L'Olio della Poesia 2022

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Maria Grazia Calandrone

Giardino della gioia

L’Olio della Poesia 2022


Amministrazione Comunale di Carpignano Salentino

Serrano di Carpignano Salentino Borgo della poesia, 31 luglio 2022


Maria Grazia Calandrone

Giardino della gioia

L’Olio della Poesia 2022


Poesia, il sentire che diventa fare

I

l Borgo di Serrano sta in alto, osservatorio naturale, balcone che mira ogni orizzonte pensabile. La distesa degli ulivi oggi è ferita, forse tornerà a vibrare al vento quel verde-argento, forse no e allora, le vocazioni della terra daranno nuove possibilità al cambiamento, disperare non serve, meglio aver fiducia, sempre. La pace è nella speranza, nel possibile ravvedimento, nella colpa che muove la virtù; la poesia è la chiave, la poesia è dappertutto se sai scorgerla, se sai diventare poeta e con lo sguardo, con le mani, con i pensieri carezzare l’altro, le cose, le opportunità. Se sai muovere, nella pratica, un’altra concreta visione della vita. Esiste, non è utopia! Tanti ci riescono, con la loro sensibilità sono capaci di “fare dal nulla”. C’è una parola antica a cui siamo legati è POIESIS, “è il sentire che diventa fare, il radicarsi che diventa movimento, l’estetica che diventa etica”, su questo L’Olio della Poesia lavora, un cammino iniziato ventisei anni fa che, ogni anno, rinnova la sua portata e la riflessione sul senso della poesia, sul valore sempre presente e vivo dello sguardo sulle cose. *** Il Premio L’Olio della Poesia - diretto dal 1996 e fino allo scorso anno dal poeta Peppino Conte giunge alla sua ventiseiesima edizione e si apre a un nuovo cammino, a un pensiero corale che coinvolge, a cura del Polo Biblio Museale di Lecce, la rete delle Biblioteche della Grecia Salentina che divengono attivi “Laboratori e Osservatori di Poesia”, uno sguardo aperto al fare nelle tante declinazioni della poesia. Per questa XXVI edizione de L’Olio della Poesia abbiamo scelto guardando all’attività dell’autore, alla sua qualità letteraria ma, anche, alla sua militanza, al suo impegno per e con la poesia. Abbiamo chiesto a Maria Grazia Calandrone un pensiero-dedica sul Sud e una selezione di suoi scritti che svelasse la caratura intima del suo far versi, del suo confrontarsi con la materia poetica. Poesie, ma anche proponimenti “teorici” utili a svelare al lettore l’intenzione, il movimento che attraversa la scrittura, la motiva, la indirizza, la legittima. Mauro Marino


Trovare un Noi dove prima non c’era

Ho

sempre sospettato che la poesia di Maria Grazia Calandrone fosse misericordiosa, ora, dopo anni che la leggo e l’ascolto e la amo, ne ho piena certezza: a leggerla ci si sente perdonati e nutriti. Diversa da molte altre, la sua poesia è capace di creare un Noi dove prima non c’era, per questa ragione l’ho sempre letta con una sete, una fame e un desiderio, che percepivo unici e miei, pur essendo di tutti. Le parole poetiche della Calandrone non sono solo parole, sono azioni: modificano ciò che pronunciano. Abbracciano. Sono una carezza sulla testa. Mi è capitato spesso, e mi capita ancora davanti ai suoi più recenti testi poetici e a quelli in prosa, di guardare e guardarmi come se fosse la prima volta. Di vedermi nascere, di darmi nomi nuovi, scrutandomi riflessa nel luccicare a perdita d’occhio della mia vita. Tra i regali che un testo poetico può offrire al lettore, forse questo è il più bello: vedere le cose emergere bianche dal latte grazie alle parole del poeta. Mi capita, sì, leggendo i testi di Maria Grazia Calandrone mi capita sempre di ricevere regali di questo tipo. Così collego la sua scrittura all’idea del dono, all’idea di radice, nascita, nutrimento primario, maternità, e non perché Maria Grazia Calandrone sia una donna, una figlia o una madre, ma perché è viva. Non per genere, dunque, ma per respiro. La sua scrittura s’annoda alla potenza dei gesti umani, il primo e l’ultimo soprattutto, s’annoda e poi se ne libera, più e più volte, con un ritmo lessicale d’altissima consapevolezza. La sua è poesia che non si aggiunge alle cose, né a quelle si sottrae, piuttosto le concentra, le raddensa. La sua è poesia delle cose che non sono cose. Gli oggetti nella poesia della Calandrone, infatti, sono tanti e sono oggetti matrioska, oggetti memoria, morbidi grommi di materia trasfigurati dalla scrittura che ce li porge. Sono gli oggetti magici – anzi misericordiosi, come dicevo, e, per questo, praticamente


