LinkedIn”. L’occasione della presenza in questo numero è offerta dall’evento che si è svolto lo scorso 13 novembre a Loreto, presso il Centro “Giovanni Paolo II”, il battesimo del fuoco per “Fior di risorse area Marche”. La realizzazione dell’evento marchigiano è scaturita a seguito di una profonda riflessione del contesto nel quale ad oggi tutti i manager sono portati ad operare: momenti difficili in azienda, team da supportare e gestire soprattutto nelle situazioni più critiche, reazioni ed azioni nei contesti in cui prendere una decisione diventa veramente difficile; è così che nasce “Manager 2010: sangue freddo!”. “Se la paura e il panico prendono il sopravvento, il cervel-

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lo non è più in grado di prendere decisioni. Si attiva la parte più emotiva a scapito di quella razionale. Un buon leader deve mantenere la calma per prendere decisioni efficaci” (daniel Goleman). Silvia Cingolani (regional Manager Marche) e roberto Lautizi hanno realizzato il progetto rendendo il concetto un vero e proprio workshop: grazie all’intervento di relatori coinvolgenti e d’eccezione la serata è così diventata un vero e proprio momento di riflessione e formazione: sono intervenuti roberto oreficini (dirigente della Protezione Civile regionale delle Marche e coordinatore per gli aiuti delle regioni), Enrico Loccioni (Presidente del Gruppo Loccioni e responsabile della Formazione in Confindustria), rinaldo Cataluffi (amministratore delegato Berloni Holding Spa) e Matteo dell’aira (Coordi-

natore Emergency del Centro Chirurgico per le vittime di guerra nell’ospedale di Lashkar-Gah in afghanistan). Quest’ultimo ospite, in particolare, è riuscito a farci leggere con occhi diversi i momenti di ansia e stress in azienda, che sembrano quasi un “nulla” se confrontati con sei lunghi mesi di vita in afghanistan a salvare corpi e cuori delle vittime. Come sempre genuini ed altamente professionali i contributi di Loccioni e Cataluffi che hanno contribuito negli anni della loro lunga esperienza a rendere migliori le aziende e le persone che sono potute crescere al loro fianco. Sorprendente il contributo di oreficini, che ci ha trasmesso concetti organizzativi, umani e di gestione del gruppo nell’emergenza che da domani potremo sicuramente portare con noi in azienda e mettere immediatamente in pratica. Silvia Cingolani HR Manager – SGI Srl Gruppo CONAD Regional Manager Fior di Risorse www.fiordirisorse.eu


SPECIALE

Marche, cercasi falegnaMi e Muratori il problema occupazione è stato una nota dolente dell’ultimo anno in tutta italia e quindi anche nella nostra regione. Qual è stata la situazione nel 2009? e quali le figure professionali comunque richieste?

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a crisi economica mondiale ha messo a dura prova i mercati nazionali ed internazionali. Ed ovviamente a soffrire di più è stata l’occupazione. Ma se si vanno ad analizzare più in profondità dati e proiezioni, come quelli messi a disposizione da Unioncamere nell’indagine Excelsior - realizzata in collaborazione con il Ministero del Lavoro -, si notano delle strane anomalie: c’è una richiesta di fondo di professionalità molto elevata che non trova risposte nell’offerta. In altre parole, si offre lavoro ma non si trova chi sia in grado di garantire determinate competenze. non è un segreto che sempre di più negli anni ci si sia concentrati a “sfornare” laureati, certo importantissimi per la crescita del Paese. L’errore è stato però dimenticarsi che sono altrettanto fondamentali le competen-

ze di tipo pratico, manuale: non è necessario solo pensare ad un progetto, bisogna poi realizzarlo e non tutto si può fare tramite pc o macchine a controllo elettronico; non basta avere un’idea rivoluzionaria in qualsiasi campo se poi non si hanno a disposizione le risorse umane per farne qualcosa di tangibile. Ecco allora che professionalità come il commesso, il cameriere, il cuoco, il muratore, il falegname, il sarto, l’operaio specializzato – soprattutto del settore calzaturiero – l’elettricista, il contabile o l’infermiere, sono fortemente richieste ma non trovano candidati che possano rispondere alla domanda. Qualcosa di quanto meno curioso quando ci si lamenta che una delle più grosse piaghe economiche del nostro Paese sia proprio la supposta mancanza di lavoro. Stesso discor-

so vale poi anche per professionisti maggiormente specializzati come i disegnatori industriali o i fisioterapisti. Insomma, c’è una sorta di ignoranza rispetto ai fabbisogni effettivi del territorio e questo crea problemi da entrambi i punti di vista: tanti giovani laureati non riescono a trovare l’agognato impiego e allo stesso tempo le aziende vanno in difficoltà perché mancano di figure chiave. I dati fornitici dall’indagine Excelsior indicano infatti che a fronte di una richiesta di 2.890 operai specializzati, ben il 33,8 per cento è considerato di “difficile reperimento” dalle aziende. E le percentuali salgono vertiginosamente se si parla di muratori, per i quali il 53,6 per cento delle aziende dichiara di essere in difficoltà, e per i falegnami, caso in cui la percentuale sale addirittura al 75,5 per cento. Mondo Lavoro

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“la cattiva forMazione è un’uMiliazione per il giovane” per il consulente aziendale giorgio ziemacki, lo stato non fa abbastanza per preparare i giovani ad affrontare la sfida del lavoro. e quindi anche un’idea imprenditoriale può apparire troppo rischiosa…

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ottor Ziemacki, perché in Italia sempre meno giovani diventano imprendito-

ri? “Il calo del tasso di imprenditorialità giovanile deriva secondo me da un fattore culturale: è la scuola a dover essere ripensata, direi riposizionata sulla base delle esigenze e delle caratteristiche del mondo del lavoro. Prendiamo ad esempio un Paese come gli Stati Uniti: rispetto a loro il nostro modello formativo è del tutto carente sotto il profilo dell’accompagnamento dei giovani al lavoro. Coloro che si accingeranno a varcare le soglie di un’azienda si troveranno del tutto impreparati”. Nel nostro panorama imprenditoriale, dominato da realtà medio-piccole, assume quindi ancor più importanza il passaggio generazionale? “E’ vero: è senz’altro un aspetto molto delicato, che richiederebbe un serio approfondimento”. Ma tornando al rapporto tra formazione ed impresa, le colpe di questa situazione sono da rintracciare esclusivamente all’interno del comparto formativo? “assolutamente no: le istituzioni, e per esse intendo in primis lo Stato, hanno una grande responsabilità al riguardo. Si deve puntare di più su tutte quelle forme che agevola100

