Storie di Persone - Martina Macor

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Martina Macor

STORIE DI PERSONE


Storie di Persone Martina Macor Books are not dead! (Yet) Con la supervisione di Pietro Corraini, Gianluca Camillini e Gerhard Glüher Stampato presso unibz, 2021


Martina Macor

STORIE DI PERSONE



INDICE Parte Ⅰ

Parte Ⅱ

Mary

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Emarginazione

57

Carlotta

14

Othering

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Poeta Incendiario

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Xenofobia

66

Franco

18

Vox populi

69

Pina e Ignazio

20

Violenza simbolica

73

GGG

22

Inetto

77

Artista Anonima

24

Dolce

26

Conclusione

81

Giulia

28

Fonti

83

M

30

Lemon

32

Aj

34

Venere

36

N

38

Pietro

40

Detta

42

Alessia

44

L

46

Mj

48

Simo

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INTRODUZIONE Questo libro nasce da una riflessione riguardante una condizione personale. L’essere fuori luogo, avere difficoltà ad integrarsi nel gruppo, sentirsi diversi. Forse è il mio personale modo di pensare, forse è la conseguenza di tutte le esperienze e gli avvenimenti, successi e non, finora nella mia vita. A volte penso che, malgrado tutti gli sforzi che una persona possa fare, rimarrà sempre una sensazione, seppur nascosta nella parte più profonda della nostra mente, che ci farà sentire inadeguati, per una ragione o un’altra. Sì, ci sono i più fortunati e i meno fortunati, ma, con il passare del tempo, si rischia di raggiungere un punto di non ritorno, un muro troppo alto da scavalcare. E se anche fosse possibile oltrepassarlo, i danni riportati cadendo dall’altra parte, sarebbero significativi, dei segni indelebili che rimarrebbero per il resto della nostra esistenza. Per quanto sentirsi soli, sbagliati, esclusi e a disagio possa sembrare proprio solo di una minoranza, le persone che in realtà nascondono, consciamente o inconsciamente, una condizione simile, possono essere i nostri compagni di scuola, i colleghi di lavoro, un estraneo al ristorante, un passante a bordo strada. In sostanza, chiunque. La società ci impone degli standard che, se non raggiunti, ci limitano al suo confine come un’erbaccia da estirpare o, almeno, da tenere distante. Questi modelli, che descriverebbero, secondo la maggioranza, la giusta società, la migliore, non riguardano solamente la nazionalità, il colore della pelle, l’età, la lingua parlata, ma anche tutta una serie di caratteristiche e pratiche della vita quotidiana di ogni individuo. Prima di tutto, come nella gran parte delle situazioni, il peso economico ha un ruolo importante e sempre presente. Si aggiungono pensieri politici, appartenenze a credenze a gruppi religiosi, famiglia e relazioni affettive, comportamenti e interessi. 7


Insomma, ogni aspetto della nostra vita è regolamentato da standard che portano all’esclusione di chi non riesce, o non vuole, soddisfarle. Nella prima parte di questo libro ho deciso di raccontare vere storie, di persone reali, che hanno fatto della loro diversità, la soluzione positiva o negativa, che ha formato la loro vita e quello che sono oggi. Essere diversi per non rientrare in un modello sociale imposto, non significa essere infelici o non avere uno scopo nella vita. Queste persone hanno dimostrato di condurre un’esistenza più che valida. Anche se in modo alternativo da quelle che sono le aspettative sociali, hanno mostrato come sia possibile vivere ugualmente, con una profonda umanità, anche essendo diversi.

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PARTE Ⅰ


MARY La vita di Mary è cambiata all’improvviso un sabato mattina di vent’anni fa. Era a casa con la figlia di appena due mesi e aspettava il ritorno del marito che di mestiere faceva la guardia alpina, sogno che aveva fin da piccolo. Non è mai arrivato. È rimasto travolto da una valanga durante una discesa con amici. Mary ha perso il compagno di quindici anni, conosciuto e richiesto da tante persone per l’arrampicata e per qualsiasi gita in montagna, in qualsiasi periodo dell’anno. Era ricco di passione e di esperienza, qualità che l’hanno spinto a lottare per salvarsi, fino alla fine. Mary si è ritrovata sola a crescere una bimba che non ha avuto la fortuna di conoscere il suo papà. Le loro vite sono state naturalmente una conseguenza. Si sono trasferite in un’altra regione per non rimanere sole e per avvicinarsi ai familiari. Crescendo, la figlia di Mary si è ritrovata in una realtà totalmente differente da quella in cui era nata. Fortunatamente la loro situazione non è stata particolarmente problematica e non sono mancati amore e sostegno da entrambi i lati della famiglia. Ovviamente le difficoltà non sono mancate, ma anche grazie all’aiuto di una psicologa e, senza dubbio, moltissima forza personale, Mary è riuscita a far continuare per il meglio la sua vita e quella di sua figlia. È andata bene. Mary non si considera “diversa”, solamente meno fortunata. Ma questo non significa essere meno felici. Lei e sua figlia si vogliono bene, sono in salute e hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Mary è contenta di quella che è oggi e, soprattutto, è fiera di sua figlia, oggi ragazza di vent’anni con la testa sulle spalle. Non potrebbe chiedere di più. Il suo obiettivo l’ha raggiunto.

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CARLOTTA Cosa c’è di meglio di un bel vestito di paillettes per un pranzo con le amiche in riva al lago? Per Carlotta forse questo è il paradiso. Carlotta si può definire una donna un pò stravagante. Passioni e interessi fuori dal comune sono la sua specialità. Unghie colorate e lucide, abbronzatura e capigliatura perfette. Se comprare un vestito con una strana fantasia, leopardato e brillante è quello che le serve per essere felice, Carlotta lo comprerà e lo indosserà, sentendosi a suo agio, senza badare a giudizi altrui. Ed è proprio questo a renderla unica. Carlotta è una donna semplice e spontanea, che si adegua praticamente ad ogni situazione. Oggi pensionata, ha tutto il tempo per godersi la vita nello stile migliore: il suo. Anche se il tempo per festeggiare e godersi una bella giornata non le è mai mancato. Con gli amici non mancano viaggi e gite. Pranzi, cene e aperitivi sono all’ordine del giorno. Alle feste non può passare inosservata. In ogni contesto spicca per essere essenzialmente genuina. In famiglia è una figura allegra e spesso protagonista di racconti divertenti. Carlotta non si tira mai indietro. Se c’è qualcosa di nuovo da provare, una nuova esperienza da fare, lei ci proverà e non baderà troppo ad eventuali fallimenti. Anzi, riproverà, sicura di riuscire a fare di meglio. E se qualcosa non è perfetta, non importa. Fare qualcosa per chi ama, per gli amici, per la sua famiglia o per sé stessa, a modo suo, è quello che conta. Quello che al meglio la rappresenta è rimanere vera, sé stessa, sempre.

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POETA INCENDIARIO Poeta Incendiario è un ragazzo speciale, che di conseguenza ha un rapporto speciale con la sua famiglia e con i suoi amici. La sua diversità è la dislessia. Per quanto possa essere un problema che limita le sue possibilità di espressione, la dislessia gli permette di vedere il mondo da un’altra prospettiva. Spesso essere diversi porta ad essere vittime di bullismo, come nel caso di Poeta Incendiario. Essere diverso è un enorme peso, un macigno. Ma è proprio questa consapevolezza nel comprendere il “diverso” come etichetta imposta dalla società per coloro che sono fuori dagli schemi, che ha portato Poeta Incendiario a farsi delle domande e a cercare delle risposte. Ha capito che il primo passo verso la felicità è accettarsi, stare bene con sé stessi. E non c’è nulla che cambierebbe o a cui rinuncerebbe per essere, invece, etichettato come standard. Non abbandonerebbe mai chi è realmente per essere qualcuno di falso, anche se “socialmente accettato”. La dislessia per lui è una marcia in più, ma per altri è una malattia. Ma questo non impedirà a Poeta Incendiario di fare una delle cose che di più ama: scrivere poesie.

