Un paese di sguardi

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Grazie ai bambini di Cotignola e Barbiano che sono il vero sangue e linfa di questo racconto, e grazie ai loro genitori che ci hanno sostenuto e accompagnato in questi anni: questo libro è, prima di tutto, per voi; grazie alle maestre per aver condiviso con entusiasmo percorsi e progetti permettendoci a volte anche azzardi e sperimentazioni; grazie al Comune di Cotignola ed in special modo alla segreteria dell’ufficio Cultura che ha sempre fatto il tifo per noi; grazie alle associazioni Pro Loco, Primola e alla cooperativa Alberico: compagne di viaggio ed insostituibili aiuti nella realizzazione di manifestazioni ed eventi; grazie a tutti gli amici che vivono, frequentano e collaborano con la Scuola Arti e Mestieri in occasione di feste, laboratori particolari, mostre, e nelle serate in cui facciamo cartapesta; grazie a tutti gli artisti “convocati illegittimamente” in questo testo e a tutto il cuore numeroso1 rappresentato da quegli artisti che hanno esposto in questi anni intorno e all’interno del Cantiere delle Arti; grazie al maestro e pittore Andrea Tampieri per averci lasciato la Scuola Arti e Mestieri come luogo felice e vivace, vibrante e pulsante, e per aver ideato il Cantiere delle Arti da cui abbiamo saccheggiato più di un’idea per i nostri laboratori: se a Cotignola succedono cose, molte di queste dipendono dalle sue idee e dal suo lavoro; grazie ai fotografi Daniele Casadio e Stefano Tedioli per le immagini che scaldano e si intrecciano a questa storia. Infine un ringraziamento particolare a Marilena Benini e Daniele Ballanti: senza il loro impegno e cuore questa avventura non sarebbe stata possibile; se questo libro esiste è grazie a voi e perciò a voi è dedicato: grazie.

1. Le parole cuore numeroso sono della poetessa e pittrice Sabrina Foschini.

ISBN 88-8434-267-8 © 2005 edizioni junior srl viale dell’Industria, 24052 Azzano San Paolo (BG) Tel. 035/534123 Fax 035/534143 e-mail: edjunior@edizionijunior.it www.edizionijunior.it Prima edizione: ottobre 2005 Edizioni

10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 2009 2008 2007 2006 2005

Questo volume è stato stampato presso Tecnoprint snc, Romano di Lombardia (BG) Stampato in Italia - Printed in Italy Progetto grafico e impaginazione: Marilena Benini Le fotografie di questo libro, salvo diversa indicazione corrente nelle pagine, sono di Stefano Tedioli; In prima di copertina fotografie di Daniele Casadio; in quarta di copertina disegno di Sara (classe prima elementare).


Massimiliano Fabbri Francesco Caggio Ombretta Cortesi

un paese di sguardi

edizioni junior Comune di Cotignola - Scuola Arti e Mestieri - Pro Loco


Premessa

Un Paese di Sguardi ripercorre e riordina un’esperienza quinquennale di laboratori d’arte per bambini avvenuta in provincia di Ravenna ad opera della Scuola arti e Mestieri di Cotignola. Un libro che parla di bambini che si misurano con un fare quasi artistico, attraverso progetti didattici, storie per il museo, e un’ampia e selezionata documentazione dei laboratori attivati (principalmente rivolti alle scuole materne ed elementari); laboratori che fanno di una commistione tra differenti tecniche e modalità espressive una precisa metodologia operativa capace di tenere insieme pittura e fotografia, creta e cartapesta, disegno e libro artigianale in un libero attraversamento dei materiali teso non tanto, o non solo, alla ricerca di un affinarsi e consolidarsi di abilità manuali, ma piuttosto immerso e calato nel tentativo e scoperta di nuovi sguardi, pensieri e prospettive sulle cose. Uno sguardo scrutatore, cercante e trovante che può quindi essere sostenuto, prolungato, portato in profondità ed arricchito da una maggior padronanza e controllo di un insieme di saperi formali. Disegnare col cuore… Un percorso di avvicinamento all’arte che mira alla definizione di punti di vista altri: arte come processo di inesauribile conoscenza ed indagine su se stessi e su ciò che ci sta intorno e circonda; arte come possibile luogo di costruzione delle identità perché vista e filtrata da uno sguardo emotivo e partecipe, da dentro. Arte come meccanismo di stupore o macchina di e per la curiosità; arte come ragnatela che impiglia, filo che annoda e collega mondi. Un Paese di Sguardi è un libro dialogato e a più voci che potrà perciò servire all’adulto per ripercorrere, smontare e ricongiungere un viaggio meraviglioso e meravigliato compiuto dai bambini intorno all’arte e ai loro sentimenti ad essa intrecciati: questo libro è la storia di una relazione che si traduce in un incontro non più negato tra occhio e mano o su come la visione si spossa rovesciare e trasmettere, felicemente, in un fare manuale che non sarà mai mera e rassicurante esecuzione, ma vero e proprio spostamento. Il volume non è perciò solo una documentazione o resoconto, ma un vero e proprio diario e libro d’arte che lascia ampio spazio ad un racconto per immagini in cui convivono le produzioni di artisti

e bambini in un continuo, onnivoro e poco ortodosso scivolamento-slittamento, fatto di rimandi, suggestioni e arditi collegamenti. Un’iconografia che corre parallela alle parole, amplificandole, completandole e chiarendole, forse anche rilanciando ulteriori problemi e domande, in un continuo mescolarsi tra approccio serio e colto, e gioco impegnato. A sostenere, accompagnare e mettere a fuoco le intuizioni, narrazioni e traiettorie creative del maestro Massimiliano Fabbri e dei bambini che hanno lavorato all’Arti e Mestieri, gli interventi scientifici e i commenti di due pedagogisti: Francesco Caggio ed Ombretta Cortesi, quasi un libro dentro al libro, un racconto parallelo calato e partecipe. Un Paese di Sguardi è perciò un oggetto e prodotto ibrido e come tale non è pensato esclusivamente per addetti ai lavori: pur essendo altamente specialistico e indirizzato (l’atelier creativo nella scuola), non si rivolge solamente a insegnanti, studenti, maestri ed operatori, ma anche a genitori, cittadini e a chiunque sia curioso di misurarsi con una serie di approcci al vedere e fare sperimentati dai bambini sulla loro pelle; tutto ciò è reso possibile da una trama narrativa che tiene insieme didattica, parole dei bambini, arte alta e bassa, il tutto ritmato da divertenti e sdrammatizzanti racconti, quasi controcanti che provano ad annullare le distanze con l’opera degli artisti, giocando con l’arte e riportandola vicina ad una prassi di ascolto quotidiana e non intimorita. Di un accostarsi alle cose d’arte lieve ed ironico che forse potrà anche interessare artisti… magari a digiuno di mondo infantile, o forse capace ed in grado di catturare e portare all’arte chi vive o lavora con i bambini al di fuori e all’oscuro di questa disciplina, che disciplina non è… Un Paese di Sguardi è, prima di tutto, rivolto ai cotignolesi e al paese tutto, primi committenti di questa operazione; operazione di dicibilità e visibilità sulla e della Scuola Arti e Mestieri, non tanto per difendere e legittimare i propri percorsi, quanto per farne esperienza servibile ed utilizzabile anche fuori dalle mura e per ribadire come l’arte, anche e proprio in paesi così piccoli, possa ritagliarsi ed occupare uno spazio vitale e determinante per la qualità della vita di una comunità.


Indice

0.1 Un libro che parla della Scuola Arti e Mestieri di Daniele Ballanti.............................................. 8 0.2 Un paese e la sua Wunderkammer di Francesco Caggio......................................................... 9 0.3 Il mio paese è fatto così di Lucia Baldini . ............................................................................. 10 0.4 Storia di una presenza di Afra Bandoli e Samuele Staffa........................................................... 15 0.5 Che cos’è e soprattutto cosa fa la Scuola Arti e Mestieri di Massimiliano Fabbri. ................... 21 0.6 Ascoltare i politici Francesco Caggio intervista Antonio Pezzi, Maurizio Casadio e Valentina Contadini............................ 22 0.7 Un paese che fa arte di Francesco Caggio ........................................................................... 25 0.8 …prima di tutto pittore Francesco Caggio intervista Massimiliano Fabbri .................................... 28 0.9 Entrare nella fucina del maestro e dei bambini di Francesco Caggio...................................... 44 1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio 1.1.1 Un anno facciale, faccesco e facciuto di Massimiliano Fabbri............................. 52 1.1.1.A Specchiarsi di Francesco Caggio........................................................ 65 1.1.2 Le facce di pittura di Massimiliano Fabbri........................................................... 66 1.1.2.B Il mai finito o del volto (guardare attraverso, oltre e dentro) di Francesco Caggio........................................................................... 77 1.1.3 Da Bisanzio ai pixel (una nuova vita per Giustiniano e Teodora) di Massimiliano Fabbri...................................................................................................... 80 1.1.3.C Tessere e pixel (scomporre e ricomporre) di Francesco Caggio. .......... 89 1.1.4 Un pittore (ovvero Piero Dosi e i trenta superprotopittori delle facce) di Massimiliano Fabbri...................................................................................................... 91 1.1.4.D Il volto o dei paesaggi dell’anima di Francesco Caggio...................... 113 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura 1.2.1 Le foglie (un immenso stelo d’erba, una minuscola foresta) di Massimiliano Fabbri.................................................................................................... 117 1.2.1.A Ramificare la visione di Francesco Caggio ........................................ 137 1.2.2 Blu (laboratorio acquatico-celeste) di Massimiliano Fabbri................................ 139 1.2.2.B Nel blu, dipinto di blu di Francesco Caggio............................................... 148 1.2.3 La notte è stellata, boschiva e boscosa (laboratorio blu, verde e nero, o del mistero) di Lucia Baldini................................ 150 1.2.3.C Spalancare gli occhi di Francesco Caggio......................................... 151


2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto (o del teatro) 2.1.1 Maschere e pupazzi (per giovani sciamani e bambini protostorici) di Massimiliano Fabbri . ................................................................................... 155 I mascheroni alla Varoli (varolizzati, devarolizzati o alla Van Roli) di Massimiliano Fabbri.................................................................................................... 163 Facce primitive e tribaloidi (per piccoli selvaggi civilizzati) di Massimiliano Fabbri.................................................................................................... 167 2.1.1.A Semplicità e possibilità di Francesco Caggio................................. 170 2.1.2 I burattini (l’atelier di mangiafuoco) di Massimiliano Fabbri...................................... 172 2.1.2.B Mettere al mondo personaggi nuovi di Francesco Caggio..................... 191 2.1.3 La terra è magica e il fuoco la trasforma di Massimiliano Fabbri............................ 193 Un giardino incantato di Massimiliano Fabbri............................................................. 198 2.1.3.C Fantasia e invarianza di Francesco Caggio............................................... 199 2.2 Tra occhio e mano 2.2.1 I muri di Massimiliano Fabbri......................................................................................... 202 2.2.1.A Ascoltare i muri di Francesco Caggio......................................................... 205 2.2.2 La tartaruga della terra di Lucia Baldini..................................................................... 207 Una terra di nome argilla di Lucia Baldini.................................................................. 208 2.2.2.B Parole e cose di Francesco Caggio............................................................ 209 2.2.3 La frutta cartapestata di Massimiliano Fabbri............................................................ 210 In scatola meravigliosa (l’atelier della cartapesta minuta) di Marzia Bianchi e Lucia Baldini..................................................................................... 213 2.2.3.C La scuola, il laboratorio e il nostro quotidiano di Francesco Caggio.... 214 3 Nell’immagine narrante (o del racconto tra le pagine) 3.1 Cartacanta (con un foglio di carta) di Massimiliano Fabbri...................................... 218 3.1.A Aprire la carta (un foglio è multiplo) di Francesco Caggio............... 220 3.2 La fabbrica delle lettere (l’alfabeto fatto ad arte) di Massimiliano Fabbri............... 222 3.2.B Ogni lettera un mondo di Francesco Caggio............................................ 227 3.3 Librarte di Massimiliano Fabbri..................................................................................... 229 3.3.C In principio era uno scontro… no, meglio: un incontro di Francesco Caggio...................................................................................... 236 3.4 I libri dell’Arti e Pensieri di Massimiliano Fabbri.......................................................... 238 3.4.D Memorie di Francesco Caggio..................................................................... 247 4 Personaggi visti o passati (almeno una volta) all’Arti e Mestieri......................................... 248


5 La città dei bambini 5.1 Un amico fantastico di Massimiliano Fabbri............................................................... 252 5.1.A Altri abitanti del paese di Francesco Caggio............................................. 254 5.2 Le immagini sognanti di Massimiliano Fabbri............................................................. 255 5.2.B Dislocarsi di Francesco Caggio................................................................... 256 5.3 La città degli sguardi di Massimiliano Fabbri.............................................................. 257 5.3.C Spegnete la televisione e guardatevi intorno di Francesco Caggio...... 258 5.4 Storie di carta (a colori) di Massimiliano Fabbri................................................. 259 5.4.D Portar fuori di Francesco Caggio................................................................. 261 6 …quasi scienza (guardare e restituire mondi) di Francesco Caggio............................................. 262 7 I questionari: la percezione della comunità di Ombretta Cortesi................................................... 264 8 Una volta finito di leggere (pedagogia della ragione e delle emozioni) di Ombretta Cortesi.... 271


0.1 Un libro che parla della Scuola Arti e Mestieri

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Dai primi anni ‘80 le Giunte Comunali che si sono succedute hanno voluto una crescita quantitativa e qualitativa della Scuola Arti e Mestieri. Dalla fine degli anni ’90 l’Arti e Mestieri è diventata una realtà significativa della comunità cotignolese, un volano per l’educazione artistica in tutte le scuole del territorio comunale e per la lavorazione della cartapesta finalizzata alla Segavecchia. Nel 2001 si concretizza la consapevolezza che è necessario documentare l’attività dell’Arti e Mestieri ed il Comune realizza la prima pubblicazione. Viene stampato il volume intitolato “I mascheroni di Luigi Varoli e l’atelier della cartapesta nella Scuola Elementare”. In quest’opera il prof. Fabbri descrive con parole e fotografie un laboratorio di cartapesta realizzato nell’anno scolastico 2000/2001. Negli anni successivi l’attività dell’Arti e Mestieri cresce ulteriormente, fino a coinvolgere tutte le classi di tutte le scuole del territorio. Coinvolge ed anima anche un gruppo spontaneo di circa 40 adulti che si ritrova annualmente prima della Segavecchia. L’Arti e Mestieri è volano, riferimento o collaborazione anche per numerose altre importanti iniziative del territorio: Limprovvisa, la Città dei Ragazzi, il Natale ecc. Tutto ciò si realizza, per volontà del Comune, grazie all’opera di ideazione, realizzazione e supervisione del prof. Fabbri ed alla collaborazione preziosa delle proff. Baldini e Bianchi. Il fenomeno Arti e Mestieri è cresciuto e diventato importantissimo per Cotignola, e lascia tracce estremamente positive nelle giovani generazioni che, grazie all’Arti e Mestieri, si formano in modo migliore più aperto e creativo. Tutti coloro che hanno avuto i figli all’Arti e Mestieri possono testimoniare quale significativo apporto questa abbia dato alla crescita dei ragazzi stimolando la creatività, la manualità, la propensione per l’arte, lo stare insieme per fare delle cose. Come responsabile del Settore Cultura del Comune, unitamente al prof. Fabbri responsabile del progetto Arti e Mestieri ho sentito la necessità, condivisa dalla Giunta Comunale, di realizzare una pubblicazione che descriva l’attività dell’Arti e Mestieri, che la studi da un punto di vista pedagogico e sia testimonianza storica di quanto viene realizzato. È nata l’idea del libro che vuole essere un momento di riflessione di tutti gli attori coinvolti sull’attività della scuola. Un libro per dire che l’Arti e Mestieri esiste, è una realtà che contribuisce alla qualità della vita della comunità, per descrivere che cosa fa l’Arti e Mestieri e quali risultati raggiunge. Un libro che può aiutarci a meglio definire i programmi futuri e che sia una testimonianza dei risultati raggiunti. Un libro che parla di espressività, di culture, di educazione e d’arte. Un libro principalmente per genitori ed insegnanti ma anche per operatori, tecnici, politici. La testimonianza concreta di come si può dare un contributo determinante alla evoluzione delle nuove generazioni con risorse relativamente modeste. Un libro che sia suggello al superamento dell’oscurantismo culturale (le emergenze erano altre) che Cotignola ha conosciuto nel dopoguerra e testimonianza di come dopo aver superato la fase della ricostruzione si rimette in primo piano la qualità della vita. Una testimonianza di come nell’epoca del “virtuale” dell’isolamento e dell’individualità eccessiva, coltivate dalla civiltà del computer, le persone, e i bambini in particolare, aderiscono con entusiasmo a proposte incentrate sulla manualità, sull’espressione creativa e sul lavoro di gruppo. Daniele Ballanti Responsabile Settore Socio Culturale Comune di Cotignola


0.2 Un paese e la sua Wunderkammer

Il volume raccoglie una serie di contributi e di approfondimenti per far conoscere la Scuola d’Arti e Mestieri di Cotignola, fiore all’occhiello ormai centenario della politica culturale ed educativa del paese che trova in questa realtà la possibilità di coltivare nei cittadini, fin da piccoli, la loro sensibilità estetica contribuendo, quindi non poco alla qualità della vita. Qualità della vita che, come ormai sappiamo, è data non solo dai beni materiali, ma anche da occasioni e da iniziative che diano valore alle possibilità e alle potenzialità che ognuno di noi ha di essere e di conservarsi sensibile; nel caso della Scuola d’Arti e Mestieri specificatamente rispetto ai manufatti artistici e/o artigianali, sia come fruitori sia come eventuali produttori. Far conoscere significa aprire le porte della Scuola ai più affinché si sappia che cosa vi si fa, che cosa accade: il come e il perché accade; far conoscere significa anche fare apprezzare maggiormente a tutti i cittadini l’operato di questa istituzione che caratterizza, in uno modo del tutto particolare, il paese di Cotignola. Fare apprezzare affinché si sviluppino partecipazione, interesse, un maggiore utilizzo e anche idee rispetto a possibili iniziative per un’ulteriore fioritura e radicamento; quindi il libro è destinato a far diventare di tutti la Scuola che, nel suo silenzio operoso, può forse rimanere conosciuta solo da chi la frequenta soprattutto da piccolo, come accade ed è accaduto a generazioni di cotignolesi che si sono affascinati e meravigliati di quanto potevano fare aprendosi ai segreti dell’artigianato e dell’arte. Perché di un luogo di eventi meravigliosi, come il dare vita a un nuovo se stesso in un autoritratto, si tratta; anche di un luogo che si arricchisce ogni anno delle meraviglie dei bambini che restano poi trasmesse, testimoniate e come fissate nei loro lavori. Una wunderkammer, appunto: per quel senso di sedimentazione stupita e apparentemente incongrua ed eterogenea di materiali e docu-

menti esiti di un fare coinvolto e interessato con i sensi allertati. Far conoscere, fare apprezzare e far radicare vuole anche dire continuare a dare e a conservare questa Scuola la sua delicata collocazione all’interno della Comunità del paese; preziosa, questa Scuola, se usata e se sentita come patrimonio, se continuata ad essere sentita come parte integrante dello stesso paese; così come è stato nel passato grazie agli Amministratori e agli artisti che l’hanno portata avanti fino ad ora. Perché il valore della Scuola dovrebbe stare in questo essere dei cittadini e per i cittadini; un’istituzione culturale ed educativa socialmente utile; sentita come pertinente e necessaria alla formazione di tutti in un orizzonte ludico e creativo e anche impertinente (per aprire una contraddizione con il “pertinente” di prima!). Un orizzonte, quello ludico, necessario, tanto più oggi che i tempi sembrano funzionalmente impoveriti da quello che si deve fare per essere produttivi, dimenticandosi di contemplare e di apprezzare il bello, l’affascinante, l’intricante, lo stupefacente che ci circonda e/o che ci portiamo dentro e a cui potremmo dare forma e visibilità conservandoci un po’ artisti, per diletto, in una continua formazione dei nostri piccoli e grandi talenti. Per tutto questo, grande spazio viene dato al fare del maestro M. Fabbri; sia perché la conoscenza possa essere la più diretta possibile, come da vicino, sia per cercare di recuperare alcune linee di metodo che possano rendere più chiare le modalità di conduzione dei laboratori al fine di renderli più esplicitamente leggibili. Il volume è a più voci e ha cercato di ricostruire da più punti di vista la vita e il fare della Scuola Arti e Mestieri che, pur non strutturalmente particolarmente visibile nel panorama del paese, lo rende comunque più ricco, se si pensa anche a cosa è rimasto dal dopoguerra in termini di patrimonio storico e artistico; patrimonio certamente in parte perso...eppur rinnovato, sotto altra forma per un verso, nel lavorìo della Scuola che tiene aperto una vena di creatività. 9


0.3 Il mio paese è fatto così

Atelier di disegno e manipolazione dell’argilla con le classi seconde della Scuola Elementare di Cotignola (sei incontri per classe); ottobre, novembre 2003. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Progetto, scrittura e conduzione: Lucia Baldini.

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• Per il primo laboratorio di AeM sul paese cfr. par. 2.2.1.

Nel corso di questo laboratorio i bambini saranno accompagnati e guidati per le strade di Cotignola a scoprire, osservare e disegnare dal vero, con matita e blocco di carta, gli edifici più significativi del paese (durante le uscite verranno scattate fotografie che ci aiuteranno a registrare e ricordare, in maniera più “fredda” e scientifica, le cose vedute, anche in previsione di una loro rielaborazione plastica che avverrà con il rientro in atelier).1 All’interno dei percorsi che si tracceranno per raggiungere un determinato sito (la stazione, la torre D’acuto, le buche…) ci sarà spazio per imbattersi in altri aspetti rilevanti, meritevoli o interessanti per il bambino e che quindi non potevano e non dovevano essere previsti: un albero maestoso, un muro o una pietra vecchia ed affascinante, una nuvola incredibile, un’erbetta testarda che spunta da un marciapiede, un cagnolino, la casa di un bambino, una scritta, una pozzanghera… (Gli spostamenti saranno piccoli viaggi avventurosi in cui il bambino si appropria dei luoghi disegnando traiettorie sconosciute, piste poco battute, alla ricerca di visioni e vedute significanti e particolari.) Alla Scuola Arti e Mestieri i disegni prodotti in questi percorsi saranno riportati e tradotti in rilievo con l’uso dell’argilla: dal disegno col chiodo sulla sfoglia al bassorilievo, dall’incontro di argille diverse alla barbottina, fino alla colorazione ad engobbio. Rielaborare il materiale raccolto e raffinarlo esteticamente perché divenga esperienza dicibile, comunicabile e condivisibile. Il fare come strumento e prassi per impadronirsi delle cose, per un consolidarsi della memoria (è un laboratorio che non solo legittima lo sguardo altro del bambino, ma che esiste e si plasma con e su di esso). I modi di vedere del bambino non sono annoiati; è il paese che si serve di questi sguardi per rinnovarsi e cambiare pelle; rivitalizzare luoghi, ripensare spazi, compiere nuovi spostamenti. Anche intrufolarsi, infrattarsi e nascondersi (da qui si vede meglio, da qui si sente meglio). Poi costruire, e giocare a fare gli artisti-artigiani, i piccoli architetti-muratori; bambini che creano perché hanno cose da dire, bambini che raccontano e si raccontano, che descrivono e mostrano, bambini che ricordano. Dopo averle cotte, queste produzioni saranno installate ed allestite su di un pannello (con le strade dipinte e il fiume) che si terrà nella scuola o in classe: si potrà così osservare e studiare dall’alto il proprio paese in miniatura (quasi un plastico artisticato). Cotignola dall’alto per bambini come uccellini.


Il mio paese è fatto così

Programma > 1° e 2° incontro • Per le vie di Cotignola: i bambini disegnano dal vero gli edifici, le architetture, le strade e i percorsi, il fiume e le facce…

> 3° incontro • Sperimentazione e manipolazione dell’argilla. (Si tratta di una conoscenza e familiarizzazione con questo materiale che riprende come un vero e proprio ripasso le esperienze maturate da questi bambini nel precedente laboratorio della creta attivato lo scorso anno da AeM nelle classi prime.)

> 4° incontro • Con l’argilla realizziamo sfoglie, lastre, palline e lucignoli; questo alfabeto di elementi sarà composto ed organizzato incollandolo con la barbottina per realizzare gli edifici in miniatura (si partirà dai disegni e dalle fotografie accumulati e raccolti nei primi due laboratori esterni). Inizialmente lavoreremo con la sfoglia per fare prospetti e facciate che saranno in un secondo momento assemblati per formare parallelepipedi (la prima fase è perciò abbastanza vicina a ciò che si è fatto sulla carta: disegni a graffito con il chiodo per poi passare a forme più composte e complesse, vicine al bassorilievo).

> 5° incontro • Montaggio dei supporti che permettono di tenere in piedi le lastre ed unirle tra loro, e successiva colorazione ad engobbio; i manufatti sono completi e, una volta asciutti, saranno pronti per essere infornati (sono ora a durezza cuoio).

> 6° incontro • Allestimento in classe del pannello-piantina con i percorsi che portano alle costruzioni del paese e che riprendono le mappe e gli spostamenti effettuati dai bambini (oltre ovviamente alle loro costruzioni plastiche). Il montaggio è una magia ed incantamento, le cose dialogano e si completano, la visione prende forma, una forma animata.

(In questa pagina e in quella precedente) Il mio paese è fatto così, laboratorio della cartapesta con le classi prima e seconda della Scuola Elementare di Barbiano (2005), a cura di Lucia Baldini. Fotografie di Daniele Casadio.

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Il mio paese è fatto così

Disegni a spasso per Cotignola Un laboratorio sul tema del paese di Cotignola: disegno dal vero, pittura, libri e manipolazione dell’argilla con la classe2 2° B della Scuola Elementare di Cotignola; insegnante accompagnatrice Loredana Taroni. Sei incontri di due ore ciascuno; novembre e dicembre 2004. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Conduzione: Lucia Baldini.

Programma > 1° e 3° incontro • A spasso per Cotignola: i bambini disegnano dal vero gli edifici, le architetture, le strade e gli scorci. Seguiamo il percorso che parte dalla Scuola Elementare e, di volta in volta, ci fermiamo ad osservare gli edifici che incontriamo, disegnandoli con tecniche diverse ad ogni uscita: matite morbide, pastelli, gessetti, penna biro, pennarelli.

Il laboratorio prevede sei incontri nel corso dei quali i bambini saranno accompagnati per le strade di Cotignola per osservare e disegnare dal vero gli edifici più significativi del paese. In seguito i disegni saranno modellati con l’argilla a bassorilievo e dipinti. Questo lavoro sarà istallato sulla parete esterna della Scuola Arti e Mestieri in occasione della Citta dei Bambini. I lavori grafici saranno raccolti in libri personali. Gli edifici considerati saranno: la Scuola Elementare, la Scuola Arti e Mestieri, il Palazzo del Comune, la Biblioteca, Casa Varoli, Palazzo Sforza, la Torre d’Acuto, la Chiesa del Suffragio, il ponte sul fiume Senio, la Chiesa di S. Stefano.

> 2° incontro • La creta: ai bambini vengono messi a disposizione diversi tipi di argilla; il primo approccio è libero e giocoso e muove intorno e sull’esperienza e possibilità offerte da questo materiale. A seguire la palla, la pizza, la pizza strappata che fa il volume, un animale, una torre.

> 4° incontro • Disegno e creta: un’ora di uscita per gli ultimi disegni. Un’ora di pizze di creta a graffito (con i monumenti o le facce).

> 5° incontro • Gres e smalti: realizzazione di tavolette di gres graffite con le immagini dei monumenti, colore ad engobbio e sabbia. Smalti colorati vetrosi sui pezzi cotti del secondo incontro.

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• La classe 2°B era composta da venti bambini.

> 6° incontro • Libro: rilegatura, copertina, colore ai disegni.

Ogni bambino ha realizzato un libro di disegni sul paese, una sculturina libera in cotto e smalto, una tavoletta in gres con raffigurato l’edificio-monumento preferito.


Il mio paese è fatto così

Facce e facciate di Cotignola Un laboratorio lungo un anno sul tema del paese di Cotignola: disegno dal vero, pittura, libri e manipolazione dell’argilla con la classe 2°A3 della Scuola Elementare di Cotignola; insegnanti accompagnatrici Albarosa Schonxold e Nicoletta Zaccherini. Venti incontri di due ore ciascuno; da novembre 2004 a maggio 2005. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Conduzione: Lucia Baldini.

Programma Il paese diventa, ancora una volta,4 luogo di perlustrazione e indagine: le facciate delle case sono come facce, le facce di chi vive e lavora dentro a questi edifici (c’è sempre un davanti che tiene un dentro e un dietro). Esploriamo le tecniche e le stagioni del fare della Scuola Arti e Mestieri: una del disegno dal vero all’aperto, una del ritratto e dell’autoritratto, una della cartapesta, una dell’argilla e una della fotografia. Cambiano le stagioni e cambia il nostro fare; un libro sulle superfici con impronte e tracce che troviamo e raccogliamo uscendo (un paesino visto da molto vicino in un libro di frottage), una maschera-faccia-facciata di cartapesta (per la segavecchia), una sculturaedificio di terracotta, una ripresa a forostenopeico di un monumento. Per finire facciamo un libro con tutti questi disegni: Il mio paese è fatto così: facce e facciate di Cotignola.5 Gli incontri si suddividono in due momenti: uno di preparazione, conoscenza ed esperienza del materiale, al chiuso, l’altro di uscita per il disegno e la caccia all’aperto. Il primo incontro è sull’esperienza e le possibilità di questo materiale; quelli successivi si suddividono in due momenti: uno di preparazione del materiale e l’altro di realizzazione di un oggetto finito come la facciata a graffito o il volume. Ogni bambino ha portato a casa un libro unico che parla di lui e del paese in cui vive.

> 1°, 2°, 3° e 4° incontro • A spasso per Cotignola: i bambini disegnano dal vero le architetture, le strade e gli scorci. Seguiamo il percorso che parte dalla Scuola Elementare e, di volta in volta, ci fermiamo ad osservare gli edifici che incontriamo disegnandoli con tecniche, a ogni uscita, diverse: matite morbide, pastelli, gessetti, penna biro, pennarelli, acquerelli, chine.

> 5°, 6°, 7° e 8° incontro

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• La classe seconda a tempo pieno era composta da diciassette bambini.

• Ritratto e autoritratto: questo sono io, questo un mio amico, la maestra, la bibliotecaria, il politico; matite morbide, pastelli, gessetti, acquerelli, tempere eccetera.

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> 9°, 10°, 11° e 12° incontro

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• La creta: vengono messi a disposizione dei bambini diversi tipi di argilla e gres.

> 13°, 14°, 15° e 16° incontro • La cartapesta: i bambini realizzano gli edifici in cartapesta, con cartone, colla e strati di carta. Una maschera faccia-facciata con la cartapesta a macero.

> 17° 18° e 19° incontro • Il libro: riordino del materiale, rifinitura dei disegni con le tecniche miste, rilegatura e scrittura, pittura della copertina.

> 20° incontro • Allestimento della mostra degli elaborati.

• Questo laboratorio viene attivato per il terzo anno consecutivo. • Il libro narra una storia personale e collettiva: questo sono io (autoritratto), questa è la mia casa (disegno della propria casa, della propria camera), questa è la Scuola Elementare, queste sono le mie maestre, la bidella, i miei amici (ritratti), questa è la Scuola Arti e Mestieri (fuori e dentro: disegno della facciata e dei pupazzi e disegni esposti all’interno), questa è la Biblioteca (facciata e ritratto del capo ufficio cultura, dell’assessore, delle segretarie e della bibliotecaria), questo è il Municipio, la Torre d’Acuto, il ponte sul fiume, la chiesa, il teatro, la stazione, Casa Varoli, Palazzo Sforza (disegni delle facciate e degli scorci).

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Galleria

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(Da sinistra a destra) L’impiegata Alberta, la maestra Nicoletta, il responsabile dell’ufficio cultura Daniele, la bibliotecaria Silvana, l’assessore Maurizio.


0.4 Storia di una presenza

La bottega d’arte dei fratelli Zaganelli

La scuola comunale “Arti e Mestieri” di Cotignola

Scrive Raffaella Zama, studiosa e ricercatrice cotignolese, che è per merito di Francesco e Bernardino Zaganelli e di Girolamo Marchesi, pittori attivi tra la fine del 1400 e la prima metà del 1500, se Cotignola s’inserì, in quel periodo, nel panorama artistico nazionale con una vera e propria scuola, catalogata come cotignolese-ravennate. Furono per primi i fratelli Zaganelli, continua la Zama, ad attivare una “bottega d’arte” nel loro luogo natio, per l’appunto Cotignola. Diverse loro opere, che presero vita soprattutto durante la dominazione sforzesca prima ed estense poi, e che si trovano in varie chiese e musei italiani ed europei. In Romagna essi lavorarono a Ravenna, Imola, Forlì, Faenza, Lugo e, naturalmente, Cotignola. Probabilmente molti dei loro lavori vennero preparati ed eseguiti proprio nella bottega d’arte cotignolese. Scrive a tale proposito Raffaella Zama: “La maggior parte dei loro dipinti, quasi esclusivamente di carattere religioso, sono su tavole di legno, solitamente pioppo, preparate proprio a Cotignola e molto probabilmente ricavate dal fundo Cenachii (fondo Cenacchio), dove gli Zaganelli avevano alcune proprietà (archivio storico di Ferrara, 8 agosto 1509). Girolamo Marchesi, nato e cresciuto a Cotignola, frequentò negli anni della giovinezza la bottega d’arte dei fratelli Zaganelli, ricevendo da essi gli insegnamenti di disegno e di pittura. Nella maturità emigrò, come tanti suoi colleghi, presso le corti italiane, fino a Roma e a Napoli. Di lui, Cotignola conserva una lunetta (chiesa di San Francesco) ed un affresco su una parete nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Nonostante queste presenze artistiche importanti ed il riferimento ad una scuola vera e propria di disegno e di pittura di rilevanza nazionale, denominata per l’appunto “cotignolese-ravennate”, Cotignola uscirà poco dopo la scomparsa di questi suoi protagonisti, dalla mappa regionale. In nessun altro documento successivo se ne trova traccia. Bisogna arrivare fino al 1800 infatti, per sentire parlare nuovamente di una scuola di disegno, operante a Cotignola.

Le sue origini si possono fare risalire alla seconda metà del 1800, per l’iniziativa e l’impegno di Paolo e Domenico Visani: pittori, scultori, ceramisti ed esperti di plastica ornamentale, nati entrambi a Cotignola, il primo nel 1820 ed il secondo nel 1859. Dei Visani, padre e figlio, residenti a Cotignola fino al 1874, e del loro rapporto con una scuola di disegno, si trovano notizie tra i documenti dell’archivio comunale e nei registri della scuola elementare del capoluogo. Si apprende, da questi ultimi, che Paolo fu anche insegnante nelle classi maschili del capoluogo, istituite dal Comune di Cotignola subito dopo l’unità d’Italia, nell’edificio adiacente alla chiesa dei Gesuiti, in via Cairoli, noto ai cotignolesi come e palazò (il palazzone). Altre notizie riguardanti la loro attività d’insegnanti di disegno, esercitata fuori dall’orario scolastico, si trovano in due lettere scritte a mano ed indirizzate all’amministrazione comunale di Cotignola. Nella prima, che riporta la data del 2 dicembre 1862, Paolo Visani si rivolge al “patrio consiglio” perché accetti la sua offerta di coprire il posto da insegnante di disegno, lasciato vacante da un certo Nini che “è stato eletto professore di disegno a Nocera”. Per rendere più interessante la sua proposta, egli si dichiara disposto a percepire anche soltanto la metà dell’onorario riconosciuto al suo predecessore. La lettera così prosegue: “Gli elementi del disegno, di architettura ed ornato, nonché le relative teorie di geometria pratica e di altre che, in progresso, il patrio consiglio potesse onorare, formeranno l’incarico che il potente assume”. Paolo Visani conclude dicendo di professare gratitudine al “patrio Municipio” che gli ha concesso di coltivare gli studi di disegno e di scultura. Nella lettera non fa cenno ad una scuola Arti e Mestieri, ma ad una scuola di disegno gestita dal Comune nel capoluogo. La seconda lettera, scritta a mano ed inviata ai responsabili dell’amministrazione comunale di Cotignola, è del figlio di Paolo, Domenico Visani. Egli, dopo avere ricordato alle “signorie illustrissime” di avere ricevuto l’incarico di insegnante, con seduta consiliare del 2 novembre 1887, scrive di avere accettato di “dare inoltre lezione di

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disegno a tredici fanciulli, fuori dalle ore di scuola, per sole £ 50 annue”. In relazione a “ si tenue somma” chiede, perciò, un aumento. Queste notizie mettono in evidenza la presenza a Cotignola, negli anni ai quali si riferiscono i documenti, di una scuola di disegno comunale affidata a degli esperti, tra i quali i Visani. Da ulteriori informazioni apprese indagando, la scuola, denominata poi Arti e Mestieri, fu così voluta da Paolo Visani il quale, insieme alle competenze relative al disegno, intendeva darle una natura di avviamento professionale. Tale intenzione si nota soprattutto nel figlio Domenico il quale, dopo il suo trasferimento a Lugo, chiese al Consiglio comunale di questa cittadina di poter istituire una “scuola artistica industriale”, aggiungendo che: “non si sa mai che paesi minori ce l’abbiano e Lugo ne sia sprovvista”. Domenico Visani riteneva infatti che l’insegnamento… “del disegnamento e della plastica ornamentale fossero necessari non solo per chi si fosse dedicato alle attività prettamente artistiche, ma anche per coloro intenzionati a continuare gli studi di perfezionamento in vista di una professione vera e propria”. Il trasferimento a Lugo della famiglia di Paolo Visani che comprendeva oltre a Domenico anche le figlie Veronica e Giulia, fotografe provette, ed il nipote Carlo, stimato architetto, fu determinato da incomprensioni tra Paolo e l’amministrazione comunale di Cotignola che gli aveva intimato di lasciare libero il suo studio, situato in uno dei locali del teatro. È probabile, dato che una delle preoccupazioni di Paolo e Domenico erano gli stucchi ornamentali, molto richiesti per decorazioni in edifici importanti, che lo studio, oggetto della controversia, fosse stato allestito proprio in conseguenza a interventi come questi all’interno del teatro comunale. In un elenco di lavori pubblici portati a termine dal Comune di Cotignola negli ultimi dieci anni del 1800, descritti da Gaetano Somieri nel suo libro: L’antica casa degli Attendoli Sforza, Tipolitografia Ravegnana, 1899, è citato anche un “impianto della scuola Arti e Mestieri”. Fra gli allievi della scuola di disegno di Domenico Visani a Lugo, uno dei migliori sarà il cotignolese Luigi Varoli.

Il maestro Luigi Varoli

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Di lui disse un suo allievo, Augusto Bartolotti, divenuto uno degli artisti romagnoli più promettenti nel campo della pittura e della scultura: “ È stato il nostro maestro fino alla morte”. Per sapere di quale spessore pedagogico e didattico fosse diventata la scuola comunale “Arti e Mestieri”di Cotignola, grazie all’impegno di Luigi Varoli, basta chiedere ai tanti che, sul finire degli anni ’40, ebbero modo di frequentare le sue lezioni d’avviamento al disegno, cosa voleva dire sentirlo alle spalle, mentre seguiva con

attenzione i segni ancora incerti ed imprecisi della matita o del carboncino sul foglio bianco. Una sorta di soggezione rendeva ancora più insicura la mano, in attesa di sentire la sua voce che incoraggiava a proseguire, facendo capire che qualcosa della loro anima doveva comparire nel disegno che, alla sera, veniva mostrato con orgoglio ai genitori. I cotignolesi avevano imparato ad identificare la scuola Arti e Mestieri con Varoli. Lui stesso, nel dopoguerra, s’era impegnato fino in fondo perché fosse uno dei primi edifici pubblici ad essere ricostruito. Ormai la scuola precedente, situata in via Suore, nel complesso degli edifici appartenuti alla Curia vescovile di Faenza e poi passati al Comune di Cotignola, era stata distrutta durante i sei mesi di fronte sul Senio tra il 1944/45. Bisognava individuare un nuovo sito. Fu scelto quello dove sorgeva la chiesa di S.Ignazio, nota come “i Gesuiti”. Qui, composta da una sala capiente al piano terra e da altre due più piccole al primo piano, i servizi ed una saletta per l’installazione di un forno di cottura per la ceramica, la nuova scuola Arti e Mestieri fu riconsegnata al professor Varoli, ai suoi allievi e a tutta Cotignola. Era il 1953. Fino a quel momento Varoli aveva ricevuto alcuni dei suoi allievi nella scuola Elementare, gli altri in un prefabbricato di lamiera a forma semicircolare posto nel cortile davanti a quella che, una volta ricostruita, tornerà ad essere la sua abitazione. In una foto conservata nel museo, contenente una parte della sua ricca produzione artistica, si vede questa struttura alle spalle di Varoli e degli studenti del liceo artistico di Ravenna, dove egli aveva ricevuto la cattedra di figura. “Coi danni di guerra”, dice l’architetto Crispino Tabanelli, “fece acquistare dal Comune un forno elettrico per la cottura della ceramica”. A proposito di Varoli, scrive Raffaele De Grada, critico d’arte: “Come punto fisso egli aveva la scuola. Riceveva i ragazzi come un frate educatore riceve coloro che la società tende a respingere. Giovani che trovano in lui la loro casa e che prendevano gradatamente coscienza che l’arte non è un passatempo e neppure un mestiere, ma una seconda lingua, la seconda scrittura per comunicare con gli uomini e, di giorno in giorno, si attaccano al maestro, lo mitizzano, lo sentono parte di loro stessi. La scuola di Varoli era la scuola e soltanto la scuola; l’unico, seppur importante punto fermo”. E lo scrittore-giornalista Tino dalla Valle: “Tutte le occasioni erano buone per prendere i pennelli e dare l’avvio all’opera: uno scorcio di Cotignola particolarmente interessante, un avvenimento, un individuo dalla personalità caratteristica, se stessi, le proprie emozioni, i propri sogni…”. Nei giorni che precedevano la festa della Segavecchia, che cade a metà Quaresima, la scuola Arti e Mestieri diventava un cantiere per la preparazione dei mascheroni e dei fantocci di cartapesta da mettere sui carri, in un’allegoria di significati, forme e colori che, durante la storica sfilata, si fondevano con il divertimento e l’emozione chiassosa dei numerosi spettatori assiepati lungo le vie del centro,


il quale mostrava i segni della guerra appena conclusa. Nel lavoro di preparazione e di allestimento, Varoli era aiutato da uno stuolo di allievi e di collaboratori animati dall’entusiasmo di partecipare. In alcune delle sere, durante le quali fervevano i preparativi, arrivavano da sua moglie, coadiuvata da alcune amiche, le sfrappole e i zizè o la brazadela, accompagnati dal vino ed il freddo invernale scompariva per lasciare il posto ad una calda allegria conviviale. Ed ora alcuni cenni biografici: Luigi Varoli era nato a Cotignola il 23 settembre 1889. Iniziò la sua carriera artistica spinto da una naturale disposizione e dal desiderio di esplorare il mondo dell’esperienza e dei sentimenti attraverso l’immagine visiva. Frequentò la scuola di disegno di Domenico Visani a Lugo di Romagna, l’Accademia di belle arti a Ravenna prima e a Bologna poi. Nel 1922 conseguì a pieni voti la licenza del corso superiore di pittura a Roma. Negli anni di Bologna si era diplomato contrabbassista presso la Regia accademia filarmonica. Tornato a Cotignola, il Comune gli affidò l’incarico di rilanciare la locale scuola di Arti e Mestieri andata in declino dopo i Visani. Durante gli anni delle leggi razziali fasciste collaborò con l’amico Vittorio Zanzi, suo compaesano, organizzando insieme a lui e ad altri, una rete di accoglienza per tutti i perseguitati. Per questo, nel maggio del 2003, lo stato d’Israele gli ha conferito la medaglia di “Giusto fra i giusti” alla memoria. Nel dopoguerra ebbe la cattedra di figura presso il Liceo artistico di Ravenna. Si spense il 25 settembre 1958. Concludono questi cenni su Luigi Varoli le parole di Tino Dalla Valle: “Nella sua scuola, a Cotignola, accorrevano da tutta la Romagna, giovani desiderosi di apprendere non solo il disegno e la pittura, ma anche la scultura, la ceramica, il mosaico, la litografia, l’intaglio, il ferro battuto e la musica. Dopo, sulla scuola calò il silenzio. Sembrava irrimediabilmente finita con lui una stagione ricca di quei fermenti e di quelle esperienze che l’avevano resa tanto stimolante e vitale”.

La scuola dopo Varoli Dopo la scomparsa di Varoli fu uno dei suoi allievi prediletti, Antonio Guerrini, a dare continuità alle attività della scuola Arti e mestieri. In verità Guerrini, già negli anni che avevano preceduto la morte del suo maestro, aveva curato i corsi della scuola sotto la guida dello stesso Varoli il quale, impegnato anche nell’insegnamento presso il Liceo artistico di Ravenna, non poteva sobbarcarsi, allo stesso tempo, tutta l’attività didattica della scuola cotignolese. Antonio Guerrini non ha solamente condiviso col suo maestro il suo personale percorso artistico, ma anche importanti esperienze di vita che hanno segnato l’intera storia della comunità cotignolese. In particolare ha vissuto, giovinetto, il periodo dell’occupazione nazifascista e del fronte che infierì sulla città e le frazioni per un lunghissimo inverno durato 145 giorni tra il 1944-‘45. Si ricorda come Luigi

Varoli e Vittorio Zanzi, assieme ad altri concittadini, diedero vita ad una rete d’ospitalità che salvò, operando nella clandestinità, decine di famiglie israelite dalle vergogne dell’Olocausto. Dal 1951 Antonio Guerrini iniziò la sua attività di insegnante di disegno presso le scuole Magistrali dell’Istituto parificato San Giuseppe di Lugo. Pochi anni più tardi ottenne il trasferimento alla scuola media di Cotignola, oggi intitolata al suo stesso maestro d’arte, Luigi Varoli. I suoi alunni lo ricordano come un professore dal carattere piuttosto difficile e severo. Dal 1958 Antonio Guerrini rimase il solo titolare dell’attività didattica della scuola Arti e Mestieri. Chi ha ricoperto l’incarico d’insegnante della scuola non lo ha mai fatto a tempo pieno ed ha sempre dovuto fare i conti con le ristrettezze economiche in cui ha costantemente versato la struttura. Queste carenze sono state compensate dalla passione e dall’impegno che insegnanti ed allievi hanno profuso per mantenere la scuola Arti e Mestieri uno dei riferimenti culturali della città e del comprensorio. I corsi, dedicati ai ragazzi, si tenevano due volte la settimana per due ore al giorno che spesso diventavano tre. Le discipline più apprezzate erano senza dubbio il disegno, la pittura e la ceramica. In particolare la ceramica era molto amata: gli allievi si divertivano a plasmare la materia e decorarla con smalti colorati. Ogni volta che veniva aperto il forno, i colori cangianti degli smalti stupivano gli stessi autori dei manufatti. La scuola ottenne, grazie ai sussidi per la ricostruzione post-bellica, i finanziamenti per l’installazione di un forno elettrico verso la metà degli anni ’50, in occasione della visita del ministro Aloisio alla cittadina cotignolese. Negli anni precedenti, quando la scuola non poteva contare su questa dotazione, Varoli e Guerrini, con le loro biciclette cariche sotto il peso dei manufatti plasmati dagli allievi, percorrevano le campagne della Bassa Romagna fino ad Imola per trovare un forno dove cuocere le terrecotte. Anche l’arte della cartapesta ha giocato un ruolo determinante nella realtà artistica locale ed ancora oggi costituisce una peculiarità tutta cotignolese. La rappresentazione della vecchia megera, che ogni anno troneggia sul carro che apre la sfilata della tradizionale festa della Segavecchia, è costruita in cartapesta. Dal 1960 al 1991 il carro della fattucchiera fu prerogativa di Antonio Guerrini e dei suoi allievi presso la scuola Arti e Mestieri, non senza l’aiuto di qualche appassionato che si prodigava assieme ai ragazzi: tra i tanti interessati va ricordato il sig. Ugo Meandri (Galavòt) e Luigi Ancarani (Pulò). Proprio il giorno della sfilata dei mascheroni, i locali della scuola si riempivano di ragazzi che festeggiavano il carnevale cotignolese con bibite e ciambella. Negli anni ’50, partecipava ai corsi pomeridiani una ventina di allievi, quasi tutti provenienti dalla scuola elementare. Più tardi si programmarono dei corsi serali di disegno anche per adulti. Tuttavia, la scomparsa di Luigi Varoli, personaggio di grande talento artistico ed altrettanto carisma, segnò l’inizio di un inesorabile declino della scuola Arti e Mestieri. Come sottolinea lo stesso Guerrini, già dagli anni 60’, i ragazzi venivano sempre più interessati da altre attività: soprattutto i maschi iniziavano a frequentare il campo

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di calcio ed i circoli sportivi. Lo stato di abbandono che ha attraversato la scuola è testimoniato da un macabro avvenimento verificatosi proprio nei locali che si affacciano sull’incrocio tra via Roma e via Cairoli. Verso la metà degli anni ’60 il primo piano della struttura accoglieva due piccoli locali, una stanzetta e relativi servizi igienici, che il comune aveva assegnato ad un compaesano che versava in situazione di difficoltà, conosciuto come “Siena”. Per alcuni giorni nessuno si preoccupò delle sorti dell’inquilino fino al giorno in cui sua sorella venne a Cotignola per fargli visita. Il Siena non rispondeva alle chiamate e la porta al primo piano rimaneva chiusa. La sala al piano terra della scuola era pervasa da un insopportabile cattivo odore. I presenti, presagendo il peggio, decisero di chiamare i Carabinieri: il maresciallo Cerfogli con i suoi uomini sfondò la porta e vi trovò il cadavere del Siena in stato di decomposizione da alcuni giorni. Nel 1988 la scuola Arti e mestieri venne momentaneamente trasferita nel centralissimo corso Sforza, sopra ai locali della vecchia Farmacia comunale, per dare modo di ristrutturare l’edificio dirimpetto al parco Bacchettoni che l’aveva ospitata fino a quel momento. Negli anni successivi cominceranno a gravitare attorno alla scuola nuovi artisti ed insegnanti: si ricorda, tra gli altri, il ceramista Luciano Bassi che rinnovò l’interesse verso l’arte della cartapesta, avviando un nuovo corso rivolto agli adulti. Antonio Guerrini lasciò la scuola Arti e mestieri nel 1991. La sua eredità venne raccolta da Andrea Tampieri, giovane maestro bagnacavallese, che diede nuovo impulso e fervore alla scuola d’arte cotignolese. I corsi, nei due anni in cui la scuola era stata trasferita, erano tenuti da due giovani ragazze cotignolesi: Valeria Aimi e Mirna Guerrini, figlia del maestro Antonio, che durante l’estate animarono anche i centri ricreativi estivi presso le scuole elementari. Le ragazze collaborarono con Tampieri per alcuni anni dopo l’assegnazione dell’incarico al maestro bagnacavallese. I locali di via Cairoli vennero restaurati: la struttura era stata progettata appositamente per ospitare una scuola d’arte, ma si notava che gli interventi erano stati concepiti da chi non aveva alcuna esperienza di scuole di disegno: i termosifoni impedivano di appendere disegni alle pareti, i banchi erano troppo alti per i ragazzi e l’ampia sala interna consentiva, è vero, la costruzione dei carri allegorici per la Segavecchia, ma il piccolo portoncino non ne permetteva l’uscita. Collaborarono con Andrea Tampieri anche Raffaella Zama, Marzia Bianchi e Marilena Benini. Lo stesso Tampieri, come aveva fatto Guerrini, affiancava ai corsi della scuola Arti e Mestieri anche l’attività d’insegnamento alle scuole medie, prima, e superiori, poi. L’impegno presso l’Arti e Mestieri non ha mai avuto sostanziosi riconoscimenti economici ed era vissuto, da chi lo assumeva, come un passaggio verso occupazioni più remunerative. I corsi tenuti da Tampieri erano dedicati ai ragazzi, ma vennero sperimentate anche attività rivolte agli adulti, come i corsi mirati all’apprendimento della tecnica della cartapesta che diedero, come frutto, un carro Segavecchia che suscitò diverse polemiche tra i co-

tignolesi poiché il tradizionale corso allegorico venne fatto sfilare per le strade della frazione Barbiano alcuni giorni prima della festa che, tradizionalmente, si tiene nel capoluogo. È importante rilevare che la riforma scolastica, avvenuta a metà degli anni ’80, aveva inserito nel programma didattico delle scuole Elementari la sperimentazione di una nuova materia, “Educazione all’immagine”, che doveva essere insegnata dagli stessi maestri che spesso, per loro ammissione, non avevano alcuna preparazione specifica sulle discipline artistiche. La scuola Arti e Mestieri tornò utile anche per fornire aggiornamenti ai maestri delle primarie. Infatti, durante le due ore settimanali previste dai programmi scolastici per l’educazione all’immagine, gli alunni delle Elementari venivano accompagnati dalla maestra alla scuola Arti e Mestieri dove uno specialista, messo a loro disposizione dall’amministrazione comunale, li avviava all’apprendimento del linguaggio del disegno e delle tecniche figurative ad esso collegate. Grazie alla collaborazione tra scuole Elementari statali e la scuola comunale di disegno, l’insegnamento delle arti figurative ha mantenuto la continuità con una tradizione consolidata dalle precedenti esperienze e conobbe una certa popolarità tra le giovani generazioni cotignolesi. Venivano istruite varie tecniche e discipline seguendo nuove metodologie didattiche che stimolavano la creatività dei piccoli artisti. Con Andrea Tampieri cambiarono i criteri d’insegnamento ed il maestro portò una ventata d’aria nuova nei percorsi formativi della scuola Arti e Mestieri. In particolare, si voleva tornare a valorizzare l’arte della cartapesta. Tuttavia, mancavano gli spazi idonei alla costruzione dei carri ed i contributi assegnati a chi costruiva la Segavecchia conobbero un calo progressivo: la motivazione dei giovani artisti venne presto a scemare già nei primi anni ‘90. Anche la ceramica e le tecniche decorative ebbero un occhio di riguardo da parte del maestro Tampieri, grazie anche alla sua esperienza di insegnante presso l’Istituto d’arte per la ceramica Ballardini di Faenza. Per quanto riguarda la frequenza, da una fase iniziale caratterizzata da discontinuità e relativa demotivazione, si rimontò lo svantaggio e, in poco tempo, arrivarono molte richieste da parte di bambini e genitori entusiasti, soprattutto delle elementari. Gli adolescenti che frequentavano le scuole medie, invece, continuarono ed essere più restii a seguire le attività artistiche della scuola Arti e Mestieri. Il maestro Tampieri abbandonò la scuola d’arte cotignolese nel 1995 per dedicarsi esclusivamente alla sua attività di professore. Dopo di lui rimasero Marilena Benini e Marzia Bianchi. Poco dopo venne assunto, a tempo pieno, uno dei più significativi artisti del panorama cotignolese, il giovane Massimiliano Fabbri. Finalmente la scuola poteva contare su un punto di riferimento stabile, assunto con un contratto che legava l’artista alla scuola per alcuni anni. Massimiliano F, per le sue doti artistiche ed il suo carisma è da molti indicato come la figura che meglio riesce ad incarnare quella imponente del maestro Luigi Varoli. S Afra Bandoli Samuele Staffa


Luigi Varoli, Nicolò Paganini


Rumore bianco (Segavecchia 2004) fotografia di Ivano Casadio.


0.5 Che cosa è, e soprattutto cosa fa la Scuola Arti e Mestieri

Cartello di presentazione della mostra La Scuola degli sguardi tenutasi nel maggio 2004 presso Palazzo Sforza di Cotignola.

L’Arti e Mestieri è una scuola di “quasi arte” diretta da Massimiliano Fabbri. Gli insegnanti di questa scuola sono artisti ed esperti d’arte e sono: Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi; il servizio è gestito dal Comune di Cotignola. La Scuola Arti e Mestieri funziona in due momenti distinti: il primo è rappresentato dai corsi pomeridiani che partono a ottobre e si chiudono a maggio e che sono rivolti a tre fasce d’età: elementari, medie ed adolescenti (le lezioni hanno cadenza settimanale); il secondo impegno è costituito dai laboratori tematici che si svolgono al mattino nelle scuole e che integrano ed arrichiscono la loro abituale programmazione di educazione all’immagine con progetti specifici che hanno una durata che oscilla mediamente tra i quattro e i sette incontri (di due ore ciascuno) per sezione. Questi atelier sono attivati nella Scuola dell’Infanzia di Cotignola, Barbiano e Asilo Carlo Maria Spada, nella Scuola Elementare di Cotignola e Barbiano e nella Scuola Media di Cotignola. A questa intelaiatura si aggiungono progetti speciali come l’ideazione della Città dei Bambini e l’allestimento delle sue mostre, il corso di fotografia (in cui ci si avvale della collaborazione del fotografo Daniele Casadio, in qualità di esperto esterno) e le realizzazioni di cartapesta con le quali partecipiamo alla Segavecchia: in quest’occasione, per circa un mese, apriamo la Scuola Arti e Mestieri a serate dove una ventina di adulti ci aiutano nella costruzione di maschere e pupazzi (contemporaneamente essi apprendono le tecniche della cartapesta e probabilmente si divertono); in più piccoli interventi fuori programma come il progetto Rondine (per bambini immigrati), l’introduzione-atelier alla mostra di Rauschenberg e altre brevi assistenze e collaborazioni con il mondo scolastico, il comune e le associazioni cotignolesi.

L’arti e mestieri in numeri (anno scolastico 2003/2004) > 7 laboratori (ideazione e progettazione, atelier e documentazione) in 27 sezioni = 27 diversi atelier • Marzia - Mascheroni in cartapesta Scuola Media, 3°A, 3°B e 2°A = 66 ragazzi • Lucia e Marzia - Le facce di creta Scuola Elementare Cotignola 1°A, 1°B, 3°A e 3°B e Barbiano 1°, 2° e 3° = 102 bambini • Marzia - Il libro di Felicina Scuola Elementare di Cotignola 2°A, 2°B e 2°C = 50 bambini • Massimiliano - Le facce di pittura Scuola Elementare di Cotignola 5°A e 5°B = 32 bambini • Massimiliano - Da Bisanzio ai pixel Scuola Elementare di Barbiano 4° e 5° = 22 bambini • Lucia e Marzia - I mitici burattini e i leggendari pupazzi Scuola Elementare di Cotignola 4°A e 4°B = 33 bambini • Massimiliano, Lucia e Marzia - L’atelier delle foglie Scuola dell’infanzia di Cotignola, Barbiano e Asilo Carlo Maria Spada = 171 bambini > 476 il numero dei bambini che hanno giocato, sperimentato e lavorato con l’Arti e Mestieri al mattino. A questa lista vanno aggiunti i corsi pomeridiani che sono 6 (di cui 1 a Barbiano) che contano, tra bambini e ragazzi, 45 iscritti. > 521 è il numero dei ragazzi e bambini che hanno disegnato, dipinto e manipolato con Arti e Mestieri. 521 volti, 521 nomi, 521 sguardi, 521 pensieri. Questi bambini hanno faticato e si sino divertiti, sono stati insieme e forse sono un poco cresciuti grazie anche ad AeM.

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0.6 Ascoltare i politici Intervista al sindaco e agli assessori

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Francesco Caggio:... perché un testo sulla Scuola Arti e Mestieri; perché avete ritenuto opportuno raccontare di questa realtà? Quale significato ha per voi la casa degli Arti e Mestieri in termini politici, culturali e sociali? Che significato per un paese così piccolo? Daniele Ballanti: È vero che il comune è piccolo, Cotignola è piccola ed è piccolo Barbiano, però questa storia qui della Scuola Arti e Mestieri è da più di 100 anni, non è una scoperta... Caggio: È quindi un’istituzione con una grande rilevanza in relazione al territorio... allora, perché il Comune decide di raccontarla? Valentina Contadini: Io partirei dalla domanda che cosa significa la Scuola Arti e Mestieri dal punto di vista della nostra collettività e quindi dal valore che noi istituzione vogliamo dare a questa scuola. La Scuola Arti e Mestieri è, innanzi tutto, un collante fra le diverse istituzioni. È la sintesi di diversi sentire, di diverse prospettive e grazie a questa scuola si riescono a realizzare dei momenti di comunità attraverso le varie iniziative che vengono organizzate. Quindi è una scuola che esprime non solo didattica ma assolve una vera e propria funzione sociale ed aiuta i ragazzi a capire l’interconnessione tra le diverse istituzioni con cui poi si dovranno rapportare da adulti. Per questo è una scuola fondamentale per l’intera comunità, al di là della didattica vera e propria che esprime, al di là delle azioni sul campo che compie realmente. La Scuola Arti e Mestieri ad esempio, partecipa, col settore adulti insieme ai bambini, alla Segavecchia, festa tradizionale del nostro paese, creando una occasione d’incontro fra le diverse istituzioni e le associazioni di volontariato e soprattutto fra cittadini diversi per età ed estrazione sociale. Anche le persone che non hanno mai avuto contatti diretti con l’Arti e Mestieri, perché o non hanno avuto bimbi che la frequentassero o non hanno avuto nessuna sensibilità artistica per cui impegnarsi, vedono questa scuola come facente parte integrante del paese. Svolge una funzione di vero e proprio collante sociale, è all’interno della comunità ed è percepita come un bene comune generale. Ora, tutto questo, come si è creato? Si è creato perché si è riusciti, soprattutto negli ultimi anni, grazie all’opera del direttore artistico il maestro Fabbri, a formare un gruppo di lavoro che ha trasmesso il saper fare arte come una comunicazione e non come un imparare a disegnare, ha trasmesso quello che per gli artisti significa la comunicazione della propria arte e, secondo

me, questo processo è avvenuto attraverso una logica in divenire. Penso che non ci sia stato alla base un progetto così generale, che questo fosse l’obiettivo, ma che si sia realizzato nel lavorare, in divenire, con le risposte che venivano prima dalle istituzioni scolastiche poi via via da tutto il territorio. Un processo di interscambio fra i ruoli dei diversi protagonisti, ruoli che si definivano essi stessi sul campo. E quindi si è fatto anche un’opera pedagogica diciamo “incosciente”, non nel senso che non si sapeva quello che si stava facendo, anzi lo si sapeva benissimo, ma è diventato un qualcosa di più grande di quello che potevano essere gli obiettivi iniziali. Ed ecco qui, secondo me, il motivo di questa pubblicazione: proprio per fare il punto e renderci conto, noi stessi prima di tutto, e anche comunicarlo agli altri, l’opera didattica e pedagogica che si è riusciti a creare in questi ultimi anni attraverso questa scuola, in un processo di continui feed-back insegnati-utenti. L’avvicinamento dei cittadini a questa scuola è nato anche per motivi pratici, in risposta alle esigenze delle famiglie di un servizio scolastico maggiore. Quando si è deciso di dare alle famiglie un servizio che risolvesse i problemi quotidiani, di ore tempo scuola ci si è posti l’obiettivo di farlo con buona qualità. Dico questo perché per un piccolo comune è difficile investire grosse risorse nell’arte, purtroppo serve un bisogno contingente, diciamo anche materiale, più sentito dai cittadini. La coniugazione di queste due esigenze, un servizio aggiuntivo e di buona qualità, è stato l’inizio di un circolo virtuoso che, grazie al percorso che gli amministratori negli ultimi anni hanno seguito, ha creato un importante polo culturale. Un altro aspetto molto importante è quello storico: per un paese piccolo la riconoscibilità dei luoghi è fonte di identità. Io, che ho abitato sei anni all’estero, ho provato su di me questo sentimento. La Scuola Arti e Mestieri è la Scuola Arti e Mestieri, come la piazza, come la stazione, e questo ritrovare nel proprio paese dei punti di riferimento stabili, che esistono e continueranno ad esistere, nel modo ancora migliore, questo è il mio auspicio come amministratore, è importante per chi vive in un piccolo paese. C’è sempre il pericolo che i piccoli paesi diventino dei dormitori, forse costa meno abitare qui rispetto alle città più grandi, ma l’offerta culturale, di svago, l’offerta di potersi esprimere è più facile trovarla nei centri più grandi. Ecco, la Scuola Arti e Mestieri rappresenta anche questo, cioè un’opportunità di poter fare nel proprio


paese, ed il fare nel proprio paese contribuisce a far nascere l’identità sociale di una collettività che diventa quindi una comunità, viva, pulsante, solidale. L’aspetto educativo di questa scuola, la metodologia, la pedagogia che esprime sarà analizzata e spiegata in questo volume, io vorrei porre l’accento su un aspetto in particolare. Cioè sull’entusiasmo con cui tutti i ragazzi, gli alunni di ogni ordine di scuola, partecipano a questi laboratori, entusiasmo che non è semplicemente gioco, entusiasmo che sfocia nell’impegno serio ma non serioso. Mi ricordo quando facevo io disegno a scuola era l’ora in cui finalmente ci si riposava, ci si poteva esprimere ma era più che altro l’ora di tranquillità, invece affrontarla con un serio impegno e con la consapevolezza di fare un qualcosa che piace permette ai bambini di avere un rapporto migliore con la scuola intesa come istituzione. Si cerca di indirizzare i bambini verso il loro bene , i “grandi” scelgono per loro quello che devono fare ed imparare, impongono studi che i bambini sentono come faticosi e dei quali a volte non capiscono il senso. Ma in questo caso la scuola chiede ed offre ai bimbi di impegnarsi seriamente in qualcosa che indubbiamente a loro piace, del quale vedranno i frutti, nelle mostre, nelle esposizioni, durante il Natale, durante la manifestazione della Città dei Bambini, la scuola dunque non è un’estranea che si tollera perché si “deve”ma un pianeta nel loro universo che essendo accettato come “amico” riesce meglio a svolgere la propria opera educativa generale. Maurizio Casadio: La prima domanda mi chiedeva perchè un testo sull’Arti e Mestieri; perchè è un racconto e perchè potrebbe essere uno stimolo per delineare cosa potrebbe essere domani la nostra Arti e Mestieri. L’Arti e Mestieri, come diceva Ballanti, ha una storia di cento anni e forse anche più, perchè comunque Cotignola nella sua storia ha una tradizione artistica prolifica con tanti personaggi partendo dagli Zaganelli, i Marchesi e poi il professor Varoli che fu uno dei più importanti animatori dell’Arti e Mestieri. Questo significa che c’è un DNA all’interno del popolo cotignolese che fa si che l’arte riesca ad avere dei buoni livelli. Noi abbiamo riconosciuto ed apprezzato la presenza dell’Arti e Mestieri; la consideriamo un fiore all’occhiello per una comunità piccola come la nostra. Per far si che funzioni l’Arti e Mestieri ha bisogno di persone qualificate, di strumenti anche economici giusti e questo, per una comunità piccola, è comunque un impegno economico abbastanza elevato, rilevante. Noi vorremmo che l’Arti e Mestieri crescesse ma potesse esportare la propria esperienza in quanto siamo fieri di quello che i nostri ragazzi oggi fanno. Io ritengo l’Arti e Mestieri, e Massimiliano Fabbri in quanto in questo momento è lui il coordinatore e l’ideatore dei progetti, una struttura di alto livello animata diretta da una figura carismatica. È il cantiere nel quale si coltiva la creatività dei bambini, non più abituati a pensare, a inventarsi le cose da fare col giocare con il niente. Con l’Arti e Mestieri i nostri figli imparano ad esprimersi, Massimiliano ha la virtù di guidare i ragazzi lasciandoli liberi di esprimere le loro emozioni. Ciò è importante? Lo è perchè dà ai ragazzi

cose che le materie scolastiche curricolari non danno, crea dentro ai nostri ragazzi quel qualcosa che manca, sviluppa la fantasia e la capacità di esprimerla e questi sono valori che non vengono curati dalla nostra cultura che è sempre più tecnico - scientifica. Quindi cosa è stato fatto negli ultimi anni? Negli ultimi anni è stato fatto un ulteriore passo, cioè di aprire un laboratorio Arti e Mestieri anche a Barbiano. Ora i laboratori sono attivi già nel nido fino ad arrivare alle scuole medie. Si è organizzato un percorso di crescita, un percorso che dà continuità a un lavoro che coivolge tutte le fasce d’età che vanno dai due ai quattordici anni. Anche dopo, quando i ragazzi non frequentano più l’Arti e Mestieri, perchè sono alle scuole superiori, conservano rapporti con l’Arti e Mestieri ed in particolare, in occasione della Segavecchia o di altri importanti eventi della comunità, tornano a lavorare all’Arti e Mestieri, tornano dal maestro d’arte per rivivere un ambiente positivo fatto di relazioni umane significative e per esprimere la loro creatività. Domani vorremmo esportare il nostro progetto, vorremmo riuscire a coinvolgere altri comuni proprio per fare crescere questa esperienza, questo modo di far lavorare i ragazzi perchè lo riteniamo un valore aggiunto necessario per la formazione di tutti. Crediamo nel progetto Arti e Mestieri. Crediamo che lei possa aiutarci a testimoniare la qualità del lavoro fatto negli ultimi anni e ad individuare quelle valenze del nostro progetto che consentano di migliorarlo e qualificarlo estendendone la fruibilità ai comuni dell’area lughese ed attivando quegli apparati espositivi e laboratoriali che riporteranno l’Arti e Mestieri ad essere un elemento identificativo di Cotignola come avveniva dal 1920 al 1950 quando il cenacolo artistico di Varoli era frequentato da tutta la Romagna. Vogliamo creare un qualcosa di più grande che coinvolga anche altri ragazzi, altre risorse, che coinvolga di più il territorio, che riesca ad avere anche attività economiche, quindi sponsor, aziende che credono nel lavoro che stanno facendo, nel valore educativo dell’Arti e Mestieri. Antonio Pezzi: Io conosco meno da vicino questo argomento, rispetto a Maurizio e Valentina. Quello che penso è che rappresenti sicuramente una situazione di eccellenza grazie alle persone che si sono dedicate a questa scuola. Varoli era un “luminare” della materia perché ha creato una scuola in cui si sono formati molti altri artisti e professionisti eccellenti, che hanno qualificato la nostra città “esportando” in altri paesi il proprio mestiere e la propria cultura. Siamo dunque partiti da una importantissima tradizione che è sfociata in un servizio di qualità che ad oggi è sicuramente continuato per il settore artistico, un pò meno per il settore dei mestieri. Per i mestieri probabilmente si poteva tentare qualche cosa di più, non voglio con questo fare una critica, ma indicare una possibile strada da percorrere. Questo commento fa capire quanto mi stiano a cuore questi temi artistico-culturali; se integrassimo anche con i mestieri, se riuscissimo cioè, ad implementare anche l’ insegnamento dei mestieri, potremmo fornire un altro servizio importante per i nostri giovani. In questo modo, educandoli al fare, daremmo un ulteriore aiuto alle famiglie e quindi sommeremmo a un servizio di

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carattere culturale e artistico anche un servizio sociale vero e proprio. È importante per noi sostenere questa scuola anche in virtù di questo aspetto che all’epoca di Varoli probabilmente non esisteva, mentre oggi credo sia uno dei punti cardine. Dicendo questo automaticamente tutti noi dobbiamo sapere che assumiamo impegni seri anche economicamente. Tutto ciò deve essere inserito nel contesto nazionale in cui ci muoviamo, che purtroppo è un contesto caratterizzato da difficoltà crescenti che facilmente potrebbero tradursi in riduzione di risorse per la cultura. Noi faremo quanto possibile perché il servizio continui a mantenere le sue caratteristiche, continui eventualmente ad ampliare le proprie potenzialità di offrire consulenze, aiuti, attività. Credo che il quadro generale ci sia per poterlo fare: abbiamo dei ragazzi, sicuramente di valore, abbiamo degli amministratori ed uffici con la volontà di rispettare quello che sto dicendo, associazioni, enti ed un tessuto sociale sensibili a questa materia, dobbiamo quindi trovare il modo migliore

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per poterlo fare. Ecco questo è l’argomento ancora aperto, perché dobbiamo darci l’assetto più adeguato per sviluppare queste attività che, pur non essendo istituzionali, sono fondamentali o comunque molto importanti per ogni città. Non so se ho risposto a tutte le sue domande, sono andato a ruota libera più che altro. Il mio messaggio vuole essere: veniamo da una storia di eccellenza, quella antica, la più recente lo è stata con sfaccettature diverse, siamo proiettati a mantenerla e possibilmente a migliorarla. Antonio Pezzi, Sindaco Maurizio Casadio, Assessore alla Cultura, Sport e Tempo Libero Valentina Contadini, Assessore alla Pubblica Istruzione e Servizi per l’infanzia


0.7 Un paese che fa arte

Un filo continuo La ricostruzione storica delle vicende della Scuola d’Arti e Mestieri e l’intervista al sindaco (dott. Pezzi) e agli assessori all’istruzione e alla Cultura (rispettivamente signora Contadini e signor Casadio) ci dicono che per una serie di vicende storiche e personali la cittadina di Cotignola si ritrova da più di cento anni con una Scuola che coltiva, nei cittadini giovani e in quelli meno giovani, l’avvicinamento all’arte. Piccola, ma preziosa realizzazione questa Scuola: eredità di pensieri e concezioni del “vivere civile” certamente impregnate di idealità molto vicine alla valorizzazione e promozione dell’istruzione e formazione popolare in un’ottica anche di coltivazione delle sapienze manuali che la storia aveva consegnato alla comunità. Infatti il filmato dedicato a Cotignola dà conto di una serie di presenze artigiane come quella del ferro battuto, del ricamo, dell’uncinetto e della ceramica... e del legno intagliato, ora diversamente declinate come presenza produttiva ed espressiva nel paese; eppure fili su cui tornare a riflettere. Per le vicende storiche legate alla questione dello sviluppo dell’alfabetizzazione culturale delle masse dell’Italia ottocentesca, il comune di Cotignola si è trovato ad avere la presenza di una realtà culturale ed educativa ricca di storia e di possibilità; probabilmente le vicende culturali legate all’alfabetizzazione del popolo a Cotignola avevano trovato una buona eco forse per le specifiche caratteristiche politiche del paese e ancor più per la dedizione civile di alcuni personaggi certamente positivamente eccentrici rispetto alla maggior parte dei paesani e quindi portatori di novità e di sguardi e proposte diverse dal consueto, proprio perché artisti. Scorrendo la sua storia sembra che la Scuola Arti e Mestieri sia sempre alla ricerca di una sua stabilizzazione e radicamento certi; pare sempre alla ricerca di un futuro stabile e sicuro. Questa ricerca, con vicende alterne, l’ha condotta fino ai giorni nostri, vero cantiere di creatività per i bambini e, in alcuni periodi dell’anno, anche degli adulti che sono invece soggetti tutti da interessare a questa fucina; luogo forse molto necessario alle “nevrosi” dell’essere adulto.

