BERLUSCONARIO

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Prefazione di Marco Travaglio

Anche chi, come il sottoscritto, ha dedicato al protagonista di questo un bel po’ di libri, leggendolo scopre un sacco di cose nuove, dimenticate, persino mai sapute. Credevo di aver sentito e raccolto quasi tutto quel che ha detto il Cavaliere nella sua lunga e infaticabile attività di logorroico in servizio permanente effettivo. Invece mi sbagliavo. C’è sempre qualcosa da scoprire. E ho il sospetto che, leggendo il Berlusconario, persino Lui vi troverà qualche stronzata che si era scordato di aver detto. Così se la segnerà e la ripeterà alla migliore occasione. Perché la verità è una sola: che Silvio Berlusconi ne ha dette tante e tali, che non può far altro che ripetersi. Sebbene la lingua italiana sia fra le più ricche di vocaboli e di lemmi, Lui l’ha logorata e stremata con ogni possibile combinazione. Sia prima, sia soprattutto dopo la discesa in campo, ha detto e contraddetto praticamente tutto e il contrario di tutto. Lasciando a bocca asciutta la cosiddetta, eventuale, ipotetica, presunta, fantomatica opposizione. Che infatti non riesce a far altro se non inseguirlo, ripetendo – inconsapevolmente quando non volutamente – ciò che Lui ha già detto e smentito. Cattolico e massone, devoto e libertino, pacifista e guerrafondaio, filoamericano e filorusso, anticomunista e amico di Putin e persino di Lukashenko, filoisraeliano e amico di Gheddafi e socio di Tarak Ben Ammar e dello sceicco Al Waleed, antimafioso e amico di mafiosi, plurimputato e pluripre9


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scritto e alfiere della “sicurezza” e della “tolleranza zero”, liberista e monopolista, è riuscito a dirsi conservatore ma anche socialista e perfino “di sinistra”, a descriversi come padre e marito esemplare al “Family Day” mentre un paparazzo lo immortalava con cinque squinzie sulle ginocchia a Villa Certosa, e, quando l’hanno beccato con una prostituta nel lettone di Palazzo Grazioli, stava per varare una legge che prevedeva l’arresto delle prostitute e dei loro clienti. Poi ha accantonato il provvedimento, onde evitare di finire in galera in base a una legge appena fatta da Lui: una legge ad personam che almeno avrebbe il pregio di funzionare per il verso giusto. Un tempo, nelle corti rinascimentali, le figure del principe e del giullare erano nettamente distinte. Lui le ha fuse in una sola persona. Ma se ne sono accorti soltanto all’estero, dove le sue esternazioni vengono accolte con un misto di sconcerto, ilarità e sdegno, mentre in Italia le tv (che sono quasi tutte sue), la stampa amica e la stampa sua (cioè tutta la stampa, salvo rare eccezioni) le spacciano per geniali rotture del politically correct in sintonia con il “popolo”. Compresi i proclami eversivi contro qualunque istituzione e funzione di controllo: stampa libera, Parlamento, Quirinale, opposizione, magistrature assortite, Corte costituzionale e così via. Comprese le prove di rara violenza verbale, mai ascoltate dalla bocca di un altro presidente del Consiglio fino al suo ingresso “in campo”: un giorno sussurra «Vaffanculo!» al presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro, un altro dà dei «coglioni» agli elettori del centrosinistra, cioè alla metà degli italiani, una volta apostrofa una signora che lo contesta a Rimini dicendole «faccia da stronza», un’altra dà della «faccia di cazzo» al leghista Luigi Roscia. Memorabili poi le minacce all’Udc di Marco Follini e Pier Ferdinando Casini quand’erano ancora suoi alleati, ma si permettevano ogni tanto qualche pallida critica. Il 6 febbraio 2004, durante la verifica di governo, il quotidiano Libero ricostruì il suo sfogo contro Casini: «Voi ex democristiani mi avete rotto il cazzo, me lo hai rotto tu e il tuo segretario Follini. Basta con la vecchia politica. Conosco i vostri metodi da irresponsabili. Fate favori di qua e di 10