divini – di ogni viaggio eroico, che ricevuti dalle mani del maestro, aiutano ciascuno a diventare ciò che vuole essere, anzi: ciò che già è. Oggetti che emergono e scompaiono, che arrivano e se ne vanno, che muoiono, ma restano, che vanno ricercati e poi usati. Che vanno detti a tutti i costi. Oggetti onesti perché esposti in piena vista. Ripenso, in particolare, a quel lavoro di restituzione di senso, che la Calandrone ha scelto di mettere in prosa - Splendi come vita, Ponte alla Grazie, 2021 -, oramai pietra miliare di un percorso ragguardevole – un’autentica carriera, direi, se di carriera si può parlare quando si ha a che fare con un’arte tanto pura – fatto di parole dall’andatura sempre diversa e vasta. È una lettera alla madre adottiva, quel romanzo che tratta la verità, il peccato, la gioia e mille altri oggetti d’amore. L’abbandono, anche, inteso come domanda primaria, quella della quale tutti conosciamo l’eco, la cui puntura atroce sperimentiamo più e più volte nell’arco di un’esistenza sola. Quel testo esemplare parte da una certa idea di disamore, come da una crepa apertasi all’improvviso; da lì entra nel corpo come piccola dose di veleno; lo attraversa dall’interno, organo dopo organo, in una cronologia di eventi e di oggetti lucida e, nello stesso tempo, innamorata. Dunque lo ammala, modificandolo proprio grazie a quelle spinte auto conservative, che sono tanto naturali e necessarie e inevitabili per l’essere umano. Infine lo guarisce. Perché passare dal disamore all’amore, nominandoli entrambi, rende più forti. C’è un infinito coraggio in una ricostruzione così biografica - che lo strumento utilizzato sia quello della poesia o della prosa il coraggio richiesto è il medesimo -, c’è l’abbandonarsi ardimentoso al veleno del vivere. C’è in quel testo, ma c’è anche in altre raccolte poetiche dell’autrice - quali Serie Fossile e Il Giardino della gioia - nelle quali la poesia della Calandrone coincide con una pratica di scavo, di svelamento, di pulizia, intorno a questioni troppo a lungo taciute. Qui la parola è strumento non solo acustico e lessicale, ma acquista valenza biologica, antropologica e, conseguentemente, anche politica. Un simile attraversamento impone dei passi; sono passi obbligati, ma ugualmente sorprendenti: il veleno assunto a piccole dosi esatte deve svelare il corpo; il


corpo così avvelenato deve chiedere di essere sanato; le parole devono offrire al corpo ammalato il latte di cui ha bisogno. Tre fasi, tre atti narrativi, un solo antidoto bianco, nutriente, che fa risplendere le forme umane, mutandole: la poesia. Questo avvelenarsi è un gesto privatissimo, che la Calandrone espone senza vergogna e che, proprio per questo, diventa luce. E fa brillare d’amore. Un amore scritto, chiaro perché crudele, generoso perché totale. Un amore poetico che agisce sul corpo come il pane, dice Maria Grazia. Persino più del pane. Elisabetta Liguori



I

l Sud è una forma d’intelligenza del mondo che passa attraverso il silenzio. Ma silenzio interrotto da un suono di cicale, ma terra ampia e aspra interrotta dal rosso dei pomodori. La cifra del Sud credo sia l’interruzione: c’è qualcosa che scorre e c’è un inciampo. Nel paesaggio, nella politica, nel discorso tra gli uomini. L’inciampo porta a deviare, a sviluppare strade alternative: immaginazione, intuizione, oppure oscurità, lavoro condotto nell’ombra, nel sottosuolo. Lo sguardo a perdita d’occhio è solo lungo le coste. Ma, anche lì, occorre guardare sotto, oltre l’evidenza, scoprire il movimento sommerso. Delle parole, delle superfici. Il Sud è una continua allusione dovuta a un inciampo che rompe il silenzio. Questa la sua pericolosa bellezza, il continuo stupore dell’avversativa “ma”. Che, però, è anche abbreviazione della prima parola di ogni vita e di tutte le lingue: “mamma”. Maria Grazia Calandrone

Particolare di un ritratto fotografico di MG Calandrone realizzato da Barbara Ledda


ÿ


Come si sta bene nel corpo a Giacomo Calandrone, mio padre Non esiste la complessità della vita […] esistono soltanto le persone amate Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza

Com’è bello abitare un corpo – dicevi – come si sta bene nel corpo e portavi quel tocco di materia nervosamente allegra fino all’India remota, fino alle Russie. Poi, nella tarda estate del 1975, sei diventato un marchio di metallo bianco, un oggetto di uso comune che, a causa dell’abitudine, perde la forma. Sei diventato aria di gennaio, il vuoto sotto specie di mosca vertiginosa e io, seduta alla scrivania disertata dal corpo alto e magro – questa, con la lastra di vetro azzurro rotto in un impeto – nel buio metallico della sera in cui non saresti tornato


mai più, ho tagliato i capelli con le forbici e, crescendo, indossavo giacche di lana a quadri e orologi da uomo, sparavo coi fucili di legno da dietro le poltrone del salotto azzurro, ero l’eroe di Spagna. Riconosco la semplicità dell’amore di me bambina in questo tardo gennaio, nel quale scrivo imprevedibilmente di te, quarantacinque anni dopo la tua morte e mi viene a trovare una processione lenta di fantasmi, sagome trasparenti – altri soldati per gli stenti d’amore umano e la guerra. È una semina al vento, è comunismo. Ogni tanto qualcosa – un volto, una vita – fiorisce come un arcobaleno


dall’arazzo indistinto di figure lontanissime, grigie che porti tu, che non sei mai stato un uomo solo. Riconosco l’intelligenza del tuo essere moltitudine. Riconosco la malinconia attiva dei poeti e la fatica fisica di diventare opera senza salario arte.