Fra le molte figure sono proprio i maestri d’arte e gli artisti che raccolgono questa eredità e, dalla loro collocazione, sempre come “spostata”, come “altra” rispetto a quella corrente, ogni volta la rinnovano e la ricollocano all’interno del paese. Valga per tutti l’utilizzo magistrale, perentorio, di aggressivo convincimento e strutturata evidenza plastica che Varoli fa della cartapesta; Varoli è una sorta di nume tutelare del paese che conserva una carrellata dei suoi personaggi vivacemente ancora presenti e che abitano, con molte chiacchiere e battute, il museo ad egli dedicato. Museo che è meta obbligata per chi transita e abita a Cotignola perché ancora una volta lo sguardo di sbieco del Varoli, lo sguardo differente dato dall’essere un ricercatore in quanto artista, ha restituito a soggetti che sarebbero rimasti anonimi popolani, lo statuto di persone e personaggi che incarnano il vivere con un’evidenza perturbante. C’è, per altro, un filo sottile e richiamante che avvicina questo mondo di ritratti e di presenze di grave e soverchiante vitalità, quasi debordante alla musica evocata dalla presenza, sul livello di realtà e di rappresentazione, di una spinetta e di un contrabbasso. C’è ancora il tema della libertà evocata dal rifiuto delle divise da parte dell’artista; tematica ricorrente, quella della libertà, anche nel fare del maestro M. Fabbri. Ma forse, questo della libertà, almeno per decenni, è stato il tema della comunità cotignolese, come di altre realtà anch’esse investite rovinosamente dalla seconda guerra mondiale, passaggio non indolore per il paese. Comunque sia fra disegno e decorazione, fra cartapesta e gente del popolo fermata nella sua a volte disperata forza di farcela a stare al mondo, fra la guerra e la impegnata ricostruzione, la Scuola è arrivata ad oggi con alcune questioni aperte. Una delle questioni ricorrenti è quella economica a fronte delle strutturali difficoltà che una piccola comunità ha o può avere, anche in relazione alle vicende nazionali, rispetto agli investimenti culturali ed educativi che tradizionalmente non sono particolarmente renumerativi (si sa che la cultura può lavorare in “perdita” economica, anche se molto è stato dimostrato e fatto per rovesciare questo rischio, con risultati egregi a volte, ma anche discutibili altri).

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Ora va anche detto che il “guadagno” non può essere solo misurato su un piano strettamente economico-finanziario. Un’altra questione aperta è quella della sua missione, del suo mandato e del suo ruolo all’interno del contesto locale e anche più prossimo: questione non piccola e certamente legata alla sua stessa persistenza nel tempo. Ora, seguendo non solo le vicende storiche, ma anche le dichiarazioni dei politici che l’hanno ereditata, rappresenta: • un utile e necessario complemento all’intervento educativo della scuola perché è un’opportunità di ritrovo e accoglienza finalizzati e mirati per bambini e per ragazzi i cui pomeriggi potrebbero essere pieni di noia, vuoto e conformizzazione televisiva; noia e vuoto che invece vengono trasformati in percorsi di coinvolgente ricerca, così come pare accadere nelle mura della Scuola Arti e Mestieri; • un’offerta a se stante oltre e al di là della scuola proponendosi come luogo per la coltivazione della creatività individuale e collettiva in un’epoca in cui l’alfabetizzazione di massa e l’esposizione di numerosissime persone ai continui eventi culturali può non aver diffuso, sostanzialmente, un atteggiamento di libera e gratuita coltivazione di sé e della propria sensibilità e soprattutto una comprensione esistenzialmente significativa del portato sempre critico e provocante dell’arte; • una luogo di aggregazione sociale, di ritrovo sociale costruttivo ponendosi fra le altre realtà del paese che cercano di tessere, in un’epoca storica in cui i piccoli centri paiono svuotarsi a causa di emigrazioni e fughe sociali e culturali, legami sociali sviluppando appartenenza alla propria comunità e luogo di nascita e residenza che trova , in questa realtà, per altro una sua specifica identità e una sua possibile ulteriore valorizzazione. A queste prime evidenze, in termini di funzione e di mandato, ce ne sarebbe una che ha attraversato tutta la storia della Scuola che era ed è di Arti e Mestieri; ed è proprio questa seconda accezione che pare essersi sbiadita con il tempo anche se il sindaco Pezzi la ricorda nel suo intervento nell’intervista. Vale a dire la “formazione” degli adulti.

Ma si può - e come - ridarle anche questo compito? Con le mutate situazioni legate alla formazione scolastica e professionale; con le mutate condizioni del mercato del lavoro e soprattutto con la perdita di saperi tecnici e pratici rispetto al “fare con le mani” che era proprio di una tradizione che pare perdersi e si è persa anche solo come hobby, questa domanda trova non pochi problemi ad essere sciolta; legata com’è a questioni certamente logistiche e organizzative, ma anche istituzionali ed economiche. Tutto da ripensare da questo punto di vista in un’ottica di alleanza con altri soggetti territoriali e istituzionali. Alleanza che comunque viene richiamata anche dalle funzioni già elencate sopra e ancora oggi vitali; funzioni che possono trovare sicuro radicamento, espansione, conoscenza e apprezzamento in una continua e costante relazione con: • il mondo della scuola; • le politiche culturali del Comune; • il mondo dell’Associazionismo locale; • la vita civile del paese; • con altre realtà istituzionali, culturali e sociali al di fuori del paese stesso. In concreto, rispetto alla sua storia e a quello che dice uno dei due Assessori (sig. Casadio), ancora una volta è chiesto un investimento di creatività e passione sia delle singole persone sia della Comunità intera che pose tanta attenzione, nel faticoso dopoguerra, a fornire di una sede e di un forno la Scuola che sentiva e sapeva essere una iniziativa che elevava la vita corrente di un piccolo paese conservandone e coltivandone una sorta di “cuore”. “Cuore” che restituisce quella necessaria gentilezza al vivere comune che ci portiamo dietro come grande ricerca ed eredità dal nostro illuminismo e romanticismo velati o fortemente caratterizzati da venature riformiste finalizzate a un’emancipazione dal mero vivere corrente, aprendo spazi di ricreazione culturale per e a tutti. Tema di grande attualità ancora oggi. Ma forse sempre, tanto più in periodi di crisi, anche economica: come questo che viviamo.

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1 • Un paese una scuola. Segni d’arte e tradizione di mestieri, Comune di Cotignola, 1990, filmato a cura di Luigi Zaffagnini.


Bambino marziano ti racconto una favola (Segavecchia 2002); fotografia di Daniele Casadio


0.8 …prima di tutto pittore Intervista al maestro d’arte

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1 • «Dipingo e scolpisco, e questo ormai lo faccio da sempre, dalla prima volta che ho disegnato o dipinto, per afferrare la realtà, per difendermi meglio, per attaccare meglio, per impossessarmi della vita, per avanzare il più possibile in tutti i sensi e in tutte le direzioni, proteggermi dalla fame, dal freddo, dalla morte, per essere il più libero possibile; tanto libero da tentare – con i mezzi che oggi mi sono più propri – di vedere meglio, di meglio comprendere ciò che mi circonda, di meglio comprendere per essere il più libero, il più aperto possibile, per dedicarmi il più possibile a ciò che faccio, per continuare la mia avventura, per scoprire nuovi mondi, combattere le mie battaglie, per il piacere? Per la gioia? Una guerra così, per il piacere di vincere o perdere» Alberto Giacometti Tratto da Matti Megged Dialogo nel vuoto. Beckett e Giacometti, Hestia, Cernusco L. Como, 1993. 2 • Tratto da Mano fumetti scritti disegni/sei, Coconino Press, Bologna, 2001.

FC: Che cosa rappresenta questo luogo per lei? E per chi ci viene? E per il paese? MF: Vorrei partire da una considerazione personale, da un mio vissuto che spinge ed interferisce: io sono un pittore e dipingere ha a che fare con la solitudine; allora questo lavoro con i bambini diventa una specie di controcanto a questa solitudine “estrema” (che è del pittore e che assomiglia un po’ ad una preghiera). Ciò suscita in me una sorta di contraddizione, perché non so se l’arte possa e debba essere didattica. Per quanto riguarda il paese invece, la definizione è più semplice: la Scuola Arti e Mestieri è un superfluo indispensabile, anche se si tratta di una convinzione che non è facilissimo difendere, soprattutto in questo momento. FC: ...vediamo di dare significato sia al “controcanto”, sia alla “solitudine della pittura” e al suo “rovesciamento nel sociale” sia anche a questo “necessario superfluo”. MF: Prima di tutto, lavorare con i bambini, mi permette di vivere, di ricevere un salario “quasi certo”. Allo stesso tempo non credo però che all’artista in genere debba interessare più di tanto l’aspetto didattico–pedagogico di ciò che fa; non solo, queste cose vanno forse tenute alla larga, bisogna evitarle: inaridiscono. L’artista è una spugna, una specie di parassita: rubare una cosa che si sente o vede perché serve per crescere, prenderla a morsi, farla propria…1 Con i bambini invece la cosa è molto differente perché si propone direttamente qualcosa ad altri, un qualcosa che in certa misura andrà da questi utilizzato: ogni pensiero, gesto o movimento parte dalla possibilità e volontà di contemplare e basarsi sullo scambio. La necessità di comunicare (che è certamente anche dell’arte, anche se non in modalità così stringenti e indispensabili) proietta ed ingloba l’idea del futuro; da qui un timore: da un certo punto di vista si possono e devono fare meno errori in un laboratorio rispetto a ciò che si fa in studio. C’è, insomma, un “potere” da gestire bene, una responsabilità o ruolo che non sempre permettono il perdere tempo; ed è giusto che sia così, il laboratorio è una macchina, un meccanismo. Allora l’artista che “insegna” sperimenta su di sé una frattura poiché è costretto a tenere insieme due momenti

separati: il fare ha bisogno di chiusure egoistiche (e “specialistiche”), il trasmettere necessita invece di aperture e di una curiosità frivola ed imprevedibile (oltre che, ovviamente, di una struttura organizzata a priori ). Il laboratorio con i bambini parte sempre da un’affermazione, una volontà di costruzione che può forse mancare all’arte. Sicuramente, l’atelier ha a che fare, in qualche modo, con la democrazia: è un ponte. Empatia: da ricercare, da costruire, da sollecitare e proteggere. Per chiudere, posso dire che fare arte e fare attività con i bambini rappresentano due facce della stessa medaglia, due modi di leggere (ed usare) l’arte che offrono due strade parallele, anche in contrapposizione tra loro, e che forse si alimentano a vicenda (oppure che si ostacolano rubandosi energia). DB:Il discorso dei laboratori come di un “controcanto” di cui l’artista ha bisogno mi sembra sia limitativo rispetto al ruolo che i laboratori stessi hanno per i ragazzi e gli adulti di Cotignola L’insegnare o lo stare con i bambini, con i ragazzi, e con gli adulti, l’animarli ecc. non è una attività che viene svolta come un dovere; voglio dire che l’entusiasmo il coinvolgimento la passione profusi riescono ad animare a rendere viva la comunità. La Scuola funziona proprio perché il piacere di giocare, di creare, di esprimersi, di fare gruppo coinvolgono e diventano una specie di volano della vita artistica e culturale dei bambini ma anche della comunità in generale. Per questo credo che il discorso dell’insegnare inteso come una specie di controcanto sia un po’ limitativo. L’insegnamento come controcanto di cui l’artista solitario ha bisogno è questione squisitamente personale dell’artista stesso, in realtà il respiro, l’impatto sociale del quale parlava Caggio credo che sia davvero notevole. MF: Cerco di spiegarmi meglio (il mio era, in una certa misura, un ragionamento privato): Marlene Dumas, che riflette bene nel suo lavoro e nei suoi scritti quest’ambiguità, dice: «L’arte non è fatta per i bambini. Come il veleno o le medicine dovrebbe essere tenuta fuori dalla loro portata.»2


FC: ... dice è come una medicina è come un veleno, ma allora, qual è il gioco che lei mette in campo perché questa medicina o questo veleno vengano dati ai bambini? Quale gioco mette su perché abbiano la voglia di avvicinarsi al veleno e alla medicina. È molto interessante questo: tutte le medicine sono dei veleni sostanzialmente e tutti i veleni servono anche in medicina.. Allora vediamo qualcosa di questo riversamento del suo amore, per questa medicina e questo veleno, rispetto al gruppo sociale dei bambini che lei tratta... MF: Se ritorno spesso su alcune contraddizioni è per una sorta di metodo utile a mantenere alta la tensione, per mettere costantemente alla prova qualcosa che non voglio dare per scontato; ciò che è instabile e aggredito è, da un certo punto di vista, più vivo. In realtà credo sia fortemente utile parlare di arte e far vedere arte ai bambini, fargliela fare soprattutto, anche se è evidente che una delle aspettative e caratteristiche non è tanto di formare soggetti bravi a dipingere o disegnare, quanto lo stimolare e sviluppare un certo senso del collegamento, che è dei pensieri arditi, capaci di mettere insieme cose all’apparenza distanti, o del poter capovolgere il mondo, fosse anche solo tentativo; ciò significa avere sempre a disposizione un altro punto di vista, o quantomeno del cercare nuove angolazioni e questo, credo, è il terreno dell’arte. «L’arte serve a stabilire una comunione, creare dei legami con gli altri e con ciò che ci circonda, in una visione e sforzo condivisibile.» Gerhard Richter3 Si lavora sull’unicità (anche nell’assomigliare) e su di un’irripetibilità che è propria del disegno infantile e di ogni laboratorio riuscito; meraviglia… da attendere: stare all’erta. FC: A un certo punto lei dice: “più che far vedere arte”, “voglio far fare arte ai bambini”, aprire un altro punto di vista, aprire porte, risolvere problemi, farne una questione di intelligenza in termine di sviluppare collegamenti. Questo mi porta alla seconda domanda che è: cosa vuole offrire permettere e sollecitare ai bambini? Anche se non abbiamo ancora esplorato il senso di questo necessario superfluo di cui è dotato il paese. Quindi può scegliere o di rispondere sul necessario superfluo in modo che chiudiamo la prima domanda anche se ci sono alcune questioni su cui torno oppure parta pure dal far fare arte ai bambini. MF: Il laboratorio d’arte è necessario nella misura in cui è una possibilità, da un certo punto di vista, aristocratica; sicuramente una ricchezza, una “abitudine alla

bellezza” che ha a che fare con lo stupore e la sua trasmissione. Uno spazio protetto, forse non paragonabile ad altre esperienze. L’arte, con la sua applicazione, permette un sovvertimento che ha a che vedere con il dilatare, un allargare le maglie o di una discesa in profondità (dilatare e rallentare freneticamente: l’ossimoro, festina lente, potrebbe accompagnare ogni atelier). Ciò che invece è difficile far capire, non ai bambini, ma a chi guarda e sta attorno, a chi deve permettere e proteggere questa cosa (per farla andare avanti e crescere), è la preziosità e, allo stesso tempo, la fragilità di questa esperienza. È difficile trasmettere il valore di questi momenti poiché si tratta di cose spesso labili e leggere, quasi evanescenti: una traslazione impoverirà notevolmente la portata emozionale, l’accadimento straordinario (io non so sempre dare un nome o spiegarmi quello che succede, sento però la forza e la bellezza). A volte capita che di fronte ad un disegno, ad una decisione del bambino dentro all’immagine, io capisca (o intuisca) che egli ha appena compiuto un salto da vertigine, un capogiro della mente che spalanca un universo; ha dilatato il tempo e, contemporaneamente, ha innescato un’accelerazione vorticosa. Spiegare che è questo capogiro ciò che regge la scuola, è cosa ardua e imbarazzante (e non è detto che sia giusto farlo; per chi lavoriamo? per gli adulti o per i bambini?). Noi sappiamo quando un bambino ha fatto un lavoro serio e significante: ciò comporta estrema attenzione, serietà e verità e però questo fa sì che l’Arti e Mestieri sia un po’ un’astronave (con tutto ciò che esso comporta, nel bene e nel male), e da qui nascono alcuni problemi: non so se manchi una corretta comunicazione, ma la politica non sta sempre al passo, è troppo preoccupata nella gestione del presente. È per questo che la scuola Arti e Mestieri è anche superflua; un bambino può certamente fare a meno di questa cosa sottile (che si toglie dalla mediocrità). Il nostro operare è alternativo, noi lo difendiamo quotidianamente (come in una guerra a bassa intensità). Il nostro metodo è arbitrario e poco ortodosso, ma proprio questo atteggiamento permette di raggiungere risultati oggettivi, grazie ad un metro di valutazione produttivo che si serve del costante esempio e modello dell’arte, di un continuo paragone tra il disegno dei bambini e le opere degli artisti (che così ci “servono” ed aiutano a capire): dal bambino all’artista, dall’artista al bambino.

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3 • Tratto da Gerhard Richter La pratica quotadiana della pittura, Postmedia, Milano, 2003.


4 • La mostra La scuola degli sguardi era inserita nel contesto della Città dei Bambini 2004 denominata La città degli sguardi. Questa mostra è stata allestita nelle sale di Palazzo Sforza a Cotignola dal 22 al 30 maggio 2004. Il percorso si snodava sugli ultimi due anni di attività ed era strutturato essenzialmente in due sezioni: la prima era costituita dai lavori dei bambini (una stanza piena di facce: volti disegnati, dipinti, fotografati, plasmati eccetera), la seconda correva parallelemente su due binari: libri costruiti da bambini e, nella sezione didattica, i progetti, gli scritti e la documentazione di noi operatori.

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5 • Il laboratorio Le facce di pittura è stato attivato nell’inverno 2003–2004 con le due classi quinte della scuola elementare di Cotignola. La faccia diventa un campo d’azione su cui sperimentare diverse modalità pittoriche ispirate dal lavoro di alcuni artisti: la pittura materica e quella liquida, il collage con carta strappata a mano e il frottage, la pittura divisionista. Questo viaggio ha attraversato modi differenti di rappresentare il volto e differenti modi di agire la pittura con proiezioni e giustapposizioni di opere di artisti come Klee e Picasso, Kandinskij e De Stael, Seraut e Van Gogh. Ciò permetteva ai bambini di “confrontare” costantemente le loro produzioni con queste immagini e, allo stesso tempo, di giustificare e legittimare ciò che andavano facendo. (cfr. par. 1.1.2)

FC: ... cosa vuole offrire, cosa vuole permettere, cosa vuole sollecitare? Soprattutto che cosa vuole dire fare arte.... MF: Come calare e rendere tangibile e trasparente questa cosa che sta succedendo? C’è un vuoto da colmare, un salto da compiere; un respiro collettivo da imparare che renda tutto più armonioso. Quando lei parla di sociale, credo però di aver intuito che questa trasmissione sia già presente, comunque ed indipendentemente, nel momento stesso in cui facciamo un laboratorio; la comunicazione di questi aspetti e valori, diventa poi più lineare ed evidente in alcuni casi: le visite al museo in cui scopriamo e disegniamo i mascheroni di Varoli, il progetto Il mio paese è fatto così in cui i bambini, armati di un quaderno per appunti, vanno in giro per il paese a disegnare gli edifici più importanti, le mostre con i lavori dei bambini, le feste, la Segavecchia e La Città dei Bambini (in tutti questi casi i laboratori escono fisicamente per misurarsi con la realtà, ripensandola, creando trame ed ulteriori significati, rendendola e rendendosi visibile). Poi, in realtà, ricostruire (per una visione e lettura esterna) è, come dicevo precedentemente, molto complesso, anche perché va ad innestarsi in un contesto quotidiano in cui al bambino è negata la possibilità di perdere tempo; tutto ciò che non è strettamente produttivo e misurabile diventa, in maniera distorta, quasi pericoloso, oppure sembra non servire a nulla. Invece nell’offerta c’è anche la possibilità di gestirsi il tempo, di ritardare e prolungare, di girovagare senza una meta precisa (alla ricerca di non so che cosa). I tentativi per rendere pubblica e sociale questa cosa in realtà non mancano: la mostra La scuola degli sguardi4 ci ha visto impegnati in uno sforzo notevole di scrittura con cui abbiamo cercato di fornire tutti gli strumenti (anche emotivi) per facilitare l’approccio dell’adulto al percorso svolto dai bambini e dalle insegnanti negli atelier; non è stato arbitrario, ad esempio, che fossimo partiti da Senecio di Paul Klee per intraprendere un viaggio pittorico sul ed intorno al volto.5 Abbiamo mostrato questa “testa guardante” di fianco ai dipinti dei bambini (Senecio è stato una sorta di angelo custode che ci ha accompagnato in alcuni laboratori chiarendoci possibili direzioni; è una semplificazione assoluta, puramente mentale e molto vicina a certi modi di rappresentare del bambino). FC: Ripeto: cosa offre, cosa permette, cosa sollecita. MF: La prima ricchezza di questa offerta, che può

La scuola degli sguardi, particolari della sezione fotografica e libresca in mostra; fotografie di Daniele Casadio.


Piccolo reportage a foro stenopeico: la mostra nella camera oscura, AeM 2005; fotografia di Daniele Casadio.

apparire un po’ banale, ma che in realtà è qualcosa di estremamente importante, è rappresentata dal modo in cui facciamo i laboratori: non si tratta di lezioni in cui prendiamo un alunno per volta e gli chiediamo di fare o rifare Caravaggio (o qualche altra cartolina); prima di tutto l’atelier è un esercizio di convivenza, un momento di vita comune, la condivisione di uno spazio che i bambini riconoscono e riconoscono “altro”. Ovviamente non possiamo pensare che questo sia sufficiente, eppure lo stare insieme, questo tentativo di costruzione di una comunità non va affatto sottovalutato. Il secondo passo ci porta in un ambito più didattico: nessuno di noi vuole formare degli specialisti; si vogliono offrire, al bambino e al ragazzo, alcuni strumenti che lo aiutino nella costruzione della sua identità, anche attraverso l’espressione artistica. Crediamo in diverse forme di intelligenza e in diverse sensibilità per cui si è sempre alla ricerca della chiave giusta che faccia scattare una serratura: permettere a ciascuno di affacciarsi ad una profondità, di scoprirsi e scoprire l’altro da sé. Il laboratorio come una sorta di invito al viaggio… Sciogliere nodi, acquisire, formarsi un bagaglio (che sia più simile ad un paio di ali che ad una zavorra): è per questo che AeM non è una scuola di pittura, né di disegno, né di manipolazione della cartapesta o dell’argilla, ma piuttosto tutte queste cose insieme, anche mescolate: il prodotto di questo incontro è diverso e più significativo di una semplice somma di questi elementi; l’importanza ed il valore risiedono anche nel percorso che si compie per collegare due cose e la bellezza è già presente nella scelta del tipo di percorso (ritornare all’individuo). (Una di queste efficaci esperienze di attraversamento che caratterizzano il nostro atteggiamento è rappresentata ad esempio dal laboratorio di fotografia6 in cui siamo passati dal rayogramma al forostenopeico, fino alla pola-

roid e alla sua manipolazione. Aprire quindi un ventaglio di possibilità in cui ognuno possa trovare la dimensione che più gli appartiene. A volte capita che un bambino, o un ciclo di bambini, si innamorino in modo particolare di questo luogo ed allora si riesce ad approfondire ulteriormente il discorso, cosa questa che in realtà avviene abbastanza spesso (è raro che un bambino che si iscrive al primo anno termini brevemente l’esperienza e abbandoni; solitamente il percorso si prolunga ed estende per un quinquennio, dalla prima alla quinta elementare).7 Questo lavorare a lungo con uno stesso gruppo di bambini, permette di rafforzare la comunicazione, salda i legami e la fiducia reciproca. Ciò inoltre ci “costringe” ad una revisione costante dei programmi e delle proposte, un ripensamento continuo che ci rinnova ed immette freschezza. Seguiamo la crescita dei bambini, li accompagniamo; ogni anno, nel primo giorno di Arti e Mestieri, facciamo fare l’autoritratto allo specchio: dopo cinque o più anni, questi disegni raccontano, in maniera forte ed affascinante, un’evoluzione, un pezzo di vita.8 Ovviamente, noi cresciamo con loro. In conclusione: cerchiamo di lasciare e trasmettere ai bambini la capacità di riscattare, spostare e nominare attraverso un atteggiamento “creativo”. FC: ancora, che cosa offre, permette e sollecita? MF: Dovrebbe sollecitare un “atteggiamento” curioso e permettere di affinare un controllo e padronanza di questa curiosità; conoscere le regole del caso, usarle per accedere e accendere questi meccanismi. Forse offre anche ai bambini una fuga, ossia la possibilità di infrangere la regola rimanendo comunque dentro ad un sistema di regole. La curiosità permette di tentare di rifare il mondo e di provare a mantenere alta questa meraviglia (accedere allo straordinario come pratica quotidiana?).

6 • L’atelier della fotografia (con connessa camera oscura) è stato avviato due anni fa grazie alla collaborazione con l’esperto esterno Daniele Casadio, fotografo di Ravenna. Questo laboratorio, che solitamente impegna il mese di aprile, è rivolto ai bambini e ragazzi che sono iscritti ai corsi pomeridiani dell’Arti e Mestieri (elementari, medie, adolescenti). 7 • Gli affezionati continuano il percorso anche per un altro triennio, anche se, con il passaggio dalle elementari alle medie, solitamente perdiamo qualche ragazzo; c’è un rimescolarsi delle carte che fa sì che magari entrino nuovi soggetti. 8 • Molti artisti hanno lavorato e lavorano su tematiche abbastanza simili a questa (naturalmente rendendole più estreme): Roman Opalka è un artista polacco che dal 1965 ha avviato un progetto sulla visualizzazione del tempo, e il suo trascorrere sul proprio volto, in cui prevede di fotografarsi (nella stessa inquadratura tipo foto segnaletica) fino alla sua morte. Ogni singolo scatto è un dettaglio di quest’opera incompiuta: Opalka 1965/1-∞ è il titolo di questo lavoro.

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Marco

Devid

Roman Opalka


9 • «C’è stato un tempo in cui il primo significato della parola autore era “colui che aggiunge”. Anche in questo caso l’antica lingua latina ci restituisce un’accezione che torna a disilluderci sull’idea di paternità, come se non esistesse alcuna paternità assoluta, ma solo infinite, perenni figliolanze, solo un passare del mondo e della vita di mano in mano, e in quel breve passaggio ci fosse concesso unicamente di smussare o aggiungere, di rimodellare una materia e una forma che si tramandano e forse preesistono a ognuno. L’arte incarna magistralmente questo assunto e spartisce qualcosa con l’archetipo sommo del nutrimento umano: il pane. Quando ancora questo alimento si faceva con le mani, il lievito, che miracolosamente gli permetteva di crescere e di farsi soffice, non era altro che un tozzo dell’impasto del pane precedente, lasciato fermentare avvolto in un panno e recuperato ogni volta per formare una nuova opera. Ogni nuova pagnotta conteneva una piccola componente del pane più antico, reiterando una sorta di infinita partenogenesi. L’Arte, per lievitare, attinge ogni giorno al proprio corredo genetico, nutrendosi delle espressioni, delle forme e delle materie che l’hanno preceduta, ma ci sono artisti che hanno fatto di questa condizione il preciso manifesto del proprio stile.» Massimo Pulini, Il secondo sguardo, Medusa, 2002. 32

10 • I tre gruppi di bambini frequentano attualmente le scuole medie: quello di Barbiano è più eterogeneo per ciò che riguarda le età, che oscillano ora tra gli undici e i quattor-

dici anni; ricordo qualche nome con la speranza di non dimenticare nessuno (se avverrà me ne scuso in anticipo): Beatrice, Gianna, Giulia, Chiara, Angelica, Lidia, Gabriele, Alessandro, Daniel, Lorenzo, Anesario, Federico, Ivano, Mattia, Filippo, Michele, Martina…. I due cicli di Cotignola sono inscrivibili a due annate: i bambini nati nel 1992 e nel 1993 (che sono ora, rispettivamente, in seconda e prima media); non cito i nomi perché sarebbe un elenco troppo lungo (due classi, quattro sezioni). In questi due casi ha funzionato molto bene il binomio Scuola Arti e Mestieri – Scuola Elementare: molti bambini hanno frequentato AeM nel pomeriggio (circa un terzo ovvero dodici su trentasei e dieci su trenta) e tutti hanno seguito un progetto e percorso di laboratori Arti e Mestieri mattutini che si è spalmato sui cinque anni con un inizio rappresentato dalla manipolazione dell’argilla (cfr. par. 2.1.3 Un giardino incantato), una parte centrale in cui hanno lavorato con la cartapesta (maschere e burattini, cfr. par. 2.1.1 e 2.1.2) fino ad una conclusione con la pittura (le facce di pittura e la pittura astratta cfr. par. 1.1.2) e i libri artistici (cfr. par. 3.3) oltre a progetti speciali per La Città dei Bambini. Le maestre che ci hanno accompagnato e supportato in questo viaggio sono Lidia Sansoni e Loredana Taroni (ricordo con grande piacere le due classi di Lidia con cui avevamo creato una vera e propria simbiosi, una sintonia d’intenti che ha lasciato sul campo esperienze importanti: alcune di queste hanno rappresentato, per noi, assolute novità: le visite disegnate al museo, la cartapesta – fuori dalla Segavecchia – i libri artigianali…).

FC: Torniamo sui alcuni punti: lo stare in comune..., gli strumenti per esprimersi, le modalità di conduzione del laboratorio. MF: Ora dico una cosa ovvia e che potrà apparire come una banalità: copiare fa bene. In un gruppo di bambini che lavorano insieme ci sono naturalmente dei picchi e delle punte, alcuni esiti, invenzioni o percorsi che si distinguono: se un bambino copia, insegue un modello, si misura con una qualità che riconosce mettendosi alla prova. L’arte è il terreno del furto, del rubare, del prendere in prestito per restituire all’ennesima potenza;9 copiare e fare uguale è quasi impossibile: anche la cosa che nasce come imitazione o emulazione porterà con se una temperatura diversa. Così quando il bambino copia, mette in moto uno scambio, si mette in relazione, magari anche una relazione conflittuale, ma ciò non mi pare una cosa negativa. FC: C’è uno scambio che secondo lei arricchisce i repertori personali... MF: Direi di sì: quando mi trovo con pochi bambini per via di influenze e malattie, l’atmosfera e la tensione calano: lo scambio e il confronto generano stimoli, si accede ad altre risorse (e se ne tengono lontane altre come la noia); non vorrei essere frainteso, non si tratta di una competizione spietata e nemmeno di una ricerca o volontà di omologazione ed appiattimento, ma di un qualcosa che si instaura, che passa tra i bambini, un’energia che aleggia leggera, un’elettricità che è del confronto piacevole, dello stare insieme. Del riconoscersi e dell’imparare la forza (oggi copio e il buon risultato che ottengo mi può portare, perché gratificato, a fare, la prossima volta, un percorso autonomo; oppure avrò ancora bisogno dell’amico…). FC: ... mi interesserebbe che lei approfondisse questo punto per vedere se “questo rubarsi il mestiere” l’uno con l’altro, le pare un processo che sostiene la creatività, la produttività del bambino... DB: Vorrei dire una cosa su questo; Caggio ha parlato di creatività, dicendo però che forse è un concetto troppo importante e non è il caso di parlarne, o di tirarla in ballo. Io direi che il gusto per l’espressione creativa all’Arti e Mestieri nasce, e in questo clima di collaborazione, emulazione, lavoro di gruppo, il gusto per l’espressione creativa si consolida e diventa una “passione” che continua poi negli anni. Io credo che tutti coloro che a Cotignola si interessano del mondo della scuola o dell’arte, dell’educazione in generale possano testimoniare effetti positivi e duraturi dell’Arti e Mestieri nel favorire l’espressione creativa. MF: L’utilità di questo rubarsi il mestiere, di rafforzare, cementare legami e coesioni di gruppo attraverso il guardarsi e attraverso il guardare ciò che ha fatto l’altro, mi si chiarisce se penso ad alcuni cicli di bambini che sono stati particolarmente felici ed emozionanti, e che hanno anche prodotto cose di eccellente qualità e raffinatezza; mi riferisco ad esempio ad un gruppo di bambini di Barbiano con cui sono stato insieme per tre–quattro anni (centri estivi compresi) e a due gruppi di Cotignola che hanno frequentato i corsi dell’Arti e Mestieri per cinque anni (oltre ai laboratori mattutini). C’era una tale sintonia di intenti e di aspettative che ci ha permesso di fare molta sperimentazione, di osare e divertirci. Questi tre gruppi di bambini10 sono forse diventati più creativi, o forse, ma questa è solo una sensazione, sono ora più intelligenti e sensibili. Di certo il laboratorio è luogo che può stimolare queste intelligenze e sensibilità: al bambino è chiesto di mettere in relazione, di fare salti tra le cose, di tendere fili. Un bambino che costruisce le sue libertà…


Quindi, per chiarire il suo dubbio e chiudere il ragionamento, posso dire che essere, fare parte di un gruppo stimolante, permette al bambino di apprezzare le personalità; da questo ascoltarsi emergono, a seconda delle occasioni, alcuni soggetti, e da questa pluralità non si può che ricevere un’accelerazione, un raffinarsi dello sguardo e del movimento. Ciò è, innegabilmente, una ricchezza (un po’ come un bravo calciatore in una squadra fa giocare meglio i compagni facendo girare meglio l’insieme). FC: Il significato che lei da alla parola esperienze. Dare strumenti ai bambini per esprimersi… MF: L’espressione prevede, non solo un buttar fuori, ma anche uno scambio con ciò che sta fuori, ricevere un’impressione: un mettersi in ricezione che è del tenere i sensi all’erta. Si può fare un dipinto sull’onda di un’emozione, sulla spinta di un’urgenza, ma si può anche giungere ad una svolta in modo casuale, quasi controvoglia, come se nel tedio e nella ripetizione fosse nascosta, come in un rito magico, la scoperta improvvisa, la rivelazione.11 L’abilità mia, e del bambino, sta e consiste nel riconoscere quando sta succedendo o sta per accadere qualcosa d’importante. Diventa allora un’esprimersi a doppia mandata: da una parte c’è una forza rivolta verso l’interno, un ascolto che si rovescia in una spinta verso il fuori: tensione centripeta e centrifuga. Un occhio chiuso ed uno aperto. L’espressione ha bisogno del dentro e del fuori, e del loro mescolarsi e confondersi. Condizione un familiare estraniamento; un “sapere” che porti a vedere le cose come se per la prima volta. Stupore. FC: Parlando poi di questo scivolamento e commistione di mescolanze fra tecniche e modalità di esprimersi. MF: Mi interessano le tecniche miste, sia come attitudine e concetto, sia nel loro utilizzo fisicamente tangibile; avere a disposizione molti materiali e tanti modi per poter fare: questa fusione, decisione, incontro, genera

nuove soluzioni, conflitti e stratificazioni (la bellezza sta nel conflitto?). Questa possibilità di passare da un materiale all’altro e di metterli insieme, ricercando e ricreando armonie, permette ai bambini di liberarsi più facilmente delle indicazioni dell’adulto, di perdersi e sperimentare difficoltà, di risolvere problemi. Al maestro è dato in parte di pre-vedere le variabili all’interno dello schema, che non è cosa del tutto dissimile al preparare un terreno: il bambino potrà così costruirsi il suo percorso, modellarlo a suo piacimento o, per proseguire con una metafora botanica, crescere ed estendersi conquistando spazio (in molteplici o impreviste direzioni). Questo largo utilizzo delle tecniche miste è uno sporcare elegante, e forse consapevole, una rottura creativa che permette anche di non mortificare nessuno. È terribile infatti fissarsi e intestardirsi nel voler insegnare a disegnare “bene” ad un bambino quando questa cosa non è nelle sue corde, oppure insistere a far diventare “colorista” chi gioca tutto nel segno e nella potenza del gesto; questo non significa che non si propongono al bambino anche i materiali e le tecniche in cui zoppica maggiormente, è giusto scontrarsi con cose un po’ più ostiche e distanti, però sarebbe sciocco, e un po’ sadico, puntare proprio su ciò che crea imbarazzo e poco divertimento. Si cerca di approfondire, arricchire ed esaltare la parte in cui il singolo è a suo agio perché più agile e capace; importante è che la nostra proposta sia elastica, capace di adattarsi e mutare. Questo attraversamento e apertura permette poi, a me e alle mie collaboratrici12, di non annoiarci, che è uno dei presupposti fondamentali per continuare a prolungare questa esperienza di lavoro. Con la convinzione che non c’è spazio per ricette da ripetere sterilmente. FC: Un altro aspetto è… innamorarsi di questo ambiente da parte dei bambini. MF: Credo che questo in realtà avvenga spesso, non

11 • Penso, ad esempio, ai quadri capovolti di Baselitz. 12 • La squadra dell’Arti e Mestieri è composta da tre persone: il sottoscritto, Massimiliano Fabbri, a cui si aggiungono Lucia Baldini e Marzia Bianchi come collaboratrici; Lucia Baldini ha un incarico quasi a tempo pieno, da settembre a giugno, Marzia Bianchi collabora in maniera meno massiccia con una formula che potremmo definire a part-time (entrambe sono diplomate in pittura all’Accademia di Belle Arti: Lucia a Ravenna, Marzia a Bologna).

Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi; fotografie di Daniele Casadio

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Il cantiere della cartapesta; fotografie di Daniele Casadio 13 • La Segavecchia è una sorta di carnevale ritardato (si colloca a metà quaresima) in cui c’è una sfilata di carri allegorici e gruppi a piedi che culmina con il rogo di una vecchia (che viene prima decollata da un boia: Segavecchia per l’appunto). La leggenda narra di una fattucchiera che agisce maleficamente contro Francesco Sforza il quale, avvedutosi e scoperta la strega, la fa giustiziare nella piazza cittadina. Questo rito si tramanda quindi da circa cinquecento anni ed ha trovato, nella lavorazione artistica della cartapesta (grazie a Luigi Varoli), una delle sue peculiarità. 14 • Da qualche anno a questa parte (circa quattro) l’aiuto che qualche amico ci forniva nella costruzione dei pupazzi, si è trasformato in un appuntamento al quale partecipano assiduamente circa due dozzine di adulti (più altre presenze

discontinue), non solo per fornirci assistenza, ma anche per costruire proprie realizzazioni (maschere, costumi e altre idee strampalate). Ci siamo così trovati, quasi involontariamente, dentro ad un qualcosa di indefinito e piacevole, una sorta di bottega in cui ognuno mette il suo sapere e le sue abilità (oltre che imparare a fare cartapesta); ormai sono diventati esperti! Per circa due mesi questo spazio si apre due o tre volte a settimana acquistando una dimensione pubblica, una crescita e unità d’intenti che sfocia anche in altri progetti, come è avvenuto per Saluti da Cotignola (Saluti da Cotignola è una mostra–evento che si è tenuta, ovviamente a Cotignola, il 2-3-4 luglio 2004 e che ha impegnato nove luoghi in cui hanno esposto sedici artisti invitati; inoltre ogni spazio espositivo ha ospitato una performance: poesia, canto, suoni, danza, azioni…)

solo per ciò che è strettamente legato all’attività che svolgono in laboratorio, ma anche per una serie di aspetti satellitari, non ultimo l’ambiente in cui si trovano. Ad esempio questa cosa della cartapesta è una delle peculiarità e caratteristiche che li affascina: tra gennaio e marzo questo spazio assume un’identità diversa rispetto al resto dell’anno; assomiglia un po’ ad un cantiere, un’officina. L’aspetto è più duro, un po’ meno ordinato e più adulto (ci sono attrezzi, chiodi, reti, legni eccetera). Con la cartapesta costruiamo maschere e pupazzi che sfileranno in occasione della sagra della Segavecchia13 (a cui abbiamo aderito inizialmente controvoglia e con titubanza, ma che poi, col passare degli anni, ci ha catturato e fatto innamorare). L’Arti e Mestieri diventa una fucina e i bambini (oltre alle maschere che realizzano personalmente) sono spettatori consapevoli delle costruzioni che gli adulti affrontano nelle serate;14 i bambini seguono ed accompagnano le cose che nascono: se cominciamo un pupazzo alla sera, i bambini vedono, il giorno seguente, il suo scheletro di legno e rete, il giorno dopo lo vedono rivestito di carta, apprezzano il suo ingrossarsi, prendere forma e precisarsi fino a definirsi e, finalmente, alla fine, vedono i colori. Il rispetto verso questi pupazzi è massimo perché sanno del tempo necessario alla loro affermazione. È come se fossero dentro ad una fabbrica delle favole, conoscono i suoi segreti e i meccanismi, sono gelosi delle storie che stanno alla base di questi personaggi. Questo è uno degli aspetti che, secondo me, è divertente e magico per loro: solitamente il mistero, la paura, il racconto… tutto gli viene da fuori e loro sono solo spettatori; in questo caso c’è un’interazione, il far parte di un progetto, di una storia. Hanno visto crescere i pupazzi, sanno cosa c’è dentro (un pallone piuttosto che uno scatolone, e così via); sono partecipi, direttamente ed indirettamente. Vogliono bene alla cartapesta dell’Arti e Mestieri e, da bravi bambini animisti, sanno

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Alcuni artisti che hanno esposto in Saluti da Cotignola (da sinistra a destra): Andrea Guastavino, Frrancesco Izzo, Patrizia Piccino, Massimo Modula


Il minimuseo di AeM; fotografie di Daniele Casadio.

15 • Il film, prodotto da Tim Burton, racconta la storia di Jack Skeletron, re delle zucche e signore di Hallowen che, scoperto il Natale ed invaghitosi delle sue atmosfere, decide di far rapire Babbo Natale per sostituirsi ad esso; da qui una serie di equivoci. Oltre alla storia, molto divertente ed ironica, e capace di giocare con i generi, una caratteristica affascinante di questo prodotto è che i personaggi sono costruiti artigianalmente con pezza e altri svariati materiali (tutto quello che si vede è “vero”).

16 • Il minimuseo dell’Arti e Mestieri raccoglie, oltre ai disegni dei bambini, la sezione dei libri dell’Arti e Pensieri (libri dei bambini e libri di noi operatori che documentano in maniera “calda” i laboratori), maschere di cartapesta, locandine della scuola, fotografie e piccole storie ideate da noi per i bambini. Il minimuseo è una raccolta eterogenea e casuale che assomiglia un po’ ad un caleidoscopio.

Jack

che i pupazzi, di notte, si animano e parlano tra loro. Inoltre la scuola Arti e Mestieri si caratterizza anche grazie alla presenza di momenti più frivoli e leggeri, che sembrano esulare dalla programmazione, ma che in realtà completano la dimensione dell’offerta rendendola ancora più affascinante e particolare e, in un certo senso, meno definibile; AeM è abbastanza imprevedibile. Ad esempio per introdurre il tema del nero, su cui lavoreremo in previsione della Segavecchia, abbiamo proiettato (prima di Natale) il film Nightmare before Christmas15 che è pieno di mostri e personaggi bizzarri ed è costruito “artigianalmente”: le sue atmosfere gotiche ed ironiche ci sono sembrate una buona introduzione al nostro tema (che ha a che fare con la paura, la tenebra, con qualcosa che sbava sotto il letto). I bambini hanno così trovato la scuola a loro disposizione, trasformata in un cinema con l’accompagnamento di una grande merenda (a cui avevano contribuito i genitori e i nonni); essi hanno potuto invitare altri amici… In quest’occasione abbiamo anche inaugurato il minimuseo dell’Arti e Mestieri: si tratta di una stanza in cui esponiamo i disegni (e non solo)16 dei bambini e che dovrebbe diventare una raccolta libera, casuale e un po’ disordinata, di quelle che sono le

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17 • «Il termine Wunderkammer, letteralmente “camera delle meraviglie” viene usato per indicare, in senso lato, un particolare genere di collezione, affermatesi nel corso del XVI secolo, di tipo non specialistico, nel senso che vengono riuniti nello stesso luogo, oggetti anche molto diversi tra loro. Al collezionista interessa infattitutto quanto è raro e curioso, le cosidette mirabilia, sia che si tratti di prodotti della natura (naturalia), siano esse oggetti costruiti dall’uomo (artificialia): conchiglie, fossili, reperti etnografici, spoglie di animali esotici o fantastici, manufatti orientali, ecc. Affiancati uno accanto all’altro secondo criteri di catalogazione molto diversi da quelli attuali, l’insieme di questi oggetti esprimeva il desiderio, tipicamente umanista, di una conoscenza enciclopedica del mondo.» Tratto da Storia dell’arte italiana volume terzo, Electa Bruno Mondadori, Milano, 1991.

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18 • Da tre anni a questa parte l’Arti e Mestieri cura l’ideazione e il progetto della Città dei Bambini (in collaborazione con la scuola e altre realtà, come la Pro Loco e Primola, presenti nel paese); questo progetto parte da alcuni spunti e dai temi che sono affiorati e che abbiamo affrontato nei laboratori nel corso dell’anno: l’evento si caratterizza così per un fortissimo sbilanciamento nei confronti delle “produzioni artistiche” dei bambini; mostre, spettacoli ed allestimenti occupano felicemente, per un fine settimana, spazi pubblici come strade e parchi, il portico della biblioteca, la piazza, la sede espositiva di Palazzo Sforza, la Scuola Arti e Mestieri e così via, a seconda delle esigenze (cfr. cap. 5).

nostre produzioni; la nostra Wunderkammer.17 Questi momenti di “non scuola” sono, secondo me, l’altra ricchezza di questo spazio, uno dei fattori che suscita l’interesse, e a volte l’innamoramento, da parte dei bambini: in questa linea si inseriscono la festa di fine anno (in cui organizziamo una serata all’aperto con cena, giochi e spettacoli e altro ancora) e le mostre, i progetti e gli allestimenti che caratterizzano La Città dei Bambini:18 in quest’occasione portiamo nei due giardini pubblici adiacenti alla scuola, i nostri personaggi di cartapesta; si tratta di una vera e propria occupazione del territorio, un’occupazione “estetica” e fantastica che rimane montata per circa una settimana e che trasforma il luogo in favola concreta. Chiamiamo questa cosa Il teatro immobile e muto dell’Arti e Mestieri: il parco si anima in modo imprevedibile e finalmente si rivedono in giro bambini con i loro genitori, bambini piccoli e grandi insieme, che girano rapiti intorno ai pupazzi… Altri compagni. Questa scuola, anche per chi non la frequenta direttamente, diventa un posto che genera meraviglie; così, questo stare insieme, non esclusivamente scolastico, il fatto che i bambini ci vedano e sentano disponibili a fare cose anche più “sciocche”, fa sì che questo luogo assuma un’identità tutta sua e probabilmente in grado di catturare. FC: La curiosità, lei dice voglio sviluppare curiosità nei bambini... MF: La curiosità è, di per se, una cosa difficile da definire. La curiosità in campo artistico è una benzina, una tensione che ti porta a non accontentarti mai, a distruggere e rifare, a cambiare tutto… Una certa insoddisfazione “morbida” è necessaria: per scavare più a fondo, per la capacità di volgere lo sguardo in una direzione opposta ed imprevista, nel cambiare improvvisamente il punto di vista, ed anche per imparare a gestire la distrazione, che è uno dei terreni che a volte si attraversano prima di una scoperta. La curiosità necessita di una struttura, di un’architettura (che dovrebbe essere fornita dall’adulto) che la mantenga sospesa ed utilizzabile. Rivedere costantemente le cose, rifarle e ripensarle (anche a lavoro concluso). Una cosa a cui sto tendendo negli ultimi anni è far tornare i bambini sui loro disegni e dipinti (anche se non so esattamente se sia giusto o meno); trovare una chiave per far riprendere in mano i lavori, non con l’irruenza e la foga del primo approccio (in cui si possono fare sette

dipinti uno sopra l’altro sino a perderlo definitivamente) ma con un atteggiamento più preciso e ragionato, leggermente raffreddato. Io vorrei riuscire a creare questa modalità per cui ogni lavoro rimane aperto: rivedere una cosa dopo una settimana e cercare di capire cosa si possa o debba ancora fare, cosa ancora comunica al bambino, un po’ come fanno certi artisti che lasciano un quadro o una scultura in “punizione” sotto il tavolo o il letto e, quando lo vanno a ripescare, scoprono che, quel lavoro che sembrava sbagliato, è in realtà vivo e potente (finalmente lo riconoscono!). Vorrei riuscire a stimolare nel bambino una capacità critica (che forse, in parte, c’è già). Una suggestione invece su come noi adulti ci avviciniamo ai disegni dei bambini: a questi disegni manca ancora la polvere o forse noi non la sappiamo sempre vedere o immaginarla; quando i disegni sono velati dal tempo che si è depositato, sembrano più belli, significativi e carichi di suggestioni narrative (basta prendere il disegno, fatto da bambino, di un qualsiasi adulto per commuoversi un po’). Questa capacità emotiva è sempre presente nel disegno infantile o è solo una rilettura nostalgica e un po’ posticcia? Sull’ingenuità ed immediatezza presenti nel disegno infantile: a volte il rischio è di farle sparire o appesantirle con troppi suggerimenti, forse perché ci sembra più intelligente la consapevolezza. Cautela; si maneggia un materiale estremamente fragile al quale è bene accostarsi come se non si dovesse svegliare un dormiente. Guardare un bambino che disegna è come vederlo dormire, nessuno ha voglia di interrompere un incantesimo… Un’ultima considerazione sulla curiosità e sulla meraviglia, e sulle strutture che in parte le sorreggono, e che devono tentare di prolungarle: si potrebbe, in alcuni casi, far continuare ad un altro artista, o esperto, il laboratorio, proprio dal punto in cui ci si è fermati. FC: Se riesce un attimo a ripercorrere le parole che ha detto riuscirebbe a dare le caratteristiche della pedagogia che informalmente o formalmente ha cercato di costituire qui... MF: Io non mi contrappongo alla scuola, anche se non ne faccio parte: la scuola non è un concetto negativo in sé, la sua capacità e portata sono legate (anche se non esclusivamente) all’abilità e serietà di chi opera in essa; la scuola è cioè fatta da e di persone e non solo da circolari e burocrazie asfissianti. La scuola Arti e Mestieri ha accresciuto enormemen-


te19 la sua presenza nelle e con le classi; se devo fare un’appunto al mondo scolastico questo riguarda la sua ricettività: quando progetto un laboratorio lo immagino, lo penso e lo scrivo, lo metto in atto come un percorso aperto, estendibile, che permetta prosecuzioni e ramificazioni. Non sempre ciò avviene e allora, in questi casi, ho la sensazione che l’offerta potesse essere sfruttata meglio; farne tesoro e bagaglio, materiale riplasmabile. Quando invece c’è un’osmosi tra l’atelier e ciò che si fa in classe, il laboratorio assume un valore più ampio e sfaccettato. Su tematiche e noia devo fare una precisazione: la Scuola Arti e Mestieri è strutturata in due momenti distinti e differenti tra loro: uno di questi è rappresentato dai progetti e dai laboratori che facciamo al mattino nelle scuole, l’altro dai corsi pomeridiani. Nel primo caso l’atelier ha una durata limitata nel tempo, dai quattro, cinque incontri ad un massimo di sette, otto (come sta avvenendo in questo momento alla Scuola Elementare di Barbiano con le classi terze e quinte che fanno un laboratorio di pittura partendo dalle opere di Piero Dosi20 che li impegna per otto incontri); alla mattina il progetto si estende perciò al massimo per due mesi: i bambini seguono una suggestione, affrontano una tecnica cercando di approfondirla (per tornare al laboratorio su Piero Dosi, qui i bambini dipingono facce per cui i vincoli sono abbastanza rigidi; dentro a questi limiti però la pittura da il meglio di sé… ). I corsi del pomeriggio invece hanno una durata molto più estesa, da ottobre a maggio (i bambini vengono una volta a settimana per un totale di circa trenta lezioni di due ore ciascuna). In questo caso c’è spazio e tempo per un alternarsi e sovrapporsi di tecniche e materiali: quest’anno, ad esempio, siamo partiti con un lavoro sul volto (essenzialmente grafico pittorico) che ci ha impegnato da ottobre a dicembre, poi da gennaio ad aprile entrerà il nero, la cartapesta fino a marzo seguita in aprile dalla fotografia, per finire con un progetto sul libro che ci porterà alla Città dei Bambini.21 In questo contesto è utile questa divisione ed alternanza tra materiali perché si attua una strategia che sfrutta e si muove all’interno di una struttura articolata ed eterogenea che serve a mantenere alto il ritmo e l’interesse. Quando precedentemente parlavo di noia mi riferivo quasi più ad un pericolo che riguarda noi adulti perché il maestro deve essere emozionato da quello che propone e succede; quando faccio un laboratorio ho sempre un

19 • Fino a meno di dieci anni fa la Scuola Arti e Mestieri funzionava esclusivamente con i corsi pomeridiani (oltre a quelli serali per adulti); i primi interventi al mattino risalgono al 1996-97 e si limitavano ad un laboratorio di manipolazione dell’argilla di impronta munariana che attuammo nella Scuola Materna di Cotignola. Da questo momento l’impegno e la presenza dei nostri interventi è cresciuto in maniera esponenziale fino ad arrivare alla configurazione attuale in cui, eccetto qualche classe della scuola media, lavoriamo con tutto il mondo scolastico presente nel territorio, Barbiano compreso: Asilo Nido, Scuola Materna di Cotignola e Barbiano, Asilo Carlo Maria Spada, Scuola Elementare di Cotignola e Barbiano, Scuola Media di Cotignola. Il rapporto si è quindi capovolto nel senso che l’impegno più cospicuo è ora rappresentato dagli interventi nelle scuole. Si tratta comunque di due momenti abbastanza differenti tra loro: con le classi attuiamo laboratori di circa un mese che si inseriscono in parte nella programmazione scolastica e che coinvolgono circa cinquecento bambini (una classe viene all’Arti e Mestieri una volta a settimana per due ore); l’esperienza del pomeriggio si rivolge a circa cinquanta iscritti (di media) ed ha

caratteristiche di piena autonomia (è svincolata da referenti esterni e non deve rendere conto a nessuno, se non ai bambini che la frequentano). Ciò rende unica la relazione che si instaura tra noi e gli iscritti ai corsi; c’è qui un’atmosfera che la differenzia dal mattino, c’è, da un certo punto di vista, una maggiore intimità. Si creano coesioni che sono la vera linfa di questa vicenda.

lante, di carne, sovrapposta e stratificata, coloratissima… e poi ancora neri di segno deciso e tagliente per passare ad effimeri collage, carte che sono veri e propri appunti privati, di intimità diaristica (ogni laboratorio con i bambini si è aperto con la visione di un lavoro di Piero che ci ha suggerito poetiche e tecniche e si concluderà con l’incontro tra i bambini e il pittore cfr. par. 1.1.4).

20 • Piero Dosi è un pittore che vive a Lugo (Ra). Da un po’ pensavo alla sua pittura e alla possibilità di “presentarla” ai bambini perché è una sorta di alfabeto del segno e della materia messo dentro, in mille modi, ad una faccia, la sua (moltissimi dei suoi quadri sono autoritratti e anche i bambini lavorano un po’ su questo concetto di autoritratto mutevole, mentale, pronto ad assumere sembianze….); una pittura di grande qualità e raffinatezza eppure mai uguale a sé stessa, sfaccettata, continuamente rivista e ripensata, continuamente aggredita con grande amore. Una pittura degli affetti, e dei sensi, sensuale nel suo passare dal registro dell’appunto liquido e vibrante, corsivo, di leggerezza trasparente ed acquatica e che, improvvisamente si capovolge in una materia satura e squil-

21 • Ultimamente, un certo modo di pensare e vedere il libro, sta attraversando molti dei nostri laboratori: un libro più da guardare che da leggere, fatto di disegni, pitture, collage e così via; libretti e quaderni di appunti che accompagnano i bambini durante il laboratorio e ancora libri che facciamo noi maestri raccogliendo materiale dei bambini alla fine del laboratorio, oppure laboratori che partono proprio dal libro inteso come oggetto d’arte, dove l’immagine acquista valore a discapito della parola (ribaltando quindi il consueto rapporto storia – illustrazione) cfr. par. 3.4. Se l’anno scorso abbiamo esposto i libri nella mostra di Palazzo Sforza, quest’anno vorremmo fare una mostra di libri liberati (libri alle porte e finestre delle case, sugli alberi, eccetera).

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Irene

22 • Forse questa suggestione del bianco mi è rimasta dentro per via di uno spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio, Il Combattimento, che ho visto nel 2000 al Teatro Bonci di Cesena.

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23 • Nel film Freaks ci sono dei veri “diversi” e fenomeni da baraccone; la bellezza di quest’opera sta anche nella capacità di ribaltare il concetto di mostruosità perché le persone “normali” con i loro egoismi, sotterfugi ed avidità sono i veri mostri ai quali si contrappone una comunità etica (i nani, le gemelle siamesi eccetera) che sarà in grado di smascherarli e renderli ridicoli.

po’ paura e credo che questa lieve inquietudine (e adesso cosa succede?) sia stimolante, in parole povere faccia bene. Questo lavoro non può risultare noioso (a noi per primi) pena un abbassamento, un calo che è subito avvertito dai bambini. Non si può fingere, o meglio, se lo si fa, lo si deve fare al massimo, come a teatro o in un gioco. La noia che invece ha citato lei, come una ripetizione che porta alla conoscenza e all’apprendimento, è necessaria se non indispensabile: deve esserci, magari a volte camuffata, sotterranea e silenziosa. Un pensiero un po’ slegato ma che mi affascina: un laboratorio dovrebbe essere come una partita di calcio in cui la bellezza viene da sé, con facilità, come se facesse già parte del gioco stesso: poche regole e certe, diverse personalità e abilità, più il caso e la ripetizione. FC: …ritorni sulla Segavecchia e gli scambi con il paese. MF: Inizialmente la titubanza per la Segavecchia è legata probabilmente al rapporto che si ha da adolescente con il proprio paese (specie se è piccolo): tutto ciò che è paesano è qualcosa di stanco e trito, figuriamoci le sagre… poi, lavorando all’Arti e Mestieri, abbiamo cominciato a partecipare, inizialmente un po’ controvoglia, fino ad accorgerci che avevamo “scoperto” e trovato qualcosa di divertente e stimolante, come se ci fossimo creati una nicchia magica dentro la tradizione e il folklore: è come se fossimo una specie di virus. I nostri temi sono abbastanza particolari: Bambino marziano ti racconto una favola è stata ad esempio una cosa fatta tre anni fa in cui tutte le favole erano scombinate, messe sottosopra (un po’ alla Rodari). L’anno scorso Rumore Bianco dove tutto era bianco. Quest’idea e suggestione del bianco ci affascinava22 e suggestionava e, allo stesso tempo, ci incuteva un po’ di timore (il bianco da un certo punto di vista è anche una negazione, un azzeramento e morte); nelle nostre intenzioni i bambini non avrebbero però dovuto avvertire questa cosa come un limite, anche se chiedevamo loro di rinunciare ed eliminare i colori dal loro carnevale: una scommessa o piccola rivoluzione. Partire dallo stupore e dalla sorpresa che questa proposta avrebbe destato in loro.... Abbiamo trovato piena sintonia con i bambini; questa cosa è stata avvertita da loro come un sogno ad occhi aperti, una raffinata, estrosa ed eccentrica anomalia di cui erano coscienti: una sfida. Fino a qualche anno fa lavoravamo su intuizioni e suggerimenti dei bambini, con un ascolto e progetto

collettivo (ogni bambino disegnava la sua storia–progetto e poi si sceglievano le più interessanti, anche fondendole tra loro). In un caso abbiamo ripreso, con un anno di ritardo, un disegno di un ragazzo delle medie che elaborava alcuni spunti ricavati dal film Freaks23 di Tod Browning (quando i ragazzi e i bambini progettano devono tenere conto che la loro proposta abbraccerà anche i bambini più piccoli che frequentano la scuola); il gruppo era intitolato Segacircusartiemfreak: il diverso, il fenomeno da baraccone, il bizzarro… Negli ultimi due anni l’indicazione tematica è partita da noi operatori; proponendo un tema siamo abbastanza sicuri che questo venga accettato “più che serenamente” dai bambini, anche perché facciamo quasi dei test preliminari sull’argomento: prima di parlare del nero, ad esempio, abbiamo fatto fare ai bambini un autoritratto a lume di candela per abituarci un po’ alla tenebra, al sonno della ragione che genera mostri (in questo caso, con i mostri, sfondiamo una porta aperta). Come detto precedentemente, durante la lavorazione della cartapesta, apriamo la Scuola Arti e Mestieri a serate un po’ anarchiche rivolte agli adulti. Negli ultimi anni abbiamo formato un bel gruppo, ricco di personalità: c’è il fabbro, il meccanico, il falegname, il fotografo, il

Rumore bianco (Segavecchia 2004); fotografia di Ivano Casadio.


performer, l’incollatore velocissimo, il cuoco, l’esperto di vini, l’osservatore e così via… La prima serata dell’anno scorso, in cui abbiamo invitato tutti per presentare il bianco, è stata aperta con una performance. La scuola diventava un piccolo teatro un po’ improvvisato: la gente entrava al buio accompagnata da una misteriosa figura bianca che aveva in una torcia l’unica fonte luminosa dell’ambiente; accomodato il pubblico si è acceso un faretto che rivelava e disegnava un’insolita scuola dove tutto era bianco. A terra un archivio archeologia di oggetti tra cui un cranio di mucca, scarpe da donna, farina, riso, penne, piume e candele. Marzia e Lucia sono uscite da un grande fondale ed hanno letto alcuni nostri scritti programmatici (per bambini) ed una poesia di Mariangela Gualtieri.24 In sottofondo un brano dei Sigur Ros25: Marzia era vestita da sposa, Lucia in maniera più indefinibile… alla fine, per tutti, spumini. Questo atteggiamento quasi teatrale a volte ritorna, anche nel presentare alcuni laboratori ai bambini. Mi sono accorto che questa attitudine performativa può anche prendere un po’ la mano (non si può e non si deve sempre sorprendere) ma se tenuta entro certi limiti di straordinarietà, aiuta a preparare il tuffo; scalda. Per questo spesso mostro ai bambini con un disegno ciò che potranno conoscere e sperimentare nel laboratorio: è un’introduzione al fare, un piccolo spettacolo in cui si dispiegano alcune istruzioni, materiali e suggerimenti; gioco a raccontare (e svelare in parte) ciò che succede o ciò che potrà succedere. Uso meno le parole (quando ci sono servono a portare da un’altra parte, come fuga narrativa) ed è come, quando la cosa riesce, se avvenisse, davanti ai loro occhi, una piccola magia: una cosa è dire, il colore quando si scioglie e mescola fa un effetto molto bello, altra cosa è mostrarlo; tutto acquista un peso e una risonanza maggiore. DB: È una magia che si ripete ogni anno perché attorno al tema conduttore della partecipazione alla Segavecchia, ideato dai bambini o proposto dagli insegnanti, alla fine ci sono almeno 60 bimbi, ma spesso anche di più, e i rispettivi genitori che sono coinvolti. Alcune centinaia di persone lavorano attivamente su questo progetto per ben figurare, per realizzarlo. FC: ... le occasioni mancate, o che l’hanno delusa. MF: Un’occasione mancata, o meglio un aggiustamento di tiro, è avvenuto in un laboratorio che sto facendo sui burattini con le classi terza elementare a Cotigno-

la. Qui ho la fortuna, o sfortuna, di ripetere tre volte la stessa “lezione” (a Cotignola ci sono tre sezioni nella terza classe); l’atelier è partito con una giustezza e bellezza folgorante: Uno – siamo andati al Museo Varoli (premetto che ero stato inviato dal Comune ad una conferenza tenutasi a Ravenna;26 in questa giornata di lavoro ha preso parola Silvia Gramigna che ha illustrato un metodo denominato Sentire con l’Arte di sua ideazione e che consiste in un approccio all’opera d’arte attraverso l’emozione come unica esperienza memorabile e significante; si tratta di un uovo di Colombo alquanto efficace: di fronte ad un quadro (sia con bambini che con adulti) ella non parla, ma fa stare in silenzio, un silenzio a cui giunge tramite una concentrazione che riprende tecniche di rilassamento (ad occhi chiusi con profonde respirazioni). Scopo di questo “rituale” è accedere, trovare e scoprire un’emozione trasmessa dall’opera, una reazione intima e privata, partecipe e sentita, che giustifica, da un certo punto di vista, il fatto di trovarsi di fronte ad un quadro o altro; da questo materiale lei poi avvia un laboratorio. Nella visita al Museo Varoli, di fronte ai mascheroni di cartapesta abbiamo sperimentato questo approccio: ogni bambino ha raccontato agli altri la sua emozione (sono uscite dalle loro bocche cose abbastanza sorprendenti, tra le quali alcune intuizioni o sensazioni comuni sulla faccia di Varoli che definivano come pazzo, mago, scienziato, con occhi strani e pericolosi, che fissano… senza sapere nulla del soggetto si sono avvicinati ad una descrizione, un po’ romantica, dell’artista quale personaggio stravagante e fuori dalla norma). Da qui abbiamo disegnato dal vero i mascheroni27 con matite morbide, cere, gessetti, penne bic: unico divieto imposto l’uso delle gomme; ciò per abituarsi in qualche modo, all’idea di schizzo, di taccuino d’appunti, di un disegno quasi stenografico, non preoccupato se non della registrazione; dopo un lieve timore iniziale (di alcuni) hanno scoperto e sperimentato che, senza gomma, si disegna meglio, perché ogni segno sbagliato serve per ricostruire l’immagine senza ripetere l’errore. Un certo fascino dell’andare a tentoni in cui il segno è legato a quello successivo. Due – la volta successiva ci siamo fermati all’Arti e Mestieri dove abbiamo disegnato i pupazzi della scuola; questa volta ho messo in atto una sorta di spettacolino di varietà, dove io impersonificavo un intrattenitore che andava via via a presentare i pupazzi–personaggi: ecco la Scimmia Ballerina, ed ora Zampanò detto anche l’Uomo

24 • La poesia letta è Ossicine tratta da Mariangela Gualtieri, Fuoco centrale ed altre poesie per il teatro, Einaudi, Torino, 2003. 25 • I Sigur Ros sono un gruppo islandese: l’album da cui è tratto il brano è del 2002 (il disco è senza titoli e parole) 26 • Una ricchezza per il futuro. Il museo come punto di riferimento e stimolo per la crescita personale, Ravenna, Camera di Commercio, 28 ottobre 2004. Oltre all’intervento già citato della storica dell’arte Silvia Gramigna intitolato Sentire l’arte. Una risorsa per la crescita personale voglio anche ricordare l’affascinante racconto della docente di Scenari all’Università dell’Immagine di Milano, Paola Goretti: Vedere con la voce: narrazione e sensorialità nei percorsi di didattica museale. 27 • I mascheroni di Varoli sono caricature di personaggi realmente esistiti, un po’ bizzarri e conosciuti da tutti: Rosita, La Flema, Gori e Maroc; una piccola mitologia fatta di bevute e di poca voglia di lavorare che si inserisce in un contesto di estrema miseria: il dopoguerra (questi volti non sono però macchiette da commedia ma hanno, mantengono e conservano una grande dignità).

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Forzuto, il Clown Bianco eccetera. All’interno di questo gioco i bambini potevano interrompermi per farmi domande su qualcuno di essi, sia riguardanti la loro storia (perché il lupo è così colorato?) sia su tecniche di costruzione (quanto ci hai messo a farlo? cosa c’è dentro?). Una volta conosciuto con chi avevano a che fare, disegno dal vero: questa volta non solo con matite e gessetti, ma con l’aggiunta di pastelli a cera, chine colorate, acquarelli (usando di più il colore quindi). Tre – la volta successiva abbiamo cominciato a pensare ed ideare, ad inventare un personaggio che sarebbe potuto diventare il nostro burattino. Il gioco–pretesto, in cui mettere in atto questo progetto, prevedeva l’uso di chine nere: da un cerchio che gli tracciavo sul foglio dovevano ricavare una faccia, caricarla espressivamente fino a raggiungere (con l’aggiunta del nome e quindi, in automatico, di una piccola storia), la sua particolarità di personaggio, la sua identità ed unicità. Disegnando direttamente con la china (stesa con un pennello a punta tonda) hanno notato come a volte, uno sbaffo, un’asimmetria, o un piccolo errore, fossero congeniali al formarsi di una personalità del loro soggetto: una bocca un po’ storta o un orecchio più grande, raccontano di più… Dal quarto incontro siamo partiti con la cartapesta alla costruzione del nostro burattino (rivestire un palloncino con strisce di carta imbevute di colla); dal quinto incontro sono affiorate in qualche bambino alcune perplessità dovute all’urgenza: volevano vederlo finito ma era ancora troppo presto, dovevano irrobustirlo e poi rifinirlo (solitamente circa tre incontri). Qui mi sono accorto che dovevo stringere i tempi perché rischiavo di annoiarne qualcuno (ho sempre fatto i burattini con le classi quarte, e ora, anticipando di un anno, mi rendevo conto che alcune lungaggini e precisioni della cartapesta andavano snellite e semplificate). Gli ho spiegato e ricordato un’altra volta che la cartapesta è fatta di tanti strati (ci vuole un po’ di tempo) e, contemporaneamente, ho anticipato e ristretto i tempi (al secondo incontro di cartapesta abbiamo subito fatto i rilievi del volto: occhi, naso, bocca, mentre alcune cose come orecchie, capelli, corone, corna, eccetera le ho fatte fare alla fine, con lana e cartoncino). Ho trovato quindi una mediazione, un incontro tra l’urgenza di alcuni bambini e la necessità di costruire un burattino non proprio effimero (con questi pupazzetti i bambini e le insegnanti svolgono in classe un lavoro di drammatizzazione che li porterà a presentare uno

spettacolo in occasione della Città dei Bambini). Ogni bambino realizza il suo burattino, inventandolo senza preoccuparsi di metterlo in relazione a quello degli altri, alla maestra l’ingrato compito di sciogliere i nodi e ricavare delle storie da questo mucchio selvaggio o armata Brancaleone… Il vero errore di questo laboratorio consiste però in una mia scelta che è ricaduta sul primo gruppo incontrato: ho fatto dipingere il burattino con tempere ed acrilici dando per scontata una maturità e padronanza che questi bambini di un anno in meno non potevano avere (dipingere la piccola testa del burattino non è semplice, richiede precisioni e minuzie e qualche attesa per permettere al colore di asciugare). Un’attenzione che serve a valorizzare la faccia, se si fa un pastrocchio, si rischia di perdere ciò che si è costruito con la cartapesta. Ne è uscita una pittura un po’ monotona, priva di slanci ed emozioni, non molto bella e, probabilmente, poco divertente per i bambini. Ho corretto il tiro in corso d’opera: al secondo e terzo gruppo ho fatto colorare il burattino attaccando pezzi di carta colorata e solo alla fine ho dato la pittura per evidenziare e rimarcare alcuni particolari. A differenza dell’esempio precedente sono usciti dei burattini molto particolari e ben fatti, e i bambini erano entusiasti; mi rimaneva da aggiustare e riscattare la produzione del primo gruppo: ho fornito loro, nell’ultimo incontro, dei pastelli a olio, non prima di aver mostrato cosa non aveva funzionato al meglio o, più esattamente, come avrebbero potuto trasformare ciò che appariva un po’ omologato nei loro burattini. Il risultato è stato abbastanza stupefacente: i loro burattini un po’ deboli hanno acquistato forza e potenza (i pastelli a olio non coprivano tutto e lasciavano affiorare la pittura sottostante, creando una texture raffinata ed affascinante). I bambini hanno apprezzato l’intensità degli olii e si sono dimostrati padroni di questo strumento (che è un po’ come un pastello a cera, solo più bello e sfumabile). Per concludere posso dire che l’errore è avvenuto quando io ho dato per scontato alcune cose, perché avevano funzionato con le classi quarte nel laboratorio di due anni prima; mi ero aspettato lo stesso passo mentre, un anno in meno (dalla quarta alla terza), cambia moltissimo la percezione del tempo e l’acquisizione di alcune modalità tecniche da parte del bambino, per lo meno in questo caso. Il laboratorio è un sistema, un organismo che cresce come una pianta.


