

Verdi in Posa
21-25 Giugno 2022 Milano, Palazzo Marino Fotografie di Ferdinando Cioffi

Transitato giovanissimo dagli studi newyorkesi dei grandi maestri Richard Avedon e Irving Penn, da cui ha appreso i segreti del ritratto fotografico, Ferdinando Cioffi, fotografo luminista, sviluppa ben presto una particolarissima sensibilità nel trattamento della luce. Al pari dei soggetti che ritrae, questa è protagonista indiscutibile di ogni sua immagine. Definisce con profusione di particolari il modellato di figure che si stagliano sul fondo assumendo un tono eroico e solenne. Nei ritratti di Cioffi, l’ambiente concorre in misura determinante a descrivere il profondo di ogni soggetto umano. Anziché stagliarsi contro lo sfondo omogeneo e neutro di uno studio di posa, molti sono ripresi nei luoghi dove abitano o svolgono la propria professione. Talvolta si confondono con lo spazio delimitato dall’inquadratura. Poi la scena viene riempita con oggetti appartenenti alla biografia di ciascuno. Come nelle opere indimenticabili di Arnold Newman, spesso si tratta degli oggetti che utilizzano per il proprio lavoro, o sono il frutto di quel lavoro. Funzionano come didascalie. Dichiarano indubitabilmente di chi si tratta senza usare parole. Così Fernando Botero è sovrastato dalle ipertrofiche sculture che ha realizzato per i musei e le città di tutto il mondo, Boltanski è in piedi di fronte ai propri struggenti bianchi e neri, Michelangelo Pistoletto ha alle spalle una serie di specchi che moltiplicano lo spazio in cui si trova. La pratica del ritratto implica un rapporto di forza fra fotografante e fotografato. Dalla propria posizione privilegiata Cioffi sceglie di rendersi invisibile per lasciare emergere l’anima di chi, giorno dopo giorno, osserva per un istante attraverso il mirino della propria macchina fotografica.
Transitato giovanissimo dagli studi newyorkesi dei grandi maestri Richard Avedon e Irving Penn, da cui ha appreso i segreti del ritratto fotografico, Ferdinando Cioffi, fotografo luminista, sviluppa ben presto una particolarissima sensibilità nel trattamento della luce. Al pari dei soggetti che ritrae, questa è protagonista indiscutibile di ogni sua immagine. Definisce con profusione di particolari il modellato di figure che si stagliano sul fondo assumendo un tono eroico e solenne. Nei ritratti di Cioffi, l’ambiente concorre in misura determinante a descrivere il profondo di ogni soggetto umano. Anziché stagliarsi contro lo sfondo omogeneo e neutro di uno studio di posa, molti sono ripresi nei luoghi dove abitano o svolgono la propria professione. Talvolta si confondono con lo spazio delimitato dall’inquadratura. Poi la scena viene riempita con oggetti appartenenti alla biografia di ciascuno. Come nelle opere indimenticabili di Arnold Newman, spesso si tratta degli oggetti che utilizzano per il proprio lavoro, o sono il frutto di quel lavoro. Funzionano come didascalie. Dichiarano indubitabilmente di chi si tratta senza usare parole. Così Fernando Botero è sovrastato dalle ipertrofiche sculture che ha realizzato per i musei e le città di tutto il mondo, Boltanski è in piedi di fronte ai propri struggenti bianchi e neri, Michelangelo Pistoletto ha alle spalle una serie di specchi che molti licano lo spazio in cui si trova. La pratica del ritratto implica un rapporto di forza fra fotografante e fotografato. Dalla propria posizione privilegiata Cioffi sceglie di rendersi invisibile per lasciare emergere l’anima di chi, giorno dopo giorno, osserva per un istante attraverso il mirino della propria macchina fotografica.
-DenisCurti, MostraForma-DenisCurti, MostraFotograficaForma
Ferdinando Cioffi