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no lo sviluppo dei giovani. Come accade, ad esempio, in Gran Bretagna, il cui Governo sta andando incontro efficacemente alle nuove generazioni”. Restringiamo il campo: cosa non va nella formazione? “ritengo che il difetto principale sia rappresentato dal fatto che è ancora troppo impostata su ragionamenti teorici. Questo giudizio negativo non risparmia neppure le strutture private, comprese le università: anch’esse da questo punto di vista risultano purtroppo deficitarie. In altre parole: è un fenomeno piuttosto generalizzato, che attraversa quasi tutte – se non tutte – le aree e le discipline”. Con un effetto che rischia di penalizzare fortemente il diplomato, il laureato o il masterizzato per molti anni. “Mi chiedo poi con quale spirito un giovane pensi di intraprendere un’attività imprenditoriale! La verità è che coloro che hanno conseguito un titolo sono poi costretti a “mendicare” – se mi è permesso utilizzare questa espressione - un posto di lavoro, anche sottopagato e per il quale si è disposti a svolgere mansioni più che operative…. Invece, un master dovrebbe garantire lunghi periodi di permanenza in azienda, dando la possibilità di “assaggiare” la vita all’interno

dell’impresa, con tutte le sue componenti”. Vi sono alcune aree del Paese in cui il fenomeno è più generalizzato? “In linea di massima penso che quanto detto rispecchi la realtà in tutto il Paese, da nord a sud”. di Agnese Ausili


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Marche, un forte sostegno alle idee iMprenditoriali nella nostra regione sono state realizzate importanti iniziative dirette ad incoraggiare la creazione di nuove imprese, grazie ad una efficace collaborazione tra pubblico e privato. in queste due pagine ospitiamo quindi un intervento di cristina panara, del gruppo sida di ancona, e un’intervista ad antonio secchi, funzionario della regione Marche

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a nascita di ogni attività di lavoro autonomo può disorientare e scoraggiare l’aspirante imprenditore, a causa dei numerosi adempimenti burocratici e delle difficoltà legate alla delicata fase di start up. Se dovessimo stilare un elenco delle cause che possono scoraggiare slanci imprenditoriali, suggerendo l’abbandono di propositi coltivati magari per molto tempo, potremmo riempire decine di pagine: tanto si è detto a questo proposito. Sicuramente un fattore determinante è rappresentato dalle criticità presenti sia nell’individuazione del settore e dell’idea imprenditoriale cui puntare, sia nella valutazione delle competenze e delle conoscenze richieste per svolgere le varie attività conseguenti. del pari, spesso è la mancata informazione sulle possibili fonti di finanziamento - pur presenti sul mercato ed indirizzate specificamente a rendere più agevole l’avvio di nuove attività – a far desistere gli interessati. a ciò si aggiungano altre cause, come la complessità dei mercati di riferimento, la forte concorrenza oppure la presenza di “barriere all’entrata” in specifici settori. Per accrescere la cultura imprenditoriale e valorizzare il potenziale imprenditoriale, il Gruppo Sida si è fatto promotore ed è stato partecipe di numerose iniziative indirizzate ad agevolare l’avvio di nuove impre-

se, non soltanto a livello regionale. L’esperienza del Prestito d’onore regionale e di altre iniziative realizzate, hanno evidenziato la necessità di dotare di strumenti adeguati tutti coloro che hanno in mente un’iniziativa imprenditoriale ma che non sanno da che parte iniziare, o, peggio, ignorano gli elementi basilari del mettersi in proprio. Ciò è ancora più importante se pensiamo che sempre di più il lavoro autonomo e la microimpresa sono oggi considerati i principali mezzi per combattere la disoccupazione e per favorire il reinserimento lavorativo. La scarsa “propensione imprenditoriale” degli under 30 è proprio dovuta a una limitata conoscenza della natura dei problemi che si potrebbero presentare non solo nella fase

di avvio, ma anche nella gestione di un’attività imprenditoriale e, soprattutto, alla mancanza di metodologie che possano supportare il neo imprenditore nella corretta individuazione e risoluzione di tali difficoltà. da qui l’importanza di prevedere dei percorsi formativi ad hoc, delle attività di valutazione dell’attitudine imprenditoriale, dei supporti concreti nella ricerca di adeguati finanziamenti che possano non soltanto favorire la creazione di nuove imprese, ma - cosa ancor più importante siano promotrici di iniziative imprenditoriali di successo. Cristina Panara – Coordinatrice del progetto Prestito d’Onore Regionale (bando 2006-2008), Responsabile del servizio di tutoraggio - Start Up Banca Marche Mondo Lavoro

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e la regione? avanti con il sostegno alla creazione di iMprese la regione Marche sta dispiegando le sue forze a tutela delle aziende e dei lavoratori, come ci spiega antonio secchi, funzionario responsabile del servizio politiche del lavoro

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ot tor Secchi, qual è stata la linea adot tata dall’ente regionale rispet to alla crisi? “In tale contesto molto dif ficile la regione Marche si è mossa tempestivamente sia sul fronte, per così dire, difensivo, sia sul terreno delle politiche per lo sviluppo”. In che senso difensivo? “Tutelando il più possibile i posti di lavoro esistenti, at traverso un ricorso massiccio agli ammor tiz zatori sociali. Tutte misure, queste, che vanno ad aggiungersi agli inter venti adot tati a roma. Ma, a par te questo lato, siamo stati presenti sin da subito per quanto riguarda gli stimoli allo sviluppo. La regione da questo punto di vista ha messo in campo tut te quelle misure strategiche di sostegno alla creazione di impresa. abbiamo in sostanza perseguito una politica di sviluppo che in un territorio come il nostro – a for te vocazione imprenditoriale – era ed è assolutamente necessario”. Scendendo nel par ticolare, quali sono state le iniziative intraprese? “Un anno fa furono adot tate le linee-guida per il sostegno all’occupazione, nell’ambito

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degli stanziamenti previsti dal Fondo Sociale Europeo ( Programma 20 07-2013 ). In at tuazione a tale decisione, le Province hanno at tuato i principi così delineati dalla regione, finanziando la creazione di nuove imprese. Si è in tal modo at tuato un utilizzo diret to dei fondi Fse, in quanto centinaia di nuove piccole aziende hanno potuto beneficiare - ed altre lo faranno nel corso del 2010 – di finanziamenti a fondo perduto”. Chi può usufruire del finanziamento? “In linea generale inoccupati, disoccupati e, in taluni casi, anche lavoratori occupati che però versino in situazioni di grave difficoltà, ad esempio perché posti in Cassa integrazione, sempreché creino una nuova impresa oppure ne rilevino una già esistente. a tut te queste importanti iniziative si deve aggiungere la riedizione del Prestito d’onore regionale”.