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FRANCO Franco è ultimo di quattro figli in una famiglia che, fin dall’infanzia, è stata poco presente e per nulla affettiva. Il rapporto con il padre era quello più difficile e anche tra fratelli, inizialmente, non c’era un forte legame. La sua gioventù non è stata troppo serena, al contrario, piuttosto movimentata. Inizia a lavorare come camionista, quando, in un incidente rischia la vita, perde il lavoro e la fidanzata di quel tempo. Inizia a prendere brutte abitudini, avvicinandosi anche alla droga. È qui che il rapporto tra fratelli inizia a migliorare. Grazie all’aiuto del fratello più grande, Franco riesce a ritornare sulla retta via. Intorno ai trent’anni conosce una bellissima donna di cui si innamora. Insieme hanno un bambino e tutto sembra andare per il meglio. Ma una sera, tornando dal lavoro, la sua compagna muore in un incidente d’auto. Franco si ritrova a crescere da solo il figlio di appena un anno e mezzo. Spera nell’appoggio da entrambi i lati della famiglia, ma trova soltanto ostacoli. Per via del suo lavoro, per anni è costretto a lasciare che i nonni crescano suo figlio, escludendolo però dal ruolo di padre e insegnando al nipote regole sbagliate. Finalmente cambia mestiere, riuscendo a trovare più tempo da trascorrere a casa con suo figlio, come è sempre stata la sua intenzione. Tuttavia, per Franco, diventa sempre più difficile insegnargli quali siano i valori e le priorità della vita. Col passare del tempo, il rapporto tra padre e figlio è decisamente migliorato e oggi condividono affetto e rispetto reciproco. Franco ha dimostrato, a chi non credeva in lui come persona, e come padre, di essere capace di costruire una famiglia con le sue forze e seguendo i suoi ideali. 18



PINA e IGNAZIO Pina e Ignazio sono sposati da più di sessant’anni. Siciliani di origine, si sono trasferiti per lavoro nel nord Italia agli inizi degli anni sessanta. Ignazio inizia a lavorare in fabbrica, mentre Pina fa la casalinga. Il cambiamento del loro stile di vita è stato radicale e non sempre facile. È un inverno molto freddo quando Ignazio vuole comprare una stufa. Non avendo però subito tutti i soldi necessari, chiede al proprietario del negozio di fargli credito. Diffidando di lui in quanto non originario del posto, il commerciante non gli vende la stufa. Per fortuna trova un’altra persona che, non badando alla sua provenienza, si fida e gli concede di portarsi a casa una stufa. Dopo qualche anno, vicino alla loro città, si trasferisce la famiglia di Pina. La loro vita procede serena, anche se ogni tanto, qualche cosa di spiacevole capita. Una sera, di ritorno da casa dei parenti, Pina, Ignazio e i loro quattro figli, stanno aspettando l’unico autobus del paese, che però, arrivato alla loro fermata, procede senza fermarsi. Aspettano quindi la corsa successiva. Finalmente riescono a salire sull’autobus e Ignazio chiede al bigliettaio perché non si fosse fermato al giro precedente. Non ottiene una risposta concreta, ma solo insulti per essere meridionale. La loro vita continua senza altre situazioni particolarmente sgradevoli, trovando la maggior parte delle persone non diffidenti e non pregiudicanti. Pina e Ignazio hanno dimostrato di essere due persone come tante altre, che si sono sacrificate e che hanno lavorato duramente per mantenere la loro famiglia, anche lontano dal loro luogo d’origine. 20



GGG La storia della Grande Gigantessa Gentile non riguarda la sua vita presente, ma il periodo delle scuole medie. Fin da piccola aveva una struttura corporea più grande rispetto a quella delle altre bambine. Crescendo, facendo nuove esperienze e frequentando nuove compagnie, la Grande Gigantessa Gentile si sentiva sempre più fuori luogo. Stando accanto alle compagne di classe, lei spiccava più di tutte. Si sentiva imponente rispetto alle sue amiche. Questa differenza era percepita più a livello personale che esterno. Infatti non è mai stata discriminata o giudicata per come fosse, se non per qualche commento non proprio divertente. Quando era da sola, nella sua camera, si guardava la mano e si rendeva conto che non era come quella minuta delle altre ragazzine. Oppure capitava che andasse al mare in vacanza con le amiche del suo paese, e in queste occasioni, non mancavano scambi di vestiti. Mentre le altre erano libere di scegliere cosa indossare anche dalle cose delle altre, la Grande Gigantessa Gentile si sentiva insicura e certa che se avesse provato un vestito di un’amica, sicuramente le sarebbe stato più piccolo rispetto a come vestiva sul corpo altrui. Ogni tanto in casa scappava qualche parola a riguardo e, quella che doveva essere una battuta divertente, faceva stare male la Grande Gigantessa Gentile. Con il trascorrere del tempo, questi dubbi e insicurezze sono svaniti, trasformandosi qualche volta in invidia da parte delle altre persone che volevano essere come la Bellissima Grande Gigantessa Gentile.

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ARTISTA ANONIMA Chi meglio può comprendere quanto sia importante non uniformarsi alla massa e trovare uno stile personale per distinguersi, se non un’artista? Certamente essere unici e diversi dalla maggioranza è qualcosa di positivo, ma ha anche i suoi lati negativi. L’Artista Anonima si è resa conto di non essere sempre stata come gli altri. Non era isolata, ma i suoi interessi erano diversi già da piccola. Mentre la maggior parte dei ragazzini non aspettava altro che il fine settimana per poter uscire e divertirsi con gli amici, per l’Artista Anonima non era così. Lei preferiva passatempi più individuali, ma non necessariamente solitari. Le piaceva leggere, disegnare, creare e sperimentare. Tutte attività da fare in casa. Non che fosse contraria ad uscire con i suoi amici. Si era solo resa conto che, per portare avanti le sue passioni, aveva bisogno di tempo e di spazio personale. Crescendo ha capito quanto fosse importante e utile del tempo per stare sola, per pensare, da dedicare a sé stessa e a quello che le piace, bilanciando il tutto con amici e altri interessi collettivi Un aiuto in più è arrivato quando ha conosciuto altre persone con le sue stesse passioni. Oggi le sue giornate sono complete quando riesce a trascorrere del tempo in compagnia delle sue amiche, al bar, davanti ad una buona tazza di caffè e con un quaderno per disegnare.

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DOLCE Chi è Dolce? Questa è una domanda che si è posta spesso anche lei. Nasce e cresce in un piccolo paesino di campagna. Arriva il momento di scegliere un liceo da frequentare dopo le scuole medie. Nel suo paese non c’erano scuole superiori, quindi, all’età di quattordici anni ha iniziato la sua avventura da pendolare per raggiungere ogni giorno il liceo nella città vicina. Conosce nuove persone con cui esce, festeggia e cresce. E come ogni adolescente ha tante fasi che la influenzeranno in modi diversi. Non mancano sicuramente anche tanti dubbi e domande. Inizia a riflettere e ad osservare la sua vita da un punto di vista esterno, non trovando qualcosa di sbagliato, ma rendendosi conto di essere, fondamentalmente, uguale a tante altre persone. Inizia un periodo di crisi personale e con gli anni non riesce più a riconoscersi. Pensa che sperimentare con il suo aspetto sia una buona strada per trovare una soluzione a questa fase confusa. Inizia a cambiare stile e, soprattutto, tagli e colori di capelli. Da lunghi mori, diventano più corti, rossi e biondi. Finché, dopo quattro anni, decide di darci un taglio. Letteralmente. Ora in testa non ha più di un paio di millimetri di capelli ed è contentissima della sua scelta. Non mancano stereotipi e pregiudizi nei confronti di una ragazza con i capelli corti in compagnia di un’altra ragazza. Quello che doveva essere una soluzione, è diventato, a volte, simbolo di un’identità non sua. Ma Dolce non dà più importanza a commenti sgradevoli provenienti da sconosciuti, ma apprezza i numerosi complimenti. Si sente bella anche se a volte fuori dal comune. E la cosa più importante è che ora, così com’è, riesce a trovare una risposta alla domanda “chi sei?”. 26