Immaginate un esposizione fotografica che racconti tramite il ritratto di personaggi e personalità rappresentative dell’Italia per mezzo dell’obiettivo di Ferdinando Cioffi, ritrattista affermato e di fama Mondiale che cerca di raccogliere il rapporto tra la fotografia e la musica. Il progetto Verdi in posa nasce su iniziativa della Associazione Città & Tempo che ha come missione la valorizzazione del patrimonio iconografico della Famiglia Montabone/Costa che in 150 anni ha realizzato uno scorcio di narrazione, tramite i fotoreportage dell’Italia. Le tradizione nasce con Luigi Montabone fotografo piemontese che diventò famoso alla sua epoca per il primo fotoreportage intitolato “Diario di Viaggi in Persia” il cui stampato originale è custodito dalla Biblioteca Marciana di Venezia. Lo studio Fotografie reali Montabone fece un foto ritratto a Giuseppe Verdi. Rivedersi è un procedimento che soddisfa molteplici bisogni psicologici, porta con se l’ambivalente necessità umana di rappresentare e rappresentarsi. Non è un caso che oggi il più grande dei social network “Facebook” si traduca letteralmente in “libro di visi” ovvero album di ritratti. Anche il selfie, fenomeno dei nostri giorni è la dimostrazione tangibile che in quasi 200 anni di storia immortalare se stessi sia una necessità atavica. In questo difficile momento storico in cui le nostre certezze sono state fortemente minate dalla pandemia, ognuno di noi ha sentito l’esigenza di riordinare gli album fotografici in preda a una disperata riappropriazione del sé. La fotografia è nata dall’esigenza dell’uomo di raffigurare la natura in ogni suo particolare, senza l’ausilio della matita o del pennello, e dal desiderio d’immortalità insito da sempre nel suo animo. Nel corso della storia la ricerca della notorietà, dapprima prerogativa di eroi e regnanti smaniosi di essere ricordati per le loro gesta, ha successivamente contagiato il complesso mondo degli artisti del palcoscenico. Con l’invenzione della Fotografia si diffusero nelle grandi città gli atelier fotografici, ovvero studi arredati con mobili dell’epoca, canapè, tende e drappeggi per consentire ai clienti, principalmente personaggi illustri e facoltosi, di sentirsi a proprio agio e di assumere un’espressione naturale e disinvolta per tutta la durata della posa. I primi clienti del fotografo ritrattista furono cantanti e attori, abituati a stare davanti al pubblico e quindi disinibiti di fronte all’obiettivo fotografico. Nacque così per dell’artista di teatro, l’esigenza di reinterpretare, davanti al fotografo, i momenti più salienti dell’opera che stava eseguendo in palcoscenico, ricercandone nelle pose la passione, il dolore o qualsiasi altra emozione che il libretto e la musica esigevano, atteggiamento che portò alla creazione di un’inedita figura che si trasformerà in icona prima e in divismo nel Novecento. Giuseppe Verdi riferendosi allo stile compositivo musicale pare che abbia affermato: ”Torniamo all’antico e sarà un progresso”, perché per costruire artisticamente qualche cosa dobbiamo guardare al passato, e in particolare, in fotografia, al grande lavoro che i pionieri italiani ci hanno lasciato.