GIARDINO DELLA GIOIA* ogni cosa che ho visto di te, te la restituisco amata tutta la vita è stata un esercizio per tornare al tuo corpo caldo come la terra eppure scrivo della solitudine di cocci d’osso in conche di sabbia scavate con gli occhi delle scimmie che cercano riparo corpi come scodelle rovesciate i catini del cranio colmi di cielo * profumavi di vino e di spiga matura, di casa con la finestra aperta sulla collina arata soprattutto al mattino sfolgoravi alla luce come acqua gettata sulle braci


la tua voce era nuda come acqua * riconosco dal passo l’animale che è stato vivo e non ha più riparo * a volte mi abbracciavi come si cerchiano i palazzi quando si crepano e la casa era piena del sibilo della corrente industriale e del tuo odore di tiglio e di marina ventilata […] * Da Giardino della gioia, Mondadori 2019


Intelletto d’amore La poesia è anarchica, risponde a leggi solo proprie, non può e non deve piegarsi a nient’altro che a se stessa. La sua legge interiore è ritmo, musica assoluta. Questo spiega la commozione che proviamo nell’ascoltare letture di poesia in lingue a noi sconosciute. Abbiamo l’impressione di comprendere anche se non capiamo le parole, perché le nostre molecole consuonano con la musica profonda della poesia, che è la stessa in ogni lingua: un ultrasuono, un rumore bianco. Una lingua invisibile, un ronzio nucleare traducibile per approssimazione, una sonorità che entra in risonanza con la parte più estranea e profonda delle nostre molecole e col rombo primario della materia che compone la sedia sulla quale sediamo. Come certa musica – penso al Chiaro di luna di Ludwig van Beethoven – è un linguaggio letteralmente universale: i poeti lo scrivono da sempre, ma le recenti scoperte astrofisiche lo confermano con rigore scientifico, non più solo intuitivo: il nucleo più profondo di noi è composto della stessa materia delle stelle. Parole di Margherita Hack: «Tutta la materia di cui siamo fatti l’hanno costruita le stelle. Tutti gli elementi, dall’idrogeno all’uranio, sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono


nelle supernovae, stelle molto più grandi del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno». Dalle scoperte ultimissime sappiamo ancora che metà degli atomi che formano i nostri corpi è materia prodotta fuori dalla Via Lattea, viene da una distanza che non si può commensurare. La vibrazione delle nostre molecole entra in risonanza materiale con la vibrazione dell’universo, fin dentro l’universo sconosciuto. Questa forza «che move il sole e l’altre stelle» è quella che Dante chiama «amore». La poesia intercetta il corale profondo e ininterrotto di questa forza, intona la sua voce al rombo delle stelle extragalattiche e al rombo primario della materia che compone la sedia sulla quale sediamo. È un oggetto fatto di parole sempre d’amore. E basta.


Fototessera di Lucia Galante Sotto il vestito buono preme l’esuberanza onesta della carne (tese le cuciture sulle spalle) ed è facile immaginare quel corpo muoversi sotto il cielo vastissimo del grano di maggio, stare nella compattezza di un’esistenza sola sotto il peso del cielo, sentire il peso del cielo e una valenza come di moltitudine che non va indagata mamma, se dal centro del grano risale lo stridore meccanico della tua morte immatura come il grano di maggio e perdonata come si perdona un papavero nella solitudine del grano, come si perdona la vita che non conosce altro che se stessa. Roma, 9 maggio 2017


Interiore invernale a Gaetana, mia nonna Ogni volta che ti penso – ma non è esatto scrivere che ti penso, semplicemente consisti nel peccato di amare la vita – vedo la cucina d’inverno, l’ammattonato a scacchi di graniglia bianca e verde, il carrello carico di broccoli e arance, le foglie generose e scure sporgere all’orlo delle buste, l’aria fredda, la brina sui vetri e il sole di mezzogiorno intiepidire la soglia di marmo, i vasi di gerani al davanzale, le arance sul vassoio, i pavimenti passati a cera. Un interno perfetto. E la tua muta presenza seduta come un sasso negli anni sulla riva del fiume, la tua esistenza concentrata all’angolo della cucina. Mentre il mondo cambiava (la guerra del Vietnam, Pasolini, Moro, la caduta del Muro di Berlino) tu come gli animali stavi senza domande. Senza dolore. Semplicemente esistere. Esistere


e basta. Essere casa come sono casa i corpi, gli abbandoni, le guarigioni. E il tuo corpo alla fine oltre il limite umano sporgeva chiaro all’orlo della vita come le foglie d’arancio dal carrello. Esistevi oltre il limite, per non lasciarmi sola. Curavi il disamore che sarebbe arrivato, nella mia vita come in ogni vita, con il tuo essere come la pietra d’angolo della realtà, quella che argina l’incrollabile vuoto della materia, l’albero appena prima del deserto. Roma, 28 agosto 2018


Risposta per Arturo Se anche mio figlio, ieri, col libro di grammatica greca aperto sul tavolo, sorridendo confuso tra il desiderio di non dispiacermi e il pragma della cosiddetta realtà, chiede: “A che serve?” io dico a voi, ragazzi: la bellezza è gratuità del gesto, come quando vi amate, è il momento preciso in cui un essere umano si stacca da terra, s’inginocchia e disegna un toro sulla parete della sua grotta, a Lascaux. Così, senza motivo. O ha scoperto il modo per non essere solo – e ha scoperto il modo per non morire. Roma, 6 marzo 2018


Contro l’esilio Siccome nasce come poesia d’amore, questa poesia è politica. * La prima volta che incontrai la persona che avrei amato quando ci salutammo provai la povertà d’essere al mondo, uno stento irreparabile dell’intero essere emerso. Fu più che una mancanza un mancamento: lo scodamento di un nero getto di plasma attraversava la costellazione MGC 1.9.6.4 (uno.nove.sei.quattro). Il bene lo riconosci così, quando vedi quel microcosmo, capace di ogni bene e male, allontanarsi sulla strada assolata e sai che, se ritorna, smetterà un dolore lungo tutta la vita, la nostalgia che non sapevi provare e stava


sconosciuta e vicina come l’ombra alle spalle, tua in silenzio e miseria come la gioia che con la neve dura. Roma, 20 luglio 2018


