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13/05/2011 www.milanox.eu

biodiversità: un capitale da salvare di Simona Galasso

IPerché Pazzi Siamo Noi? il governo vuole oscurare il referendum sul nucleare, di Greenpeace L’ambiente non gode di ottima salute, la biodiversità del pianeta è a rischio e la Commissione europea prova a correre ai ripari. O meglio, ci riprova. In un documento appena pubblicato, Our life insurance, our natural capital: an EU biodiversity strategy to 2020, Bruxelles raccomanda i sei obiettivi che i paesi europei dovrebbero raggiungere per contrastare quella che viene definita “la più grave minaccia ambientale insieme ai cambiamenti climatici”, cioè la perdita di biodiversità. Peccato, però, che a dieci anni di distanza dall’ultima strategia varata dalla stessa Commissione, solo il 17 % degli habitat e delle specie e l’11 % degli ecosistemi chiave già protetti dalla normativa europea godano di una condizione che può essere definita soddisfacente. Tutto il resto è degrado, inquinamento, erosione, estinzione. Secondo la Fao il 60% degli ecosistemi del mondo vengono sfruttati senza tener conto della sostenibilità ambientale e ogni anno vengono distrutti 13 milioni di ettari di foreste tropicali. Solo negli ultimi vent’anni è andato perduto il 75% della biodiversità agricola. Il piano della Commissione, in linea con il pacchetto di misure e gli impegni internazionali presi lo scorso anno alla Conferenza delle parti per la Convenzione sulla Diversità Biologica a Nagoya, in Giappone, prevede la realizzazione di sei punti che vincolino le principali politiche nazionali alla tutela della biodiversità: la piena attuazione della normativa vigente per la conservazione della natura e della rete di riserve naturali finalizzata alla protezione degli habitat e delle specie animali e vegetali; l’incremento di infrastrutture verdi; la sostenibilità delle attività agricole e forestali; la salvaguardia degli stock ittici dell’Unione Europea; il monitoraggio delle specie invasive, ritenute tra le cause crescenti di perdita della varietà di specie e geni; un maggiori contributo finanziario dei paesi Ue all’azione concertata a livello internazionale. Tutto questo servirebbe a preservare l’ambiente da quelle che vengono individuate come le maggiori cause del suo degrado, cioè l’utilizzo dissennato del territorio, l’inquinamento, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, la diffusione incontrollata di specie non autoctone, nonché l’effetto dei cambiamenti climatici. Secondo Bruxelles la crisi dell’ecosistema e il tasso di estinzione delle specie animali e vegetali si traducono anche in ingenti perdite economiche, non ancora del tutto stimate. Invertire la rotta servirebbe dunque a creare il rilancio dell’economia e nuove opportunità di occupazione, per un giro d’affari che il TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) stima fra i 2 e i 6 trilioni di dollari entro il 2050. La biodiversità come occasione di business, dunque? La Commissione europea la definisce “capitale naturale”, vedremo se saprà farlo fruttare. Appuntamento tra dieci anni, al prossimo documento Ue.

Il Presidente del Consiglio sostiene che sul nucleare noi italiani non possiamo votare: troppo fragili ed emotivi per poterci esprimere in modo saggio e responsabile su una questione che vincola il nostro Paese per i prossimi secoli. In ballo ci sono rischi sanitari (con un dimostrato aumento di leucemie nei pressi delle centrali), di disastri (dal terrorismo ai terremoti) e costi esorbitanti (almeno 7 miliardi di euro a reattore, senza contare lo smaltimento delle scorie). Su un tema come questo servirebbe un dibattito informato, ma continuano a circolare bufale, come quella che l’Italia “dipende” per il 20% dall’energia elettrica prodotta dal nucleare in Francia. La cifra in questione è clamorosamente smentita dal gestore della rete che sul suo sito web (www.gse.it/ GSE Informa/Pagine/FuelMix20082009. aspx) ci informa che solo l’1,5% dell’energia elettrica usata in Italia (dati ultimi: 2009) proviene da nucleare importato. L’esperienza di Fukushima, rapidamente sparita dai mezzi d’informazione, ci insegna che il nucleare è un po’ come una roulette russa: Cernobyl ebbe un peso non trascurabile, con i suoi costi, nel crollo dell’impero sovietico. Oggi il Giappone sta disperatamente lottando con una centrale impazzita potenzialmente assai più pericolosa: se nell’unità 4 di Cernobyl c’erano circa 190 tonnellate di combustibile radioattivo negli impianti “incidentati” di Fukushima si arriva a 2.400 tonnellate. Senza contare la presenza di MOX, miscela che oltre all’uranio presenta anche il plutonio: pochi milligrammi bastano a causare cancro agli animali in laboratorio. E’ sparita (anzi, non è mai arrivata…) anche la notizia che in Giappone il post Fukushima è già partito: il Primo Ministro Kan ha chiuso la discussa centrale di Hamaoka dove, su una faglia sismica (tanto… che può succedere!), dal 1976 al 2005 sono stati costruiti cinque reattori (due erano già fermi: stessa tipologia di quello di Fukushima). Si suppone e si spera che non sia l’ultima. Intanto, la Rainbow Warrior di Greenpeace non ha avuto il permesso di realizzare campionamenti nelle acque territoriali del Giappone (sono stati raccolti campioni di acqua, alghe e pesci comprati dai pescatori a oltre le 12 miglia dalla costa) ma alcuni dei