“grazie ad un efficace utilizzo delle somme messe a disposizione dal fondo sociale europeo, e ad una corretta collaborazione tra regione e province, centinaia di aziende hanno potuto beneficiare di finanziamenti a fondo perduto”

L’edizione 2006 -2007 del Pre stito d’Onore fu un grande successo, che vide un valido sostegno, non soltanto econo mico, a circa 500 nuove picco le aziende. E’ possibile secondo Lei ipotizzarne una replica, in termini di numero di bene -

ficiari? “Il nuovo Prestito d’onore, che sarà at tuato nel 2010 -2011, è stato pensato e studiato proprio sulla base della sperimentazione av venuta nella versione precedente. da par te nostra vi è stato un grosso impegno, fiduciosi della necessità di un inter vento di questo tipo che, come ha giustamente anticipato lei, non ha soltanto un carattere di tipo finanziario”. Possiamo approfondire que sto aspet to, che fa del Prestito d’Onore una misura in un cer to senso originale? “L’obiet tivo è quello di intervenire a beneficio di chi ha voglia di fare impresa, con strumenti non soltanto finanziari ma anche in termini di ser vizi. Guardi che l’erogazione di servizi e consulenze per un aspirante imprenditore o un neoimprenditore rappresenta una fase delicatissima. Basti pensare che l’insieme di queste attività – che prendono il nome di tutoraggio – ser vono anche a comprendere la fat tibilità di un’idea imprenditoriale, a calibrare il tiro, sulla base di una serie di circostanze – temporali, spaziali, ecc. – e di conoscenze che molto spesso l’interessato non possiede. Soltanto se accompagnato da esper ti nelle varie discipline egli è in grado di valutare at tentamente tutti gli aspet ti connessi al lancio dell’iniziativa”. Secondo Lei arriveranno a beneficiarne altre 500 nuove aziende? “Il primo finanziamento prevede un obiet tivo di 40 0 aziende, però posso anticipare che vi è la volontà di rifinanziare il proget to. Quindi penso che alla fine il numero sarà maggiore”. di Paolo Duranti Mondo Lavoro

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RISORSE UMANE INCHIESTA

perché i treni sono seMpre sporchi? alla tavola delle ferrovie italiane c’è da mangiare per tutti: politici, manager, intermediari, sindacalisti, grandi aziende. prima d’ora nessuno aveva avuto modo di provarlo. claudio gatti si

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a pulizia dei treni? no problem. Stiamo per risolvere tutto. nell’intervista concessa a “Il riformista” il 21 agosto 2008, il presidente delle Fs Innocenzo Cipolletta non aveva usato mezzi termini. non si era trincerato dietro a un linguaggio ambiguo. aveva parlato come un manager che prende i problemi di petto e offre soluzioni con chiarezza. Sia per quel che riguardava l’esecuzione sia per la tempistica: “abbiamo svolto una serie di controlli accurati a partire dall’autunno scorso che hanno confermato che i servizi offerti da molte ditte delle pulizie non erano conformi alle richieste. Ma con loro siamo stati duri: non è stato rinnovato il contratto e a giugno è partita una nuova gara, stavolta europea. addirittura, controllando le ditte abbiamo scoperto che soltanto seimila lavoratori su diecimila erano effettivi. Un fatto gravissimo”. Il giornalista gli aveva poi rivolto la domanda più ovvia, chiedendo che cosa lo portasse a pensare che stavolta la situazione sarebbe migliorata veramente. Cipolletta aveva risposto con risolutezza: “Primo, perché è una gara europea e quindi la competizione è su scala più ampia. Secondo, perché è cambiato il criterio di aggiudicazione: invece che sull’offerta al ribasso, ora la scelta avviene in base alla qualità della proposta. aggiungo che i vecchi lavoratori saranno tutelati da una clausola sociale. noi imponiamo a chi vincerà le gare di prendersi in carico i vecchi lavoratori. E sui treni ci saranno certificatori che verificheranno che chi ha 104

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vinto l’appalto offra un servizio adeguato. nel 2009 avremo risolto anche il problema dei treni sporchi”. Quell’ultima risposta era rimasta senza replica, ma chiunque si sia occupato seriamente del problema delle pulizie sui treni italiani avrebbe potuto anticipare che quello descritto da Cipolletta non era un pacchetto di provvedimenti risolutivi. nessuna di quelle misure sarebbe bastata a portare una volta per tutte i treni italiani a un livello di decoro degno del mondo occidentale. al contrario, era un compendio di procedure già tentate. E fallite miseramente. La dimostrazione più evidente che il ciclo “treni sporchi - nuova gara per le pulizie - treni ancora più sporchi” continua ininterrotto da oltre 15 anni è “Prima del 2001 i servizi di pulizia nel settore ferroviario sono stati, per circa dieci anni, appannaggio di quattro consorzi tra loro collegati in virtù di contratti di appalto conclusi a trattativa privata nel 1992. Tale periodo è stato caratterizzato da qualità scadente e da costi decisamente superiori a quelli di mercato […]. In vista della scadenza dei contratti di appalto, nel 2001, le società del gruppo Ferrovie dello Stato hanno proceduto a un’approfondita revisione, aggiornamento e modernizzazione dei capitolati di appalto”.

venuta nell’estate del 2009, con i problemi creati dall’avvicendamento tra ditte di pulizia dopo il cambio di rotta imposto dalle Fs per le “gravi inadempienze” riscontrate. La soluzione? Una gara europea Iniziamo da un concetto che Cipolletta ha presentato a “Il riformista” come una panacea, e cioè la gara europea. Innanzitutto una correzione: il presidente disse che era partita a giugno del 2008. In realtà si era trattato di una falsa partenza. Un annuncio pubblicato da Trenitalia Spa sul “Corriere della Sera” agli inizi di agosto di quell’anno spiegava infatti che in seguito a “disguidi in fase di pubblicazione, il bando di gara era stato differito alle ore 13.00 del 26 settembre 2008”. In secondo luogo, il lancio di una gara europea non costituiva affatto una novità. Era già stata fatta nel 2001. E nel 2005. Ma non aveva prodotto alcun risultato. non un singolo operatore straniero aveva presentato un’offerta. Come mai? Per gli stessi motivi che da un decennio impediscono la soluzione del problema pulizia sui treni italiani. Che più in generale sono i motivi che rendono il nostro Paese uno dei meno attraenti per gli investitori stranieri. Perché la burocrazia è inefficiente, perché ci sono enormi carenze infrastrutturali, perché ci sono imprenditori che riescono a vincere con la competizione drogata dai correttivi in corso d’opera o dagli ammortizzatori sociali. E infine, anche perché ci sono sindacati che proteggono chi abusa dei propri di-


rispettivi consorzi, cioè i gruppi Mazzoni e di Stasio.

ritti. ad aiutarmi a mettere a fuoco il problema sono stati, come sempre, i documenti interni del gruppo Fs. a partire dal settembre 2001 sono state indette (per la prima volta) procedure di gara europee, secondo quanto prescritto dalla normativa di derivazione comunitaria. In realtà già l’appalto precedente, quello del 1993, era stato presentato al pubblico come una piccola rivoluzione: da 400 contratti si era infatti passati a 32, con quattro consorzi creati su base geografica che coordinavano il tutto. Un centinaio di imprese e 65 cooperative avrebbero dovuto garantire la pulizia di stazioni e carrozze. Ma l’affidamento era stato fatto in trattativa privata. E aveva avuto una durata spropositata: otto anni. In più era stato concesso un contratto di lavoro che parificava i lavoratori delle pulizie ai dipendenti delle ferrovie. Cosa che però non aveva turbato gli imprenditori del settore. “In quegli anni si riusciva a fare dei profitti veri” aveva spiegato in un’intervista a “Il Sole 24 ore” Giovanni Gorla, presidente del Consorzio nordest e del Fise, la Federazione imprese di servizi. I risultati erano stati del tutto insoddi-