P – Persona «Una persona è quello che rimane quando è lontana», questo l’ho già scritto. Io sono qui e ti manco, perché ricordo solo quello che fa bene ricordare: ho setacciato l’oro dalla mia vita, l’oro della sabbia dell’infanzia, quando mia madre mi portava al mare e guardavo per ore come luccica il mare dai promontori. Non serve ricordare quando l’amore si trasforma in mostro. Non serve ricordare quante volte io sono già morta mentre ero viva. Non serve ricordare l’abbandono. Una persona è quello che contiene dopo che la vita ha lavorato il legno della vita fino alla midolla, fino a farne una barca leggerissima che tiene il mare sotto qualunque cielo. Io ricordo soltanto il luccicare a perdita d’occhio della mia vita. Se guardi bene, vedi una cosa viva. Se guardi bene, vedi che adesso finalmente sono solo viva. Roma, 31 dicembre 2018


Come si dice amore nella tua lingua «Le lingue non hanno confini, i confini sono solo politici» «Esiste una lingua invisibile alla quale attingiamo tutti» «Ogni scrittura è traduzione di un mondo» «Io attraverso le lingue che conosco in cerca della lingua universale». Questa è la vera avanguardia, la vera profezia per il futuro della specie. Fekrì, hubùn, dashùri sirèl, bhālabāsā, agàpi uthàndo, ài, jeclahày süyüü, obichàm, aròha lyubòv’, hkyithkyinnmayttàr khairtài, cariàd, upéndo amour, is bràe, snēhà maxabbàt, szerelém, rudo, ādaràya, fitiavàna liebe, evîn, miq’vàrs. Continuate in settenari chiari con questi suoni, nuovi come il mondo che dicono da prati e da foreste, igloo, capanne e palafitte, grattacieli e canoe: io, questo niente caduto nel sogno della materia, avrò cura di te fino alla fine del mondo. Roma, 9 febbraio 2019


Un misterioso albero-motore E poi un giorno c’investe un ordigno traslucente e radioso, che non abbiamo scelto e chiamiamo vita. L’impulso anima e flette un suo morbido grommo di materia viva, un insieme di organi legati – con tubicini, cavi e percolature – a una bocca che evoca il mare. Ma un impasto di conseguenze illogiche, di stranianti e disutili connessioni, inverte la dialettica di causa-effetto dell’inanimato, se è vero che l’amore, entro i limiti dati dalla sopravvivenza, influisce sul corpo più del pane. Intanto l’invisibile fabbrica chimica séguita a distillare, disseziona e sgocciola in cavità infinitesimali il frutto dissolto. Dunque un giorno veniamo in possesso del sogno della materia che misteriosamente, come vedi, si muove e appartiene a sé stessa e si pensa e lentamente impara a non ferirsi.


Alla fine, un’altezza con figure. Roma, 2 marzo 2018


Maria Grazia Calandrone è poetessa, scrittrice, giornalista, drammaturga, insegnante, autrice e conduttrice Rai, regista per «Corriere TV» dei videoreportage sull’accoglienza ai migranti “I volontari” e “Viaggio in una guerra non finita”, su Sarajevo. Tiene laboratori di poesia in scuole pubbliche, carceri, DSM. Premi Dessì, Europa, Lerici Pea, Metauro, Montale, Napoli, Pasolini, Trivio per la poesia, Bo-Descalzo per la critica letteraria. Ultimi libri Serie fossile (Crocetti 2015, Feltrinelli 2020), Gli Scomparsi – storie da «Chi l’ha visto?» (Pordenonelegge 2016), Il bene morale (Crocetti 2017), Giardino della gioia (Mondadori 2019), Fossils (SurVision, Ireland 2018), Sèrie Fòssil (Edicions Aïllades, Ibiza 2019), l’antologia araba Questo corpo, questa luce (Almutawassit Books, Beirut 2020), il romanzo Splendi come vita (Ponte alle Grazie 2021, semifinalista Premio Strega), Versi di libertà – Trenta poetesse da tutto il mondo (Oscar Bestsellers Mondadori 2022), Brilha como vida e A vida inteira (Relicário Edições e Editora Urutau, São Paulo, Brasil 2022). Porta in scena il videoconcerto Corpo reale. Ha curato la rubrica di inediti «Cantiere Poesia» per «Poesia» (Crocetti). Sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi paesi. www.mariagraziacalandrone.it MG Calandrone ritratta da Barbara Ledda



albero d’ulivo che sinora ha illustrato la copertina dei Quaderni de L’Olio della Poesia è lo stesso che illustrava la copertina della rivista L’Albero fondata da Girolamo Comi e dai sodali dell’Accademia Salentina nel 1949. Il disegno fu realizzato dal pittore romano Ferruccio Ferrazzi. Un segno di continuità che ha legato, in questi anni, il borgo di Serrano con Lucugnano, nel Capo di Leuca, dove ancora abita e governa lo “spirito d’armonia” dell’Avventura Comiana.