GIULIA Per alcune persone arrivare ad amare sé stessi e il proprio corpo può essere una sfida davvero difficile. Specialmente se, in questo percorso di accettazione, nemmeno chi ti sta accanto è di supporto o di incoraggiamento. Fin da piccola Giulia ha ricevuto commenti ed opinioni sgradevoli sul suo aspetto fisico che, con il passare del tempo, ripetuti in continuazione da amici, famiglia, compagni e maestri di scuola, l’hanno portata a pensare che effettivamente lei fosse “brutta”. Crescendo inizia a lavorare su sé stessa, ma, non avendo ricevuto mai nessun tipo di aiuto, non riesce a vedersi differente da una ragazza insicura e sovrappeso, arrivando al punto da prendersi in giro da sola e a vedersi personalmente sbagliata. Gli ostacoli creati da chi le stava attorno, l’hanno portata a costruirsene di propri, limitandosi, come tutte le volte che ha rinunciato a comprare un bel vestito, perché sapeva che si sarebbe vergognata ad indossarlo. All’insicurezza fisica si è anche aggiunta la dislessia. E ancora una volta, per colpa dell’ignoranza di amici e professori, Giulia crede di essere spazzatura, difettosa e sbagliata per il suo modo di pensare e ragionare. Giulia ha sempre evitato di leggere ad alta voce per altre persone, di recitare in commedie, di esprimere i suoi sentimenti in modo scritto, vergognandosi anche solo di ammettere di essere dislessica. A volte chi non ha mai ricevuto commenti spiacevoli e critiche ingiuste, non riesce a capire quanto possano pesare per chi, invece, ne riceve anche troppi. Giulia ha iniziato duramente a lavorare su sé stessa sempre più consapevole del fatto che, il suo essere “diversa”, possa essere anche qualcosa di positivo che, magari, la porterà ad essere felice e ad amarsi così com’è. 28



M M è una ragazza che ha avuto parecchie difficoltà a relazionarsi con gli altri. Già da bambina, per il suo aspetto fisico, sono iniziati commenti di cattivo gusto e sguardi disgustati. Crescendo ha iniziato a rendersi conto di essere diversa dalle persone che la circondavano. All’età di nove anni perde il padre e il suo modo di pensare e le sue priorità cambiano. Forse la sua vita è diventata meno spensierata di quella degli altri bambini, oppure, la sua perdita, l’ha fatta crescere troppo in fretta, non dandole la possibilità di fare tutte quelle esperienze che alla sua età dovrebbero essere la normalità. In adolescenza non ha mai avuto strette amicizie e quelle più solide si sono perse con il passaggio dalle scuole medie alle superiori. Non si è mai vista come il punto di interesse diretto e primario di un’altra persona. È arrivata a perdere la totale fiducia negli altri e in sé stessa. Non si fida del loro comportamento nei suoi confronti e non crede genuinamente di essere interessante per qualcuno semplicemente per essere sé stessa. Anche con il suo stretto e piccolo cerchio di amicizie non mancano dubbi e insicurezze. M ha sempre dato colpa al suo aspetto fisico, che l’ha portata a nascondersi e a vergognarsi, al non volere le attenzione che, forse, qualcuno era anche disposto a darle. Il viaggio per cambiare sé stessa inizia con non poca fatica, ma dopo i primi risultati visibili, è sempre più spronata a dare il meglio di sé. Fortunatamente M ha incontrato la sua forza, delle amiche che la capiscono e che la supportano, che l’hanno aiutata a vedere non solo il lato negativo e a capire che la sua attenzione e la cosa più importate su cui concentrarsi, per prima cosa, è la sua persona e il suo benessere. 30



LEMON Per Lemon essere diverso è lo scopo della vita. Anche se si è sempre sentito inadatto per via della sua forma fisica non proprio prestante, non ha mai smesso di lottare per essere sé stesso e ha iniziato a non dare troppo peso a quello che pensano gli altri. Lemon ha fatto della sua unicità il suo punto di forza. Ha cercato di fare la cosa giusta ed avvicinarsi a persone un pò emarginate nell’ambiente scolastico, forse perché capiva cosa significasse essere diversi, rischiando anche di perdere il suo gruppo di amici. È sempre convinto che essere tutti uguali porti solo a piattezza e noia. Se non ci fossero pensieri differenti dalla massa, non ci sarebbe gusto nel conoscere nuove persone e il loro modo di vedere il mondo. Ognuno fa scelte che condizionano la usa vita in maniera più o meno incidente e Lemon è sicuro di chi è ora e convinto di non voler cambiare per rientrare in modelli impostati. Una cosa di cui Lemon va fiero è il suo giornaletto di soprannomi che gli sono stati dati nel corso della sua vita. Seri o spiritosi, insulti che si sono trasformati in caratteristiche legati alle sue doti. Insomma, ogni soprannome scritto nel libretto racchiude una parte di Lemon che, quando fatica a riconoscersi o quando si sente triste, rilegge per migliorare all’istante il suo umore e per ricordarsi di chi sia.

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AJ Aj non ha mai avuto paura di dimostrare di essere diverso. Non ha mai rinunciato a interessi e hobby per far vedere chi fosse. Il suo modo di relazionarsi e d’interagire, anche se spesso conflittuale, gli è servito per definire la sua persona. E per questo è stato giudicato. Non ha mai accettato il pensiero di dover fare qualcosa solo per essere considerato alla moda. Non ha mai voluto fare le sue esperienze solo per essere popolare ed essere circondato da persone che, proprio amici, non si possono definire. Aj ha sempre preferito andare per la sua strada, avere le sue idee e fare le sue avventure. La conformità non è qualcosa che desidera. Ognuno descrive chi è in base al suo essere diverso. Rinunciare ad essere sé stessi è sbagliato. Aj non cambierebbe mai chi e il suo modo di pensare. Anche se spesso il suo modo di rapportarsi con il mondo esterno l’ha portato a sentirsi in contrasto e ad affrontare ostilità, Aj non muterebbe mai le sue idee e le esperienze che l’hanno descritto finora.

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VENERE Se c’è una cosa che a Venere non piace, è annoiarsi. Per questo è decisa a rimanere fuori da quegli schemi prestabiliti, preferendo trovare un modo di essere diversa. In molti momenti della sua vita si è sentita differente. Forse sono state le sue idee forti o la sua sensibilità profonda. Oppure la sua bisessualità. Venere non ha ancora parlato del suo orientamento sessuale alla sua famiglia, per la quale è sicuramente un problema. Al contrario, i suoi amici l’hanno accettata senza pregiudizi e senza cambiare il loro modo di relazionarsi con lei. Questi tabù purtroppo fanno ancora parte della mentalità di molte persone. Se si parla di amore non dovrebbero esserci distinzioni di carattere sessuale o di identità. Ognuno dovrebbe essere libero di sentirsi e di definirsi come meglio crede e come è più a suo agio. Venere vede la diversità come una cosa molto bella per chi sa conviverci. Ammette che comunque bisogna prestare attenzione a tutte quelle persone caratterialmente più deboli che potrebbero cadere in solitudine se abbandonate in balia di coloro che offendono e discriminano l’essere diversi. Venere è generalmente molto positiva e una luce da seguire. Quando c’è lei, non mancano momenti divertenti e risate. Forse è strana, ma è sicura di piacersi così com’è e di non voler cambiare per nessun motivo.

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N N è stata un pò sfortunata. Da bambina ha perso il padre, perciò è cresciuta senza una figura importante nella sua vita. Alle scuole medie, essendo senza papà, è capitato che si sentisse diversa o che venisse presa di mira anche per il comportamento e il suo aspetto fisico. Il cambiamento che ha portato la perdita di suo padre l’ha segnata e l’ha portata ad essere chi è oggi, compreso dove vive, cosa fa, chi conosce e frequenta. Il fatto di essere cresciuta senza un genitore e senza un rimpiazzo, non significa aver avuto una vita vuota o inferiore a livello di esperienze rispetto alle famiglie “al completo”. Sua madre ha ricoperto perfettamente lo spazio vuoto lasciato dal marito e si è assicurata di non far mancare mai niente a N, dagli oggetti materiali alle attività, dall’affetto ai sentimenti. La classica affermazione “poverina” nell’apprendere che N fosse orfana di padre, non è mai mancata. Perché sottolineare questa differenza come una mancanza, come se senza una persona, ovviamente importante, non si riesca comunque a riprendersi e a lottare per essere felici e trovare uno scopo nella vita? Sicuramente la tristezza l’accompagnerà per sempre, ma non mancheranno occasioni di dimostrare la forza acquisita come conseguenza. N è convinta che essere diversi, indipendentemente dal caso, possa essere qualcosa che sproni le persone ad andare avanti e a non arrendersi. E anche se in un certo senso diversa, a N piace essere così com’è, vera e sincera con sé stessa e chi le sta attorno.