Claudio Gatti (Roma, 1955) risiede dal 1978 negli Stati Uniti. Inviato speciale de “Il Sole 24 Ore”, collabora con il “New York Times” e l’“International Herald Tribune”. Nel 2005 è stato il primo giornalista a denunciare lo scandalo Oil for Food. È autore di altre inchieste sul terrorismo islamico, le economie illegali e la recente crisi finanziaria.

sfacenti. E di fronte alle insofferenze dei passeggeri, le Fs avevano comminato multe a valanga: negli ultimi tre anni del contratto ne erano state fatte per 47 miliardi. ovviamente tutte impugnate dalle aziende. La gara del 2001 aveva introdotto tre novità con un duplice obiettivo: ridurre i costi e migliorare la qualità. dei due obiettivi, la gara permise alle Fs di raggiungere solo il primo: la riduzione dei costi. La qualità però rimase drammaticamente inalterata. Forse anche perché i concorrenti europei non si fecero mai vedere. dopo aver studiato il mercato, le procedure e le normative, gli stranieri disertarono la gara. Furono rimpiccioliti i lotti, ma le assegnazioni andarono di fatto solo a un paio di ditte e ai loro

Nuove gare, stessa sporcizia Si arrivò alla gara del 2005. anch’essa formalmente aperta alla concorrenza europea, ma con due importanti inversioni di rotta: si tornava ad aggregare i lotti, che da un centinaio passavano a diciassette, e si dava meno peso al taglio dei costi e più alla qualità. Si introduceva inoltre il principio della “clausola sociale”, cioè l’obbligo per il nuovo appaltatore di assumere il personale impiegato dall’appaltatore uscente. La nuova gara fu indetta il 29 aprile 2005. E anche questa volta la fase di transizione fu disastrosa. Tra giugno e luglio 2005, l’”emergenza cimici” costrinse Trenitalia a togliere dalla circolazione quasi mille carrozze. Le aggiudicazioni definitive vennero annunciate da Trenitalia il 14 novembre 2005. E a partire da quella data, i nuovi appalti partirono in maniera scaglionata, salvo rarissime eccezioni. Insetti a bordo Posto di fronte a una vera e propria emergenza pulizia, il vertice di Trenitalia decise di riaprire il portafoglio. Sebbene gli accordi quadro firmati soli pochi mesi prima non prevedessero la possibilità di riconoscere alcun corrispettivo alle imprese appaltatrici se non a “prestazione resa”, nel consiglio di amministrazione del 29 marzo 2006 roberto Testore, amministratore delegato di Trenitalia, propose – e il consiglio deliberò all’unanimità – di stipulare un atto modificativo che permettesse il pagamento anticipato. E in più la possibilità di subappaltare integralmente i cosiddetti “servizi accessori” che, secondo l’accordo quadro, non avrebbero invece dovuto superare il limite massimo del 15 % dell’importo annuo. Ma era una china difficile da risalire. Il 20 aprile Testore convocò nel suo ufficio una riunione d’urgenza sul tema “situazione parasMondo Lavoro

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siti e insetti a bordo treno”. In quell’occasione, la responsabile del Customer care, l’ingegner Maria Luisa Grilletta, riportò che nel primo trimestre dell’anno erano stati segnalati 57 possibili casi di insetti a bordo, 17 dei quali effettivamente accertati. Si disse che una delle

possibili cause era il cosiddetto “baronaggio”. E a questo proposito, il capo della sicurezza Biagianti riferì che su 84 siti di stazionamento dei treni, 22 riportavano fenomeni episodici di presenza di barboni, e un paio, come Milano e napoli, di presenza costante.

A sporcare sono le ditte di pulizia Cercando le radici del problema della pulizia dei treni si va al di là delle colpe e delle inadeguatezze delle imprese appaltatrici. E si scoprono le colpe e le inadeguatezze di tutto il resto: del SCHEDA DEL LIBRO Collana: Principio Attivo Editore: Chiarelettere Pagine: 256 Euro: 15

sistema contrattuale, dei lavoratori e soprattutto delle stesse Ferrovie dello Stato. vediamole insieme, attraverso la documentazione dell’epoca. Cominciamo dalle possibili responsabilità dei lavoratori, come si evince da una lettera inviata a Trenitalia il 20 giugno 2006 da Saes, una ditta di pulizie del gruppo di Stasio. Il grido di allarme lanciato dalla Saes spiega l’inadeguatezza della “clausola sociale”, in base alla quale un’azienda che subentra in un appalto non può portare con sé le sue maestranze, rischiando di essere ostaggio di lavoratori improduttivi della gestione precedente. La Saes, infatti, aveva “ereditato” il personale della Sofas, la ditta che l’aveva preceduta. Molti ex dirigenti delle Fs riferiscono di episodi di boicottaggio messi in atto allo scopo di creare allarme tra i viaggiatori e di suscitare clamore sui mezzi di informazione. Si scopre infatti che, mentre i manager di Trenitalia, coadiuvati da esperti e consulenti di ogni genere, si spremevano il cervello su come fare in modo che i treni fossero puliti meglio dalle ditte appaltatrici, a napoli (ma forse anche altrove) a sporcare erano gli stessi dipendenti delle pulizie. Da Nord a Sud, stesse contraddizioni veniamo ora al punto più dolente: le colpe e le inadeguatezze del gruppo 106

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Fs. È infatti noto a tutti gli addetti ai lavori che nelle stazioni e nei depositi ferroviari le imprese appaltatrici e i loro dipendenti spesso non sono posti nelle condizioni di fare il proprio lavoro come dovrebbero. Lo dimostra un rapporto della Efm, società di consulenza ingaggiata da Trenitalia per svolgere attività ispettive nelle stazioni e a bordo dei treni. In seguito a una visita condotta il 10 e l’11 aprile 2006 negli impianti milanesi di Parco Farini, Milano San rocco, Stazione di Porta Garibaldi e altri dodici cantieri satellite, Efm segnala che “il corretto svolgimento delle attività di pulizia è reso difficile dalla inadeguatezza delle infrastrutture (…). In tutte le platee [basi su cui poggiano i binari, nda] l’acqua è presente, ma è a bassa pressione (…). Esiste un impianto per il lavaggio cassa, pienamente funzionante, ma non ci sono né il personale né la macchina per la manovra”. Possibile che Milano fosse un caso particolarmente disgraziato? Per appurarlo mi sono procurato una decina “A febbraio 140 lavoratori su 459 erano in cassa integrazione a rotazione con conseguenze negative sulla produzione (…) perché a seguito di accordi sindacali si erano determinati turni di lavoro che venivano incontro a esigenze di (…) lavoratori, variamente sponsorizzati, senza che tutto ciò incontrasse le esigenze della produzione. (…)Come ampiamente preventivato, i primi giorni sono stati difficili, specialmente in alcuni impianti, come quello di Salerno, dove tutti i lavoratori si sono dichiarati ammalati (…). Le attuali difficoltà sono per lo più connesse alla non volontà di rientro dalla Cigs dei lavoratori, molti dei quali ricorrono alla malattia. È inutile dire che in questi giorni i dirigenti di queste società sono stati sottoposti a pressioni, minacce, ingiurie e si sono verificati fatti anomali, regolarmente segnalati alla Polfer (…).