L’


L’Olio della Poesia

C’è

stato un tempo in cui, qui, in Salento, si facevano scommesse: su giornali, riviste, pittura, musica, teatro. Si facevano scommesse per stringere il nodo tra le forme della terra e quelle dell’arte. Quando si cominciò correvano gli anni Ottanta, e correvano molti sogni e pochi denari. A scommettere cominciò Antonio Verri, con “Pensionante de’Saraceni”. Tutto quello che è venuto dopo è stato provocato da quella scommessa travolgente e lucidamente incosciente. Anche “L’Olio della Poesia” viene da lì. Probabilmente nessuno avrebbe immaginato che sarebbe durata ventisei anni, innalzando il livello della qualità di anno in anno, radunando, di anno in anno, sempre più persone nella piazza di Serrano, oltrepassando gli orizzonti del Salento, della Puglia, del Sud. Quando si cominciò era il tempo in cui si aveva convinzione che fosse indispensabile pensare e realizzare i progetti insieme, tessendo rapporti tra persone con idee diverse, passioni diverse. Si pensava che tra il luogo che si abita e le forme d’arte che si praticano deve necessariamente verificarsi una condizione di reciprocità, di rispecchiamento: in altre parole si pensava che fosse necessario un sentimento della terra: di questa terra. Ci sono cose che si fanno per la terra: per questa Terra, questo Salento, questo Sud del Sud, questa Terra d’Otranto, questa provincia difficile, questa periferia infinita, questa estremità, questa Finibusterrae, per la sua gente, per quelli che ci sono, che ci sono stati, per quelli che verranno. Ci sono cose che si fanno perché se ne avverte il dovere, e il sentimento. Quando si cominciò erano tempi in cui si considerava che per saltare i confini metaforici dei muretti a secco, fosse necessario pensare e lavorare insieme, anche sognare insieme, concertando persone, idee, passioni, energie, istituzioni.


Si era già alla metà giusta degli anni Novanta. Tanto tempo fa. Appena ieri. Per qualsiasi avventura culturale, ventisei anni sono tanti. In ventisei anni si corre il rischio di ripetere forme, formule, contenuti. Oppure di determinare punti di riferimento. Per “L’Olio della Poesia” si è verificata la seconda condizione: è un’esperienza che si è trasformata in un punto di riferimento, in un’espressione di politica della poetica, ma anche in una circostanza d’incontro, in un appuntamento implicito tra amici, che in ventisei anni sono cambiati ma che, senza dirlo, conservano ancora quella passione che avevano quando i ventisei anni non erano passati, quando non mancava nessuno, proprio nessuno. Ora, quando ci si ritrova lì, in piazza a Serrano, c’è qualcuno che manca. Ma neanche questo si dice. Si sente che manca qualcuno: si sente e basta. Allora “L’Olio della Poesia” serve anche alla memoria: a quella che conta per ciascuno e a quella che conta per tutti. Perché qualunque altra iniziativa che intenda coinvolgere il pubblico della poesia, con questa dovrà inevitabilmente confrontarsi. Bisogna dirlo, con umiltà e onestà: il Salento non sarebbe com’è, non avrebbe l’immagine che ha, se non ci fossero stati e non ci fossero le riviste, il suo teatro, i suoi editori, i pittori, i poeti, i narratori, i giornalisti, gli attori, se non ci fosse “L’Olio della Poesia” e quella gente che riempie la piazza di Serrano una sera d’estate, e quell’altra che non ci viene ma all’amico si raccomanda di prendere una copia in più del “Quaderno” con i testi del poeta ospite che l’editore Manni in questi anni ha pubblicato con la cura di Massimo Melillo e con un intervento di chi ha scritto finora queste righe. Antonio Errico


La poesia, la piazza, le persone di Peppino Conte cofondatore e direttore artistico, per venticinque anni, de L’Olio della Poesia

L’

idea de “L’Olio della Poesia” è nata in una sera d’estate del lontano 1995, nell’atrio di Palazzo Lubelli in Serrano di Carpignano Salentino, durante un incontro di poeti e musicisti salentini, promosso e patrocinato dall’Assessorato di quel Comune (Assessore Osvaldo De Donno) e voluto e organizzato da chi qui scrive. Il titolo dell’iniziativa, che ebbe notevole successo e che vide la partecipazione – inaspettata – di un pubblico interessato e numerosissimo, era “La poesia e il suono”. Destò tanto interesse che ad uno degli intervenuti (non uno qualsiasi, ma a Giovanni Invitto, filosofo e docente universitario presso l’Ateneo Salentino, oltre che – a quel tempo – Assessore provinciale con delega alla Pubblica Istruzione) venne in mente, e lo disse pubblicamente, che si impegnava in prima persona di considerare quella esperienza il presupposto di una manifestazione più corposa, più ampia, per creare un momento e un’occasione importante per la cultura non solo salentina. Così fu! L’anno successivo - dopo alcuni incontri preparatori avvenuti nella sede del Comune di Carpignano e nel mio studio presso la Provincia di Lecce, con il professore Invitto, il professore De Donno e con la partecipazione dei più qualificati esponenti della cultura salentina e del mondo accademico - si varò il debutto della manifestazione. Nelle prime edizioni, oltre al Comune di Carpignano, attiva è stata la collaborazione finanziaria della Provincia di Lecce e di altre istituzioni pubbliche. Successivamente è stato il Comune di Carpignano ad organizzarla e a finanziarla totalmente, continuando ad affidare – a titolo gratuito – con deliberazione di giunta la direzione artistica dell’intera manifestazione a me, Peppino Conte.