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PIETRO Pietro è arrivato ad essere chi è oggi come conseguenza di quella che, essenzialmente, è stata tutta la sua vita. È cresciuto in una famiglia numerosa e non molto benestante. Fin da piccolo ha sempre avuto una grande compagnia di amici e conoscenti e, in generale, giornate movimentate. Dopo il diploma ha iniziato a lavorare con suo fratello in fabbrica. Intorno ai trent’anni conosce quella che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi tre figli. Pietro si sposa e si trasferisce nella casa famigliare di sua moglie. La sua vita, e quella dell’intera famiglia, viene sconvolta da una brutta notizia. Si scopre che il figlio maggiore soffre di una grave malattia a cui, tutt’oggi, non ci sono cure. Affrontare una realtà del genere non è stato per nulla facile. Pietro, sua moglie e tutti i familiari hanno, pian piano, trasformato totalmente la loro vita. Sacrifici e scelte difficili sono state fatte. L’insicurezza di quello che potrebbe essere il futuro è sempre stata presente, anche se inconsciamente. Pietro e sua moglie cercano di combattere e vivere al meglio questa situazione. Finché, la moglie di Pietro, non chiede il divorzio. Pietro ha dovuto lasciare la sua casa e i suoi figli che oggi vede in tempi alterni. La battaglia contro la malattia del figlio continua. Pietro è sempre costante nel suo ruolo di padre e cerca di essere sempre presente e positivo, per quanto possibile. Tuttavia, il rapporto con la moglie è peggiorato. Pietro ha deciso di rimanere fedele alle sue scelte e di vivere per i suoi figli. Non sente il bisogno di un’altra relazione affettiva. Lui ha una famiglia a cui badare, persone a cui vuole bene e che ricambiano al suo affetto. Vivere bene e al meglio per sé stesso e per i suoi figli è ciò che ora importa di più a Pietro. 40



DETTA Se dal primo sguardo si potesse conoscere veramente qualcuno, sarebbe tutto più semplice e si eviterebbero pregiudizi infondati. Fin da piccola, Detta, non ha mai avuto un aspetto finisco “femminile”. Unito anche al suo gusto personale di vestirsi, a Detta veniva spesso chiesto se fosse maschio o femmina. Quello che accade durante l’infanzia, soprattutto se di peso così importante come chiedere ad una bambina il suo genere biologico, ha grandi possibilità di avere ripercussioni sulla mente adolescente e adulta. Infatti, ancora oggi, Detta è insicura del suo viso abbastanza squadrato e “mascolino”. La società ha imposto standard che definiscono l’essere uomo e l’essere donna, dall’aspetto fisico ai vestiti, dal comportamento al linguaggio. Ogni cosa è governata da stereotipi e, con prove evidenti, una preferenza per il genere maschile. Come Detta, ci sono molte altre persone che hanno avuto difficoltà a riconoscere sé stessi, spesso per cause esterne che hanno portato a dubbi personali. Il genere biologico non dovrebbe comunque essere l’unica caratteristica per descrivere una persona. Ognuno dovrebbe essere libero di scegliere ciò e chi vuole diventare. Detta stessa crede che non uniformarsi sia il suo modo, come quello anche di molti altri, di sviluppare chi è realmente. Anche se non ha ancora completamente raggiunto come e chi vuole essere, Detta è felice e soddisfatta della strada che ha percorso finora.

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ALESSIA Alessia ha cercato di vedere il lato positivo di quello che porta essere diversi. Ciò non toglie il fatto che, esperienze e commenti sgradevoli, l’abbiano colpita profondamente, specialmente a livello psicologico. Se in questo mondo essere bianchi è già un privilegio, ciò non significa essere immuni da pregiudizi e discriminazioni che possono comunque avvenire in qualsiasi contesto sociale, professionale, politico ed economico. Tutte queste situazioni sono ugualmente importanti e tutte possono avere gravi effetti. L’aspetto fisico e il comportamento possono spesso essere delle forme di discriminazione sottovalutate. Per chi le subisce, invece, può essere soffocante. Alessia spesso si ritrova a fare delle scelte non volute che sono la conseguenza di quella sensazione angosciante dell’essere “diversi” in una società che impone dei modelli da rispettare per non essere limitati o esclusi. Per Alessia è fondamentale essere diversi al fine di essere uguali. Avere un pensiero differente è ciò che rende unici e originali, ma la base e la sostanza sono le stesse per tutti. Alessia crede che considerare e parlare di queste tematiche, socialmente scomode, sia fondamentale in quanto, alla fine, tutti creano l’insieme della società.

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L L ha sempre vissuto la sua realtà in modo diverso rispetto al contesto sociale che l’ha circondato durante la sua infanzia e adolescenza. È una persona queer, che soffre di ansia sociale e che ha un aspetto fisico anticonvenzionale. È convinto del fatto che la diversità sia oggettivamente essenziale per il progresso e il cambiamento individuale e sociale. Durante il periodo delle scuole elementari e medie, la diversità di L veniva vista come qualcosa da esorcizzare e da allontanare, piuttosto che accogliere. Inoltre, tolti appellativi spiacevoli ricevuti per strada, non ci sono state situazioni di discriminazione pesante per L. Essere diversi non è considerabile né un pregio e né un difetto, anzi, è qualcosa che può aiutare a trovare un orgoglio personale, piuttosto che per gli altri. L ogni tanto pensa che se fosse “normale”, sarebbe tutto più semplice, ma cambia subito idea a riguardo. La normalità per L non esiste e, anche se esistesse, non vorrebbe mai farne parte, poiché significherebbe rinunciare a vivere per esistere in un corpo estraneo. Crescendo e spostandosi dal suo paese natale, ha trovato persone ugualmente “mostruose” con cui ha costruito la sua comunità che, in un certo senso, ha annullato la sua diversità, riconoscendo persone simili seppur differenti. Essere fuori posto, diversi, è qualcosa di inevitabile, perché l’unico modo per qualcuno di identico a sé stessi è guardarsi allo specchio. E, probabilmente, nemmeno questa è una garanzia.

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MJ Mj vive in Italia da quando aveva appena un paio di anni di vita. I suoi genitori sono originari dell’est Europa e, all’inizio della sua infanzia, sono emigrati nel sud Italia. La famiglia si è poi sposata al nord dove Mj ha trascorso gran parte della sua adolescenza e dove attualmente vive. Crescendo Mj è stata giudicata per il suo aspetto fisico e per la sua provenienza. Specialmente i più piccoli possono essere veramente cattivi tra di loro. Perciò, prendendo di mira l’origine della sua famiglia, Mj è stata derisa più volte per alcune sue caratteristiche. Con il passare degli anni, fortunatamente, si è ritrovata in ambienti diversi, con persone diverse. È stata accettata e capita. Anche il suo carattere è cambiato. Ha iniziato ad essere ironica sul suo stesso aspetto e a non dare troppa importanza a pensieri e chiacchiere di estranei nei suoi confronti. Tutti questi momenti scomodi e di disagio l’hanno portata ad essere chi è oggi. Per Mj essere diversi non è la peculiarità che definisce una persona. Ognuno sceglie personalmente quale parte di sé stesso rappresenta il proprio modo di essere.