di rapporti della società Efm sulle visite fatte tra l’autunno 2005 e la primavera 2006 in impianti sparsi in tutto il Paese. ovunque si segnalano bocchette idriche e prese elettriche insufficienti o non funzionanti. I dettagli su tutte queste carenze – dall’acqua alle prese elettriche, dagli scarichi all’illuminazione – non sono il risultato di un’eccessiva pignoleria: sono tasselli fondamentali per comprendere l’annoso problema delle pulizie. E non si può neppure dire che esista un nord efficiente e un Sud lassista: stesse contraddizioni e problemi irrisolti di un unico sistema. ai limiti e alle disfunzioni degli impianti si sommano poi errori organizzativi e manageriali. Ma forse ancor più grave è il mancato coordinamento tra Trenitalia e le ditte appaltatrici, sottolineato dall’ennesimo rapporto di Efm: “Treni che non giungono nell’impianto previsto e non vengono puliti, treni che arrivano in ritardo e per i quali non c’è tempo per erogare le previste operazioni di pulizia, imprevisto accumulo di treni da pulire in uno stesso arco temporale, con conseguente mancanza di operatori concomitanti”. I problemi di programmazione, continua il documento, creano “un forte disequilibrio tra la domanda di servizio e l’allocazione dei diversi fattori produttivi: perché il fornitore dovrebbe prevedere un turno di dieci persone quando c’è lavoro per cinque a causa di cambiamenti nella programmazione imputabili a ritardi?”. Ci sono poi cause legate alle stesse operazioni di competenza di Trenitalia, prima tra tutte la “manovra” dei treni: “Le operazioni di pulizia principali e approfondite vengono programmate in orari in cui il materiale rotabile è a disposizione, spesso in orari notturni. Ciò è in disaccordo con la disponibilità di personale addetto alla manovra dei treni, che opera in turni nell’arco della giornata”. Insomma, sulla pulizia colpe e inadeguatezze erano diffuse e attribuibili a

“Fino al 1999, quando i dati della puntualità erano inseriti manualmente, era tutto taroccato. Adesso non è più così. Ma in assenza di controlli esterni, lo spazio per l’abuso permane. Nel 2008 ben 1.754 Eurostar sono arrivati in ritardo ma registrati come puntuali”. Testimonianza, documenti alla mano, di un ex dirigente del gruppo Fs

tutti i soggetti interessati: a Trenitalia, alle ditte e ai lavoratori delle pulizie. Con un risultato cumulativo che si rifletteva sulla pulizia dei treni italiani. Ho dei dati precisi anche su questo. a fornirli è un Mystery Client report, uno dei rapporti settimanali della società di consulenza ingaggiata da Trenitalia per fare visite a sorpresa sui treni e verificarne lo stato di pulizia e di manutenzione. nel rapporto dell’8 settembre 2006, in cui venivano presentati i risultati delle ispezioni fatte sui treni nei mesi di giugno, luglio e agosto di quell’anno, emergeva che negli 80 Eurostar monitorati la percentuale di carrozze con presenza di sporcizia “stagionata” era del 35 %. E gli Eurostar erano i gioielli di famiglia! Sugli altri treni la situazione era decisamente peggiore. Sui 68 Intercity monitorati, la percentuale era del 52 %. Lo stesso nei treni regionali: praticamente la metà dei 1.155 convogli monitorati aveva segni di sporcizia stagionata. la situazione oggi Questa la situazione nel 2006. Ma da allora non è cambiato molto. La pulizia continua a lasciare a desiderare, e sul fronte contrattuale, come ha imprudentemente sottolineato lo stesso presidente Cipolletta, la cosiddetta “clausola sociale”, ossia la tutela del posto di lavoro per gli addetti della gestione precedente, marine un baluardo indiscusso. di Claudio Gatti Mondo Lavoro

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COMUNICAZIONE D’IMPRESA COMUNICAZIONE D’IMPRESA

crediti iva, stretta alle coMpensazioni le scadenze di fine anno costituiranno una delle ultime opportunità per poter compensare con altre imposte i crediti iva senza particolari restrizioni

a

par tire dal 1° gennaio 2010 entreranno infat ti in vigore regole più stringenti, che hanno l’obiet tivo di contrastare gli abusi mediante il raf forzamento del sistema di controllo. di fat to, però, una larga platea di imprese si troveranno di fronte ad una maggiore dif ficoltà ad esercitare un dirit to del tut to legit timo, quello di utilizzare un credito vantato nei confronti dell’Erario per compensare il debito derivante da altre imposte. dal prossimo anno, per poter utilizzare in compensazione “orizzontale” il credito Iva dell’anno precedente per impor ti superiori a 10.0 0 0 euro si dovrà aspet tare il 16 del mese successivo alla presentazione della dichiarazione Iva. dichiarazione per la quale è stato quindi previsto l’invio in maniera autonoma rispet to alla dichiarazione dei redditi ma non prima del 1° febbraio. Ciò significa che non sarà possibile utilizzare il credito Iva del 20 09 fino al 15 marzo per compensazioni esterne. Sarà invece ancora possibile continuare ad utilizzare il credito 20 08 presenIn alternativa al visto di conformità la dichiarazione può essere firmata dal soggetto che esercita il controllo contabile, ove presente

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te nella dichiarazione Iva 20 09. discorso diverso per coloro che pensano di utilizzare il credito 20 09 per impor ti inferiori alla soglia di 10.0 0 0 euro. Per queste imprese poco cambia ma iniziare ad utilizzare il credito prima della presentazione della dichiarazione significa dichia-

rare al Fisco che non si intende superare il limite di 10.0 0 0 euro nel corso dell’anno (fat te salve le possibili sanzioni previste per non aver at teso il termine stabilito). L’ar ticolo 10 del decreto-legge n. 78 del 20 09 (cosiddet to “decreto anticrisi”) pone però


ulteriori palet ti. Il primo consiste nelle modalità di compensazione dei crediti, che saranno esclusivamente telematiche. Il secondo, ben più impor tante, consiste nell’obbligo di apporre un sigillo di garanzia sulle dichiarazioni Iva se si vuole utilizzare il credito per impor ti superiori ai 15.0 0 0 euro. In alter-

nativa al visto di conformità la dichiarazione può essere firmata dal sogget to che esercita il controllo contabile, ove presente. I sogget ti abilitati ad apporre il visto di conformità sono i professionisti intermediari iscrit ti all’albo dei dot tori Commercia-