FC: ...punti di forza e punti di debolezza della casa di Arti e Mestieri ... MF: Credo che uno dei nostri punti di forza risieda nella capacità di pensare e mettere in atto laboratori anche molto diversi tra loro, ed anche l’inserirli all’interno della programmazione scolastica (quelli del mattino): le nostre scelte non sono mai del tutto arbitrarie, ma sono anche frutto di una concertazione con il mondo scolastico, alla ricerca di relazioni, per stabilire collegamenti (è per questo che a volte ci stupiamo se queste cose non hanno sempre un seguito). FC: ...la scuola viene qui fa delle cose, però poi lei dice è il laboratorio è poco usato dentro la scuola... MF: Se, come dicevo prima, uno dei punti di forza risiede nei progetti e nei laboratori, un punto debole è forse rappresentato dalla nostra capacità di trasmettere all’esterno il valore di ciò che succede qui dentro con i bambini. C’è forse un deficit di comunicazione o, per usare una definizione un po’ odiosa, una scarsa attitudine al marketing che valorizzi a pieno i nostri sforzi rendendoli esplicitamente percepibili come un bene pubblico. Un rapporto di maggior fiducia da parte dei politici non guasterebbe, ma in fondo questo libro è voluto e spinge in questa direzione. Nelle mancanze di questo “discorso pubblico” influiscono però anche i notevoli carichi di lavoro che non ci permettono sempre una appropriata documentazione o la costruzione di canali informativi e pubblicitari. FC: ...vale a dire... MF: Parte di questa incompiutezza o difficoltà, che si traduce, forse, in una risonanza un poco attutita, deriva, come affermavo precedentemente, anche da una mancanza di tempo e tranquillità, anche se ovviamente la questione non è inscrivibile a questo unico fattore. Non sembri la mia una giustificazione poiché è un dato di fatto (basta scorrere un elenco dei progetti didattici, laboratori, mostre ed allestimenti messi in atto in un anno scolastico dall’Arti e Mestieri per rendersi conto della portata dell’impegno). Ballanti: Volevo dire solo una roba veloce, veloce sul come la scuola risponde, visto che è uno dei punti negativi richiamati, quanto la scuola e i bambini sono in grado di recepire, di prendere l’onda e di cavalcarla, non per difenderla ma perché l’ho constatato vedendo molti altri progetti che vengono portati avanti a livello di educazione fisica, a livello proprio di didattica, di materie varie, con specialisti che comunque il Comune in modo

diretto o indiretto paga, credo che la ricaduta dell’Arti e Mestieri, pur essendo uno dei punti negativi, sia quella che è maggiore rispetto a tutti gli altri, il progetto di educazione motoria che ha caduta mettiamo 0 continuiamo a portarlo avanti per 10 anni, andrà avanti fino a che il Coni lo vorrà, però insomma nessuno si pone il problema lo portiamo avanti, perché c’è perché si fa a livello provinciale, gli insegnanti se ne fregano. FC: I riferimenti culturali in base ai quali opera. MF: Alla base della mia ricerca ci sono una serie di artisti che hanno a che fare con l’uomo e, in qualche misura, i suoi sentimenti o, se questa definizione risulta un po’ troppo vaga e ricca di fraintendimenti, con artisti che si sono misurati con il problema della rappresentazione, del rivelarsi di un’immagine con una certa forza (come un’apparizione): i tedeschi, Baselitz, Kiefer e Richter, gli inglesi Freud, Bacon e Auberbach ed infine Alberto Giacometti (su cui ho lavorato per la tesi di laurea). Poi gli innamoramenti seguono una specie di corrente stagionale; negli ultimi anni il belga Luc Tuymans, Marlene Dumas, Yan Pei–Ming e Peter Doig che recupera una pittura quasi fuori dal tempo, lenta ed oziosa… Attualmente penso a Bill Viola e alla Socìetas Raffaello Sanzio28, però non vorrei parlare solo di pittura: il cinema e soprattutto la musica mi accompagnano costantemente (per citarne alcuni: il regista Wong Kar–Wai e, nella musica, Tom Waits, Nick Cave, Dirty Three, Velvet Underground... ). Per quanto riguarda i bambini, sicuramente il mio modo di guardare le loro produzioni risente di tutto l’espressionismo e della pittura informale o d’azione (che non significa assenza di controllo o sospensione di giudizio); poi Klee, come dicevo all’inizio di quest’intervista, e De Stael: ho fatto vedere l’anno scorso il suo quadro con i calciatori al parco dei Principi di Parigi perché mi serviva per introdurre la pittura materica: un bambino mi ha detto che sembrava fatto con pezzi di carta (in realtà è tutto costruito con grosse e corpose spatolate di colore): dopo qualche anno De Stael lavora con carta strappata a mano, che usa come tasselli e brandelli di colore giustapposti; il bambino, senza sapere nulla, aveva già previsto ed anticipato il percorso e sviluppo di un grande artista…

28 • Oltre che per i loro spettacoli, sono grato alla Socìetas Raffaello Sanzio per uno dei libri più affascinanti ed importanti che ho incontrato negli ultimi anni: Epopea della polvere; questa raccolta di testi, locandine, riflessioni e scritti non si limita al teatro ma investe problemi come la rappresentazione (e la figura) con una precisione e lucidità, per me, sorprendenti e rilevanti. Un pensiero che diventa scrittura, una scrittura necessaria; verità (una tensione che, a mio avviso, si avvicina, o mi ricorda, quella dei CCCP – CSI di Giovanni Lindo Ferretti). Epopoea della polvere. Il teatro della Socìetas Raffaello Sanzio 1992 – 1999, Ubulibri, Milano, 2001.

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Alberto Giacometti

Francis Bacon

Lucian Freud

Gerard Richter

Anselm Kiefer

Georg Baselitz

Frank Auerbach

Bill Viola

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Luc Tuymans

Marlene Dumas

Peter Doig

Yan Pei-Ming


«Quando dipingo un astratto (ma il problema è simile negli altri casi) non so mai in anticipo come sembrerà mentre lo dipingo, cosa voglio ottenere e cosa fare per ottenerlo. Quindi la pittura è uno sforzo cieco, quasi disperato, come quello di una persona abbandonata, vulnerabile, in un ambiente incomprensibile, una persona che possiede tutti gli strumenti, i materiali, le capacità, e prova il desiderio urgente di costruire qualcosa di utile, che non sia una casa o una sedia o altre cose che abbiano un nome e che dunque lavora, nella vaga speranza di trovare un modo appropriato e professionale, traendone qualcosa di valido e significativo. Dunque io sono cieco come la natura che agisce come può, in accordo con le condizioni che la ostacolano o l’aiutano. Da questo punto di vista ogni cosa è possibile nei miei quadri; ogni forma, aggiunta a volontà, cambierà il quadro, ma non sarà sbagliato. Tutto va bene, quindi, per quale motivo a volte perdo una settimana per aggiungere delle cose? Cos’è che faccio secondo la mia volontà? Quale immagine e di cosa?» Gerhard Richter29 29 • Gherard Richter da Note 1985 in Gerhard Richter. La pratica quotidiana della pittura, Postmedia, Milano, 2003. 30 • Francis Bacon intervista 1 in David Sylvester interviste a Francis Bacon, Skira, GinevraMilano, 2003. 31 • Tratto da Etica ed Estetica. Una lettera di Romeo Castellucci a Frie Leysen in Epopea della polvere. Il teatro della Socìetas Raffaello Sanzio 19921999, Ubulibri, Milano, 2001.

«L’altro giorno, per esempio, ho dipinto la testa di qualcuno e analizzandola si vedeva che ciò che costituiva la cavità degli occhi, il naso, la bocca erano forme che non avevano niente a che vedere con occhi, naso e bocca; ma il colore che passava da un contorno all’altro restituiva un’immagine somigliante della persona che stavo tentando di ritrarre. Mi sono fermato; ho pensato per un istante di essermi molto avvicinato a ciò che volevo. Poi, il giorno dopo, ho tentato di sviluppare maggiormente il ritratto e di renderlo più espressivo, più vicino, e ho perso del tutto l’immagine. Perché questa immagine è come il percorso di un’acrobata su una fune tesa tra la cosidetta pittura figurativa e la pittura astratta. Sgorgherà direttamente dall’astrazione, eppure non avrà con essa niente a che spartire. È un tentativo di far arrivare la cosa figurativa dentro al sistema nervoso con maggiore violenza, con maggior intensità.» «Uso pennelli molto grandi e, per il modo in cui lavoro, spesso in realtà non so cosa farà il colore, e il colore fa spesso cose migliori di quelle che potrei fargli fare io. È un fatto accidentale? Forse si potrebbe dire che non è accidentale, perché scegliere di conservare una parte piuttosto che un’altra di questa accidentalità diventa un processo selettivo. Si tenta ovviamente di mantenere la vitalità dell’azzardo pur salvaguardando una continuità.» Francis Bacon30

«(…) Nel teatro, nell’arte, è improbabile darsi un compito etico se questo significa, come significa, consapevolezza di ciò che è buono o cattivo per l’umana società. Trovo che l’unica funzione immediatamente sociale del teatro sia innanzitutto nell’architettura che lo contiene, che comporta ogni volta, come effetto di rimando, l’instaurarsi di una comunità istantanea tra sconosciuti che condividono una sorta di “eucarestia” estetica della sensazione, la quale può sussistere solo a patto di una vacuità del contenuto etico dell’opera stessa. Insomma: è l’estetica che produce l’etica. Pensare il contrario significherebbe, per me, lo svanire di ogni emozione e l’instaurarsi di quella pedagogia zuccherosa, troppe volte sentita nei convegni dei buoni sentimenti. Il solo modo di giudicare è, per me, la bellezza. E una cosa è bella per me, per te, solo quando ti porta via, dove tu non sai, dove tu non ti saresti mai aspettato di essere. La bellezza è violenta e disarmante come un lampo o una scossa. Non è giusta, la bellezza. È esatta solo di fronte a se stessa ed esige che siamo noi a cadere in essa. Non ha argomenti, la bellezza. Solo così è concepibile la sua violenza che è consustanziale al proprio “errore”.» Romeo Castellucci 31

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0.9 Entrare nella fucina del maestro e dei bambini

Una casetta come le altre?

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Nel paese di Cotignola fra le altre semplici costruzioni ad un incrocio c’è, fra le altre, una costruzione che può apparire, da subito, come una delle tante case del dopoguerra con un evidente tetto a spiovere; ma solo all’apparenza. Perché da subito si evidenziano delle formelle e un personaggio in cartapesta fra il minaccioso e l’incombente a segnare una diversa appartenenza e destinazione: una sorta di casa della fantasia, vista la presenza del grande fantoccio. E tale è: è la casa Arti e Mestieri densa, appena si entra, di tracce e di richiami come si vuole che sia un vero atelier, un vero laboratorio dove si stratificano pareti di immagini da cui partire ogni volta, presenze di lavori in corso e in via di essere finiti, il deposito di quelli finiti e mai più usati e infine il deposito di materiali pronti ad esser usati. Si incrocia la riproduzione del quadro di Dosso Dossi con Giove che dipinge e Mercurio che zittisce forse Iride: come a testimoniare che dipingere è faccenda degli dei che può accadere solo nel silenzio e nella leggerezza data dalla separazione dalle faccende umane. Ed è, tutta la Casa/Scuola, separata e chiusa al mondo circostante. Giove dipinge farfalle segno di leggera bellezza che solleva lo spirito come a ricordarci che fare arte, dipingere ha a che vedere con la coltivazione dello spirito e dalla possibilità che essa ci dà di volare nel più variopinto e immagignifico dei mondi: quello dei fiori, delle vaghe nuvole e del trascorrente cielo le cui tracce sembrano rimanere stampate sulle ali di chi li attraversa, quasi divino messaggero fra cielo e terra. È così che ci si può sentire o diventare facendo pittura. Mercurio chiama al silenzio e quindi alla concentrazione; tanto utili, necessarie, preziose in un mondo urlato e distratto. Una proposta assolutamente rilevante per i bambini e per gli adulti che forse, nel dover stendere il colore, non possono che ritrovare la capacità di stare da soli e tesi, in una tensione produttiva e impegnativa; e anche soli. Ci sono poi a disposizione molti volumi di arte, delle monografie d’arte che ricordano da subito, a chi entra, che qui dentro, nella Casa/ Scuola, si fa qualcosa di simile a quello che essi - i PITTORI, gli ARTISTI - hanno prodotto meravigliandoci continuamente per le invenzioni dei loro occhi e delle loro mani: questo ci ricorda che non solo c’è la necessità di entrare e/o raggiungere una stato di beata concentrazione, come ricorda il silenzio di Mercurio e Giove, ma anche che è necessario e ineludibile il confronto con la cultura, con la produzione di altri

autori. In sintesi questo ci ricorda anche che l’apertura ad altri incontri degli occhi e dell’anima sono assolutamente fertili possibilità di aprire e far germogliare immagini e configurazioni. Ci sono riproduzioni di lavori di P. Klee che ci rimandano, con la sua infanzia lirica e innamorata da sogno, al fatto che questo luogo è coltivazione d’infanzia vale a dire di uno stato di disponibile tensione e disposizione a meravigliarsi, a rimanere incantati; è anche un luogo di attivo sostegno al e del desiderio di catturare, anche attraverso la produzione di segni e forme, ciò che ci incanta e ci richiama a partire da noi stessi. Incombono, espressivamente barocche come quelle di Bomarzo, alcune maschere a memoria sia della vicinanza al rito della Segavecchia, sia dell’intramontabile fascino, richiamo e seduzione della maschera per i bambini che nel costruirle, nel dipingerle e nel decorarle possono fare delle loro paure, delle loro visioni interne dei manufatti che le rendono sostenibili, parlabili e infine dominabili. Campeggia fra gli altri un testo, un catalogo di una mostra: “Arte del gioco” come a ricordare che il gioco è certamente fucina di arte e che dall’altra parte, questa, non può non essere pensata come gioco e che può essere, anzi è un gioco. Questo catalogo è un vero manifesto della Scuola; vale a dire: tenere vivo il gioco del fare arte e rendere il fare arte un gioco. Sì, questa Scuola, è proprio una Wunderkammer come dice il maestro Massimiliano Fabbri; quindi è memoria vivida e pulsante, nel suo accatastare materiale e documenti e testimonianze, di quanto accade in un intreccio continui fra cultura alta degli artisti, fra tecniche consegnateci dalla storia, recente e meno e lavori dei bambini; esito, questi, della mediazione strettamente intrecciata alla cultura dei maestri e alle tecniche dateci dalla storia dell’arte. La mediazione è proprio operazione e compito del maestro che raggiunge risultati di assoluto interesse che ci testimoniano quanto urge, preme e trascorre dentro e dietro le palpebre dei bambini. Dicevamo che la Casa/Scuola/Quasi Museo è carica di memoria: questa memoria visiva e matericamente incombente anche per e con tutti i personaggi di cartapesta che la ingombrano della loro silenziosa, ma farneticante vita (forse notturna?), è anche già dispositivo metodologico affinché i bambini entrino e si predispongano a risuonare con gli echi dell’ambiente, a vibrare con i materiale, gli altri e il maestro che pare non voglia insegnare arte, ma che voglia far fare arte ai bambini. Risuonare e vibrare dispongono a quella sospensione del rapporto con la mondanità che è matrice di creatività.


E per farlo ci vuole uno stato emotivo, e quindi anche cognitivo, differente dal resto delle ore e dei giorni corrente; forse come di sogno.

Qualcosa di gratuito e di superfluo? Ad un certo punto dell’intervista il maestro Massimiliano Fabbri dice che la Scuola Arti e Mestieri è un “superfluo necessario” credo sintetizzando tutto quello che pensavano anche i suoi predecessori che tanto hanno lavorato per conservare e consegnare alla comunità cotignolese la Scuola, oltre e al di là delle contingenze quotidiane, perché forse sapevano l’arte ci porta oltre il nostro quotidiano. Poco che faccia ci fa riflettere sul nostro quotidiano, dandoci nuove visioni su di esso. Trasformandolo e trascendendolo ci apre nuove possibile interpretazioni del nostro stesso vivere, lasciando che si dilatino spazi di immaginazione di un “possibile necessario”. Il “superfluo necessario” è questa coltivazione dell’immaginazione, della fantasia e della capacità di invenzione che la Scuola persegue attraverso percorsi laboratoriali che aprono i bambini alla conquista di tecniche sempre più raffinate al fine di dire di sé, del modo con il quale vedono e guardano al mondo che li circonda e del mondo stessi che essi sono e si portano dietro. Il “superfluo necessario” quindi è la conquista di capacità che sono nell’area della ri-creazione, fuori dal funzionalismo finalizzato del vivere quotidiano, frequenza della scuola compresa. Certo la prima, difficile operazione è quella di “aprirli” di “disporli” ad avvertire il mondo e a cimentarsi con gli strumenti che possono essere prolungamento della loro visione e della loro manualità. Sì, muoverli, scuoterli, disorientarli... perché non è dato che un bambino sia poi davvero disposto ad avvertire a tutto campo la realtà e a farsi prendere da essa; non è dato solo perché “bambino”. È solo predisposto; non è necessariamente attivo in questo senso. Forse il maestro ha proprio scelto la strada dell’emozionarli; vale a dire del muoverli attraverso delle provocazioni che portino fuori di/da sé i bambini oltre la loro chiusura difesa nei confronti delle perturbazioni che possono arrivare dall’esterno; certo essendo essi, così giovani, ben disposti a farlo e facilmente prendibili in un percorso di erranza. Il maestro fa propria e accetta l’idea -rendendola pratica didatticache l’arte ci deve smuovere e richiamare ad andare oltre il nostro consueto e rassicurato orizzonte; che all’arte ci si avvicina perché ci siamo sentiti toccati, ci siamo sentiti scoperti perché provocati a un incontro/scontro con l’opera, vale a dire chiamati a guardare nonostante le nostre resistenze. Anzi che è arte ciò che rompe le nostre resistenze e ci turba, ci fa portare fuori esclamazioni, punti di vista, osservazioni e idee prima mai

avute, forse solo sopite… perché ci offre punti di vista, visioni mai avute prime e che forse ci richiamano e ci seducono e ci chiamano a confrontarci, come a voler fare anche noi qualcosa. Forse l’arte è verificata da quanto sollecita chi ne fruisce a mettersi all’opera? L’arte inoltre gioca e lavora intorno alle regole; infrangendole, sovvertendole, dislocandole in nuovi modi di intenderle e vederle, mescolandole... gioca con le regole della percezione e della visione corrente, con i luoghi comuni, con i modi di porre e di comporre; gioca - l’arte - sia con le regole riferite al livello dell’esperienza corrente e concreta che facciamo, sia con le sue stesse regole di funzionamento in un duplice salto che ci fa più penetranti e profondi nel nostro “intelligere” la realtà. È una via, quella scelta dal maestro, che tenta di rompere visioni pedisseque e conformate aprendo i bambini alla passione dell’imprevisto, dell’inatteso… predisponendoli a confrontarsi con questo piuttosto che fuggire, dando loro la certezza, che nasce dall’esser il maestro pittore egli stesso, di poter dialogare con quello che vedono attraverso i diversi modi di approcciarsi al mondo delle cose, dei pensieri e delle fantasie; modi che chiedono ovviamente un’attiva partecipazione da parte degli allievi in questa operazione avventurosa di ricostruzione, di costruzione di nuove configurazioni. Il maestro quindi sceglie la strada che è propria del Maestro; vale a dire: quella del voler far condividere la sua stessa passione, la sua stessa arte, la sua stessa vocazione a chi gli va incontro come discepolo immettendolo direttamente nel fare, nella pasta della materia attraverso l’esempio, il modellamento e percorsi rigorosamente scanditi per conquistare destrezza e padronanza. Se l’arte non è fatta per i bambini, se bisogna mettere l’arte fuori dalla loro portata come viene detto in un passaggio dell’intervista, è forse perché essi, i bambini, devono incontrare chi la fa, condividendone le alchimie, ma anche avvicinandosi quel tanto che basta per non scottarsi aiutati da questi; forse devono prenderne a piccole dosi? Certo che si può affermare che l’arte non è fatta per i bambini, se la pensiamo ossessione incatenante una vita intera, o se la pensiamo affondata nell’oscurità del nostro stesso esser al mondo; forse non è fatta per loro se la pensiamo così intrecciata al nostro conflitto fra “amore e morte”. ...ma proprio perché fatta anche di tutto questo, è proprio l’arte il veicolo per avvertire il pulsare del vivere inteso come magmatica relazione fra ciò che è “IO” e ciò che “IO” non è. Incontrare un artista allora permette, forse ai bambini di renderla “umana”, pertinente all’umano vivere cogliendo che il “mistero” e il “fascino” di ciò che esiste come manufatto artistico è frutto dell’intraprendenza, certamente drammatica, di un soggetto in “carne e ossa”. Bisogna forse chiarire che essi, i bambini di Cotignola, incontrano, nella Scuola Arti e Mestieri, un pittore, prima ancora che un maestro nel senso corrente del termine: condividono con lui percorsi quasi tutti pensati da questi per coinvolgerli appassionatamente, a partire dalla sua sapienza di pittore; che è sapienza molto richiamante come tutte

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quelle che sono portatrici di tecniche extraordinarie rispetto al vivere corrente. Ora proprio in ragione di questa situazione assolutamente ideale, data proprio da questa magistralità non scolastica, i bambini raggiungono livelli di produttività e di incisività del tutto ragguardevoli se confrontati con quanto in genere producono a scuola. Ma non possono certamente avere o raggiungere, per età ed esperienza, quella pienezza consapevole e finalizzata, quella ricerca penetrante e continua rispetto alla creazione che è propria di un artista adulto che fa del fare arte ossessione, passione, scommessa esistenziale e vitale e infine ipoteca identitaria. Per questo i prodotti dei bambini, per quanto brutalmente eloquenti dei mondi che possono generarsi nella loro mente, restano alle soglie, restano intorno... restano aperture, assaggi, prese di confidenza, avvii di un possibile percorso di iniziazione, forse anche una prima percorrenza di un sentiero iniziatico: sono possibilità di creatività che si rapprende e si evidenzia in manufatti affascinanti proprio perché di bambini, sentiti come alle origini di quella competenza che poi fiorisce in età adulta... forse ingenui, un po’ primitivi? I manufatti, per quanto apprezzabili, sono prodotti in e con un ambito di riflessività individuale e soggettiva che resta certamente opaca e inattingibile al bambino che tale è e resta in ragione della sua esperienza, competenza e sapienza di sé e del mondo; fertilmente in risposta al contesto e all’intervento di ogni maestro, ma non necessariamente capace di conservare quello che scopre, esperisce e apprende su un livello di intenzionalità autonomamente perseguibile poi. Quello che credo interessi oltre e al di là dei manufatti sono gli smottamenti interni, le aperture emotive e affettive, gli avvii a scoperte di nuovi livelli di realtà, gli affacci su dimensioni interne ed esterne ad essi, le scoperte di abilità, le prove per farcela, gli impegni per portare a termine, le abilità scoperte e coltivate per rispondere a tecniche e materiali; è questa chiamata a “mettersi alla prova” che fare arte comporta che interessa perché, come per il gioco, nel silenzio del plasmare, del disegnare, dell’assemblare i bambini vanno dando forma al mondo, nella sua accezione di “mondo interno” e in quella di “mondo esperito con i sensi”. Ma ancora ai bambini viene data l’opportunità, molto aristocratica come ben evidenzia il maestro, di confrontarsi con uno dei cardini della nostra cultura: quello di creare mondi possibili cominciando ad accedere e ad intuire che, mettere al mondo mondi, è esito di una specifica e anche raffinata trattazione e manipolazione, concreta e simbolica, del reale portato e fatto “ALTRO”; è un’esperienza che rompe e irrompe vitalmente, con la possibilità che dà di incontrare direttamente o indirettamente i codici alti del nostro patrimonio culturale, in percorsi di vita che, come quelli di migliaia di bambini, sarebbero solo punteggiati da esperienze mass mediali, anche di scarsa qualità culturale e formativa. E vitalmente lo si dice per quella sollecitazione a tessere relazioni che è tipica di ogni ricerca, compresa quella artistica.

I bambini avvertono così che c’è un livello altro e oltre che forse può esser attinto, al di là del loro “parlare” e “fare”correnti. E anche se la Scuola non uscisse, come fa in alcune situazioni ed eventi, occuperebbe comunque la città perché cambia gli occhi dei bambini che la frequentano proponendosi come luogo affatto diverso dagli altri, perché davvero divergente per la rigorosa richiesta di andare per altre vie pur avendo ben preciso dove andare e come fare per andare, errando. Perché così facendo ci si diverte, appunto. E questo è permesso dalla scelta di una pedagogia da bottega, da apprendistato che chiede a chi è allievo l’affidarsi al maestro che, senza tante parole, fa vedere come si fa o che insegna a fare; in questo caso scegliendo la via delle emozioni, dell’immersione esperienziale e dell’impegno immediato e soprattutto dello scambio, anche attraverso la copia, con gli altri. Lo scambio è verticale fra il maestro e i bambini e molto, molto orizzontale fra i bambini stessi chiamati ad esser ognuno spunto all’altro, punto di “ispirazione” e ritorno critico, ma anche guida per vedere di più. In specifico trasmettere questa passione ai bambini di guardare dentro, portando fuori come manufatto ciò che hanno e/o ciò che trovano, o di guardarsi intorno per lasciare fuori, attraverso il filtro dei propri sensibili occhi, manufatti che sono testimonianza della loro sensibilità, è operazione che il maestro sceglie di favorire su tre livelli. Vale a dire: • l’immersione dei bambini in un ambiente vibrante e carico di richiami; • la conquista di una precisa disciplina di lavoro; • la sperimentazione di diversi mezzi e materiali; • la vicinanza condivisa con gli allievi. L’immersione è data dalla presenza dei lavori dei bambini appesi a tappezzare le pareti che diventano vibranti, pieni di echi e di rimandi che fluidificano e che sfumano i perimetri percettivi dei bambini. L’immersione è anche data dalle situazioni che il maestro crea affinché i bambini si dispongano a quella fluidità e flessibilità psicologica che il produrre manufatti chiede. Disposizione che è anche sostenuta, attraverso le situazioni predisposte dal maestro o le proposte dello stesso, provocando nei bambini uno squilibrio, un disorientamento dovuto all’avvertenza o di “vuoti” o di “pieni” : gli uno da riempire e gli altri da espandere. La disposizione ad apprendere e a fare quindi continua ad essere legata proprio al fatto che ci sente in disordine, inappaganti, sospinti e sbilanciati. La conquista di una precisa disciplina è data dalla richiesta di stare dentro percorsi che, una volta coinvolti e interessati i bambini, sono articolati in rigorose tappe di lavoro, andando oltre l’improvvisato e a favore di una chiara affermazione che fare arte, o cimentarsi con l’arte, chiede impegno, disciplina, concentrazione e attenzione: fra gioco e preghiera, appunto. Ma la disciplina è data anche dal dare tempo ai bambini: un dare


tempo che è recuperato o attraverso un ritornare sopra il fare o un ritornare sopra alcuni temi ed esperienze o il rivedere e ritrattare in diversi modi le stesse questioni; è come se ci fosse, a volte, un andare avanti ripetendo diversamente per meglio cogliere, capire e fra proprio tecniche e questioni. La sperimentazione di diversi mezzi e materiali è data dalla vasta gamma di esperienze a cui i bambini sono chiamati e con le quali si cimentano in percorsi di visioni che sono sempre immersioni totali poi analiticamente ricondotte in percorsi di lavoro ben precisati mantenendo una dinamica continua fra analiticità, globalità, complessità e dipanamento della complessità. Infine la vicinanza condivisa con gli allievi ci è data dalla precisa e minuziosa differenza dei lavori dei bambini che può essere solo garantita da una grande attenzione del maestro a seguire i bambini ognuno nel suo personale fare. Ma la declinazione sperimentale si può definire meglio come atteggiamento sperimentalistico che è dato dall’inseguire una macchia, uno sbavo, un riga... facendone punti di partenza. Ma anche dell’attivazione e sostegno di una stato di continua meraviglia: meraviglia giocata a più livelli: quello della percezione del reale, quello della percezione dei manufatti e quello della percezione del processo. Meraviglia che non è mera presa d’atto interrogante e dubitante, ma punto di partenza del soggetto per vedere meglio, per capire e comprendere aprendo e squadernando ogni piccolo incontro che fa dandovi profondità. È, la meraviglia, testimoniata da un occhio mobile, divagante, imper-

tinente che, presa la mano, la rende assolutamente prensile rispetto alle visioni del primo. È questo incrocio fra un occhio reso assolutamente aggressivo, nel senso di capace di apprendere e agganciare il reale e l’immaginario e/o l’illusorio, e una mano resa fluida e trascorrente che permette, come in una sospensione all’interno di uno spazio transizionale e quindi a cavallo di..., ai bambini di riuscire ad essere così perentoriamente captativi attraversi i loro manufatti; così captativi da lasciare meravigliati noi adulti che li osserviamo apprezzando e sorprendendoci insieme del fatto che possa venir fuori tanto da quelle piccole mani... E allora ci ricordiamo che molto dipende da chi incontrano e da come incontrano questo qualcuno che riesce a far leva, a lasciar fluire, a lasciar trascorrere e a dichiarare tutto quello che hanno già nell’apparente, solo apparente, loro “piccola testa” complessa e affascinante come una biglia o una matassa multicolore. E questo è dovuto, nonostante le perplessità del maestro, ad una pedagogia, certamente da apprendisti, fatta, proprio in quanto caratterizzata da un fare compartecipato fra un “sapiente tecnico” e un “non sapiente”, da una sua complessa pluralità sferica di approcci, di sguardi, di tecniche e di processi; pedagogia scelta sicuramente dal primo (il maestro) che forse sa che per far fare arte ai bambini, il luogo e l’approccio dove questo accade devono essere complessi, sferici e plurimi come la loro testa. Un po’ biglia e un po’ matassa, ma anche un po’ colata lavica che sta cercando di darsi una configurazione. È per questo che i bambini rispondono così bene?

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1 Del disegno e del guardare


1.1 In principio era lo specchio


Andrea e Giulia (autoritratto) corsi AeM, classe quinta elementare.


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio

1.1.1 Un anno facciale, faccesco e facciuto

Beatrice

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• Questa scrittura rappresenta un’ipotesi di programmazione e uno spunto su cui lavorare che è servito per un uso interno, sia tra noi operatori della scuola d’arte, e anche tra noi e le insegnanti impegnate nelle scuole di Cotignola e Barbiano che dovevano partecipare con le loro classi ai nostri laboratori; laboratori che in linea di massima sono concordati con le maestre e che sovente si cerca di inserire in maniera organica e continuativa con la loro programmazione scolastica. Va da sé che molte delle indicazioni di questo progetto, che è stato redatto all’inizio del settembre 2003, abbiano subito, nel corso di un anno di lavoro, delle modifiche anche sostanziali, sia per nostri ripensamenti, sia per proposte interessanti provenienti dalla scuola che ci hanno fornito uno stimolo ulteriore; è rimasta immutata invece la volontà di attraversare tutti i laboratori con un tema unico, quello del volto (cosa questa che ci ha permesso un maggiore ordine e precisione progettuale): una struttura che è andata delineandosi e definendosi e che si è rivelata infine capace di far affiorare una forma unica e sfaccettata, quasi si trattasse di un unico laboratorio, funzionante come un vero e proprio organismo pluricellulare.

Per l’anno scolastico 2003-20041 la Scuola Arti e Mestieri ha presentato un progetto che si snoda attraversando e collegando tra loro tutti i laboratori attivati nelle scuole (elementari e medie) al mattino, così come i corsi pomeridiani rivolti a bambini e ragazzi delle elementari, medie ed adolescenti, che in qualche modo operano nella stessa direzione completando il disegno ed arricchendolo ulteriormente con alcune esperienze aggiunte come la fotografia. Il filo rosso che lega e tiene insieme questa architettura è il volto e la sua rappresentazione, che avverrà tramite tecniche, materiali e tematiche narrative differenti; tutto ciò che affronteremo sarà riconducibile ad un discorso che ruota intorno al motivo dell’esplorazione del sé: esplorazione del sé che è sempre stata presente nei nostri laboratori e che ora diviene contenitore e contenuto che ci accompagnerà in tutte le esperienze.

(Discorso semiserio sul volto.) Io sono quando guardo, io sono quando mi guardano, noi siamo quando ci guardiamo. La mia faccia è un mondo, la tua faccia è un mondo, la nostra faccia è il mondo. Il volto è un mistero. Piccola storia dello sguardo: un anno di emozioni per il “popolo” dell’Arti e Mestieri. Orientarsi con lo sguardo, con gli occhi dell’arte; registrare con gli occhi. Una palestra dello sguardo. I volti ci parlano, i volti ci annusano, i volti ci toccano, i volti ci pensano. Io sono la mia faccia e la mia faccia è mille facce. Attraverso. Grazie ai tuoi occhi. Lo sguardo infinito; lo sguardo non finito. La scuola degli sguardi, la città degli sguardi. Stupore. Chi sono, come sono fatto, a cosa assomiglio, come cambio e come posso trasformarmi, cosa posso diventare. Vedere una faccia, dimenticarsi delle facce, farle nuove e mai viste.

> 1 • L’autoritratto (da così com’è a come potrebbe essere) Disegniamo dal vero il nostro volto riflesso in uno specchio (inquadratura, proporzioni, segno, sgrammaticature ed espressività). Coloriamo il disegno cercando di ottenere effetti cromatici aderenti al vero: dai pastelli a cera alle matite colorate, dalle chine ai pastelli a olio (sovrapposizioni, accostamenti, sfumature, tecniche miste); la differenza tra una matita normale ed una morbida, come si usa un pastello a cera e il suo incontro con la trasparenza delle chine colorate, l’intensità dei pastelli a olio. A questo lavoro può seguire una versione più libera e fantastica dell’autoritratto: l’autoritratto impazzito o scombinato, l’autoritratto animalizzato o vegetalizzato… Possiamo anche partire da una fotocopia o da un ricalco alla lavagna luminosa del nostro disegno: il nostro autoritratto diventerà un prototipo da trasformare all’infinito. L’autoritratto messo nel posto o luogo in cui vorrei essere (l’autoritratto paesaggiato o paesaggistico?) o vestito del mestiere che vorrei fare, come i ritratti rinascimentali o barocchi che raccontano anche attraverso abiti ed oggetti.


Un anno facciale, faccesco e facciuto

Michela

Alice

Arianna

Simone

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• Dalle matite morbide ai carboncini, dai gessetti ai pastelli oleosi, dalla china a vari tipi di pennarelli e biro, pennelli piccoli e a punta tonda, pennelli piatti, pennini e poi anche carte veline ed acetati per sovrapposizioni.

> 1.1 • La mia faccia è pop (una faccia, cento facce) Inventare e scoprire le infinite varianti utilizzando “trucchetti” per modificare e trasformare all’infinito una stessa immagine. Fotocopiando il primo autoritratto (quando è ancora a matita) avremo a disposizione un materiale quasi inesauribile su cui sperimentare svariate soluzioni grafiche e pittoriche: giocare sui rapporti tra figura e sfondo cambiando ogni volta i colori per avvicinarci a qualcosa che ricorda le serie di Wharol: mutando i colori possiamo anche modificare le emozioni e i sentimenti della faccia in questione; oppure possiamo privilegiare le caratteristiche grafiche così da spostare l’attenzione sul segno: ci concentreremo su tutti quegli strumenti2 che ci permettono di rendere una linea interessante e diversificata: da un segno lieve e gentile ad uno energico e marcato, da una linea tremante ad una fatta con la sciabola. Se sostituiamo alla fotocopia del nostro autoritratto disegnato una fotocopia ingrandita di una nostra fototessera, apriremo il campo ad altre soluzioni non meno espressive: immediato è il rimando al lavoro di Toccafondo che interviene pittoricamente su riproduzioni fotografiche e fotocopie o alle elaborazioni di Arnulf Rainer che aggredisce e trasforma l’immagine con la forza del segno. E cosa succede se poi integro ulteriormente queste immagini “vere” con parti disegnate? (Potrei aggiungere un corpicino alla mia testa e magari rendermi conto che alcuni “errori” o proporzioni impossibili infondono al mio disegno maggior forza ed espressività.)

Filippo

Gianluigi Toccafondo

Andy Wharol

Arnulf Rainer

53 53

Simone

Paola

Arianna

Michela


Un anno facciale, faccesco e facciuto Federico

Paolo

Fatima

> 1.2 • La faccia è uno spazio tutto da inventare e percorrere liberamente Pensare e vedere il volto come ad uno spazio vuoto, un vero e proprio campo d’azione da esplorare e in cui far succedere qualcosa: da una battaglia di segni ad una tempesta pittorica, da una macchia slabbrata di colore ad un collage, da un intreccio di pennellate sincopate ad una decorazione lenta, ripetuta e ritmata, dal reticolo di una texture a mappe astrali e percorsi fantastici.3

3

• Pensiamo ai segni con i quali Giacometti costruisce l’immagine come un intrico, tessuto o ragnatela di fili aggrovigliati, le decorazioni aborigene alla Haring, le superfici bucate di Fontana come un volto cosmico o di superficie lunare, la scrittura sulla pelle della Neshat, lo spazio fantastico, galleggiante, organico ed antigravitazionale di molta arte astratta ed informale, i segni fluttuanti di Mirò o quelli imprevedibili di Klee, le pennellate forti e sintetiche degli espressionisti e molte altre suggestioni che possiamo mettere nel, dentro, sopra, dietro e tra il volto (cfr. par. 1.1.2, 1.1.3, 1.1.4).

Ernst Ludwig Kirchner

In ogni caso faremo un largo ricorso alle tecniche miste, un po’ per scrollarci della dimensione esercizio (ogni lavoro dovrebbe tendere ad essere unico e quasi irripetibile), un po’ per offrire al bambino la possibilità di costruirsi un percorso personale che gli permetta di esprimersi pienamente ed in maniera felice.

> 2 • Le mutevoli facce e il mondo delle espressioni Copiamo dal vero un compagno che ci restituisce una particolare espressione del volto: come diventa la bocca, se si vedono i denti, cosa succede alle sopracciglia, le pieghe della pelle, eccetera. (Mettiamoci in posa, giochiamo a fare le facce: sconvolte, dubbiose, allegre, e così via.)

Henri Matisse

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• La lista degli artisti a cui possiamo guardare per avere dei riferimenti è pressoché sterminata poiché lo stile porta spesso a forme frutto di sintesi; ne citeremo qualcuno: Kirchner, Matisse e Picasso, e poi le maschere teatrali e tribali, il fumetto...

> 2.1 • L’attimo fuggente

Pablo Picasso

Come in precedenza l’attenzione è tutta rivolta alle caratteristiche espressive di un volto e alle sue capacità comunicative; ci interessa qui e ora una sintesi maggiore, quasi estrema, capace di una resa immediata del sentimento; una velocità d’esecuzione che non si deve preoccupare più di tanto di esatte proporzioni (che saranno tralasciate a discapito di una registrazione subitanea e capace di afferrare i moti dell’anima piuttosto che l’energia di una smorfia). Strumenti come chine e pennelli, matite senza l’uso della gomma, pennarelli, biro e carboncini fa4 voriranno questa presa diretta.

Paul Klee

Joan Mirò

Shirin Neshat

Keith Haring

Alberto Giacometti

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Un anno facciale, faccesco e facciuto

> 2.2 • Le facce di china Sempre sulle espressioni o sul riportare e rendere con sintesi un volto: si tratta in questo caso di un giochetto che si serve di un cerchio tracciato a matita al centro del foglio e che i bambini devono trasformare velocemente in una faccia disegnando con china nera stesa a pennello. 5

Con questo procedimento affiorano volti inattesi e sorprendenti, buffi e divertenti.

5

• Lo stesso lavoro si potrà ripetere con varianti quali china diluita per ottenere segni più fluidi, oppure china su foglio bagnato, che si espande ed esce parzialmente dal controllo, o ancora segni più sottili, precisi e raffinati da ottenere con il pennino. (Un’ennesima variante potrebbe essere costituita dal ridipingere lo stesso personaggio, inventato e disegnato in precedenza, in una gamma di espressioni diverse e che potrebbe anche diventare un libretto.) (Cfr. par. 2.1.2: disegnare le espressioni, la cartapesta e i burattini.)

6

• Dubuffet, De Kooning, Jawlensky, Auerbach, Moreni, Ba-

selitz.

Kalkidan

Sara

Noemi

Filippo

> 3 • La faccia è la pittura, un quadro, il mondo Su di un disegno abbastanza semplificato di un volto (fatto direttamente a pennello) entriamo con tecniche pittoriche e stili rubati ad artisti6; se ci dimentichiamo per un attimo del volto (o se ci caliamo completamente in esso), questo diventa pretesto e tende quasi a scomparire, è spazio in cui intervenire, forma aperta e in divenire. La pittura si libera, energica ed organica, diviene materia con un peso ed una fisicità: via libera all’utilizzo di spatole e pettini, rulli e spugne, sovrapposizioni e stratificazioni, sgocciolamenti e gestualità varie; oppure pittura liquida e velata, che si espande ed esce dai contorni mescolandosi ed incontrandosi.7

7

• Solve et Coagula è il bellissimo titolo di una mostra altrettanto affascinante di Massimo Pulini e Franco Pozzi tenutasi a Cesena nel 2002 in cui il colore è usato, dai due artisti, molto liquido. (Cfr. par. 1.1.2 e 1.1.4)

Emma

Elisa

Aurora

> 3.1 • Gli opposti Prendendo spunto dalle Lezioni Americane di Calvino cercheremo di adattare e scegliere le tecniche e i materiali più idonei a rappresentare concetti e coppie di opposti quali leggero-pesante, morbido-duro, semplice-complesso, vuotopieno, lento-veloce. Un altro lavoro che si può iscrivere in questa direzione è il disegnare o dipingere ascoltando una musica e cercando di registrare, come una sorta di sismografo i suoni e le nostre emozioni ad essi collegate.

55 Alexei Jawlensky

Michele

Wilem De Koonig

Jean Dubuffet

Le possibilità sono pressoché infinite: graffito, frottage, monotipo, collage tattili e materici, assemblaggi.


Un anno facciale, faccesco e facciuto

8

• Da vedere i disegni con l’acqua e il vento di Klee, ma anche i quaderni su come si disegna l’acqua, il sole e gli alberi, il libro sulla nebbia o Rose nell’insalata di Munari, i cretti e molti altri lavori, dai legni ai sacchi fino alle combustioni, di Burri (la faccia di terra), Pollock (una faccia tempesta), le visioni al microscopio e molta arte astratta ed informale, ma anche il cielo di notte per una micro o macrofaccia a seconda dei casi, dalle costellazioni di Kiefer alle costellazioni di nei di Parmiggiani (cfr. par. 1.2.1, 1.2.2 e 2.2.3).

> 4 • La faccia è una cosa della natura E se la faccia cambiasse e si modificasse prendendo le sembianze di fatti naturali? 8

Avremo la faccia di vento e di aria, la faccia acquatica, quella di nebbia, quella di terra…

> 5 • Il continuarte Questa volta la faccia la mettono gli artisti, ai bambini il compito di continuare liberamente questi frammenti di immagini avendo cura di usare tecniche e materiali omogenei allo stile dell’autore.

Paul Klee

Alice

Luca

Aurora

Giosuè

> 6 • La faccia quasi scultura

Alberto Burri

Tra il disegno e la pittura, e la scultura vera e propria, possiamo collocare una serie di lavori ibridi che non appartengono né ad una categoria, né all’altra: si tratta delle infinite modalità con cui possiamo pensare al collage e agli assemblaggi. Operazioni che stanno a metà e in mezzo, un po’ bassorilievi, un po’ disegni per ciechi o pitture tattili; superfici tridimensionali che possono essere realizzate con una gamma sterminata di materiali, naturali e non: riso, sabbia, gesso, cemento, stucco, rametti, sassolini, conchiglie, pezzi di spago e corda, lana e stoffe, fili di ferro, bottoni, ciappetti, tappi e tappini di ogni foggia, carte di tutti i tipi, terra, paglia, pezzetti di plastica e così via. Arianna

Jackson Pollock

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Pietro

Michele

Marco


Pietro

Giovanni

Michele

Un anno facciale, faccesco e facciuto

Luca

Marco

> 6.1 • La faccia di cartapesta Dalla maschera primitiva e tribale, per piccoli sciamani, alla maschera teatrale o carnevalesca passando per i burattini fino alle sagome e ai pupazzi; dalla caricatura all’invenzione di personaggi, questi laboratori si collegano e partono dal lavoro svolto con il disegno e la pittura sul ritratto per approdare alla sperimentazione sulla cartapesta.

Giovanni Scardovi

> 6.2 • La faccia di creta Dalla sfoglia su cui intervenire con il graffito (disegnamo con il chiodo) per passare alle impronte e alle tracce, fino ad arrivare alla texture che possiamo ottenere con molteplici strumenti, da reti di plastica a pettini e spazzole, da bastoni avvolti di spago a piccoli oggetti di recupero come ciappetti, bigodini, cortecce, tappini e pezzi di giocattoli; si arriverà al bassorilievo che facciamo con palline e lucignoli (che saranno incollati con la barbottina), tutto questo dentro, sopra, nella faccia. Con argille di colori diversi e ritagli possiamo lavorare sul rapporto figura-sfondo, sullo scavo e su di un effetto quasi marmorizzato che si ottiene mescolando due colori. E poi anche la tridimensionalità vera e propria con gli animali protostorici alla Scardovi che si realizzano assemblando più sfoglie. Potremo poi elaborare queste produzioni con gli engobbi (ai quali può essere aggiunta in seconda cottura la cristallina), oppure si possono colorare a freddo con le tempere che saranno stese sul pezzo e poi asportate con una spugna umida; con quest’ultima tecnica possiamo ottenere effetti notevoli poiché la pittura entra nelle pieghe e negli avvallamenti della terracotta creando una patina affascinante e raffinata, quasi antica.

> 6.3 • Nel filo e nell’aria Da fili di lana e spago alla scultura con il filo di ferro che diventa segno e linea nello spazio; un disegno nell’aria che può ricordare certe cose di Melotti e Calder ed anche alcune sculture di Giacometti o certi disegni di Klee.

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Fausto Melotti

Alexander Calder

Paul Klee


Un anno facciale, faccesco e facciuto

Marco

Aurora

Michele

Beatrice

Giovanni

> 7 • Le facce di luce Disegnare a lume di candela; facce nere, notturne e misteriose, lampi di luce a rischiarare.9

> 8 • La fotografia Dal rayogramma al foro stenopeico passando per la polaroid (inquadratura, composizione, rapporti figura-sfondo, positivo-negativo, elaborazione pittorica).

> 9 • Il libro degli sguardi La costruzione di libri artigianali è per noi una cosa molto cara che infatti, pur in forme e modalità differenti, rientra spesso nei nostri laboratori, a volte come progetto e realizzazione del bambino, altre ancora come nostra documentazione in cui, a laboratorio ultimato, raccogliamo alcune produzioni dei bambini stessi; tra questi due estremi si colloca una serie di libri molto diversi che possono andare dal libro collettivo (costruito da un piccolo gruppo o da una classe intera) a quello del maestro d’arte in cui si mettono insieme i disegni fatti per questi piccoli spettatori (e potenziali creatori) o le storie inventate per o insieme a loro. Il libro può perciò essere inserito all’interno della programmazione ogni volta che lo si ritenga opportuno e significativo: potrebbe, ad esempio, essere una sorta di diario di bordo su cui il bambino raccoglie ed annota le impressioni e le esperienze di un anno intero o quelle di un singolo laboratorio. Una sorta di compagno di viaggio che ci accompagna nel percorso e che conserva memoria delle cose che vi succedono sia con disegni e schizzi, sia con appunti e scritture.10

9 10

• Cfr. par. 1.1.4, Il ritratto vibrante, p. 97.

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• A sottolineare l’importanza di questo laboratorio dentro ai laboratori abbiamo realizzato una biblioteca della Scuola Arti e Mestieri a cui i bambini possono accedere alla fine delle lezioni; si tratta di una sorta di collana che abbiamo denominato I Libri dell’Arti e Pensieri e che ogni anno raccoglie nuovi titoli e che aspira a divenire archivio della nostra storia, un archivio costituito da quaderni artistici ed artigianali (cfr. par. 3.4).

Quest’ipotesi di lavoro è così dilatata e, allo stesso tempo, così parziale e poco approfondita poiché vuole offrire la possibilità agli educatori di costruirsi un proprio percorso, personale e sentito, all’interno di questa traccia; percorso che non può non tenere conto degli innamoramenti individuali degli atelieristi e delle reazioni dei bambini e ragazzi che devono poter influenzare, spostare e correggere le traiettorie previste. Il progetto non può perciò essere considerato tale sino a quando non incontra i bambini a cui è rivolto e quindi non deve essere pensato in maniera troppo rigida (deve poter subire modifiche costanti dettate sia dalla sua messa in atto, sia dall’incontro con questi individui, che rappresentano ovviamente la parte imprescindibile dell’esperienza); il progetto può essere così un materiale elastico e plasmabile, capace di ripensamenti e revisioni che non ne snaturano l’identità, ma che lo arricchiscono e rinforzano infondendogli vita. Ogni laboratorio fa storia a sé e il progetto si adatta a queste varianti accumulando esperienza e capacità di ascolto: un ingrossarsi del bagaglio che non è di ostacolo, ma che permette una capacità di movimento ed apertura sempre maggiori. Dinamicità. La successione dei punti, vista precedentemente, è perciò puramente indicativa; essa ha valore di riferimento: si tratta infatti di una serie di indicazioni da cui partire per muoversi il più liberamente possibile ed in maniera approfondita su ciò che al suo interno pare più interessante (in quest’ottica alcuni laboratori potranno aprire strade fruttuose che vanno seguite con entusiasmo, porte da attraversare che offrono uscite imprevedibili e ricche di spunti, altri invece che potranno essere evitati perché non in sintonia con il cam-


Un anno facciale, faccesco e facciuto mino e la ricerca intrapresi, o perché giudicati non interessanti, in quel momento, da chi lavora nell’atelier). Questi percorsi, e i tempi di successione tra gli incontri e i materiali affrontati in essi, non si esprimeranno perciò in vie rette o a senso unico: la strada maestra, se così la possiamo chiamare, si caratterizzerà di e con molteplici ramificazioni, offrendo diramazioni, uscite, collegamenti e riimmissioni. Un andamento emotivo ed empatico, fatto di linee zigzagate, di curve ed inversioni di marcia che ci permette un atteggiamento aperto e costantemente predisposto a verifiche ed aggiustamenti di tiro. Gli atelier proposti in questo progetto non presentano per la Scuola Arti e Mestieri un’assoluta novità: la scelta risponde ad una volontà ed esigenza di verificare, raffinare e perfezionare i nostri laboratori più riusciti e ricorrenti. Nuova è invece la volontà di attraversare tutte le esperienze di un anno intero con un filo conduttore comune che sarà rappresentato dal volto. Agli atelieristi ed educatori è perciò chiesto di costruire individualmente il proprio percorso anche attingendo al repertorio di progetti ed esperienze raccolte in questi anni.

IPOTESI DI CALENDARIO11 > Un anno di facce • Ottobre-Gennaio: IL DISEGNO E LA PITTURA • Febbraio-Marzo: LA CARTAPESTA (la Segavecchia) • Aprile: LA FOTOGRAFIA (con Daniele Casadio) • Maggio: LA CARTELLINA, I LIBRI E LA MOSTRA.

11

• Questa programmazione riguarda i bambini e ragazzi che sono iscritti ai corsi dell’Arti e Mestieri e che perciò hanno la possibilità di frequentare la scuola da ottobre a maggio per circa otto mesi sperimentando, di conseguenza, ben più di un laboratorio a tema o materiale; chi viene alla scuola al pomeriggio lo fa per circa venticinque-trenta volte per un totale di una sessantina di ore. Questa prima parte era rivolta strettamente agli operatori di AeM: si è lavorato insieme su di essa all’inizio di settembre per arrivare ad una programmazione abbastanza definita anche se non definitiva: il tema della Segavecchia è diventato, ad esempio, il Bianco.

12

• Cfr. par 5.3.

(Chiusura e conclusione di tutti i lavori da ultimare, costruzione dei libri per la mostra Città dei Bambini e progetti speciali ad essa legati.)

• Appunti, proposte ed idee per la Città dei Bambini e la Segavecchia 2004

Henri Matisse

> La città degli sguardi12 (Città dei Bambini) Fuori e dentro me; aperture. Facceocchiabbracci. (La Danza di Matisse, girotondo, ballo, musica, corpi.) Gli occhi ci interrogano e ci parlano; le facce raccontano, anche quelle mostruose. Abbiamo voglia e necessità di guardarci, di stabilire contatti e relazioni.

> Il giallo e il blu (Segavecchia) Piccolo blu e piccolo giallo di L. Lionni ci offre la possibilità di proseguire l’esperienza sui colori (avevamo lavorato l’anno precedente sul rosso); con due colori se ne aggiunge un terzo: giallo+blu=verde. (Il giallo ed il blu sono anche i colori dello stemma di Cotignola). E se il leone diventasse un po’ verde? Chissà se sarebbe ancora così fiero, impettito e rampante? Sarebbe ancora il re o non incuterebbe più timore a nessuno? E se fosse verde di rabbia? O se stesse andando a male, chi mai vorrebbe un leone avariato, e che puzza anche un poco, nello stemma cittadino ricamato sul taschino o sul cappello? E se avesse deciso di mangiarsi finalmente quella benedetta mela cotogna e soprattutto, chi è quel tizio che sta sopra di lui?

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Un anno facciale, faccesco e facciuto

13

• La scrittura a seguire era rivolta anche alle insegnanti della Scuola Elementare e rappresenta un sorta di elenco delle attività proposte per l’anno scolastico a venire; all’interno di questa gamma di possibilità si è concertato il nostro intervento cercando, dove possibile, di collegarlo alla programmazione scolastica e tenendo soprattutto conto dei laboratori attivati nel corso degli anni precedenti con lo stesso gruppo di bambini preso in esame, questo per costruire un percorso quinquennale il più possibile organico e, allo stesso tempo, vario. (Una classe perciò affronta un cammino che l’accompagna per tutta la durata del periodo elementare passando dalla creta alla cartapesta, dal disegno alla pittura.)

14

• Microcosmo e macrocosmo che ritroviamo in moltissime opere, dalle costellazioni di Kiefer ai buchi spaziali di Fontana, dai mondi fantastici di Mirò agli sgocciolamenti di Pollock, dalle linee e forme di Kandinskij agli spazi contemplativi e spirituali delle campiture di Rotkho (cfr. par. 1.1.2).

15 16 17 18

• Cfr. par. 2.1.3 • Cfr. par. 3.3 e 3.4

Ipotesi ed appunti di programmazione per i laboratori da attivare al mattino nelle scuole elementari13 > Classi quinte 1 • LE BIOFACCE E LE COSMOFACCE

Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dal microscopio alla volta celeste, tutto messo dentro alla faccia, negli occhi, dentro alla bocca, sulla pelle.14 La faccia come uno spazio, come una porta per un altro mondo. In occasione della Città dei Bambini oltre all’esposizione di questi lavori (disegni, dipinti e libri fatti dai bambini) si realizzeranno due grandi pitture che verranno appese in un punto del paese ancora da individuare: la biofaccia e la cosmofaccia.

2 • LE FACCE DI CRETA15

Un atelier di manipolazione dell’argilla che porterà alla realizzazione di tavolette con impronte, tracce, texture, rilievi e soprattutto facce che andranno a formare un insieme che sarà allestito in maniera permanente in qualche brutto o vuoto muro di Cotignola; anche il laboratorio sulle facce di creta si accompagnerà ad una verifica costante attivata grazie al confronto con opere di artisti (a partire dalle teste in terracotta del Museo Varoli).

3 • I LIBRI DELL’ARTI E PENSIERI16

Si tratta di un laboratorio già avviato e sperimentato lo scorso anno; un atelier capace di seguire direzioni imprevedibili e molteplici percorsi, sia da un punto di vista tecnico, sia da uno tematico: dal libretto individuale, che gioca sui formati strani, al libro collettivo che segue ed illustra una storia (magari inventata dai bambini), dal libro tattile con i materiali, a quello silenzioso ed immaginifico, solo da guardare, dell’arte astratta.

4 • MASCHERE, MASCHERONI E TOTEM DI CARTAPESTA (O DEI BURATTINI GIGANTI)17

Il laboratorio sulla cartapesta è uno dei più collaudati: si vuole collegare quest’attività non solo alla sagra della Segavecchia, ma anche alla Città dei Bambini (con un utilizzo più vicino al teatro o con allestimenti all’aperto in cui queste produzioni funzionano come vere e proprie sculture). Lo spettacolo dei burattini può diventare, ad esempio, uno spettacolo di burattini giganti fatto con sagome e pupazzi che hanno un forte impatto scenografico; sarà sempre indispensabile, in questo tipo di operazioni, portare avanti un lavoro di drammatizzazione in classe e di invenzione di storie e canovacci. Un lavoro sulle parole e sui collegamenti spiazzanti tra di esse e le immagini che non dovrebbe essere molto distante dal lavoro di Rodari o da certe operazioni surrealiste che fanno della libera associazione un vero e proprio metodo.

• Cfr. par.2.1.1 • Cfr. par. 2.1.2.

> Classi quarte 1 • I BURATTINI18

(Stesso schema degli anni precedenti con visita iniziale al Museo Varoli, disegno, cartapesta, pittura e spettacolo finale.)

2 • I MASCHERONI DI CARTAPESTA (Come sopra, questa volta con maschere.)

3 • LE FACCE DI CRETA

Mark Rothko

60

Anselm Kiefer

Lucio Fontana

Joan Mirò

Jackson Pollock

Vasilij Kandinskij


Un anno facciale, faccesco e facciuto

4 • I LIBRI DI FACCE

Laboratorio grafico-pittorico che attinge da atelier già sperimentati; la faccia come pretesto e spazio vuoto da riempire e sul quale sperimentare tecniche e mezzi espressivi differenti; si tratta di un atelier che spazia dalla china alla pittura liquida e/o materica, dalla macchia al disegno, dal frottage al collage, e dall’incontrarsi, mescolarsi e confondersi di tutti questi ingredienti.

19 20

• Cfr. par. 3.2 • Cfr. par. 1.1.3 p. 86.

Alla fine del laboratorio i bambini costruiranno individualmente un libro artigianale che raccoglie le loro produzioni, una sorta di galleria di sguardi a cui dovranno anche dare un titolo (oltre ad un nome ad ogni faccia dipinta).

> Classi terze 1 • I BURATTINI 2 • MASCHERE, MASCHERONI E TOTEM IN CARTAPESTA 3 • LE FACCE DI CRETA > Classi seconde

Germano Sartelli

Tony Cragg

Niki De Saint Phalle

Alexander Calder

1 • LE FACCE ARTISTICHE, ARTISTICATE ED ARTISTOIDI

Nuovi modi di vedere e rappresentare un volto attraverso alcune tecniche pittoriche ed esempi rubati all’arte contemporanea. Questo laboratorio ricalca abbastanza fedelmente la proposta I Libri di Facce rivolta alle classi quarte.

2 • LE TEXTURE, LE FACCE DI CRETA E GLI ANIMALI PROTOSTORICI

La sfoglia, le impronte e le tracce con dita e con oggetti, palline e lucignoli per il bassorilievo, la barbottina, fino ad arrivare agli animali tridimensionali fatti con la sfoglia che si ispirano alle sculture di G. Scardovi.

> Classi prime 1 • LE FACCE DI CRETA 2 • LE LETTERE (L’ALFABETO FATTO AD ARTE) 19

(Laboratorio sperimentato lo scorso anno.)

Per le classi prime, seconde e terze potrebbe funzionare un unico progetto di manipolazione dell’argilla sul tema del volto, della faccia e della maschera; questi atelier potrebbero chiudersi con l’installazione permanente di queste tavolette di terracotta e di ceramica su di un muro di Cotignola. Per le quinte le opteremmo per le facce e i libri dell’Arti e Pensieri mentre le quarte potrebbero orientarsi sulla cartapesta (burattini, sagome, pupazzi e mascheroni a seconda della scelta); se queste ultime non volessero ripetere un laboratorio sulla manipolazione può andare bene quello sul libro proposto alle classi quinte.

Jean Tinguely

Alberto Burri

P.S. > LA SECONDA VITA DELLE COSE Vogliamo dare particolare importanza al riutilizzo e trasformazione delle cose e alla raccolta e recupero di materiali poveri. Gli esempi che possiamo prendere in prestito dall’arte visiva sono innumerevoli (abbiamo ancora in mente la grande energia e filosofia della compagnia americana Bread and Puppets). Via libera allora al cartone, a tutti i tipi di carta recuperata per disegnare, per fare frottage, collage e pittura (giornali quotidiani, vecchie fotocopie, carte da pacchi e da osteria, sacchetti del pane, stampate e tabulati di computer, riviste e vecchi libri, e poi lenzuoli e stoffe.) Tappini, biro, pennarelli, bottiglie, tutto quanto è fuori uso può risultare utile e divertente per assemblaggi alla Baj; bottoni, biglietti del treno, carte di cioccolatini e pacchetti di sigarette, rami e bacchetti, ritagli di stoffe, anime di carta igienica e scotch, imballaggi di polistirolo, cassette di legno… Le carte di Germano Sartelli, gli strappi sui manifesti di Rotella, gli assemblaggi di Picasso e le sculture di Tony Cragg, quelle di Kurt 20 Switters o di Niki di Saint Phalle, di Calder, Tinguely, Mirò, Francesco Bocchini, le superfici di Burri…

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Joan Mirò

Francesco Bocchini


Galleria

Marco

Giosuè

Aurora

Paolo

Michela

Giovanni

Pietro

Luca

Rebecca

Noemi

Filippo

Simone

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Michele

Beatrice

Federico

Paola


Galleria

Luca

Raja

Beatrice

Giovanni

Kalkidan

Michela

Marco

Sara

Simone

Simone

Giosuè

Paolo

Simone

Federico

Riccardo

Lorenzo

I disegni riprodotti in questo paragrafo sono stati realizzati dai bambini delle classi prima elementare nei corsi pomeridiani dell’Arti e Mestieri condotti da Massimiliano Fabbri (anno scolastico 2004-2005).

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Aurora

Noemi


Galleria

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Particolari dell’allestimento realizzato nel maggio 2005 presso la Scuola Arti e Mestieri (sotto) e il laboratorio della Scuola Elementare di Cotignola (sopra) in occasione della Città dei bambini Storie di carta (a colori); fotografie di Daniele Casadio.


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio 1.1.1 Un anno facciale, faccesco e facciuto

1.1.1.A Specchiarsi Narciso era un fanciullo bellissimo; un giorno di primavera passeggiando s’imbatté in una fonte che formava una larga e profonda polla di acqua cristallina. Narciso si chinò per bere, vide la sua immagine riflessa nell’acqua e se ne innamorò perdutamente. Tentò di afferrarla per congiungersi ad essa, cadde nella polla e così, solo morendo, si ricongiunse alla sua immagine. Vediamo i passaggi: il fanciullo ignaro, probabilmente, incontra una polla che lo apre alla visione di se stesso, ma lo sa?, spostato in un altro mondo dove abitano i nostri “doppi”. La polla in realtà fa da specchio; è uno specchio. E lo illude, ma lui non lo sa, che ci sia qualcun altro in carne ed ossa; un qualcuno che è bello oltremodo, come egli stesso. Lo specchio allora è richiamo (illusorio e ingannevole: ma lui non lo sa) ad una storia d’amore impossibile; non si hanno storie d’amore con dei fantasmi, con delle figure. O per lo meno, sono storie d’amore in perdita. Richiamato dalla profondità ammaliante dello specchio, vi si tuffa e vi muore dentro: la metafora è che forse non è dato prendere alcuno, neanche se stessi. Lo specchio, la polla nel paesaggio arcadicamente tenero e accoglitivo, è una trappola per chi crede che davvero nell’al di là ci sia qualcuno; è solo una rappresentazione. Seppur mobile, viva e seducente. Quindi, prima o poi, inconsapevolmente, i bambini s’incontrano in uno specchio; ma non possono, nonostante ci provino e ci tentino, andare oltre e dentro. E non solo; continuano a tornare allo specchio, rassicurati di se stessi, innamorati di se stessi. Se non fosse che il rischio è che ci restino incollati, allo specchio, non potendo più allontanarsi pena un’angosciosa convinzione di non esserci. Allora farsi un autoritratto è un modo per portarsi dietro ogni volta; è un modo per rimanere in colloquio con se stessi, è un modo per tenersi insieme; non scollati, non dimentichi di se stessi; è un modo per coltivarsi nell’amor di sé senza rimanere impigliati nella visione. È anche memoria della prima volta quando siamo sorti a noi stessi che portavamo la faccia, inconsapevolmente. Forse non sapevamo neanche di averla, anche se a dircelo erano gli occhi della madre. Ma non basta: è che vogliamo vederci bene, noi stessi medesimi, vogliamo appurare bene che ci siamo e che abbiamo un volto con gli occhi che sono spec-

chio agli e degli altri, oltre che a e di noi stessi. Forse l’autoritratto è l’inizio della fine dell’infanzia; è l’inizio di un lungo percorso che ci farà amare un quadro, come riverbero di un rispecchiamento antico, mitico e primigenio. È l’inizio, l’autoritratto, della capacità di riflettere su e di se stessi senza rimanere estatici e persi nella riflessione; è l’inizio della capacità di dire di sé, sapendo che ci si sta trattando come un oggetto. Trattarsi come un oggetto, soggetto di sguardo, permette una presa di distanza che fa conquistare una visione di se stessi come se ci si guardasse da un altro punto di vista senza con-fonderci, senza perderci e senza smarrirci in una sovrapposizione letale fra “Cosa” e “Rappresentazione della Cosa”. Quindi l’autoritratto è drammaticamente il tentativo di tenerci, di prenderci proprio mentre ci stiamo allontanando dallo stadio di quando eravamo “un’Unica Cosa” ciechi a noi stessi. Ciechi, sì: il ritrarsi e poi il ritrarre gli altri è la fine di una mitica cecità data dall’adesione agli oggetti che erano parte del soggetto vedente. Quindi il ritrarsi e il ritrarre è la drammatica apertura alla realtà della nostra alienazione a noi stessi medesimi; possiamo pensarci, possiamo ritrarci perché Altri a noi stessi. E l’autoritratto è lenimento di questo pianto che Narciso non ha mai pianto. Per questo ci sono autori che ne hanno fatti infiniti senza per questo riuscire a unirsi; anzi avvertendo, dolorosamente, la necessaria e vitale distanza. Straziante lo scoprire che si può esser vitali e creativi solo se non c’è bacio, non c’è distensione sullo specchio; straziante ed esaltante l’idea di provarci, di continuare a provarci in tutti i modi. È nello scarto continuo che allora c’è la possibilità di sognare, fabulare, disegnare, dipingere; tutte memorie elaborate, spostate e rese ricche dal rifiuto di quell’impossibile amore che non può e non deve essere coltivato, pena la morte. Come per Narciso. Il rifiuto di aderire allo specchio e di entrarvi apre quindi all’incontro con l’Altro, davvero Altro da sé: è questo spostamento, questo incontro e questa ricerca dell’Altro che ci sta accanto sulla stessa riva della polla che apre al sogno, alla fabula, al disegno e alla pittura... per non perderlo. Quindi non resta, dopo l’autoritratto, che arrivare al ritratto, al paesaggio, alla natura morta... per cercare qualcosa di “prendibile” da amare.

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1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio

1.1.2 Le facce di pittura Atelier di pittura con le classi 5° A e 5° B 1 della Scuola Elementare di Cotignola. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; insegnante accompagnatrice: Loredana Taroni. Otto incontri per classse1 di due ore ciascuno; da novembre 2003 a gennaio 2004. Progetto, scrittura e conduzione del laboratorio: Massimiliano Fabbri.

2 3

Le facce:

Elenco degli incontri

• cfr. par. 2.1.2

> 1 • La pittura materica e quella liquida > 2 • La pittura liquida e quella materica > 3 • (Re)visione dei dipinti fatti negli incontri precedenti > 4 • Il collage (con carta strappata a mano) > 5 • Il frottage (tecniche miste) > 6 • La pittura divisa (impressionismo, divisionismo) > 7 • (Re)visione dei dipinti fatti negli incontri precedenti

Jackson Pollock

> 8 • Nominare (da artisti)

Joan Mirò

• Una volta consegnato questo progetto alle insegnanti, mi sono reso conto che la questione più affascinante era il volto, e che questo, insieme alla visione di opere di autori “moderni” come Klee, era già un tema bastante a sé. Allora l’idea del laboratorio si è spostata su Le Facce Di Pittura: la pittura come un pensiero nuovo, nuovi modi di vedere e nuovi modi e possibilità di costruzione; abbiamo quasi eliminato il disegno, semplificandolo al massimo, per dare massima potenza e libertà al segno e al colore. Questo cambio di rotta ci ha permesso di intraprendere uno dei viaggi più sorprendenti e significativi degli ultimi anni (ovviamente per ciò che concerne la nostra esperienza); il laboratorio ha acquistato una sua fisionomia (una forma che inizialmente rischiava di essere imbrigliata o frenata dalla volontà di partire dalle connessioni tra arte e scienza). Il collegamento tra queste discipline poteva infatti rendere un po’ “frigido” il laboratorio d’arte: c’era un’idea più viva che spingeva ricca di promesse; l’abbiamo assecondata come se si potesse fare solo ciò di cui si ha voglia, ciò che emoziona, come se un laboratorio, così come un’opera d’arte, nascesse e fosse la risposta ad una urgenza quasi erotica.

Vasilij Kandinskij

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• La 5°A era composta da diciassette bambini, la 5°B da sedici bambini: è stato possibile lavorare con un gruppo numeroso, su di un progetto piuttosto complesso (c’erano sempre un sacco di materiali e strumenti sul tavolo, oltre a molteplici possibilità di utilizzo) grazie ad un affiatamento abbastanza speciale che avevamo costruito con questi bambini, che erano giunti al loro quinto anno di Arti e Mestieri: tra loro, molti frequentavano anche i corsi del pomeriggio.

All’interno di questo laboratorio si propone un percorso che giochi a stabilire paralleli tra la visione al microscopio di elementi della natura (e non solo), ed alcuni esiti propri della pittura astratta. La visione micro ci rivela immagini inaspettate e sorprendenti: ci apre ad una sorta di mondo fantastico che ritroviamo infatti in molte opere pittoriche del 900 (astratte ed informali) dove è forte l’esigenza di rivolgersi al mondo interiore (spesso inteso nella sua accezione spirituale). È quindi interessante notare come qualcosa di “inesprimibile” si avvicini, in alcuni casi in maniera notevole, all’immagine, o meglio, alla visione scientifica. Se arte e scienza non vanno sempre a braccetto, possono però, nel nostro caso, aiutarci a rendere l’esperienza del laboratorio più completa e giocosamente complessa, ricca di collegamenti. Via libera allora alla visione di vetrini così belli da sembrare un quadro o un mondo sconosciuto, e poi opere di artisti che stimoleranno modi di vedere e modalità tecniche e strumentali da seguire e sperimentare; similitudini. Gli esempi e gli spunti provenienti dal mondo dell’arte sono molteplici: l’astrazione di Kandinskij, soprattutto le improvvisazioni e i momenti più lirici, i mondi fluttuanti e antigravitazionali di Mirò, il segno e le invenzioni fantastiche, quasi biologiche, di Klee, e ancora lo sgocciolamento di Pollock, quasi un sismografo che registra le tempeste interne. Il collegamento con il laboratorio realizzato lo scorso anno con queste due classi è rappresentato dal volto: l’atelier dei burattini 2002-2003, preceduto dal disegno dal vero dei mascheroni al Museo Varoli e dalle facce di china.2 In questo caso la faccia diventa uno spazio, un campo d’azione su cui intervenire con sperimentazioni pittoriche. Volto che è quindi comun denominatore e, allo stesso tempo, pretesto, soglia da varcare. Mettere l’arte astratta ed informale dentro alla faccia; giocare su questa contraddizione in termini, con la consapevolezza che l’immagine iconica (la rappresentazione) ha una forza e presa maggiore: usare l’arte astratta per aumentare ulteriormente l’impatto e l’energia di queste immagini. Stupore.3


Le facce di pittura Ogni singolo atelier era strutturato in tre momenti: il primo consisteva in una proiezione (in camera oscura con episcopio) in cui si proponevano ai bambini due o tre dipinti che servivano ad introdurre il tema affrontato nel laboratorio; il secondo era un piccolo e veloce dipinto realizzato da me a scopo dimostrativo; nel terzo i bambini “finalmente” dipingevano.