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SIMO Non riuscire a raggiungere le aspettative della società può essere tremendo. Ancora peggio è non avere il supporto della propria famiglia. Molti trovano un’altra famiglia in amici e conoscenti, costruendosi rapporti di condivisione ancora più forti di quelli che hanno, o che non hanno mai avuto. Simo è un ragazzo insicuro a cui non piace parlare con altri dei propri sentimenti e delle proprie difficoltà. Preferisce risolvere i suoi problemi da solo, senza troppi giri di parole e azioni che risulterebbero invadenti ed evitabili. Le indecisioni sono iniziate nel periodo di scelta delle scuole superiori. Oggi ha aspettative personali difficili da raggiungere. Non riesce sempre a prendere una scelta adeguata o che vada bene alle altre persone che lo circondano. Il fatto che ogni sua decisione venga messa in dubbio e ritenuta inadeguata, non lo aiuta. Simo si sente in dovere di risolvere le sue preoccupazioni da solo, senza causare problemi superficiali agli altri, alla sua famiglia e ai suoi amici. Purtroppo ha difficolta a parlare con gli estranei e non sempre, per via dei suoi dubbi, riesce a fare la scelta giusta. Tuttavia, è importante per lui, il parere di sua madre, unica figura a cui chiede consiglio. La pressione che a volte la famiglia, e la società in generale, esercita sulla mente delle persone, può diventare veramente pesante da sopportare. Le aspettative che vengono imposte, sembrano sempre più lontane e impossibili da raggiungere. Simo ha iniziato una nuova fase della sua vita e, sicuramente, con il suo tempo e con sempre più esperienze nuove da affrontare, riuscirà a trovare un obiettivo da raggiungere.

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PARTE Ⅱ



EMARGINAZIONE “porre ai margini” Azione, atteggiamento o comportamento, individuale o collettivo, diretto a escludere dai normali rapporti di convivenza civile, uno o più individui o gruppi. Esclusione dalla partecipazione ai diritti e ai benefici di cui godono i membri di una società.


Emarginazione ed esclusione sociale L’emarginazione è uno status sociale, individuale o collettivo, che consiste nell’escludere dai rapporti civili e sociali, quei soggetti che hanno comportamenti diversi rispetto agli standard imposti dalla società. La causa che porta all’attuazione del processo di emarginazione, è sempre di carattere sociale, in cui si vede l’individuo rifiutato dalla società o viceversa. Il soggetto è colui che, per etnia, identità biologica e identità di genere, età, lingua, nazionalità, appartenenza religiosa e culturale, salute fisica e mentale, professione, disabilità e diritti, viene stigmatizzato e allontanato in quanto “diverso” e non adeguato ai modelli istituiti dalla collettività. Questa situazione di marginalità, difficilmente mutabile, porta a vivere una o più situazioni di disagio, arrivando, infine, alla percezione di sé stessi come emarginati. Un grave stato di isolamento può avere come conseguenza la perdita del senso di appartenenza ad una determinata comunità o gruppo e, soprattutto, l’affiorare di un senso di insicurezza sociale, di vulnerabilità, di mancanza di relazioni e di inadeguatezza rispetto al sistema economico-sociale. Nella condizione discriminante dell’emarginazione, si può distinguere quella di carattere sociale. Si tratta di esclusione sociale quando un individuo è impossibilitato o discriminato dalla partecipazione a determinate attività sociali e personali. In questo caso, la situazione incomoda è causata da mancanze economiche, limiti culturali e politici, la solitudine, la carenza di legami sociali e familiari, attività, comportamenti ed interessi personali. Non si tratta, però, di una mancanza di bisogni materiali, ma piuttosto di bisogno relazionali e sociali, sostanzialmente immateriali, comprendendo l’impossibilità di esprimere 58


e far sentire la propria voce a livello collettivo. Dall’emarginazione sociale si può arrivare all’emarginazione individuale. Questo significa che, spesso, il disagio immateriale, psichico e sociale legato al carattere introverso e discriminato, inquadra un isolamento individuale e involontario.

Vittime collaterali Tipiche delle società moderne, sono appunto queste condizioni di disagio. I gruppi o gli individui che ne sono colpiti, rientrano nella categoria delle “vittime collaterali”. Esse sono la diretta conseguenza di ciò che accade nella realtà economica, demografica e sociale, e sono, a loro volta, cause di altrettanti cambiamenti a cui tutti possono essere sottoposti nelle diverse fasi della vita. L’espressione “vittime collaterali” ricorda il significato di danni collaterali, termine strettamente legato all’ambito militare e alla guerra, ma non solo. Entrambe queste espressioni fredde, hanno un effetto a loro volta collaterale: quello di nascondere gli aspetti più spiacevoli della realtà. Solitamente questi danni non vengono calcolati né prima, poiché conviene per non sprecare risorse, né dopo, per evitare fastidiose prese di coscienza. In una guerra o tragedia, questi sono appunto, definiti laterali, marginali, meno importanti, inutili e di cui non è necessario parlare. Per il filosofo, sociologo e accademico polacco, Zygmunt Bauman, le vittime collaterali sono, innanzitutto, causate dalla globalizzazione. Per descrivere la società moderna, Bauman ha 59


utilizzato espressioni come “modernità liquida”. Punto focale della sua critica alla società moderna è il passaggio dall’uomo produttore all’uomo consumatore. Questo si lega alla globalizzazione, all’industria della paura, che smonta ogni sicurezza della vita, riducendola sempre più a qualcosa di liquido, frenetico, impossibile da afferrare in modo solido. La vita diventa una corsa forsennata alla ricerca dell’appartenenza ad un gruppo per non sentirsi, fondamentalmente, esclusi. Colui che non riesce a sentirsi come gli altri, brama la standardizzazione agli schemi collettivi. Inoltre, questo comportamento e queste sensazioni di inadeguatezza legate all’impotenza economica, si rispecchiano anche nei rapporti sociali. La persona non mira al possesso materiale, ma all’utilizzo temporaneo di un oggetto di desiderio, un frangente a cui aggrapparsi momentaneamente per sentirsi, anche se per un istante, parte del gruppo. E questo volere sfuggente si riflette in relazioni sociali usa e getta che vedono l’uomo trasformasi in merce di consumo. Le vittime collaterali sono quindi quelle persone che, se possibile, si evita di ricordare o considerare. Per descrivere queste persone, Bauman utilizza un detto diffuso in Africa: “Quando gli elefanti lottano tra loro, è l’erba a subire le peggiori conseguenze”. L’erba, né alleata, né nemica degli elefanti, è una vittima non intenzionale di un’azione intenzionale; è un danno collaterale non calcolato di un’azione calcolata. Seguendo le teorie di Bauman, si possono evidenziare due fattori fondamentali avvenuti in passato e che sono stati grandi cause di produzione di vittime collaterali. Il primo è la costruzione di nuovi ordini sociali. Ogni volta che si instaura un nuovo ordine, migliore del precedente, un certo numero di persone 60


non riesce ad adeguarsi, rimanendo emarginato o venendo eliminato. Affiora questa necessità di cancellare ciò che non riesce ad adeguarsi con il nuovo quadro sociale. Il secondo processo, invece, è il progresso economico. In termini generali significa la capacità di produrre beni ad un costo minore, con meno manodopera e in modo più efficace. Questo metodo diventa impraticabile per alcune persone, che si vedono quindi costrette a cambiare il loro stile di vita. Nel presente, però, per vittime collaterali si intendono quelle persone sofferenti di cui è preferibile evitare di parlare, definizione coniata dal sociologo Stefano Allievi. Quello che prima voleva rimanere nel silenzio, è diventato così comune e vicino ad ogni individuo, che non è stato più possibile nascondere l’evidente. Ovunque si rivolga lo sguardo oggi, in modo apparente o meno, si possono notare vittime collaterali.

Società di paura La società odierna è una società di paura. Nonostante quello di oggi si possa considerare il periodo più ricco della storia dell’uomo, persiste ancora quel terrore, non solo economico e politico, ma anche per una nuova mentalità, per la flessibilità della vita. Ed è su questa paura che sempre più parti guadagnano, materialmente ed immaterialmente. La paura è ciò che porta all’esclusione, la quale è caratterizzata da insicurezza e da ignoranza. La prima diventa parte dell’escluso che perde la sua identità sociale e che pare non abbia alcuna possibilità di 61


redimersi e di uscire dalla marginalità. La seconda, invece, si lega a coloro che causano l’esclusione. L’ignoranza, di non aver riconosciuto il problema e di non saper risolvere questa grave situazione, si trasforma in rabbia, che a sua volta si va ad abbattere sul diverso. La parte più difficile del processo di esclusione, è proprio la riabilitazione per l’integrazione dell’escluso. Non ci sono soluzioni che, oggi, possano azzerare totalmente quel conflitto tra “normale” e “diverso”. Anche se a livello personale si riesce a comprendere quale sia il comportamento corretto da adottare, guardando la sfera generale, propria delle istituzioni sociali, non si vede ancora un risultato completo per combattere queste disuguaglianze.