listi ed Esper ti Contabili e all’albo dei Consulenti del Lavoro, i responsabili dei Caf e i sogget ti che alla data del 30 set tembre 1993 risultavano iscrit ti nei ruoli camerali dei Periti ed esper ti tributari. I professionisti incaricati di apporre il visto dovranno verificare la regolare tenuta e conservazione delle scrit ture contabili obbligatorie e la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze delle scrit ture contabili. I contorni che dovrà assumere questo controllo sono ancora tut ti da definire e al riguardo sono at tesi chiarimenti. Ulteriori questioni ancora aper te riguardano le sanzioni applicabili in caso di mancato rispet to della norma (compensazione di crediti oltre la soglia consentita in presenza di una dichiarazione non vistata): quelle ordinarie del 30 per cento dell’impor to o quelle introdot te proprio dallo stesso d.l. 78 del 20 09 per l’utilizzo dei crediti inesistenti (dal 10 0 al 20 0 per cento del credito

utilizzato)? altro dubbio riguarda la possibilità di rav vedere una dichiarazione Iva non vistata mediante una tardiva apposizione del visto di conformità. Lo spirito della norma non sembra comunque deporre per un’interpretazione favorevole al contribuente. È evidente come il Legislatore abbia voluto rendere meno disinvolto l’utilizzo dei crediti Iva al fine di limitare gli abusi che si possono verificare in questo campo ai danni delle casse dell’Erario, ma la rubrica del richiamato ar ticolo 10 del d.l. 78 del 20 09 recitava: “Incremento delle compensazioni dei crediti fiscali”. La dicitura potrebbe sembrare, oltre che bef farda, anche ingiustificata, sennonché la let tera b) del primo comma prevede che, tenuto conto delle esigenze di bilancio, il tet to massimo dei crediti e dei contributi compensabili possa essere elevato fino a 70 0.0 0 0 euro. Roberto Antonella Area Fiscale Gruppo Sida r.antonella @ sidagroup.com Mondo Lavoro

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COMUNICAZIONE D’IMPRESA COMUNICAZIONE D’IMPRESA

verso una rivoluzione nella pubblica illuMinazione la santini impianti di senigallia è ormai un sicuro punto di riferimento nel settore degli impianti elettrici. con un’esperienza di mezzo secolo può vantare importanti commesse in tutto il centro italia. ed ora sta vincendo la sfida della riqualificazione degli impianti pubblici…

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ignor Santini, quali sono le origini della Sua azienda? “La Santini Impianti Srl fu fondata negli anni Cinquanta da Fernando Santini come ditta individuale, con lo scopo di coprire le richieste di mercato relative all’espansione delle reti di distribuzione di energia elettrica. Inizialmente il suo principale cliente era la società U.n.E.S. (oggi Enel). Poi, nel 1990, l’azienda subì un’importante ristrutturazione commerciale a seguito della quale nacque quella che oggi è la Santini Impianti Srl”. Quindi ad oggi quali sono le attività principali della Santini Impianti? “Con il tempo e l’esperienza maturata nei diversi settori, la nostra società spazia dalla progettazione alla installazione e manutenzione delle reti di distribuzione elettrica interrata ed aerea di linee elettriche di bassa, media ed alta tensione, di impianti elettrici, industriali, semaforici, nonché impianti di illuminazione di qualsiasi tipologia, cavidotti per linee elettriche e telefoniche, cablaggi strutturati, reti wireless Lan/ Wan, impianti eolici, fotovoltaici stand alone e grid connected. ogni lavoro viene fatto curando sempre ogni dettaglio, dal sopralluogo alla installazione, al 110

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collaudo dei prodotti. Cerchiamo di offrire ai nostri Clienti un servizio impeccabile; non è un caso che il Comune di Senigallia ci abbia affidato i servizi manutentivi degli impianti di pubblica illuminazione per più di 25 anni. Mi preme sottolineare una caratteristica che ci ha sempre contraddistinto: mettiamo sempre la stessa dedizione e lo stesso impegno in ogni lavoro svolto”. Come riuscite a far fronte a tutto ciò? “non è un caso che la maggior parte del nostro staff abbia un’età compresa tra i 25 e i 35 anni: sono infatti giovani motivati e dinamici, che credono in quello che fanno, ed è questa la nostra forza. Possiamo inoltre contare, come supporto logistico, su una struttura coperta di 2.000 metri quadrati e un parco mezzi che ci permette di assolvere qualsiasi tipo di commessa in tutto il Centro Italia. Credo inoltre che il nostro approccio, all’insegna della serietà e del rigore, della professionalità, dell’assoluta attenzione all’Utente e alle sue esigenze, siano le qualità che ci contraddistinguono. del resto, il poter offrire a tutti i nostri Clienti un servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle attività svolte rappresenti la prova tangibile della nostra serietà”.

Dal vostro sito risultano vari cantieri, tra i quali impianti eolici e fotovoltaici. In particolare, abbiamo notato la riqualificazione degli impianti di pubblica illuminazione del Comune di Apecchio. Di cosa si tratta? “È un lavoro concluso a maggio 2009. dopo Torraca, prima led city al mondo, apecchio - piccolo centro di 2.100 abitanti in provincia di Pesaro - è stata la seconda città ad aderire al programma Led City® di Cree, contribuendo inoltre all’applicazione della normativa regionale che, com’è noto, è diretta a ridurre l’inquinamento luminoso. In tale contesto si è inserito il nostro intervento, che ha visto la sostituzione di 365 corpi illuminanti che utilizzavano le vecchie ed inquinanti lampade a vapori di mercurio, con nuovi apparecchi


per illuminazione stradale ad alta efficienza energetica a Led”. Con una riduzione notevole dei consumi energetici… “non soltanto energetici ma anche manutentivi, per non parlare dell’abbattimento dell’inquinamento luminoso e degli effetti migliorativi in termini di sicurezza dei cittadini, derivanti da un’illuminazione di migliore qualità. I risultati ottenuti con l’introduzione della tecnologia a Led sono stati impressionanti: è stata stimata una riduzione fino al 70 per cento dei costi dell’energia associata ad una diminuzione fino al 66 per cento del consumo, con un conseguente calo delle emissioni di carbonio di circa 73 kg l’anno. Credo che l’importante progetto di riqualificazione realizzato ad apecchio, riconosciuto a livello mondiale, rappresenti un esempio di successo per la

stessa città, e che sia da seguire anche da altri Comuni”. In tema di illuminazione pubblica com’è la situazione in Italia e all’estero? “al momento le città che si sono “completamente rivoluzionate” sono solo due, Torraca ed apecchio, poi… ci sono Toronto e Welland in ontario (Canada), Tianjian (Cina), Gwangju (Corea del Sud), Fairview e austin (Texas), raleigh e Chapel Hill (Carolina del nord), ann arbor (Michigan), anchorage, ala e India Wells (California): speriamo che siano soltanto le prime di una lunga serie”. Quali sono gli obiettivi futuri? “Come avrà capito teniamo molto all’ambiente, quindi il nostro obiettivo primario è quello di sensibilizzare i nostri Clienti all’impiego delle energie rinnovabili. avremmo il piacere di la-

vorare insieme ad altri Comuni marchigiani nell’intento di riproporre quanto fatto ad apecchio. non le nascondo che stiamo prendendo anche in considerazione la possibilità di lavorare con aziende che stanno implementando nuove tecnologie nell’ambito del telecontrollo dei sistemi di pubblica illuminazione. al momento, oltre al completamento della posa in opera di una rete in fibra ottica a servizio di alcuni Comuni della valle dell’Esino, stiamo ultimando un impianto fotovoltaico e la riconversione a LEd degli impianti di illuminazione di alcune vie del territorio comunale di Jesi. Per questo motivo crediamo molto nella possibilità di fare sinergia con altre aziende locali con cui stiamo cercando di instaurare collaborazioni che portino valore al nostro lavoro quotidiano”. di Agnese Ausili Mondo Lavoro