Il titolo “L’Olio della Poesia” è un sincretismo, condensa in se significati e metafore, cogliendo e coniugando i nessi storici e letterari, reali e fantastici, ambientali e magici, economici e umani propri della nostra regione salentina. Un territorio che vive eternamente gli ossimori di un’esistenza che ha saputo sempre partorire, con laboriosità e con sacrificio, testimonianze indelebili di impegno, di produttività, di maturità, di fantasticheria. In questo contesto è nata la manifestazione che da ben 25 anni si svolge nel borgo di Serrano, alla fine di luglio di ogni anno, nella splendida Piazza Lubelli. Tante sono le persone che ormai non solo dal Salento, ma anche da fuori regione, partecipano con vivo interesse all’appuntamento. Uno degli obiettivi principali che fu posto nelle discussioni fondative fu quello di voler sdoganare la Poesia dai cenacoli intellettuali, pane dei soli poeti e degli studiosi. C’era la necessità di tirarla fuori dalle accademie e dai salotti per portarla nel posto più idoneo all’incontro delle persone: la Piazza; il cuore della comunità, dove si sta con gli amici a parlare dei problemi quotidiani, dove ci si stringe la mano e insieme si prende un caffè. In quelle riunioni parve subito originale e unica l’idea di premiare il poeta invitato offrendo dell’olio extravergine di olive prodotto dai nostri coltivatori, oltre ad un breve soggiorno nel Salento. Il poeta – da parte sua – avrebbe donato al Salento i suoi versi, pubblicati in un quaderno, stampato in mille copie numerate e fuori commercio, distribuito gratuitamente la sera della manifestazione. L’Olio della Poesia è così diventato una particolare forma di baratto, che ha visto in Serrano la presenza dei più importanti poeti italiani, ma anche alcuni dei più noti poeti internazionali. Gli obiettivi che avevamo e che sono stati raggiunti, erano non solo promuovere la Poesia e portarla tra la gente, condividerla con i giovani e i ragazzi, ma anche dare visibilità al territorio nei suoi diversi aspetti: turistici, economici, artistici, ambientali, ma, soprattutto, umani.


Da questa esperienza, ormai consolidata e attesa anche dai tanti turisti che affollano il Salento, L’Olio della Poesia è divenuto punto di riferimento della operosità culturale del nostro territorio se è vero, com’è vero, che l’iniziativa stessa è divenuta la più importante del Salento e una delle più importanti del meridione d’Italia che riguarda la poesia e i poeti. Ecco le caratteristiche di una manifestazione di poesia che non si ferma solo alla poesia – anche se la poesia vive in pieno – ma che si nutre di entusiasmi, di antiche abitudini, di antiche amicizie, di antichi sapori, di luce soprattutto e colori tutti salentini eppure universali, di parole, di suoni, di profumi. Ecco la vera anima di un impegno che tende a stimolare le coscienze e ricercare il vero senso della bellezza, a colorare in ciascuno il percorso del proprio viaggio interiore, i propri sogni, a snellire le tante ansie; a ritrovare in ogni alba, anche se dura e faticosa, la gioia di vivere, l’assoluta necessità di superare anche le immancabili sconfitte. Ecco la necessità della poesia, dell’olio. Ecco il necessario metabolizzarsi di due alimenti che nutrono allo stesso modo l’anima e il corpo e rendono l’Uomo elemento centrale del viaggio verso la conoscenza e soprattutto verso l’autoconoscenza, cosa quest’ultima assai importante.

Nella pagina precedente Peppino Conte ritratto da Daniele Coricciati.


Premio Salento d’Amare 2022

Il Premio Salento d’Amare 2022 va alla Fondazione SYLVA presieduta da Luigi de Vecchi, esperienza attiva nella rinascita ambientale del nostro territorio, testimone, con il suo operato, del drammatico degrado ambientale subito dal Salento negli ultimi decenni, a cui ha contribuito, in maniera devastante, l’epidemia causata del batterio Xylella fastidiosa. Una crisi multidimensionale che da ambientale e paesaggistica è divenuta socio-economica colpendo il quotidiano vivere delle persone e il mercato del lavoro.


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La Fondazione Sylva è nata nel Marzo 2021 con lo scopo di rigenerare il paesaggio attraverso il rimboschimento. Il cambiamento climatico sta mettendo a rischio la sopravvivenza del pianeta e delle future generazioni e ogni individuo deve adoperarsi immediatamente per proteggere il patrimonio ambientale attraverso pratiche virtuose. La Fondazione è nata avendo preso atto del disastro ecologico che ha colpito il Salento, una terra le cui sterminate distese di olivi secolari sono state falcidiate in meno di dieci anni da un batterio molto aggressivo (Xylella Fastidiosa). Riteniamo che il Salento quale appare oggi, sia purtroppo premonitore di quanto velocemente i paesaggi saranno trasformati dal cambiamento climatico, con conseguenze sulla qualitá dell’aria se al più presto non sapremo porre rimedio. Invertire il corso del cambiamento climatico é una sfida complessa e Fondazione Sylva vuole iniziare da un’azione concreta come piantumare quanti più alberi possibile, sperando che la realizzazione di questo progetto ispiri tante altre azioni ugualmente virtuose che abbiano come obiettivo non solo proteggere il patrimonio ambientale ma anche generare lavoro e modi di produrre e di consumare compatibili con lo sviluppo sostenibile. Inoltre la piantumazione è l’unica soluzione a breve termine per assorbire l’eccesso di CO2 e limitare l’aumento della temperatura. Le cinque “S” della Fondazione SYLVA SALVARE : contribuire alla conservazione del territorio e della qualità dell’aria per le future generazioni attraverso la piantumazione del maggior numero possibile di alberi specializzandosi nella progettazione e nella realizzazione di aree verdi rigenerate. SENSIBILIZZARE : l’opinione pubblica sulla necessità di riforestare e prendersi cura del patrimonio ambientale, essenziale per le future generazioni, attraverso progetti forestali, artistici e con percorsi formativi anche nelle scuole. SOSTENERE: progetti di agro-forestazione compatibili con la rigenerazione del suolo e collegati con il tessuto produttivo locale. SVILUPPARE: modelli di rigenerazione del paesaggio e socio-economica da replicare nel territorio. SELEZIONARE: scegliere piante in base alla vocazione del territorio, specie autoctone, proteggendo la biodiversità locale per rispettare e preservare il paesaggio»*. *https://fondazionesylva.com/


Premio MILLENNIUM 2022

Il Premio MILLENNIUM 2022 va agli allievi dal Liceo coreutico, musicale, artistico audiovisivo e multimediale “Enrico Giannelli” di Parabita interpreti e “artefici” del film documentario “Terra di Mezzo” condotto, nella sua realizzazione, da Edoardo Winspeare e prodotto dall’Istituto con a capo il Dirigente Scolastico Cosimo Preite. Un virtuoso esempio di consegna, alle nuove generazioni, della complessità storico-poetica del Salento, “Terra di Mezzo”, incrocio e luogo di incontro, nella sua storia millenaria, di culture e di popoli.