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OTHERING “rendere altro da sé” Processo che consiste nel rende un soggetto (individuo o gruppo) “differente” attraverso un paragone con uno schema ben definito (norma). Si generalizzano delle caratteristiche che segnano una diversità negativa di aspetto immaginario o di aspettativa di grandi differenze.


Gli altri All’emarginazione si arriva passando per la discriminazione. Il processo detto “othering”, sta alla base delle disuguaglianze sociali. Esso consiste nel rendere un individuo o gruppo “differente”. Il soggetto viene paragonato ad uno schema definito la “norma” e, successivamente, ne viene escluso, viene posto al di fuori di un confine. La società è composta da diverse caratteristiche generalizzate che vengono utilizzate per segnare una diversità negativa e al di fuori dello standard. Si arriva alla conclusione di una distinzione tra il “noi” che siamo “qui” e gli “altri” che sono “là”, definendo “qui e noi” come la norma, e, “là e gli altri”, come anomali, diversi, stranieri. Queste differenze sono essenzialmente immaginate e servono per categorizzare le persone in gruppi ai quali sono assegnate caratteristiche che rispondono alle aspettative e ai desideri dell’immaginario collettivo. Si possono trovare differenze di natura economica, politica, etnica, di età, stato civile, appartenenza religiosa e culturale, disabilità fisica e psichica, diversità di diritti, conflitti comportamentali e relazionali. Ryszard Kapuściński, giornalista, scrittore e saggista polacco, ha sempre avuto nei suoi scritti il tema dell’altro. Punto focale del suo operato è stato viaggiare e scrivere delle popolazioni che incontrava, avendo come contenuto di riflessione il razzismo. Per Kapuściński, il primo reporter della storia è stato Erodoto, il quale era consapevole, da come si può comprendere nelle sue opere, che per conoscere sé stessi bisogna conoscere gli altri. 64


Kapuściński aggiunge la sua personale riflessione dopo aver scritto di un suo viaggio in Africa: “Quando vivevo nel mio paese non ero consapevole di essere bianco e che ciò potesse influire in qualche modo sul mio destino. È stato solo in Africa alla vista dei suoi abitanti neri che me ne sono reso conto. Grazie a loro ho scoperto il colore della mia pelle, al quale altrimenti non avrei pensato”. Kapuściński scrive anche di quali possibilità ha sempre avuto l’uomo all’incontro con l’altro: la guerra, l’isolamento dietro ad una barriera o il tentativo di stabilire un dialogo, con la guerra come opzione difficilmente giustificabile, ma come sconfitta del genere umano conclusa sempre tragicamente nel sangue e nella morte. L’essere ostili e il provare odio, spinto da pregiudizi e discriminazioni, è sempre stata una scelta per l’uomo. Il tutto è partito dalla divisione della società in parti ben definite e secondo un preciso ordine d’importanza e peso sociale. Ma la possibilità di integrazione e di convivenza pacifica è sempre stata una delle opzioni disponibili all’incontro del cosiddetto “altro”. Quella che probabilmente è mancata, è la consapevolezza delle conseguenza di una selezione, piuttosto che un’altra.

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XENOFOBIA “paura dello straniero” Avversione indiscriminata nei confronti degli stranieri e di tutto ciò che proviene dall’estero. “La xenofobia è la malattia di gente spaventata, afflitta da complessi di inferiorità e dal timore di vedersi riflessa nello specchio della cultura altrui.” ­­– Ryszard Kapuściński


Marginalità sociale Dall’organizzazione della società fondata sulla disuguaglianza, sulla gerarchizzazione dei ruoli sociali e sull’esistenza di gradi differenti di integrazione sociale, nasce il concetto di marginalità sociale. Si stabilisce un confine che separa un ambiente sociale dall’altro, o diversi limiti che sparano diversi sistemi all’interno dello stesso ambiente sociale. Questo avviene per singole persone o per gruppi che non possono, o non vogliono, rispettare le norme della società in cui vivono. Tuttavia, la loro emarginazione sociale, non è frutto solamente dall’essere puramente diversi, ma emerge soprattutto dalla reazione e dai comportamenti della maggioranza nei loro conforti. La maggioranza basa l’intera organizzazione sociale e, di conseguenza, i suoi criteri comportamentali nei confronti dei “devianti”, su modelli stabiliti come normalità che risultano nella presa di distanze dagli individui che non ne fanno parte, spingendoli, appunto, ai margini della società stessa. La marginalità sociale porta a diverse condizioni di disparità e discriminazione economica, politica, sociale e, talvolta, giuridica. Ciononostante le ripercussioni legate a questo tipo di esclusione sono in continuo cambiamento, avanzando con la società in cui avviene. Dal punto di vista scientifico-sociale, la condizione di marginalità sociale è inizialmente condizionata dallo sviluppo economico-industriale della società ed è propria delle società industriali avanzate, specialmente nelle grandi aree urbane. La povertà economica non è l’unica motivazione dell’esistenza dell’emarginazione sociale: la marginalità dovuta alle capacità economiche riguarda il metodo di inclusione nel sistema, mentre la povertà 67


economica è in relazione con l’accesso e i limiti di accesso alle produzioni e ai consumi economici. Rimane il fatto che, la combinazione della disuguaglianza economica con la disuguaglianza sociale, sia la radice alla base dell’emarginazione sociale. La teoria che vede la disuguaglianza sociale come fattore principale di questa condizione di esclusione, è innegabile, in quanto, nella maggior parte dei casi, i soggetti più colpiti sono appartenenti ai gruppi sociali più svantaggiati e di minoranza che riflettono questa disparità economica-sociale. Tuttavia, altre teorie, sostengono che la marginalità abbia un carattere multidimensionale che le permetterebbe di esistere anche senza forme di povertà e in settori della popolazione “integrata”. Questa tipologia di marginalità sarebbe, dunque, distaccata dal funzionamento produttivo e distributivo, ponendo, invece, la sua attenzione alle posizioni sociali, allo status incerto e alla perdita di appartenenza (propria dell’epoca moderna). Ci sono studiosi che si concentrano sul fattore funzionale della marginalità, tra cui le tradizionali teorie che descrivono il mutamento sociale. Diversi sono i ragionamenti di scienziati che analizzano con maggiore attenzione le implicazioni culturali e psicologiche dei processi di differenziazione sociale. Entrambe le nozioni non trovano differenze nella struttura oggettiva e nella psicologia del soggetto emarginato, ma esse si rifanno a due diverse visioni dell’integrazione sociale: la prima come il modello sociale consistente di un corpo omogeneo e coerente, avente valori collettivi e unificati, dominato da un ordine politico ed economico; la seconda è fondata sull’idea di un equilibrio che risulta instabile nell’uniformare tutti i suoi sottoinsiemi, fondamentalmente non comprimibile in uno soltanto. 68


VOX POPULI “voce di popolo” Espressione latina che viene attribuita ad Alcuino di York, filosofo e teologo britannico. Si riferisce ad una verità divenuta tale, solamente perché voluta da molti (il popolo). Acquisisce il significato di “opinione comunemente accettata” o di “fatto di cui tutti sono a conoscenza”.