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OFFERTE DI LAVORO

Primario Tour operator di rilevanza nazionale ricerca per il proprio organico: rif: WM/01 Web MarKeting Manager Il nuovo collaboratore si occuperà dello studio, della valutazione e dell’attuazione dei progetti innovativi legati allo sviluppo commerciale sul canale web; oggetto delle sue attività saranno quindi piani di marketing finalizzato a completare l’approccio commerciale dell’azienda (tradizionale) con soluzioni innovative legate al web. Il candidato ideale è un giovane professionista che ha maturato esperienze nel ruolo in oggetto o ha partecipato a percorsi formativi specifici per sviluppare le seguenti competenze: conoscenza e sensibilità verso le opportunità di sviluppo commerciale legate al mondo internet, capacità di valutare ed implementare soluzioni e progetti con il supporto di professionisti (tecnici informatici, responsabili marketing, product manager, responsabili di comunicazione ecc.). Completano il profilo creatività, una certa propensione e curiosità verso l’innovazione, passione per il mondo web e per il marketing. La sede di lavoro è nelle Marche Primario Tour operator di rilevanza nazionale ricerca per il proprio organico: rif: al/01

assistenti in loco

L’assistente turistico avrà il compito di facilitare la prima accoglienza dei turisti nell’ambito dei viaggi e nel corso dei soggiorni presso Hotel e/o i villaggi. L’attività lavorativa comprende: -occuparsi dell’ accoglienza e dell’ orientamento degli ospiti in loco -risolvere i problemi più immediati degli ospiti (gestione delle emergenze e di ogni altra problematica del cliente) -fornire informazioni (briefing) e chiarimenti sull’organizzazione dei programmi di lavoro e di intrattenimento, sull’itinerario e le località da visitare in caso di viaggi ed escursion -gestire i rapporti con tutto il personale, in modo da poter soddisfare le più disparate richieste del cliente -preparare programmi, gestire il materiale e la reportistica di contatto con la sede centrale I candidati ideale sono giovani brillanti e

dinamici, motivati ad ricoprire un ruolo particolarmente complesso di natura gestionale e di relazione con i clienti. Tra le competenze trasversali è importante quella riferita alle lingue straniere, (indispensabile quando gli ospiti da accogliere sono di differente nazionalità). altre doti e attitudini personali che si dovrebbero possedere sono buona presenza, comportamento educato e corretto, la cortesia nell’accogliere gli ospiti, la pazienza nel risolvere i loro eventuali problemi e la disponibilità a rispondere sempre alle possibili critiche. Le sedi di lavoro sono legate alle destinazioni turistiche di necessità; è richiesta quindi la disponibilità a frequenti trasferte e/o trasferimenti all’estero. Call World l’azienda del Gruppo Sida specializzata in servizi di direct marketing e costumer care. Per il progetto che la vede impegnata nella gestione del Servizio di assistenza e Supporto Commerciale al Tour operator Eden viaggi ricerca: rif: ob/01 operatore booKing front office /Mid office Il candidato prescelto, dopo un apposito periodo di formazione in sede, al termine del quale riceverà l’attestato per la partecipazione al corso “ MarKETInG oPEraTIvo: Gli Strumenti a disposizione per il marketing nel settore turismo”, sarà inserito in gruppo di lavoro che si occupa di dare assistenza telefonica e mediante web nella vendita e nella gestione dei pacchetti turistici da parte dei principali tour operator nazionali. nello specifico ci si interfaccerà con le adv (agenzie di viaggi). Il candidato ideale, di età compresa tra i 20 e i 29 anni, diplomato e/o laureato, ha maturato esperienze similari, meglio se nell’ambito turistico (agenzie di viaggi, tour operator, call center, uffici informazioni ecc). Sono richieste inoltre: doti comunicative, utilizzo del pc, orientamento al cliente e precisione. La sede di lavoro è ancona. La Sida nasce nel 1985 e da allora si occupa di strategia, consulenza e formazione nell’assistenza direzionale d’impresa. nell’ambito di un progetto di ampliamento e di specializzazione dei servizi ricerca:

rif: cs/02 consulente seniorspecializzazione in area turismo Il nuovo collaboratore sarà inserito nel Gruppo di lavoro che si compone ad oggi di oltre 100 professionisti curando in autonomia e responsabilità un asset specifico di servizi destinati alle aziende del settore. Saranno quindi di sua competenza le seguenti attività: - Studio del settore e dei servizi più sentiti dalle aziende - Studio e analisi della concorrenza - Sviluppo del prodotto - Supervisione delle azioni di marketing e di sviluppo commerciale - Supervisione dei progetti e delle attività consulenziali maturate e sviluppate Il candidato ideale è un giovane e dinamico professionista di età compresa tra i 30 e i 40 anni, ha maturato solida esperienza nel settore Turismo, preferibilmente all’interno di Tour operator o agenzie di viaggi Strutturati (es. Sales e Marketing Manager, responsabile apertura – Gestione Filiali, responsabile sviluppo e gestione reti vendita). Si richiede inoltre interesse e forte motivazione ad operare in un contesto consulenziale altamente dinamico e fortemente orientato al lavorare per obiettivi. disponibilità a trasferte e ad incarichi flessibili completano il profilo. La sede aziendale è ancona. Importante azienda alimentare ricerca: RIF: PG/01 DIRETTORE VENDITE ITALIA Il quale, in accordo con le direttive aziendali, sarà incaricato di collaborare con la Proprietà alla definizione delle strategie commerciali, determinando le politiche di vendita e le attività promozionali. In particolare sarà chiamato a coordinare e motivare la forza vendita al raggiungimento degli obiettivi di volume e fatturato concordati. Gestirà in persona le trattative con i clienti più importanti, stabilendo i livelli di listing fee e di scontistica. Il candidato ideale è un manager di età compresa tra i 35 e i 45 anni, con esperienza pluriennale nella gestione della rete di vendita di aziende modernamente organizzate del settore alimentare. Una profonda conoscenza della Gdo e

Gli interessati sono pregati di inviare dettagliato curriculum, con consenso al trattamento dei dati, citando in busta il riferimento a: SIDA S.r.l. Via I° Maggio • 60131 Ancona - Fax 071/2852245 • info@sidasrl.it • www.sidasrl.it Consenso: richieste di autorizzazione provvisioria alla Ricerca e Selezione del personale in corso, ai sensi del D.Lgs. 276/03. I candidati ambosessi (L. 903/77) sono invitati a leggere sul nostro sito l’informativa sulla Privacy (D. Lgs. 196/03).

