materiali foucaultiani I,2

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28 Ann Laura Stoler distribuzioni dei soggetti di desiderio maschili e negli oggetti di desiderio femminili possano ugualmente dare forma a questa storia. Inoltre, riconsiderando le colonie come “laboratori della modernità” più ancora che come luoghi dello sfruttamento, ciò che costituisce le invenzioni e importazioni metropolitane, di contro a quelle coloniali, ha cambiato bruscamente orientamento. Timothy Mitchell, in uno studio sull’Egitto coloniale, considera il Panopticon – il più importante modello di istituzione per il potere disciplinare – come un’invenzione coloniale apparsa per la prima volta nell’Impero Ottomano, e non nell’Europa settentrionale16. Gwendolyn Wright e Paul Rabinow hanno sostenuto che la modernità sia stata messa a punto entro scenari coloniali e che le politiche francesi di pianificazione urbanistica adottate a Parigi e a Tolosa siano state con ogni probabilità precedentemente sperimentate a Rabat e ad Haiphong17. Mary Louise Pratt si è spinta ancora più in là, sostenendo che quelle forme di disciplina sociale ritenute essenzialmente europee possano aver tratto ispirazione dalle imprese imperiali del diciassettesimo secolo e soltanto successivamente siano state rimodellate in funzione di un più tardo ordine borghese18. Tali storie così riconfigurate hanno condotto a un ripensamento generalizzato delle genealogie culturali europee, e ci hanno spinto a domandarci se quelli che sono gli emblemi più preziosi della moderna cultura occidentale – il liberalismo, il nazionalismo, lo Stato sociale, la cittadinanza, la cultura, e lo stesso “essere europeo” (“Europeanness”) – non apparirebbero in modo più chiaro in mezzo agli europei esiliati nelle colonie dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, giacché soltanto allora sarebbero riportati “a casa” (brought “home”)19. Ma il punto, qui, non è semplicemente cambiare le carte in tavola e affermare che la “modernità”, il “capitalismo”, o qualunque altra cosa, T. Mitchell, Colonising Egypt, Cambridge University Press, Cambridge 1991. P. Rabinow, French Modern. Norms and Forms of the Social Environment, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1989; G. Wright, The Politics of Design in French Colonial Urbanism, University of Chicago Press, Chicago 1991. 18 M.L. Pratt, Imperial Eyes. Travel Writing and Transculturation, Routledge, New York 1991. 19 [Qui l’autrice impiega la pregnante espressione inglese “to bring home”, che significa tanto “chiarire”, “far capire”, “rendere perspicuo” quanto, più letteralmente, “portare a casa”. In questo frangente, pertanto, ciò significa riconsiderare (rendendoli maggiormente comprensibili) i simboli più importanti della moderna cultura occidentale – riportandoli allo stesso tempo nel loro contesto di origine (l’Europa), e quindi “a casa” – solo attraverso la specifica declinazione cui essi hanno dato luogo all’interno delle molteplici situazioni coloniali nelle quali tali simboli sono stati impiegati (N.d.T.)] 16 17


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