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là e poi raccogliete voti, ma io vi denuncio, non ve la caverete a buon mercato, vi faccio a pezzi. Io le televisioni le so usare e le userò. Chiaro? Mi avete rotto i coglioni. Non mi faccio massacrare due anni e mezzo per poi schiattare come un pollo cinese. Se andiamo avanti in questo modo ci stritolano, lo capite o no, affaristi che non siete altro?». L’11 luglio dello stesso anno altri insulti minacciosi, stavolta a Follini. Ecco come lo riportarono alcuni quotidiani dell’indomani. Berlusconi: «Mi hai rotto i coglioni… Parliamo della par condicio: se non abbiamo vinto le elezioni, caro Follini, è colpa tua che non l’hai voluta abolire». Follini: «Io trasecolo. Credevo che dovessimo parlare dei problemi della maggioranza e del governo». Berlusconi: «Non far finta di non capire, la par condicio è fondamentale. Capisco che tu non te ne renda conto, visto che sei già molto presente sulle reti Rai e Mediaset». Follini: «Sulle reti Mediaset ho avuto 42 secondi in un mese». Berlusconi: «Non dire sciocchezze, la verità è che su Mediaset nessuno ti attacca mai». Follini: «Ci mancherebbe pure che mi attacchino». Berlusconi: «Se continui così, te ne accorgerai. Vedrai come ti tratteranno le mie tv». Follini: «Voglio che sia chiaro a tutti che sono stato minacciato». Eppure, grazie all’inesistenza e all’inefficienza dell’opposizione e alla copertura complice dell’informazione che conta, sono quindici anni che il più grande provocatore e linciatore che la politica italiana abbia mai conosciuto riesce ad atteggiarsi come vittima di “odio” e addirittura di “violenza”. È stata coniata addirittura un’apposita categoria per soddisfare il suo vittimismo congenito, la sua irresistibile tendenza al chiagni e fotti per dirla con Indro Montanelli: ciò che in tutte le democrazie del mondo si chiama “opposizione”, in Italia diventa subito “antiberlusconismo”. Ciò che all’estero è normale – la minoranza che attacca il leader della maggioranza e cerca di scalzarlo dal potere – in Italia viene spacciato per qualcosa di malato, di deviante, di patologico, a cui viene ossessivamente opposto l’invito al 11


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“dialogo”, alla “collaborazione”, cioè all’inciucio. La prima resistibile e poi irresistibile ascesa di quest’ometto di Stato, come lo chiamava Claudio Rinaldi, è stata accompagnata da uno stravolgimento del linguaggio che ricorda i dettami del Ministero della Verità dell’orwelliano 1984. Lui ha cambiato le parole per riscrivere la storia e persino la cronaca (soprattutto giudiziaria) a proprio uso e consumo. E chi avrebbe dovuto contrastarlo ripristinando la verità e il corretto uso del dizionario l’ha invece assecondato, facendo propri i suoi slogan e le sue parole d’ordine truffaldine. Le guerre diventano «missioni di pace», le prescrizioni «assoluzioni», i processi «persecuzioni», le indagini della magistratura «accanimento politico», le leggi ad personam per la sua impunità «scudi a tutela della sovranità popolare», l’omertà di un boss sanguinario come Vittorio Mangano «eroismo», il conflitto d’interessi una parola da abolire. Per questo ho sempre pensato che soltanto descrivendo Silvio Berlusconi per quello che è, con le parole giuste, si possa comprendere chi è davvero e maturare gli anticorpi necessari a sconfiggerlo. In questo, per quindici anni, ha mancato il centrosinistra, incapace di proporre non solo valori, ma anche linguaggi alternativi. Così, a furia di inseguirlo sul suo terreno, il centrosinistra ha finito per snaturare se stesso e ridursi a una versione light del berlusconismo, alla quale gli elettori hanno regolarmente finito col preferire la versione doc, l’originale. L’unico leader dell’altra parte che parlava, anche fisiognomicamente, un’altra lingua, cioè Romano Prodi, è stato combattuto con pari determinazione e accanimento dal centrodestra e dal centrosinistra. Non a caso ha sconfitto Berlusconi due volte su due. E non a caso, due volte su due, è stato mandato a casa dai suoi stessi alleati, ormai berlusconizzati nella testa, nel sangue e nel Dna. Liquidato Prodi, non s’intravedono nemmeno in lontananza altri leader di centrosinistra in grado di ripetere il miracolo di incarnare una seria alternativa a Berlusconi, ma soprattutto al berlusconismo. Infatti gli unici a proporre un linguaggio “altro” rispetto al suo furono, con grandi sforzi di creatività, i “girotondi” (subito ricacciati a casa loro) e oggi sono – a parte Gianfranco 12


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Fini, che tenta di affermare una destra gollista e legalitaria – i “grillini” e il popolo di Facebook e degli altri social network, protagonisti della colorata manifestazione “No B. Day” del 5 dicembre 2009 a Roma. Non tanto perché chiedono le dimissioni del Cavaliere. Ma perché rappresentano un altro mondo rispetto al suo. Un mondo giovane mentre il suo è decrepito. Un mondo orizzontale mentre il suo è verticale e piramidale. Un mondo viola mentre le sue vecchie ubbìe di tycoon considerano jettatorio quel colore. Un mondo che parla semplice ma schietto e profondo mentre Lui parla semplicistico ma bugiardo e vuoto. Un mondo che non conosce ideologie mentre Lui riesuma continuamente il fossile dell’anticomunismo. Un mondo che chiede valori mentre Lui non vede al di là della sua bottega. Speriamo che durino e resistano. Aiutiamoli a durare e a resistere.

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