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OFFERTE DI LAVORO

del Canale Ho.re,ca è strumento necessario alla copertura del ruolo. La sede aziendale è nel Centro Italia. Sida Group, primaria società di consulenza in Italia con sedi a Los angeles, dubai e romania, ricerca: rif: vM/14 assistant

proJect leader

Il nuovo collaboratore lavorerà in affiancamento al responsabile/coordinatore dei progetti comunitari attualmente in essere e curerà, seguendo tutto l’iter, l’analisi, la progettazione e la rendicontazione dei bandi europei in ambito formazione, con un focus particolare sulla romania. Il candidato ideale è un laureato preferibilmente in materie economiche o giuridiche di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Saranno presi in considerazione anche altri percorsi di studio, purché accompagnati da una breve esperienza nella progettazione di corsi di formazione in ambito FSE e/o comunitario. Ha un’ottima padronanza della lingua inglese e preferibilmente del rumeno. La persona che stiamo cercando è disponibile a frequenti trasferte internazionali: stimiamo che dovrà trascorrere circa il 50% del tempo presso la sede in romania. determinazione, precisione, capacità di analisi e di ragionamento critico unite ad una buona attitudine al problem solving completano il profilo. Quando in Italia, il nuovo collaboratore lavorerà presso la sede di ancona. La ricerca ha carattere di urgenza. La Sida nasce nel 1985 e da allora si occupa di strategia, consulenza e formazione nell’assistenza direzionale d’impresa. nell’ ambito di un progetto di ampliamento e di specializzazione dei servizi ricerca: rif: cr/10 consulente - specializzazione ambito commerciale/retail Il nuovo collaboratore sarà inserito nel Gruppo di lavoro che si compone ad oggi di oltre 100 professionisti curando in autonomia e responsabilità un asset specifico di servizi destinati alle aziende del settore. Saranno quindi di sua competenza le seguenti attività: - Studio del settore e dei servizi più sentiti dalle aziende - Studio e analisi della concorrenza - Sviluppo del prodotto - Supervisione delle azioni di marketing e di sviluppo commerciale - Supervisione dei progetti e delle attività consulenziali maturate e sviluppate Il candidato ideale è un professionista che ha maturato solida esperienza nel Settore commerciale - retail (es. ottica, elettronica di consumo, cosmetica, servizi) curan-

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Mondo Lavoro

do apertura e gestione di punti vendita di proprietà e/o franchising. Si richiede inoltre interesse e forte motivazione ad operare in un contesto consulenziale altamente dinamico e fortemente orientato al lavorare per obiettivi. disponibilità a trasferte e ad incarichi flessibili completano il profilo. La sede aziendale è ancona. Gruppo Industriale di Grandi dimensioni, appartenente ad una multinazionale e con 6 stabilimenti produttivi, ricerca: rif: ro/01 di gruppo

operation Manager

Il nuovo collaboratore assicurerà la competitività dell’assetto produttivo del gruppo, sovrintendendo per tutti gli stabilimenti collocati in Italia e all’estero le aree Tecnico . Industriali, Produzione, Tecnica, Logistica in bound, ricerca e Sviluppo, Manutenzione e Qualità. attività: - Fisserà, in collaborazione con la direzione Generale, gli obiettivi per la realizzazione del budget di produzione e svilupperà con i piani di implementazione per il raggiungimento degli stessi. - Collaborerà con L’area Tecnica – ricerca e Sviluppo alla realizzazione di nuovi progetti indicando le scelte per ottimizzare le risorse aziendali - assicurerà l’aggiornamento tecnologico degli impianti, dei processi produttivi e delle risorse utilizzate. Il candidato ideale è un professionista, di circa 35 – 45 anni che ha già ricoperto in modo significativo ruoli di alta responsabilità in contesti industriali complessi e strutturati, preferibilmente coordinando l’attività di molteplici siti produttivi. Preferibile la provenienza da aziende operanti nel settore metalmeccanico. Sono richieste inoltre la conoscenza della lingua inglese e la disponibilità a frequenti trasferte sul territorio nazionale e internazionale. L’azienda è in grado di offrire condizioni economiche e contrattuali che possano valorizzare anche candidature di spessore. Saranno prese in considerazione candidature provenienti da tutto il territorio nazionale, purchè disponibili ad un trasferimento nella regione Marche La sede di lavoro è nella regione Marche. La selezione ha carattere di urgenza. azienda distributrice di prodotti semidurevoli, ci ha incaricato di ricercare : rif: ad/00 responsabile logistica di gruppo Il quale dovrà garantire l’efficienza di tutti

i flussi logistici-distributivi in arrivo ed in uscita verso i clienti ed intra-gruppo, attraverso la gestione ed il coordinamento delle risorse impiegate. dovrà inoltre occuparsi direttamente della programmazione della produzione e supervisionare gli aspetti inerenti la gestione dell’ordine. Il candidato ideale ha un età indicativa di 35 - 45 anni, con un’esperienza professionale nello stesso ruolo di almeno 5 anni maturata in aziende strutturate e modernamente organizzate, preferibilmente del settore trasporti od alimentare. Costituisce titolo di preferenza la residenza in provincia di Pesaro Urbino o zone limitrofe o comunque la disponibilità al trasferimento nell’area. Capacità di relazione e comunicazione, leadership, forte orientamento al risultato, doti organizzative completano il profilo ricercato. La sede di lavoro è in Pesaro. Gruppo aziendale produttore di materiali e prodotti per l’edilizia della provincia di Pesaro - Urbino, per il potenziamento della propria struttura ricerca: rif: ad/97 eXport area Manager settore Materiali / prodotti per edilizia il quale, riportando all’Export Manager, dovrà occuparsi di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di vendita e di profittabilità nell’area di competenza attraverso un costante monitoraggio del mercato e della concorrenza, selezionando e coordinando distributori e/o agenzie esistenti e gestendo in prima persona le trattative di vendita più importanti oltre a dover svolgere attività di promozione verso i principali studi tecnici e/o di architettura. Il candidato ideale, con età compresa tra i 30 ed i 40 anni, ha maturato un’esperienza di almeno 3 anni nella gestione di reti distributive estere, possiede ottima conoscenza della lingua inglese e preferibilmente di quella tedesca, è laureato e/o diplomato in materie economiche o con cultura equivalente ed ha buona conoscenza degli strumenti informatici. Completano il profilo dinamismo, energia, grinta, determinazione e forte orientamento agli obiettivi, buono standing, ottime capacità relazionale e comunicative e capacità di problem solving e disponibilità a frequenti trasferte sul territorio internazionale. Costituisce requisito di preferenza la provenienza da aziende del settore prodotti / materiali per edilizia così come la residenza in provincia di Pesaro - Urbino, ancona od in romagna. La sede di lavoro (quando in azienda) è in provincia di Pesaro - Urbino.


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