L’effetto Pigmalione La marginalità ha un effetto paradossale, in quanto inserisce l’individuo marginale, in una categoria di appartenenza, alla quale vengono attribuite caratteristiche specifiche, che, allo stesso tempo, lo privano delle stesse risorse e garanzie sociali a cui ha, invece, libero accesso la maggioranza sociale. Questa maggioranza fa parte della società, del popolo, che rappresenta la voce più potente nell’organizzazione sociale. Essa impone degli standard che, se non rispettati, limitano, rifiutano, escludono chi non li rispecchia. L’esclusione sociale si basa così su delle credenze, i cosiddetti modelli, che diventano tali poiché rispettati e adeguati per la maggioranza. Il sistema sociale risulta essere favorevole alla maggioranza che si ritrova agevolata e appoggiata in qualunque situazione rispetto al diverso, diretta conseguenza di queste imposizioni. Gli standard scelti per rappresentare la società adeguata, sono basati sugli individui (appartenenti alla maggioranza) che la compongono. Il paragone che si crea con altri popoli, altri stili di vita e altri comportamenti, viene concepito come sbagliato. Ma questo ragionamento potrebbe essere pensato anche inversamente: se fossero i “diversi” ad essere “normali”? La norma è stabilita in favore della parte più numerosa ed incidente della società, non sempre quella moralmente più corretta e nemmeno migliore per quanto riguarda i valori. Tuttavia, come precedentemente affermato, queste norme sono solo delle credenze. Sono concetti fittizi, concepiti solo per la comodità di eliminare direttamente l’errante, il corrotto, il diverso, invece di provare ad integrare tutti in un modello adeguato, ma che non soffochi la libertà di essere sé stessi. Probabilmente trovare un 70


sistema che vada bene per tutti e tutto è impossibile, ma escluderne alcuni solo per comodità, non è nemmeno la soluzione giusta. I soggetti esclusi rappresentano, spesso, la minoranza, non necessariamente numerica, ma paragonata all’incisività e al peso sociale che le loro voci hanno. Dunque considerata l’esistenza di norme di paragone ingiuste, essi sono fondamentalmente sminuiti. Le differenze nate da paragoni basati su norme ingiuste, sono pregiudizi. O meglio, giudizi negativi che, essendo supportati dalla maggioranza, diventano verità anche per chi li subisce. Trovare una soluzione per uscire da tale condizione, sarà sempre più difficile e, con il passare del tempo, sembrerà veramente impossibile. Questo processo è teorizzato come effetto Pigmalione, detto anche effetto Rosenthal, formulato negli anni sessanta, ma si può ricondurre a studi classici e artistici. Per arrivare a definire tale effetto, lo psicologo Robert Rosenthal, condusse un esperimento sociale in una scuola. Rosenthal propose un questionario a dei bambini. Senza nemmeno valutare chi avesse risposto correttamente e senza stimare una classifica, Rosenthal scelse dei bambini in modo casuale e disse agli insegnanti che erano loro i più intelligenti. Un anno dopo, Rosenthal, tornò in quella stessa scuola e notò come l’andamento e le prestazioni scolastiche dei bambini scelti come “i più intelligenti” fossero effettivamente migliorati. L’esperimento vuole dimostrare come, una concezione immaginaria, possa avere un’enorme influenza sulla psicologia di una persona. In questo caso l’effetto è stato positivo. Ma nel caso 71


dell’emarginazione sociale, è ovviamente il contrario. In modo conscio o inconscio, colui che subisce il giudizio, positivo o negativo, inizierà a credere ad esso come verità, comportando un’influenza a livello comportamentale e psicologico. È da qui che si basa il circolo vizioso di questo effetto. Per la persona diventa ovvio come, in base al suo modo di comportarsi, possa ricevere delle reazioni differenti. L’effetto Pigmalione non si manifesta solo in ambito scolastico o lavorativo, ma anche in tutti gli altri contesti dove si sviluppano rapporti sociali. Con esso si vuole indicare come le aspettative esterne possano condizionare le qualità e i rendimenti delle relazioni interpersonali. Inoltre, il giudizio avrà un peso psicologico maggiore se esposto da qualcuno appartenente ad un rango sociale “superiore” di chi lo riceve. In caso esso sia negativo, tutti gli altri aspetti positivi dell’individuo, potrebbero essere oscurati, per il diretto interessato, ma anche per l’osservatore esterno. Nei casi peggiori, il risultato finale sarà l’isolamento o l’esclusione.

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VIOLENZA SIMBOLICA “violenza dolce, invisibile” Termine coniato agli inizi degli anni settanta dal sociologo francese Pierre Bourdieu. Si riferisce alla “violenza” come imposizione di una visione del mondo, dei ruoli sociali e dei pensieri da parte di individui dominanti verso individui dominati.


Dolce violenza Come dichiarò Pierre Bourdieu, la violenza simbolica, ha un carattere dolce, quasi invisibile. Essa è propria di molte relazioni umane come, per esempio, nella pedagogia, ambito in cui è stato definito in termine stesso. Nel settore pedagogico, si tratta di relazioni ordinarie in cui le parti sono suddivise in quella elevata, portatrice del sapere, e quella che è tenuta ad elevarsi, ricevente della conoscenza. Questa è una forma di violenza mascherata che implica un’imposizione culturale. Bourdieu propone l’esempio di differenze che emergono nel campo filosofico, da paese in paese, come diretta conseguenza dell’esposizione ad una cultura tradizionalmente arbitraria. Nella filosofia, come nel sistema educativo in generale, fino alle organizzazioni statuali, quello che viene proclamato pensiero e conoscenza universale, è in realtà filtrato ed influenzato dalla storia e dalla tradizione di una nazione, popolo, organizzazione, credenze. La violenza simbolica consiste proprio in questo: infondere, anche lì dove non ce ne sono, per esempio nella filosofia, delle forme mentali, delle strutture abusive e storiche che finiscono per riflettersi sul mondo sociale. Vengono definiti delle costruzioni mentali e comportamentali che si instaurano, inconsciamente e profondamente, alla base di questa violenza. Un altro esempio è la dominazione maschile della società in ogni suo aspetto: si tratta di maniere che l’uomo ha adottato, differentemente dalla donna seguendo, appunto, strutture impostate. Si possono notare degli insegnamenti corporei, delle maniere di parlare, gesticolare, guardare, comportarsi, percepire, valutare ed apprendere, a seconda del ruolo che ogni individuo ricopre nel sistema sociale. È proprio da queste composizioni imposte che nascono il “dritto” e il “contrario”. 74


Tutti questi modi di agire, caratterizzano i “simboli” che impongono “l’ordine”. Si nascondono così, i rapporti forzati che descrivono le relazioni umane, tramite un consenso inconscio dettato dalle strutture imposte.

Habitus e incorporazione Strettamente collegati alla violenza simbolica, sono i concetti di habitus e di incorporazione. Il primo è il processo attraverso il quale vengono tramandati cultura, valori, credenze di un gruppo sociale, generanti dei comportamenti diretti che regolano la vita sociale. Il termine è la traduzione latina di hexis, appartenente alla tradizione aristotelica. Descrive qualcosa di acquisito attraverso l’apprendimento, qualcosa di storicamente costituito che, di conseguenza, è storicamente trasformabile. È proprio questa la differenza tra violenza simbolica e un altro modello di imposizione: la necessità della storia come fattore che può alterare la condizione. L’habitus sottolinea uniformità e differenziazione allo stesso tempo. Se si intendono come caratteristiche di uno stile di vita particolare in tutte le sue persone, beni e pratiche, si rappresenta uno stile di vita unitario. Dunque queste caratteristiche, se paragonate ad altri sistemi, sono delle differenze. L’incorporazione, invece, descrive come la simbologia delle relazioni abbia effetti diretti sul corpo dei soggetti sociali. Il corpo 75


umano viene quindi antropologicamente concepito, non solo come entità biologica, ma come il risultato di relazioni sociali, politiche, economiche e storiche. Viene influenzato e trasformato individualmente, diventando una dimensione di contrasto o di supporto sociale, come strumento di resistenza, per esempio, nella lotta dei diritti umani. Il corpo scheletro sociale-culturale, e la società e la cultura, diventano l’insieme dei corpi che la compongono ed influenzano, non solo a livello di pensiero.

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INETTO “non adatto” Inadatto a vivere poiché non riesce ad aderire alla vita, non ha valori in cui credere, non ha scopi, non ha un ruolo nella società in cui riconoscersi. L’inetto si sente malato di quella malattia che è il disagio del Novecento, quell’incapacità di provare sentimenti che provoca nell’uomo un intenso alone di tristezza e di infelicità.