Il tema è il volto, la faccia dipinta; il viso diventa forma inquieta, spazio aperto e potenziale, campo d’azione e di battaglia su cui intervenire con invenzioni, sperimentazioni e moti di curiosità ludica. Il volto è comun denominatore e, allo stesso tempo, pretesto, soglia da varcare. >1 • Il primo momento non è, da un certo punto di vista, indispensabile; in qualche modo è nato anche come pretesto o prova per mettere i bambini di fronte ad immagini non convenzionali, o di cui ignoravano l’esistenza. Queste proiezioni si sono però rivelate estremamente importanti ed hanno facilitato la comprensione ed il collegamento con l’attività svolta nell’atelier; hanno stimolato un “dibattito” ed un approccio serio, nonché una certa dose di curiosità ed impegno nei bambini e, cosa molto importante, non li hanno schiacciati in tentativi sterili e frustranti di emulazione. Queste immagini hanno offerto stimoli e aperto possibili direzioni: per i bambini sono state strumento di emancipazione. > 2 • Il secondo momento è una sorta di congiunzione tra la proiezione dei quadri e il dipingere del bambino: qui io faccio un dipinto davanti a loro mostrandogli materiali e tecniche, modalità e possibilità; è come se smontassi un giocattolo (o un meccanismo) mettendone a nudo strutture, trucchetti, casualità e bellezze… Si tratta di un’ introduzione al fare e, allo stesso tempo, un piccolo spettacolo performativo: la pittura è unica e questa cosa sta succedendo qui e ora, solo per noi. Magia.

Ogni bambino ha dipinto su cartoncino bristol o murillo della misura di cm 50x35 circa.

> 3 • Il bambino ha ricevuto degli stimoli, è carico e concentrato; ha voglia di fare e ha già, in parte, conosciuto materiali e possibili modi d’impiego: che la pittura abbia inizio! Questo è il momento in cui il bambino può fare ciò che vuole (anche disfarsi delle tecniche, o inventarne di altre: unica regola tutto questo deve avvenire dentro, sopra, nella faccia). Per un po’ il bambino è solo…

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Disegni di Massimiliano Fabbri nel libro Le facce di pittura (cfr. par. 3.4, p. 242).


Le facce di pittura

> 1° incontro • LA PITTURA MATERICA

Ilaria

Ilaria

Renée

Nel primo incontro i bambini potevano dipingere un volto con pittura materica oppure uno con pittura liquida. Siamo partiti con la proiezione di Senecio di Paul Klee: Senecio è una sorta di grande saggio che ci ha accompagnato in questo viaggio diventando il nostro angelo custode. La sua potenza risiede nella sua geometrica semplicità; la faccia è pittura pura, superficie, spazio e architettura. Senecio non parla, annusa e soprattutto guarda. Il suo pensiero è lineare e filosofico; l’occhio è il tramite, la porta. Una visione nuova e sorprendente ci è restituita da quest’occhio dolce, famelico e animale. Il silenzio è di questo dipinto. Che cosa vede?4 Pittura che evoca la profondità e il mistero della mente, del mondo. Pittura sotto incantesimo. A cosa pensa Senecio? (La sintesi di questo volto e la sua “facilità” sono subito comprese dai bambini che entrano e si inoltrano nella pittura pura, nei rapporti di colore, nei morbidi passaggi e nelle piccole sfumature.)

4

• Al primo gruppo ho proiettato anche l’autoritratto con gli occhi chiusi, sempre di Klee, Autoritratto sapiente, per mettere in contrasto queste due visioni: una esterna e una interna.

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Paul Klee

Scesi nel laboratorio (la camera oscura è al primo piano) ho fatto per loro due dipinti, uno con pittura grossa, l’altro con una materia sottile e liquida. Dopo questa “dimostrazione” i bambini potevano scegliere da che parte stare: due file di tavoli li aspettavano, la prima predisposta per la “pesantezza” ossia tempere, spatole, pettini, eccetera, la seconda preparata per la “leggerezza” con chine, acquerelli, spugne... La pittura materica è fatta con tempere ed acrilici a cui possiamo aggiungere vinavil e sabbia. Non si usano solo pennelli, ma anche spatole (quelle grandi da stuccatore), pettini, chiodi, spugne, rulli, bacchetti e altro ancora. Il colore è dato grosso, si stende e sovrappone, lo si può scavare, graffiare ed incidere finchè è fresco (il graffito lo facciamo anche con pettini e spazzole che creano texture affascinanti). L’effetto è di grande potenza ed energia. La pittura è stratificata. Simone

Paul Klee

Nicolas De Staël

Al secondo gruppo ho poi proposto una coppia di dipinti: un’Improvvisazione di Kandinskij per la pittura liquida e uno di De Stäel, dalla serie Parc des Princes, per quella materica. I quadri proiettati hanno riscosso successo e destato meraviglia tra i bambini: con Kandinskij non smettevano più di sorprendersi scovando figure inattese tra e nelle forme, facendo libere e stravaganti associazioni, pur sapendo benissimo che si trattava di un quadro astratto; con i calciatori di De Stäel un moto di stupore, dopo le delicatezze dell’immagine precedente, un impatto visivo forte ed energico, una sferzata che spinge in direzione opposta. Infine Klee, veramente molto vicino al loro modo di sentire, pieno di invenzioni e subito riconosciuto come punto di riferimento.


Le facce di pittura Julian Schnabel

> Ma non ti bastano i pennelli? (Come dipingere meglio utilizzando arbitrariamente pettini e posate).

Mattia Moreni

Carmen

«La famiglia della pittura materica ha case di cemento armato, roccia e pietra. Sono case spesso un po’ buie e che assomigliano un po’ a caverne, ma non abbiate paura, entrate… Ci sono collezioni di spatole e pettini, spazzole e rulli, forchette e bacchetti, stracci e pennelli molto grandi, e un sacco di altre diavolerie; tutto è un po’ sporco di colore. Gli abitanti si chiamano materici che non vuol dire che sono di Matera, ma che fanno la pittura grossa; gli piace mescolare al colore altre cose, dalla sabbia alla segatura, dalla terra ai legnetti, e poi paglia, cocci, sassi, a volte abiti, ossicine e capelli. Insomma un po’ tutti i tipi di rifiuti o le robe che incontrano camminando in riva al mare (o in una discarica) quando cercano l’ispirazione (a volte questa roba gli cade in testa oppure ci inciampano e così la chiamano illuminazione o, i più modesti, intuizione). Sono drogati di vinavil che serve per tenere aggrappate al colore tutte queste cose. Assomigliano un po’ a dei cuochi che fanno ricette strane e sorprendenti (uno dei capo-cuochi è tedesco e si chiama Anselm Kiefer, che di secondo lavoro fa il muratore-archeologo). La famiglia materica è un po’ pesante: i divani sono di ferro, così come i letti, i libri di piombo, i vestiti di gesso, i materassi di legno o pietra. Sono dei duri, ma a volte dopo un po’ si screpolano, oppure capita che cadano dai chiodi piantati nel muro (il quadro più materico del mondo ha fatto crollare una casa). Sono parenti della famiglia liquida ma non vanno sempre d’accordo, e pensare che a volte insieme stanno bene per davvero. La loro musica preferita è il rombo del tuono, le chitarre dei Marlene Kuntz e tutti i “melodicirumori” degli Einsturzende Neubauten. P.S. Sotto un quadro di pittura materica ce ne sono sempre due o tre nascosti, uno sopra l’altro; loro vanno fieri di questa cosa, ma in realtà non se ne accorge quasi nessuno. P.P.S. Tra questi pittori ricordiamo: Julian Schnabel, Frank Auerbach, Nicolas De Staël, Mattia Moreni, Gerard Richter, Georg Baselitz, Hans Artung, Robert Rauschemberg, Cesare Baracca.» Il signor materico è pieno e pesante. La sua pittura è grossa, sovrapposta e stratificata. Le facce hanno mille accostamenti e sfumature. La pittura è tante pitture. La pittura ha la storia dentro.

Frank Auerbach

Nicolò

• Storia semiseria della pittura materica

Gerard Richter

Hans Artung

Anselm Kiefer

Cesare Baracca

Nicolò

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Le facce di pittura

Francesco

Veronica Nicolò

Nel secondo incontro abbiamo sperimentato l’altra possibilità: chi aveva dipinto “pesante” passava al “leggero” (e viceversa) cambiando tavolo, modalità, materiali, tecniche e strumenti. La pittura liquida è fatta con chine, acquerelli e tempere molto diluite; ama i pennelli a punta tonda per tocchi lievi e sinuosi. Il colore si scioglie ed espande, fuoriesce dai contorni, bisogna domarlo o assecondarlo; le sbavature e il mescolarsi diventano regola per ottenere effetti morbidi e sorprendenti. Questa pittura è leggera, e trasparente, di materia quasi organica. La pittura è un velo, una pelle sottile, elegante e delicata.

Claudia

Renée

> 2° incontro • LA PITTURA LIQUIDA

Irene

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Vasilij Kandinskij


Le facce di pittura > Nuotare nell’aria

• Storia semiseria della pittura liquida

Paul Klee

« Se vi piace espandervi ed assottigliarvi rientrate a pieno diritto nella famiglia della liquidità; ecco alcuni consigli che vi serviranno per evitare brutte figure: costruitevi case di carta preziosa e/o quasi trasparente (se siete un pò poveri va bene anche la carta velina). Bevete moltissima acqua, amate i ristagni e le goccioline e, se siete bambini, saltate dentro ad ogni pozzanghera che incontrate, e giocate alla battaglia navale dentro ai lavandini. Sguazzare è il verbo preferito. Le persone della liquidità, o pittura acquatica, sono sottili e velate, leggermente malinconiche; si stupiscono perennemente di fronte alle cose, sono profumate e, a volte, per troppa leggerezza, volano via o si disperdono. Sono fragili e sottili. Quando dipingono assomigliano a dei maghi perché in un secondo fanno succedere cose sorprendenti.Il capo mago si chiama Paul Klee, che di secondo lavoro fa l’architetto equilibrista-celeste. La famiglia liquida ha una collezione di spugne bellissime, e una serie infinita di barattoli e vasetti in cui conservano ed archiviano l’acqua di tutti i mari, i laghi e i fiumi del mondo. Amano i pennelli a punta tonda, quelli morbidi e sinuosi, adatti per l’acquerello e le scritte giapponesi (ideogrammi). I liquidi pensano a volte che la pittura materica sia poco raffinata ed elegante, eccessivamente brutale e un po’ grossolana; la prendono un po’ in giro, e a volte hanno provato a scioglierla. Capita che non asciughino mai, ma questo succede anche alla pittura grossa, P.S. Della famiglia liquida fanno parte: Cy Twombly, Marlene Dumas, Francesco Clemente, Arshile Gorky, Massimo Pulini, Franco Pozzi, Sabrina Foschini. P.P.S. Sport preferiti: nuoto e mongolfiera; film: Film Blu, Lezioni di Piano e tutto Greenaway. » La signora liquida è leggera e trasparente (come una foglia); velata. La pittura è bagnata e diluita; si scioglie e si espande sottile, incontrandosi e mescolandosi con altri colori.

Cy Twombly

Francesco Clemente

Marlene Dumas

Arshile Gorky

Massimo Pulini Franco Pozzi

Nicola

Francesco

Renée

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Le facce di pittura

> 3° incontro Francesco

Nel terzo incontro ci siamo concessi una pausa necessaria: i bambini hanno ripreso in mano i due dipinti realizzati negli incontri precedenti sui quali sono intervenuti ulteriormente con pastelli a olio (oltre ai materiali già sperimentati). Il pastello a olio ha rappresentato un anello di congiunzione tra la pittura liquida e quella materica; ha permesso il loro incontrarsi, sporcarsi e mescolarsi, oltre che rafforzare ed “ingentilire” alcune caratteristiche già presenti nel dipinto. Non si tratta semplicemente di finire o rifinire i volti dipinti, ma di un’operazione che vuole stimolare un secondo sguardo, un atteggiamento “critico” del bambino rivolto al proprio fare, un raffreddamento caldo ed emotivo, che sposta ancora in avanti. Il laboratorio cresce, si affina: è un organismo. Respiro. Il bambino acquisisce e poi “impone” al laboratorio il suo passo e le sue accelerazioni, infondendo verità; empatia. Tutto ora sembra necessario, indispensabile, rispondente ad un’urgenza.

> 4° incontro • IL COLLAGE (vietato usare le forbici) Il collage è fatto con carta strappata a mano; così facendo la carta forma dei bordi frastagliati ed irregolari che sembrano vellutati ed assomigliano a delle nuvolette. Pare quasi di dipingere tanto è affascinante l’effetto (sembrano quasi sfumature). In questo caso seguiamo i consigli che ci ha suggerito e mostrato il signor De Stäel.5 Nel nostro caso sempre di una faccia si tratta: i bambini ricavano da un grande cartoncino una forma per il viso: strappandola con le mani ottengono una forma più o meno irregolare ed asimmetrica, poi tutti i particolari del volto: occhi, naso, bocca, orecchie, cicatrici ed altri segni particolari.

Renèe

Nicolas De Staël

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5

• Anche Piccolo Giallo e Piccolo Blu di L. Lionni e Chi ha paura delle fiabe? di A.Breccia utilizzano una tecnica simile.

Veronica

Nicola

Veronica

Arianna

Ilaria

Claudia

Mattia

Prima di incollare questi elementi gli suggerisco un gioco: spostare questi “ingredienti” per modificare le espressioni del volto (l’inclinazione delle sopracciglia, una bocca aperta piuttosto che chiusa, differenti pettinature e così via); da questa gamma di possibilità estrarre quella più “giusta” e fissarla con la colla. (I bambini hanno utilizzato cartoncini bristol colorati, e hanno anche “pescato” da un grande contenitore-archivio a scomparti pieno di svariati tipi di carta: dai sacchetti del pane alla carta di riso, dalla velina a brandelli e pezzi di dipinti scartati, dalla carta da parati a vecchie fotocopie e quotidiani; per incollare abbiamo usato colla stick.)


Le facce di pittura

> 5° incontro • IL FROTTAGE (forse frottage vuol dire sfregamento?) Abbiamo disegnato un volto su cui siamo intervenuti con il frottage. Il frottage lo facciamo con pastelli a cera: sotto al foglio mettiamo cose ruvide come svariati tipi di reti e reticolati (plastici e metallici), cartone ondulato, carta vetrata e da parati, cortecce e assi di legno, foglie, gomme (suole di scarpe, pavimentazioni antisdrucciolo).

Nicola

Nicolò

Veronica

Claudia

Le texture sono affascinanti e illimitate; se ne sovrapponiamo due avremo una texture a potenza. (Abbiamo poi integrato e complicato la faccenda fornendo ai bambini le chine colorate e i pastelli a olio.)

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Le facce di pittura Henri Matisse

Vincent Van Gogh

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• Questo laboratorio non era inizialmente previsto; avevo però da poco cominciato Da Bisanzio ai Pixel (cfr. par. 1.1.3) a Barbiano (tutto giocato intorno all’idea di una pittura frammentata per tessere e moduli) e così ho avuto voglia di inserire anche questa cosa con i bambini di Cotignola che mi sembravano particolarmente ricettivi e vogliosi di ulteriori scoperte e sfide. Una scelta poco ortodossa e razionale (c’era un labile collegamento con il collage e soprattutto con il frottage, per via di una superficie vibrante e texturizzata) che rispondeva ad una curiosità tutta mia (così come il collegamento tra i due laboratori), ma chi fa un laboratorio deve assumersi, in certa misura, dei “rischi”.

Abbiamo aperto questo incontro con la proiezione di due autori che, da un certo punto di vista, rappresentano il massimo grado di contrasto all’interno di uno spettro che abbraccia tutta la pittura impressionista, puntinista e divisionista. Senza pretese filologiche, abbiamo messo insieme (mentalmente e visivamente) tutti quei pittori che, in qualche modo, hanno utilizzato un tipo di pittura in cui è assente la campitura e il disegno. I due autori presi in esame sono Van Gogh e Seraut; il contrasto balza agli occhi immediato: il primo gioca tutto in piccoli, decisi e ripetuti tocchi frenetici che creano un vortice, un’ansia che diventa motivo, il secondo con un ordine, ritmo e pulizia quasi tecnologici (e spirituali). La pennellata quasi tirata e lacerata di Van Gogh insieme a quella, meccanica e ripetuta, di Seraut: tra questi gli impressionisti e alcune cose dei fauves, come Lusso, calma e voluttà di Matisse. Ho poi fatto un disegno per i bambini (mettere a nudo la struttura, svelare trucchi e meccanismi, fargli vedere come si può fare e anche che, si può fare). In questa pittura i contorni non esistono più. Al posto di segni e linee abbiamo puntini e tocchetti; anche le campiture sono sparite insieme alle sfumature: possiamo parlare di passaggi. Puntini, tocchetti, trattini: grandi e piccoli ed orientati in tutte le direzioni: orizzontali, verticali, obliqui, concentrici. Il nero è quasi vietato: le ombre hanno colori freddi e le zone, toccate dalla luce, caldi. Una pittura vibrante e luminosa; divisa e parcellizzata quando ci avviciniamo, ricomposta quando ci allontaniamo.5 Nicolò

5

George Seraut

> 6° incontro • LA PITTURA DIVISA (o la faccia parcellizzata)

Il signor Aggregato Atomico Antimateria è cellulare, composto e puntinato; a volte l’aria lo attraversa e lo rinfresca, scompigliandolo un po’. È leggermente ingannevole, ma se ti avvicini ti mostrerà com’è fatto. Attento però, potresti parcellizzarti anche tu! E scomporti...

Nicola

Nicola


Le facce di pittura

> 7° incontro

7

Abbiamo ripreso in mano i disegni e i dipinti realizzati negli ultimi tre incontri. In questo caso, oltre a stimolare un atteggiamento critico nel bambino, come ho descritto in precedenza, offriamo la possibilità di utilizzare tecniche miste, un attraversamento libero tra i materiali via via sperimentati che permette al bambino il consolidarsi di una memoria, riprendendo ciò che più l’ha divertito o che lo incuriosisce, mescolando, sovrapponendo, eliminando barriere e scompartimenti. Ecco allora la pittura entrare sopra al collage, la china adattarsi, coprire e ritirarsi sulla texture fatta a frottage con le cere, il segno del pastello a olio definire una pittura troppo sfuggente, ed infine anche il sentirsi rispondere: – Questo lo lascio stare, non gli faccio niente perché mi piace così; non lo modifico con nessun intervento perché va già bene. – Legittimo. Ma il vero motivo dell’ultimo incontro è la consapevolezza del percorso svolto: ormai i bambini si sentono quasi artisti e allora non gli resta che nominare i loro prodotti: riguardiamo tutto e poi diamo un titolo, un nome ad ogni faccia, un vero e proprio soffio vitale. Ogni bambino prende la cartellina piena delle sue opere e pensa alle parole giuste per ogni dipinto (le scrive man mano sul retro del foglio a cui è riferito il titolo; non ci sono regole possono scrivere ciò e come vogliono). Alla fine la cartellina di ogni bambino contiene circa dieci dipinti: chi la guarderà si troverà di fronte ad una vera e propria galleria di personaggi, quasi una storia latente che aspetta di essere completata, un quasi libro; una mostra da viaggio? Il laboratorio si è concluso con una mostra intitolata La Scuola degli Sguardi in cui i disegni dei bambini sono stati esposti in un grande allestimento di circa sette metri per tre; una parete brulicante di sguardi, un muro di pittura moderno e da togliere il fiato (lo stupore era, prima di tutto mio, come quando si monta una propria mostra e ci si accorge di vedere i quadri come per la prima volta o, perlomeno, in un modo estremamente lucido ed esatto, e ciò trasmette un piacere particolarissimo che, da un certo punto di vista, è il vero motivo di ogni mostra).7 La mostra è stata allestita nelle sale di Palazzo Sforza di Cotignola nell’ultima metà di maggio del 2004.8

> 8° incontro

• Sono innamorato e perennemente catturato dagli allestimenti, e questa mia attitudine investe ovviamente anche il modo in cui presento i lavori dei bambini; voglio una macchina spettacolare, un meccanismo emotivo e sensoriale che non lasci scampo.

8

Per ultimo la costruzione di una cartellina individuale che contiene tutti i dipinti del singolo bambino.

Francesco Pier-Root

Francesco Er Patacca

Giorgia Arcobalenino

Mattia Il signor Piangi inchiostro

Arianna Farfallone

Arianna Diviso a metà

• Alla fine della mostra i bambini hanno portato a casa le loro cartelline piene di dipinti (mi piacerebbe che li attaccassero in casa, ma non sempre i genitori hanno buon gusto!) e la locandina della Città dei Bambini che riportava una selezione di alcuni loro dipinti (cfr. par. 5.3). A memoria e storicizzazione di questo laboratorio ho costruito un libro che raccoglie i dipinti che ho fatto per i bambini ad introduzione dell’attività, alcuni scritti e considerazioni, oltre a qualche storiella che mi ero inventato e che accompagnava e seguiva questi momenti. È una documentazione calda, è un libro Arti e Pensieri (cfr. par 3.4).

Giorgia Tontino

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Arianna Nuvolone

Giorgia Brutus Tristus

Ilaria Acquoso

Carmen Vecchio gnomo


Galleria

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La scuola degli sguardi Particolare dell’allestimento, Palazzo Sforza, Cotignola, Maggio 2004. Fotografia di Daniele Casadio.


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio 1.1.2 Le facce di pittura

1.1.2.B Il mai finito: o del volto guardare attraverso, oltre e dentro Immergere, immergersi Esplorazione di sé; è di questo che si tratta?! Parrebbe di sì. E se è questo, allora va chiarito da subito che la ricerca, il tentativo di prendersi e di restituirsi a sé e agli altri, il tentativo di comprendere “come si è” e “come si è visti”, il tentativo di comprendere e forse scoprire se il “come si è visti” dagli altri e da se stessi medesimi corrisponde, aderisce ed è quindi la stessa cosa del “come si è”... sono interminabili operazioni in cui si rischia, come non pochi pittori, di “rimanerci tutta la vita”; cosa che per altro facciamo tutti noi, pur non sapendolo. Come appariamo? Come siamo? Forse siamo l’esito incrociato degli sguardi altrui e dei nostri; non siamo altro che la restituzione di un’immagine da parte di uno specchio: quello vero che tocchiamo da bambini per capire chi c’è dentro e oltre la superficie così netta, liscia e senza ingressi: eppure chi vi è dentro si muove! Ma siamo anche la restituzione di quello che dagli occhi altrui passa nei nostri. Avvicinarsi agli occhi degli altri per vedersi dentro alla pupilla altrui, è infinito gioco infantile. Forse se si appare a qualcuno, allora si è? Forse che se ci disegniamo e se siamo disegnati ci siamo per davvero? Il disegno, il segnare di nuovo e daccapo, forse ci garantisce che ci siamo: è traccia parlante, è testimonianza, che si può seguire con gli occhi e le dita, che il volto, in quanto rappresentato c’è e si è visto: è stato colto, se non catturato. In quanto parte vitale e parlante della nostra stessa psiche, del nostro esser al mondo il volto si dà solo negli scorci, nei lacerti, nelle pieghe, negli spigoli della sua mobilità che ci certifica vivi; perché se è vero che vogliamo coglierci è anche vero che quello che si coglie, non è del tutto il noi stessi o l’altro che si è voluti cogliere. Come si fa a fermare la vita? Tutto il lavoro sul volto è una caccia, una sfida, un nascondino, un gioco a sorprendersi... e pur a confermarsi dandosi quell’attenzione amorosa che ci permette di esibirci e uscire per strada offrendo il volto

agli altri. Ora se l’attenzione amorosa, l’innamoramento per il nostro volto è necessario per poter uscire, è altrettanto necessario distoglierci da questo per non rimanere impigliati in un’esplorazione infinita del suo mutare e del suo divenire nel tempo e con il tempo. Lo specchio va rotto per sapere che il volto continua ad esserci anche se non ce lo possiamo guardare mentre lo portiamo. Enigma che ha affascinato, attratto, sedotto e ipnotizzato intere schiere di artisti alle prese con infiniti autoritratti e anche intere schiere di committenti di ritratti che pensavano e pensano così di meglio capirsi capendo e vedendo come erano ritratti dal pittore, Altro per eccellenza. Allora le differenti tecniche e passaggi messe in campo dal maestro sono, come si diceva, una sfida, a prendersi scoprendo che ogni volta si può essere - e si è - diversi nella propria immutata identità che ci fa dire: “Quello sono IO, nonostante...” Allora forse ci accorge che le tecniche con le quali si può cercare di ritrarre dapprima se stessi e poi gli altri, non sono altro che il mutare affettivo, emotivo, percettivo del nostro volto che chiede proprio quelle tecniche lì per dirsi e darsi nelle modalità con le quali è in un certo momento. A volte pallido riflesso della nostra identità, a volte orizzonte delle nostre visioni, altre volte trasfigurato dai nostri sogni, dai nostri abbandoni e dalle nostre emozioni e vissuti, altre volte deformato da queste e da questi sia nella loro versione gioiosa che melanconica e dolorosa, altre volte preso dalla nostra partecipazione flessuosa e partecipe alla bellezza del mondo, il volto si presta a un lavorìo infinito: è “in fieri”. Forse i bambini scoprono, o meglio intuiscono e colgono, che ci sono momenti di essere e di non essere, di stabilità e di mutamento che si intrecciano; di pieni e di vuoti, di movimento e di stasi che sono compresenti; infine apprendono che ogni tecnica coglie meglio alcuni lacerti di vita di altri, come se fosse, la tecnica, un prolungamento dell’occhio emotivo e sentimentale che ci portiamo con noi. Il volto, a volte, sarà teso e terso, altre pastoso e appesantito, altre sfuggente e sognante, altre ancora fermo e deciso... allora dove sono i colori a olio, i pastelli a cera, le chine... per restituirlo e per rifarlo, per crearlo? Luogo del possibile e del necessario, il volto è la prima sfida di ogni pittore, ma anche di ognuno di noi, ha aperto con se stesso per

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cercare di capirsi. Quindi il volto sarà a volte quello restituito dalle nostre mani guardando attraverso uno specchio in un compreso gioco fra l’occhio e ciò che tracciamo, altre volte quello restituito dagli altri mentre ci disponiamo a farci, forse, prendere in un momento di cedimento. È di questo trascorrere e trascolorare che il maestro tratta con i bambini anche quando con la fotocopia dell’autoritratto essi potrebbero pensare di avere qualcosa di più consolidato in mano; è soltanto, in realtà e legittimamente, una matrice che appunto, in quanto tale, ci darà volti che sognano di essere, come accade davvero, presi dal vento e nel vento. Perché farsi un autoritratto e farsi fare un ritratto ha a che vedere con l’affermazione dell’esserci, ma anche con l’apertura alla possibilità di essere diverso. È una fantasia questa che sempre coglie ognuno di noi: oscillanti come siamo fra storia e natura e catturati, ogni volta, da sogni di metamorfosi e di nuova nascita a noi stessi. Certo che potremmo volere un volto di animale: quello che sentiamo ci attrae o ci disgusta! Forse lo siamo anche un poco, quell’animale che ci attrae e disgusta insieme. È in questa mobilità fra innamoramento, ironia e autoironia, fra fughe e ritorni, fra esplorazioni realistiche e reinvenzioni emozionate ed emozionali, introspettive e ludicamente estroverse che il maestro mantiene i bambini permettendo loro una sorta di appropriazione per tentativi, avvicinamenti e soprattutto rivisitazioni. Perché del volto non ci si stupisce mai! Silenzio, per favore: è dal silenzio che da sempre si parte per cominciare un’avventura: tecnica largamente usata e conosciuta in ambito pedagogico; forse mutuata dalla religione. Silenzio. Ed ecco allora e ancora una camera oscura con un episcopio e dipinti proiettati e i bambini presi, rapiti e incantati della irruzione della forma e dei colori; tacere e immergersi, entrare perché presi e sopraffatti: è il primo passo per avvicinarli all’ovvio, al dato, al sempre conosciuto e all’indescrivibile di ognuno di noi: il volto è un pretesto per un viaggio nel corpo stesso della sua pittura, vale a dire delle tecniche e delle “scuole”. Perché la pittura continua, nonostante i secoli, a confrontarsi con il volto e il corpo umano. Poi, come accadrà spesso, il maestro dipinge davanti ai bambini. a dar conto di come si può fare e del fatto che si può certamente fare qualcosa con pennelli, colori e quanto altro lascia segni e tracce; il maestro che fa qualcosa per i bambini, dandosi come modello, li rassicura e li affascina con i loro occhi che vedono, proprio da vicino, quello che, per loro, resta ancora un mistero. Forse il fatto che il maestro dipinga per loro li avvicina meglio al

compito di misurarsi con quello che va preso e catturato con i gesti che segnano e colorano. Il bambino quindi, prima immerso dentro e predisposto, poi con gli occhi presi dall’oscuro che si colora e che dilata e apre gli occhi stessi e infine sostenuto anche dalla mano dell’adulto, può provare a fare da solo perché carico di spunti e agganci; può partire e mettersi alla prova. Vediamo cosa viene offerto ai bambini: il sogno del fluttuare della materia del colore visionario, la forza tirata con energia di spatole di colore, il panorama di un volto che sogna se stesso e il mondo nel silenzio della sua fronte; immagini, tecniche, approcci e “pitture” diverse come a disorientare (è questo che persiste nell’approccio del maestro) i bambini; semplicemente a renderli scopertamente sensibilizzati soprattutto a ciò che come il volto, seppur sempre visto, resta non prendibile. E questo i bambini lo devono in qualche modo sapere; forse hanno una prima consapevolezza di sé come esseri in divenire. Esseri dentro a un flusso. E se non ce l’hanno, la sviluppano con questo lavorìo. Il lavoro sul volto diventa anche, nella su problematicità emblematica del nostro esseri in vita, anche un percorso nella storia della pittura ovvero di uno specifico modo di fare cultura che è pur sempre costruzione e ricostruzione di configurazioni. Il lavoro sul volto quindi diventa pretesto, come già si diceva, per avviarli a comprendere la variegata gamma di tecniche e possibilità di riproduzione creativa, in parallelo alla variegata gamma dei modi di porsi del volto. Sono come aperti, gli vengono aperti gli occhi a comprendere i diversi modi di fare “pittura” fra liquidità e aggregazione materia: fra piacere della distensione e dell’andare quasi cantando e allargandosi con il gesto sul supporto e arrovellamento dell’aggrumare colore e altro rapprendendo vitalità irruenti. Quello dei loro e altrui sguardi.

Trascorrere, trascorrenze Allora i bambini trascorrono da una tecniche all’altra, da un materiale all’altro fra la leggerezza sontuosa della china e la scabrosità di pezzi di materia; tutto quello che serve a far pittura ha un suo carattere e una sua storia e una sua poetica vitalità e porta a personaggi con le loro precise caratteristiche che, in quanto tali, hanno volti diversi che rimandano a stati d’animo e psicologie diverse. È così che nel gioco del fare pittura i bambini spostano la loro onnipotenza, la loro magia percettiva e fabulatoria, il loro animismo, che dà vita ad ogni cosa, dal piano della realtà agita al piano del rappresentare, dando vita e forma a qualcosa di nuovo che ha una sua storia.


Qualcosa di nuovo che ha una sua storia sia perché fatto con il tempo da essi stessi medesimi utilizzato per farlo emergere sia perché - questa storia - gliela si può costruire e ritagliare intorno poi, a opera conclusa: opera che, per altro, conclusa non è mai se si inventa una storia sui personaggi a cui si è dati forma. A partire da sé si arriva quindi a costruire e ricostruire altri da sé con le loro specifiche storie: ma, forse gli altri non sono altro che la realizzazione delle nostre multiple identità! E ancora va sottolineato che, in questo produrre opere diversamente pensate, i bambini passano da un piano all’altro sia del fare, sia dello stesso concettualizzare la pittura stessa in un gioco che prevede l’esplorazione e la sperimentazione del contrastante e del contrapposto attraverso mediazioni, quale quello, per esempio, del pastello ad olio fra la “pittura liquida” e la pittura ”materica”. Ma fra l’una e l’altra pittura c’è tutta la gamma di altre tecniche che hanno una vita propria e una propria specificità e potenza espressiva come il collage e il frottage in un continuo altalenare fra qualcosa che sfugge e corre fra le dita e qualcosa che fa resistenza e chiede pressioni, azione e insistenza. Come la pelle e il volume del volto e della testa; e come la psiche che vi urge dentro e dietro.

Rimanere colpiti

I suoi bambini prima li porta fra i meandri dello sconosciuto e li sorprende, ma poi li fa confidenti e vicini, al punto che possono usare quello che prima era sconosciuto per portar fuori, portare dagli occhi, che stanno fra l’interno e l’esterno, alle mani realizzazioni che prima non c’erano; realizzazioni che, come la pittura insegna loro in questo viaggio accidentato ma possibile, possono essere immaginate prima, ma poi concretizzate e realizzate sull’asse del reale scendendo dal sogno in cui stavano già o in cui potevano essere annidate e quindi tratte. E tutto questo per vedere come meglio si può prendere, rendere, contornare, definire e restituire una faccia; ambito, area di continua tenzone fra chi guarda e vuole prendere lo sguardo dell’altro e chi invece è lì, davanti al possibile pittore che intanto si riflette negli occhi del soggetto, rischiosamente. È perché accada questa presa che il maestro ha dato ai bambini più possibilità dando loro forse l’avvertenza che è nella continua prova, nella continua mescolanza e avvicinamento di tecniche e infine nell’insistenza a cercare di restituire che forse si può cogliere e anche fermare, restituendola alla visione degli altri, una smorfia, la forza di una bocca, la prepotenza di un naso, la gentilezza dei capelli e la perentorietà delle orecchie. L’intuizione e la pratica del maestro ci confermano che il bambino è trascorrente, mescolatore, ibridante e “cuoco” per la natura stessa delle sue caratteristiche; è in questa alchimia sperimentale poi che sorgono vitalissimi ritratti che ci dicono dell’evidenza prepotente con la quale essi, i bambini, percepiscono il reale. E lo fanno percepire a chi guarda i loro esiti, grazie però a una modalità che ne preserva il “selvaggio” piglio percettivo: meravigliato e poco accademico. Anzi, quasi sorprendentemente scompaginato eppur definito.

Il maestro si caratterizza allora come un accompagnatore che affabula, come ci dicono le storie che inventa e racconta ai bambini con sollevante ironia su tecniche e personaggi della pittura.

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1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio

1.1.3 Da Bisanzio ai pixel Una nuova vita per Giustiniano e Teodora Atelier di pittura e assemblaggio con le classi quarte e quinte della Scuola Elementare di Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri a Barbiano; insegnante accompagnatrice: Alessandra Marzetti. Otto incontri per classe1 di due ore ciascuno; da gennaio a marzo 2004. Progetto, scrittura e conduzione2 del laboratorio: Massimiliano Fabbri.

Piero Manai

1

• La classe quarta era composta da dieci bambini, la classe quinta da tredici.

2

• Lo stesso laboratorio è stato ripetuto da Lucia Baldini nel 2004/2005, cfr. p. 88.

3

• Lo spunto iniziale è costituito dalla visita che i bambini faranno con la scuola presso S.Vitale e Galla Placidia a Ravenna e che anticiperà il nostro laboratorio.

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4

• Le tecniche miste ci aiuteranno ad inseguire questi stimoli, ad innescarne di nuovi, e a comprendere gli accoppiamenti un po’ bizzarri che saranno proposti.

Il laboratorio rivolto alle classi quarte e quinte della Scuola Elementare di Barbiano si propone di sviluppare una riflessione sul mosaico, verso una sua maggiore comprensione che cercheremo di avvicinare e stimolare collegandolo ad alcune esperienze che appartengono all’arte contemporanea. Ripensiamo e rinnoviamo il mosaico con un’operazione arbitraria e poco corretta per rendere il più urgente possibile questa modalità espressiva.3 Partendo da alcune caratteristiche molto evidenti del mosaico bizantino (la frontalità della visione e naturalmente la tessera e il suo modo di riverberare la luce), innescheremo collegamenti con opere e artisti che, in modi e maniere diverse, hanno ripensato a questa esperienza in termini più veloci e moderni, o nei quali mi è parso di poter intravedere una possibile connessione con l’arte musiva, fosse anche solo a livello superficiale o formale. È un modo di riproporre e ripensare il mosaico (aggirandolo e spostando il punto di vista) che fa leva su di alcune intuizioni e collegamenti, come se tutta l’arte fosse al presente, e non chiusa in compartimenti stagni. L’arte è vissuta come territorio di scambio, luogo di invenzioni e relazioni; ciò permette scoperte e traiettorie impreviste. Così, nel nostro atelier, momenti lontani nel tempo e nello spazio si troveranno vicini e forse capaci di mostrare sintonie ed affinità.4 Pittura e assemblaggio che aprono ad altri materiali o modi operativi, come l’utilizzo di riproduzioni e fotocopie, e anche ad un largo utilizzo, in una seconda fase, di materiali di recupero. Dalla superficie pittorica, piatta e bidimensionale, ad un’altra più tridimensionale e materica ottenuta con l’assemblaggio di diversi materiali.

In questo atelier la concezione e la tecnica del mosaico saranno riviste ed affrontate con mezzi e linguaggi diversi che vanno dalla pittura all’assemblaggio, fino ad avvicinarci, in conclusione, al mosaico vero e proprio, mettendolo però un po’ sottosopra, rendendolo, per l’appunto, più urgente. Alla base poniamo un approccio e un atteggiamento poco ortodossi, che ci permetteranno un attraversamento più libero dei materiali e del loro impiego.

Comun denominatore di tutti gli esperimenti sarà il volto e la sua frontalità-centralità bizantina.


Da Bisanzio ai pixel

Enrico Baj

Il lavoro sulla pittura scopre e si serve di Seraut e del post-impressionismo, per riprendere una costruzione dell’immagine in cui manca il segno a favore di una divisione ordinata delle pennellate (una struttura o griglia che è tecnologica, ritmica e modulare e, allo stesso tempo, antica). Il puntinismo ci restituisce un effetto vibrante in cui la luce diventa fatto concreto, così come avviene in un mosaico (di questo esempio in pittura ci interessa maggiormente il modo di concepire ed impostare il volto o una figura, quasi a tasselli, frammenti composti come di visione molecolare, piuttosto che la teoria del colore non mescolato, che potrebbe risultare un po’ complessa e fuori tema). Il volto si sgretola, la pittura si sgretola. Frammentazione e parcellizzazione. Usare una pittura divisa. Perdita e ricomposizione dell’immagine a seconda della nostra vicinanza e lontananza. Composizione e ricomposizione dell’immagine che è anche tipica della risoluzione digitale. I pixel; la bassa definizione.5 E poi il mosaico vero e proprio, e l’assemblaggio, dove la preziosità dei materiali, come l’oro bizantino o i lapislazzuli, è ribaltata nell’utilizzo di materiali di recupero che così vengono nobilitati. Raccolta e riutilizzo: bottoni, tappini, sassolini, legnetti, vetri e ceramiche; piastrelle da rompere per fare tessere.6

Prima del laboratorio sarà necessario stimolare i ragazzi perché intraprendano una ricerca e raccolta di materiali che potranno essere utilizzati nei loro manufatti: fare un vero e proprio archivio di e con tutti quei piccoli oggetti che troviamo e che ci vengono in mente.7

> Elenco degli incontri8 1 • La faccia a quadratoni 2 • La faccia di pittura puntinista 3 • La faccia con i pixel Aldo Mondino

Il laboratorio si è aperto con una narrazione, una storia da me ideata e che serviva quasi a “giustificare” il percorso che ci si apprestava ad intraprendere. Il racconto diventa motivo utile e divertente, permette l’immersione e, in un certo qual modo, prepara all’impegno che sarà in seguito necessario: l’atelier sembra diventare una logica e “naturale” conseguenza; la parola è una sorta di introduzione che serve anche a rendere più comprensibile, al bambino, il tema che gli viene proposto; allo stesso tempo è una fuga narrativa che crea comunità e condivisione.

4 • La faccia di collage 5 • La faccia assemblata 6 • La faccia assemblata 7 • La faccia di mosaico 8 • La faccia di mosaico

Tony Cragg

5

• Artisti che dipingono (con) i pixel (come Chuck Close) o altri che utilizzano timbri (ci si potrebbe collegare anche a Rose nell’insalata di Munari), ci forniscono una versione contemporanea di questo “problema” (che può tornare utile al nostro percorso, indicandoci possibili traiettorie e fughe).

6

• Interessante il lavoro di Scnhabel dove la pittura copre e si adatta ad una superficie scabrosa e pungente di piatti e cocci rotti, frammenti che creano una texture aggressiva e sorprendente, estremamente vitale, che rimanda in una certa misura al mosaico. Per l’assemblaggio pensiamo a Tony Cragg e a Enrico Baj.

7

• Un mosaico di caramelle o cioccolatini alla Mondino?

8

• Questo progetto e scritto iniziale viene consegnato alle insegnanti coinvolte prima dell’avvio del laboratorio; si tratta di un’indicazione che serve a motivare gli intenti e a chiarire il percorso che andremo ad intraprendere insieme ai bambini. Trattandosi appunto di progetto subirà modifiche ed aggiustamenti, molti dei quali avverranno in corso d’opera, in base alle diverse (ed in parte imprevedibili) reazioni dei bambini; reazioni queste che rappresentano il materiale più prezioso per la verifica, costante ed in tempo reale, della “bontà” delle nostre proposte, intuizioni e sperimentazioni. Ciò non toglie importanza alla fase teorica e progettuale, anzi, la rende pressoché indispensabile: una buona struttura permette maggiormente, a mio avviso, un atteggiamento aperto e non intimorito dall’ascolto, una forma mentale capace di adattarsi, mutare e correggere il tiro.

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Da Bisanzio ai pixel

• Veritiera, ma un po’ falsa, storia del mosaico moderno

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« Questi due signori si chiamano Teodora e Giustiniano e hanno 1500 anni, sono nati cioè, mosaicamente parlando, intorno al 540. Considerata l’età, non se la passano poi malissimo. L’artista che li ha realizzati non poteva usare i pigmenti (colori) per via di una strana forma di allergia: – Ecco usiamo un po’ di giallo, etciù! Qui serve un poco di rosso, etciù, etciù! Allora usiamo il blu, etciù, etciù, etciù! Lui amava dipingere ed era quasi disperato; non dormiva più alla notte e non riusciva a trovare una soluzione a questo terribile inconveniente. Va da sé che avesse una brutta cera, così un giorno la sua ragazza gli consiglia di andare alle terme (che erano una specie di piscina) per distrarsi un po’. Gli sembra una buona idea e decide di seguire il consiglio, ma, appena prima di entrare in acqua, cade per terra per il troppo sonno arretrato; sbatte la faccia sul pavimento di mosaico e sviene…Quando si sveglia, l’incontro ravvicinato con queste piastrelline, gli fa venire in mente l’idea che tanto aspettava: – Ma certo, io posso dipingere con le pietruzze! L’invenzione ha molto successo e i mosaici di Ravenna diventano famosi in tutto il mondo; la gente prende il cavallo o, se non ce l’ha, va a piedi, per andare a vedere i nuovi capolavori. Dopo qualche secolo però, la gente è un po’ stufa, e i mosaici non appaiono più così moderni; certo, la gente li va a vedere, ma in modo distratto, non li pensa, non li studia, e di fronte a loro mangia addirittura i panini e, sono sicuro, se fosse già stato inventato, avrebbero anche parlato al telefono cellulare. A questo punto della storia è indispensabile rivelarvi un segreto; quasi tutte le opere d’arte hanno il dono della parola, solo che possono utilizzarla esclusivamente in casi di estrema necessità. E dopo circa 1300 anni di oblio e sguardi annoiati, il caso è veramente eccezionale. Così le figure di pietruzze cominciano a parlare, prima timidamente, poco e piano, poi sempre più spesso e sempre più forte: – Pss, pssst, hei tu, guardami, sono bella? – sussurra Teodora ad un distratto visitatore, e poi Giustiniano, un po’ più forte, ad un altro: –Sono forte, sono giusto, sono Oriente ed Occidente! La gente, subito un po’ spaventata, pensa di essere diventata matta e così fa finta di niente. Ma le voci aumentano e il bisbiglio diventa prima brusio e poi piazza con il mercato. Oramai non si può più tacere su questo fatto, la voce si espande e qualsiasi tentativo di insabbiamento fallisce malamente; vengono chiamati esperti da tutto il mondo che misurano la febbre alle pietruzze. Poi arrivano i preti e persino i carabinieri. Ma nessuno giunge ad una conclusione convincente e le teorie si sprecano. Ma un giorno arriva un signore inglese che di professione fa il viaggiatore e che ha una giusta intuizione: decide di farsi accompagnare da un suo amico pittore, conosciuto anni prima in un caffè di Parigi, un certo Charles Pierre Minet detto Champignon. Di fronte ai mosaici ecco la sorpresa; Teodora parla come un fiume in piena: – Lo sappiamo che sei un pittore, facci di nuovo, dai! Ridipingici, magari con vestiti moderni, cappello e ombrellino, gonne gonfie a palloncino. – E Giustiniano: – Anch’io, anch’io, con bastone, cappello e fiore all’occhiello! Il pittore è ovviamente sorpreso e subito dà la colpa all’aperitivo, ma dopo un attimo di imbarazzo dice: – Non posso più usare le pietrine, nessuno comprerebbe i miei quadri; se fatti con i sassolini peserebbero troppo, e se poi cadono in testa a qualcuno? Non sono neanche assicurato, e poi adesso ci sono i borghesi, non lo sapete? No, no e poi ancora no, non se ne parla proprio! Poi, dopo trentasette minuti di silenzio ed imbarazzo generale, Champignon dice a bassa voce: – Però, a pensarci bene, un’idea ce l’avrei… Siamo circa a metà ottocento e questo pittore, in anticipo sugli altri di qualche anno, inventa il puntinismo, che è una tecnica pittorica che assomiglia un po’ al mosaico. Si chiamerà a volte puntinismo, altre ancora impressionismo e post–impressionismo, divisionismo, e tra otto e novecento sarà utilizzata da un sacco di pittori, compresi quegli sbruffoni dei futuristi; ma anche le stampe di foto e disegni sui giornali e libri utilizzano l’invenzione dei puntini. Più avanti la televisione, i videogiochi e i computer saranno debitori a C. P. Minet detto Champignon. (I puntini sono tornati ad essere quadratini • Mentre leggevo la storia ai e si chiamano pixel e proprio in questi giorni molti pittori dipingono cobambini, venivano proiettati i sì.) Lode a Champignon!»9

9

volti di Teodora e Giustiniano

Ravenna, San Vitale, parete dell’abside del presbiterio; particolari dei mosaici con l’imperatrice Teodora e l’imperatore Giustiniano. Circa 540.


Da Bisanzio ai pixel

> 1° incontro • La faccia a quadratoni

Sydonnie

Perdersi nelle sfumature e negli accostamenti; un lavoro elegante e raffinato, per occhi attenti e curiosi. La faccia è risolta a tasselli di colore molto poco naturalistici; i bambini sono entrati nella pittura pura che è fatta di piccole scoperte ed invenzioni: intime rivoluzioni. Volti sensibili.

Dopo questa storia è stato proiettato Senecio di Paul Klee che ci ha fornito il primo stimolo operativo.10 Senecio è frontale, immobile e silenzioso; è “semplice” come un’icona. È decorativo e minimale allo stesso tempo. La sua sintesi è ottenuta attraverso una costruzione geometrica; una struttura o griglia divide ritmicamente questa testa sulla quale Klee interviene con una pittura estremamente sensibile, tutta giocata su lievi e delicati accostamenti di ocra e rosa; giustapposizioni e sfumature. Dalla camera oscura siamo scesi in laboratorio dove ho fatto ai bambini un dipinto che serviva a mostrare tecniche e materiali e, soprattutto, ad evidenziare e focalizzare il nocciolo della questione, il problema che gli veniva proposto, ossia cosa potevamo usare e prendere dal dipinto appena visto.11 Di Senecio teniamo la frontalità e l’estrema sintesi che in qualche modo lo avvicinano al tipo di rappresentazione dell’icona; sulla faccia semplificata che ha realizzato a grandi linee, il bambino interviene disegnando una griglia, una divisione a quadrettoni o losanghe della superficie del volto, che sarà dipinta molto liberamente (la fase del disegno doveva occupare poco tempo, per lasciare campo libero alla pittura, per non “costringerla” eccessivamente con troppe indicazioni). Il suggerimento dato è poi quello di non usare i colori puri, ma fare mescolanze, cercare e trovare toni personali, scoprire tinte che diano un’atmosfera e temperatura propria al dipinto (abbiamo fatto un ripasso sulle mescolanze dei colori, primari e secondari).

10

• Avevo già usato questo quadro nei mesi precedenti a Cotignola nel corso del laboratorio denominato Le facce di Pittura (cfr. par. 1.1.2, p. 68).

11

• Come ho già ripetuto in precedenza (Le facce di Pittura, cfr. par. 1.1.2) questo momento serve più ad aprire possibilità, e non è vissuto dai bambini come un’indicazione vincolante e portatrice di limiti; si tratta di uno stimolo a cui essi rispondono in modo individuale ed estremamente personale. Tutto ciò li porta semplicemente ad essere più precisi e, se possibile, ulteriormente vogliosi. Io gli mostro come si fa, come si potrebbe fare, e gli faccio capire che la mia scelta è, allo stesso tempo, totalmente arbitraria, grazie a lievi scivolamenti nell’assurdo e nell’imprevisto (cerco di trasformare questa pittura estemporanea in una sorta di piccola performance): faccio e dico cose, dentro e sopra alla mia faccia dipinta, che non potevano prevedere, perché la pittura è stupore e deve stupire, prima di tutto, chi la fa. Lo spettacolo della pittura.

Giulia

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> 2° incontro • La faccia di pittura puntinista

Massimiliano Fabbri

12

• Avrei potuto anche usare alcune cose di Boccioni. (Per Matisse cfr. par. 1.1.2 p. 74).

Giustiniano

Per il secondo incontro, ho scelto un gruppo di immagini che offrissero il più ampio ventaglio di possibilità e differenze all’interno della pittura puntinista: da Van Gogh a Seraut, fino a Lusso, calma e voluttà di Matisse.12 Scesi in laboratorio ho fatto un dipinto ai bambini, un volto in cui non c’erano contorni; al posto di segni e linee ci sono puntini, trattini e tocchi di pennello. Anche il nero è abolito perché si usano i colori caldi per le parti in luce, e quelli freddi per le zone d’ombra (abbiamo fatto un breve ripasso dei colori caldi e freddi). I bambini hanno potuto scegliere la loro collocazione e aderire, più o meno consciamente, ad una modalità espressiva: sistematici alla Seraut, potenti come Van Gogh, sbarazzini e discontinui come Matisse. Piena libertà nell’uso del colore e nel tipo di segno da utilizzare: molti bambini hanno frullato, mescolato e giustapposto diversi tipologie di pennellate, ottenendo un insieme vivo e vibrante. Vincent Van Gogh Sydonnie

George Seraut

Umberto Boccioni

Giulia

Ho proiettato affiancati il volto di Giustiniano con un autoritratto di Van Gogh.


Da Bisanzio ai pixel I bambini si sono divertiti molto (io temevo che l’esecuzione potesse risultare un po’ noiosa per via della lentezza e ripetizione); mi chiedevano: - Ma veramente posso mettere dentro ai pixel quello che voglio? È come se avessero ricevuto una legittimazione ad essere un po’ “sciocchi”; via libera a cuoricini, teschietti ed altri simboli, iniziali, messaggi cifrati ed in codice, eccetera. Senza perdere di vista l’insieme hanno lavorato su di un doppio binario, comprendendo l’ambiguità di queste immagini. (Come nei due casi precedenti i bambini hanno dipinto con tempere.)13 Massimiliano Fabbri

> 3° incontro • la faccia con i pixel Per il terzo incontro siamo partiti da un dipinto di Chuck Close, il volto di un infante che ha suscitato molto interesse tra i bambini. Questo dipinto è realizzato a pixel e da qui siamo partiti con il nostro laboratorio: i pixel sono tutti quei quadratini in cui è scomposta l’immagine digitale. Dipingere con i pixel è un po’ lento, ma molto divertente; dentro ai quadratini puoi metterci quello che vuoi: segni aritmetici, lettere, numeri, ideogrammi, simboli, salami e salsicce… Quando ti allontani non si vedono più e l’immagine si compone.

Sydonnie

> 4° incontro • La faccia di collage Nel quarto incontro la faccia la realizziamo con il collage; la carta introduce lo spessore, il dislivello della superficie, l’elemento materico che da qui in avanti diventerà sempre più centrale.

Chuck Close

Questa lezione ha quasi una funzione di raccordo tra le due fasi del laboratorio. A collage ultimato alcuni bambini sono voluti intervenire ulteriormente con la pittura e i pastelli a olio sulla loro faccia di carta.14

La carta la strappiamo a mano, senza usare le forbici. I bambini hanno usato cartoncino bristol di diversi colori: hanno prima ricavato la forma del volto (del colore che volevano) ed hanno poi strappato gli elementi del viso con altri colori contrastanti. Prima di incollare i pezzi della faccia abbiamo fatto un gioco: spostando naso, occhi, bocca, sopracciglia e così via, si scoprono espressioni diverse che si possono modificare all’infinito, fino a trovare quella giusta. Alla fine si incolla tutto e puoi anche dare un nome al tuo personaggio.

Giulia

13

• Con questo laboratorio si è conclusa la prima parte dell’atelier che affrontava il “problema” con gli strumenti della pittura; la seconda parte si concentrerà su altri materiali (pur non abbandonando del tutto i pennelli).

14

• L’inserimento di questi materiali non era previsto ed è stata una loro richiesta. Sul collage cfr. par.1.1.2. p. 72.

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Da Bisanzio ai pixel

> 5° e 6° incontro • La faccia assemblata

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In previsione del quinto incontro avevamo allestito nell’atelier un lungo tavolo adibito ad archivio di materiali di recupero alla cui ricerca avevano contribuito i bambini. Questa raccolta eterogenea e casuale di materiali e piccoli oggetti, serviva per realizzare una faccia ad assemblaggio, un “mosaico” moderno e un po’ punk dove ai lapislazzuli, ori e pietre preziose si sostituiscono materiali di recupero. Si trattava di una sorta di alfabeto a cui i bambini avrebbero attinto liberamente, uno stimolo ricco e disordinato a cui dovevano rispondere con una forma, in un certo senso, armonica. Dal caos iniziale alla costruzione di un volto, dall’accumulo alla selezione. Come se il nuovo splendore risiedesse nel recupero, nel trasformare e riutilizzare; oggetti di poco valore o da buttare si nobilitano con un atteggiamento ed un fare creativo che è sempre propositivo; l’arte come alchimia. L’arte capace di rinominare e rifare il mondo. Ogni bambino aveva anche portato un cartone che gli sarebbe servito da supporto e che gli ho rifilato e tagliato nel formato da loro desiderato. Su questo cartone (che doveva essere abbastanza grosso per non imbarcarsi) i bambini hanno disegnato con un pastello a cera un volto che è stato poi interamente coperto con uno strato di vinavil molto spesso. Su questo letto di colla i bambini hanno posizionato man mano gli oggetti che sceglievano in base al loro piacere e curiosità (si erano fatti anche dei mucchietti personali di cui erano molto gelosi): legumi di colori diversi, varie tipologie di pasta, e altri materiali come sassolini che potevano rappresentare la pelle e l’incarnato; i particolari del volto sono stati resi con oggetti più voluminosi o preziosi: bellissimi bottoni della nonna, sassi striati e particolari, palline varie, tappini di plastica e a corona, tappi di sughero, conchiglie. Lo sfondo l’abbiamo fatto con ritagli di stoffe e lane prese da uno scatolone pieno di campionari dismessi. L’incontro successivo ci ha permesso di concludere questo lavoro: prima di tutto abbiamo controllato che tutto fosse incollato ed ancorato bene al supporto e, accertato che tutto fosse in ordine, abbiamo preso i pennelli per una ulteriore rifinitura con il colore. Per dipingere abbiamo usato tempere acriliche che hanno la particolarità di essere molto lucide (una volta essiccate) e semitrasparenti (la tempera avrebbe coperto tutto con una pelle opaca e tendente alle screpolature). L’intervento pittorico è stato minimo e ragionato; ovviamente all’interno di questa premessa sono emerse differenze: c’è chi ha dipinto solo gli occhi e qualche altro piccolo particolare con il colore e chi invece ha steso un lieve e raffinato velo di pittura su tutto il volto, pittura che si è raccolta negli interstizi di questa superficie scabrosa, scivolando via dalle parti più lisce, a creare effetti e texture eleganti, complesse ed inattese. Altri ancora hanno dato il meglio di sé nello sfondo, facendo dialogare stoffa e pittura.

Enrico Baj

(Volti pop ed espressionisti, graziosi e selvaggi al tempo stesso.) Alla fine di questo lavoro abbiamo mostrato ai bambini alcune opere di Enrico Baj (sempre con la proiezione ad episcopio); lo scoprire similitudini abbastanza evidenti tra queste immagini proiettate ed i loro prodotti e manufatti, ha creato una lieve incredulità e sorpreso piacevolmente i bambini che hanno finito col riconoscersi a tal punto in queste immagini, tanto da scoprire somiglianze inattese e divertite tra questi volti e quelli dei propri compagni: - Quella faccia con le trecce sembra la… - E ancora: - Quello lì con la testa quadrata è uguale a… - Fino a coinvolgere altri bambini della scuola, insegnanti, genitori e così via, in un gioco che abbracciava tutto il loro mondo.


Da Bisanzio ai pixel Oltre a questo materiale portato da loro avevo anch’io preparato un po’ di cose, tra cui piastrelle, vetri, specchi e sassi.

> 7° e 8° incontro • La faccia di Mosaico

15

• Spaccare le piastrelle richiede una certa energia ed è anche un po’ pericoloso, impastare il cemento è faticoso ed inoltre bisogna farlo della consistenza giusta, né troppo liquido, né troppo secco (alcuni bambini, figli di muratori, facevano gli esperti e davano precise ed intimidatorie indicazioni agli altri bambini, organizzando il lavoro e facendogli vedere come si fa, e arrabbiandosi anche un po’ se qualcuno sembrava non capire o fare con sufficienza). I bambini erano presi, attenti e concentrati. Stavano facendo qualcosa di “sporco” ed importante

L’ultimo lavoro proposto ai bambini è rappresentato da un mosaico vero e proprio, un mosaico forse un po’ cattivo e duro, forse anche sgrammaticato, che in parte è ispirato al lavoro di Schnabel (i quadri con i piatti e i cocci su cui l’artista americano interviene con la pittura). Ai bambini era stato chiesto precedentemente di portare delle piastrelle che avevano già fatto rompere a casa (da babbi e nonni) in pezzi abbastanza grandi, per nulla simili a tessere di mosaico, per via delle loro dimensioni e forme irregolari.

• In questa mostra, oltre ai lavori svolti con le altre classi della Scuola Elementare e Materna di Barbiano, e con i bambini del pomeriggio, c’era una sezione vasta e predominante dedicata a questo laboratorio: si trattava di una grande parete in cui avevo raccolto i dipinti dei bambini in un allestimento che ricordava una quadreria, un po’ come stavo facendo contemporaneamente a Cotignola con i dipinti del laboratorio Le facce di pittura. Con la chiusura di questa mostra, ad ogni bambino sono state restituite le proprie produzioni (dai quattro ai sei dipinti, misura cm 50x35, oltre ad un assemblaggio e ad un mosaico a testa).

87 87 Julian Schnabel

La volta successiva, a mosaico consolidato, siamo intervenuti con la pittura che ha reso il volto più energico ed evidente. Una faccia ruvida e decisa che la pittura ha sicuramente reso più leggibile ed interessante (non avevamo nelle piastrelle moltissimi colori, anzi erano decisamente limitati). Verso la fine dell’anno scolastico, nell’ultima settimana di maggio, abbiamo allestito presso la Casa Comunale di Barbiano la mostra La Scuola Degli Sguardi (in occasione del Palio di Alberico).16

Tutto era diviso e raccolto, in base al colore, in alcuni secchi e bacinelle disposte a terra. Il supporto per il nostro mosaico era fornito da sottovasi in plastica di forma tonda e rettangolare al cui interno avevo sistemato una rete metallica a cui si sarebbe ancorata la colata di cemento che, una volta asciutta, sarebbe stata estratta capovolgendo il contenitore (il cemento essiccandosi si ritira un po’). Dentro a questa forma i bambini avrebbero dovuto inscrivere l’ultimo volto del loro percorso. Il laboratorio era abbastanza duro e ai bambini non pareva vero di “giocare” a fare i piccoli muratori: con guanti, occhiali e mazzetta potevano a turno rompere le piastrelle e, sempre a turno, contribuivano a fare il cemento impastandolo ed amalgamandolo con la cazzuola insieme alla sabbia e all’acqua, per colarlo infine dentro Giulia agli stampi.15 Poi, a cemento fresco (dopo averlo lisciato un poco con una spugna), si posizionavano e collocavano i frammenti spingendoli, quel tanto che basta, a farli sprofondare leggermente nell’impasto su cui, precedentemente, i bambini avevano inciso con un chiodo il loro disegno. (Un aspetto interessante di questo laboratorio è anche rappresentato da questo passaggio e continuità tra momenti molto diversi tra loro: spaccare vecchie piastrelle e, da questa energia distruttiva, spostarsi verso un’attenzione ed atteggiamento preoccupato di armonie e accostamenti, incastri e ritmi.)

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Da Bisanzio ai pixel Atelier di pittura e assemblaggio con le classi quarte della Scuola Elementare di Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri a Barbiano; insegnante accompagnatrice: Fabiola Dosi. Sei incontri per classe17 di due ore ciascuno; da novembre 2004 a aprile 2005; conduzione Lucia Baldini.

> Elenco incontri Federica

1° • La faccia a puntini

Una faccia di puntini disegnata, attraverso una rete, con pennarelli e pastelli; gli sfondi sono trattati a frottage con pastelli a cera, mettendo, questa volta, la rete sotto al foglio.

2° • La faccia a stampini

Una faccia fatta di frammenti e moduli stampati a tempera e china: lettere tipografiche, tappi di sughero, frutti e verdure tagliate.

3° • La faccia a pennellate

Riccardo

Tempera a pennellate, tratti e punti separati, colori caldi e colori freddi.

4° • La faccia a collage Veronica

Con bottoni, sassi, pezzi di cartone, lana e passamaneria, una faccia alla Baj, un po’ selvaggia e un po’ decorativa. (Su cartone grosso con successivo intervento di pittura acrilica.)

5° • La faccia a mosaico-affresco

Dentro ad uno stampo rotondo in plastica mettiamo una rete per struttura e versiamo il cemento e poi altro cemento bianco in superficie: una faccia con tessere di vetro colorato, tessere, sassi e alcuni frammenti di oro e argento musivo; completiamo il fondo con tempera a fresco. (Sulla rete che sporge annodiamo lana e nastri colorati).

6° • Facce vicine, facce lontane

Una faccia fatta di punti e tratti di diverso spessore e nitidezza restituisce la sensazione altalenante dello svanire o dell’apparire con forza; acquerello su carta bagnata, tempera su colla, acrilico a gocce, tempera con sabbia.

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• Facce mix Benedetta

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• La classe quarta era composta da dodici bambini.

La seconda ora di questo ultimo incontro è stata dedicata alla sperimentazione di tutte le tecniche utilizzate negli incontri precedenti (tranne il cemento) in un liberatorio atto creativo finale. Cesare


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio 1.1.3 Da Bisanzio ai pixel

1.1.3.C Tessere e pixel scomporre e ricomporre Panini e visione Molto vero: si va davanti a Teodora e Giustiniano con i panini, le coca cola e oggi anche con i telefonini, si assentisce e si passa avanti. Chiusi, tutti noi, in una superficialità della visione data dal fatto che dobbiamo convenire che è un capolavoro; che ci hanno detto che è un capolavoro e come tale lo guardiamo: indiscutibile, ma anche indiscusso dentro di noi. Un’ovvietà del meravigliarsi appiattita. Andare a Ravenna è un giro obbligato; è una visita obbligata tanto più se si è in terra di Romagna e andarci fa parte, presumibilmente, del curricolo di ogni scuola che è vicina a questa immaginifica capitale dalla bellezza pietrificata, eppur risplendente. Vibrante. Dopo la visita, certamente poi a scuola ci sarà da fare un mosaico; come quello visto: visto, ma non rivitalizzato e rivissuto con gli occhi dell’oggi, senza ponti fra ieri, oggi e forse domani; come se trasmettere un’antica a sapienza delle mani e dell’occhio non richiedesse una reinvenzione della tradizione e una suo scavo di senso, un suo scavo nelle immagini e nei sogni che si aggirano e si sono addensati nei secoli intorno ad essa. Dicevo vibrante: forse questo vibrare che sta fra il muro cui è il mosaico è attaccato e l’occhio che lo rimira illuminato caleidoscopicamente è anche l’area in cui i bambini hanno lavorato nella Scuola Arti e Mestieri Forse il lavoro del maestro è stato proprio questo; sapere che avvicinarsi a un grande manufatto non solo chiede conoscenza di questo ma anche uno scavo intorno a questo, un collegamento di questo all’oggi. Un grande manufatto chiede l’assunzione della sua vibrazione che ha già dato i suoi frutti con i passati visitatori pronti a coglierlo e a farlo proprio. È come se avesse, il maestro, buttato un ponte fra le sognanti città di Bisanzio e Ravenna e la nuova, scintillante, puntiforme, liquida e veloce città di Pixel; diverso materiale, diverse tecniche, diverse configurazioni... ma stesso ossessivo mettere accanto e insieme per far sorgere forme.

Quindi il maestro non fa, in tutto il laboratorio e anche negli altri, che intessere connessioni rinnovando la tradizione che ogni manufatto porta o crea, rinnovandone quindi la visione. Allora per rompere questa pedissequa osservanza dello stereotipo pedagogico e culturale di una trasmissione che schiva la reinvenzione di una tradizione, dovremmo trovare e darci il tempo di capire e di recuperare che ogni manufatto ha delle vicende e che ogni tecnica ha delle ragioni e risponde a specifiche, particolari condizioni storiche e domande. Forse le domande possono anche essere le stesse, anche le tecniche... ma certamente diverse le intenzioni e le configurazioni e infine il senso del fare con le stesse tecniche e intorno alle stesse domande. Bisogna quindi restituire storia sia al manufatto stesso sia alla tecnica e quindi alle questioni che esso si è posto e che ha cercato di risolvere. Restituire storia vuol dire tornare a farlo parlare e tornare a riproporre legami, assonanze, vicinanza ed echi con quello che accade oggi. È questo che fa il maestro: • torna a ridare vita al manufatto attraverso una storia, cercando non solo di agganciare gli allievi all’opera e alla tecnica proposta, ma anche di suggerire loro che si può far parlare un’opera e i suoi personaggi, da cui possiamo apprendere molto o da cui ci possiamo far dire molto se solo diamo loro tempo e quindi profondità; • aggira il compito di eseguire, copiare, rifare un mosaico e tangenzialmente lo scompone, lo fa cadere in mille pezzi mostrandone tutta la ricca gamma di possibili ricostruzioni e ricomposizioni attraverso le diverse sedimentazioni problematiche di cui è portatore... se solo lo lasciamo vibrare in noi! E se, ovviamente, abbiamo cultura; cultura che per altro il maestro media in modo costante e continuo ai bambini in via più leggibile o meno per loro; • aggira ma complessifica la visione e il lavoro intorno a questa perché va come a scomporla offrendo ai bambini una serie di aperture culturali che restituiscono loro la possibilità di diventare interrogativamente in colloquio con un’opera anche sull’asse delle associazioni con il proprio retroterra di esperienze personali, compresa la capacità di rispondere alle sollecitazioni del maestro che, proprio sollecitandoli, arricchisce il loro repertorio di possibili risposte e letture.

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Forse le opere vanno viste con gli occhi che sognano tutta la nostra cultura, lievitandole e mettendo insieme pezzi in un mosaico molto azzardato, forse anche kitsch; certamente non liscio e lineare sotto le mani e gli occhi.

Contemporaneità e tessere Forse anche lo schermo del computer è un mosaico; ma forse un volto visto da vicino è un mosaico di cellule più o meno dilatate e fra loro messe ben accanto… Forse ogni superficie si dà come un segreto puzzle e mosaico di particelle che, pur nella loro piccolezza, ma non certo prive di complessità, sono elementi strutturanti le superfici nel loro darsi alla percezione. Ma a proposito del viso, forse è solo nella sua fissità frontale che potremmo riuscire a prenderlo!? Forse! Ma poi ci accorgiamo che vibra liberando atomi che lo circondano e lo sfumano e lo fanno sfuggente e cerchiamo di prendere questi senza perdere il viso: “particella” e “tutto” vorremmo far vedere: vedere e tenere nella retina senza perdere né l’una, né l’altro ( a volte ci si perde dietro “le particelle” che sono poi ben compiti bottoni, ben rifinite puntine, graziosi cioccolatini che sono certamente l’inizio di una possibile composizione, ma sono anche conchiusamente perfetti in sé). Forse i piani della realtà, compreso un volto, a seconda da dove li si guarda sono molteplici e certamente diversamente pigmentati e ricostruiti: è questa possibilità di sfogliare, di desquamare i diversi volti del volto e delle cose che il laboratorio offre ai bambini chiamandoli a confronti, sovrapposizioni, avvicinamenti di opere diverse fra loro per realizzazione e tecnica. Allora c’è la persistenza della questione del volto; è la sua difficile prendibilità e la sua assoluta enigmatica e incontrollabile affermazione di un essere che vengono trattate con i bambini che sono quindi ricondotti a un’interrogazione, certamente mediata, sulla propria consistenza identitaria; non a caso, forse, si passa poi al “tremar” del soggetto e alla sua resa quasi scientificamente atomistica del puntinismo che scompone e ricompone l’immagine come a ricordare che anche il mosaico è illusoriamente unitario, da lontano, non certamente da vicino. E ci spaesa e ci ipnotizza per il suo doppio livello e per i suoi abbozzati movimenti. 90

Ecco il richiamo fascinoso della duplicità: da una parte le particelle che ci fanno organismo intero dall’altra il loro essere insieme, accostate, distinte, singole e “micro” organismi esse stesse; fascino del “micro” che compone il macro e viceversa del “macro” che, guardato da vicino, vicino è fatto di “micro”: c’è un continuo, altalenante e ipnotico andirivieni fra diverse vicinanze all’oggetto e alla sua tessitura che tanto ci ammalia, sempre. E quindi come non pensare che i bambini non amassero fare dei pixel altri micro mondi che contenevano qualcos’altro? Una volta che si inizia non si finirebbe mai di scoprire del “micro” che contiene universi; forse anche una tessera di mosaico è altrettanto ricca di altro, dentro di sé. C’è quindi una altalena di spostamenti continui che il maestro propone e che muovendo gli occhi dei bambini permette loro di incontrare superfici e tessiture diverse. Di questa diversa e sfumata gamma di possibile scabrosità e rilievo di un manufatto, che comunque richiama, in continuità e per converso quella sottile, ma pur resistente del mosaico, i bambini hanno fatto esperienza passando attraverso il collage per esempio; oppure incontrando e riprendendo le esperienze di artisti che hanno dato un significante rilievo ai loro lavori che quasi chiamano le mani a seguire e verificare la percezione frastagliata gli occhi. Ecco allora che emerge il dietro e il paravento del mosaico, vale a dire lo spessore plastico della parete dove le tessere trovano riposo e quiete; i bambini sono stati portati quindi oltre la superficie facendo sbalzare quello che, in genere, viene un po’ celato. Il supporto è diventato, nel fare i piccoli muratori, oggetto palese di lavoro comprendendone la profondità e la potenza trattenitiva soprattutto quando si è fatto ricettacolo di pezzi di materiali e oggetti a tutto rilievo e quasi taglienti, duri nella loro perentoria consistenza sporgente. È solo dopo queste scorribande in grammatiche e sintassi diverse che ai bambini è stato riproposto il mosaico come produzione sgrammaticata, perché già un poco sapiente, di un volto; produzione finale a chiusura di tutto il lavoro intorno al volto condiviso e partecipato con il maestro; sgrammaticata rispetto alla silenziosità ritirata e asciugata che può sembrare avere il mosaico; sgrammatica perché non ortodossa per materiali usati e composizione ma, ma certamente consona al fatto di dare ai volti una loro mossa, quasi aggressiva vitalità. Quella dei bambini che forse starebbe irrequieta nella calma limpida di una tessera d’oro. Da provare, però. Non si sa mai.


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio

1.1.4 Un pittore ovvero Piero Dosi e i trenta superprotopittori delle facce

Piero Dosi

Atelier di pittura con le classi terze e quinte della Scuola Elementare di Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano; insegnanti accompagnatrici: Fabiola Dosi per la classe quinta, Rosa Zinno e Silvia Patuelli per la classe terza. Otto incontri per classe1 di due ore ciascuno; da novembre 2004 a gennaio 2005. Progetto, scrittura e conduzione del laboratorio: Massimiliano Fabbri.

Tra queste aperture ne possiamo individuare e sottolineare una che, a mio avviso, risulta fondamentale: l’arte (se calata e protetta in giusta e amorevole maniera), rappresenta una fonte inesauribile di immagini, alternativa e non stereotipata, che permette ai bambini una libertà che, ovviamente, è nelle loro corde, ma che non sempre è stimolata e tenuta in giusta considerazione; l’arte contemporanea come forma di emancipazione, come uno sguardo-pensiero sul mondo che ha affinità elettive con l’approccio messo in essere dal bambino. Arte che non solo è vicina al sentire del bambino, ma che può stimolare approfondimenti ed ulteriori scoperte nel suo percorso; arte come luogo delle differenze e particolarità e perciò spazio che può e deve essere vissuto nella costruzione delle identità.