test che avevamo proposto sono stati poi “magicamente” realizzati dalla TEPCO che ha così scoperto fondali marini con radioattività da 100 a 1000 volte oltre la norma. Qui in Italia l’andazzo era tristemente prevedibile. Il referendum è stato oscurato al punto tale che il Presidente della Repubblica ha dovuto richiamare la dirigenza RAI, azienda che si presume pubblica, alla piena e tempestiva attuazione di un regolamento sulla par condicio che la Commissione di Vigilanza ha ritardato per qualche tempo. Nel frattempo, si segnala la simpatica iniziativa della Fondazione intestata al Presidente dell’Agenzia sul Nucleare (soggetto che a norma di Regolamento Comunitario dovrebbe essere imparziale sul tema) che nelle scuole organizza iniziative di propaganda pronucleare spacciate col nome de “I giorni della scienza”. Auguri a Veronesi e… anche alla scienza. Insomma, nell’impazzimento generale chiedersi se i pazzi sono quelli che il nucleare ce lo vogliono far ingoiare a costo di far saltare tutte le regole o se siamo noi (che le regole le vorremmo veder applicate) non è una domanda peregrina. Privarsi della propria libertà e vivere rinchiusi in un rifugio, come se vicino casa fosse successo un incidente nucleare, è una risposta originale, forse estrema, ma interessante. Giorgio, Alice, Alessandra, Pierpaolo e Silvio per un mese intero hanno scelto di vivere sulla propria pelle – sostenuti da Greenpeace - l’esperienza di un rifugio anti-radiazioni, una casa da cui non si esce e dove si seguono quelle precauzioni per minimizzare l’esposizione a seguito di un incidente nucleare. Niente insalata, niente latte, formaggio, carne o pesce freschi. Solo internet per comunicare. È un atto estremo per far sentire le proprie ragioni e difendere il proprio futuro e per ribadire che i pazzi non sono loro che rinunciano a pizzeria, discoteca, cinema e bagni al mare: i pazzi sono quelli che vogliono portare il nucleare nel nostro Paese! Questo gruppo ha un obiettivo: comunicare le ragioni del No al Nucleare e convincere le persone a votare Sì al referendum del 12 e 13 giugno. Stare zitti adesso? Questa sì che è una cosa da pazzi. dite la vostra su www.ipazzisietevoi.org

Era chiaro che con la bella stagione tutti si muovessero. Dunque in questo periodo c’è un brulichio di inaugurazioni, feste, lavori ai quali sarebbe un peccato non fare attenzione: le iniziative che fioriscono in città sono tra loro diversissime, e proprio per questo è interessante andare a vedere come viene declinata la stessa filosofia di fondo. Visto che gli orti dei conventi sono uno degli archetipi più forti nella mente di ogni ortista (simbolo di autonomia, perfezione del lavoro, ideale rapporto con la natura) la chiesa non poteva certo sottrarsi alla grande chiamata. Non quella tradizionale, cattolica e beghina, chiaro. Infatti ci ha pensato la chiesa evangelica luterana, piccola realtà voluta dai migranti svizzeri e tedeschi 150 anni fa. Così nel giardino della chiesa, un edificio in stile gotico lombardo in via De Marchi, nello spazio dove al nord di solito si trova il cimitero (ed è bello provare a immaginare che ce ne sia stato uno), sono spuntate delle aiuole rialzate, ordinate in cassoni di legno, e piante di melanzana, peperone, pomodoro, aromatiche, e perfino un profumatissimo cespuglio di liquirizia. E’ un community garden gestito da un gruppo di famiglie che faranno i turni per curare le piante, anche se la produzione non è certo il motivo principale per cui l’orto è stato fatto. L’orto della Fede sta lì a dimostrare che un orto può nascere con poco, serve a tirare i fili tra le persone, rivela la cultura del fare, ma anche del mangiare. Una festa laica, di riappropriazione contadina è prevista invece per domenica 15 al Folletto di Abbiategrasso, dove è stato deciso di prendere possesso di un’area ex orto abusivo, sgomberato malamente dopo 30 anni di utilizzo, che confina con un’area selvatica e naturale bellissima. Sono invitati tutti gli ortisti, dilettanti, ideali o reali, con zappe, braccia, piantine, idee, per fare in modo che braccia e cervelli possano danzare insieme. Ci saranno narrazioni su orti e ortisti, lavori agricoli veri e propri, e una merenda en plen air che permette anche ai cuochi di passaggio di dare il meglio di se. Appuntamento dalle 10 in poi in via Papa Paolo sesto (di fronte area Siltal), Abbiategrasso.


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