"Perché irridere l’altro? Perché non maturare, invece, un riso in grado di avvicinarmi all’altro?
Ridere con l’altro, in una sorta di familiarità gioiosa, che diventa liberatrice per me con l’altro; per l’altro con me.
Il riso dovremmo significarlo non da solo; come chi ride dell’altro dovrebbe uscire dal proprio sguardo univoco, ristretto, per il quale l’altro è un ‘egli’ (non un tu) da sottoporre a valutazione: negativa, dunque, visto che ‘fa ridere’.
Meglio non ridere ‘di’ qualcuno, bensì ‘con’ qualcuno: scoprire nel riso il gioco, considerato nella sua creatività non confinante, sì da coincidere con il propendere verso l’indeterminazione delle regole seguite ‘per gioco’."
Dall'Editoriale di Carlo A. Augieri
(http://www.milellalecce.it/generazionidiscritture.html)