Mafia a Milano

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crivellato al Campo dei Fiori, sopra Varese, nel 1954, e quello di Salvatore Licandro, ucciso con due colpi alla nuca a Como nel 1955. Uomini delle cosche eliminati per uno sgarro mal digerito dai loro capi nell’ambito del traffico di diamanti, primo amore di Cosa nostra al nord. Si spara anche il 29 aprile 1971, in via Avezzano, al quartiere Corvetto: tre proiettili calibro 38 alla schiena fulminano Antonino Matranga, palermitano di 66 anni che da otto viveva nell’ombra a Milano (dove anche suo figlio Gioacchino farà strada), dopo un’assoluzione per insufficienza di prove a un processo di mafia in Sicilia. Si spara, ancora, a Varese, il 15 novembre dell’anno successivo: questa volta a cadere è Giovanni Macaluso, contrabbandiere di Partinico in soggiorno obbligato a Voghera (Pavia). Quello stesso giorno è ucciso a Palermo Giuseppe Rizzo, anch’egli implicato in attività di contrabbando. Mentre il 23 luglio 1971 viene arrestato insieme a quattro complici Armando Bonanno, un altro palermitano in soggiorno obbligato a Trezzano sul Naviglio, proprietario di una macelleria nel capoluogo lombardo. Dunque l’asse Milano-Palermo si delinea con sufficiente chiarezza già a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Indagando sullo scontro a fuoco del 23 maggio 1963, quello in cui La Barbera se la cava per miracolo, gli inquirenti si convincono della presenza inquietante di un grande capo della mafia siciliana, oltre a quella di Joe Adonis. Scoprono che in città è in circolazione un altro astro nascente di Cosa nostra: Gerlando Alberti, detto zu’ Paccarè. Lo stesso che il 15 luglio 1970 sarà protagonista di un’ennesima sparatoria, degna di un film western, in piazza Martini, a Porta Vittoria, in uno scontro tra siciliani e napoletani. Le due bande lasciano sul campo un ferito per parte: Benedetto La Cara e Massimo Calfagna. In una città ancora inconsapevole, don Gerlando offre l’ennesima prova della sua ingombrante presenza, a quel punto – secondo le ricostruzioni investigative – quasi decennale.

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