Il laboratorio che presentiamo alle classi terze e quinte della Scuola Elementare di Barbiano si pone in continuità con l’esperienza svolta lo scorso anno nell’atelier da Bisanzio ai Pixel (classi quarte e quinte). Questa proposta, come la precedente, ha nel volto e nella sua rappresentazione uno dei temi e fili rossi che la accompagnano e attraversano (un percorso che potremmo definire dell’esplorazione del sé). Tra gli intenti c’è quello di far vedere e conoscere ai bambini alcuni artisti e le loro produzioni pittoriche; l’approccio a queste immagini permette una serie di aperture perché è sempre collegato ad un fare che rappresenta la centralità dell’esperienza. Nell’atelier ci si sporca le mani, si incontrano e risolvono problemi in una dimensione di fisicità e materia che permette la scoperta, lo stupore e un sentire intuitivo, a volte quasi animalesco. Nel laboratorio il bambino lavora e gioca a fare l’artista: (con la nostra guida) mette a nudo i meccanismi di un’immagine, ne svela i trucchi, e si avvicina ad una comprensione che si gioca in gran parte su di aspetti e reazioni emotive; adesioni. Nel laboratorio ci si appropria di un sapere tecnico-strumentale che non è fine a se stesso, ma che diviene rilevante perché permette al bambino di esprimersi e raccontarsi in maniera precisa, unica e particolare; la gamma di modalità operative e le possibili e molteplici strade che si possono seguire stimolano uno sguardo altro, curioso e capace di riconoscere (e forse anche apprezzare) le differenze. E qui l’arte ritorna a chiudere il cerchio perché offre al bambino la possibilità di ripensare alla sua esperienza in termini di significanza e verità: ciò che egli produce in atelier viene ulteriormente legitti-

1

• La classe terza era composta da diciannove bambini, la quinta da undici.

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Un pittore mato dalle immagini vedute (il bambino che mette in atto confronti e che lavora su di un atteggiamento critico, si mette in relazione ed innesca collegamenti). Il nostro laboratorio, come detto in precedenza, parte dal volto e ogni volto è, in qualche modo, un mistero; un enigma che non necessita di risposte logiche e razionali, ma di percorsi immaginari e visioni fantastiche che rilanceranno ulteriormente la domanda. Un interrogarsi inquieto la cui unica risposta possibile risiede nella sperimentazione; una sperimentazione che ha luogo nella materia. Ecco le due differenti direzioni e tensioni che noi e i bambini dobbiamo far convivere nell’atelier: la prima riguarda un fare tecnico, un accostarsi agli strumenti e ai materiali che prende spunto e deriva dall’opera dell’artista e che potremmo quasi definire oggettivo, la seconda muove da uno sguardo emotivo, urgente e necessario, un approccio sentimentale che è anche delle potenzialità espressive di un volto (come e cosa posso dire con e in un volto dipinto?); una soggettività che è imprescindibile e che si rafforza e definisce nell’impastarsi e mescolarsi con la materia e le cose. Piero Dosi e i suoi dipinti (quasi tutti autoritratti) ci accompagneranno, sosterranno e stimoleranno in questo nostro percorso: la sua pittura non è mai uguale a se stessa, è mutevole, così come lo possono essere umori e sentimenti; è luogo di innamoramenti. Pittura che sembra quasi costretta ad adeguarsi e reinventarsi costantemente per tenere il passo dell’accadimento emotivo ed essere in grado di registrare e rielaborare queste piccole tempeste del cuore. Pittura che Piero Dosi mette costantemente alla prova immergendola ora in bagni caldi, ora in bagni freddi; differenti temperature, differenti linguaggi, differenti materie, differenti pennellate. Pittura di cui Dosi sonda limiti e possibilità con una curiosità mobile e vivace; voracità. Allora il volto, che è sempre presente in questi quadri, sembra diventare pretesto, pagina di diario in cui annotare un infinito alfabeto di segni, uno spartito in cui passare, senza soluzione di continuità, dall’accordo lieve, gentile e tonale, a una materia satura, energica ed esplosiva; dall’appunto intimista ad un’urgenza espressionista, da una pittura leggera, veloce ed acquerellata, ad una materia corposa, stratificata e stesa con spatole.

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Ogni lezione ed incontro con i bambini partirà da un suo piccolo gruppo di opere che suggerirà ed orienterà il lavoro in atelier (ai quadri proiettati di Piero Dosi si affiancheranno probabilmente immagini di altri artisti per stimolare ulteriori collegamenti e punti di vista).

Le due cose, in apparente contraddizione e contrasto, si incontrano sostenendosi a vicenda, intrecciandosi e confondendosi sino a risultare indistinguibili ed inseparabili.

Allo stesso tempo questo suo lavoro è una testarda ricerca sul volto e i moti dell’anima che lo attraversano e che in esso affiorano.


Un pittore

Calendario provvisorio

2 Mario Sironi

Pablo Picasso

> 1° incontro • NARCISO INFRANTO

Alberto Giacometti

I bambini troveranno frammenti di fotografie (riproduzioni di volti trovate su riviste), immagini spezzate che dovranno continuare, ricomporre e trasformare. L’altro artista proposto sarà Picasso, forse affiancato da una lettura del mito di Narciso. (Disegno, pastelli a cera ed olio, collage e carte varie, pittura e chine.)

Marlene Dumas

Massimo Pulini

> 2° incontro • LO SGUARDO INQUIETO

Jean Fautrier

Ritratti ed autoritratti a lume di candela o specchiandosi nell’acqua. Il volto vibrante. Ulteriori immagini che possono rafforzare questo tema ci sono fornite dai disegni di Alberto Giacometti e Mario Sironi. (Matite morbide, carboncini, chine ed acquerelli.)

> 3° incontro • D’ANIMA E D’ACQUA

Yan Pei-Ming

Nella pittura liquida il colore si scioglie e si espande, esce dai contorni e si mescola. La pittura è leggera e velata. Artisti come Marlene Dumas, Massimo Pulini e Sabrina Foschini e ci forniscono ulteriori esempi.

> 4° incontro • LA PITTURA È LA CARNE Sabrina Foschini

Francis Bacon

(Acquerelli, chine, tempere diluite.)

Willem De Kooning

Nella pittura materica il colore si fa spesso e grosso, è steso per stratificazioni con grandi pennelli ed anche spatole, e poi texture e graffito. Autori come Mattia Moreni, Frank Auerbach, Yan Pei-Ming, Francis Bacon e Jean Fautrier sono in questa linea. (Tempera, acrilici, vinavil, sabbia.)

Franco Pozzi

All’improvviso un volto: lo stupore per un’apparizione inaspettata, la casualità; da segni e macchie facciamo affiorare un volto. Willem De Kooning e Franco Pozzi. (Chine e pittura.)

Edvard Munch

> 6° incontro • IL VOLTO NEL PAESAGGIO

Nel penultimo incontro i bambini potranno riprendere tutte le modalità, i materiali e le tecniche sperimentate negli atelier precedenti per utilizzarli liberamente in questo dipinto finale: una testa inserita nel paesaggio. Empatia. Edvard Munch.

> 7° incontro • CONOSCIAMO PIERO DOSI

Mattia Moreni

> 5° incontro • IL VOLTO NASCOSTO

Frank Auerbach

2

• Questa prima stesura del progetto è stata consegnata alle insegnanti interessate prima dell’inizio del laboratorio; la successione degli incontri e le tematiche affrontate all’interno di essi hanno subito delle lievi modifiche dettate da alcuni miei ripensamenti e aggiustamenti di tiro che in parte derivano dalle reazioni dei bambini. Il laboratorio si è esteso a otto incontri (uno in più di quelli previsti).

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Un pittore

3

• Mi sono concentrato solo su di un’immagine per incontro, accantonando l’ipotesi di affiancare riproduzioni di altri artisti

4

• Questo metodo denominato Sentire con l’arte è stato ideato dalla storica dell’arte Silvia Gramigna.

Ogni laboratorio è stato preceduto dalla proiezione con episcopio (in una stanza oscurata) di un quadro di Piero Dosi.3

Calendario definitivo > 1° incontro • NARCISO INFRANTO > 2° incontro • IL RITRATTO VIBRANTE > 3° incontro • LA FACCIA DOPPIA > 4° incontro • VOLTI D’ACQUA E VISI D’ANIMA > 5° incontro • LA PITTURA È LA CARNE > 6° incontro • (RE)VISIONE DEI DIPINTI FATTI NEGLI INCONTRI PRECEDENTI > 7° incontro • IL PAESAGGIO DENTRO > 8° incontro • PIERO DOSI, PITTORE (LA FACCIA È UNA PAGINA)

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La proiezione avveniva in questo modo: facevo sedere i bambini a terra di fronte ad un muro bianco, poi spiegavo loro le modalità dell’operazione, ossia lo stare per un certo tempo ad occhi chiusi facendo una lenta e profonda respirazione; questo esercizio è utile per rilassarsi e sgombrare la mente, prepara alla visione. I bambini staranno in silenzio di fronte all’immagine finchè non avranno provato un’emozione che dovranno descrivere ad alta voce (fino a quando l’ultimo bambino non ha la sua emozione non partiamo con il racconto). Nel frattempo anch’io non parlo, non dico nulla sull’immagine, se devo chiedere qualcosa ai bambini lo faccio a bassa voce; in questa fase il silenzio è importantissimo.4 Ricapitolando, facevo sedere i bambini, spegnevo la luce (la stanza era completamente buia) e cominciava l’esercizio: quando capivo che i bambini erano pronti accendevo l’episcopio e loro aprivano gli occhi: ora si aspettava l’emozione o una sensazione guardando attentamente l’immagine. Quando un bambino era pronto per parlare alzava la mano, e quando tutte le mani erano alzate si poteva cominciare, uno alla volta. (Spesso ero costretto a rifare e ripetere un altro giro, poiché, nell’attesa del proprio turno, ai bambini venivano in mente altre cose da raccontare, sia per un’esposizione prolungata all’immagine, sia per le parole ed intuizioni dei compagni che stimolavano ulteriori riflessioni e scoperte.) Quando tutti i bambini avevano parlato rispondevo ad eventuali domande che loro mi ponevano, fornivo alcune informazioni e anche mie personali sensazioni. Terminata questa fase, si scendeva in laboratorio, e qui facevo un veloce dipinto che, come ho già spiegato in questo libro, serviva a mostrare i materiali e alcuni possibili modi d’uso; quando i bambini cominciano a dipingere, hanno così ricevuto tutte le informazioni tecniche e gli stimoli poetico-emotivi per muoversi liberamente ed in maniera personale nel loro lavoro (non hanno quasi più bisogno di me, e finchè non hanno concluso, non dico quasi più nulla, cerco di non intervenire e mi limito ad osservare, girando tra i tavoli; solo alla fine, in certi casi, rilancio con qualche suggerimento che serve da ulteriore miccia.)


Un pittore Gian Marco

> 1° incontro • NARCISO INFRANTO

Claudia

Ho proiettato ai bambini un autoritratto di Dosi del 1981: si tratta di un viso costruito con frammenti di due volti diversi; l’immagine è dipinta con una tecnica fotorealista a cui si sovrappongono brani di pittura più libera ed astratta, quasi informale. Questo viso è assemblato per frammenti e brandelli: una visione poetica che si scontra con una complessità di lettura (allo spettatore è quasi imposto di ricostruire un puzzle), una memoria che affiora discontinua ed incerta attraverso stratificazioni, differenti livelli e temperature. Differenti pitture e differenti immagini che Dosi tiene insieme in questo quadro; una certa complessità di lettura che fa sì che il volto sembri quasi sul punto di esplodere o sgretolarsi (è la memoria e l’intimità ciò che tiene insieme questi pezzi: una questione privata).

Alcune parole dei bambini su questo quadro (devono dire cosa hanno provato, cosa ha suscitato in loro): molti di essi hanno sentito paura, tristezza e terrore, ma, a rimarcare l’ambiguità dell’immagine, alcuni hanno visto felicità o, come Davide, felicità, noia, paura e orrore contemporaneamente; chiedo a Davide come mai prova anche felicità: – Mi piace come è stato fatto. Francesca: – Un po’ tristezza, mi ricordano una foto o un poster con dei disegni fatti con i pastelli a cera sopra. Nicholas: – Secondo me paura perché c’è una parte del corpo dove ognuno, tipo c’è un occhio che non c’ha un’altra parte, e poi ci sono altre certe parti, erano attaccate, le ha strappate e le ha messe, un pezzo da una parte e uno dall’altra… Qualcuno ha detto: – Perché c’è un’immagine, formano un uomo che sembra cieco… Ed infine, quando ho spiegato come era costruito il dipinto, qualcuno ha detto: – Forse è triste perché ha strappato le foto. (Queste parole sono dei bambini di terza.)

Giorgia

Sofia

Piero Dosi

Giorgia

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Un pittore Federico Simo

I bambini hanno poi trovato in atelier un tavolo pieno di frammenti di volti (le riproduzioni erano strappate o ritagliate da riviste, quasi un’archeologia dello sguardo quotidiano); dovevano scegliere un paio di pezzi per il loro lavoro. L’artista cuce gli strappi, aggiusta e rifà il mondo: continuando e ricomponendo liberamente frammenti di foto, un po’ banali, ricostruiamo dei volti a cui diamo nuova vita. L’artista si muove qui come un detective, un archeologo-inventore: da alcuni indizi e parti mancanti ricuce storie e personaggi; nulla però potrà più essere come prima perché chi crea, inventa ed aggiunge, non curandosi troppo della realtà (forse per farla affiorare con maggior forza).

(Si potevano rompere e strappare ulteriormente le immagini: da una piccola distruzione può scaturire un atteggiamento creativo; da qualcosa che è andato perduto nasce una volontà di fare.) I pezzi di faccia selezionati sono stati incollati dai bambini su cartoncino nero ruvido (33x24 cm); il disegno che completava il volto è stato eseguito con un pastello a cera bianco (non si usavano le gomme). Il volto è stato colorato con pastelli a olio (i pastelli a olio sono sfumabili, la loro forte intensità è perfetta per il cartoncino nero, cosa non possibile con i pastelli a cera; nel dipinto fatto inizialmente per i bambini ho mostrato anche questa differenza).

I bambini potevano lavorare su queste riproduzioni in totale libertà: alcuni hanno continuato l’immagine il più fedelmente possibile, altri hanno assemblato più di un frammento diverso creando una sorta di Frankenstein, altri ancora hanno stravolto l’immagine iniziale, sia nel disegno che nell’utilizzo dei colori.5

5

• Si sarebbe potuto continuare sulla scia di questo primo esperimento, dipingendo sulle riproduzioni di interi volti per trasformarli, rendendoli più interessanti e meno omologati, dal banale quotidiano allo straordinario proprio come in Toccafondo, oppure valorizzando la parte di collage con carte diverse, lane, pittura e altri materiali per una faccia blob. (Ho optato per caratterizzare e differenziare in maniera netta e decisa ogni incontro, pur sapendo che il laboratorio avrebbe potuto seguire altri percorsi non meno validi.)

Michael

Facce intense e quasi cubiste che mi ricordano certe cose di Picasso e Mattotti. Pablo Picasso

Gianluigi Toccafondo

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Francesca

Lorenzo Mattotti


Un pittore

> 2° incontro • IL RITRATTO VIBRANTE Ho mostrato ai bambini un autoritratto dipinto da Dosi con chine su carta (prima abbiamo ripetuto l’esercizio descritto precedentemente); questa immagine è molto differente da quella vista l’altra volta: innanzitutto questa è in bianco e nero, si tratta di un disegno. Il volto è espressionista, quasi grottesco; il segno è rapido ed abbozzato, quasi incerto e tremante, ed energico al tempo stesso.

Giorgia Piero Dosi

Alcune parole dei bambini: Issam: – Mi suscita felicità… che è passata. Virginia: – MI suscita tristezza e allo stesso tempo felicità, sembra che sia travestito per carnevale. Martina: – Un’emozione di tristezza; sembra che è felice di morire perché ha vissuto una bella vita. Raffaele: – Mi suscita della malinconia e tristezza, buio e paura; mi sembra in una stanza, una prigione. Giorgia: – Sembra un uomo che ha un vuoto dentro di sé. Beatrice: – Una persona che è triste e piange e ride allo stesso tempo. Federico: – Triste e deforme. (Classe quinta.) Andrea: – Sensazione di terrore e paura, è triste perché gli manca un occhio. Jacopo: – Orrore, che sta per morire. Gianmarco: – Tristezza; il pezzo dall’occhio alla bocca sembra una bruciatura (la parte dove non c’è l’occhio), sembra che ci sia una cicatrice. Gianluca: – Occhio triste, bocca storta. Sofia: – Paura e un po’ di divertimento. Francesca: – Sembra un signore che sembra felice, però gli manca un occhio, che voleva tanto bene ai bambini. Marco: – Mi sembra la mummia 1, con gli scarabei che lo mangiano; uno zombie che è resuscitato dalla tomba. (Classe terza.)

Giorgia

Jacopo

Giorgia

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Un pittore

Issam

Virginia

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• Ogni coppia di bambini era illuminata da una candela che si trovava al centro di un foglio di carta da pacchi gialla su cui erano collocati i materiali e due fogli murillo color avorio di 50x35 cm (uno per ogni bambino).

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• I disegni fatti dai bambini in questo incontro sono belli ed estremi. Disegni come frecce che mirano al cuore. Verità, nulla di più lontano dalla decorazione, dal perdersi vago e molle che impone il colore.

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Questa volta non siamo scesi in atelier ma siamo rimasti nella camera oscurata: in questo incontro si disegna dal vero, a lume di candela; nel volto risiede ovviamente il vincolo imposto ai bambini: essi possono farsi il ritratto a vicenda (lavorando a coppie), oppure possono scegliere di optare per l’autoritratto specchiandosi in un catino d’acqua. Ho radunato i bambini intorno a me e ho disegnato un grande volto per loro, utilizzando una serie di strumenti neri: chine e pennelli, pastelli a cera e ad olio, matite morbide e carboncini a cui si aggiungevano pastelli bianchi per le lumeggiature (i bambini potevano attingere a questi materiali molto liberamente, non c’erano gerarchie poiché il lavoro doveva essere molto fresco e immediato). I bambini dovevano lavorare a terra, guardandosi negli occhi a vicenda per farsi il ritratto, oppure specchiandosi nell’acqua per l’autoritratto; chi si rifletteva nell’acqua trovava uno specchio adagiato sul fondo del catino, agitando il contenitore la superficie dell’acqua si increspava deformando in maniera imprevedibile il volto, una trasformazione e modificazione delle proprie fattezze che durava un attimo e che i bambini dovevano memorizzare e catturare rapidamente nel loro disegno.6 L’oscurità e il guardarsi negli occhi, insieme al lavorare a terra, avevano creato una grande concentrazione tra i bambini, un’estrema serietà ed impegno che erano stemperati solo dal calore ed intimità della situazione; un silenzio suggestivo ed affascinante, una curiosità elettrica aleggiava ed attraversava la grande stanza dove erano sparsi i piccoli artisti. Comunione.7 Lo sguardo è inquieto e curioso, le facce notturne e misteriose hanno la forza delle rivelazioni, come se complicando la visione il volto appaia in tutta la sua enigmatica bellezza. Ombre scure e tenebrose, tagli di luce a rischiarare. L’artista è coraggioso ed affronta l’oscurità. Martina

Davide

Da questo laboratorio si sarebbe potuto intraprendere un viaggio sul e intorno al segno.


Galleria

Andrea

Francesca

Sofia

Nicola

Davide

Alberto

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Un pittore

> 3° incontro • LE FACCE DOPPIE

Issam

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Martina

In questo caso non mi sono avvalso della proiezione, ma ho mostrato ai bambini un piccolo quaderno nero pieno di dipinti e disegni: si tratta di un diario che Piero Dosi ha fatto stampare uguale all’originale (eccetto ovviamente allo spessore materico); un diario particolare perché l’artista non annota parole ma impressioni visive, ricordi in forma di immagine, piccole sperimentazioni quotidiane e disegni sovrappensiero, quasi automatici. All’interno di questo pieno e coloratissimo quaderno ci sono alcuni volti che sono stampati nella pagina a fianco, piccole sindoni e fantasmi di cui mi sono servito per introdurre il monotipo, ossia la stampa unica di un dipinto che è possibile fare a pittura fresca. I bambini hanno disegnato con la pittura un volto (cercando di lasciare un segno corposo e materico) e poi hanno stampato sovrapponendo un altro foglio; capito il meccanismo hanno ripetuto l’operazione colorando la superficie interna del viso e poi lo sfondo (potevano andare avanti finchè volevano, aggiungendo altri colori, confrontando la copia e sperimentando un parziale controllo su questi effetti casuali). Ecco due volti uguali e diversi (una faccia è capovolta, o meglio, speculare). Questo giochetto permette una sola stampa, due esemplari unici, quasi un doppio clonato; la bellezza di questo procedimento è dovuto in parte alla casualità e all’imprevedibilità del colore: l’effetto finale è molto piacevole e sorprendente perché le pennellate saltano fuori come evidenziate e rivelate: è un po’ come prendere le impronte digitali alla pittura, metterne a nudo l’anima.

Piero Dosi

Sofia

(I bambini hanno dipinto con tempere su fogli di carta bianca di cm 40x30) Una volta asciutte le due copie i bambini hanno fatto un successivo intervento con i pastelli ad olio che è servito a differenziare le due copie: questo esercizio è servito anche a capire che una stessa immagine può essere elaborata ulteriormente in diversi modi e maniere; una partenza comune e due diverse possibilità. Variazioni sul tema.


Galleria

Raffaele

101

Claudia


Un pittore

> 4° incontro • VOLTI D’ACQUA E VISI D’ANIMA

Piero Dosi

Siamo ritornati alle proiezioni in camera oscura: ho scelto di mostrare Autoritratto blu del 1999; si tratta di un dipinto giocato sui toni di blu e bianco sporco che Dosi ha dipinto ad olio partendo da un piccolo disegno ad acquerello realizzato anni prima (questa pratica è utilizzata spesso da Piero); così facendo, questa immagine, pur se di grandi dimensioni e dipinta ad olio, mantiene la freschezza gestuale ed approssimativa dell’acquerello. Il volto è accennato e suggerito da un segno corsivo, stenografato e sintetico che lo rende leggero e vibrante; pittura che quasi finge la velocità e l’appunto. Ho scelto questo volto perché mi trasmetteva una certa impressione di leggerezza, quasi sognata, di pittura lieve e delicata, candida, galleggiante ed aerea. Le riflessioni dei bambini mi hanno sorpreso smentendo in parte le mie sensazioni e previsioni, costringendomi a rivedere questo volto sotto un’altra angolazione…

Marco

Raffaele

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Raffaele

Claudia: – Morte. Martina: – Un’emozione di malinconia e paura. Raffaele: – Mi dà un po’ di terrore e il resto gioia e rovesciamento. Virginia: – Da una parte mi dà tristezza e paura, dall’altra parte allegria. Beatrice: – Le sue paure e le sue gioie vanno via e lui non sa se è triste o sta bene. Per gli altri bambini, malinconia, tristezza buio e solitudine. (Classe quinta.) Martina: – Assomiglia più o meno a un ladro; terrore. Nicholas: – Fa un po’ impressione, c’è un coso lì che sembra un occhio… Jacopo: – Impressione; sembra che ha una nuvola sulla testa, ha tutto un birocchero là. Alex: – Felicità. (Classe terza.)


Un pittore

Federico

È un po’ quello che avviene con le nuvole o con certe macchie sul muro che diventano forme ed animali imprevedibili, ed è un atteggiamento che gli artisti mettono in pratica soventemente: si tratta di sistemare alcune trappole ed aspettare la preda; più l’immagine è sorprendente, vera e credibile o, assurda ed inevitabile, più la preda è grossa e significativa.8

Partiamo nel nostro laboratorio dalla vaghezza di nuvola di questo volto, dalle macchie che definiscono una fisionomia: la pittura di questo incontro si fa liquida e il colore si scioglie ed espande uscendo dai contorni e mescolandosi. La pittura è magica e suggerisce sorprendenti invenzioni: da una macchia sul foglio o da un intreccio scarabocchiato e veloce di pennellate troviamo e scoviamo un volto nascosto ed inatteso; l’immagine apparsa casualmente acquista una forza sorprendente e sembra ora inevitabile; come è ovvio in questo caso non usiamo il disegno perché non dobbiamo sapere cosa uscirà dal nostro foglio: la forza di questo volto è direttamente proporzionale alla sua capacità di sorprenderci e deve quindi affiorare con una certa naturalezza e facilità. Immediatezza. È come se la pittura ci dicesse cosa fare: il caso come regola creativa, l’artista come cacciatore di forme; stare sempre all’erta, pronti ed intuitivi. Questa pittura è della velocità e dello stupore e diverte molto i bambini (gli ricordo che d’ora in avanti non potranno più dire “cosa faccio?”, quando hanno voglia di disegnare, se non hanno idee, potranno usare la tecnica del caso).

8 Alex

Michael

Beatrice

Gian Marco

• Abbiamo dipinto su fogli di carta bianca di cm 33x24 con tempere acriliche molto diluite, chine ed acquerelli; si sarebbero potuto usare formati ancora più piccoli per esaltare maggiormente l’intimità e casualità di questi procedimenti.

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Un pittore Raffaele

> 5° incontro • LA PITTURA È LA CARNE Per la proiezione9 del quinto incontro ho scelto Donna in giardino del 1997. La pittura di Dosi è qui materica e stratificata, i colori sono puri e saturi, capaci di passare da delicate sovrapposizioni a giustapposizioni energiche e squillanti. Ho dipinto poi per i bambini un volto in cui ho potuto mostrare l’utilizzo delle spatole e dei diversi effetti che si possono ottenere con esse: dopo aver disegnato con il pennello una faccia molto grande e semplificata ho coperto tutto il disegno con un colore steso a campitura con una pennellessa; su questa preparazione, a superficie ancora fresca, sono passato sovrapponendo un altro colore, che ho steso a spatola. Così facendo i due colori non si mescolano, se non in certi punti, creando effetti particolari e profondi; variando la pressione e l’inclinazione della spatola il colore si mescolerà maggiormente, oppure verrà raschiato facendo affiorare la pittura sottostante. Il bambino può sperimentare con questo strumento una gamma di possibilità abbastanza varia e divertente, sicuramente insolita: per rendere ancora più ricca e complessa l’offerta ho inserito la possibilità, per chi lo volesse, di utilizzare tempere impastate con sabbia e vinavil; una fortissima dimensione materica a cui si è aggiunto il graffito che i bambini potevano fare con il manico del pennello o con dei bastoncini, oppure con pettini, spazzole e forchette.

Piero Dosi

La pittura prende peso, diventa corpo plasmabile, quasi tridimensionale.

9

• Purtroppo ho registrato le parole dei bambini utilizzando un registratore senza microfono e non mi è stato possibile sbobinare i nastri perché la qualità audio era pessima.

Il foglio su cui abbiamo dipinto è abbastanza ampio (50x35 cm) perché uno spazio maggiore a disposizione permette un approccio più energico e sperimentale (non abbiamo utilizzato spatole da belle arti ma quelle grandi da stuccatore); un atteggiamento urgente ed espressionista che doveva concedere qualcosa alla precisione per calarsi in una dimensione di fisicità e forza espressiva. I bambini si comportano come artisti, scoprono ed indagano curiosi: attingono liberamente da svariati materiali e strumenti mostrando ordine e precisione mentale. Instaurano con le cose una familiarità intelligente ed empatica; attraversano e sovrappongono.

104

Erika

Gianluca

Marco

Virginia

Beatrice


Galleria

Gianluca

Giorgia

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Un pittore

> 6° incontro • (RE)VISIONE DEI DIPINTI FATTI NEI LABORATORI PRECEDENTI

Beatrice

Questo incontro rappresenta una pausa che ci permette di volgere lo sguardo a ciò che è stato fatto sino ad ora; è un rallentamento necessario in cui il bambino riguarda i suoi dipinti e disegni per ricostruire e rafforzare una memoria del percorso svolto e in cui viene stimolato e messo in atto un atteggiamento critico (non si guardano solo le proprie produzioni, ma anche quelle degli altri bambini cercando di cogliere qualità e differenze, poiché il laboratorio è individuale e collettivo allo stesso tempo; una ricchezza comune costruita sulle soggettività). I dipinti vengono ripresi in mano anche per lavorarci ancora sopra, con un atteggiamento più preciso e razionale, più lento, meno dettato da quell’urgenza che li spinge e li attraversa quando gli si propone un nuovo esperimento o tema.10 Un equilibrio, dovuto al secondo sguardo, che chiude in maniera più matura il lavoro. Erika

Jacopo

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• In questo caso, la stessa gamma di materiali che 106 mettiamo loro a disposizione, consiglia e facilita un intervento più pulito e controllato: pastelli a cera e frottage, pastelli ad olio, chine e matite morbide.

Sofia


Un pittore

> 7° incontro • IL PAESAGGIO DENTRO

Il settimo incontro rappresenta una quasi conclusione del laboratorio, che ci separa e porterà all’ultima mattina insieme, quella in cui i bambini incontreranno Piero Dosi e in cui Piero conoscerà una trentina di soggetti che, per circa due mesi, lo hanno guardato e pensato e che sul e dal suo lavoro hanno parlato e tratto ispirazione per i loro dipinti.

Il paesaggio è dentro alla faccia come una memoria o è dietro ad un volto sognato; è il paesaggio che influenza il volto o il volto che modifica il paesaggio? Da questa dialettica, un po’ complessa, sono partiti i bambini per una sorta di piccolo viaggio sentimentale che forse si sarebbe potuto approfondire ulteriormente. Issam

Nelle ultime opere di Dosi succede una cosa abbastanza strana e sorprendente: il volto presenta degli strappi e lacerazioni che lasciano affiorare frammenti di paesaggio; si tratta di visioni in cui intuiamo un mare piuttosto che una distesa di verde fiorito e lussureggiante, quasi tranquillizzanti cartoline che contrastano con la drammaticità del volto, una quietudine che si insinua ed apre spiragli, una memoria. Sono partito da qui mostrando ai bambini Pagina illustrata, un quadro del 2003. Ho portato i bambini di fronte ad un pavimento coperto interamente di paesaggi che avevo ritagliato da riviste: hanno scelto quelli che più li attiravano, rispecchiavano od incuriosivano (dove vorreste essere in questo momento? qual è il vostro luogo o paesaggio preferito?) e li hanno portati con sé in laboratorio dove hanno preso un loro dipinto realizzato nel corso degli incontri precedenti.11 Si trattava di spezzare ed interrompere la loro immagine (una faccia) con lacerti di questi paesaggi che avrebbero strappato a mano per ottenere bordi frastagliati, irregolari e pittorici. Alex

Piero Dosi

11

• Da una mia preventiva selezione di tre – quattro carte, ne hanno scelto una sulla quale intervenire.

Federico

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Un pittore

> 8° incontro • PIERO DOSI PITTORE (LA PAGINA È UN DIARIO) L’appuntamento è con Piero Dosi e Federico Settembrini alle 8.45 in atelier (Federico oltre ad aver trasportato Piero e il suo grande quadro da Lugo a Barbiano, effettuerà le riprese video per montare un filmato che documenterà l’esperienza); a questa squadra si aggiunge dopo poco Daniele Casadio amico e fotografo, che ci lascerà una memoria artistica dell’evento.

Claudia

Saliamo al primo piano e ci sediamo a terra di fronte alla tela coperta da un lenzuolo; Piero ha portato un quadro bellissimo e molto grande (è alto 180 cm); al centro della grande tela, leggermente spostato in alto a destra, c’e un volto lieve e malinconico, quasi velato, uno sguardo dolce e misterioso che è inserito dentro ad un vortice caleidoscopico di segni e colori. Al posto dei capelli un turbine di scrittura che sembra uscire dalla testa, quasi frantumandola, un flusso di pensieri, parole e memorie che prendono il volo leggeri, accarezzati e trasportati da una brezza che attraversa l’immagine. In alto, sullo sfondo, un paesaggio con montagne, una zona di blu e nebbioline, quasi notturna; sotto, alla base della tela, due viste sul mare (una cartolinesca, l’altra più pittorica) che con-

Claudia

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• La terza arriverà alle 10.30.

Francesca

12

Piero Dosi

Il primo gruppo di bambini è la classe quinta12e arriva in atelier alle 8.35 circa. Nell’attesa dò loro alcune informazioni su come sarà organizzata la mattinata: Piero Dosi porterà un grande quadro per voi che ci “servirà” tra l’altro per ripetere per l’ultima volta l’esercizio che abbiamo sperimentato in camera oscura negli incontri precedenti (silenzio, occhi chiusi, respirazioni, osservazione, descrizione delle sensazioni). Questa volta non staremo al buio e non avremo più una proiezione, ma un quadro vero; inoltre tutto quello che diremo sarà ascoltato direttamente dall’artista… Una volta esaurita questa fase potrete fare domande (i bambini hanno preparato, su suggerimento mio e delle insegnanti, alcuni bigliettini su cui hanno scritto delle cose che vogliono chiedere a Piero), ascoltare cosa vuole raccontarci il pittore e poi potremo scendere tutti in atelier per un ultimo lavoro supervisionato dall’artista. I bambini sono attenti ed impazienti, e leggermente intimoriti; appena ho concluso l’introduzione li lascio soli per cinque, dieci minuti nel laboratorio per stemperare un po’ la tensione (ho detto loro che Piero e Federico arriveranno con un camioncino bianco); il laboratorio si affaccia sulla piazza con una portafinestra, io sono fuori dalla stanza e sento i bambini fiondarsi alla vetrata, ora non sono più silenziosi, fanno un po’ di baccano, dicono cose un po’ sciocche, li lascio fare… Arriva il camioncino e la loro eccitazione cresce: entro, gli dico che sono arrivati e li calmo; faccio entrare gli ospiti in un silenzio un poco imbarazzante, ci presentiamo…


Un pittore Raffaele: – A me sembra un uomo che sta per morire e allora sta pensando ad un posto in cui è andato, che è quello della figura lì, quel mare: si ricorda dei temi scritti, che sono quelli là, e il buio è la morte. Federico: – Felicità e tristezza perché in mezzo c’è la faccia di un uomo triste e attorno è come se lui si ricordasse dei momenti felici. Martina: – A me suscita un’emozione di tristezza e gioia mischiate insieme perché lui si ricorda di tutte le persone e di tutti gli amici che ha avuto, perché sa che sta per morire e si sente una persona strana, fuori dal comune, diverso da tutti gli altri e capisce chi è davvero. (Classe quinta.) Martina: – Sono tre cose: una cosa è quella lì in alto, sembra un abisso, tipo delle rovine di città antiche, sommerse nel mare e poi dopo lì dove c’è la faccia mi sembrano le montagne russe, mi sembra la gente che alza le mani sulle montagne russe, e lì dove ci sono tutti i colori invece assomiglia al paradiso. Francesca: – Quella parte lì mi sembra la tranquillità, quella dove c’è il paesaggio coi fiori e in alto dove c’è tutto coi colori spenti mi sembra la tristezza e dove ci sono tutte le luci mi sembra la gioia. Mattia: – A me sembra dove non ci sono i colori, mi sembra l’inferno, e lì c’è il ponte per andare dall’inferno al paradiso. Gianluca: – Mi sembra un treno che va a sbattere contro un muro. (Classe terza.)

In questa atmosfera il tempo sembra volare e si fa ora di tornare in classe: i bambini stanno chiedendo autografi che si trasformano in piccoli disegni volanti e preziosi; Martina estrae un biglietto dalla tasca, c’è scritto “Questa è la prova che ho conosciuto Piero Dosi” e sotto lo spazio per la firma del pittore. Ci lasciamo promettendoci di ritrovarci, Piero compreso, alla mostra che allestiremo a fine maggio.

In questa pagina e in quella successiva fotografie di Daniele Casadio. Le fotografie che documentano i laboratori, nelle pagine precedenti, sono di Silvia Patuelli.

trastano con il paesaggio superiore: tra questi, la testa e una cascata di giallo intenso e brillante, vibrante e materico, felice, vivace ed informale. Il quadro è veramente notevole, quasi un riassunto ricco e concentrato di tutti i quadri che abbiamo visto in questi mesi; è una sorta di alfabeto o concerto che tiene insieme differenti pitture, segni e materie diverse convivono in maniera sorprendente. È vivo e pulsante; i bambini sono colpiti, la pittura sembra aver fatto centro (mira al cuore). Chiedo ai bambini chi vuole cominciare a parlare: sono un po’ intimoriti dalla presenza di Piero, poi si sciolgono in un racconto incredibile e profondo. Siamo tutti a bocca aperta: è bello. In seguito i bambini faranno a turno alcune domande al pittore prima di scendere in atelier dove riprendiamo alcuni disegni e dipinti realizzati negli incontri precedenti: su questi volti i bambini dovranno intervenire con scritture e segni, come se l’immagine fosse una sorta di pagina di diario; questo tema è suggerito da me e Piero riprendendo alcuni motivi del quadro visto in precedenza, come la scrittura quasi stenografata che sembra fuoriuscire dalla testa. La scrittura diventa elemento grafico, capace di suggerire ed evocare: si sovrappone come un pensiero o un’emozione. Stratificazioni. I bambini, eseguito il primo lavoro, continuano a riprendere alcuni dipinti, anche liberandosi delle nostre indicazioni per seguire altri percorsi, sovrapponendo ed aggiungendo, passando liberamente da una tecnica all’altra; Piero passa tra i tavoli, si sofferma divertito ed interessato: i bambini sono impegnati e felici, ascoltano i suoi suggerimenti e sono ansiosi di mostrargli le loro produzioni. La mostra si intitola Piero Dosi e i trenta superprotopittori delle facce ed è allestita nello spazio in cui i bambini hanno dipinto alla mattina ossia la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano: oltre ai dipinti e disegni dei bambini, abbiamo esposto il video di Federico Settembrini e, naturalmente, il quadro di Piero Dosi.13

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• A seguire il breve testo scritto per l’invito della mostra. • Massimiliano Fabbri e la Scuola Arti e Mestieri presentano: PIERO DOSI E I TRENTA SUPERPROTOPITTORI DELLE FACCE > Presso la Casa di Arti e Mestieri, Piazza Alberico, Barbiano. Trenta bambini delle classi terze e quinte della Scuola Elementare di Barbiano hanno disegnato e dipinto, per circa tre mesi (da novembre a gennaio), delle facce ispirate al lavoro del pittore Piero Dosi (alla fine lo hanno anche incontrato). Il risultato è un’incredibile galleria di sguardi che tiene insieme più di duecento volti, belli, potenti e raffinati, capaci di raccontare questi bambini in maniera forte ed intensa. Un percorso affascinante e sorprendente che si snoda attraversando diverse tecniche pittoriche ed abbracciando strumenti, poetiche e modalità espressive differenti; dalla pittura liquida a quella materica, dal monotipo alla macchia, dall’intervento su fotografie al disegno a lume di candela, dall’eleganza del bianco e nero alla gioia del colore puro, tutto messo dentro ad una testa. Facce come non le avete mai viste; meraviglia e stupore, è quasi arte. - In questa mostra troverete anche la 109 campagna fotografica di Daniele Casadio ed il video di Federico Settembrini che documentano l’incontro avvenuto tra i bambini e l’artista.


Galleria

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Galleria Piero Dosi e i trenta superprotopittori delle facce, Casa di Arti e Mestieri, piazza Alberico, Barbiano di Cotignola, maggio 2005. Fotografie di Daniele Casadio.

• Narciso infranto

• Il ritratto vibrante

• La faccia doppia

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Galleria • La pittura è la carne

• Volti d’acqua e visi d’anima

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• Piero Dosi, pittore (la faccia è una pagina)

• Il paesaggio dentro


1 Del disegno e del guardare 1.1 In principio era lo specchio 1.1.4 Un pittore

1.1.4.D Il volto o dei paesaggi dell’anima Esplorazioni La parola enigmatico in riferimento al volto è già apparsa: nostro orizzonte e mondo di richiami continui il volto è esposto, per questo suo essere presente eppur non del tutto prendibile, a continue indagini, esplorazioni e interrogativi. Già da piccolo il bambino tasta con le mani e con gli occhi insieme il volto della madre, lo studia, lo rimira, lo contorna e ne fa la sua prima terra ; la prima nostra geografia è quella del volto della madre e poi quelli di chi ameremo durante l’infanzia e poi. Anche il volto dell’amata o dell’amato è geografia sempre esplorata; sempre ricercata in tutti i suoi risvolti e protuberanze e rientranze... ma anche il proprio volto lo è. Ogni mattina ci guardiamo, ci cerchiamo, ci vogliamo confermare...; ogni tanto ci studiamo; ogni tanto cerchiamo corrispondenza fra ciò che sembriamo essere o ci pare di essere e ciò che sentiamo e avvertiamo dentro. Si vede qualcosa di noi? Cosa portiamo sul volto dei nostri “moti dell’anima”? E gli altri? Allora il volto è un libro da leggere, è un libro aperto da decodificare e le rughe, gli sguardi e forse addirittura capelli portano pensieri ancora tutti da dire e da scrivere; pensieri che aspettano solo di andar fuori dalla bocca e dagli occhi e forse anche lungo le mani e i capelli scivolando lungo le vie dei vasi di qualche capillare. I capelli sono fra noi e il cielo, per altro. Allora il volto, ma anche il corpo, sono diari del nostro vivere giornaliero; da srotolare a volte, altre solo da leggere da parte degli altri. È questo parlare, questo comunicare, questo inviare messaggi e segnali che il maestro sottopone all’attenzione dei bambini affinché scoprano che il volto parla parole primamente viste e percepite con gli occhi sulla pelle dell’altro. E viceversa. Bene quindi fa il maestro a tornare, sotto diverse angolature, con diversi bambini o con gli stessi, e in diversi modi sul tema del volto che è il tema dell’identità : del suo farsi nel tempo, del suo darsi agli altri e al soggetto stesso, del suo percepirsi... D’altra parte è ormai condiviso che ogni produzione artistica è af-

fermazione di identità; è autoritratto. È dire di sé, scoprirsi celandosi dietro altri ritratti e altre forme; dire di sé perché ognuno è Storia, ha la sua storia e porta con sé storie. Ogni volto, ma anche ogni corpo, sono dichiarazioni sottoforma di rebus: per questo chiedono una potente concentrazione come quella che il maestro cerca di far nascere e coltivare nei bambini. Concentrazione per comprendere quello che si ha di fronte: comprendere, vale a dire prendere con sé per farne parte di sé, è la continua ricerca che il maestro propone ai bambini. Ora i dipinti di Piero Dosi sono quasi tutti degli autoritratti quindi testimonianza e invito insieme a colloqui con se medesimi; quindi il maestro, attraverso uno specifico genere della pittura e attraverso la declinazione specifica -pretesto ovviamente- datagli da Piero Dosi, ha “iniziato” i bambini a quel lungo colloquio con se stessi che passa anche attraverso il volto; conferma del nostro esserci a noi stessi medesimi.

Riflessioni Quindi i bambini sono stati chiamati a riflettere e riflettersi nel vero senso del termine: di flettersi per guardarsi attraverso i propri occhi e gli occhi altrui attraverso una sorta di viaggio all’esplorazione di sé come dice il maestro. Lo hanno fatto tenendo fermo lo “specchio” del volto propri e altrui con i suoi occhi che lo rendono vivo e profondo; in contatto con il dentro di cui il volto è superficie mobile, ma stabile eppur esplicita, a volte. C’è quindi la prova del ricomporsi, del resistere alla frantumazione sempre possibile sapendo di poter dar vita a nuove, vitali configurazioni; il Narciso che può sminuzzarsi può anche, allo stesso modo, ricomporsi senza perdersi, senza annegare nel mare dei frammenti che, presi uno per uno e da vicino, rimandano all’intero. Costruirsi e costruire un volto, in definitiva, è una sorta di “opera d’arte” di ricomposizione del proprio sé; un’opera fatta con le mani sull’asse della realtà esterna al soggetto è sempre anche una ricostruzione di parti di sé e quindi una

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rimessa a posto del proprio interno cantiere. Ma ancora, seppur nell’ombra e nella luce che si mescolano e si intrecciano; seppur nell’alone tremolante di una luce che toglie potenza e splendore alla forma ...esso, il viso, persiste, esiste e continua ad esserci: quello nostro e dell’altro...Basta saper stare nei micro movimenti, nei tropismi governando le sfumature, lo sfrangiarsi, il farsi diafano; siamo sempre a rischio e sempre chiamati a confrontarci con l’ombra e con l’incertezza. Ma se guardiamo bene, aguzzando la vista e prendendo veloci schizzi della forma che trama, possiamo sempre recuperare la realtà di ciò che pure esiste e permane, anche quando perde i contorni. Ma possiamo comunque dar forma anche a ciò che sta dileguandosi e sciogliendosi arrestando il suo dileguarsi e sciogliersi; quindi disegnare il volto è dargli vita eterna, oltre la storia rischiosa della nostra identità. Sì siamo a rischio di frantumarci, siamo a rischio di perderci e smarrirci; siamo fra la luce, l’ombra e specchi non sempre fedeli e stabili... ma ci siamo, ma non sempre avvertiti uguali, non sempre percepiti similmente giorno per giorno. Saremo a volte diafani, come vicini a dileguarci; a volte saremo perentori e ben presenti: i nostri stati d’animo sono portati al e dal volto, specchio dell’anima con i suoi occhi che lo definiscono sentimentalmente. Ancora una volta quindi i bambini esploreranno la polarità fra liquidità e matericità; la carne non sempre si dà nella sua veemenza muscolare e accorata, altre volte viene meno e si fa aurea di acqua e luce. Si esplicita, qui forse in modo più drammaticamente correlato, che il maestro intende la pittura come discesa nell’anima per restituire paesaggi ben tangibili di questa e dei suoi movimenti, dei suoi scivolamenti e assestamenti e mutamenti. É un voler colpire al cuore dei bambini questo suo lavoro di doppia interrogante problematicità fra il voler recuperare il volto da una parte chiamando a raccolta strumenti per “farlo” dall’altra e viceversa: c’è la “cosa” e ci sono gli strumenti pensati per cogliere la “cosa”: e fra i due c’è tormento, ritorno, ripresa, danza. E questo voler colpire il cuore dei bambini perché abbiano sussulti di consapevolezza dell’impressa a cui sono chiamati, lo si recupera anche nel lavoro sulla sorpresa dell’incontro, sullo stupore che il volto dell’altro ci offre e ci regala e che pur ci coglie e colpisce... disorientandoci e

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quindi disponendoci alla riflessione produttiva. Questo intenso guardarsi negli occhi è già un percorso di introspezione e di sfida a conoscere e conoscersi nella mutabilità reciproca. È inizio della scoperta della profondità cardiaca dell’occhio. Infine c’è il doppio gioco – sul doppio livello del rapporto reciprocamente vibrante e arricchente fra il contesto e la forma che in questo contesto sta – del volto sia come memoria stratificata di storia delle nostre visioni e incontri sia come emblema del nostro stesso essere e stare al mondo, come una presenza fra le presenze del paesaggio che ci circonda. Siamo quindi una serie stratificata di paesaggi che sono pelle sopra altra pelle: è questo che ci fa ricchi e vibranti, interessanti da volere comprendere e scoprire. Ma siamo anche presenza fra le altre in un paesaggio dandogli profondità e storia, dandogli spessore esistenziale con le nostre vicende e attraversamenti. Forse anche e proprio nell’insistenza delle diverse tecniche e visioni offerte attraverso le innumerevoli relazioni con altri autori attivate partendo da Piero Dosi, forse è proprio sull’insistenza con la quale il maestro chiede di tornare sopra, di riflettere, appunto, su ciò che si è prodotto dando ogni volta un altro tocco, come se il manufatto dovesse rimanere vivo e in continua elaborazione e relazione con il suo autore, che il maestro ricerca per i bambini una profondità esistenziale restituendo alla pittura anche la funzione di brogliaccio dell’anima segreta levata dal volto, da esso celata eppur non zittita; profondità esistenziale da lasciare ai bambini. E perché tutto questo sia credibile e affrontabile per i bambini, porta loro una testimonianza di questo possibile, alacre, impegnato, mai contento lavorìo facendo di un lavoro e di una persona “mitica”, come sono sempre gli artisti, un vicino esempio di un possibile dialogo che li apra sui propri paesaggi guardando quelli dell’ormai vicino e toccabile pittore. Pittore la cui presenza testimonia la carnalità corporea di ogni quadro che sempre ne è memoria ed evidenza.


1.2 Nella pittura e nei fatti della natura


Una foglia notturna dipinta da una bambina della scuola materna


1 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura

1.2.1 Le foglie un immenso stelo d’erba, una minuscola foresta1 Atelier di disegno e pittura con la Scuola dell’Infanzia di Cotignola e Barbiano e Asilo Carlo Maria Spada: sezione piccoli, mezzani e grandi; anno scolastico 2003–2004. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola, la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano e la Scuola Materna di Cotignola e Barbiano. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi.

I bambini della sezione grandi della Scuola Materna di Cotignola all’Arti e Mestieri.

Albero di mani. Paesaggio fatto con le foglie.

A cosa assomiglia?

“Non è forse la mano una foglia di palma aperta, con i suoi lobi e le sue vene?” (E ancora un passaggio da Walden ovvero Vita nei boschi di H.D. Thoreau.)2 “Le penne e le ali degli uccelli sono foglie ancora più secche e sottili.” “Lo stesso albero, nella sua tonalità, non è che un’unica foglia, e i fiumi sono foglie ancora più ampie, la cui polpa è la terra che vi si intromette, e i paesi e le città sono le uova degli insetti nelle loro ascelle.” Nel bellissimo capitolo sulla primavera Thoreau osservando fenomeni naturali come il disgelo dei ghiacci arriva ad intravedere una sorta di regola cosmica, una specie di proporzione aurea in cui la foglia è prototipo e sistema del mondo. Ecco un buon inizio per un laboratorio che potrebbe estendersi all’infinito: con una sorta di meditazione-contemplazione Thoreau allarga (e sintetizza) a dismisura le maglie del reale giungendo ad esiti che sono propri della matematica e della scienza: la foglia diventa albero, fiume, farfalla, cristallo di ghiaccio, piuma di uccello, pelle, volto, mano, in un incessante andirivieni tra piccolo e grande. Potrebbe quasi apparire paradossale che si acceda al fantastico, all’accostamento inusuale ed insolito tramite una “semplice” osservazione di un fatto naturale; e così, con una piccola foglia, possiamo entrare in un mondo inatteso da scoprire ed esplorare: generare universi, costruire sistemi, perdersi in sorprendenti percorsi, capovolgere il reale come ci insegnano Klee e Mirò. La foglia rivelerà allora la sua vita silenziosa e segreta, la magia che troviamo nei boschi delle fiabe, nella mitologia sugli alberi (ba-

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• “Un immenso stelo d’erba / Una minuscola foresta/ Un cielo verde verde”(…), Jacques Prévert, Canzone da cantare a squarciagola e a piè zoppo in Storie e altre storie, UE Feltrinelli, Milano, nona ed. 1971, p.31.

2

• Tratto da Walden ovvero vita nei boschi, Henry D. Thoreau, Bur, Milano, settima ed. 1996, p. 381, 382, 383.

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Le foglie

3

• La cosa più difficile, ricercata da molti artisti, è rappresentata dal tentativo di guardare le cose con occhio nuovo, vergine e perciò pronto alla meraviglia (Alberto Giacometti ci ha lasciato delle pagine di lacerante bellezza sull’argomento). Guardare una foglia come se si fosse il primo uomo sulla terra; si tratta (almeno nelle intenzioni e a livello di tentativo) di rinnovare e fare le cose nuove con uno sguardo puro e non contaminato.

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• In questa fase utilizzeremo il segno con strumenti quali gessetti, matite, pastelli a cera, chine. Il nostro sguardo si riappropria del mistero delle cose (rifare il mondo ).

sti pensare alla descrizione che Ovidio ci offre, nelle Metamorfosi, della trasformazione di Dafne in alloro). Eccoci un notevole ed interessante spunto per un gioco da proporre ai bambini: all’improvviso mi trasformo in un albero, il mio corpo è un tronco, le mie braccia rami, le mie dita foglioline: occupare, conquistare lo spazio, allungarsi, estendersi; stare immobili. Sono un messaggero tra terra e cielo, mangio la luce e bevo la terra; mi scuoto col vento. Un piccolo esempio che ci apre mille strade: parlare ed interrogare le foglie, coprirsi o farsi un letto di foglie, farsi vestiti di foglie, camminare su di un tappeto di foglie, volare sulle foglie, essere leggero come una foglia, cadere come una foglia, i rumori delle foglie, le loro ombre. E allora via a foglie giganti che diventano alberi o che sono attaccate alla terra come palloncini o aquiloni, e ancora, in grado di volare via con l’autunno o con un vento improvviso. Foglie enormi che diventano isole, paesaggi visti dall’aeroplano: le nervature diventano fiumi e strade, le formiche treni e autobus, le coccinelle coloratissime case, una goccia d’acqua un lago. Ma anche foglie animate che diventano personaggi con caratteristiche proprie (la foglia cicciona, la foglia sega, la foglia fiamma, la foglia serpente). La pelle come una foglia, le vene come nervatura. E ancora foglie barche per farsi portare dalla pioggia, dai torrenti e dal mare. Guardare com’è fatta una foglia, guardare dentro, sopra, sotto, fuori, dietro e oltre.3

I bambini della sezione grandi della Scuola Materna di Cotignola all’Arti e Mestieri.

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Così non sarà affatto povero o limitante partire da una foglia o da un rametto piuttosto che da un pezzetto di carta, da una macchia sul foglio (e ancora da un’orma, una ghianda, una castagna, una pigna, una piuma, un fungo...). Via libera al disegno dal vero per guardare e vedere bene una foglia e com’è fatta: forma, grandezza, nervatura, bordo.v Da questo semplice approccio potremo proseguire per una moltitudine di direzioni che ci verranno anche indicate dalla sensibilità di

Disegno dal vero, linguaggio verbale.

Cosa mi succede? Mi sto trasformando in un albero.

L’utilizzo di tecniche artistiche ci offre la possibilità di rendere ancora più vere queste invenzioni; all’interno di un foglio di carta, che è un mondo a parte, non esiste una divisione netta tra realtà e fantasia: questi due concetti si mescolano, intrecciano e alimentano a vicenda. Confondersi, scivolare e sfumare. I boschi e gli alberi di Klee fatti “ingigantendo” le foglie. Bambini lillipuziani, bambini Gulliver.

Il disegno registra e reinventa, prepara il terreno per l’arrivo dello stupore, la meraviglia e la sospensione del tempo. Una curiosità inquieta nei confronti delle cose, e di quello che non si è ancora scoperto, sarà il collante di queste esperienze. Isolare la foglia per vederla meglio.


Le foglie La foglia albero, la foglia volante, la foglia paesaggio, la foglia parlante, la foglia troppo sola che ha bisogno di un’amica o quella che vuole il rametto vicino a sé per timore di volar via e perdersi. Crescita di una foglia. Trasformazione di una foglia. Foglie giganti che diventano alberi. Foglie con caratteristiche o parlanti: la foglia che si pavoneggia, la foglia che è una tipa pungente, foglie alte e magre e foglie un poco sovrappeso. Mamma foglia e foglino, foglietta sola e soletta. La regina delle foglie che si sposa l’Arcimboldo? Foglie con bigliettini, con scritte dentro.

Francesco Bocchini

ciascun individuo; se veramente la foglia che il bambino sta copiando è magica non può che succedere qualcosa. (Fondamentale sarà stimolare osservazioni e riflessioni sulla famiglia delle foglie con il sostegno del linguaggio verbale; parole che accompagneranno, integrandole, le scoperte e le invenzioni proprie dell’atelier. Le maestre le scriveranno e registreranno; tutto questo materiale, insieme ai disegni che si faranno, porterà alla realizzazione di un allestimento-mostra per il salone ed anche ad un libro.) Ecco allora una grande frasca, una fronda che, al primo sguardo distratto, può apparire normale e silenziosa ma che in realtà è un insieme brulicante, animato e leggermente caotico, come di rumore o brusio di fondo: il bambino può guidare il genitore distratto a ripercorrere inversamente il cammino, ad avvicinarsi (stando in silenzio ed aguzzando la vista) per scoprire l’inatteso... Un incontro si potrebbe sviluppare sulla texture, sul dentro, sulla superficie della foglia. Via libera al frottage, alla tempera diluita e a quella materica a cui aggiungere il graffito, e alla china, fino ad arrivare a scordarsi (o a non poterne più) della foglia che così diviene pretesto, campo pittorico su cui sperimentare tecniche, mezzi e trucchetti.5 Io conosco un albero vanitoso che si vuole vestire in modo bizzarro, elegante, sgargiante e alla moda; le foglie sono i suoi abiti. (Foglie collezione di segni, di macchie, a reticoli, a puntini, a quadretti, a righe, sgocciolate e così via.) Queste foglie potrebbero essere il guardaroba dell’albero vanitoso che piuttosto che incaricare un sarto ha chiamato un pittore; una possibile storia è già avviata, il re degli alberi chiama i pittori a corte per inventare e dipingere la foglia più bella... Perchè non costruire in salone un albero-babele fatto di foglie rubate ai pittori (Rousseau, Matisse, Klee). Ogni foglia una stella con il nome di un bambino. Il lavoro dello scultore Francesco Bocchini intitolato La Foresta di Rousseau ci offre un bellissimo esempio di allestimento composto da singoli elementi (foglie di latta) che possiamo sicuramente guardare per la costruzione della nostra scenografia: in questa scultura la piccola faccia del “Doganiere” è letteralmente circondata da un mare di foglie: lui se ne sta là in mezzo un po’ protetto e cullato, un po’ nascosto e mimetizzato, un po’ imprigionato; le

5

• Monotipo, dripping, pittura o china su foglio bagnato, pettini, spazzole, forchette e rulli, spatole, pittura con sabbia e vinavil, macchie da trasformare o collegare come microcostellazioni. Henri Rosseau

Henri Matisse

Paul Klee

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Le foglie foglie dentro cui si trova sono anche una sorta di prolungamento dei suoi pensieri che una volta usciti se ne vanno un po’ per i fatti loro, lui stesso diventa una foglia, un pensiero delle foglie, il re delle foglie. Prendiamo le foglie disegnate dai bambini per ricreare questo allestimento: possiamo veramente buttarci dentro di tutto, come un’immensa ragnatela che cattura ed impiglia, o una rete gettata nel cielo-marino che ha raccolto e pescato casualmente. Foglie disegnate, dipinte, ritagliate, ricalcate, fotografate, fotocopiate; bigliettini, nomi, facce, animali, oggetti. Oppure ogni fronda può diventare riconoscibile e particolare per una sua propria e specifica caratteristica: ogni foglia è una faccia oppure tiene un nome: l’albero che abbiamo visto prima fatto con le foglie dei pittori sarà l’albero dell’arte, e ancora l’albero rosso, verde, giallo, blu e anche quello nero che fa paura, l’albero pieno di storie e parole per gente che nel bosco ha tempo da perdere (frottage su quotidiani?). L’albero di mani. Empatia = proiezione dei propri stati emotivi nell’oggetto estetico. Capacità di immedesimarsi in un’altra persona, di calarsi nei suoi pensieri e stati d’animo. (Passione ed affetto, come se il laboratorio necessitasse di una doppia energia: una travolgente, fisica e sorprendente, l’altra di attenzione, dolcezza e lievità come nei confronti di un qualcosa di estremamente fragile, leggero e vulnerabile). Sensibile. Punti di contatto tra interno ed esterno, tra uomo e mondo e tra mondo e uomo.

> Struttura

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• “L’ombrello e la macchina da cucire che fanno l’amore su di un tavolo anatomico”.

Disegnare una foglia (forma, bordo, nervatura, grandezza). Mostrare mezzi e strumenti diversi: la differenza tra un segno ottenuto con un gessetto ed un altro realizzato con china, collezione di segni ottenuti con pennelli e tempera. Rapporti grande-piccolo in relazione allo spazio occupato nel foglio. Una foglia minuscola, un’altra gigante, e poi giocare ad animarle: la solitudine di una foglia, la foglia volante. Disegnata la foglia possiamo provare a fare i piccoli surrealisti6 accostando qualcosa di incongruente o inaspettato: cosa succede se il bambino è alto neanche la metà della foglia o se la foglia è piena di occhi o ancora se cresce sulla testa al posto dei capelli. Fare crescere la foglia, fargli occupare più spazio; farla modificare con strutture generative tipo fiamma o cristallo, come un pò come suc-

Su ciò che concerne un’ipotetica sequenza di incontri e possibili sviluppi di questi all’interno del laboratorio, dobbiamo ricordare che una programmazione troppo rigida può essere poco produttiva poichè rischia di non tenere conto dell’inatteso e dell’imprevedibile, ossia di quello stupore di cui abbiamo parlato precedentemente. Dobbiamo saper pensare (e progettare) l’atelier come ad un sistema in grado di allargarsi per offrire molteplici e diversificati percorsi agli individui che vi partecipano (un laboratorio liquido che si adatta alla forma delle cose). Il laboratorio potrà essere ricco di diramazioni proprio come le nervature di una foglia; se l’atelier è luogo di collegamenti, sorprese, invenzioni e contaminazioni (le tecniche miste ad esempio) non può essere pensato come ad una successione-divisione per compartimenti stagni. Il compito del maestro d’arte è presentare e creare opportunità, fornire strumenti, mettere a disposizione possibilità, tecniche e mezzi adatti ad esprimere un’idea o sentimento (o qualsiasi cosa si abbia voglia di realizzare); poi deve mettersi in ascolto ed essere pronto a seguire percorsi non previsti rivedendo costantemente il suo bagaglio alla luce di ciò che di particolare scaturisce dalle intuizioni e sensibilità del bambino: va da sé che un identico programma si possa sviluppare e crescere in forme e modalità differenti a seconda del contesto in cui è inserito. La seguente suddivisione per punti e tematiche avrà perciò un valore puramente indicativo offrendoci alcune, ma non tutte, delle tappe che ritroveremo o a cui possiamo tornare all’interno del nostro percorso.


Le foglie cede nei disegni di Klee. Trovare similitudini con altri fatti naturali, piume, alberi, paesaggio, pelle, persone. (Un uccello fatto di foglie, un uomo di foglie, un alfabeto di foglie; le parole sono foglie e il mondo si ritrova in una giungla inestricabile.)

> Pesantezza e leggerezza Tecniche pittoriche e diversi materiali per rendere, descrivere e tradurre al meglio determinate caratteristiche; per vedere e rappresentare meglio, per pensare e vedere molteplice. Le foglie volanti e le foglie cadenti. (I suoni, i rumori e i movimenti.)

Paul Klee

• Leggerezza Carta velina, la trasparenza dell’acetato, chine e tempere acquerellate, fogli bagnati per espansioni e contorni morbidi, macchioline e piccolezze varie, puntini, segnetti, trasparenze. Costruire tende o mobile alla Calder; sculture che filtrano la luce, che si muovono con il vento. Foglie bucate che fanno passare l’aria, attraverso cui posso sbirciare. Maschere-foglia.

• Pesantezza Utilizzo del frottage, sia realistico (con foglie vere) sia con oggetti artificiali e/o di recupero; graffito con cera e china, pittura e graffito, pittura e sabbia, stampi e monotipi. E poi tutti i sistemi alternativi al pennello: dripping (sgocciolamento), rulli, spatole, stampini. Qui la foglia è puro pretesto per l’inserimento e la scoperta di tecniche e modalità pittoriche, alla ricerca di texture e superfici preziose (l’albero vanitoso e le foglie come abito).

> Colore Pensare e soprattutto vedere i verdi, dipingere con tanti verdi, dipingere i verdi (Rousseau). Portare tante foglie, tanti pezzi di carte, stoffe, plastiche, eccetera; cercare assonanze, dipingere solo con il verde, fare assemblaggi. Che cosa è verde? (Fare il verde.) Come detto in precedenza e, come è facile intuire, queste tre ipotesi di lavoro non possono non intrecciarsi e confondersi finendo col mescolarsi e generando ulteriori intuizioni e possibilità, aprendo strade e percorsi nuovi; è altresì vero che possiamo decidere di sviluppare in un atelier un unico punto evitando e sfuggendo un approccio troppo generico e superficiale: il laboratorio verde, il laboratorio della leggerezza, quello dell’assemblaggio e così via. Proporre ai bambini mucchi di oggetti, fargliene portare, cercarli insieme nel bosco, in cortile, nel parco, nella discarica.7

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Le foglie • Un lavoro di assemblaggio e collage ci offre ad esempio un campo pressochè infinito da esplorare: foglie, rametti, cortecce, terra e altri elementi naturali, oppure oggetti di recupero come pezzetti di carta, tappini, stoffe, bottoni, cartone. Due esempi molto stimolanti e diversissimi tra loro ci vengono da due grandi scultori: G. Sartelli che lavora, con amore stupito e perenne fascinazione, materiali naturali o intimi come rametti, paglia, ragnatele, terra, carte e cicche, tenendoli insieme in maniera poetica, delicata e leggera; T. Cragg invece utilizza materiali di scarto, in prevalenza plastica, raccolti in base al colore (o forma e materiali) che poi ordina e disciplina in figure e sagome geniali, sorprendenti architetture ed equilibri dalla fortissima presenza “scenografica”. • Ancora Cragg e Sartelli ma anche Io che prendo il sole a Torino 19 gennaio 1969, di Boetti.

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• Canto delle lumache che vanno al funerale, Jaques Prévert, in Il Prévert di Prévert, UE Feltrinelli, Milano, 1971, ottava ed. p. 83, 84.

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Un altro esempio che ci offre molteplici spunti per potenziali storie da inventare insieme ai bambini: sull’albero sono rimasti impigliati degli oggetti. Chi li ha portati? Un uccello? Oppure li ha persi un signore che dorme sugli alberi? O invece sono oggetti magici che l’albero dona a chi li sa trovare? Alcune cose che possono essere fatte in sezione per costruire scenari e scenografie che modificano l’ambiente e le percezioni per chi lo vive. I bambini foresta o bosco: disegnare la sagoma del bambino su di un foglio di carta da pacco. L’omino di foglie e l’omino di rametti, l’uomo di corteccia, di pigne, di castagne, di erba, di terra.8 Bambini trasformati, mimetizzati e metamorfizzati. (Una sagoma per ogni bambino, ecco una foresta fitta e animata.) Un altro lavoretto: la fronda di mani, la mano è una foglia, sulle dita crescono foglioline. (Altra ipotetica grande installazione per il salone). Un’altra attività è rappresentata dall’uscire per andare a caccia di frottage: foglie e cortecce; poi costruire un grande albero di carta col sistema di B. Munari.

Germano Sartelli

8

Da un rametto secco e spoglio incollato su di un foglio, o un pezzo di cartone, posso partire per ricostruire, completare o reinventarmi un ramo pieno di foglie e di mille altre cose: potrò usare foglie disegnate o dipinte oppure fatte a frottage, e ancora pezzetti di carte o stoffe oppure oggetti vari per un ramo prezioso (i tappini diventano gioielli). E ancora alberi e rami di lettere, di fotografie, di parole, di minestra.

Tony Cragg

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Raccontare ed inventare storie, leggere poesie, portare i bambini nel bosco, in cortile, cercare gli alberi più vecchi e belli, raccogliere cose, stare sotto un albero, abbracciarlo, portare all’albero delle cose, appenderle, costruirsi vestiti di foglie, fare alberi con tutte le tecniche, proiettare diapositive di boschi diversi su cui i bambini possono giocare. Al funerale d’una foglia morta Vanno due lumachine Han la conchiglia nera E il lutto sulle corna Se ne vanno nel buio D’una sera d’autunno Ma ahimè quando son giunte È di già primavera Le foglie che eran morte Sono tutte risorte (…)

Jacques Prévert 9

Alighiero Boetti


Le foglie Benvenuti, questa non è una storia triste, ma come tutte le storie felici prende il via da un piccolo problema che in questo caso, per il nostro re indeciso e brontolone, si chiama inverno…

Massimiliano Fabbri

• Il castello fogliuto e dipinto10 «Il re delle foglie ha un giardino con un bosco lussureggiante con dentro tutte le foglie di tutti i tipi e di tutti i verdi del mondo. Il re è molto orgoglioso di questo luogo (che chiama il suo angolo di paradiso): ci passa infatti un sacco di tempo, sia da solo che in compagnia; vi fa lunghe passeggiate, osserva e parla con le foglie insieme alle quali fa interminabili chiacchierate, legge, e a volte si addormenta mentre sta pensando oppure gli capita di schiacciare un pisolino all’ombra di un grande albero. Sovente dorme così a lungo che Evaristo, il suo maggiordomo, deve andare a svegliarlo perché è pronta la cena. Ma quando arriva l’autunno si intristisce perché le foglie cadono e lui, che non sopporta la vista degli alberi spogli, non ha la pazienza di aspettare il ritorno della primavera. Così comincia ad arrovellarsi per trovare una soluzione a questo problematico inconveniente. I suoi pensieri diventano storti e si ingarbugliano: non dorme quasi più, non mangia quasi più, non parla quasi più e non da più feste al castello. Non passeggia neanche più nel bosco, fa avanti e indietro per i lunghissimi corridoi ed è quasi arrivato a pensare di far buttare giù tutti gli alberi e sostituirli con altri fatti di plastica che ha visto al supermercato. Durante uno di quei giorni bui il re fa una scoperta che lo rende di nuovo felice: passando davanti alla camera dei giochi di suo figlio (che ha cinque anni) lo vede intento a dipingere dieci foglie; entra nella stanza e dopo poco lo si sente esclamare: – Fantastico! Come ho fatto a non pensarci prima! Il re aveva trovato la soluzione: le dieci foglie dipinte dal suo piccolo figlio. Ce n’erano di tutti i tipi e per tutti i gusti: una stretta e lunga, una larga e panciuta, una verde scura e una verde chiara, una a quadretti ed una a righe, una a puntini, una con il bordo di sega e poi altre ancora. Il re, tutto eccitato, bacia ed abbraccia il figlio continuando a ripetergli: – Figlio mio, mi hai salvato, mi hai illuminato; tu non puoi sapere quanto stavo male e in pena per il mio giardino. Tu devi dipingere per il mio bosco mille foglie così che io possa farle attaccare agli alberi per l’inverno. – Ma babbo – rispose il piccolo – non posso dipingere mille foglie da solo, sono troppe! – E allora figlio mio, come possiamo fare? Non vorrai vedermi scontento un’alta volta? – ribatte il re sconsolato. – Ho un’idea babbo: invita a corte cento bambini ed avrai tutte le foglie che desideri.

10

• Questa storia è stata ideata per aprire ed introdurre ai laboratori delle foglie; il maestro d’arte prima di mettere mano ai “ferri del mestiere” tiene i bambini intorno a queste parole che rappresenteranno il primo momento di una “comunità pittorica” che andrà man mano delineandosi: la storia serve a conoscersi, 123 a guardarsi negli occhi e far partire l’attività in maniera divertente ed imprevista. Le parole scaldano e sciolgono, le risate mandano via un po’ di paure o timori.


Le foglie

Massimiliano Fabbri

– E poi chiama dieci pittori che possano aiutare i bambini – aggiunse la regina che aveva ascoltato tutto – chiama il pittore dei verdi, quello della pittura liquida e quello della pittura grossa e poi il pittore delle macchie e anche quello del frottage, quello dei segni sottili come capelli, eccetera. Il re accetta la proposta e il castello si trasforma in poco tempo in un immenso laboratorio con colori, pennelli e matite dappertutto; ovunque foglie dipinte che così belle, stupende ed affascinanti non si erano mai viste. Il re è a dir poco estasiato; euforico passa tutto il giorno di stanza in stanza, di corridoio in corridoio per vedere le creazioni dei bambini. Parla con i pittori di cose eleganti e raffinate e cerca la bellezza ovunque; è sempre più contento e in lui cresce la meraviglia e lo stupore tanto che si dimentica di tutto il resto e il tempo passa così velocemente, ma così in fretta, che non si accorge nemmeno che l’inverno è finito e che le belle giornate sono sempre più frequenti. È primavera e le foglioline sono già rispuntate. Quando glielo fanno notare il re ci rimane male e reagisce bruscamente: – Ecco ho mille foglie dipinte da cento bambini e dai dieci pittori più bravi e non so cosa farmene. Accidenti non seguirò più i consigli di un bambino, c’è solo da perdere tempo! Farò tagliare le mani ai pittori e vieterò a tutti i bambini del mio regno di dipingere, così impareranno ad impiegare tutto questo tempo per mille foglie che poi, a guardarle bene, non sono neanche un gran che. Uffa! Tutta la sala con i camerieri, i pittori, i cento bambini, i poeti, i musicisti, i parrucchieri, i pappagalli e un sacco di altra gente piomba in un silenzio sorpreso ed intimorito. Del resto si sa che a certi re gli va ogni tanto di fare le bizze. Ma a quel punto la regina stufa dei capricci di questo vecchio trombone si avvicina al re con fare minaccioso e, brandendo un pennello sinuoso, gli fa la faccia a puntini verdi. Tutti scoppiano in una fragorosa e liberatoria risata alla quale partecipa anche il re che non può far altro considerata la figura barbina. Poi la regina dice rivolta al suo compagno: – Mio caro marito non ti riconosco più. Eri così felice ed interessato all’arte e per giunta ora è anche primavera; rilassati dunque, dovresti essere doppiamente felice. È vero non hai più bisogno di appendere fuori le foglie dipinte, però non è stato un lavoro inutile: puoi attaccarle dentro al tuo castello che così sarà anche più allegro e un po’ meno monotono, e poi te l’ho detto tante volte che qui le pareti sono un po’ noiose con tutti quei ritratti di antenati che guardano severi. – Hai proprio ragione! Se non ci fossi tu cara moglie come farei, hai avuto un’idea splendida; e tu figlio mio scusami, ti voglio bene, tanto bene, e scusatemi anche voi bambini e scusatemi pittori, non mi capacito della mia reazione, io che sono così amante delle cose d’arte. Vi chiedo perdono! – Il re non smette più di parlare: – Da domani allestiremo una grande mostra con tutte le foglie dipinte: le sale del castello diventeranno atelier aperti giorno e notte, e poi daremo una grande festa, una festa in maschera e bisognerà vestirsi da alberi o, se siete poveri, da umili foglioline. Il re scoppiò in una fragorosa risata e ritornò felice e sereno per sempre. »

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(Una foglia non fa primavera, e due? forse quattro…)


Le foglie Scuola dell’Infanzia di Cotignola: sezione grandi; cinque incontri per gruppo11 di un’ora e trenta ciascuno. (Ottobre/novembre 2003) Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; conduzione: Massimiliano Fabbri.