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L’IISS “E. Giannelli” è intitolato al pittore Enrico Giannelli (1854-1945) per aver fondato nel paese della madre una scuola serale di disegno nel lontano 1904. Sulla scorta dell'iniziativa del Giannelli, nell'ottobre del 1960 è istituita a Parabita una “Sezione distaccata della Scuola Statale d'arte di Galatina” per le sezioni dell'”Arte dei Metalli e della “Decorazione plastica con applicazione dell'intaglio su pietra”. Il primo Direttore fu il maestro prof. Luigi Gabrieli di Matino. Nel 1964, la sezione “Decorazione plastica” è sostituita dalla sezione “Arte del Mobile” e dal 1° ottobre 1966 la Scuola d'Arte di Parabita e altre diciotto scuole d'Arte, sono trasformate in Istituti d'Arte: vengono confermate le sezioni “Arte dei metalli” e “Arte del Mobile” e introdotta la sezione “Arte del tessuto”. A partire dall’anno scolastico 2007 - 2008, con l’insediamento del nuovo Dirigente Scolastico, Cosimo Preite, pedagogista ed esperto di politiche sociali e del lavoro, la scuola ha conosciuto una profonda trasformazione arricchendosi di più indirizzi, di nuove sedi e trasformandosi in Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore. L’I.I.S.S. “Enrico Giannelli” di Parabita ha avviato, in questi ultimi sei anni, un processo di apertura dell’ istituzione scolastica, scaturita da una visione della scuola, quale centro nodale di crescita socio-culturale e di mediazione delle istanze territoriali, basato sul confronto, la cooperazione e l’interazione, tra la scuola e le realtà socio politiche territoriali. Le prime azioni istituite sono state orientate all’attivazione di Reti e protocolli d’intesa con gli attori, economici, sociali, sindacali , datoriale e politici, al fine di avviare azioni di sistema che potessero sostenere i giovani nei processi di orientamento professionale e di inclusione lavorativa. Il primo è stato il protocollo d’intesa interistituzionale, denominato “Agorà, formalizzato da diversi attori: enti locali, istituzioni scolastiche del territorio, oltre che dallo stesso Ufficio Scolastico Provinciale e dall’Ente-Provincia di Lecce. Il dialogo con i suddetti partner del territorio ha arricchito l’azione scolastica di un background indotto dall’esperienza del partenariato che ha portato in quest’ultimi anni al potenziamento dell’offerta formativa con l’istituzione del Liceo Musicale e Coreutico, Sezione Musicale e Sezione Coreutica. (…) L’Istituto ha agito in questi ultimi anni una vera e propria strategia di approccio al territorio, la CULTURA DELLA RETE, nella convinzione che, la rete rappresenti, non solo uno spazio di informazione, relazione, condivisione e creazione di valore, ma uno straordinario strumento di trasformazione culturale e produzione collettiva di senso»*. *https://www.iissparabita.it


I poeti e i titoli dei Quaderni de L’Olio della Poesia curati da Massimo Melillo e pubblicati, fino al 2019, - ciascuno in 999 copie numerate - dall’editore Manni 1996 - Edoardo Sanguineti, COROLLARIO 1996 1997 - Mario Luzi, CORO 1998 - Giovanni Raboni, CINQUE STROFE 1999 - Alda Merini, L’INTIMA MORTE DELLA PAROLA 2000 - Nico Orengo, BIANCO ROSA E ROSSO 2001 - Francesco Guccini, DI MEMORIA & D’AMORE 2002 - Arturo Morales, SMARRIMENTI DEL MONDO (Extravìos del mondo) 2003 - Roberto Vecchioni, PASSERANNO I GIORNI PASSERÀ L’AMORE 2004 - Hanan Awwad - Meir Wieseltier, VOCI DAL MURO 2005 - Valerio Magrelli, DA NOI NON FA MAI NOTTE 2006 - Ruy Duarte De Carvalho, GEOGRAFIA DELLE VOCI (E ALTRE TERRE) 2007 - Ali Esber Adonis, ALBERI 2008 - Tiziano Scarpa, LU POETO S’ADDAVENTA FANTASMO 2009 - Giuseppe Conte, NON FINIRÒ DI SCRIVERE SUL MARE 2010 - Milo De Angelis, FINALE D’ASSEDIO 2011 - Jolanda Insana, AMARO È IL LUPPOLO 2012 - Vivian Lamarque, A VACANZA CONCLUSA 2013 - Franco Loi, CUME ME PIAS EL MUND 2014 - Maurizio Cucchi, LE STORIE LE CREATURE LE COSE 2015 - Biancamaria Frabotta, PER IL GIUSTO VERSO 2016 - Elio Pecora, SCRIVO DA UN MONDO STRETTO 2017 - Antonella Anedda, LA PAROLA SI SPACCA COME LEGNO 2018 - Silvio Ramat, LE CHIAVI DI CASA 2019 - Giancarlo Pontiggia, RAMI, SELVE, NOMI D’AMORE 2020 - I Versi dell’Olio della Poesia diffusi per le strade del Borgo di Serrano 2021 - Giulio Rapetti Mogol, SULLA COLLINA DELLE EMOZIONI