Alla ricerca della felicità La figura dell’inetto si ritrova nelle opere dello scrittore italiano, Italo Svevo. Rappresenta colui che è inadatto a vivere, che non ha un ruolo definito nella società, che non riesce a trovare un senso alla propria vita. L’inetto è anche malato del disagio del Novecento, la perdita dell’identità e l’impossibilità di provare sentimenti, fattori che lo portano alla tristezza, all’infelicità. Il fallimento, la sconfitta dell’inetto è la conseguenza della divisione tra l’essere e la realtà in cui vive e tra l’interiorità e la consapevolezza dell’esistenza dell’inconscio. I protagonisti dei romanzi di Svevo sono degli inetti. Ma, tra essi, sono riconoscibili delle differenze. Alfonso ed Emilio, rispettivamente i protagonisti di Una Vita e Senilità, sono scritti in chiave tragica, rappresentati in una realtà triste e scura e, come loro destino, è riservata la morte o, comunque, la rinuncia a vivere. Al contrario, invece, è raffigurato il personaggio di Zeno, in La Coscienza di Zeno, che capisce la sua situazione e riesce ad allontanarsi da questo sentimento tragico, diventando consapevole della sua “malattia”, criticando sé stesso e la sua condizione in modo ironico. Involontariamente e convinto di star sbagliando, Zeno riesce a compiere la scelta corretta e a raggiungere la felicità. L’essere inetto è una condizione che sta riaffiorando nell’epoca contemporanea. Nell’ambiente sociale, politico ed economico, si possono trovare sempre più ostacoli e ragioni che impediscono alle persone di vivere al meglio. Dalle differenze, ai pregiudizi che, a loro volta, diventano discriminazioni. I motivi sono numerosi e in continuo cambiamento. 78


Ricollegandosi ai personaggi di Svevo, sono due le soluzioni a questa “condizione”. La prima è negativa e consiste nel totale abbandono e rinuncia, vedere la morte come l’unica salvezza dall’agonia che è la vita. Mentre la seconda, quella propri di Zeno, è positiva, anche se in modo unico. Per quanto l’esistenza possa essere avversa, il protagonista riesce a comprenderla e ad accettarla, servendosi dell’ironia per combatterla e, in qualche modo, arrivare alla sua idea di felicità, dimostrando che è possibile vivere in qualsiasi condizione. La società ha sempre imposto degli standard da raggiungere e da rispettare per rientrare nella categoria di “coloro che sono capaci di vivere nel modo corretto” e che, soprattutto, “si meritano di vivere in questa società”. La società migliore. Essere felici è diventato più un dovere, che una necessità. Essere diversi, inadatti, contrari, non significa essere necessariamente infelici. Per molti, non conformarsi alla massa è vantaggioso. Avere una propria identità anche se stravagante, piuttosto che essere tutti uguali, è uno degli obiettivi che bisognerebbe avere nella vita. Essere il più sinceri e unici possibili, con sé stessi, prima che con gli altri. Qualunque sia la soluzione adottata da qualunque persona, dovrebbe essere quella più giusta per il proprio essere. L’attenzione non dovrebbe essere posta sul risultato, rappresentato da una diversità o meno, ma si dovrebbero premiare e riconoscere le fatiche, i sacrifici e le battaglie compiute per raggiungere il finale. La concezione di felicità, di vittoria nella vita, dovrebbe essere qualcosa di puramente personale e soggettivo. 79



CONCLUSIONE Nelle storie della prima parte del libro, ho cercato di esprimere al meglio i sentimenti e i pensieri dei protagonisti, puntando sempre a sottolineare come, in realtà, tutti siano riusciti a trovare sé stesse o un motivo per continuare ad essere diversi. I racconti dei più adulti sono già quasi la conclusione di quella che è stata la loro esperienza in una situazione differente. Altri, invece, hanno appena iniziato un nuovo percorso. Tutti, però, hanno riflettuto e hanno condiviso qualcosa di personale che, in fin dei conti, potrebbe essere comune, uguale, in più persone di quanto non immaginiamo. Le storie sono state raccolte tramite interviste a conoscenti e non. Fondamentale nella mia ricerca è stato anche formulare un questionario anonimo. Sentendomi personalmente diversa, in più di una circostanza, ho pensato che gli argomenti e le informazioni che intendevo trattare, non fossero argomento di discussione libera e confortevole per tutti. Chi è diverso o escluso, spesso finisce per auto-isolarsi. Dunque, queste tematiche potrebbero risultare più facili da commentare e condividere in chiave anonima. Gli interessati hanno avuto tutto lo spazio per esprimere opinioni e vicende, aiutandomi immensamente in questo progetto. Un grazie è rivolto, soprattutto, a coloro che hanno scelto di raccontarmi la loro storia. La seconda parte del libro, quella più teorica, serve per dare una base di conoscenze ai lettori. Questo perché ogni cosa è effetto di altre. L’emarginazione nasce da diverse situazioni economiche, politiche e sociali. Ritengo che sia importante arrivare alle radici, anche in modo generale, per comprendere al meglio una problematica e, magari, capire dove possa trovarsi una soluzione e come raggiungerla. 81


Storie di Persone ha come obiettivo finale quello di essere qualcosa in cui i diversi, gli esclusi, gli emarginati, possano rispecchiarsi leggendo vicende, forse, simili alle proprie. Vorrei dimostrare come una possibilità di redimersi, una soluzione positiva si possa sempre trovare, nel bene e nel male e nel modo più personale plausibile. Per tutti i “normali”, gli “inclusi” e gli “integrati”, questo libro potrebbe essere utile proprio per comprendere come altri si possano sentire in quelle che per loro sono condizioni ottimali e soddisfacenti. Riconoscere che nella società ci siano gravi problemi, è il primo passo verso la loro risoluzione. Il cambiamento non deve accadere solo da parte di coloro visti come “sbagliati”, ma da tutte le componenti della società. Ognuno di noi, nelle sue diversità, riscontra una soluzione positiva o negativa alla base della sua persona e del suo essere, come conseguenza di esperienze ed avvenimenti. Ciò non significa essere meno felici o meno umani di chi, invece, è riuscito, o non ha mai nemmeno dovuto provare, ad integrarsi.

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FONTI Emarginazione Scheda “Esclusione sociale” di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale Othering Staszak Jean-François. 2009, Other/Otherness. In: Kitchin & Thrift (Ed.). International Encyclopedia of Human Geography: A https://stefanoallievi.it/articoli/vittime-collaterali-intervista-a-zygmunt-bauman/ Xenofobia https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/015987/2011-12-16/ https://www.treccani.it/enciclopedia/marginalita-sociale/ https://www.treccani.it/enciclopedia/marginalità-sociale_%28Enciclopedia-delle -scienze-sociali%29/ Vox populi https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=101779 Violenza simbolica https://www.doppiozero.com/materiali/pierre-bourdieu-la-violenza-simbolica https://journals.openedition.org/qds/686#tocto2n1 Inetto https://suonidicarta.wordpress.com/2012/11/07la-modernita-dellinettitudine-alezione-da-zeno-cosini/ http://marcellotartaglia.blogspot.com/p/la-figura-dellinetto-nella-letteratura. html

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“Non uniformarsi permette di sviluppare ciò che siamo realmente.” Detta “Siamo diversi al fine di essere uguali.” Alessia “Se la normalità esistesse, non vorrei farne parte, poiché significherebbe rinunciare al me stesso reale, per esistere in un corpo estraneo.” L “Essere diversi per me è lo scopo della vita. Se fossimo tutti uguali, non ci sarebbe gusto nel conoscere persone nuove.” Lemon “Essere diversi può comportare scelte difficili. Ma col tempo i nostri sforzi verranno ripagati.” Franco “La diversità è molto bella per chi sa conviverci.” Venere “La diversità, come la dislessia, creano dei preconcetti nella mente delle persone, dei limiti, che si possono e che devono essere superati.” Poeta Incendiario “Il senso della vita non consiste nell’essere diversi. Bisogna essere sé stessi. Di conseguenza, ognuno sarà unico a modo suo.” Mj


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