> 1° incontro • PITTURA China nera per i contorni oppure gocce da soffiare ed espandere con la cannuccia per ottenere ramificazioni sorprendenti e casuali. Poi la tempera diluita che si scioglie ed espande, oppure grossa che si presta al graffito.12

Arianna

Luca

Raja Alice Martina Martina

> 2° incontro • TECNICHE MISTE Il frottage con le foglie è fatto col pastello a cera; poi l’acquerello che sovrapponiamo a queste texture ed infine le chine per fare contorni.

Le foglie di questo laboratorio sono leggere, preziose e raffinate, le superfici profonde ed eleganti; effetti sensibili, vibranti e delicati.

11

• Questa sezione, che contava ventotto bambini, era stata divisa in due gruppi separati che frequentavano il laboratorio in mattine diverse.

Simone

12 Arianna

• Sulla tempera stesa grossa, finchè è fresca, si può fare il graffito con il manico del pennello.

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Le foglie > 3° incontro • GLI INGEGNERI DELLE FOGLIE Osservare, studiare e scoprire sono cose da bambini. Come è fatta una foglia? Copiamo dal vero disegnando con una matita morbida.Le nervature che sono come le spine dei pesci o che si ramificano come fanno i rami; i contorni sono di infinite tipologie: hanno linee ondulate e curve o lisce e seghettate, andamenti sinuosi.

Michela

Alice

Raffaella

Rebecca

> 4° incontro • LA COLLEZIONE DI FOGLIE Fogli con foglie; foglie messe in ordine. Foglie di tutti i tipi disegnate e dipinte con tutte le tecniche e i materiali che abbiamo scoperto e sperimentato nel laboratorio: china, acquerelli, tempere, pastelli a cera e frottage, disegno, gessetti, pastelli ad olio, tutti mescolati ed usati liberamente.

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Rita

Luca

Elisa

Paola


Le foglie

Elisa

Alice

Alice

Simone

Marco

Martina

> 5° incontro • LA FOGLIA NEL PAESAGGIO Notturno fogliuto per paesaggio silenzioso. Un mare di foglie e di foglie un mare.

Se la foglia è gigante diventa subito un albero che congiunge cielo e terra. La foglia è il paesaggio; nella foglia sta il paesaggio.

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Rebecca

Lorenzo

Raja

Noemi


Le foglie > 6° incontro • FOGLIE VANITOSE I gessetti sul foglio nero: i colori sono intensi e le foglie mi sembrano pesci, piume, pappagalli e cravatte.

Le foglie vanitose vogliono tutti i colori del mondo e cambiano le forme e le sfumature come fossero abiti; amano guardarsi allo specchio, si rimirano. Foglie che si pavoneggiano; foglie alla moda?

> 7° incontro • IL FROTTAGE

Raffaella

Reti, plastiche, gomme, cartoni ondulati e tante altre cose ruvide. Il contorno della foglia si può fare prima o anche dopo il frottage. • FROTTAGE CLASSICO (vintage) per nostalgici. Sotto il foglio la foglia, poi fare sfregamento con un pastello a cera. • FROTTAGE D’AVANGUARDIA (per piccoli rivoluzionari) O MODERNO (per giovani progressisti). Sotto il foglio qualsiasi roba ruvida: coccodrilli, alberi, ippopotami, rinoceronti, superfici lunari.

> 8° incontro • FOGLIE NOTTURNE E FOGLIE MATTUTINE

Alice

LA FOGLIA DEL MATTINO (bagnata di rugiada).

L’alba di luce.

LE FOGLIE SCURE E LEGGERMENTE PAUROSE DELLA NOTTE.

E i mostri dove sono? Sono andati via perché avevano paura.

> 9° incontro • FOGLIE (IM)POSSIBILI La foglia acquatica detta anche ballerina. La foglia di fuoco detta anche elettrizzata. Donna-foglia fin troppo sensibile innamorata, suo malgrado, di poco sensibile uomo-foglia-calciatore. E io cosa sono? Forse sei la Trifoglia Humanis. Foglie lumacate. Foglie penne da indiano pellerossa. Foglie d’acqua dolce o salata?

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Disegni di Massimiliano Fabbri


Galleria

Paola

Anna

Anna

Paolo

Arianna

Marco

Luca

Paola

Luca Marco

Luca

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Le foglie Scuola dell’Infanzia di Barbiano, sezione grandi; cinque incontri di un’ora e trenta ciascuno). Maestre: Barbara Randi e Barbara Cocchi. Novembre 2003. Laboratorio mattutino presso la Scuola Materna di Barbiano; conduzione: Massimiliano Fabbri.

> 1° incontro • LA SUPERFICE RICCA E LE SOVRAPPOSIZIONI (Tre disegni in uno) Questi dipinti partono con un frottage molto semplice fatto con le foglie (ed anche con altri oggetti) e i pastelli a cera sui quali abbiamo sperimentato l’uso di chine e acquerelli.

Mattia

Matteo

Cecilia

Matteo

Sono foglie preziose che hanno bellissime trasparenze; foglie delicate e quasi aristocratiche. Ricetta ed ingredienti della tecnica mista: carta, foglie, pastelli a cera, pennello a punta tonda, acqua, acquerelli, chine, un pizzico di sensibilità e tempo da perdere. Tanti rossi tante foglie. È mattino, foglie di luce bagnate di rugiada, foglie ancora un po’ assonnate. Il bosco di notte è un po’ pauroso… chissà il perché, ma tra le foglie scure mi sento un po’ osservato. Mostra d’arte fogliuta in galleria fogliesca. Tutto cominciò con una goccia di china ed una cannuccia: soffiare prego. Foglie strade, fiumi, laghi..

Andrea

> 2° incontro • GLI INGEGNERI DELLE FOGLIE Con il disegno dal vero scopro, capisco e ricordo; quasi mi sembra di vedere meglio. Comprensione. Guardo com’è fatta dentro una foglia, un po’ come se smontassi un meccanismo (ci vuole un po’ di pazienza scientifica).

Ingredienti per la ricetta degli “studiatori” delle foglie: una foglia, carta, matita (o altro), occhi, mano.

130

Nicole

Pier Paolo


Le foglie > 3° incontro • LE FOGLIE DELLA LIQUIDITÀ Il disegno non c’è più, usiamo solo un velo di colore. (Se prima bagniamo il foglio con una spugna umida la china si espande, si scioglie e si allarga in effetti sorprendenti.)

Tea

Alessandro

Balliamo nell’acqua. Foglie delicate e galleggianti, trasparenti come un velo. Foglie-piume che nuotano nell’aria. Foglie aquiloni o palloncini che volano via. Le foglie giganti: ci si può dormire sopra o ripararsi dalla pioggia. Una foglia barca che ti porta in America. Ma io in America non ci voglio andare. Stai zitto e rema. La foglia nel paesaggio, il paesaggio è la foglia. Con la pittura grossa posso fare il graffito. Per la pittura liquida mi serve l’acqua. Due tipi di pennelli, uno a punta tonda e uno a punta piatta: che segni fanno? 1, 2, 3, 4, 5, 1000 verdi.

Lisa

Mattia

> 4°incontro • NEL VERDE DIPINTO DI VERDE Come piccoli apprendisti maghi abbiamo fatto il verde, ma che dico il verde, i verdi. Come? Ma con il giallo ed il blu naturalmente (avevamo, a dire il vero, anche il bianco ed un po’ di nero, poco poco, che non ne serve tanto). I verdi sono tanti, milioni di milioni.

131

Matteo

Ludovica

Andrea

Ludovica

Matteo


Le foglie

Antonio

Pier Paolo

Eddy

Silvia

• GRAFFITO Riempite un foglio con i pastelli a cera (stendendoli in maniera intensa) e coprite tutto con uno strato di china nera; una volta asciutta graffiatela con un chiodo.13

Nel paesaggio di notte ci sono le foglie-albero, le stelle, i lupi, gli angeli e altre robe notturne e misteriose.

> 5° incontro • IL POVERO MATISSE NON HA FINITO I SUOI QUADRI, AIUTIAMOLO! Pastelli a cera e tempera su carta e fotocopie.

13

• Da vedere Klee.

• IL COLLAGE ALLA MATISSE Foglie ballerine e fluttuanti, foglie mani e capelli, foglie alghe e foglie pettini…

Alessandro

> Extra • LA FORESTA DI ZIO RICICLO

132

(Pittura perduta, pittura ritrovata). Quando un bambino “sbaglia” un dipinto, cioè, quando proprio non gli piace, ma per niente per niente,e tu puoi dirgli quello che vuoi ma lui non sente ragioni e non lo vuole più vedere assolutamente, allora, solo allora, il dipinto viene messo in una scatola detta della pittura perduta. Qui il dipinto ripensa ai suoi errori e si pente, e così torna nuovo, pronto per essere trasformato, rielaborato e riutilizzato. Ebbene sì, anche i dipinti hanno un’anima, bella o brutta che sia. Non li buttare, sarebbe un errore. Se un dipinto fa schifo dagli un’altra possibilità.

Alessio


Galleria

Lisa

Nicole Alessio Andrea

Alessio

Cecilia

Nicole

Giacomo

133 Giacomo Giacomo Alessandro

Giacomo


Le foglie

14

• I due progetti che trovate a seguire sono stati elaborati intorno al tema della foglia da AeM ad una breve distanza di tempo l’uno dall’altro per il laboratorio all’Asilo C. M. Spada; la prima versione è stata frutto di ripensamenti ed ha subito forti revisioni e correzioni sino ad essere seguita da una seconda stesura che riporta ed anticipa, abbastanza fedelmente, quello che è stato l’andamento degli incontri.

15

• Posso ad esempio proporre al bambino un laboratorio sulle facce e vedere come queste si possano realizzare (e con quante e quali tecniche) piuttosto che proporre un atelier sull’utilizzo esclusivo della pittura che lasci al bambino piena libertà per quanto riguarda soggetti, rappresentazioni e fughe fantastiche; comunque, anche dove vi siano suggerimenti poetici o tematici, il bambino sarà sempre libero di attenersi o meno alle indicazioni del maestro d’arte: l’andare fuori tema è spesso una preoccupazione delle maestre che invece a noi non disturba affatto dato che ciò che noi proponiamo serve solamente a far succedere delle cose, qualsiasi direzione esse prendano.

16

• Non so esattamente come sarà sviluppato un tema così ampio e poco definibile all’interno della loro programmazione, ma il nostro compito è quello di inserirci all’interno delle attività scolastiche con alcuni laboratori che siano il meno gratuiti ed estranei possibili (per fare in modo che per il bambino questa esperienza non sia fine a se stessa ma capace di collegamenti e quindi di comprensione).

17

• È allo stesso tempo vero che posso capire molte cose su di un oggetto proprio dal modo in cui questo “interagisce” con le 134 altre cose (in questo caso ci troviamo in mezzo ad una contraddizione o forse più semplicemente ad una scelta: isolare una cosa per veder-

Atelier di grafico-pittorico e di manipolazione presso l’Asilo Carlo Maria Spada.14 Laboratorio mattutino, quattro incontri per la sezione dei grandi, tre per quella dei piccoli; un’ora e trenta ciascuno; anno scolastico 200-2001 Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Lucia Baldini.

1° versione > I rapporti tra Asilo Carlo Maria Spada (struttura privata) e la Scuola Arti e Mestieri non rappresentano in assoluto una novità poiché, già nel corso dell’anno precedente (1999/2000), era stato attivato un laboratorio di manipolazione dell’argilla: l’approccio al materiale e l’intera impostazione dei laboratori era stata di impronta munariana o comunque molto vicina alle esperienze dei laboratori Giocare con l’Arte del Museo delle Ceramiche di Faenza. Non c’era cioè un tema se non l’esperienza e la conoscenza del materiale stesso, delle sue caratteristiche e trasformazioni e di tutte quelle possibilità che il bambino sperimentava e scopriva manipolando la creta (la poesia è già nel materiale e scaturisce dal suo incontro con l’individualità del bambino). Se in questo caso l’argilla rappresenta il motivo stesso del laboratorio non è detto che non si possa partire da un processo inverso dove è ciò che si vuole realizzare ad indicare, suggerire e stimolare l’utilizzo di determinati e particolari mezzi espressivi.15 Per la programmazione a venire si è deciso di sperimentare un approccio inverso rispetto al precedente atelier: si è individuato un tema (all’interno di attività che già sono presenti nella programmazione scolastica), un filo conduttore che attraversa tutti gli incontri

e che servirà da stimolo per inserire, di volta in volta, materiali e tecniche, mezzi e strumenti diversi. Da un breve colloquio con le maestre e da una visione degli allestimenti, dei lavori e delle cose appese ai muri all’interno dell’asilo, è affiorata la possibilità di lavorare sul tema dell’albero che è qui inserito in un contesto di programmazione definito dalle maestre come approccio alle “differenze in natura”.16 Per arrivare allo specifico del nostro progetto e quindi a quella che sarà la nostra proposta torniamo alla parola “differenze” che rappresenta comunque un buon punto di partenza su cui impostare il lavoro e che quindi non vogliamo abbandonare. Il primo pensiero è di rimpicciolire e ridurre, è forse più corretto dire restringere il campo d’indagine, per cui dall’albero intero (con tronco, rami, foglie, corteccia) si è passati alla foglia: se io voglio avere uno sguardo non superficiale su di una cosa dovrò forse cercare di limitarmi e soffermarmi il più possibile su di essa (facendo il vuoto intorno all’oggetto preso in esame).17 (Non ci interessa formare dei bambini ultraspecializzati nella realizzazione di foglie: si vuole fornire loro alcuni strumenti che permettano punti di vista altri, grazie ai quali rapportarsi e guardarsi intorno, per interrogare gli oggetti, i materiali e le cose con cui entrano in contatto.)


Le foglie

Ci si può perdere anche all’interno del micro o del particolare: una “semplice” fogliolina apre e porta con sé una gamma notevole di possibilità e varianti pressoché infinite (forma, colore, grandezza, tatto e così via) e permette, allo stesso tempo, di ritornare “a casa” e compiere il percorso inverso che dal minuscolo dettaglio ci riporta all’insieme o tutto (bambini Pollicino). (Come si potrà intuire le possibilità sono molteplici e non verranno certamente esaurite in quattro incontri: ciò non rappresenta un punto a sfavore ma permette di pensare ad una sorta di laboratorio aperto che si può prolungare autonomamente in sezione, fuori e dopo l’atelier della Scuola Arti e Mestieri.) I laboratori saranno quindi attraversati e collegati dalla foglia e dai tentativi ed esperimenti di rappresentazione che faremo su ed intorno ad essa: non solo foglie vere ma anche fotografie, fotocopie, riproduzioni di lavori di artisti ed illustratori. La foglia diventerà anche un pretesto per inserire e confrontarsi via via con tecniche e materiali diversi. Il progetto si divide in due momenti distinti che si traducono e concretizzano nelle due seguenti fasi: una prima parte che prevede un’attività grafico-pittorica che ci condurrà alla realizzazione di un libro collettivo, e una seconda che si sposta sulla manipolazione (argilla e cartapesta) che ci porterà alla costruzione di una grande scultura. La prima parte, che occuperà circa due incontri, stimolerà una serie di lavori su forma e colore da realizzarsi con la carta. I bambini si troveranno di fronte ad un’ampia raccolta e collezione di foglie e ne sceglieranno alcune da disegnare, altre ancora saranno fotocopiate, da colorare e continuare; si farà anche il frottage e il ritaglio di cartoncini colorati. Per ultimo il monotipo ovvero stampe uniche ottenute cospargendo di tempera le foglie oppure stampando le foglie dipinte. Il libro che si andrà a realizzare sarà un vero e proprio diario di immagini che tiene e conserva tutte le foglie disegnate, dipinte, fotografate e fotocopiate all’interno del laboratorio. Sarà quindi un libro di foglie, ma anche un libro sulle diversità poichè conterrà un pò di tutto, materiali eterogenei e tecniche miste, diversi modi di disegnare e vedere, differenti modalità e strumenti di rappresentazione; sarà anche un’importante documentazione e memoria, non solo per gli operatori, ma anche per i bambini, che sfogliandolo e guardandolo in sezione ricorderanno le loro invenzioni e rivivranno alcune loro

esperienze e processi affrontati nell’atelier d’arte (magari avranno voglia e desiderio di riprendere un materiale o una tecnica, uno spunto poetico o un procedimento per loro divertente).18 La seconda parte del laboratorio, che impegnerà due o tre incontri, sarà caratterizzata da un’attività manipolatoria e quindi da stimoli e percezioni prevalentemente tattili. I materiali affrontati sono l’argilla e la cartapesta. Questo atelier porterà a “mettere in piedi” una grande scultura, un albero su cui saranno montate ed installate le foglie realizzate dai bambini; l’albero non sarà costruito realisticamente ma risulterà come una sorta di giostra con quinte e tende attorno a cui il bambino può girare compiendo il percorso circolare delle stagioni e dei suoi mutamenti. Cominceremo questo laboratorio (dopo aver familiarizzato con il materiale attraverso alcuni giochetti ed esperimenti) con la sfoglia che sarà il supporto comune e ricorrente su cui sperimentare modalità d’intervento diverse tra loro; ci si potrà avvalere di foglie vere da stampare con una leggera pressione o da cui ricavare una sagoma da ritagliare, o ancora disegnare la foglia con un chiodo oppure fare le venature con sottili lucignoli. Larga parte occuperà l’attenzione per le superfici e le texture che saranno ottenute con svariati strumenti: spugne, pettini, spazzole, bastoni avvolti da corde, carte particolarmente ruvide, oggetti per impronte e così via. (La sfoglia si può accartocciare o arrotolare, rompere e bucare, assottigliare e così via.) Oltre alla sperimentazione casuale il bambino sarà invitato ad associare le sensazioni tattili derivate da alcune foglie alla superficie della terra (grazie anche alle tracce e impronte lasciate dagli oggetti). (Alcune di queste foglie saranno poi colorate ad engobbio mentre altre saranno lasciate a biscotto per sfruttare il colore della creta e per questo utilizzeremo argille di colori diversi.)19

la meglio o metterla in un sistema di relazioni in cui si possano apprezzare le differenze e quindi le caratteristiche specifiche). Probabilmente si può far correre l’esperienza su questo doppio binario: dialettica.

18

• Questo libro potrà poi essere organizzato in modo da presentare un percorso circolare che rimandi al trascorrere ciclico del tempo, ai cambiamenti e trasformazioni che avvengono in natura con le stagioni: il percorso comincerà con foglie verdi, poi gialle, rosse, marroni fino a “chiudersi” con piccole foglioline verdi

19

• Ogni attività proposta (o momento condiviso) apre una finestra con nuove possibilità: le potenziali strade da percorrere sono sicuramente più numerose di quelle che saranno affrontate concretamente, ma ciò è un bene poichè permette al bambino e agli operatori di approfondire un determinato aspetto o specifico procedimento; un progetto ramificato fa sì che il bambino trovi, all’interno di una gamma ricca di differenti possibilità, quella che più gli si addice e che sente vicina per esprimersi al meglio, divertirsi ed impegnarsi in nuove scoperte. Teniamo a sottolineare ancora una volta questa caratteristica aperta del progetto che trova le sue ragioni in uno scambio che coinvolge le maestre e le educatrici, la loro programmazione e naturalmente le diverse sensibilità ed attitudini dei bambini.

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Le foglie

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• Un’esperienza “semplice” e un po’ magica che molti di noi hanno sperimentato guardando da bambini attraverso il filtro rosso della carta delle caramelle Club.

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• Finestra che preferibilmente sarà rivolta a sud. Questa sorta di scultura può ricordare, per le sue caratteristiche di sospensione e leggerezza, i mobile di Calder; la trasparenza dei materiali permetterà alla luce di filtrare in maniera simile ai raggi del sole quando “bucano” le fronde di un albero.

22

• Va da sé che le particolarità e possibilità che entrano in questo lavoro sono molteplici; il bambino indirizzerà, a seconda delle sue sensibilità e interessi, l’attenzione su determinate caratteristiche a discapito di altre.

Particolari dell’allestimento realizzato da Lucia Baldini all’Asilo Carlo Maria Spada.

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2° versione > Il breve ciclo di laboratori che si attueranno con la sezione dei piccoli e la sezione dei grandi dell’Asilo Carlo Maria Spada affronta il tema della foglia (o più esattamente le foglie) che ci accompagnerà e condurrà alla realizzazione di una sorta di scultura o installazione ambientale che coinvolge quasi tutti i sensi (ad eccezione dell’olfatto). Terra fresca? Per quanto riguarda i bambini più piccoli gli interventi della Scuola Arti e Mestieri impegneranno due o tre mattine in un laboratorio che, partendo naturalmente dalla foglia, si soffermerà in maniera particolare sull’idea di trasparenza ad essa legata. L’attività consiste in una sorta di gioco per gli occhi che, guardando attraverso il filtro di un materiale trasparente e colorato, vedono le cose in maniera nuova e fantastica; è un laboratorio che privilegia questo sguardo altro, sospeso ed insolito.20 I bambini partiranno da una trasparenza che possono trovare in natura e saranno invitati a provare e scoprire diverse suggestioni visive. (Diverse foglie saranno guardate in controluce alla maniera delle diapositive; proprio come le diapositive anche le foglie saranno montate su telaietti, cornicine di cartone che diventano una sorta di finestra entro cui guardare “fuori” e dentro.) Questo primo momento si sofferma quindi sulla scoperta e sulle sensazioni ottiche che i bambini sperimentano; il passo successivo prevede l’inserimento di altri materiali nel tentativo di ricordare, trattenere e ripetere le esperienze e sensazioni ottenute con le foglie; si cercheranno assonanze e similitudini tra le trasparenze delle foglie e quelle della carta, plastiche, stoffe e altre cose: alcune di queste creeranno nuovi effetti, altri ancora non saranno adatti per guardarci attraverso. Selezionati i frammenti e pezzi più interessanti, con mani e forbici se ne ricaveranno forme; queste foglie artificiali porteranno alla realizzazione di una scultura-tenda che andrà posizionata davanti ad una finestra.21 Questo laboratorio si nutre di due momenti distinti che però interagiscono e si intrecciano sostenendosi a vicenda: la prima fase, che è principalmente singola ed individuale, concorre a formare un grande oggetto collettivo in cui i diversi pezzetti di plastica, stoffa e carta si mischiano e sovrappongono dando vita a nuovi rapporti e relazioni; a questa installazione vibrante che modifica la luce (in quella parte di ambiente in cui sarà collocata ci saranno trasparenze ed ombre), il bambino potrà ovviamente avvicinarsi spostando e focalizzando la sua attenzione su di un singolo frammento per perdersi così, nuovamente, nel piccolo. La tenda realizzata dai bambini più piccoli farà parte di un’installazione ambientale (un angolo fogliuto) che accoglierà anche i prodotti realizzati dai bambini più grandi in una sorta di incontro che avvicina e completa i due laboratori. Gli interventi che si attueranno con la sezione dei grandi saranno circa quattro e porteranno alla realizzazione di tre elementi: un mobile (scultura sospesa), un tappeto (visivo, tattile e sonoro) e un fondale (un assemblaggio a pittura e collage che ricorda le foreste di Rousseau). Il primo laboratorio è sulla leggerezza; come cade una foglia? Come cade se tira il vento? Quanto pesa? (Questo primo momento rappresenta quasi una sorta di studio sul

movimento di caduta di una foglia: si cercheranno similitudini con altri materiali come piume, carte, stoffe, bambagia e così via.) I bambini sceglieranno pezzetti di materiali che cadono o potrebbero cadere e muoversi come una foglia; con questi creeremo una scultura sospesa che sarà leggera e potrà scuotersi col vento e stare sopra le nostre teste come se fossimo sotto un grande ramo. Il secondo laboratorio privilegerà le caratteristiche visive come forma, struttura e colore e impegnerà almeno un paio di incontri. Forma e struttura saranno affrontate con frottage, ricalco, ritaglio e disegno.22 Per quanto riguarda il colore il bambino si troverà a disposizione un tavolo pieno di cose verdi (stoffe e carte) da cui pescherà quelle che più lo colpiscono e con queste costruirà foglie (con le forbici oppure strappando i vari materiali con le mani o ancora con la pittura). Un’altra ipotesi sul colore è di utilizzare le foglie come stampini o timbri da immergere nella tempera. Tutte queste sagome ritagliate, disegnate, dipinte e di vari materiali, formeranno un pannello, una sorta di quinta che separa due spazi (fuori o dentro il bosco). Per ultimo un laboratorio essenzialmente tattile e sonoro: se io entro e passeggio in un bosco, oltre che a “vedere verde” e a poter toccare e raccogliere delle foglie, cammino su una sorta di morbido e quasi soffice tappeto scricchiolante; questo tappeto sonoro e tattile (se ci cammino a piedi nudi?) sarà ciò che cercheremo di fare in quest’ultimo incontro; anche in questo caso i materiali saranno molto eterogenei: stoffa, carta, plastica, polistirolo, gommapiuma, materiali da imballaggio, contenitori di uova, cartone eccetera. Come detto in precedenza tutti questi oggetti concorreranno a creare, formare e caratterizzare un ambiente totale, una vera e propria sorta di bosco in cui perdersi ma anche nascondersi, uno spazio a cui accedere facilmente ma che allo stesso tempo sia caratterizzato e separato dal resto dell’ambiente. • Tenda trasparente di foglie. • Scultura sospesa della leggerezza (mobile). •Tappeto tattile e sonoro (gli oggetti non sono fissati) • Quinta a collage assemblata su materiale trasparente.


1 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura 1.2.1 Le foglie

1.2.1.A Ramificare la visione

Gesto consueto, diffuso, banale e misterioso insieme: staccare una foglia. Ogni volta che si passeggia sotto un tiglio, si tende la mano a prendere la prima foglia disponibile; ogni volta perché paiono come imprendibili la forma - assoluta -, la freschezza -leggera-, la trasparenza -celeste-, il peso - imponderabile - e la sua esistenza così esposta al tempo e così salda nel tronco, attraverso il tronco. Ogni volta si resta sospesi perché ogni volta lo si fa e ogni volta si dicono cose già dette, come interdetti sulla soglia di qualcosa che non è mai detto fino in fondo; si prende una foglia e forse si vorrebbe prendere l’universo mondo perché il contatto, anche solo nello staccarla, con l’ albero apre un fremere che è una disposizione alla cessione di sé; pronti ad essere linfa, radici, albero e foglia. E poi c’è la mano, anch’essa nostra foglia. Viva...e quindi ci sono le mani e le foglie fra loro intrecciate; nervose e quiete: venate ambedue, con una struttura ambedue. Ambedue richiamati all’estasi, alla contemplazione e all’azione. Si resta interdetti davanti a questi rimandi, intrecci e possibilità. Tutto il lavorìo che il maestro propone ai bambini e che riprende la tradizione più recente e meno c’è questo volere andare oltre il non detto e il non dicibile; forse le arti figurative, forse il fare delle mani e degli occhi nel loro insistere aggirano il non detto e lo rendono almeno visibile, se non dicibile. Rendono visibile ogni scivolamento dei diversi paini di coscienza, dei diversi piani di sensibilità; perché una foglia non può che suggerire la parola scivolare, accarezzare, depositarsi e appoggiarsi a terra, non può che suggerire un discendere su ombre e onde di brezza poco avvertibili. È questo impalpabile che vuole esser preso dal lavoro del maestro con i bambini, proprio e anche attraverso il frottage che è una tecnica che enfatizza, testimonia e rende visibile proprio la “foglitudine”; vale a dire l’esser una pellicola assolutamente sensibile e rispondente ad ogni alito di vita, ad ogni passaggio, insistenza e sfregamento. Come la pelle. Le foglie, nella loro assoluta sensibilità cangiante lungo le stagioni e quindi nel loro darsi trascolorato e fluido, diversamente colorate, diversamente consistenti e tessute, nel loro porsi a declinare secondo

la volontà dell’universo sono emblema di una profonda, visibile, ma non attingibile, corrispondenza fra cielo e terra e noi che le cogliamo, volendo cogliere il cielo e la terra che loro condensano. In realtà sono romantiche. È per evitare che il loro essere romantiche diventi un modo di fare solo romantico che il maestro trasforma il suo lavoro con e di arte in una lunga operazione conoscitiva che sorregga ancora più l’esser in contatto, il tenere fra le mani una foglia dando risonanza al rapporto di stupefazione che ci prende. Quindi c’è un lavoro, certamente mediato dalle diverse tecniche, certamente effettuato attraverso esplorazioni e osservazioni molto ora sottili ora amplificate, narrazioni liriche e fiabesche, che vuole saldamente ancorare il bambino al suo immediato sentire aprendolo in cerchi che vanno oltre il bordo della foglia da cui per altro si può, come dei piccoli principi guardare il mondo. Quindi c’è da guardare, esplorare e osservare: • la struttura; • la pesantezza; • il colore; • la forma; • le dimensioni; per cercare di scoprire “com’è fatta la foglia”! Ma anche a cosa assomiglia. Sembra facile. Dipende come e quando la si guarda; e anche per quanto tempo la si guarda e da quale posizione la si guarda. Se la si guarda da molto vicino è solo un vertiginoso bordo di verde o oro rutilanti, se la si guarda dall’alto e da vicino, vicino è un’immensa piazza, un vasto prato; vista dal di sotto è una pensilina per coccinelle bagnate o per bambini molto, molto piccoli. Ma la foglia, che ci scivola addosso e che vorremmo per il suo tocco gentile fare cellula del nostro stesso corpo, è anche pelle, nuova pelle di dannunziana memoria... Allora i percorsi si ramificano in una sorta di grande tessitura ad albero, dove ogni piccolo rametto è pronto a germogliare per le continue connessioni che si possono effettuare; per l’altro la foglia è il risultato liricamente inoppugnabile di connessioni fra il cielo e la terra, come si diceva.

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Quindi la struttura, la pesantezza, il colore, la forma, le dimensioni diventano percorsi autonomi e in corrispondenza fra loro, in continuo dialogo fra loro, sfogliando la foglia medesima in piani fra loro sottilmente aderenti eppure sfogliabili. La aprono a palma facendo sortire le sue vene. Lo stupore allora si fa conoscenza specificatamente scientifica perché lavora attraverso il consonare sensoriale, emotivo e affettivo che per procedere non può fare a meno, anzi prevede e ingloba, una serie di operazioni cognitive. Dicevamo che tutto questo accade attraverso: • l’osservazione, l’esplorazione e la descrizione da diversi punti di vista; • la dislocazione su più piani dell’oggetto di amorosa indagine (e si dice appunto e volutamente così mettendo insieme sensorialità affettività e cognitività);

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• la sua disamina plurima e dissezionante; • la sua manipolazione e trasformazione su diversi registri e con diverse tecniche. Perché anche per le foglie la domanda che torna non è solo come sono e soprattutto perché sono così; ma anche cosa possono diventare e soprattutto “cosa sono” nella loro essenza. L’arte quindi in qualche modo chiede un confronto, con l’ essenza? Tutto questo solo perché staccando una foglia si intravede la linfa che la fa vitalmente in relazione con nostra madre terra; dove panicamente vorremmo tornare. Intanto con qualche danza di foglie che cadono su di noi facendoci alberi; provandoci può accadere anche che davvero si senta “come se...” lo si fosse, una foglia o un albero... Illusione che è propria dell’arte.


11 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura

1.2.2 Blu laboratorio acquatico-celeste Atelier di pittura con le Scuole dell’Infanzia di Barbiano, Cotignola e Asilo Carlo Maria Spada: sezioni grandi, mezzani e piccoli; anno scolastico 2004 - 2005 Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano, la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola e la Scuola Materna di Barbiano. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi.

Parte prima

Alessandro Onda di stelle

Largo utilizzo delle tecniche miste, dell’incontrarsi, mescolarsi e sovrapporsi di materiali e modalità operative. Orchestrare, tenere insieme; architetture e armonie.

La prima parte del laboratorio è della notte, del cielo stellato. Cosa succede nel cielo di notte? Una possibile risposta ci è fornita dai quadri di alcuni pittori: le costellazioni di Kiefer, i blu di Mirò, i cieli pieni di puntini, polverine e cose galleggianti di Peter Doig, i personaggi e gli animali volanti o alla rovescia di Chagall.1 Stelle, traiettorie, percorsi celesti e profondità sono alcuni ingredienti che si presentano e mescolano in questa nostra partenza. Scie luminose perse nel blu. Il percorso si snoda attraversando liberamente diverse tecniche e modalità pittoriche ispirate e suggerite dal lavoro di questi artisti. Tra le proiezioni e le produzioni dei bambini il maestro d’arte mostrerà con disegni e dipinti dimostrativi, i materiali presenti nel laboratorio e alcuni loro possibili utilizzi (si tratta di indicazioni non vincolanti che forniscono al bambino gli strumenti necessari per muoversi con maggior precisione e libertà).

> La costellazione Se ci ispiriamo al lavoro del pittore tedesco Anselm Kiefer il cielo è pesante, pieno di cose, energico e primordiale (ha la storia dentro). La pittura è sovrapposta e stratificata; un caos vitale e quasi rumoroso, lontananze siderali e nebulose affascinanti, forme astrali e disegni cosmici. • Un foglio di carta nera da bucare e graffiare con punteruoli, chiodi e altri strumenti. Il foglio diventa uno spazio attraversabile,

1

• Mostreremo ai bambini alcuni di questi quadri con proiezioni che avverranno in dormitorio, quasi un sogno ad occhi aperti. Questo momento servirà da introduzione ai materiali e alle tecniche dell’atelier vero e proprio, e ci fornirà inoltre alcuni spunti narrativi e suggestioni poetiche che ci porteranno dentro alla dimensione del racconto; racconto che sarà utile al formarsi e consolidarsi di una comunità curiosa di proseguire il viaggio.

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Blu

Pablo Picasso

Maestro del Dittico Wilton

tridimensionale, capace di mostrare il dietro. Conclusa questa fase il foglio sarà fissato ad un altro foglio, questa volta bianco, che servirà a rafforzare ed evidenziare i segni, i buchi e i graffi tracciati dal bambino. Traiettorie. L’intervento successivo è fatto a collage con pezzi di carta (azzurra, blu, viola) strappata a mano; la carta fa dei bordi irregolari e frastagliati, morbidi e molto pittorici. La superficie acquista una dimensione materica e tattile sulla quale i bambini potranno lasciare ulteriori segni ottenuti con pastelli ad olio (che per via della loro intensità sono molto efficaci sulla carta nera). Se si vuole proseguire ulteriormente si potranno dare ai bambini piccoli bigliettini bianchi sui quali disegnare o scrivere numeri, lettere e magari anche nomi; questi bigliettini saranno poi incollati al foglio creando, come nei quadri di Kiefer, vere e proprie mappe celesti, storie e collegamenti; memorie. • Un lavoro questo che parte dal frottage fatto con pastelli a cera (blu, azzurri, viola e neri) ottenuto con vari tipi di reti, moduli e griglie, ma anche cartoncini ondulati, carta vetrata, eccetera. (Sovrapponiamo diverse texture quasi a riempire ed occupare totalmente lo spazio del foglio sino ad ottenere effetti illusori di profondità.) Su questa sorta di reticolato cosmico e stellato la china che forniremo ai bambini permetterà effetti leggeri e raffinati che arricchiscono queste superfici. Cieli sfumati, luminosi e brulicanti sui quali si interverrà ulteriormente con i pastelli ad olio: stelle, pianeti, aeroplani… • L’ultima ipotesi prevede l’uso delle tempere a cui mescoleremo sabbia e vinavil: un cielo ruvido e materico sul quale possiamo fare il graffito o lo sgocciolamento. Una volta asciutta questa corposa materia i bambini potranno incollare con il vinavil chicchi di riso, piccoli sassolini, bottoni: disegni astrali.

Katsushika Hokusai

Oskar Kokoschka

Henri Matisse

> L’aria leggera del cielo

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2

• Su questi fogli blu possiamo intervenire in infiniti modi e svariate tecniche: dal pastello ad olio alla tempera acrilica, dal collage al punteruolo.

Se nel primo caso la volta celeste è piena, pesante e materica, in questa seconda ipotesi la leggerezza prende il sopravvento; tutto è più lieve, silenzioso e rarefatto come nei quadri blu di Mirò o nelle superfici di Rothko. Grandi e larghe campiture appena interrotte e attraversate da aerei e sospesi percorsi: un battito d’ali, la scia di una cometa, le impronte di un angelo, i passi timidi di un uccellino che si appoggiano appena su questo fragile velo. • Dipingiamo il cielo con le chine e gli acquerelli: l’aria è quasi trasparente. Oppure facciamo il cielo con le tempere: scoprire tanti tipi di blu, sperimentare mescolanze e variazioni di tono con l’aggiunta del bianco e del nero e dell’acqua per diluire il colore.

Roy Lichtestein

Otterremo un effetto vicino-lontano che ci restituisce la sensazione di profondità. Posso toccare il cielo! Allenarsi alle differenze, scegliere ciò che più ci piace e rappresenta. Farsi catturare dalle piccole cose e dai minimi cambiamenti, perdersi…2


Parte seconda • La seconda parte del laboratorio è dell’acqua, di un mondo subacqueo e sottomarino che si ispira ai quadri di Paul Klee. Un altro mondo blu: se il cielo è in qualche modo della campitura, qui il segno diventa protagonista, segno che insegue i movimenti dell’acqua; le onde del mare: linee sinuose o spezzate, gesti lenti o veloci.

> Acque selvagge

Non ci sono molte indicazioni e il bambino potrà popolare il suo mare come meglio crede e come più gli piace. Il maestro d’arte presenterà e mostrerà i diversi materiali: pastelli a cera e ad olio, carta per collage, immagini da riviste su cui intervenire con la pittura.

Disegnare e dipingere l’acqua. Sperimentiamo tutti i tipi di segno, linea e gesto, passando dal disegno alla pittura. • Su di un tracciato casuale fatto con pastelli a cera o candele stendiamo una velatura di china. • Bagnare il foglio per fare espandere le chine e gli acquerelli. Il colore si scioglie e la pittura si fa quasi trasparente. • La tempera: dal colore diluito a quello materico; sul colore steso grosso possiamo fare il graffito (l’acqua con i vortici). • Ogni segno fatto a matita è una piccola onda: riempire il foglio di questi segni sottili. Le onde si incontrano e si scontrano cambiando direzione, facendo mulinelli. La pelle dell’acqua.3 Disegnare l’acqua dal vero: una ciotola piena d’acqua che i bambini possono muovere ed agitare per guardare cosa succede. Si disegna dal vero (e un po’ a memoria) per riportare sul foglio ciò che si è visto. Osservare, stare attenti…

Blu

3

• La china entrerà su questo disegno in maniera molto precisa come avviene nei disegni di Klee.

4

• Il collage di Matisse è adatto per introdurre questo incontro: figure che danzano nel cielo o ballano sott’acqua; Klein.

5

• Faremo una raccolta-archivio di cose blu.

> Il giardino subacqueo

Su alcuni fogli blu, dipinti a tempera nel corso degli incontri precedenti, i bambini fanno succedere delle cose creando un mondo sottomarino: cosa c’è in fondo al mare? Alghe, piante e fiori stranissimi, omini palombari, giocattoli perduti, I due palazzi costruiti dai bambini antiche navi affondate…

> Cose e omini blu

Cos’è blu? Cosa potrebbe diventare blu? Disegnare e dipingere cose blu.4

Parte terza • La terza parte di questa proposta chiude il percorso collegando i vari momenti del laboratorio con una grande scultura che faremo insieme ai bambini assemblando piccole scatole di cartone, bottiglie di plastica ed altri materiali di recupero. Vogliamo costruire un palazzo acquatico-celeste che congiunge mare e cielo, una vera e propria torre (ad altezza di bambino) sulla quale dipingeremo, scarabocchieremo, attaccheremo pezzi di disegni e ritagli fatti dai bambini. In questo lavoro si potranno usare liberamente tutti i materiali e le tecniche incontrate nel laboratorio; a questi si aggiungeranno tutte quelle cose che i bambini porteranno a scuola: bottoni, pezzetti di stoffa, lane, eccetera.5 Sopra ed intorno a questo palazzo ci sarà anche spazio per aeroplani e barchette di carta.

delle sezioni piccoli e mezzani della Scuola Materna di Barbiano insieme a Lucia Baldini e alla maestra Maria Domenica Tarlazzi. Fotografie di Daniele Casadio.

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Marc Chagall

> Elenco provvisorio degli incontri6 Anselm Kiefer

Ross Bleckner

Blu

1 • IL CIELO DI NOTTE: STELLE E COSTELLAZIONI (Kiefer, Bleckner)

2 • IL CIELO DI NOTTE: IL BLU

David Hockney

(Mirò, Doig, Chagall)

Paul Klee

Peter Doig

3 • ACQUE SELVAGGE Joan Mirò

(Klee, Twombly, Hockney)

Paul Klee Henri Rosseau

4 • IL GIARDINO SUBACQUEO (Klee, Rousseau)

6

• Questo progetto consegnato prima dell’avvio del laboratorio di AeM serve anche alle maestre della scuola per orientarsi su quella che sarà la nostra proposta ed il seguente percorso da intraprendere con i bambini; nella sua messa in opera nel laboratorio il progetto subisce delle sostanziali modifiche che derivano da riflessioni, intuizioni e ripensamenti che nei maestri d’arte si attivano alla luce delle reazioni dei bambini. Il calendario previsto in questo progetto è perciò più ampio di quello che attueremo con i bambini proprio perchè il maestro d’arte sceglierà e metterà a fuoco un percorso in farsi anche se questo rimane, in linea di massima, all’inter142 no delle indicazioni mostrate. Per i bambini più piccoli l’atelier si esaurirà in tre, quattro incontri, mentre con i mezzani e grandi ci sarà sicuramente qualche incontro in più.

5 • COSE BLU, OMINI BLU (Matisse, Klein) Henri Matisse

6 • IL PALAZZO ACQUATICO-CELESTE (Kiefer)

Anselm Kiefer

Yves Klein


Blu

Pier Paolo

Letizia

Atelier di pittura con la sezione grandi della Scuola dell’Infanzia di Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano; maestre accompagnatrici: Barbara Cocchi e Barbara Randi. Sei incontri di un’ora e trenta ciascuno; da marzo a maggio 2005. Conduzione: Massimiliano Fabbri.

Sara

> 1° incontro • IL SIGNOR BLU

Letizia

Il signor blu è un distinto ed indaffarato signore tutto blu (capelli, cravatta, scarpe e calzini) che è incaricato di tenere costantemente dipinte le cose blu del mondo; si sposta senza sosta dal cielo al mare con un carro trainato da due cavalli azzurri; il carro è pieno di cose blu: tempere, pastelli a cera ed olio, chine, pezzetti di carta, eccetera. Ho dipinto per i bambini il mio signor blu, così come lo immagino; poi lo hanno fatto anche loro, non uguale, ma diverso, come più gli piace: per alcuni è una farfalla, per altri un aeroplano, oppure c’è chi dipinge la sua torta, il suo mare con i pesci, il cielo stellato (così bello che rivaleggia con quello di Galla Placidia). C’è una sola regola: in questo mondo tutto è blu e per immaginarlo abbiamo chiuso gli occhi perchè il blu è un colore da sogno e fa le cose fantasticheggianti. Cominciamo un piccolo viaggio che è un po’ un’immersione nelle profondità e un po’ un galleggiamento cosmico, un’avventura blu, nel blu dipinto di blu. Il blu è dell’acqua e del cielo, della notte scura e silenziosa che ci abbraccia ovattata. (Disegno + pastelli a cera + frottage + collage + chine.) Sara

Cecilia

Silvia Mare con i pesci Antonio

Ludovica

Alessandro

143


Blu

Cecilia

7

Nicole

> 2° incontro • LA COSTELLAZIONE

• Come fa il pittore tedesco Anselm Kiefer.

Pier Paolo

144

Pier Paolo

Su di un foglio nero usiamo punteruoli e chiodi per bucare la carta; ogni foro è una stella, un buco spaziale, tanti fori fanno una galassia, gli strappi sono scie di comete, meteore, razzi e stelle cadenti. Poi ci guardiamo anche dentro e attraverso perché in questo cielo di carta ci passa l’aria e si vede di là, oltre. Dopo lo attacchiamo ad un cartoncino bianco più grande e il nostro disegno astrale si rivela perché sotto c’è il bianco che si vede e fa capolino; è anche bello da toccare, soprattutto se chiudiamo gli occhi. Con i pastelli ad olio disegniamo altre stelle e tutto ciò che ci va di fare e vedere nel nostro cielo; attacchiamo anche pezzetti di carta azzurra, blu e violetta ed anche bigliettini bianchi in cui mettiamo lettere e numeri che sono i nomi delle stelle,7 disegni e scarabocchi spaziali, vortici e nebulose lontane, profonde e misteriose. Cieli notturni incredibili e profondi, come non li avete mai visti (è musica per i vostri occhi).

> 3° incontro • IL PITTORE FA LE MAGIE All’inizio il foglio è muto e se lo interroghi non parla, non dice quasi nulla. Però il pittore, che conosce trucchetti ed è capace di fare le magie, con un gesto cambia le carte in tavola e il foglio di carta diventa improvvisamente un gran chiacchierone. Non servono formule magiche o danze della pioggia, ma un semplice e casuale segno ed ecco che il foglio comincia subito a raccontare delle cose. Questa linea un po’ scarabocchiata, e all’apparenza insignificante, ci suggerisce, evoca e genera delle immagini dalle quali può scaturire il racconto

Buchi, graffi, collage, disegno, tutto frullato e messo in ordine da questi astronomi-pittori.

Nicole


Blu

Cecilia

Il segno iniziale era fatto con un pastello a cera. Dopo il primo dipinto i bambini capiscono che possono fare anche da soli i segni magici e narranti.

Sfumature affascinanti, accostamenti potenti ed arditi.

(un po’ come avviene con certe forme delle nuvole che ci sembrano animali, facce, mostri e così via). Così, davanti ai bambini, faccio un segno ad occhi chiusi sul mio foglio (loro non credono ancora che io sappia fare le magie) e poi lo interrogo con lo sguardo: ecco una chiocciola astrale disegnata nel cosmo come una nuova e sconosciuta costellazione… Sono stupiti e meravigliati, ora sanno che posso veramente fare le magie. Passo tra loro e faccio un segno magico nei loro fogli dando il via all’esperimento (è una sorta di rito iniziatico). Funziona, e per giunta con tutti: alcuni fanno interventi leggeri, poetici e delicati, altri, sotto l’influsso del demone della pittura, coprono tutto… Dipingiamo con tempere blu a cui possiamo mescolare il bianco ed il nero alla ricerca di tinte e toni sorprendenti, raffinati accostamenti ed eleganti giustapposizioni.

Giacomo

> 4° incontro • I PITTORI SONO CUOCHI E FANNO RICETTE STRANE Alcuni pittori non si accontentano di usare la tempera così com’è, ma la mescolano con altri ingredienti per fare un supertempera; questi pittori si chiamano materici, amano sporcarsi, impastare e fare spessori e stratificazioni. (Noi ci aggiungiamo sabbia e vinavil per fare una pittura grossa, ruvida ed esplosiva.) Alcuni pittori non si accontentano di dipingere con i pennelli e così usano spatole, pettini, spazzole, rulli, bacchetti, spugne, grandi pennelli e anche pennelli al rovescio per il graffito; sgocciolano, graffiano, sovrappongono ed asportano il colore, in parole povere dipingono come pasticcieri-selvaggi. (Noi facciamo un po’ come loro perché ci sentiamo quasi artisti.)

145

Nicole

Sara


Blu

Mattia

Naomi

Per terra c’è un catino pieno d’acqua, uno per ogni bambino, a cui si aggiungono un foglio di carta bianca, un paio di chine e due pennelli a testa. I bambini devono disegnare e dipingere l’acqua con uno studio dal vero ed in presa diretta; scuotendo ed agitando il recipiente la superficie dell’acqua si rompe e muove, se soffiamo con una cannuccia si increspa o fa le bollicine, se ci buttiamo un sasso fa dei cerchietti concentrici o, come ha detto un bambino, delle onde sonore. Quello che facciamo succedere nell’acqua, sull’acqua e all’acqua, i suoi movimenti e trasformazioni (come ad esempio le goccioline che cadono dalla mano immersa e poi estratta della maestra Barbara), tutto quello che vediamo lo facciamo subito sul foglio come pittori-guardatori-registranti. Non ci deve sfuggire nulla perchè siamo come degli scienziati che devono capire. Per il secondo lavoro metto sul fondo del catino uno specchio ed invito a scuotere dolcemente questo contenitore; i bambini guardano la loro faccia, prima normale, farsi svanente ed acquatica, liquidamente ingarbugliata ed un poco contorta. Cosa succede? La faccia si deforma, i lineamenti si spostano e tutto diventa un po’ sfuggente, enigmatico ed affascinante; meraviglioso? Dipingiamo questi volti vibranti, dolci ed inquieti.

Antonio

Alessandro

Ludovica

5° incontro • GLI INGEGNIERI STUDIATORI DELL’ACQUA + L’AUTORITRATTO ACQUATICO

Ludovica

Jenny

Sara

Letizia

Sara

Mattia

146

Ludovica


Blu

> 6° incontro • LA GINNASTICA SENTIMENTALE DELLE ONDE + LA VIA LATTEA

Pier Paolo

I bambini, dopo le prime onde suggerite e mostrate dal maestro su di un grande foglio, ne inventano delle altre, nominandole e poi facendole davanti a tutti per mostrare agli altri bambini com’è fatta la sua onda e come si fa; ora, a turno e per un po’, i maestri sono loro… Pittura con rulli e spatole, pettini, collage, graffito, dripping, pittura diluita, pastelli a cera.

Ebbene sì, anche le onde, come noi umani, provano sentimenti e di conseguenza si comportano in modi e maniere diverse. Ci sono onde calme e tranquille, altre agitate o addirittura furiose ed imbizzarrite, onde sorridenti e onde lacrimose, onde dritte e parallele e altre pasticciate, ingarbugliate ed arzigogolate; e poi onde fredde fredde (quasi gelide) e onde calde (quasi bollenti), onde tiepide che stanno in mezzo, onde birichine e dispettose, onde capriolanti, vorticanti e saltanti, onde a puntini o quadretti, onde elettrificate, onde pipì e onde schifezza, onde sonore, onde spensierate o sovrappensiero, onde timide e onde vattelapesca. Dipingiamo a terra in cerchio, tutti insieme e contemporaneamente, come se facessimo ginnastica: l’esercizio della pittura? La seconda parte del laboratorio ha visto protagonista un grande striscione di sei metri che abbiamo chiamato La Via Lattea; qui i bambini hanno dipinto liberamente mettendoci dentro le cose che erano piaciute maggiormente all’interno del laboratorio blu: onde e stelle, pezzi di cielo o mare, costellazioni e scarabocchi astrali, facce marine.8

8

Ludovica

• Il laboratorio blu è finito ma avremmo potuto proseguire perché continuavano a succeder cose che portavano con se nuove idee e possibilità (ad esempio nell’autoritratto specchiato ed acquatico sono uscite produzioni inattese e mature, frutto di una reazione catturata e di meraviglia stupita, che potevano aprire ad ulteriori percorsi ed esperimenti). Avrei voluto soffermarmi maggiormente sugli ultimi dipinti (l’acqua e le onde) rivedendoli e rielaborandoli alla luce delle tecniche miste (disegno, frottage e collage). E poi ancora i dipinti materici con la sabbia su cui avrei fatto un secondo intervento con piccoli materiali di recupero: una sorta di ricamo-costellazione con riso, bottoni, sassolini, così da spingere al massimo sulla fisicità propria di questo lavoro; disegni in rilievo, architetture aeree per cieli cosmici pieni di cose, stelle e polveri spaziali, equilibri e traiettorie sospese… Per ultimo i palazzi acquatici-celesti che si sono arenati fermandosi alle intenzioni progettuali (li ha però realizzati Lucia Baldini con le sezioni dei mezzani e dei piccoli, cfr. p. 141). Purtroppo il tempo e le giornate a nostra disposizione erano esaurite… Ludovica

Giacomo

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1 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura 1.2.2 Blu

1.2.2.B Nel blu, dipinto di blu

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Non so se perché è il colore del cielo e del mare, elementi che ci contengono in una conchiglia amorosa e terribile insieme a nostra madre terra; ma forse proprio per questo, il blu è un colore di indiscusso fascino, come il rosso. E ci innamora, forse come il verde che è della foglia che si staglia contro il cielo o degli alberi che occhieggiano sul mare. D’altra parte di indiscusso fascino sono il cielo e il mare le cui profondità di colori da sempre ci richiamano a salire o a scendere nei loro abissi. Sarà il blu il colore del profondo? Profondo e accogliente? Certo il cielo e il mare sono contrapposti, diversi e opposti l’uno e l’altro, ma si specchiano reciprocamente avendo come orlo una altro mistero del nostro vedere: l’orizzonte. Il lavoro del maestro conduce quindi i bambini, attraverso l’omino Blu forse abitante su qualche foglia ammalata di Verditudine, a dipingere il mondo di un colore abissale dandovi così una marca celeste e marina insieme. Una spugna, già dipinta di blu da I. Klein, è una medusa assonnata e gonfia di storie marine o una stella implosa su se stessa? C’è quindi un omino figlio marino e celeste insieme: un ibrido come siamo noi che abbiamo la testa verso il cielo e il desiderio di immergerci nelle acque. Un omino che tiene ben colorato il mondo è un invito ai bambini a fare lo stesso in quella disposizione a dipingere tutto dello stesso colore che ci prende quando abbiamo cominciato a farlo su un pezzo di mondo; avvolgere il mondo così come fanno il cielo e il mare è qualcosa certamente di ludico, di giocoso, ma anche di titanico: dare un altro colore al mondo e alle cose cambiandovi volto e forma e dimensioni, non è cosa da poco. Soprattutto se è il blu, colore di mistica trascendenza della nostro terrestrità. Quindi il blu è ponte fra cielo e mare. È colore di densità e trasparenze infinite perché appartenente ad elementi che richiamano da una parte ad esplorare la densità e dall’altra la trascorrenza, la liquidità, come fa appunto il maestro. Da una parte c’è un affondo nel mito, che emerge dalle onde dei mari e discende dai cieli, con A. Kiefer e dall’altra nella poesia e nella lirica con J. Mirò; da una parte c’è il cielo pastoso di costellazione, di vie lattee, di galassie, c’è il cielo che è un addensato di gas, materia e

presenze e storia. Quindi un cielo spesso che pone il problema di render spessa e piena di vibrazioni -con sottofondi e fondi interminati- ogni superficie sul quale vogliamo portarlo. Opera non piccola e temeraria, portare il cielo su una superficie tanto più quando lo si vorrebbe portare con tutto il suo secolare essere deposito di materia che continua a precipitare, ma anche di messaggi e invocazioni. Vanno, come in uno scavo archeologico, tutte portate fuori le scritte del cielo che non sono altro che le nostre preghiere, invocazioni, bestemmie, desideri che abbiamo lanciato per aria, contro l’immoto blu del cielo che pare silente, ma è tutto un chiacchiericcio anche di stelle. Le stelle sono attaccate o sono parte integrante del cielo? Domanda non da poco per un artista! L’infuocato bianco, rosso o giallo oro delle stelle come lo si impasta al cielo? Domanda che ci riporta al confronto continuo fra l’arte e il limite, con l’impossibile. D’altra parte al titanismo di A. Kiefer si contrappone, il lirismo cantato di J. Mirò che prende il cielo di sbieco, come colto nell’immediatezza dell’incanto per la sua lievità fiorita e cantata. Il cielo non è altro che una promessa di persistenza, ma va ondivago come il suo fratello mare...; si muove e ondeggia e si sfilaccia... c’è, non c’è. Eppure rimane. Come in una cantilena d’infanzia. Attraverso questi due autori i bambini attraversano il cielo nella sua duplice percezione di peso secolare e di tappeto arioso lavorando sul contrasto, come una delle cifre del cosmo. Al cielo che pare si sottragga alla presa perché incombe si contrappone la possibilità di attraversamento liquidamente avvertito del mare che è luogo dei sogni, insieme al cielo, di P. Klee; ma non solo. Ognuno di noi si affascina per un acquario e non si sa mai se vuole essere acqua che avvolge questo mondo di colori rappresi in forme instabili ma persistenti nonostante il rischio di scolorirsi per l’acqua oppure se vuole esser questi colori-forma avvolti dall’acqua o se vuole esser tutto questo e averlo esattamente negli occhi. Trasparenza e liquidità che colano macchie di colori e quindi forme aprendo meduse, fiori, stelle, fiocchi di neve, ricci di mare, capricci di damasco e lampassi... sono gli stati intorno a quale lavora il maestro


come riportando i bambini alla scoperta della necessità dell’acqua per l’esistenza stessa del colore e del suo fiorire, del suo allargarsi e del suo espandersi come una galassia celeste e come un anemone che si disfa lungo le onde. Certo che sia nel cielo sia nel mare c’è movimento che produce sempre nuove configurazioni; passiamo giorni in tutta la nostra esistenza a guardare il farsi e il disfarsi delle nuvole e delle onde. Ora sembrano qualcosa ora qualcos’altro e danno vita sempre a nuove geografie che si muovono, ondeggianti nel mare e nel cielo. Chissà se un catino può con la sua acqua in esso raccolta esser mare e cielo per i bambini; ma la costruzione di modelli di ciò che ci affascina e ipnotizza è ineludibile e ci permette di avere, seppur in piccolo, quello che è troppo grande e sfuggente per essere preso, senza per questo non

esserne impossibile una certa comprensione. E l’acqua in un catino diventa ed è un vero laboratorio che apre a nuove, inedite e originali produzioni forse lontane dalla verità di una nuvola, ma che sanno di nuvola. E che riporta alla nuvola, all’onda. Basta un catino per far sorgere cieli, mari, onde, nuvole così come “capriccio” ed “estro” ci permettono di fare; quasi divini. Altra funzione dell’arte è questa: quella del far sentire per un attimo quasi divino chi porta il cielo in una stanza. E il mare in un catino. Quindi una stanza può esser il cosmo, come ci dice tutta la storia dell’affresco, per altro. Allora sorge una domanda: di chi è l’emissario l’omino blu?

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11 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura

1.2.3 La notte è stellata, boschiva e boscosa laboratorio blu, verde e nero, o del mistero Atelier di pittura e collage con l’Asilo Nido di Cotignola: sezione grandi.1 Laboratorio mattutino presso l’Asilo Nido di Cotignola; insegnanti Manuela Morini e Diana Sassatelli. Due incontri di un ora ciascuno; marzo 2004. Progetto, scrittura e conduzione: Lucia Baldini. (Partiamo dalle suggestioni dei luoghi e dei colori presenti nei due libri adottati dalle maestre: Pluff e Sono il più forte, entrambi con il lupo come protagonista, un lupo sciocco che fa poca paura.) Il lupo nero, il bosco verde, la notte blu: un lavoro sul colore e sull’accostamento e incontro della pittura con altri materiali; non parleremo del lupo usando il nero, ma della notte, del buio e del bosco scuro (uso di carte colorate, colla, stoffe e tempere). Di che colore è il cielo di notte? Cosa c’è nel cielo di notte? Noi di notte dormiamo ma le stelle ci sono lo stesso.

Ai bambini viene chiesto di portare carte, bottoni, pezzi di stoffa (in base al colore che useremo): all’inizio di ogni attività questi vengono raccolti e osservati insieme.

Programma > 1° incontro • La notte e il cielo: tempera di tanti blu diversi su piccoli fogli bianchi o neri. Poi aggiungiamo al colore colla e sabbia, e dipingiamo su superfici più grandi (un foglio 70x100 ogni quattro bambini). Nel cielo ci sono la luna e le stelle e perciò attacchiamo pezzetti di carte colorate. • Il bosco e il buio: tempera di tanti verdi diversi su fogli piccoli, marroni e neri. Anche questa volta mescoliamo la pittura con colla e sabbia e dipingiamo più in grande su carta nera (un foglio 70x100 ogni quattro bambini). Usiamo dei bastoncini per graffiare, incidere e scavare, poi mettiamo le foglie e i rami del bosco (carte colorate e strappate).

> 2° incontro

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1 2

• Due gruppi di otto bambini ciascuno. • cfr. par. 3.4 p. 243.

• Stelle di carta e cielo di cartone, bosco con alberi e foglie incollate, intrecci e ramificazioni ricavati e assemblati da e con altri frammenti: via libera al collage (con la colla attacchiamo carta blu a pezzi grandi, poi stelle di oro e giallo e azzurro, foglie e strisce sul nostro cartoncino che misura cm 35x50). • Un personaggio nero: porto ai bambini alcuni ritagli di cartone grosso e li aiuto ad incollarli fra loro col vinavil mentre li assemblano tutti insieme. Il pupazzo viene poi vestito, ricoperto di pezzetti di stoffe di colore nero e colorato. Alla fine mettiamo i bottoni-occhi-ombelichi.

> 3° incontro • Allestimento dei lavori nel salone dell’asilo

Particolare dell’allestimento presso l’Asilo Nido di Cotignola a cura di Lucia Baldini

Gli elaborati sono stati allestiti nel salone dell’asilo: un grande cielo pieno di stelle di carta sovrasta un bosco ruvido e fogliuto, mentre sedici lupi-bambini vi ballano davanti. Una selezione dei disegni e dei collage è stata ri2 legata per la collana dei libri dell’Arti e Pensieri.


1 Del disegno e del guardare 1.2 Nella pittura e nei fatti della natura 1.2.3 La notte è stellata, boschiva e boscosa

1.2.3.C Spalancare gli occhi Che i bambini da subito tengano gli occhi ben aperti sul mondo, è conoscenza comune; è esperienza corrente di chi li alleva ed educa. Si girano intorno, si allungano un po’, si stirano, si sporgono... cercano in tutti i modi di prendere quello che vedono per portarlo alla bocca ed esplorarlo. E se ci riescono e possono procedono usando la bocca come ausilio dell’occhio. “Mangiare con gli occhi” è espressione che ben si addice all’attività esploratoria del bambino che vede con la bocca e prende il mondo intanto con i suoi occhi. Intorno ci sono gli adulti che continuano a dire: “Guarda là, guarda qui”. “Guarda!” volendo, fin da subito, che il bambino passi dal vedere al guardare che è già operazione più attenta, precisa, mirata; che è già operazione che porta con sé una prima presa sul mondo. Non solo gli adulti richiamano gli occhi del bambino a catturare e farsi catturare dal mondo, ma sottopongono al bambino una serie di sollecitazioni a proposito; giochi multiformi e multicolori, camerette e ambienti colorati, abbigliamenti e corredini fantasiosi, libricini con figure e sfondo allettanti; quasi a frastornarli! Come se il colore fosse un passaggio cruciale per l’umanizzazione del bambino per la sua felice acculturazione. D’altra parte il riconoscimento dei colori non è solo, credo, una sorta di verifica da parte degli adulti che il bambino funziona dal punto di vista sensoriale, percettivo e cognitivo. Credo che gli adulti sospingano il bambino verso i colori anche per una più profonda sapienza rispetto al fatto che questi sono emblema, evidenza e metafora della bellezza della nostra esistenza; bellezza cui tutti gli adulti vogliono avvicinare, avviare e dischiuder i bambini. “Un mondo pieno di colori” è quel mondo pieno di gioia, di allegria, di voglia di vivere e di aprirsi che gli adulti vorrebbero poter offrire ai bambini; per questo li risvegliano alla loro percezione, conoscenza e apprezzamento. Per aprirli alla vita. Per fargli apprezzare la gamma meravigliosa dei diversi toni e modi con i quali la vita si dona. Allora ecco che gli adulti toccano i diversi tasti di questa vita e li mostrano ai bambini, li avvicinano, li espongono, li sospingono a toccare il rosso di una rosa, il giallo di un girasole... il buio del cielo oscuro di notte, di blu e nel blu. I bambini toccano le superfici colorate e spesso gli adulti dimenticano che ambedue, ma soprattutto i primi, non “sentono” solo con la vista, ma anche con il tatto che dà quindi ai colori caratteri diversi.

Torniamo però all’adulto che avvicina il bambino: bisogna ricordare, e questo passaggio è cruciale, che il bambino vede ancor prima di poter afferrare; vale a dire che può focalizzare qualcosa senza avere le possibilità motorie di avvicinarsi a ciò che vede. E quindi smania, quindi vuole quello che vede, si agita, tenta di andare verso quello che vede ma che non tocca; desidera quello che vede che gli pare, nella sua distanza, fascinosamente richiamante. E interrogante. Il desiderio allora sta fra la visione, la prefigurazione, l’avere colto l’esistenza di qualcosa e noi che dobbiamo camminare, muoverci e far qualcosa per avere quello che percepiamo esserci e interessarci. E la parola “desiderio” ha qualcosa a che vedere con le stelle, con gli spazi siderali; con qualcosa che sta là, lontano, come su una stella e noi che stiamo qui sulla terra con il naso all’insù. Forse è per essere emblematico del desiderio che gli adulti espongono, molto, molto precocemente, i bambini al cielo che è là, nella sua lontananza; forse per questo fanno lo stesso con le stelle che, nel gioco fra il dito del bambino tenuto da quello dell’adulto che lo indirizza verso il cielo, paiono sempre prendibili e come vicine. Ma non lo sono; si può solo giocare a prenderle e per ricordarsi di questo gioco, di questo anelito si può cominciare a far scendere le stelle dal cielo, a prenderle fra le mani che ne possono fare tante quante ne vuole il bambino, forse convinto che siano i bambini stessi a costruirle di notte. Altri bambini, ovviamente... forse figli dell’omino nero che costruiranno poi. Ma il gioco di costruire le stelle per appoggiarle nel cielo, fatto dai bambini ovviamente prima!, e averle così quasi come quelle vere a portata di mano è anche un gioco destinato a tenere vivo il desiderio di confrontarsi continuamente con le stelle vere, con il blu nero di notte vero e con il verde del bosco: perché c’è una piccola sfumatura del reale che ogni volta ci abbaglia e ci riporta al nostro cielo casalingo e domestico. Già tutto da rifare, con le stelle, la luna, le nuvole e il bosco: perché, come stanno per cominciare a scoprire i bambini, ogni cielo ha il suo specifico bosco, la sua specifica luna, le sue specifiche stelle... È solo l’inizio di una lunga impresa il loro lavorare intorno ai tasti infinitamente risuonanti del cosmo! Perché, come si sa, il desiderio non finisce mai, perché c’è sempre una piccola luce, forse una nuova stella, che brilla nel fondo del bosco. E ci sono un’infinità di boschi che paiono facilmente abbordabili, vicini più del cielo sotto il quale vivono, respirano e dormono... ma in realtà sono dei labirinti.

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2 Del toccare e animare le cose


2.1 Il primitivo, la maschera e il volto o del teatro


(a sinistra) Red Varoli, Christian (a destra) Red Flema, Fabio Corsi pomeridiani AeM medie 2002-2003


2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto

2.1.1 Maschere e pupazzi per piccoli sciamani e bambini protostorici Atelier della cartapesta con la Scuola Elementare di Cotignola: classe prima, seconda, terza, quarta e quinta; anno scolastico 2000-2001. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi.

L’ipotesi di una serie di laboratori sulla cartapesta da attivare presso la Scuola Elementare di Cotignola ci è parsa stimolante per almeno un paio di motivi: il primo è legato ad una conoscenza e scambio con una “storia” e tradizione molto radicate e significative per il nostro territorio e che vedono nel lavoro dell’artista Luigi Varoli una delle sue espressioni più vivaci, interessanti e rilevanti; il secondo motivo è da individuare nella grandissima versatilità e duttilità che sono caratteristiche proprie di questo materiale: le sue tecniche di lavorazione permettono infatti di realizzare oggetti molto diversi tra loro, sia nelle tipologie e dimensioni, sia nelle modalità e nei procedimenti di costruzione. Dobbiamo poi ricordare che la cartapesta è una tecnica che si basa essenzialmente sul riciclo e sul recupero della carta e che quindi potrà essere inserita senza forzature in un contesto di educazione ambientale; si proporrà perciò ai bambini una breve e semplice storia della carta e dei suoi procedimenti di realizzazione. Affrontata, ed in parte compresa, l’importanza di questo comunissimo materiale si passerà ad una vera e propria raccolta di tutta quella carta (e cartone) che siamo soliti gettare: sacchetti del pane, quotidiani, riviste, carte di cioccolatini, vecchie fotocopie e così via.1

> Un breve cenno storico2 Maschere costruite dai bambini e ragazzi nei corsi pomeridiani AeM. Particolari dell’allestimento realizzato nel Parco Zanzi in occasione della Città dei bambini 2003 Le immagini sognanti. Fotografie di Daniele Casadio.

La carta fu inventata in Cina nel II secolo D.C. e poco dopo fu la volta del cartone, della carta di pasta di legno e della cartapesta (si dice che chi l’ha inventata abbia osservato le vespe mentre costruiscono il loro nido, che è praticamente di cartone e che è ottenuto,

1

• Se decidiamo di realizzare un archivio di carte ci renderemo conto di quante tipologie e varietà incontriamo quotidianamente e a quanti utilizzi sia essa soggetta. Si tratta di uno stimolo alla ricerca e alla diversità: tattile e cromatica innanzitutto. Nel nostro caso specifico, ossia la lavorazione della cartapesta, una simile ricerca e raccolta della carta si rivelerebbe molto utile poichè permetterebbe al bambino di utilizzare, in base all’oggetto che vuole costruire, quelle più adatte o che più lo affascinano: se ad esempio farò una raccolta della carta in base al colore, potrò “dipingere” il mio manufatto senza neppure utilizzare tempere e pennelli

2

• Le fonti sono tratte da Arte & tecnica della Cartapesta, di Juliet Bawden, ed. Tecniche Nuove, Milano, 1992.