I premiati de L’Olio della Poesia 1996 - Edoardo SANGUINETI 1997 - Mario LUZI 1998 - Giovanni RABONI 1999 - Alda MERINI 2000 - Nico ORENGO 2001 - Francesco GUCCINI 2002 - Arturo MORALES 2003 - Roberto VECCHIONI 2004 - Hanan AWWAD - Meir WIESELTIER 2005 - Valerio MAGRELLI 2006 - Ruy DUARTE DE CARVALHO 2007 - Ali ESBER ADONIS 2008 - Tiziano SCARPA Premio Millennium ad Anna Palmieri – Libreria Palmieri di Lecce Premio Salento d’Amare al professore Roberto Cingolani 2009 - Giuseppe CONTE Premio Millennium alla Libreria Liberrima di Lecce Premio Salento d’Amare ad Antonio Caprarica, scrittore, giornalista inviato RAI 2010 - Milo DE ANGELIS Premio Millennium alla rivista di poesia L’Incantiere Premio Salento d’Amare a Giorgio Forattini 2011 - Jolanda INSANA Premio Millennium all’Associazione Culturale Fondo Verri Premio Salento d’Amare a Marilù Lucrezio, giornalista, inviata RAI


2012 - Vivian LAMARQUE Premio Millennium al docente Alessandro Macchia, docente di Lettere - Scuola Media di Carpignano Premio Salento d’Amare a Ivan Fedele, musicista salentino direttore musicale della Biennale di Venezia. 2013 - Franco LOI Premio Millennium a Cosimo Lupo Editore Premio Salento d’Amare a Roberto Vecchioni (già premio Olio della Poesia). Assegnazione delle targhe alla memoria dedicate a Gino Pisanò e Antonio Leonardo Verri. 2014 - Maurizio CUCCHI Premio Millennium al poeta Maurizio Leo Premio Salento d’Amare a Vinicio Capossela 2015 - Biancamaria FRABOTTA Millennium alle Edizioni Il Raggio Verde Salento d’amare all’attrice Paola Pitagora 2016 - Elio PECORA Premio Millennium alla memoria di Mino Carbone Premio Salento d’Amare al musicista e compositore Guido De Angelis 2017 - Antonella ANEDDA Premio Millennium a Gerardo Pellegrino della Libreria Europa di Maglie Premio Salento d’Amare all’attrice Stefania Rocca 2018 - Silvio RAMAT Premio Millennium all’Editore Luciano Pagano - Musicaos Premio Salento d’Amare a Edoardo Winspeare


2019 - Giancarlo PONTIGGIA Premio Millennium a Farmacia Letteraria di Maria Assunta Russo Premio Salento d’Amare a Gianni Ippoliti 2020 - I Versi dei Poeti de L’Olio della Poesia diffusi per le strade del Borgo di Serrano 2021 – Giulio Rapetti MOGOL Premio Millennium a “ITACA MIN FARS HUS” Martano Premio Salento d’Amare a Luciano Villanova, titolare dell’Azienda farmaceutica salentina LACHIFARMA Hanno ricevuto il premio Salento d’Amare anche Michele Mirabella, Roberto Cotroneo, Gherardo Colombo.


Hanno collaborato con l’Amministrazione Comunale di Carpignano Salentino alla realizzazione della XXVI edizione dell’Olio della Poesia il Polo Biblio Museale di Lecce Mali Ghetonìa - Rete delle Biblioteche della Grecìa Salentina la Presidenza del Consiglio Regionale della Puglia la Provincia di Lecce la Grecìa Salentina il Comune di Cursi la Pro Loco di Serrano la Cooperativa San Giorgio Frisulli Arredamenti Tenuta Furni Russi ClioCom


Questo quaderno è stato impaginato e curato da Mauro Marino con la collaborazione di Massimo Melillo, Sara Saracino e Daniele Coricciati. Impresso da Industria Servizi Grafici srl, Soleto (Le) nel luglio 2022 per conto dell’Amministrazione Comunale di Carpignano Salentino in 750 copie numerate con cifre arabe riservate ai partecipanti all’incontro con la poetessa Maria Grazia Calandrone il 31 luglio 2022 in Piazza Lubelli, a Serrano, borgo della poesia, di Carpignano Salentino.


La poesia è testarda non intende fare la morale a nessuno, non vuole insegnare nulla, non pretende di indicare quale che sia la giusta strada. Questo forse è il suo limite e spesso rischia di essere deturpata da croste intellettuali, delle quali non ha assolutamente bisogno. (...) La poesia non dà ricette di felicità, viaggia su un’altra dimensione, propone e lotta per promuovere VALORI: il valore della Libertà, della pace sociale, della giustizia, del rispetto degli altri, del rispetto dell’ambiente, della speranza. Lotta contro l’asservimento al potere, contro l’annientamento del libero pensiero; lotta contro tutte le sopraffazioni, contro chi quotidianamente annienta e calpesta i normali diritti umani. La poesia è fascino, è emozione. Attiva sentimenti, è turbamento, è straripamento di sogni, è soprattutto un canto libero all’amore, all’amicizia, all’incontro. La poesia è ricerca di bellezza. Bellezza intesa non solamente come bellezza fisica di una donna o di un uomo (anche questo è importante), ma bellezza che significa soprattutto impegno quotidiano nel lavoro, rispetto delle regole, rispetto delle libertà degli altri, è progetto di futuro. La Poesia è inno alla VITA”. Peppino Conte


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