-ManuelaBoniBarabino DocentediStoriadelFotografiaLa sostanza dell’arte verdiana è l’umanità. Infaticabile scrutatore di animi, Giuseppe Verdi traduce i sentimenti in un discorso sonoro. Come ogni uomo di genio, detesta le facilonerie e necessita di lunghe riflessioni per scrivere. Nulla viene trascurato al fine di una perfetta esecuzione. Riservato e altero, idolatrato dalle folle, onorato da imperatori e principi, Verdi rappresenta un’indiscussa celebrità in campo musicale, riuscendo a trascinare persino i sordi verso il linguaggio dei suoni. Cittadino del mondo, ama i prodotti della sua terra. Figlio di Carlo e Luigia, entrambi di origine piacentina, ma trasferiti a Roncole di Busseto per gestire una ben avviata osteria, in età adulta Giuseppe si occupa delle coltivazioni dei suoi poderi e la cantina di casa è sempre ben fornita di vino da offrire agli illustri ospiti. Nella sua Villa e tenuta di Sant’Agata, a Villanova sull’Arda, nel piacentino, mostra di gradire il prezioso nettare, non solo Lambrusco prodotto dalle sue uve, ma Chianti e vini francesi, come Bordeaux e Champagne. “Il suo amore per la campagna è divenuto mania, follia, rabbia, furore, tutto ciò che si può immaginare di più esagerato. Egli si alza al nascere del giorno per andare a esaminare il grano, il mais, la vigna. Rientra morto di fatica e allora come trovare il modo di fargli prendere la penna?” scrive la sua seconda moglie Giuseppina Strepponi nel 1867, in una lettera indirizzata all’editore parigino Leone Escudier. Nella sua cucina ci sono pentole di tutte le dimensioni e fogge, oltre a posate d’argento e cristallerie acquistate a Parigi. Il Maestro non è goloso, ma un raffinato intenditore. Apprezza il prosciutto crudo e la polenta, che mangia in compagnia degli amici nella sua dimora. In particolare, mostra una vera e propria passione per il riso, che co suma in ogni stagione. La versione più gradita del risotto è illustrata in una missiva del 1869, scritta dalla moglie del compositore e destinata all’impresario dell’Opera di Parigi, Camille Du Locle. Dunque, diventa cosa nota l’apprezzamento del Maestro per la buona tavola e per il riso. Lo chef Henri-Paul Pellagraf, allievo di Auguste Escoffier, padre della cucina modern francese, nel 1885, dedica al compositore italiano un delicato risotto condito con parmigiano, prosciutto, asparagi, panna, funghi e altri ingredienti. Nella corrispondenza epistolare con l’editore Ricordi, spesso Verdi si lascia andare a confidenze gastronomiche e scrive di gradire la spalla cotta ben calda: “Sai come va cucinata? Prima di metterla al fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla due ore nell’acqua tiepida. Dopo deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascerai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, ossia 24 ore dopo, levarla dalla pentola asciugarla e mangiarla”. Memore della lunga eredità culinaria familiare, da parte di entrambi i genitori, Verdi si dedica ad assaporare il cibo. Durante il normale corso della vita, un buon caffè “un’ora dopo il desinar” viene degustato volentieri e preparato dal compositore stesso, forse in tempo di valzer. Chissà! Non resta che alzare il calice in un brindisi patriottico e inneggiare: Viva Verdi! Viva Verdi!
-KettyMagniSebastian Gatto

Giorgio Lodetti

Manuela Boni Barabino

Sergio Mei

Enrico Saverio Pagano

Mario Marcarini

Ombretta Cantarelli

Davide Longo

Fabio Viola (Vega)

Daniele Manara

Matteo Gelmini

Giulia Lazzaron

Veronica Kralova

Morris Bragazzi

Ezio Indiani

Federica La Pilusa

Bedy Moratti

Ingrid Carbone

Nicola Todaro

Ketty Magni

Cinzia Sernesi

Matteo Arcieri

Davide Chen

Eugenio Costa

Renzo Rosso

Eduardo Cioffi

Diana Ortega Condo

Francesco Gavazzeni

Renata Heller

Monica Lodetti

Giulia Galli

Enrico Parassina

Beba Marzano

Claudio La Viola

Gloria Oppici

Alberico Penati

Rebecca Violino

Grey Estela Adames

Baldassarre Aufiero

Marco Battaglia

Anna Armenante

Natalia Luczkowiak

Giovani Artisti

Tornate all’antico e sarà un progresso.
- Giuseppe Verdi