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Maschere e pupazzi

Maschere costruite e indossate dai bambini e ragazzi 156 dei corsi pomeridiani AeM di Massimiliano Fabbri. (In questa pagina e nelle due successive) fotografie di Daniele Casadio.

da questi insetti, rammollendo con la saliva le fibre del bambù fino a farne una pasta). Nel VIII secolo D.C. comincia l’espansione della carta e la sua conoscenza verso occidente; ciò è dovuto alla guerra tra Cina e Persia: nel 751 gli arabi catturano dei fabbricanti di carta cinesi e li portano a Samarcanda dove questi insegneranno l’arte di fabbricare la carta con stracci, vecchie reti da pesca e altri materiali di scarto. La carta è un materiale prezioso e la cartapesta è una diretta conseguenza dei suoi lunghi tempi di preparazione e realizzazione: da qui la necessità di riutilizzare e riciclare il frutto di tanto tempo e lavoro impiegato. Poi grazie al Mediterraneo la sua espansione è rapida e la carta sostituisce rapidamente il papiro. Da Samarcanda via Damasco fino al Marocco e poi Spagna e Francia, ma anche i crociati, nel Medioevo, scoprirono questa meraviglia e la portarono con le loro navi in Europa: in seguito i mercanti, da Venezia e Marsiglia, andavano a comprare la carta dagli arabi. Sicuramente i primi oggetti di cartapesta sono provenienti da Oriente mentre, per quanto riguarda la carta, si comincia in Europa a fabbricarla da soli; compare così un nuovo mestiere ossia il raccoglitore di stracci, che gira di villaggio in villaggio raccogliendo vecchia biancheria che poi rivende ai mulini dove si fabbrica la carta. Abbandoniamo ora la storia e l’evoluzione della carta per soffermarci un momento sullo sviluppo e l’utilizzo specifico della cartapesta. Come detto la fitta rete mercantile porta in Europa una serie di oggetti di cartapesta provenienti da oriente e, tramite Venezia, frequenti sono i contatti con Persia e India. Gli artigiani francesi intorno al XVII secolo sembrano i primi a capire le potenzialità di questo materiale seguiti dall’Inghilterra, ma è solo un secolo più tardi, 1770-80, che la cartapesta comincia ad essere utilizzata su larga scala. Piccoli oggetti d’arredamento, mobili, giapponeserie, finti stucchi, fino ad arrivare ad un villaggio prefabbricato di dieci case o ad una chiesa in Norvegia che resistette 37 anni prima di essere demolita: siamo a cavallo tra 700 e 800 e la cartapesta ha una forte espansione dovuta anche alla sua grande versatilità (basti pensare che grazie alle laccature i cinesi la utilizzavano per costruire elmi da battaglia, oppure a tutti quei casi in cui la cartapesta è utilizzata ad imitazione di un altro materiale). Per ultimo, ma per questo non meno importante, il largo e molteplice uso che se ne fa nell’arte popolare in occasione di sagre e feste, eventi religiosi e rituali: giocattoli, maschere, pupazzi e statue, marionette e burattini. Tornando poi alla nostra realtà specifica non possiamo naturalmente ignorare il largo uso che si fa della cartapesta in occasione della Segavecchia di Cotignola e soprattutto il lavoro dell’artista Luigi Varoli; intendo naturalmente la serie di mascheroni che si trova al Palazzo Sforza e che ci offre un buon punto di partenza per i laboratori che si dovranno sviluppare (ciò rappresenta anche una buona occasione per avvicinare i bambini al Museo). Allo stesso tempo un degli obiettivi di questi incontri è pro-


Maschere e pupazzi vare che la cartapesta può ritagliarsi uno spazio autonomo rispetto al suo esclusivo utilizzo carnevalesco: si potranno così realizzare svariati oggetti siano questi burattini, giocattoli, statuine, vasi, piatti e ciotole oppure manufatti più artistici come mobile, assemblaggi e sculturine.3

> Che cos’è la cartapesta La cartapesta è una miscela molto semplice di carta, acqua e colla: la carta, asciugandosi, subisce una sorta di trasformazione per cui, da cosa estremamente fragile, diventa solida e resistente. Esistono essenzialmente due tecniche per fare cartapesta: la prima è detta “a macero” e consiste nel lasciare a bagno piccoli pezzetti di carta (per uno o due giorni), pezzetti che vengono poi strizzati, pestati e mescolati con un po’ di colla fino ad ottenere una pasta o poltiglia abbastanza omogenea e non del tutto dissimile alla creta; la seconda tecnica, detta anche cartapesta giapponese, la si ottiene per sovrapposizione di strisce di carta imbevute di colla (si può andare da un minimo di cinque, dieci fogli fino ad arrivare anche a cento). A differenza della cartapesta a macero, che ha tempi di preparazione relativamente lunghi, quella per sovrapposizione ha il grosso pregio di poter essere pronta all’uso in pochi minuti (se si usa colla da parati) anche se poi necessita di più sedute per realizzare un oggetto. Possiamo dire che la tecnica a macero è più adatta per realizzare piccole cose, magari fatte a stampo, oppure piccoli particolari e rifiniture, mentre, per la costruzione di cose più grandi, è indispensabile l’utilizzo della tecnica detta giapponese. In ogni caso, che si utilizzi l’una o l’altra modalità (o entrambi i procedimenti allo stesso tempo), la cartapesta necessita, durante la sua lavorazione ed essiccatura, di un sostegno o supporto: questo potrà essere interno come una sorta di scheletro oppure esterno come un vero e proprio stampo; le soluzioni sono le più disparate e vanno dal palloncino (che poi viene fatto scoppiare) al cartone, dal filo di ferro alla rete, fino al legno e a qualsiasi tipo di contenitore o forma da rivestire internamente o esternamente.

• Classi prime e seconde

Maschere costruite dai bambini e ragazzi nei laboratori pomeridiani AeM di Lucia Baldini (sopra: corso medie, a fianco: corso elementari).

Il primo incontro serve a familiarizzare con il materiale: verranno mostrati ai bambini diverse tipologie di oggetti per far loro vedere ed intuire quante cose, anche molto differenti tra loro, si possano fare con la cartapesta e come questa, pur essendo fatta di carta, sia abbastanza solida e resistente. Ci sarà poi un primo, e molto semplice, approccio al materiale e alle sue tecniche di lavorazione: si farà la colla insieme ai bambini, si prepareranno le strisce (da quo-

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metti.

• Da vedere Mirò, Niki de Saint Phalle, Tinguely, Giaco-


Maschere e pupazzi tidiani) e le si incollerà tra loro; la carta bagnata sarà più morbida e pesante ma anche più maneggevole: più strati sovrapporremo più il nostro oggetto risulterà spesso e resistente una volta asciutto (ma se ne mettiamo troppi sarà molto lento ad asciugare perciò bisogna trovare la giusta misura). Un primo manufatto, la cui realizzazione è molto semplice, può essere la palla; la palla è una forma immediata e piacevole e che già rappresenta un qualcosa di estremamente vitale e potenzialmente narrativo, in grado cioè di offrire differenti possibilità di prosecuzione e trasformazione che renderanno man mano il lavoro più complesso ed articolato. La palla sarà elaborata creativamente a seconda della sensibilità e gusto del bambino. Si potranno fare sfere appallottolando e strizzando direttamente le strisce imbevute di colla oppure rivestendo un’anima ottenuta con un foglio di giornale accartocciato ed appallottolato, o ancora con un palloncino che sarà anch’esso ricoperto di strisce e poi fatto scoppiare una volta asciutta la carta (la palla sarà, in questo caso, più leggera perchè vuota dentro). Tutte queste forme saranno caratterizzate e personalizzate, in un secondo momento, con carte colorate oppure con la pittura. Un ipotesi di lavoro più circoscritta potrebbe partire da forme e colori che troviamo in natura come ad esempio i frutti di stagione: ogni bambino potrebbe scegliere il frutto che più gli piace (non solo come gusto), disegnarlo e poi realizzarlo in cartapesta e concorrere, insieme a tutti gli altri, a costruire ed allestire una grande natura morta su piatto o cesto (anch’essi in cartapesta) alla maniera dei canestri di frutta di Caravaggio. I bambini si troveranno davanti noci, mandarini, arance, uva, mele, pere, castagne (se siamo nel tardo autunno): le copieranno e le studieranno annotando le differenze e cercando di riportare queste caratteristiche nel loro manufatto. Un’altra possibilità prende sempre il via dalla palla ma si ricollega alla visita fatta al Museo Varoli: i bambini proveranno a fare una faccia (espressiva e caratterizzata) alla maniera, pur se in miniatura, dei mascheroni (il volto potrebbe essere suggerito dalle ammaccature, irregolarità e pieghe della carta). L’impegno può essere reso ancor più ricco e complesso inserendo ulteriori elementi in volume quali capelli, orecchie, nasi, oppure alcune espressioni…

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Altri momenti del laboratorio vedranno l’impiego di oggetti di supporto che serviranno come stampi ai quali si affiancherà l’utilizzo della cartapesta a macero. Si tratta in generale di cose che saranno tolte ad essiccazione ultimata, come ad esempio piatti, insalatiere di plastica, ciotole, tazze, vasi e sottovasi ma anche scatole da scarpe che potranno essere rivestite direttamente. (L’uomo che costruisce gli oggetti che gli servono per vivere.) Tutti questi manufatti saranno decorati con carte e tempere.

Due maschere costruite dai bambini di prima elementare nei corsi pomeridiani Ae M 2005 di Massimiliano Fabbri.

Così facendo, un oggetto relativamente anonimo e normale, per non dire banale, potrà diventare una palla da basket piuttosto che da calcio, un pianeta, una collana, un occhio o una faccia intera o ancora un semplice motivo ornamentale appeso ad un filo (dalla costruzione di mobile o assemblaggi per piccole sculture e totem fino ad una sorta di colonna senza fine alla Brancusi).

Quest’ipotesi prevede un’installazione collettiva ma potrebbe anche essere un lavoro singolo dove ogni bambino realizza il suo piatto e alcuni frutti da inserire all’interno. Se invece si aggiungono stuzzicadenti, bacchetti, filo di ferro o anime di cartone della carta igienica, ci si potrà cimentare nella costruzione di una figura intera, sia questa un pupazzetto, un omino o una bambola. Feticci. Come è stato detto e come si è potuto vedere in questi esempi le possibilità sono molteplici e variegate: si è deciso di lasciare un certo margine di libertà e modifica a questa programmazione non per indecisione o approssimazione, ma per dare modo alle insegnanti di valutare e partecipare direttamente alle scelte e per far sì che queste siano in continuità con quelle che si attuano ed attivano all’interno della programmazione scolastica.


Maschere e pupazzi • Classi terze e quarte

Si potrà così passare dal grottesco al terrore, dal fantastico all’ironico…

Il laboratorio rivolto alle classi terze e quarte porterà alla realizzazione di mascheroni di cartapesta e quindi si legherà in maniera particolare al carnevale e alla Segavecchia partendo da una visione diretta delle opere in cartapesta dell’artista Luigi Varoli. Si affronterà qui un breve discorso sulla maschera e il suo valore simbolico (rituale, carnevalesco, caricaturale) soffermandosi maggiormente sulla caricatura (intesa come eccesso ed esagerazione di caratteristiche reali); per quanto riguarda la maschera gli esempi sono innumerevoli: scultura africana, commedia dell’arte, cinema horror, supereroi e così via. Gli esempi non mancano neppure con la caricatura: Leonardo, Daumier, parecchie cose dell’espressionismo e moltissimi altri artisti, molti fumetti e cartoni animati, eccetera.

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Maschere e pupazzi Considero questa introduzione doverosa ed eccitante poichè darà al bambino la possibilità di conoscere e quindi poter scegliere ciò che più gli interessa, sviluppando e metabolizzando queste visioni nel proprio prodotto che, cosa molto importante, potrà indossare ed “usare”. Le maschere saranno realizzate a tutto tondo, con l’aiuto di scatoloni e palloni, con la tecnica della cartapesta a strisce che sarà supportata, in alcuni momenti, dalla cartapesta a macero che è più adatta quando si è impegnati con i particolari e le rifiniture. Quale sarà il soggetto della maschera? Il bambino sarà libero di scegliere anche se ciò avverrà all’interno di un progetto collettivo, un tema concordato precedentemente; se si volesse seguire una linea che sia direttamente legata alle maschere di Varoli si lavorerà certamente sulla caricatura di facce e modi di personaggi reali: potrebbero essere oggetto e soggetto di questo studio i propri compagni di classe piuttosto che un genitore, una nonna o ancora un personaggio particolare che si è visto o si conosce in paese, o addirittura un proprio autoritratto o una maestra. (Ma si potrebbe anche fare un lavoro sugli animali per cui il bambino realizzerà quello che più ama o che vuole che lo rappresenti, cercando di appropriarsi delle sue energie e caratteristiche come un aspirante provetto sciamano.) Le due classi terza elementare al gran completo (200-2001).

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Maschere e pupazzi • Classi quarte e quinte I laboratori proposti all’ultimo ciclo delle classi elementari si prefiggono di realizzare dei grandi pupazzi o statue a cui si lavorerà in gruppo (un po’ come succede in occasione del carnevale per i carri allegorici). Si faranno due o tre figure per classe a dimensione naturale; ci si avvarrà di strutture e scheletri fatti con reti metalliche, legno, cartone e filo di ferro, che saranno in parte preparate dagli atelieristi prima dell’arrivo dei bambini (che comunque metteranno mano e pensieri a queste strutture, modificandole a loro piacimento). La possibilità molto intrigante è quella di riuscire a costruire pupazzi che “abitino” la scuola. I temi di queste costruzioni possono essere molti e diversi tra loro: uno di questi potrebbe essere legato alla Storia: si individuerebbero, in questo caso, insieme ai bambini, alcune figure storiche rilevanti e particolarmente caratterizzate (ad esempio Giulio Cesare, Dante, Michelangelo, Galileo, Napoleone…) oppure figure più “generiche” appartenenti ad epoche e periodi storici (l’uomo primitivo, lo scriba, l’atleta greco, il centurione, il cavaliere medioevale, il pirata, il soldato prussiano eccetera). Si tratta di fare una sorta di riassunto della storia studiata nei cinque anni, una carrellata da cui estrapolare quei personaggi che più ci hanno colpito o interessato o che magari continuano ad incuriosirci.

Marzia Bianchi e gli omini costruiti dai bambini delle classi quinta elementare di Cotignola nel 2005 (omini terrosi, cartapestoidi e giacomettosi). Fotografie di Daniele Casadio.

Si potrebbe altrimenti partire dal monumento che è nel cortile della scuola elementare (un soldato che ricorda i caduti della guerra) per cercare di dare una definizione generale di che cosa rappresenta, per i bambini, l’idea ed il concetto di statua, e da qui avviare un vero e proprio sondaggio tra loro per arrivare ad individuare che cosa meriti di essere tramandato agli altri scolari che verranno. Da qui il gioco prenderebbe il via e si potrebbero magari fare i pupazzi dei miti “effimeri” dell’infanzia (fiabe e favole, mostri, marziani, cartoni animati…) oppure totem e sculture più magiche ed evocative.

Ipotesi di calendario delle attività > Classi prime e seconde

• Natura morta, natura viva tre – quattro interventi di due ore ciascuno per sezione periodo novembre-dicembre

> Classi terze e quarte • Maschere e mascheroni cinque – sei interventi di due ore ciascuno per sezione periodo gennaio-febbraio

> Classi quinte

• Pupazzi-statue di personaggi storici cinque – sei interventi di due ore ciascuno per sezione periodo aprile-maggio

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Galleria La Segavecchia Fotografie di Daniele Casadio.

2001 - Segacircusartiemfreak

2002 - Bambino marziano ti racconto una favola

2003 - Red soup: un artista di poco cervello dipinse tutto color ravanello

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2005 - La casa dei mostri creatori


Maschere e pupazzi

I mascheroni alla Varoli varolizzati, devarolizzati o alla Van Roli Atelier della cartapesta con e presso la Scuola Media di Cotignola; 2001, 2002, 2003, 2004, 2005. Insegnanti accompagnatrici: Emma Vasura e Rosanna Vassura. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri e Marzia Bianchi.

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• La scelta di far partire questa esperienza dal Museo Varoli vuole essere un tentativo di allacciarsi e relazionarsi con il territorio, per riappropriarsi di alcuni suoi luoghi rappresentativi che, pur rientrando nelle mappe e nei percorsi abituali dei ragazzi, sono forse poco vissuti o conosciuti. La figura di Luigi Varoli è, a mio avviso, interessante indipendentemente dal suo valore in quanto artista; egli seppe infatti creare intorno a sé una situazione estremamente vitale (soprattutto se messa in relazione al piccolo centro in cui operava). Intorno alla sua figura un gruppo di persone ha frequento i medesimi spazi, studi, progetti e passioni: è relativamente poco importante sapere quanti di questi siano diventati artisti (e non sono pochi) se ciò viene paragonato all’esperienza vissuta e all’instaurarsi e consolidarsi di una comunità “intelligente” ; se è lecito un paragone un po’ ardito si può quasi pensare ad una sorta di centro sociale o per inverso ad una vera e propria bottega, un luogo in cui (ri)trovarsi, un spazio pubblico e “politico” con-

Otto Dix

163 George Grosz

Honorè Daumier

Hyeronimus Bosch

Sarà in questo caso snellita tutta la parte iniziale che prevede una conoscenza e familiarizzazione con il materiale e le tecniche poichè questi ragazzi hanno già avuto più di un’occasione per confrontarsi con la cartapesta; sarà invece sviluppata e sviscerata a fondo la tematica della maschera e della caricatura, sia nel corso degli atelier gestiti dalla Scuola Arti e Mestieri sia all’interno delle lezioni ordinarie.

Il primo momento di incontro con i ragazzi si caratterizza con una visita un po’ particolare al Museo Varoli dove sono esposti i mascheroni di cartapesta; qui si disegnerà dal vero: ogni ragazzo avrà a disposizione matite, carboncini, gessetti, biro e pennarelli. Un coinvolgimento diretto che avviene nel e col disegno, poichè il disegnare aiuta a vedere meglio: disegno che sarà appunto e schizzo (per questo ci dimenticheremo, per un giorno, delle gomme) disegno teso alla ricerca di un flusso e scambio più fluido tra occhio e mano. Ci preoccupiamo qui un po’ meno del risultato a favore di uno sguardo impegnato ed analitico-emotivo al tempo stesso; ogni segno è importante perché traccia e registra una sorta di percorso o mappa-ragnatela dell’esperienza (ogni segno sulla carta è un piccolo fallimento e contemporaneamente un segno salvato: non esistono segni sbagliati e per chiarire meglio quest’assunto quasi contraddittorio pensiamo ai disegni di Alberto Giacometti).

Henri Toulouse Lautrec

Caricature di personaggi cotignolesi, laboratorio presso la Scuole Media di Cotignola a cura di Marzia Bianchi (2003-2004). Particolare dell’allestimento realizzato nel parco Zanzi in occasione della Città dei bambini 2004, La città degli sguardi.

La felice esperienza avviata lo scorso anno con le Scuola Elementare di Cotignola ci offre lo spunto per proseguire il progetto cartapesta con una proposta che si estende ed allarga coinvolgendo la Scuola Media; si tratta di una serie di laboratori di manipolazione della cartapesta che partono da un rapporto, conoscenza e frequentazione con il Museo Varoli4 e che si prefiggono la realizzazione di maschere da indossare in occasione della sagra della Segavecchia.


Maschere e pupazzi diviso e in cui ogni persona si esprime con i mezzi ad essa più affini, congeniali ed in sintonia con le proprie possibilità (non va dimenticata la fertile curiosità del maestro: scultore, pittore, musicista…; insomma a frequentare questo ambiente c’era più di un motivo, probabilmente, per non annoiarsi). Se vi fosse un luogo in cui i ragazzi potessero gestire attività e ritrovarsi, alcune cose, se non molte, non sarebbero poi così distanti: la musica sarebbe suonata da un dj o da un gruppo rock piuttosto che da un violoncellista, si dipingerebbero graffiti piuttosto che modelle eppure la sostanza rimarrebbe se non invariata, almeno abbastanza similare. È un discorso complesso che richiederebbe molto tempo e che probabilmente mi sta portando un po’ fuori strada, ma ciò che mi premeva sottolineare è l’importanza di esprimersi ed affinare le proprie sensibilità grazie all’arte: arte come momento condivisibile di libertà e conoscenza, forse anche di una felice consapevolezza. Il tentativo è quello di avvicinare i ragazzi all’arte, ma anche l’arte ai ragazzi riportandola un po’ più in basso, vicina alla vita ed alle cose.

Oltre al confronto con questi mascheroni di cartapesta si imposterà un discorso più ampio sulla caricatura con un taglio che attraversa la storia dell’arte5 passando per il fumetto e il cartone animato; verranno proposte immagini estrapolate da diversi contesti, mescolando ed attingendo liberamente da esse e cercando di stimolare un’ulteriore ricerca e raccolta di immagini da parte dei ragazzi. L’altro tema importante che potrebbe costituire l’argomento di una lezione (e di ulteriori svuluppi in orario scolastico) è la maschera; anche in questo caso gli spunti sono molteplici e molto interessanti: dalle maschere tribali africane ed oceaniche al carnevale (o halloween), dalle maschere funerarie fino alla commedia dell’arte per arrivare ai supereroi, ai lottatori di catch, ai ladri e banditi fino al trucco stesso. Quest’ampia introduzione sulla caricatura e sulla maschera, pur avendoci tenuto momentaneamente lontano da quelle che sono le finalità dei laboratori, ossia l’utilizzo della cartapesta, ci permette di fornire e dispiegare il massimo di strumenti di comprensione ai ragazzi; l’inquadrare il progetto in un’ottica ampia, ricca di rimandi e collegamenti con altre discipline, fa sì che lo studente percepisca maggiormente l’importanza di questi momenti favorendo l’impegno e la determinazione (si tratta di faccende divertenti ma anche estre-

Se si deciderà di lavorare, ad esempio, sul tema delle caricature ispirate all’ambiente scolastico, l’argomento sarà approfondito in maniera ulteriore: in questo caso si potrebbe allestire un piccolo angolo di posa in cui gli insegnanti e il personale della scuola sarebbero fotografati alla maniera delle foto segnaletiche della polizia; immagini che saranno necessarie per gli sviluppi del laboratorio nel momento dell’effettiva realizzazione delle maschere. La maschera è universale, attraversa tutte le epoche e le culture; ci si maschera quando non ci si vuole far riconoscere, quando si vuole diventare o essere qualcuno o qualcosa d’altro, per appropriarsi di energie e poteri, per esorcizzare paure, come la morte, o per incutere timore, ma anche per far ridere come i clown, e ancora ci si trucca nella guerra…

mamente serie che occuperanno i primi tre laboratori di AeM).

Art Spiegelman

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• Per ciò che concerne la caricatura all’interno della storia dell’arte gli esempi sono molteplici ed illustri: Leonardo, Bosch, Daumier, Lautrec, Grosz, Dix e molto espressionismo. Il fumetto è legato alla caricatura in maniera ancora più profonda, quasi indissolubile; citeremo qualche autore con la certezza di stilare un elenco molto parziale ed incompleto: Dick Tracy (pensiamo alle facce dei cattivi), Magnus, Altan e Pazienza tra gli italiani, la stessa Walt Disney anche se in modi meno evidenti, Robert Crumb, Art Spiegelman Josè Muñoz e molti altri ancora (bisogna tener presente che nel fumetto e nel cartone animato la definizione di caricatura non è semplice poichè può mescolarsi e confonder164 si con la sintesi, sintesi che è imprescindibile esigenza espressiva di questi linguaggi pena una non immediata riconoscibilità dei soggetti).

Josè Muñoz

Andrea Pazienza

Chester Gould

Altan

Robert Crumb

Magnus


Maschere e pupazzi

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Disegni dei ragazzi della Scuola Media di Cotignola al Museo Varoli, 2001.


Maschere e pupazzi

> La cartapesta

Intellettualvaroli

Rusitaringiovanita

Per quanto riguarda le tecniche, i materiali e una breve introduzione storica rimando alla visione del progetto precedente redatto per le Scuole Elementari ed al catalogo pubblicato dal Comune di Cotignola (I Mascheroni alla Varoli) presentato in occasione della mostra allestita durante la Città dei Bambini 2001. Per ciò che attiene invece alle modalità con cui saranno costruite le maschere accennerò brevemente ad alcune possibilità tenendo presente che il lavoro sarà impostato in maniera elastica per adattarsi alle esigenze, desideri e necessità dei ragazzi (che saranno allo stesso tempo sempre mediate, concordate e discusse con il maestro d’arte). Per realizzare una maschera in cartapesta è sempre necessario un appoggio, sia questo uno scheletro di rete metallica o filo di ferro, una struttura di cartone o un’anima che si potrà poi togliere a cartapesta asciutta come avviene ad esempio con il palloncino; qualsiasi altro oggetto che funga da armatura o sostegno va comunque bene e si cercherà di proporre contemporaneamente molte di queste possibilità per offrire un ventaglio di scelte abbastanza ampio e variegato. Stesso approccio vale per la cartapesta vera e propria: utilizzeremo soprattutto la tecnica della carta a strisce detta giapponese ma non mancheranno incursioni nella cartapesta a macero che è particolarmente adatta in fase di rifinitura.

Ipotesi di calendario > Tre incontri di un’ora e trenta ciascuno • museo varoli (i mascheroni) • la caricatura • la maschera

> Sei incontri di due ore ciascuno • armatura (cartone-rete-palloncino) • rivestimento • rivestimento e costruzione del viso • caratterizzazione e particolari • rifiniture • colore

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Varoli terrorista

Satanic Varoli

(In questa pagina) Essere Luigi Varoli (2004-2005), laboratorio presso la Scuola Media di Cotignola, a cura di Marzia Bianchi.

Per la pittura saranno usate tempere e acrilici con la possibilità, da non escludere, di colorare i pezzi con carte raccolte precedentemente (una tecnica molto più veloce del mosaico ma che in parte lo ricorda). Come detto precedentemente questo lavoro si chiuderà con la “parata” di un gruppo a piedi mascherato che parteciperà alla sfilata della Segavecchia; la Scuola Arti e Mestieri si occuperà della costruzione delle maschere e offre inoltre la sua disponibilità a fornire consulenze ed appoggi per quanto riguarda l’ideazione e realizzazione dei costumi e di altri elementi scenografici. Gli argomenti toccati, il materiale che sarà visionato di volta in volta negli incontri, ed i disegni e i progetti dei ragazzi, saranno raccolti in quaderni tematici (costruiti artigianalmente) che saranno a disposizione dei ragazzi stessi e della scuola intera.


Maschere e pupazzi

Facce primitive e tribaloidi per piccoli selvaggi civilizzati Atelier di manipolazione dell’argilla e della cartapesta con le classi quarte e quinte della Scuola Elementare di Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano. Sette incontri per classe di due ore ciascuno; da marzo a maggio 2003. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri e Lucia Baldini.

In continuità con il laboratorio della creta tenuto lo scorso anno con questi stessi bambini (Principesse, draghi e cavalieri)6, si è pensato di ripetere e riproporre un ciclo di incontri su manipolazione e linguaggi plastici inserendo questa volta il tema della maschera. Questa proposta risulterà abbastanza promiscua (e per noi insolita) perché affianchiamo in un unico atelier due materiali differenti e, da un certo punto di vista, inconciliabili: argilla e cartapesta (quasi due laboratori in uno). Le caratteristiche di questi materiali le tecniche di lavorazione, molto distanti tra loro, finiranno per incidere, anche poeticamente, sul tipo di produzioni: se vogliamo generalizzare e forzare un poco la mano, potremmo dire che la creta ha in sé un qualcosa di primitivo ed ancestrale che si riflette in manufatti più intimi e delicati e, allo stesso tempo, fortemente magici ed evocativi, mentre la cartapesta sposta il lavoro su versanti più fantastici ed irreali, spesso espressionisti ed un poco fumettati, e di maggior impatto visivo. Per quanto riguarda il tema della maschera, che attraverserà quindi l’approccio ad entrambi i materiali, gli spunti, i collegamenti

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• Questo laboratorio ha visto impegnate le cinque classi della Scuola Elementare di Barbiano in un progetto collettivo che si è concluso con la costruzione e l’allestimento di un grande e fiabesco castello di creta popolato di figure come draghi e cavalieri. Siamo partiti prendendo spunto e collegandoci alla figura di Alberico da Barbiano e più in generale ai capitani di ventura, ma anche a tutte le fantasticherie e mostri presenti nei poemi epici e cavallereschi e in molta pittura, basti pensare a Dosso Dossi o a tutti i poveri draghi che combattono contro S.Giorgio. (Anche in questo caso l’atelier non si è limitato alla manipolazione della creta ma ha fatto un largo ricorso al disegno e alla pittura.) Ogni classe si occupava di un tema che si sarebbe incastrato e completato dall’incontro con le produzioni degli altri gruppi: il primo ciclo si è occupato essenzialmente del paesaggio e dell’architettura (oltre alla rocca, campi, alberi, fiumi e natura bucolica in genere), il secondo ciclo si è invece soffermato sulla figura, un lavoro “umanista” sostenuto, accompagnato e stimolato da un forte ricorso alla visione di quadri gotici e rinascimentali: dallo studio di armature ai cavalli e alle loro bardature, dai draghi alle visioni infernali di Bosch…

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Maschere e pupazzi e gli esempi di cui potremo servirci sono veramente innumerevoli; la maschera nell’arte (basti pensare all’importanza dell’arte africana, e primitiva in genere, per molti artisti europei, primo tra tutti Picasso) fino ad arrivare alle maschere popolari e a quelle caricaturali del fumetto, e poi la maschera dei supereroi e così via. Oltre alla manipolazione il laboratorio include una serie di attività non secondarie in cui i bambini disegneranno, sia nell’atelier che in classe. Il disegno è dell’invenzione ed anche dello studio di una forma già esistente; le sue caratteristiche di progettualità possono rendere più precisa, complessa e consapevole la fase della manipolazione (si può certamente lavorare anche senza progetto seguendo imprevisti e casualità oppure disfarsi del disegno a metà strada, come ribellandosi a se stessi: sperimentare libertà e responsabilità). Il disegno sarà comunque presente, pur in forme molto diverse, perché è un’apertura e un incantamento che accompagna e sostiene il fare: è palestra di sguardi e pensieri. I modi di vedere sono così tradotti due volte, prima sulla carta ed in seguito in tre dimensioni (i bambini affrontano, così facendo, la fatica di riportare in un volume ciò che hanno progettato prima, molto liberamente, nella propria mente e poi sul foglio, e capiscono, scontrandosi con alcune difficoltà, cosa è fattibile e cosa invece non può essere costruito se non in percorsi ed architetture mentali ed immaginarie: risolvere problemi).

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Gli indirizzi sono molteplici e si modelleranno e definiranno adattandosi alla programmazione scolastica, ma anche, ovviamente, alle richieste, invenzioni e sensibilità dei bambini: dalla maschera che fa paura, primitiva e sciamanica alla caricatura di volti e soggetti strani e bizzarri…


Maschere e pupazzi

Maschere tribali e primitive, laboratorio presso la Scuola Elementare di Cotignola (classi seconde e terze) a cura di Lucia Baldini (2003-2004). (In questa pagina e in quella precedente) Particolari dell’allestimento realizzato in occasione della Città dei bambini 2003, Le immagini sognanti, nel parco Bacchettoni. Fotografie di Daniele Casadio.

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2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto 2.1.1 Maschere e pupazzi

2.1.1.A Semplicità e possibilità

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Semplice la cartapesta, semplice l’argilla; eppure sotto le mani possono lievitare svariate forme, vite e biografie. Basta conoscere bene le possibilità date dalla semplicità del materiale che, proprio in quanto semplice, pare darsi come aperto ad innumerevoli possibilità; basta guardarsi intorno. Forse è per questa primaria necessità di conoscere le possibilità del semplice che il maestro, in questo caso, procede su un registro inizialmente più evidentemente cognitivo. Parte con l’illustrare ai bambini quante cose possono fare con la cartapesta che va però prodotta aprendo quindi con loro un processo di conoscenza alchemica di come la si può produrre e di come e a cosa poi si può dar forma. E, procedendo sempre dal più semplice (almeno in apparenza) al complesso, si arriva a una forma anch’essa semplice, ma carica di possibilità che è la palla. Matrice, se fatta lievitare in tutte le sue sopite ma tese possibilità, per tutta una serie di altre produzioni che fanno accedere i bambini alla plastica che immediatamente apre percorsi ovviamente di grande rilievo e portata emotiva, affettiva e sociale considerato che i bambini saranno chiamati a creare maschere, mascheroni, pupazzi; percorsi di impegno lavorativo che riconducono il maestro e i bambini al loro sperimentalismo fatto di consonanze, incroci, rimandi e commistioni fra tecniche, stati d’animo, vissuti e autori (come sempre sullo sfondo ci sono numerosi autori, più impliciti e meno dichiarati, almeno nel fare diretto, perché a campeggiare è Varoli con la sua presenza perentoria, incisiva e colloquialmente e popolarmente richiamante). Allora intanto i bambini scoprono il portar su, il dare volume, il dare forma a partire da qualcosa che nasce nell’acquosità del macero pastoso o nella sottigliezza di bende rese spesse e quindi disposte al volume; scoprono il volume che può esser formato e deformato a secondo di cosa si aggiunge o toglie allo scheletro nel gioco di pieni e di vuoti che ogni piccolo elemento permette di avere. C’è quindi un prendere confidenza, un girare intorno attivo e incisivo per padroneggiare questo processo di coagulo e condensazione in “palle” di possibilità di un materiale che quasi scivola dalle mani; poi c’è un riempire di possibili contenuti la materia. Si apre poi, ai bambini, la fase in cui è possibile trasformare, meglio

piegare il materiale e la forma, quasi primitiva e originaria della palla, alla loro volontà e ai loro sentimenti. Volontà e sentimenti che sono lievitati, sostenuti, spinti e messi in moto dalla vista al museo Varoli dove i mascheroni richiamano i bambini e i ragazzi a confrontarsi con la forma che le passioni umane prendono e possono prendere dandosi visibili nel volto e nel corpo. La pittura e la scultura non sono mai state estranee alla fisiognomica. Il confronto con Varoli non è solo un confronto, un legame e un ritorno affettivamente declinato al proprio territorio e alla sua storia e ai suoi manufatti, ma è un invito, lungo il corso della ricerca che il maestro fa sul volto proprio e altrui in relazione alla questione dell’identità, a tornare a guardare e guardarsi reciproco negli anfratti dell’animo e degli occhi. Guardare e guardarsi per scoprire, snidare, sorprendere le nostre diverse, passionali posture e contorsioni che ci formano e deformano; ed anche a snidare, sorprendere i fantasmi, le creature che siamo e che ci abitano, nelle nostre notti e nelle nostre oscurità. Allora si può aprire, a partire dalla neutralità sognante della palla, a sviscerare, a togliere e aggiungere affetti, sentimenti e passioni che diventano trattabili, portati su un livello nuovo; quello dell’apparente distacco della maschera, per esempio. La maschera è affermazione di nuove possibili, desiderate e desiderabili identità oltre la nostra dichiarata, pubblica e visibile; è l’affermazione della molteplice stratificazione della nostra stessa identità che non di dà mai lineare, semplice, netta e stabilizzata. È l’affermazione dei sentimenti più veementi e oscuri che ci attraversano o che vorremmo avere per tenere a bada il mondo fra riso e terrore; ed essendo affermazione trattabile, specificatamente prodotta dal soggetto che la crea per se stesso o sceglie di indossarla, una maschera è anche possibilità di governo, di poter contenere e guardare quello che è già in noi, o che sentiamo volere avere o sentire o che avvertiamo poter avere o avvertire. Una maschera si può indossare e si può togliere, come un costume e un’armatura e come tale apre alla capacità di “giocare” con se stessi e gli altri, spuntando e arrotondando paure, impasse, blocchi, gorghi che così spesso punteggiano il darsi della propria identità. E ancora costruire pupazzi è un ulteriore passo verso il portar fuori, verso l’espli-


citazione del non detto e dell’indicibile che, facendosi forma, può essere sopportato e guardato e soprattutto alienato da chi lo portava dentro; ogni pupazzo è da una parte un possibile aspetto di chi lo costruisce, ma dall’altra è anche un figlio di chi lo costruisce. E sé ed altro da sé; per questo lo spavento come il sorriso che porta sono comunque accettabili, manipolabili e resi parlanti. Portati alla luce del sole. Anche il lavoro sulla caricatura ha a che vedere con questa esplorazione dell’ambiguità e dell’ambivalenza del nostro sentire e del suo poter esser tirato ai limiti dove non è sempre chiaro cosa pensare e come interpretare la faccia che facciamo e che ci fanno; scoperta dell’ironia, del doppio senso, dell’aggressività che si acquatta in una sopracciglia, del dolore che si nasconde in un riso sguaiato, del bisogno d’amore che si fa legnosità del corpo... La caricatura è la nostra ulteriore maschera per nascondere il nostro sentire, non potendo dire alcunché o non sapendolo dire; forse aiuta, nel suo essere enfasi del silenzio, a conquistare un po’ di contatto con sé medesimi e con gli altri. Pur nell’essere tragicamente esposta all’immobilità e fissità delle smorfie e dei tic, diventa comunque possibilità di trattazione di queste e quindi forse anche salvifica. La caricatura sdrammatizza?!

E quale momento, se non il Carnevale, e quale momento se non la liberazione da un’incombenza oscura come può essere vissuta e letta la Segavecchia sono i più indicati per dire ciò che ogni giorno mettiamo a tacere anche a noi stessi? Allora questa cartapesta così resistente e quasi contundente, questa argilla così fragile nella sua apparente irresistibilità sono ancora una volta possibilità per fare un viaggio nella geografia del nostro essere dando alle sue parti sconosciute anche a noi stessi visibilità. Un viaggio che ci fa scoprire quindi che esse, le nostre parti sconosciute, facilmente ci portano a diventare, se non ascoltate e guardate, maschere e caricature. Quindi lavorare sulle teste e i volti dei pupazzi e delle maschere può forse portare i bambini a chiedersi cosa e come si agita nella loro stessa testa, parte visibile e sede dei moti del cuore che vanno guardati e ascoltati. Anche riguardando per bene cosa essi stessi hanno prodotto, ovviamente. Il popolo delle maschere e dei pupazzi non è allora altro che l’insieme dei “doppi” dei piccoli artefici che, muti, gli fanno da specchio. Chissà le facce degli uni e degli altri, quando si guardano.

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2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto

2.1.2 I burattini l’atelier di mangiafuoco 1

Atelier di manipolazione della cartapesta con le classi 3°e 4° della Scuola Elementare di Cotignola. Anni scolastici 2001 / 2002 • 2002 / 2003 • 2004 / 2005 Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Progetto, scrittura e conduzione del laboratorio: Massimiliano Fabbri.

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• Questo laboratorio è stato attivato per tre anni, due di questi consecutivi, in tre classi diverse per un totale di sette sezioni (più di cento bambini): ciò ha permesso di rafforzare e raffinare ulteriormente il progetto, che è andato così modificandosi e perfezionandosi di anno in anno, rinnovandosi costantemente sino ad assumere la forma proposta nel 2004-2005 alle tre sezioni delle classi terze. Questo resoconto vuole evidenziare e sottolineare l’evolversi di questo percorso, che riteniamo ora abbastanza preciso e completo e, allo stesso tempo, ancora aperto ed estremamente vitale. Ciò conferma la nostra volontà di riproporre ciclicamente alcune delle esperienze più interessanti con l’intento di costruire ed individuare un metodo che si inserisca in un processo di sperimentazione e revisione continua; un metodo che non può prescindere dal suo farsi concreto e modificarsi in corso d’opera, adattandosi alle nuove intuizioni ed esigenze, nostre e dei bambini. Con la convinzione che sia necessario, ed inevitabile, calare le premesse 172 teoriche nella dimensione di fisicità che è propria dell’atelier (ogni laboratorio è differente, in larga misura, da quello precedente e, pur ricalcandone le premesse, rappresenterà

Primo anno2 • Classe 4°A e 4°B della Scuola Elementare di Cotignola; insegnante accompagnatrice: Lidia Sansoni. Otto incontri per sezione3 di due ore ciascuno; da novembre 2001 a gennaio 2002. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri; conduzione: Massimiliano Fabbri. La scrittura riportata di seguito è quella consegnata all’insegnante prima dell’avvio del laboratorio.

Questo progetto si pone in continuità con il laboratorio dello scorso anno in cui queste due classi hanno realizzato maschere e mascheroni in cartapesta; si vuole proseguire questo percorso sul ed intorno al volto inaugurando un’attività che metta in moto una serie di scambi interdisciplinari: ciò che viene prodotto nell’atelier rappresenterà infatti un materiale su cui lavorare ulteriormente in classe, per dilatare ed ampliare l’esperienza rendendola così ancora più significante ed efficace. Se nel laboratorio precedente ci si è misurati con la forma “mascherone” (partendo da una forte tradizione locale che vede nel lavoro di Luigi Varoli uno degli esempi più eccellenti), in questa nuova proposta proseguiamo l’esplorazione della cartapesta in relazione ad un altro suo uso tradizionale e popolare ossia il burattino. Il tema quindi continua ad essere il volto e la sua raffigurazione, con tutte le sue declinazioni caricaturali e fantastiche necessarie alla definizione di personaggi e personalità. Ciò che ci intriga del burattino è la sua capacità di non “fermarsi” ad oggetto o piccola scultura, ma di portare con sé una sorta di funzionalità antistatica (presente anche nella maschera) Un pupazzetto capace di rilanciare significati che vanno oltre alla sua costruzione e realizzazione tecnica; non ci si limita cioè alla sua creazione artistica o artigianale ma si riversa questo lavoro in una dimensione ludica e creativa che si prolunga nel tempo. Perché un burattino sia vivo è fondamentale il momento del gioco, gioco in cui il bambino si appropria del pupazzo soffiandogli un respiro, un farsi teatro (sia anche improvvisato da un singolo individuo) in cui entra prepotentemente la dimensione del racconto; voci e storie che fanno del burattino un oggetto magico e promiscuo, che invade ed investe altre discipline. In questa spinta comunicativa risiede buona parte della sua bellezza: l’atelier rappresenta quindi un episodio all’interno di questo percorso, che chiede di essere portato avanti e sviluppato una volta usciti dalla fabbrica-laboratorio. La nostra scommessa risiede proprio in questo complicarsi della faccenda, in questo chiedere alle maestre un impegno ulteriore poiché ciò che faremo con i bambini ad AeM dovrà intrecciarsi e completarsi con altri momenti scolastici: dal disegno alla lettura, dall’invenzione di storie e personaggi ai modi in cui muovere il burattino, fino alla stesura di un vero e proprio canovaccio per lo spettacolo (da costruire insieme ai bambini). Questo scambio e collegamento tra discipline ci pare molto interessante perché offre al bambino una piena comprensione dell’attività, un chiarirsi e un succedersi per tappe ed incastri della trama del progetto che permette ad ognuno di ritagliarsi aperture, spazi e luoghi differenti per differenti e divergenti creatività ed intelligenze.

Un’altra possibilità e apertura di senso ci è offerta dal burattino stesso, ossia da un uso della cartapesta che non sia


I burattini esclusivamente legato alle maschere realizzate per la Segavecchia (la cartapesta permette tecniche e produzioni la cui portata e possibilità superano largamente l’utilizzo carnevalesco). Si tratta in realtà di una scoperta ovvia che però ci mostra un nuovo punto di vista, un ripensamento abbastanza radicale, almeno per noi, su questo materiale. Dal disegno all’invenzione di personaggi, dalla cartapesta alla pittura, dalla narrazione alla drammatizzazione: il laboratorio vivrà di tutti questi momenti che si spalmeranno su tutto l’anno scolastico, da novembre a maggio con una fase, quella del laboratorio, più piena ed intensa e che andrà da novembre a gennaio.

• L’atelier di Mangiafuoco. Il tema concordato con l’insegnante è estrapolato dal Pinocchio di Collodi: in particolare ci soffermeremo su quella parte del racconto che ruota intorno alla figura di Mangiafuoco e al suo incontro con Pinocchio, un po’ perché la figura di Mangiafuoco è ricca di spunti, sia dal punto di vista visivo sia da quello narrativo, ed anche per circoscrivere un po’ il campo d’azione, per meglio approfondirlo e soprattutto per trasformarlo (togliendo ed aggiungendo liberamente: i limiti imposti servono anche per essere violati, per mettere un poco sottosopra la storia e per allargarne le maglie). All’interno dell’atelier costruiremo questi personaggi con la cartapesta, personaggi che poi saranno i protagonisti delle nostre storie, sia che questi si attengano all’originale, sia che si sviluppino in direzioni diverse, insolite, impreviste ed inattese. A questa squadra di burattini (uno per ogni bambino) si aggiungeranno due mascheroni: uno sarà Mangiafuoco, l’altro Pinocchio; queste due maschere rappresenteranno anche un richiamo al laboratorio svolto l’anno precedente, quasi una sorta di ripasso (i bambini le realizzeranno collettivamente, una per sezione).

• Una faccia caratteristica. Come abbiamo fatto per le maschere, anche per i burattini cominceremo con un’introduzione-indagine sul volto che viene esplorato e scandagliato attraverso il disegno. Se nel primo caso il Museo Varoli e i suoi mascheroni avevano rappresentato lo stimolo da cui partire, in questo laboratorio lavoreremo inizialmente su di un piccolo libretto che ho realizzato per ciascun bambino: si tratta di un quaderno in cui è raccolta una serie di miei disegni, esercizi e giochetti divertenti in cui i bambini vedranno e troveranno, e disegneranno di loro pugno, facce e caricature, personaggi ed insolite espressioni. Un libretto personale che li accompagnerà e che possono portare dove vogliono, disegnandoci dentro quando e ciò che gli va, un alfabeto di espressioni fisiognomiche, un’ironica e bizzarra enciclopedia dei sentimenti e delle emozioni, un diario, o meglio, un registratore sentimentale di facce.4 Il disegno è parte rilevante nel passaggio dall’idea alla sua trasposizione plastica; è progetto e materia allo stesso tempo: il disegno è una sorta di limbo.

• I burattini di cartapesta Oltre alle convergenze e similitudini con il laboratorio sulle maschere questa proposta presenta molte caratteristiche che rappresentano per i bambini delle consistenti novità, prima di tutto per ciò che concerne la lavorazione della cartapesta; il burattino è ovviamente molto più piccolo della maschera e questa riduzione di scala impone approcci e tecniche sostanzialmente differenti: faremo ad esempio un largo uso della cartapesta a macero (che è una sorta di pasta-poltiglia che si ottiene macerando pezzetti di carta nell’acqua che poi vengono pestati ed impastati con colla) oltre alla tecnica delle strisce che abbiamo già sperimentato l’anno scorso (le strisce di carta vengono imbevute di colla, stese e sovrapposte a fasciatura). La cartapesta a macero5 è ideale per oggetti di piccole dimensioni perché permette una manipolazione

un caso a sé); ogni buon progetto è materia pulsante e plasmabile e proprio per questo non del tutto prevedibile in partenza: più questo sforzo teorico sarà in grado di un adattarsi sensibile alle cose che succedono, più noi saremo in grado di offrire un percorso ricco e significativo. Il progetto non può perciò essere rigido perché ciò renderebbe abbastanza sterile l’esperienza del laboratorio: ogni proposta è un esperimento, una piccola ricerca che deve contenere e contemplare molteplici direzioni e possibili vie di fuga. Una messa in discussione costante che non è sintomo di incertezza, ma di una curiosità che si fa metodo, curiosità utile a mantenere alta la tensione e a non discriminare le intelligenze in gioco.

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• L’esempio riportato riguarda il primo laboratorio dei burattini attivato dalla Scuola Arti e Mestieri nella Scuola Elementare nel 2001-2002, con una classe, la quarta, che aveva già sperimentato un laboratorio della cartapesta nel corso dell’anno precedente. (cfr. par. 2.1.1)

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• Quattordici bambini per sezione.

• Alcuni disegni dentro a questo libretto li hanno fatti con me, alcuni con la maestra in classe e la maggior parte a casa, oppure nell’intervallo o in altri momenti liberi.

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• La cartapesta a macero è affascinante anche per la sua fase preparatoria, un po’ lenta ma per i bambini divertente: spezzettare la carta, metterla a bagno, lasciarla riposare, estrarla e strizzarla, pestarla con mazzette, ed infine impastarla con la colla finchè non risulta omogenea; si potranno inoltre sperimentare alcuni trucchetti come il mescolare a questa pasta la segatura (che rende la cartapesta più leggera e resistente) oppure utilizzare, 173 ad essiccatura ultimata, la carta vetrata per ottenere superfici lisce ed omogenee.


I burattini

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• Questa seconda parte è riferita al secondo laboratorio dei burattini proposto l’anno successivo sempre alle classi quarte della Scuola Elementare; come accennato in precedenza il progetto subisce alcune modifiche, soprattutto nella parte iniziale ed introduttiva in cui prende maggiore spazio il disegno. In effetti il laboratorio è quasi diviso in due parti e perciò non si limita o esaurisce nella manipolazione, anche se quest’ultima rimane certamente centrale: la prima parte non può perciò essere considerata solo come fase progettuale o preparatoria perché è quasi un laboratorio dentro al laboratorio. Il disegno offre un’immediatezza e una certa dose di sperimentazione che forse mancano alla cartapesta. Ciò permette una partenza divertente e proficua: un disegno sta sempre in piedi e non presenta, da un certo punto di vista, dei problemi pratici e concreti (che si incontreranno in parte dopo con la cartapesta), succede e basta, e questa facilità permette al bambino una piena libertà creativa e produttiva (svincolata da lungaggini tecniche). Il laboratorio dei burattini ha questa ricchezza o valore aggiunto proprio perchè passa dal disegno dal vero ad uno più mentale e immaginifico, dalla manipolazione della cartapesta al collage e alla pittura.

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• Quindici e sedici bambini.

• Ai bambini verrà anche consegnato il libretto delle espressioni realizzato lo scorso anno per il medesimo laboratorio.

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• Tra gli spunti tematici che offriremo c’è l’indicazione di lavorare sul ritratto ossia fare con la cartapesta un proprio compagno o una maestra, per poi lavorare su storie e scenette che si ispirino alle dinamiche che si instaurano in classe; si tratta ovviamente di suggerimenti che lasciano al bambino piena autonomia, non ci sono vincoli di realismo o riconoscibilità. La fantasia del bambino trova libero sfogo per174 ché i nostri suggerimenti sono possibili aperture e quindi hanno funzione di stimolo; i bambini decideranno, come sempre, quale sarà la direzione più interessante.

più precisa e particolareggiata che può ricordare vagamente l’argilla; questa resa del particolare, e la possibilità di scendere nel dettaglio, sono caratteristiche utili alla costruzione della piccola testa del burattino che deve essere abbastanza definita e riconoscibile (nella maschera possiamo invece mettere in atto un approccio più energico e movimentato). La testa del burattino sarà costruita intorno ad un palloncino che alla fine sarà fatto scoppiare, oppure con un sacchetto pieno di sabbia da svuotare alla fine, o ancora, per ultimo, si potrebbe fare una testina in argilla che può essere utilizzata in due modi: facendo uno stampo con il gesso o applicando la carta direttamente sulla superficie della creta (servono in entrambi i casi degli agenti distaccanti che permettano di togliere, una volta asciutta, la carta). Al di là dei supporti utilizzati, il nostro burattino sarà in ogni caso di cartapesta; utilizzeremo comunque diverse tecniche e possibilità di costruzione e lavorazione di questo materiale per offrire al bambino un percorso flessibile in cui possa scegliere le soluzioni che più lo incuriosiscono; mostreremo confronti tra i materiali (cartapesta, gesso, legno, creta, das) per fargli capire quali tra questi sono più adatti a ciò che si andrà a realizzare (un burattino di creta ad esempio sarà molto bello ma eccessivamente fragile e pesante e perciò poco pratico e maneggevole). Non è da scartare neppure l’ipotesi di servirsi di differenti modalità di impostazione del burattino: dalla classica impugnatura a guanto in cui le tre dita si infilano nel collo e nelle mani del pupazzo, ad un’altra in cui la testina è sorretta da una croce di legno (più simile questa ad una marionetta); nel primo caso il burattino permette molteplici possibilità di movimento, nel secondo avremo un figura più grande e meno complessa da manovrare (ma molto meno dinamica ed espressiva).

• Il teatrino La Scuola Arti e Mestieri si impegna a costruire un piccolo teatrino per i bambini che potrebbe essere utilizzato oltre che in classe, in alcuni momenti pubblici come La Città dei Bambini. Come detto precedentemente ogni bambino avrà il suo burattino personale (il vestitino sarà realizzato da mamme o nonne nelle vacanze di Natale) a cui si aggiungeranno le due grandi maschere di Pinocchio e Mangiafuoco che creeranno un piacevole spiazzamento all’interno dello spettacolo dei burattini perché, rimanendo all’esterno del teatrino, interagiranno con il pubblico (magari i due mascheroni saranno indossati dalle insegnanti).

Il laboratorio corre su due binari paralleli (individuale e collettivo) che porteranno ad uno spettacolo finale in cui confluirà l’intera esperienza. (Il teatrino costruito da AeM sarà dipinto dai bambini.) Il laboratorio si è protratto nel mese di febbraio con un’appendice di tre incontri (più brevi) in cui Lucia Baldini ha seguito la realizzazione dei vestiti dei burattini (impostati a casa dai genitori) la loro vestizione e l’aggiunta di particolari come pezzetti di stoffa e bottoni, oltre ad alcune rifiniture, pittoriche e non, sul burattino stesso.

Secondo anno 6 • Classi 4°A e 4°B della Scuola Elementare di Cotignola; insegnante accompagnatrice: Loredana Taroni. Sei incontri per sezione7 di due ore ciascuno; da ottobre 2002 a dicembre 2002. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; conduzione: Massimiliano Fabbri. Questo laboratorio si pone all’interno del progetto cartapesta che stiamo portando avanti nelle Scuole Elementari da qualche anno. Questo materiale ci offre anche lo spunto per far conoscere ai bambini il lavoro dell’artista Luigi Varoli che ha nei mascheroni di cartapesta una delle sue produzioni più interessanti, particolari e significative. La prima tappa di questo percorso prevede infatti una visita al Museo Varoli in cui i bambini disegneranno dal vero questi mascheroni; da qui partiremo con un discorso sul volto e le sue espressioni che proseguirà in atelier.8 Esaurita questa prima parte in cui il disegno la fa da padrone, entreremo nel vivo del laboratorio con la sperimentazione sul materiale che ci porterà alla realizzazione del burattino.9


I burattini

> Calendario > 1° incontro Ciao bambini sono Luigi Varoli, sono apparso in sogno a Massimiliano e gli ho consigliato di non prendere le gomme, il perché ve lo spiegherà poi lui, non posso fare tutto io, ho una certa età oramai… Hey tu, là in fondo, cos’hai da dire sui miei capelli? Fuori!!!

Andiamo al Museo Varoli a vedere cosa c’è e a disegnare i mascheroni di cartapesta (questa uscita apre il laboratorio e completa il lavoro impostato in classe sulla caricatura e le espressioni del volto).

> 2° incontro

Che cos’è la cartapesta? Breve introduzione sulle origini storiche e sulle tecniche (mostrando oggetti e maschere di cartapesta della Scuola Arti e Mestieri). Impostiamo il burattino rivestendo un palloncino con strisce di carta imbevute di colla (i bambini giungeranno a questo appuntamento avendo già ideato il loro personaggio e portando con sé i propri disegni e progetti).

> 3° incontro

Secondo incontro con la cartapesta: cominciamo ad impostare i rilievi, naso, occhi, bocca; la nostra palla di carta comincia a caratterizzarsi, il nostro personaggio affiora e diventa riconoscibile. Identità.

> 4° incontro

Rifiniture e ultimi ritocchi con la cartapesta: il volto si precisa e acquista tutti i particolari; una volta asciutto è pronto per essere colorato.

> 5° incontro

Colorazione del burattino con colori acrilici e tempere.

> 6 ° incontro

Rifiniture pittoriche; una volta asciutta la pittura si passa alla lucidatura.

Varoli senza capelli Questo progetto, steso a grandi linee e consegnato alle insegnanti prima dell’avvio del laboratorio, si è evoluto inserendo la parte sulle facce di china, che non era prevista, e si è esteso ad un paio di incontri in più, rispetto alle previsioni, in cui è stato ultimato e rifinito il burattino.

Varoli con i capelli 175

Varoli a colori


I burattini > 1° incontro • AL MUSEO VAROLI Tutti al museo Varoli per vedere i mascheroni di cartapesta e, per vedere meglio, abbiamo deciso di disegnare. Si tratta di un’invasione pacifica; siamo armati di carta, matite, china, biro e possiamo scegliere ciò che più ci piace da disegnare (purchè sia di cartapesta) andando dove ci pare, a spasso per il museo. C’è chi disegna seduto a terra, chi si sdraia, i più seri stanno in piedi con pose impegnate ed eleganti e sembrano non fare fatica. Si creano intimità nelle sale: alcuni piccoli gruppi hanno trovato delle sedie e le hanno messe in fila oppure a semicerchio attorno al pezzo che devono disegnare. È divertente, e poi disegnare dal vero non è difficile come si pensa, bisogna solo essere concentrati e fare una specie di ping-pong con gli occhi tra ciò che si sta guardando e il proprio foglio. Facciamo come gli artisti che per vedere e capire meglio una cosa si servono del disegno; disegnare una cosa vuol dire ricordarla, è un disegno-registrazione che serve a catturare le cose, ciò che si è visto e l’atto stesso della visione (è per questo che non usiamo le gomme). Il disegno si fa appunto e diario; la forma, cercata quasi a tentoni, appare spesso più viva e vibrante: una freschezza che è forse in grado di riportare, con maggiore verità, il resoconto o racconto dell’esperienza.

Fabio

Nicolò

I mascheroni, da subito seri e un po’ preoccupati, abbandonano, col passare del tempo, la loro terribilità a favore di una complicità che li vede distendersi, rilassarsi ed aprirsi. C’è qualcuno che dice di averli sentiti bisbigliare. Ci torneremo, non abbiamo disegnato tutto…

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Claudia

Alessandro

Simone


I burattini > 2° incontro • LE FACCE DI CHINA Le facce di china è un gioco che ci ha permesso di inventare moltissimi personaggi ed espressioni senza starci troppo a pensare; si tratta di un piccolo trucco divertente ed immediato: gli ingredienti di questa ricetta sono un cerchio fatto sul foglio con una matita, un pennello a punta tonda e un po’ di china nera. Il lavoro consiste nel trasformare questo cerchio in una faccia aggiungendo particolari e caratteristiche fino a far emergere un potenziale personaggio a cui alla fine viene anche assegnato un nome. (Il cerchio è sempre uguale e genera sempre volti diversi.) I bambini fanno molti disegni poichè questa tecnica implica una certa velocità d’esecuzione (si disegna direttamente con il pennello); poi sceglieranno tra questi quello che più gli piace, li rappresenta o diverte, e lo utilizzeranno come spunto o traccia nella costruzione – ideazione del loro burattino. (Dopo un po’ il cerchio non serve neanche più.)10

Renée

Lorenzo

Simona

Noemi

Simone

Nicola

Francesco

Nicola

10

• Con questa tecnica abbiamo fatto anche dei disegni che sembrano pelosi o acquatici; per ottenere questo effetto un po’ casuale abbiamo bagnato il foglio, non troppo, per far espandere la china e farla sfuggire parzialmente al controllo (in alcuni casi questa esce ribellandosi un po’ troppo e allora la faccia sembra messa in lavatrice). Alcuni di questi disegni sono stati colorati con pastelli a cera; le texture ottenute anche con la tecnica del frottage si sovrappongono in maniera molto efficace alla china creando effetti molto belli, morbidi e vellutati (il pastello a cera anche se dato molto intenso lascia intuire e trasparire quello che c’è sotto). (cfr. par. 3.4, p.)

Lorenzo

Nicolò

Francesco

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Galleria

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Disegni dei bambini, classe quarta


CittĂ dei bambini 2003, Le immagini sognanti. Fotografie di Daniele Casadio.

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I burattini Terzo anno • Classi 3°A, 3°B e 3°C della Scuola Elementare di Cotignola; insegnanti accompagnatrici: Graziella Maurizi e Maria Antonietta Savini. Sette incontri per sezione di due ore ciascuno, da novembre 2004 a gennaio 2005. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; conduzione: Massimiliano Fabbri.

> 1° incontro • AL MUSEO VAROLI (cinque facce misteriose d’altri tempi)

Perché la cartapesta? Lo scopriremo al Museo Varoli guardando i mascheroni dell’artista cotignolese; non ci limiteremo a guardarli ma li studieremo disegnandoli dal vero.

> 2° incontro • ALLA SCUOLA ARTI E MESTIERI (lo spettacolo presentativo degli abitanti cartapestati) Disegniamo facce e pupazzi, questa volta all’Arti e Mestieri.

> 3° incontro • DA UN CERCHIO LA FACCIA (personaggi in cerca d’autore)

Con la china un divertente lavoro sulle facce, sulle sue espressioni e caratteristiche; personaggi inattesi da scoprire ed inventare con una tecnica immediata e piacevole.

> 4° incontro • LA CARTAPESTA

(la testa del burattino è un palloncino) Costruiamo ed impostiamo la testa del nostro burattino rivestendo un palloncino con strisce di carta imbevute di colla.

> 5° incontro • LA CARTAPESTA (affiora il volto)

Consolidiamo la nostra testa aggiungendo altri strati di carta (ove ve ne sia bisogno) e cominciamo ad aggiungere particolari e rilievi come naso, occhi, bocca. (In questa fase sembrano quasi tante testine alla Medardo Rosso.)

> 6° incontro • LA PITTURA (finalmente ti vedo)

Diamo vita al nostro personaggio con i colori. (Pigmalione.)

> 7° incontro • LA PITTURA 180

(rifinitura)

Ultimi ritocchi pittorici, aggiunta di particolari (capelli con lana e cartoncino, capelli, occhiali ecc) e lucidatura. (Perché non parli?)


I burattini > 1° incontro • AL MUSEO VAROLI Al Museo Luigi Varoli ci sono sei mascheroni di cartapesta allineati su di una parete; i bambini si siedono a terra di fronte ad essi e possono scegliere liberamente su quale soffermarsi: alcuni si concentrano solo su di un volto, altri ne passano in rassegna più d’uno quasi alla ricerca di una sensazione o impressione che li abbracci tutti. Molte delle loro parole sono riportate nel seguente elenco, molte altre mancano o sono impoverite per via di una registrazione non ottimale che non ha sempre permesso una fedele trasposizione di ciò che dicevano. In alcuni casi la voce di un bambino finiva col sovrapporsi alle parole di altri che impazienti ed urgenti di raccontarsi anticipavano il loro turno. Molte riflessioni sono perciò più ricche, lunghe ed articolate di quelle riportate; essi hanno parlato per circa un’ora al museo e quindi mi sono ritrovato con quasi tre ore di registrazione. Una cosa che vorrei sottolineare prima di lasciare spazio a ciò che hanno detto riguarda l’atmosfera che si era creata tra i bambini: insieme ad una certa drammaticità ed inquietudine che attraversava le loro parole, conviveva un forte divertimento (accompagnato anche da fragorose risate) che affiorava, liberandosi a sprazzi, tra le pieghe del discorso. Giacomo: – A me quel mascherone lì mi sembra Tonino Guerra. La maschera di donna ispira pietà. – (Maroc e Rusita.) Hamza: – Io ho visto quella donna, quella che ha i capelli, e che io sto dormendo, e dopo lei è venuta e mi vuole uccidere. – (Varoli.) (Un bambino di cui mi è sfuggito il nome): – … Mi fa un po’ paura quella lì perché mi guarda negli occhi e mi sembra che mi vuole fare qualcosa. – (Varoli.) Chiara: – Mi fa un po’ paura quella lì, è troppo seria. – (Rusita.) Rachele: – Un po’ paura quella lì con i capelli biondi. – (Varoli.) Marco: – La seconda mi sembra quella che sta in cielo (la Madonna). – (Rusita.) Andrea: – Mi fa ridere quella lì perché è allegra. – (Maroc.) Sara: – La maschera con il cappello somiglia ad un mastino. – Gori, che per Veronica sembra anche un maggiordomo; Sara inoltre è colpita dal fatto che tutte le maschere hanno le orecchie enormi. Alice: – Mi fa paura quella con i capelli spettinati. – (Varoli.) Margherita: – Somiglia a Berlusconi. – (Non ricordo quale fosse la maschera a cui era riferito il commento, fate un po’ voi.) (Altri due bambini, riferendosi a Varoli, che per il poco elastico registratore non hanno scandito sufficientemente bene il loro nome): – Uno scienziato che si è fatto un esperimento ai capelli, è esploso qualcosa. – A me sembra che si è fatto un esperimento agli occhi e gli sono venuti i capelli così.

Rusita

La Flèma

Per la stragrande maggioranza di loro Varoli sembra una strega, oppure un mago o uno scienziato pazzerello che fa esperimenti bizzarri, un alieno; tutti vedono e sentono il volto dell’artista come diverso da tutte le altre maschere, che sembrano invece più vere e realistiche, quasi familiari. Solo alla fine delle loro parole e sensazioni svelo l’identità di questa strana e inquietante maschera: è l’artista Luigi Varoli e quasi lombrosianamente racconto perché ha una fronte così spropositata e capelli impossibili, o dei suoi occhi

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Varoli


I burattini giganti e famelici perché iperallenati ed attivi. Il maestro è una sorta di supereroe o Pokemon con superpoteri.

Gori

Maròc

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Irene: – La seconda mi sembra mia zia. La prima, la quarta e l’ultima: la prima una statua in un museo, la terza perché mi sembra un mago, l’ultima perché mi sembra una persona molto felice. – (Rusita, Varoli, Maroc.) Lorenzo: – L’ultima perché è felice. A me la terza sembra che qualcuno l’abbia insultata e lei sia diventata triste. – (Maroc e Varoli.) Dario: – A me mi piace la seconda, la quarta e la quinta perché la seconda mi ricorda mia bisnonna, la quarta mi ricorda il mio bisnonno e la quinta mi ricorda un mio parente; la seconda per me è triste, la quarta mi sembra che è allegra e la quinta mi sembra un po’ triste. Enrico: – La seconda mi sembra la mia bisnonna e la quarta mio nonno. Matteo D. : – L’ultimo mi sembra mio babbo quando è felice, no quando è contento. L’ultima mi sembra innamorato perché ha le guance rosse. – (Maroc.) Francesca: – La prima mi sembra una persona che abbia fatto felice molta gente. – (Rusita.) Matteo G. : – Il quarto mi sembra mio nonno quando pensa (ha anche lo stesso cappello). A me la terza mi sembra uno scienziato, uno scienziato cattivo. A me l’ultimo mi sembra un macellaio e la seconda una donna povera. La quinta e la terza due amici mascalzoni. (Anche in questo caso mi è sfuggito il nome del bambino): – A me l’ultima mi sembra che ha ucciso qualcuno e poi ride. – (Maroc.) Margherita: – (Maroc) è felice perché ha finito la guerra, (Rusita) sembra triste perché ha perso una persona, (Gori) povero e triste. (La Flema) è nervoso, (Varoli) sembra un barbiere e la prima guarda il cielo perché sta per morire. Francesca: – … Mi sembra una coppia di quella città che è stata divisa dal muro, una di qua e una di là. Dario: – È un uomo che sta guardando un aereo che sta partendo perché se né andato un nemico. Gabriele: – La terza mi sembra arrabbiata, cattiva. – (Varoli.) Enrico: – La prima mi sembra che guardi il cielo e la terza mi sembra un criminale o un alieno. – (La Flema e Varoli.) Dario: – La quinta mi sembra che l’hanno colpito al cuore, che l’hanno pugnalato. – (Gori.) Gianpietro: – A me la terza mi sembra che vuole la riscossa. La quinta mi sembra una persona stanca e angosciata. La sesta mi sembra uno che è in bagno e sta facendo la cacca e sta spingendo. – (Varoli, Gori e Maroc.) Dario: – Tutte tranne la terza mi sembrano delle persone che stanno per morire. Gabriele: – Mi sembrano delle persone storiche. Giovanna: – A me la quarta sembra uno che sta leggendo e la quinta un pittore. – (Gori e Maroc.) Matteo G.: – A me la terza mi sembra uno scienziato che espone una teoria a degli altri scienziati, lo deridono e lui si vuole vendicare (dicono che è un pazzo). – (Varoli.) Giuseppe: – Triste. Il sorridente sembra innamorato, mi fa senso quello biondo, mi è antipatico perché mi fissa; è irritante. Stefano: – Quello biondo ha gli occhi furbi e la faccia da schiaffi, ma sembra arrabbiato (mi fa venire in mente quando sono caduto in bicicletta). Valentina: – … quello biondo mi sembra una mummia. – (Varoli.) Riccardo: – Uno è molto pallido e molto serio, quello col berretto sembra che parli, l’ultimo sorride e sembra che abbia la carie, il biondo ha una pettinatura strana. Giorgia: – Hanno tutti le rughe, sensazione di vecchiezza. L’ultimo si è annegato nella birra. Miryam: – Sono tutti seri. Debora: – L’ultimo sorride, è diverso da tutti gli altri; il terzo sembra un UFO. – (Maroc e Varoli.) Jennifer: – …. Sembra triste, ma mi sta antipatica perché ha le orecchie a sventola e sembra che si sia fatto uno shampoo elettrizzante. – (Varoli.) Agnese: – Fanno tutti un po’ impressione. Francesca: – Quello non mi piace perché sembra sorpreso. – (La Flema.) Matilde: – Quello non colorato sembra una pietra. – (La Flema.)

(Molti bambini identificano questi personaggi con i volti dei loro nonni e bisnonni, è come se per loro queste maschere fossero vere e reali, ed infatti, l’unica faccia non colorata viene definita come una statua; a rafforzare questa sensazione associano abbastanza


I burattini spesso ad un personaggio un mestiere: barbiere, contadino, macellaio, ecc. Un’altra curiosità è come ricorrentemente riconoscono nella caricatura di Varoli un volto femminile.)Alla fine di questa lunga e vivace chiacchierata i bambini disegnano le maschere che preferiscono: come nei casi precedenti non ci sono gomme perché il disegno ha una dimensione di appunto o schizzo veloce: i bambini disegnano a terra, sdraiati o seduti, con matite morbide, pastelli a cera neri, pennarelli e penne a sfera (tutte cose nere che però danno un tipo di segno diverso).

Dario

Riccardo

Dario

Chiara

Riccardo

Enrico

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Mattia

Alice

Miryam

Elena


I burattini > 2° incontro • ALLA SCUOLA ARTI E MESTIERI

Matteo

Lorenzo

Il secondo incontro si svolge nella “tana del lupo” ossia la Scuola Arti e Mestieri; ad attendere i bambini una schiera fantastica di personaggi e maschere in cartapesta, gli abitanti dell’Arti e Mestieri: le creature. I bambini si siedono ai tavoli e, tutt’intorno a loro, occhi che li scrutano silenziosi (per l’occasione ho portato in atelier anche le maschere che teniamo al piano superiore nel Minimuseo). Comincio un’improvvisata presentazione di questi personaggi che diventa quasi teatro: sono una sorta di mirabolante presentatore di circo che fiero si sposta e si avvicina ad un pupazzo per raccontare cose di lui, come il suo nome (il cow-boy bianco, cuore peperone, l’uomo grigio, la venere alata eccetera) la sua storia, le sue caratteristiche e gli accadimenti (pinocchio spedito su marte, l’uomo forzuto che con il respiro spezza le catene…), i suoi pregi e difetti (il clown bianco è sempre troppo malinconico, il lupo colorato che non fa più paura a nessuno). Dialogo con i bambini e con i personaggi in una sorta di cabaret o performance di varietà, dico cose un po’ assurde, racconto di invenzioni e delle serate che gli adulti impiegano per costruire questi pupazzi, e di come questi personaggi si animino di notte, parlando e muovendosi quando rimangono soli (a volte entrando o uscendo da scuola, a luce spenta e ad ore tarde, mi è sembrato, ho avuto l’impressione di sentire un ultimo bisbiglio sfuggito inavvertitamente ad un pupazzo giovane ed inesperto, oppure un fruscio ed un’ombra, come di qualcosa che si riassetta un poco in ritardo). In questa presentazione che passa in rassegna una dozzina abbondante di figure in cartapesta non c’è scaletta, sono i bambini che dopo poco, capito il meccanismo, mi guidano perché desiderosi di conoscere ed interpellare un pupazzo, per saperne di più di lui; mi fanno anche delle domande tecniche, oltre a quelle più affamate di narrazioni: cosa c’è dentro? quanto ci avete messo a farlo, chi l’ha fatto? perché Pinocchio è verde? perché ha le antenne? é un robot? Il salto rispetto al Museo Varoli è notevole: là volti quasi veri, qui facce surreali ed un po’ impossibili, più moderne e giocose. Come al museo, disegniamo dal vero alcuni di questi volti: alle matite, biro, pastelli a cera e pennarelli aggiungiamo le chine e il carboncino che possiamo anche acquerellare; alle due classi successive varierò un poco il lavoro aggiungendo, tra i materiali a disposizione, i colori per le tecniche miste: cere, chine ed acquerelli.

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Ebbene sì all’Arti e Mestieri c’è una misteriosa vita notturna che a noi umani non è dato di conoscere e che possiamo solo intuire: a volte, quando siamo soli, ci sentiamo osservati, e forse ora noi sappiamo cos’è. Si divertono molto e la loro curiosità potrebbe estendere veramente molto a lungo questo gioco; gioco che ho ideato perché capita abbastanza spesso che i bambini che entrano per la prima volta in questo spazio siano rapiti da questi personaggi, e così questo stupore diventa il motivo stesso del laboratorio (che potrebbe quasi intitolarsi Dove siamo finiti e soprattutto chi sono questi mostri?). In parole povere il gioco è farina del sacco dei bambini: io mi sono solo accorto che c’era un terreno molto fertile che andava sfruttato; i pupazzi si sono presi finalmente la scena che si meritavano. Alla fine del laboratorio i bambini mi chiedono di provare alcune maschere ed indossano anche quelle che li spaventavano un poco.

Gabriele


Galleria Alessandro

Giuseppe

L’uomo grigio Miryam

Matteo

Cuore peperone Francesca

Chiara

Mr. White Blanc Dario

Enrico

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Lupo buonino


Galleria Giorgia

Chiara

Irene

Nostra signora del fuoco e dei fiori Giacomo

Riccardo Riccardo

Mattia

Hamza

L’uomo forzuto

Debora

Pinocchio marziano

Alessandro

Margherita

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I burattini > 3° incontro • DA UN CERCHIO LA FACCIA Nel terzo incontro facciamo le facce di china (ho descritto precedentemente il procedimento); da questi disegni uscirà il progetto del burattino che andremo a costruire dalla volta successiva. Le due lezioni precedenti si incontrano in questo lavoro perché forniscono spunti e stimoli ai bambini: essi hanno infatti notato le differenze tra i volti in cartapesta di Varoli e quelli della Scuola Arti e Mestieri, a loro la scelta di quale strada battere, più realistica e seria, o frivola e fantastica, o una via di mezzo, o ancora che non assomigli a niente di veduto…

Enrico

Marta

Enrico

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Jennifer

Irene

Stefano


I burattini

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La mostra alla Scuola Arti e Mestieri, maggio 2005 (paricolari dell’allestimento). Fotografie di Daniele Casadio.


I burattini La successione degli altri incontri con la cartapesta non si distanzia molto da quelli descritti precedentemente: siamo partiti dal palloncino rivestito di strisce imbevute di colla per arrivare alla realizzazione dei volumi come naso, occhi, bocca che possono essere fatti in modi diversi, dalle strisce di carta incollata, appallottolata e arrotolata nelle dimensioni necessarie oppure con carta asciutta attaccata con il nastro per poi essere rivestita o ancora con cartapesta a macero (la poltiglia) o con la carta igienica che, bagnata di colla, si spappola e poi però asciuga indurendosi molto. Oltre alla testa, il burattino necessita di un collo e possibilmente di due mani: con questi bambini avevo impostato io il collo fissando al palloncino un cilindro di cartoncino ottenuto dalle anime della carta igienica che loro hanno rivestito di carta e colla.11

Ultimato il laboratorio ad AeM è subentrata la compagnia di Ravenna del Teatro del Drago che ha avviato in classe una breve sequenza di incontri in cui ha lavorato con i bambini sulle storie e sui movimenti dei loro burattini (in previsione degli spettacoli che si volevano presentare in occasione della Città dei Bambini). AeM è tornata in maggio in queste classi per un laboratorio lampo di scenografie (due incontri); ogni classe ha dipinto quattro fondali di due metri per uno e cinquanta ciascuno, per un totale di dodici dipinti. (Nell’occasione AeM ha anche restaurato il teatrino apportando ulteriori modifiche e migliorie con l’aiuto di alcuni genitori.) Per la Città dei Bambini 2005 di Cotignola denominata Storie di Carta a Colori(12) sono stati presentati sei spettacoli; ecco i titoli nati dalla collaborazione tra le maestre e le ragazze del Teatro del Drago: • La Principessa rapita • Tutto per riavere Vanda • La voce di Laura • I buoni e i cattivi • Una giornata in città • La grande impresa

Per ciò che riguarda la colorazione del burattino ogni laboratorio si distingue dall’altro. Nel primo caso (2001-2002) abbiamo usato colori acrilici con i quali abbiamo steso una campitura uniforme su tutta la testa e, una volta asciutta questa mano di colore, siamo passati con un’altra tinta contrastante con la precedente per poi asportarla parzialmente con spugne umide; questa tecnica si presta molto alla cartapesta perché il colore si addentra nelle scabrosità della superficie della carta, valorizzando anche i lievi difetti e le imperfezioni, creando una pelle-patina molto interessante. Questa tecnica era già stata sperimentata da alcuni di questi bambini nel laboratorio dell’anno precedente sulle maschere; la tecnica in entrambi i casi era solo mostrata e non imposta e i bambini potevano scegliere di colorare il loro burattino in maniera, ma la parola non è troppo corretta, tradizionale (anche in questo caso cerchiamo di mostrare al bambino trucchi e funzionamenti degli strumenti e dei materiali in base al suo personale modo di operare). Alla fine il burattino è stato lucidato con un acrilico trasparente. Nel laboratorio realizzato l’anno seguente abbiamo colorato i burattini con le tempere “normali” e con le tempere acriliche: queste ultime, che sono lucide e semitrasparenti, fanno un bel contrasto con l’opacità dell’altro materiale. L’esperienza del 2004-2005 si è rivelata, anche da un punto di vista pittorico, molto ricca; abbiamo fatto un largo ricorso alla tecnica mista, dal frottage con pastelli a cera alle tempere acriliche, dal pastello ad olio al collage di carte e cartoncini. Ciò in parte è stato anche dettato dall’età e capacità dei bambini che si trovavano più a loro agio con pastelli, frottage e cartoncini rispetto ad un esclusivo utilizzo della pittura: la pittura sulla piccola testa deve infatti essere molto pulita, precisa e raffinata, pena il rischio di pastrocchiare ed appesantire il burattino. Il colore steso a pennello è stato usato da alcuni bambini solo come una sottolineatura di certi particolari come occhi e bocca, altri lo hanno usato in maniera più pesante e un po’ pestata per poi renderlo estremamente affascinante grazie ad un successivo intervento con i pastelli ad olio (che rappresenta una delle piccole scoperte di questo laboratorio), ed infine altri che hanno preparato interessanti fogli lavorati a frottage con pastelli a cera e che hanno poi utilizzato per rivestire il proprio burattino (incollando queste texture): a questi non restava che evidenziare i particolari del volto con pezzetti di cartoncino, pastelli ad olio, pittura. Alcuni burattini sono stati arricchiti dall’aggiunta di lane e stoffe.

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• I bambini di quarta avevano fatto questo lavoro autonomamente, mentre con le terze mi sono limitato alle mani per le quali hanno usato due cilindretti molto simili a quelli utilizzati per il collo a cui hanno fissato due palline di carta asciutta ad una estremità per poi, ovviamente, rivestirle di carta e colla.

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Galleria

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2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto 2.1.2 I burattini

2.1.2.B Mettere al mondo personaggi nuovi

Le bambole, i bambolotti, gli animaletti, i pupazzetti e quindi i burattini sono “presenze” doppie, ambivalenti e ambigue: sono altre presenze, altri soggetti, altre persone o meglio personaggi oltre la persona che li possiede e che li usa; sono già di per sé, a se stanti, anche se può capitare che siano fatti con le mani di chi poi li usa. Ma sono anche, comperate o costruite , parti di chi li usa e li ha fra le mani; sono le proprie parti nascoste, sono le proprie virtù e i propri vizi, sono le proprie bellezze e le proprie bruttezze messe all’esterno. Quindi un burattino, tanto più se costruito, è figlio del piccolo costruttore, piccolo perché in questo caso parliamo di bambini; e, in quanto figlio fatto con le mani del padre, è un po’ come il padre è , vuole, vorrebbe essere o effettivamente è. Il burattino è quindi sogno di identità diverse, ma anche affermazione della propria identità. È figlio e quindi “nuovo” e “diverso” rispetto a chi lo fa , ma anche “simile” a chi lo fa: è l’incarnazione visibile, anche se sotto forma di travestimento, di quello che si agita come esistente e come possibile all’interno di chi lo mette al mondo. In questi laboratori per mettere al mondo dei burattini viene quindi ulteriormente coltivata la capacità di generare dei bambini lavorando quindi sulla funzione del desiderio che è espansivamente germinativa; saranno i bambini sia dei “Pinocchi”, sia dei “Mastro Geppetto” sia dei “Mangiafuoco”. Così come , nella sua ricerca di animare i bambini affinché siano capaci di animare poi essi stessi le piccole creature che produrranno, il maestro sarà per loro, insieme, sia un “Mangiafuoco” sia un “Mastro Geppetto” fattisi davvero creativi e fertili al punto tale da dar vita, come quasi in un teatro, ai pupazzi e ai mascheroni che vivono nella sua Casa e Bottega. Non avrà la ferocia cannibalesca di Mangiafuoco, sarà regista però, come lui, di un teatro costruito apposta per i burattini che sono venuti via, via alla luce (il teatrino che la Scuola Arti e Mestieri appronterà per i bambini è l’opportuna cornice di senso che ogni maestro dovrebbe poi dare o far raggiungere ai bambini dando quindi una destinazione vitale ai prodotti degli stessi che non possono e non devono rimanere mera produzione già predisposta al feticcio. E ancora, il fatto che il teatrino sia stato fatto dai “grandi” sottolinea ancora una

volta che è degli adulti dare cornice, riferimento, sfondo e sostegno alle fantasie dei bambini). C’è quindi un gioco di vicinanza e scambio fra il maestro e i bambini sul livello della possibilità di produrre altro da sé; c’è anche un gioco in termini di somiglianza e di diversità che rimanda al registro della potenza riproduttiva e produttiva del fare qualcosa di nuovo con e sotto le proprie mani. È il maestro, in quanto adulto, che conferma i bambini della loro possibilità generativa facendoli diventare un po’ più grandi di quanto non siano. E per mettere al mondo qualcosa di nuovo bisogna, come si può fare attraverso il disegno, immaginarlo, averlo nella mente, prefigurarlo, desiderarlo; allora il disegno è il desiderio di una forma compiuta che comincia ad abbozzarsi, è passaggio obbligato per la gestazione di qualcosa, è luogo dell’attesa di poter poi portare a compimento l’opera su un altro livello e con altri obiettivi in termini di compiutezza e di definizione. Il disegno è quindi concepimento, dare una prima forma, abbozzare una possibile presenza; è in realtà un progetto e ha a che vedere con il futuro. E per non perdere le tracce, le possibilità, i segni del futuro che pur sono labili per quanto fermati in un disegno, il maestro regala un libricino come esempio parlante della necessità di portare memoria del futuro avviando i bambini all’intuizione, fatta pratica, del valore e della finalizzazione progettuale del disegno che ha a che vedere con ciò che verrà o che è possibile che avvenga e venga. Ma poi dal disegno, che è anche un po’ sogno di una possibile cosa, bisogna discendere o meglio passare, transitare all’operazione di portare a vita quello che si è abbozzato: il disegno è quindi il pulsante stadio di partenza per l’opera poi data come compiuta. E per passare dal disegno al dare volume -e il burattino è personaggio con un suo volume, un suo spessore perché porta con sé ed è foriero di storie- bisogna trovare il materiale adatto e attendere pazientemente che questo sia lavorato e pronto per procedere a dare vita. Il materiale è la cartapesta, poltiglia quasi organica per quella sua composizione fatta di acqua che scioglie la carta che qualcosa di organico porta anch’essa con sé e infine per quel legamento così affascinante per i bambini che è il “vinavil”, colla ormai mitica alle nostre mani.

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La cartapesta sappiamo essere materiale espressivo che segna il paese sia per la presenza delle opere di Varoli, ma anche per la presenza della Segavecchia forse matrigna segreta di molti personaggi cotignolesi compresi i burattini dei bambini che hanno come padre-padrone Mangiafuoco e come fratello Pinocchio, burattino fra i più originali ed significativi per la mescolanza di vivo e di morto, di presenza e di fuga che porta con sé. Ora una volta pronta la materia organica, ma forse tutte le materie sono alla fine organiche nel senso di portatrici di organismi, le mani dei bambini, che devono farsi fini e attente, possono dar vita, modellare il loro figlio, fratello, amico che, sotto la protezione dei mascheroni di Mangiafuoco e di Pinocchio, aspettano solo di dar corso alle loro avventure e dar conto del loro carattere. E quindi di aggiungere avventure a quelle già presenti sotto i cieli; ogni burattino è quindi già possibilità di infiniti, nuovi racconti che sono sia testimonianza sia esito della vitalità degli stessi. Quindi il paese si arricchisce di nuovi abitanti: ci sono i cotignolesi veri, quelli veri ma orami fissati e immortalati nei mascheroni del Varoli e infine tutta una schiera di burattini fatti dalle mani dei bambini che si aggiungono ai personaggi-mascheroni che hanno come matrice la Grande Vecchia della Segavecchia. Il paese pullula di diverse specie di abitanti! Il laboratorio quindi nel chiamare i bambini a costruire burattini rinnova la tradizione del paese, l’arricchisce e la completa e la porta avanti; e infatti è dalle opere del Varoli che parte il maestro ed è a queste che egli torna accompagnando i bambini in un percorso. Percorso che si scandisce: • in un sostegno e sollecitazione all’immaginazione a partire dal dialogo con le opere del Varoli; • in una ripresa di queste opere, con diversi passaggi fra disegno, disegno colorato e plastica. “Partire dal dialogo” dico perché è a questo far parlare quello che si vede, è a questo dargli anima, è a questo scoprirne l’anima, interrogandola, che punta il maestro aprendo una relazione con l’opera d’arte, qui come altrove, di scuotimento e di interrogazione indagativa e ricostruttiva l’opera stessa (da questo tentativo di raggiungere una scomposizione del manufatto artistico, ma anche di quello del bambino che certamente “artistico” può esserlo, in qualche modo e forma per lui medesimo, che nasce

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l’attitudine, estremamente rigorosa del maestro di tornare continuamente sopra e intorno ai percorsi e ai lavori già affrontati ; è proprio per cercare di comprendere in modo costruttivo ciò che si è fatto che il maestro riattraversa ciclicamente, come lui dice, i percorsi e i lavori dei bambini; è come se volesse meglio comprendere egli stesso per meglio far comprendere ai bambini). È evidente che il dialogo con altre presenze, è evidente che lo scoprire che si può dar forma a una vita con “poco” (come chiede la cartapesta) attraverso la presa di confidenza, l’animazione immaginativa con quei personaggi che paiono “dormire” nel Museo dedicato al Varoli, mette in moto e legittima i bambini rispetto al fatto che anch’essi, come il vecchio artista-capostipite, possono portar fuori da sé presenze che realizzino concretamente la loro attitudine a creare nuovi esseri a partire da se stessi medesimi. Esseri che possono essere anche diversi per forma e dimensioni e quindi carattere e destino da quelli visti al Museo; e lo sono, per altro, anche se il maestro propone ai bambini la stessa questione posta dai volti veri dei suoi compaesani al Varoli. Come conservare, come restituire, come fermare le loro caratteristiche fisiognomiche, psicologiche e d esistenziali? Caratteristiche fisiognomiche che restituiscono vite, biografie e caratteri: veri, verosimili e/o immaginati dall’autore di ieri e dai piccoli autori di oggi. Quindi i burattini sono più piccoli, forse meno caricaturalmente incombenti e invadenti dei mascheroni, ma sono vitalmente differenti, segnati di rughe, di pieghe, di protuberanze che cercano di restituirne verosimiglianza e soprattutto la drammatica vita che hanno già fatto nella vita in cui aspettavano di venire al mondo (vita abbozzata dal disegno) e in quella che li aspetta nel teatrino preparato dai grandi perché possano essere messi in scena e resi parlanti; rendendo parlanti così le fantasie dei bambini stessi finalmente mente separate da essi e pronte ad andare e avere una loro vita. È da questo loro andare per una nuova vita nasce il fatto che il lavoro di mettere al mondo nuovi esseri che riempiono, come dicevo, il cielo di nuove storie, è aperto a proseguire in ambiti culturali diversi conducendo i bambini a incontrare, ma anche a praticare la letteratura, il teatro e la storia che sono le trame e i tessuti che gli esseri umani intessono, dispiegano e dipanano lungo il corso del tempo dando senso a se stessi e al loro essere al mondo.


2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto In continuità con le esperienze di e sulla manipolazione effettuate nel corso degli anni precedenti all’interno della Scuola Elementare presentiamo quest’anno un nuovo progetto che affronterà alcune tecniche di approccio e lavorazione della creta insieme ad alcune tematiche specifiche che potremmo definire primitive o primitiveggianti. Oltre alla conoscenza guidata a questo materiale il laboratorio si arricchirà, caratterizzerà e completerà di e con uscite e visite al museo e di intrecci “arditi” con quella che sarà la programmazione scolastica riguardante la storia. Per ciò che concerne il museo gli spunti sono due: il primo è rappresentato dalle belle teste di terracotta che si trovano al Museo Varoli, il secondo ci è offerto dalla mostra personale (presso Palazzo Sforza) dello scultore Giovanni Scardovi che fa di un uso energico ed un po’ barbaro (e allo stesso tempo estremamente raffinato ed elegante) dell’argilla, uno dei temi fondanti del proprio lavoro: la terra come un materiale che tiene e sprigiona energia, la terra come materia pulsante e carica di storia ed enigmi. Oltre a questi esempi che potremo “toccare con mano”, non mancheranno ulteriori richiami all’arte (grazie all’uso di riproduzioni) che andranno dalla ceramica Precolombiana ai cretti di Burri, dai graffiti rupestri alle sculture di Giacometti. Il legame con la programmazione di storia porterà a privilegiare tutte quelle tecniche, procedimenti e modalità che sono rimasti pressochè immutate nel tempo; stessa cosa avverrà per la scelta dei soggetti: ciotole ed utensili vari, maschere e animali ma anche lavori astratti ispirati all’arte informale (che è espressione ancestrale e profonda, basti pensare alle tracce impronte, come un gesto-magia, degli uomini primitivi). Il laboratorio partirà in maniera similare in tutte le classi per poi prendere un indirizzo più specifico a seconda delle età e conseguenti capacità dei bambini1. Nelle prime fasi dell’atelier il bambino familiarizza e scopre le possibilità e le caratteristiche della creta; questi momenti di conoscenza-esperienza saranno predominanti negli incontri che si effettueranno con i bambini più piccoli, mentre con quelli più grandi quest’approccio introduttivo sarà più breve e limitato nel tempo a favore di maggiori incursioni nelle tecniche e nelle tematiche tratte o ispirate dalla storia e dall’arte; partiremo spesso proponendo ai bambini temi e soggetti che ci paiono particolarmente evocativi: la ciotola, la maschera, l’animale..

2.1.3 La terra è magica e il fuoco la trasforma Atelier di manipolazione dell’argilla con le classi prima, seconda e terza. della Scuola Elementare di Cotignola. Anno scolastico 2000/2001 Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; sei incontri per classe di due ore ciascuno. Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Lucia Baldini e Marzia Bianchi.

> 1° incontro Approccio iniziale per una prima conoscenza dell’argilla (familiarizzazione con il materiale); la manipolazione diretta ed immediata, non troppo filtrata dall’adulto, permette al bambino di ricevere le prime impressioni ed informazioni sulla terra (è fredda o è calda, asciutta o bagnata, dura o morbida, di che colore è, che forma ha). Posso stringerla tra le mani, appallottolarla, ammaccarla, bucarla, staccarne pezzi ed anche riattaccarli nuovamente insieme; insomma posso modificarla e lasciare un’impronta o una traccia del mio gesto; fare, disfare, distruggere e rifare. Scoperta dell’impronta e della traccia; le mie mani sono i primi strumenti e la tecnologia che ho a disposizione; quanti segni posso fare con le dita? (Palmo della mano, dita, polpastrelli, unghie, pressioni diverse, movimenti.) Le trasformazioni dell’argilla: morbida, durezza cuoio, secca, biscotto. (Fragilità e resistenze.)

Luigi Varoli

Giovanni Scardovi

1

• È evidente che ciò non dipende solamente da dati anagrafici ma anche dalle diverse sensibilità dei bambini e dagli stessi insegnanti ed atelieristi; per questo è bene pensare al progetto come ad un qualcosa di elastico ed in grado di adattarsi di pari passo al crescere del laboratorio; il progetto è così traccia e cantiere aperto, un work in progress che necessita di continui aggiustamenti di tiro e verifiche (in ciò risiede il suo valore). Un buon atelier deve essere in parte rischioso, scommessa ed esperimento che non significano però casualità o sospensione di giudizio.

Vaso antropomorfo precolombiano

Pablo Picasso

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La terra è magica > 2° incontro

Ayoub

Si riprende e si approfondisce il lavoro sull’impronta e sulla traccia con l’ausilio di oggetti (portati anche dai bambini) che si utilizzeranno come stampini; questi oggetti per impronte saranno i più disparati: dalla natura prendiamo conchiglie, piccoli pezzi di corteccia, sassi, gusci di noce, rametti, pigne, dall’uomo ciappetti, tappini, molle, bottoni, lego, corde, catene, pezzi di giocattoli. Se inizialmente il bambino sarà lasciato libero di scoprire e sperimentare in maniera istintiva e casuale queste cose sulla superficie della creta, il passo successivo sarà quello di stimolare una organizzazione di queste impronte fino a creare una texture, affrontando così il problema dello spazio con concetti quali ritmo, ripetizione, motivo e simmetria (la pizza divisa in quattro parti).

La sfoglia lasciata inizialmente nella sua forma irregolare, sarà poi anche tagliata e rifilata per realizzare tavolette quadrate o rettangolari, oppure tonde e anche forme più complesse.

> 3° incontro Il terzo incontro si articola e sviluppa intorno alla ricerca di texture e superfici (anche in esterno dove daremo la caccia alle ruvidità di alberi, muri e così via); si utilizzeranno anche strumenti ispirati ad antiche tecniche artigianali come i bastoni ricoperti di spago e corde, ma anche oggetti quotidiani come grattugie, spazzole, pettini, reti (la pettinatura dei giardini zen). Giacomo

> 4° incontro

La sfoglia, che naturalmente è già stata vista, usata e sperimentata nel corso degli incontri precedenti, offre molteplici possibilità che possono tranquillamente impegnare un intero incontro: grandezze, spessori, superfici e tecniche di realizzazione costituiscono già di per sé un notevole impegno e offrono parecchi spunti e percorsi. La sfoglia è una sorta di base, foglio o modulo trasformabile da cui partire per proseguire in infinite direzioni: lavoro astratto ed informale (i tagli e i buchi di Lucio Fontana), le texture (i cretti di Burri, le superfici segnate e corrose di Giacometti); sfoglia per realizzare immagini

Jean Dubuffet

Alberto Burri

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> 5° incontro

Alberto Giacometti

Lucio Fontana

A questo punto del percorso ci avviciniamo al volume: i primi rilievi saranno ottenuti con palline e lucignoli che saranno poi attaccati e composti sulla sfoglia con la barbottina; entra così l’elemento tridimensionale (bassorilievo). Palline e lucignoli che potranno essere texture e motivo, alfabeto e scrittura tattile, ma anche immagine figurativa come ad esempio le facce, il corpo e gli omini (la scultura africana, gli omini di Enrico Baj).

Tutte queste tavolette variegate (ed individuali) saranno assemblate per creare un allestimento collettivo (saranno bucate e legate con spago): avremo così un grande pannello o quinta, una superficie ritmata, ricca e vibrante, una sorta di quadro informale e tattile. (Un disegno per chiudere gli occhi, una mappa, una veduta dall’alto di città, campi e appezzamenti di terreno.) (Si utilizzeranno argille di colore diverso)


La terra è magica

Perché non facciamo un “finto” museo archeologico dove indizi e reperti ci parlano di un popolo mai esistito? In ogni caso, indipendentemente dal soggetto, i richiami ad esempi estratti dall’arte e le possibilità delle tecniche da utilizzarsi sono molteplici; dal tema o soggetto alla tecnica ma anche il contrario, da un metodo di lavorazione all’opera di un artista. Potrò lavorare ad esempio sulla figura, sulla faccia o maschera ma anche sull’animale piuttosto che su di un lavoro astratto in cui privilegiare l’aspetto decorativo e ritmico piuttosto che il gesto e la sensualità del segno. Tutte le fasi di questo laboratorio e i manufatti che saranno prodotti sfoceranno in una mostra che sarà allestita in occasione della Città dei Bambini. Per questo motivo sarà importante tutto quel lavoro atto alla documentazione: dalla fotografia al video, dai disegni alle parole dei bambini; la mostra sarà così spunto di riflessione, percorso didattico in cui confluiranno schede, materiali, immagini e prodotti realizzati nel corso del laboratorio. Crediamo fermamente nell’interdisciplinarietà, nelle aperture e collegamenti, unica possibilità di rendere realmente significante e pienamente comprensibile (non solo ai bambini) la presenza di atelier artistici all’interno della scuola e della comunità.

figurative con il graffito che qui è un vero e proprio disegno inciso con il chiodo (Dubuffet). Se uso due argille di colore diverso avrò altrettante ed ulteriori varianti, dall’effetto simile alla marmorizzazione, alla sovrapposizione e gioco intorno al concetto di figura e sfondo (ritagliando sagome, forme e figure avrò dislivelli e soluzioni fortemente grafiche dettate dalla presenza di colori contrastanti). Oppure concentrarsi su di una sorta di alfabeto visivo e tattile e forse anche simbolico, una scrittura antecedente alla carta? (segni, forme e simboli che magari possono ricordare la scrittura dell’Islam, l’ideogramma o i geroglifici, e che possiamo ottenere sia con il graffito e l’incisione, sia con palline e lucignoli). Oppure ancora la sfoglia con i lucignoli per una delle tecniche più antiche di costruzione dei vasi (a colombino). Se invece prendo in mano la sfoglia la posso deformare, piegare, ondulare, strappare, tagliare ed arrotolare; il ventaglio delle possibilità è pressochè illimitato: posso farmi ispirare dalla sfoglia stessa per scoprire ed inventare una forma inaspettata (che mi fa sentire ed esprimere quasi come un vero artista che scopre la bellezza casualmente), piuttosto che utilizzarla per costruire un oggetto artigianale o un utensile come ad esempio la ciotola ricavata da una sfoglia premuta e fatta aderire al gomito o al ginocchio, o ancora fare calchi di cose, facce, piedi, braccia ma anche oggetti (un tubo per fare un vaso lungo e stretto).

Noemi

> 6° incontro Il sesto incontro potrebbe essere strettamente tematico come ad esempio un atelier in cui realizzare ciotole e tazze con tecniche primitive o antiche (da una palla di argilla con l’uso delle mani e la pressione delle dita tra centro e bordo, piuttosto che con un sasso levigato che si usa per battere e creare così una cavità). Le cose che tengono e raccolgono. (Gli utensili.)

Riccardo

Come abbiamo visto precedentemente possiamo anche realizzare una ciotola modellando la sfoglia sul nostro ginocchio o gomito oppure con la tecnica dei lucignoli. In questa attività rientreranno tutte le tecniche affrontate e scoperte negli incontri precedenti: la ciotola potrà essere texturizzata con impronte e tracce, decorata a graffito con motivi astratti o figurativi: con palline e lucignoli sarà antropoformizzata alla maniera di molta ceramica antica come quella Precolombiana oppure come succede in alcuni vasi di Picasso. 195

Alcune cose realizzate dai bambini saranno colorate a engobbio; inoltre i bambini seguiranno le fasi della cottura dell’argilla, dalla prima infornata, passando per l’eventuale cristallina, fino all’apertura. Emma


Galleria

Veronica Kalkidan

Noemi Veronica

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Sara Simone

I lavori riprodotti in questo paragrafo sono stati realizzati dai bambini delle classi prima elementare nei corsi pomeridiani AeM (2004-2005) condotti da Massimiliano Fabbri


Galleria

Le facce di creta, installazione permanente sui muri esterni della Scuola Arti e Mestieri di Cotignola (a cura di Lucia Baldini) Fotografie di Daniele Casadio.

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La terra è magica

Un giardino incantato Atelier di manipolazione dell’argilla con le classi prime e secondedella Scuola Elementare di Cotignola. Anno scolastico 1999 – 2000 Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; sei incontri per classe di due ore ciascuno, da aprile a maggio. Insegnanti accompagnatrici: Lidia Sansoni e Albarosa Schonxold Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione del laboratorio: Pamela Casadio.

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Si affronterà la conoscenza e manipolazione dell’argilla con un approccio iniziale che toccherà alcuni punti utili e necessari ad avvicinarsi e familiarizzare con il materiale e che permetteranno poi di sviluppare, in un secondo momento, un percorso-progetto che prevede la realizzazione di una sorta di plastico o grande scultura collettiva; ogni bambino concorrerà e parteciperà al formarsi di una grande installazione che si chiuderà e compirà con l’insieme di tutti i manufatti prodotti nel laboratorio. L’ambientazione che si vuole ricreare è un prato con tanto di erba, foglioline, fiori, insetti e così via, un microcosmo brulicante non del tutto dissimile o distante alle osservazioni-dissertazioni del signor Palomar di Calvino. (Microcosmos.) Della meraviglia in cortile e del perdersi affascinati nelle piccole cose quasi invisibili. Ogni bambino realizzerà la sua piccola porzione o zolla di prato, che andrà poi assemblata con i pezzi degli altri bambini; ognuno di essi avrà così il suo singolo lavoro, compiuto e dotato di senso e, allo stesso tempo, sarà coinvolto in un progetto di più ampio respiro che si realizza e completa (elevandosi a potenza) in una grande installazione comune che sarà collocata a terra in un corridoio della Scuola Elementare (portiamo la natura dove non c’è). Durante i laboratori si inseriranno via via tecniche e metodologie diverse che si adatteranno e saranno suggerite dal tipo di oggetto che si vuole ricreare (palline, lucignoli, sfoglia: dal filo d’erba agli animaletti, da un piccolo segno alla texture). Le prime due lezioni avranno carattere introduttivo per poi passare, nelle seguenti, alla realizzazione-sperimentazione vera e propria del progetto. Durante l’ultimo incontro gli oggetti saranno colorati ad engobbio.

> Conoscenza con il materiale: che cos’è la creta, com’è fatta e cosa è fatto con la creta (esempi pratici). • La palla. • La pizza o sfoglia (realizzata a mano o con il matterello ed anche coi lucignoli). • Impronte e tracce con le dita e la mano: il bambino scoprirà e proverà a fare segni diversi (pressione e movimento). • Impronte e tracce realizzate con oggetti che in parte porteranno anche bambini. •Tagliare la pizza per ottenere forme irregolari e/ o regolari. • Tracce ed impronte mescolate (mano ed oggetti). • Texture (impronte sulla pizza ottenute non più in maniera casuale ed improvvisata ma ripetendo un modulo oppure utilizzando oggetti che lascino tracce regolari sulla superficie). • Graffito. • La barbottina. • Palline e lucignoli. • Bassorilievo e sagome. • Colorazione ed engobbio. • Allestimento del cortile o micromondo.


2 Del toccare e animare le cose 2.1 Il primitivo, la maschera e il volto 2.1.3 La terra è magica e il fuoco la trasforma

2.1.3.C Fantasia e invarianza Per poter cavare, e lo uso volutamente, per poter trarre, da un materiale, qualunque esso sia, il “massimo”, non bisogna mai finire di conoscerlo; e intanto bisogna cominciare a conoscerlo. E così, come in altri casi, il maestro comincia da una conoscenza analitica della creta ribadendo che le pratiche artistiche nascono, si fondono e si sviluppano su precise conoscenze che vanno ben oltre la semplice immediatezza sensoriale incrociando, seppur a volte per iniziale sperimentazione, saperi molto complessi; fare arte o avvicinarsi ad essa è quindi praticare uno snodo, molto, molto complesso, di conoscenze e scienze. Va ricordato, a proposito, che il manufatto artistico si predispone ad una sua percettiva ricchezza coinvolgente se è plurimo, se è pluristratificato in termini di conoscenze coagulate; e ancora, il manufatto artistico è considerato e considerabile “raffinato” quanto più incorpora e fa proprie le conoscenze fisiche e chimiche, per esempio che rendono possibile il raggiungimento di alcuni risultati; a partire dalla coloritura, per esempio. Certo è che con i bambini il maestro parte da una conoscenza di pelle, di prima mano inizialmente, corporea poi e che procede quindi per continui aggiustamenti e approfondimenti passando anche all’utilizzo di attrezzi e di materiali che dialogano, più o meno “conflittualmente”, con la stessa creta; conoscenza che si incrocia, per altro, da subito con la produzione; conoscenza fatta impastando l’esperienza stessa. E’ una conoscenza che fin da subito è produzione di manufatti o “pre-manufatti”, come la sfoglia; “pre-manufatti” che tali non sono mai, visto che hanno poi una loro compiutezza di forma e di esistenza che va rilevata, apprezzata e valorizzata. La sfoglia è supporto e inizio di possibili altri lavori, ma si predispone, come altri passaggi della lavorazione del materiale, essa stessa ad essere manufatto completo perché coagulo di gesti, di azioni e di operazioni che è di per sé esito di una ricerca “artistica” che, attraverso il dare forma e movimento insieme alla materia inerte, creano configurazioni che dal possibile passano ad essere realtà apprezzabile dagli occhi e avvertibile dal corpo. Ora in questa manipolazione dell’argilla che tale e semplicemente tale non è mai, perché è già trasformazione della stessa solo per la minima pressione delle dita, i bambini ripercorrono anche secoli di storia portando avanti, nel loro piccolo fare e paese, un’ invarianza del fare dell’uomo; il rapporto con la terra, il fango e il suo modellamento per lasciarvi il calore della mano e la sua impronta e ottenerne qualcosa di utile, dapprima...e di splendido da subito. E dico utile e splendido insieme proprio perché l’utilità ci ha consegnato forme di perpetuo richiamo e impegno: come la ciotola, conca

della mano che si fa eterna, o quasi; ciotola che poi diventa, ma non solo, una racchiusa conca di acqua specchiante; ciotola che è anche deposito, per pochi tratti dipinti, di una sua possibile, solitaria bellezza di cupola per cieli domestici e fondali marini. Esito della visionarietà della fantasia e dell’immaginazione che hanno bisogno di continue superfici per poter depositare il tanto di immagini che trabocca stando in contato con l’universo, con se stessi e con la storia. Ora la storia, in questa costante presenza della creta sotto diversi e mutati cieli, ritorna sia per il rapporto che ancora una volta è coltivato e rinforzato con il confronto e la conoscenza dell’uso che ne ha fatto un artista locale di un tempo passato, ma anche per quello con un artista recente, quasi toccabile, prossimo e vicino. Questi contatti dicono ai bambini che l’antico può essere portato fin all’oggi con persistenze e variazioni che sono il continuo canto e controcanto fra singolo e cultura; fra storia passata e quella recente, fra tradizione e reinvenzione della stessa nella trasmissione culturale effettuata attraverso l’educazione. Ma ancora ritorna, il rapporto con la storia, nei materiali documentari che indirettamente i bambini vengono a conoscere, ma soprattutto nella ripresa degli stessi gesti e delle stesse forme che questi documenti, di diverse epoche, mani e uomini, suggeriscono, contengono, alludono e propongono forse facendo intuire ai bambini quanto profondo è far di “nuovo” un piccolo vaso. Entrano quindi, come già accennavo sopra, in una tradizione prendendone confidenza e possesso; ma, con gli occhi di Palomar, che poi sono gli occhi sia dell’artista, sia dello scienziato, sia delle nuove generazioni. Occhi che vanno oltre così come fanno lungo il corso di tutti i laboratori rinnovando la tradizione stessa; e rinnovandola, la “fanno propria” portandola, come implica la stessa locuzione “fare propria”, su un altro livello, altro e nuovo, almeno per loro. Questo poi è anche uno dei significati del “prato” fatto insieme, mettendo vicino ognuno la propria zolla. Dicevo dell’occhio di Palomar: è l’occhio che afferma che non si finisce mai di guardare, che se si osserva bene e meglio ogni piccolo pezzo di realtà questo è spesso, è infinitamente grande e fascinoso da percorrere sapendo, per altro, che ogni percorrenza è parziale e che ci sarà qualcun altro che troverà, vedendo e guardando e osservando in un modo, diverso, dell’altro, non visto prima. E anche con l’antichissima creta è la stessa cosa; basta veder come cambiano i risultati a secondo di cosa vi impasti, di come la impasti e di quando decidi di smettere, lasciandola così come la mano e il corpo tutto l’hanno trasformata, anche senza pensarci. Uguale, ma anche diverso da come ha già fatto qualcun altro.

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2.2 Tra occhio e mano


Simone e Paola (classe prima elementare 2004-2005)


2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano

2.2.1 I muri Atelier grafico-pittorico e di manipolazione dell’argilla con la Scuola dell’Infanzia di Cotignola; da gennaio a febbraio 2001. Laboratorio mattutino presso la Scuola Materna di Cotignola; Cinque incontri di un’ora e trenta ciascuno per sezione (grandi, piccoli e mezzani). Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione Massimiliano Fabbri e Lucia Baldini.

Torre d’Acuto

• Pensiamo ovviamente solo ad una parte, una sintesi che tenga conto delle mappe e traiettorie che i bambini compiono, pensano e tracciano nel collegare la loro scuola a certi luoghi del centro come la biblioteca e la piazza. (cfr. par. 0.3)

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I soggetti protagonisti di questo laboratorio saranno i muri e i mattoni delle case, in special modo quei muri (spesso a faccia a vista) più affascinanti e ricchi di informazioni che sono nel centro storico: la Casa Varoli ed il suo muro di cinta, la Torre d’Acuto, Palazzo Sforza, alcune strade, certe pietre. L’atelier esce nelle e per le vie e ritorna in un secondo momento in laboratorio per rielaborare le conquiste e le scoperte di questo girovagare; visioni che saranno supportate ed arricchite da documentazioni fotografiche (fatte da noi con i bambini) e da riproduzioni di opere di alcuni artisti (i muri e le rovine dipinte da Kiefer ad esempio).

Casa Varoli

• Un antecedente risale al plastico in cartapesta e materiali poveri denominato L’assedio di Barbiano realizzato qualche anno prima del 2000 in un centro estivo elementare dell’omonimo paese; la particolarità di questo plastico era rappresentata da una mappa del paese abbastanza fantastica e mentale in cui la piazza e la scuola erano circondate ed accerchiate dalle abitazioni dei bambini, oltre che da altre 202 costruzioni nella realtà inesistenti. Una visione che si collocava a metà strada tra geografie urbane sognate e luoghi reali vissuti e misurati.

Palazzo Sforza

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Il laboratorio che si effettuerà presso la Scuola dell’Infanzia di Cotignola nasce da un desiderio di poter avviare una serie di attività e percorsi che abbiano come tema il paese, e tra gli scopi la scoperta e conoscenza di alcuni edifici pubblici, cosa che avverrà con una sorta di piccolo viaggio o atelier itinerante in cui i bambini passeranno dal disegno alla pittura, dal collage all’argilla; mappe, trame e percorsi che rappresenteranno un’esperienza sensoriale capace di annodare e tenere insieme l’esplorazione esterna ed i momenti in laboratorio: un atelier dello sguardo (scrutatore, cercante o trovante) e del suo tradursi e farsi concreto in materia. L’idea iniziale era quella di realizzare un plastico del paese1 ma in seguito, anche tenendo conto del numero dei nostri interventi, ci è parsa una soluzione troppo complessa e dispersiva (le sezioni erano molto numerose e non c’era la possibilità di lavorare a piccoli gruppi). Si è ritenuto ugualmente di non scartare a priori questo potenziale progetto perché offriva spunti notevoli e per AeM abbastanza nuovi;2 abbiamo però deciso di concentrarci solamente su di un aspetto in particolare per affrontarlo ed approfondirlo al meglio (un eccesso di informazioni può portare ad approcci confusi o superficiali).

Il tema rimane comunque aperto e di conseguenza sarà possibile progettare continuità e rimandi con quelli che saranno gli interventi futuri.)


I muri Si attiverà ed affronterà una sequenza di incontri che parte con l’utilizzo e sperimentazione di tecniche grafico-pittoriche (disegno, collage, pittura) per poi “chiudersi” con una fase di manipolazione dell’argilla. Ciò che ci cattura e ci pare interessante, in relazione a questo tema e al suo tradursi e farsi tangibile e fisico in plasmabile terra, è il concetto di modulo e quindi di ripetizione che è del e nel mattone; il laboratorio della creta diventerà una sorta di fabbrica artigianale o bottega in cui realizzare mattoncini che cuoceremo come in una vera fornace (i bambini assisteranno alle fasi della cottura) e che potranno dare vita, in un secondo momento, a costruzioni e combinazioni diverse: si tratterà infatti di una sorta di Lego “povero e vero” fatto con moduli di terracotta3 (con tutte le varianti di colore, superficie, pesi e misure dovuti all’utilizzo di differenti argille e formati che arricchiranno e dinamizzeranno questi pezzi).

Jannis Kounellis

Anselm Kiefer

> Il primo incontro prevede un’uscita in cui si andrà a caccia di belle ruvidità: tutti fuori alla scoperta di muri affascinanti ed importanti; cercheremo e ci soffermeremo in special modo su quelli a faccia a vista, come il muro di cinta di Casa Varoli la cui superficie e texture sono particolarmente interessanti, non solo per l’occhio (ci sono anche faccine dentro), ma ovviamente anche per le mani. Si tratta di un piccolo viaggio esplorativo (e forse turistico) che ci porterà a vedere, sfiorare e toccare; cammineremo rasente ai muri e potremo “rubare” delle tracce con i pastelli a cera e la tecnica del frottage. Ma potremo anche allontanarci un 4 poco per ricomporre la visione: scattare foto e fare disegni. (Come tanti Pollicino segneremo strade, sentieri e punti toccati per marcare il nostro passaggio e per essere in grado poi di ripercorrere inversamente il cammino e ritornare alla scuola.) > Il secondo incontro rimette in circolo il materiale raccolto in giro per il paese: in sezione giocheremo sul come si modificano percezioni e modi di vedere un muro di mattoni a seconda della distanza che ci separa da esso: se lo guardo da lontano potrò apprezzarne la griglia ed il disegno, la sua forma e struttura ritmata e reticolata, mentre se sono molto vicino, a ridosso o completamente attaccato, vedrò il muro più tattilmente, mi ci perderò dentro, sopra, tra le pieghe e i dislivelli (una porzione di muro diventa un castello, una città con arterie e palazzi, una scala per il cielo o, perché no, una tana sotterranea per formiche o altri minuscoli abitanti. Nel primo caso i bambini potrebbero (oltre ad elaborare alcuni loro disegni dal vero) continuare e poi colorare una fotocopia tratta da una foto scattata ad un muro o dall’opera di un artista; questa immagine sarà incollata ad un foglio più grande ed il bambino potrà scegliere lo strumento secondo lui più adatto per continuare e proseguire il frammento-indizio: carboncino, matita, pastello a cera, china. Nel secondo esperimento il frottage ci pare una delle tecniche più adatte e vicine, insieme al collage e all’assemblaggio, per riportare o fare ex novo un disegno o visione tattile; in questo caso i bambini assoceranno e confronteranno i pastelli a cera e le texture ottenute da oggetti e materiali eterogenei (che pescheranno dalla scatola del frottage) con quelle

Antoni Tapies

Alberto Burri

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• Questi mattoncini potranno poi anche servire in futuro proprio per ricostruire un particolare edificio con tutte le sue caratteristiche architettoniche.

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• Ritornati alla base, questa ricerca si chiuderà con la visione di alcuni muri dipinti e fotografati di Kiefer, quelli con accumuli di sassi, pietre, legni o mattoni di Kounellis, oppure anche certe materie di Burri e Tapies.

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I muri dei muri ed anche con quelle ottenute la volta precedente direttamente sulle superfici esterne degli edifici e delle cose. Misurare con gli occhi e fare paragoni; confrontare e mettere in relazione. Inoltre, stimolare le sovrapposizioni di colore e il mettere insieme e sopra colori diversi, anche attraverso l’utilizzo delle tecniche miste, che renderanno così queste superfici, o pelli, mosse, stratificate e variegate. (Come cambia un muro? Come posso cambiarlo?) > Nel terzo laboratorio renderemo più fisico e materico l’approccio al lavoro: ci avvicineremo alla tridimensionalità della creta attraverso spessori e materie differenti.

Questa attività si gioca nel collage e nell’assemblaggio di carte, cose e materiali eterogenei (colori, ruvidità e consistenze diverse). I bambini utilizzeranno questa volta colla e forbici per creare una texture tattile e cromatica che ricorda o sembra un muro, un muro che potrà essere come più gli pare e piace: coloratissimo, morbido e irregolare (sognato ed artistico) oppure geometrico, preciso e matematico, superazionale (da architetto funzionale) o ancora con faccine, omini e animali dentro (muro narrativo e meraviglioso) piuttosto che pieno di erbette, foglioline, capperi e fiorellini (muro dolce, romantico e poetico). Altri muri e mattoni poi che faremo con sabbie, polveri, gesso, vinavil e pittura da stendere anche con grandi pennelli o con spatole (muri caldi e pittorici, che grattano). I laboratori in cui si utilizzerà l’argilla sono due. > Il primo consiste in un approccio abbastanza libero ed informale al materiale: si partirà dall’esperienza della manipolazione (che cos’è e cosa fa la creta, e cosa faccio o posso fare io con lei) fino ad arrivare alla palla che costruiamo e realizziamo tra le mani (quasi la forma primaria ed originaria, in grado di generare l’universo); poi la sfoglia che sarà texturizzata con tracce ed impronte ottenute con le dita e le mani ed in seguito con svariati oggetti quali chiodi, cortecce, bastoni rivestiti di corde, reti, eccetera.

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> L’ultimo atelier sarà una vera e propria impresa artigianale impegnata nella fabbricazione di mattoni in miniatura; anche qui argille di colori, consistenze e fatture diverse sulle quali riportare, dall’incontro precedente, tracce ed impronte (texture che arricchiranno e caratterizzeranno ulteriormente le superfici). Questi mattoncini saranno realizzati con diverse modalità (anche con scatoline di plastica o legno come stampi, ad esempio): si cercherà di uniformarsi e rispettare tre, quattro misure standard; una volta asciutti potranno essere scartavetrati e poi cotti (come detto in precedenza i bambini assisteranno alle fasi della cottura: infornata ed apertura)

Con questo laboratorio si conclude la fase grafico-pittorica e si entra nella fabbrica della manipolazione; prima di descrivere questa attività vorremmo spendere altre due parole su quanto descritto ed affrontato sino a questo punto. Le tecniche e i possibili percorsi ai quali abbiamo accennato in quest’ipotesi riguardante i primi laboratori sono molteplici: ciò non rappresenta un punto a sfavore ma permette, a nostro avviso, di adattare il laboratorio agli interessi e sensibilità del bambino; alcune cose potranno essere sviluppate ed approfondite ulteriormente, altre ancora impegneranno un tempo più limitato. È naturale che gli indirizzi e le scelte, nonché le modifiche in corso d’opera, tengano conto delle singolarità ad individualità di ciascun partecipante all’atelier, bambino o adulto che sia.

(Oltre a variare gli strumenti i bambini utilizzeranno diversi tipi di argilla.) Tutte queste formelle saranno poi composte a formare un grande pannello tattile che sarà allestito in sezione (le tavolette saranno montate su di un panello di legno); una superficie ricca e mossa in cui i singoli pezzi entrano in relazione creando un insieme che potrebbe quasi essere un alfabeto tattile e visivo, muto ed astratto.

Questi Lego, veri ed artigianali, non porteranno ad un oggetto finito e statico, ma potranno essere giocati e reinventati ogni volta che li si utilizzerà.


2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano 2.2.1 I muri

2.2.1.A Ascoltare i muri

Che i muri siano depositari di storie anche quando non sono dipinti e/o decorati come si usava fare in tempi più gentili di questi, è fatto risaputo. “Chissà cosa c’è dietro quei muri”, si dice. “Se i muri potessero parlare” si dice ancora.Ora se accostiamo le orecchie ad un muro, però la prima, sorpresa che abbiamo è che i suoni sono indistinti e lontano, sono attutiti, fatti propri, fatti materia stessa del muro, che invece ha una sua temperatura e una sua tessitura. Prossimi alla mano e all’occhio ci sono screpolature, tessiture diverse, forse un buco, una piccola crepa che sembra una montagna, un colore che si sbiadisce e si perde... e, allora l’occhio e la mano prendono il sopravvento cominciando un colloquio con il corpo del muro che ha una sua pelle e una sua struttura e una sua composizione. Il muro quindi sollecita, insieme, questioni pittoriche, plastiche e architettoniche. E così si è presi, rapiti e coinvolti in quella interminata ricerca di confrontare la nostra pelle e il nostro corpo con altre pelli e altri corpi; vogliamo cogliere quindi il segreto della grana, il suo spessore, il suo colore, e il suo radicamento nella struttura corporea...come a voler affondare le mani e prendere il corpo della struttura e smontarlo per capire com’è fatto. Allora scopriamo che i muri, tanto più se anticamente sedimentati e segnati dal tempo, hanno una propria loro vita, che sono qualcosa che ha una sua specifica identità e che infine e quindi possono essere esplorati, compresi e ripresi per quel loro essere involucri e strutture insieme. “Doppiezza” di non poche cose al mondo che affascina e che chiede, nella sorpresa e nel turbamento che porta, un bisogno di comprensione. Per altro la “bellezza” di un edificio dipende, è esito anche di quella dei suoi muri che tanto contribuiscono a tenerlo su e dargli completezza; una casa chiede un muro per esserci! Intanto allora il muro può esser oggetto di estasiata presa d’atto della sua esistenza: poi si può cercare di seguire la mano e gli occhi fattisi “scrutatori”, “cercanti” e “trovanti” come dice il maestro (torna Palomar!) per scoprirlo, per studiarlo, per dispiegarlo in tutte le sue caratteristiche e componenti innamorandosi della scanalatura, del grumo, della macchia colore che visti da diversi punti di vista fanno errare. Un muro nella variazione di tessiture colori è anche un luogo in cui l’occhio

può divagare attraverso diversi quasi impercettibili passaggi di stato, a volte. In realtà è una tela possibile, è già un quadro, è già un bassorilievo, è già una superficie di colloquiante portata estetica resa così dal tempo che passa anche attraverso le mani e i corpi che lo hanno sfiorato. Ora gli occhi non sono solo come ce li ha detti il maestro, ma sono anche occhi “prensili”, vale a dire occhi che prendono e che vanno oltre la rilevazione, la descrizione e l’assaporamento; sono occhi che riprendono e trasformano anche smontando. E il segreto di ogni muro, segreto celato o meno dal rivestimento parietale, è la sua composizione: di cosa e come è composto. Segreto che ovviamente richiama a scostare i rivestimenti, a svestire il muro dal suo rivestimento, a “mettere a nudo” il muro, andando oltre la storia apparente della sua stessa parete. C’è sempre un possibile dietro, che può essere anche un dentro, da esplorare e certamente da comprendere nella sua struttura. È quindi la sua composizione volumetrica, annientata apparentemente dalla parete che la ricopre, che appassiona; è ciò che riveste la pelle che vogliamo prendere e sentire, dopo aver conosciuto la pelle. Nasce quindi un doppio e correlato cantiere che non è solo un cantiere esplorativo del paese e in specifico dei suoi muri storici e quindi ancor più potentemente gravati, inspessiti, fatti tesi e vibranti dai secoli: non c’è solo un cantiere dell’occhio, dell’andare per strada cercando di catturare percezioni, sensazioni, avvertenze e conoscenze, ma c’è poi un cantiere per ri-portare questo andare esplorando a padronanza costruttiva affinché si perpetui la voglia e il desiderio di alzare muri e quindi di costruire piccole o grandi case (che è poi costruire mondi propri nel grande universo). Il maestro, lavorando al cantiere del fare mattoni che incrocia ovviamente la conoscenza della creta da una parte e quella di un preciso processo trasformativo dall’altra con tutte le questioni tecniche che questo comporta e prevede, porta avanti e oltre quello che i bambini fanno da piccoli sulla spiaggia quando tentano continuamente, fra asciutto e bagnato, di ergere muri che vogliono eterni. Egli porta questa condotta all’interno della storia, conducendo i bambini molto dentro alla comprensione che, affinché ci siano dei muri, ci vogliono dei progetti e

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quindi un intreccio governato: • di volontà di fare; • di tempi di esecuzione; • di risorse per poter fare ciò che ci si è prefissato; e... ovviamente: • di tecniche che diano consistenza a quello che l’occhio vuole realizzare dopo averlo catturato, preso e, necessariamente, elaborato, dal patrimonio culturale nel quale si muove e per il quale è vivo. Ovviamente se il muro è la gloria della terra che si fa resistente e tenace e che si innalza dal suo stato orizzontale c’è bisogno di qualcuno che la porti su. E ci vuole ingegno, oltre che un rinnovato rapporto con la terra stessa che ci tiene su eppure pare impalpabile: altra apparente contraddizione con tutti i suoi numerosi dilemmi su cosa: “è poi la terra”. E una volta

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in qualche modo compreso cosa è; cosa ci si può fare? E con quali interventi? E per fare cosa? Interrogativi che ci riportano all’intreccio fra sensi, scienze, pratiche artistiche e apparati tecnici intesi come utensili e protesi diversamente raffinati della mente che sogna, divaga e indaga affinché gli interrogativi si sciolgano, dopo un percorso di ricerca di soluzione. E spesso la soluzione a un interrogativo, in arte , è un manufatto, anche piccolo. Infatti, se ci pensiamo, un piccolo mattone è solo l’inizio di possibili, infiniti muri già a guardia di spazi in attesa di vite. Ma un piccolo mattone allude e porta con sé un muro, una casa e un paese. Il gioco è aperto. Basta continuarlo.


2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano

2.2.2 La tartaruga della terra Atelier sensoriale e di manipolazione dell’argilla con l’Asilo Nido di Cotignola: sezione grandi. Laboratorio mattutino presso l’Asilo Nido di Cotignola; insegnanti Manuela Morini e Maria Dalmonte. Due incontri di un’ora ciascuno; marzo 2001. Progetto e scrittura: Lucia Baldini; conduzione: Lucia Baldini. Un laboratorio all’aperto, nel giardino dell’asilo, con la terra e sulla terra. Sentire, toccare, annusare e raccogliere: guardare il trascorrere e il mutare. C’è la terra secca dell’estate, polverosa e dura, e la terra fangosa e odorosa di pioggia dell’inverno; una terra per fare le impronte di fango con le mani, una per fare le impronte con le dita, i sassi e le scarpe. Costruiamo un grande animale terrestre di argilla e lo lasciamo a riposare nel nostro giardino. (Ai bambini viene chiesto di portare sassolini, conchiglie, rametti: prima di ogni lavoro vengono raccolti i materiali osservandoli insieme.)

La tartaruga della terra è stata nominata dai bambini: Tartaruga Pappa. Alla fine dell’incontro le hanno portato da mangiare fiori ed erba. Le insegnanti mi hanno raccontato che tutti i giorni chiedevano di lei: quando uscivano in giardino andavano a trovarla e a portarle da mangiare; l’hanno lasciata fino a quando era tutta sciolta. (Con le impronte di fango ho fatto un libro di documentazione. Le insegnanti hanno realizzato un video dell’esperienza.)

Programma > 1° incontro

• Terra d’estate e terra d’inverno: cos’è, dov’è la terra? Faccio un buchetto nell’erba e porto ai bambini della creta secca dell’estate e insieme, in cerchio, ci mettiamo a frantumarla. Aggiungiamo acqua e facciamo il fango: col fango ci sporchiamo per benino e facciamo tante impronte su dei fogli di carta da pacco nera (mettiamo anche una polvere-magica-incollante per farlo aderire al supporto una volta asciutto); facciamo anche graffi di gatto con le unghie e graffiti coi bastoncini, qualcuno aggiunge fiori e foglioline.

> 2° incontro

• L’animale terrestre: porto ai bambini la creta plastica, che è la terra fresca di primavera (senza vermetti e radici), ad agnuno una fetta nella quale fare impronte di tutti i tipi e piantare legni e conchiglie, e anche sassi e bottoni. A gruppi improntiamo anche quattro zampe, una coda ed infine una testa. I pezzettoni vengono montati sopra una bacinella capovolta al centro del cerchio dei bambini che osservano il formarsi e nascere di una Tartaruga della Terra. L’animale viene lasciato in giardino per poterne osservare le trasformazioni sotto il sole e la pioggia.

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La tartaruga della terra

Una terra di nome argilla Laboratorio mattutino presso la Scuola dell’Infanzia di Barbiano;1 novembre e dicembre 2002. Atelier di manipolazione per le sezioni piccoli e mezzani; cinque incontri di un’ora e trenta ciascuno. Progetto e conduzione: Lucia Baldini. (Il laboratorio prevede cinque incontri nel corso dei quali i bambini saranno portati a fare esperienza del materiale Terra.) Terra che si calpesta, terra dove cresce l’erba e si gioca all’aperto; terra asciutta d’estate e bagnata in autunno. Il fango: pittura col fango; il fango si asciuga e diventa da morbido e fresco a secco. Il fango è “sensibile” al tatto ed alle impronte. Segni sulla terra. Orme e tracce. La terra-argilla diventa anche materiale da plasmare per creare animaletti, lumachine, facce buffe e tazzine per il caffè. Qualche piccolo oggetto-animale sarà cotto e così avremo anche la terracotta.

> Programma ed incontri 1 • La terra che si calpesta, la terra dove si gioca. La terra asciutta e bagnata. (com’è?) Il fango: pittura di e con il fango (le sfumature dei marroni si fanno con l’aggiunta di acqua). 2 • Il fango si asciuga, si secca e si screpola, si frantuma e fa la polverina, oppure rimane morbido per graffietti, segni e disegni, percorsi, traiettorie e tracce di insetti. Passaggi. 3 • Il fango un poco più duro è una palla morbida ed umida che si modella e si chiama Argilla. Una sfoglia che diventa poi un cortile con erba, animaletti e altri segni: una pagina terrestre, un microcosmo. 4 • L’argilla-terra può anche essere cotta (magicamente si trasforma: colore e consistenza) e l’uomo ci costruisce tante cose diverse. Proviamo a farci una casina, o una tazzina? 208

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• Gli incontri si svolgeranno presso la Scuola Materna di Barbiano e, se il tempo lo permette, anche nel cortile.

5 • Le impronte sull’argilla; tanti animali, bisce e serpenti che poi diventano anche piatti e vasi (facciamo le palline e i lucignoli, i grandi e i piccoli). Gli oggetti cotti.

Acqua, fango-terra, aria e fuoco chiuderanno il ciclo dove al centro rimane l’elemento terra che diventa gioco e oggetto, esperienza sensoriale e artigianale.


2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano 2.2.2 La tartaruga della terra

2.2.2.B Parole e cose “Cos’è e dov’è la terra?” ci si chiede ad un certo punto. In realtà questa domanda è continua e persistente lungo il corso della nostra vita durante la quale cerchiamo, ogni volta, di spiegarci e di comprendere che cos’è una cosa mai vista prima. I bambini ovviamente avranno la testa affollata di questa domanda: devono dare un nome, ma anche una consistenza concettuale e un’evidenza percettiva, sensoriale, immaginativa a tutto il mondo che vanno incontrando una volta usciti dalla pancia della madre. Ora ci sono parole che designano cose “doppie” o “sfuggenti”, fermo restando che ogni parola ha poi diverse e plurime evidenze percettive. La parola “sedia” avrà una numerosità tale di “sedie” concrete che il bambino le dovrà mettere insieme in una “scatola” con sopra il nome “sedia”; scopre, infatti, che quella della nonna, quella della mamma, quella della zia sono tutte diverse, ma sono tutte delle “sedie” ma non sono la “SEDIA” che è qualcosa di più e qualcosa di meno di tutte quelle sedie che incontra sul suo cammino. Come condurre la pluralità all’unità? E come non perdere la pluralità nell’unità? Non resta che un’esplorazione inesausta fra le “sedie” per avere una “SEDIA” cui poi confrontare le “sedie”; le mani quindi sono utili, come la bocca, per conservare la pluralità emozionante di un mondo dove ci sono tante cose diverse eppure chiamate con lo stesso suono, con la stessa parola. Non resta che provare! Ma ci sono parole, dicevo, complesse ancor più del solito. Acqua per esempio: nello stesso momento c’è qualcosa che scorre fra le mani e che si ferma sul fondo del lavandino eppure si dice acqua per tutte e due le sostanze. Le sedie almeno stanno ferme, qualche volta. No! L’acqua cammina ed è sempre “acqua” dovunque si trovi immediatamente sotto i nostri stessi occhi. Muta! Ma poi, muta per davvero? “Non toccare la terra!”, “Non stare in terra!”. “La terra si è raffreddata” sente poi dire il bambino: quante “terra” ci sono? Altro rebus da sciogliere, come già si diceva. C’è la terra polvere e c’è la terra dove stiamo come abitanti e infine c’è la terra-suolo-pavimento. Meglio cominciare da quella che si prende! Innato si comincia a fare un po’ di ordine; solo per dire! Perché poi la terra polvere è diversa a seconda del caldo, del freddo,

dell’acqua e quindi appare diversa agli occhi e sotto le mani. Poi tutta insieme, ma come? è quella dove il nonno pianta qualcosa che cresce. Ma è la stessa... Ma torniamo alla mano che sente intanto la terra mescolata all’acqua: mescolanza di infinito piacere e di richiamo quasi primitivo e originario. Acqua e terra insieme fanno il fango con il quale ci vorremmo rivestire quasi a tornare dentro il corpo stesso di madre natura, a scomparire... tornando alle origini. Chissà, forse si chiederanno i bambini, se essi stessi sono stati fatti impastando acqua e terra. Impastare ci fa sentire forti, ci fa sentire artefici perché pare che sotto le mani qualcosa stia per venire fuori come se le mani avessero un fluido, portassero un soffio alla materia inerte che risponde alle nostre sollecitazioni. Continuare quindi... che mano mano il fango si trasforma. Esercizio, prova e sfida iniziale, ma fondamentale quella dell’impastare perché fa scoprire che la mano è ponte, transito e collegamento fra la propria vita e la possibile vitalità della materia che trattiamo. È impastando che i bambini scoprono la potenza della mano come organo della propria volontà di intervenire per comprenderla sulla realtà. Impastare e manipolare sono attività ormai stabili in ogni asilo nido proprio perché la cedevolezza del materiale coltiva la passione della trasformazione nei bambini sostenendo il loro desiderio e tensione di toccare tutto senza esserne respinti. Vorrebbero toccare tutto perché è nella mano che risiede la loro intelligenza. Tutto! Anche la cacca e la pappa! Solo perché vogliono capire! Allora la creta, la sabbia, la terra, la semplice terra, sono se si vuole sostituti da una parte, ma anche nuove possibilità oltre il proprio corpo. La tartaruga non a caso è stata chiamata Tartaruga Pappa. È che se manipolassero il cibo e basta, morirebbero di fame! Meglio spostare lo sguardo e raccogliere la terra: ce n’è in abbondanza! E poi cede docile... a meno che non la si lasci da sola..perché “secca” e diventa un’altra cosa. Ma cosa? E perché? Meglio: come? Bisogna proprio tenere gli occhi aperti e non dimenticare nulla. Forse è meglio fare un altro laboratorio, per orientarsi e anche divertirsi facendo quello che si vuole delle parole e delle cose… che però, non sempre ubbidiscono.

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2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano

2.2.3 La frutta cartapestata Giuseppe Arcimboldi Caravaggio Paul Cézanne Donald Baechler

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• Gli esempi possono essere molteplici basti pensare alle mele di Cezanne piuttosto che a certe angurie di Mattia Moreni o ai frutti dipinti da Donald Baechler come oggetti del desiderio, quasi animati e con una personalità propria.

Atelier di manipolazione della cartapesta; Scuola dell’Infanzia di Cotignola e Barbiano. Laboratorio mattutino presso la Scuola Materna di Cotignola e Barbiano; quattro-cinque incontri per sezione di un’ora e trenta ciascuno; gennaio / febbraio 2001. Progetto e scrittura Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri, Lucia Baldini e Marzia Bianchi.

> Il progetto Come detto l’atelier si sviluppa e muove intorno e dentro alla tecnica della cartapesta che sarà affrontata nei suoi aspetti più semplici ed immediati, privilegiando quindi la conoscenza, l’esperienza e la familiarizzazione che i bambini faranno con questo materiale. Trattandosi di un progetto che si sviluppa parallelamente in due distinte sedi e avendo necessità di avere una certa uniformità tematica, abbiamo concordato di prendere spunto e collegarci alla programmazione della Scuola Materna di Cotignola, programmazione questa che vede nell’alimentazione uno dei motivi ricorrenti che attraversa gran parte delle attività scolastiche. Riflettendo poi su queste indicazioni si è pensato di restringere il campo prendendo in considerazione solamente la frutta e la verdura (per via della ricchezza di forme e colori); frutti ed ortaggi che saranno motivo di studio ed ispirazione per le realizzazioni in cartapesta e che potremo “confrontare” con l’opera di due artisti perfettamente a loro agio col tema individuato: Arcimboldi e Caravaggio. Il primo a cui ci avviciniamo per la sua vena fantastica, giocosa e surreale, il secondo per la bellezza e sensualità dello sguardo che sembra farsi quasi tattile e carnale sulle superfici. Di Arcimboldi guarderemo i volti e i ritratti costruiti con gli elementi della natura estrapolati dal mondo vegetale, di Caravaggio i canestri di frutta che danno il via alla grande stagione seicentesca della natura morta.1 Oltre alle riproduzioni di alcune di queste opere, i bambini troveranno sempre, all’interno dell’atelier e della loro sezione, frutti ed ortaggi freschi che compreranno al mercato con le maestre; con e da questa natura si avvieranno una serie di attività ed esperienze che vanno dalla copia dal vero ad approcci che privilegeranno di volta in volta il tatto, la forma, il colore, pesi, grandezze, misure e così via. Si potrà anche

> Introduzione Su richiesta delle maestre della Scuola Materna di Cotignola e Barbiano verrà proposto nel corso dell’anno scolastico 2001-2002 un laboratorio di manipolazione della cartapesta; il progetto si svilupperà in maniera parallela in entrambe le scuole e porterà, oltre alla sperimentazione sul materiale e ad alcune sue tecniche di lavorazione, alla realizzazione di cose ed oggetti che saranno “utilizzati” in occasione della sfilata della Segavecchia: ciò che i bambini produrranno con AeM servirà cioè a creare ed allestire una sorta di parata. Va subito chiarito il rischio che deriva dal porsi un tale obiettivo e cioè che il laboratorio, e la conseguente esperienza del materiale che i bambini faranno al suo interno, risentano e siano limitati, in maniera notevole, da ansie di produzione e da proiezioni di finalità adulte: la sfilata difatti impone “preoccupazioni” ed esigenze che non solo esulano dall’atelier, ma che lo possono anche guidare in maniera fortemente negativa, stressandolo; per questi motivi, se si decide di percorrere questa strada, dobbiamo prestare massima attenzione e chiarire alcuni punti da cui non è possibile prescindere, primo fra tutti un lavoro esterno all’atelier che lo accompagni prevedendo il coinvolgimento dei genitori e di eventuali altri volontari, così da proteggere l’autonomia del laboratorio (che è rivolto ai bambini e perciò, di conseguenza, a loro esclusiva misura). Il laboratorio costituirà quindi solo una parte di tutti quei momenti che prepareranno l’uscita finale; dall’atelier (e dalla Scuola Arti e Mestieri) usciranno spunti e possibilità per proseguire l’attività che non possono e non devono esaurirsi all’interno del nostro intervento. Se così non fosse e ci si aspettasse che da quattro o cinque incontri esca una produzione soddisfacente, in relazione alla sfilata e all’impatto scenografico che questa deve avere, si sbaglierebbero premesse, la metodologia del lavoro e, di certo, si rimarrebbe delusi.


La frutta cartapestata Tutte queste attività che saranno portate avanti dalle maestre e dal personale della scuola, integreranno e accompagneranno l’atelier della cartapesta di AeM che risulterà così inserito in un percorso comprensibile e giustificato (sia per i bambini che per gli operatori stessi). Se così non fosse l’atelier perderebbe in parte di significato e rischierebbe inoltre di essere molto arbitrario o gratuito (perché il tema del frutto in un lavoro che può svilupparsi in molteplici direzioni? perché la cartapesta e non l’argilla o la pittura?). È necessario quindi che questa attività coinvolga diversi momenti, esterni, ma non estranei all’atelier. Un percorso sfaccettato ed in parte imprevedibile, che coinvolga i sensi in un’esplorazione piena e quotidiana: ecco in quale contesto “perfetto” vorremmo fosse inserito il laboratorio d’arte; un atteggiamento artistico che accompagni le scoperte del bambino pervadendo le cose. Come abbiamo creato un grande Arcimboldi “vero” e tridimensionale (assemblando i frutti e gli ortaggi), possiamo in un secondo momento riproporre lo stesso lavoro utilizzando i singoli disegni dei bambini che saranno organizzati andando così a formare un altro volto, quasi ad incastri come avviene con le tessere di un mosaico.2 (Oltre ad una parte di queste attività sopraelencate, si chiede alle maestre ed educatrici di introdurre e presentare ai bambini il tema della cartapesta in relazione alla Segavecchia, compiendo magari anche un’uscita per visitare il Museo Varoli.) Per quanto riguarda la vestizione del singolo bambino, l’atelier non è in grado di occuparsene per cui sarà fondamentale il coinvolgimento dei genitori; la Scuola Arti e Mestieri potrà offrire, in questo caso, appoggio e consulenza proponendo spunti e suggerimenti e supervisionando lo sviluppo dei lavori.

giocare a ricostruire in tre dimensioni alcuni quadri: nello specifico un cesto di frutta dal Caravaggio e un volto da e all’Arcimboldi. • Il mercato: ricerca ed acquisto di frutta e verdura. • Frutti ed ortaggi nell’arte: Arcimboldi e Caravaggio; assemblaggio per ricreare tridimensionalmente alcune di queste opere (nature morte e quadri effimeri e “veri”, quasi dei mandala). • Attività grafico pittoriche: disegno la forma (copia dal vero). Guardare e studiare le cose; capire come sono fatte, registrare, rifare e reinventare. • Superficie: frottage e texture. (La pelle e il tatto.) • Pittura: il colore. (Fare i colori, confrontarli e riconoscerli, farne anche di nuovi se possibile.)

> La Segavecchia Il nostro atelier si prefigge di realizzare due oggetti distinti: il primo è costituito da un grande pannello di legno su cui verranno assemblati, incollandoli, i frutti e gli ortaggi realizzati dai bambini in cartapesta (ricostruiremo, molto liberamente, un quadro alla maniera dell’Arcimboldi che risulterà così a bassorilievo); il secondo sarà un grande canestro di frutta (ispirato al Caravaggio). Ogni singola realizzazione individuale sarà tessera e parte, frammento e modulo di una costruzione più grande, un’installazione collettiva che sarà elemento scenografico e mostra itinerante e che i bambini costruiranno insieme al maestro d’arte a conclusione del laboratorio: l’idea prende lentamente e all’improvviso forma, si rivela, il disegno si completa e chiarifica mostrandosi.

> Il laboratorio Il laboratorio si articola in quattro-cinque incontri in cui e attraverso i quali si affronteranno alcune tecniche di lavorazione della cartapesta, dalla sua manipolazione fino alla colorazione finale. Tenuto conto di un approccio iniziale molto libero e sensoriale in cui il bambino familiarizza con il materiale, l’atelier si caratterizzerà poi fortemente di e con un’indagine sugli aspetti visivi, plastici, tattili e cromatici di alcuni frutti e ortaggi e sul susseguente tentativo di ricondurre e riportare queste sensazioni in cartapesta.

• 1° Incontro

Verranno proposti ai bambini alcuni oggetti già realizzati per meglio comprendere le trasformazioni e potenzialità del materiale.

Che cos’è la cartapesta. La cartapesta è una miscela di carta, acqua e colla che si può ottenere in due modi (che saranno entrambi proposti ai bambini): la cartapesta a macero e quella a strisce detta giapponese: la prima la si ottiene facendo macerare la carta in acqua, la seconda imbevendo di colla strisce di carta.

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• Un altro spunto per un breve laboratorio o attività ci viene offerto dal divertente libro di Munari Rose nell’insalata che gioca con timbri e stampini ottenuti con vegetali.

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La frutta cartapestata La palla costituirà uno dei primi approcci essendo una delle forme più immediate e piacevoli della manipolazione: con la cartapesta a macero avremo sensazioni non dissimili all’argilla o alla pasta di sale, con quella a strisce dovremo stropicciare ed appallottolare. Per aumentare volumi e grandezze sarà invece necessaria un’anima: si può partire da una palla di carta asciutta fino ad arrivare a rivestire palloncini che ci permetteranno misure ed ampiezze maggiori, leggerezza e superfici più regolari.

• 2° e 3° Incontro Dalla palla non sarà difficile arrivare, per similitudine, alla forma di molti frutti; avremo così uno sviluppo ed un complicarsi di ciò che è stato realizzato e scoperto nel corso dell’incontro precedente; si assoceranno forme e grandezze e da qui si cercherà di rendere ancora più evidenti somiglianze, caratteristiche e particolarità (sempre confrontando il prodotto in farsi con i veri modelli). Relazioni. Ci si potrà soffermare sulla forma e volume (la differenza tra l’affusolato del limone e lo schiacciato di un pomodoro) oppure su texture e superfici (la buccia dell’arancia piuttosto che le tracce del guscio di noce o ancora il liscio di una mela contro la superficie variegata di una zucca ornamentale). Il bambino, oltre all’impegno nel riconoscere particolarità e differenze in natura, e alle difficoltà nel tentare poi di trasferirle nel proprio oggetto, acquisterà parallelamente una sempre maggiore familiarità con il materiale e con le sue reazioni: consistenza e trasformazione dovuta all’essiccatura, fragilità e solidità che derivano e dipendono dalle stratificazioni. Utilizzando inoltre entrambe le tecniche noterà quali sono le differenze tra i due procedimenti, quando è meglio usare l’uno o l’altro, quando è bene o possibile usarli entrambi. Il lavoro si arricchirà costantemente (ed in maniera graduale) di nuovi elementi come ad esempio biscioline e lucignoli che serviranno per misurarsi con forme più articolate e composte. (Si rivestiranno anche oggetti di recupero come sagome di cartone, rametti, filo di ferro e altri oggetti.)

• 4° Incontro

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Il quarto incontro introduce un’attività che da singola ed individuale si trasforma divenendo un fare collettivo e di gruppo: variando la scala dei manufatti e passando dal piccolo al grande realizzeremo alcuni frutti grandi rivestendo un palloncino abbastanza voluminoso su cui i bambini lavoreranno in gruppo (quattro, cinque bambini per ogni frutto). Tutti questi oggetti concorreranno insieme a formare e riempire un canestro di frutta ispirato al Caravaggio

• 5° Incontro L’ultimo incontro sarà dedicato alla colorazione dei frutti in carta-


La frutta cartapestata Dove vi sia necessità di superfici lisce i bambini utilizzeranno anche la carta vetrata.

Per quanto riguarda i costumi dei bambini ricordiamo ancora una volta che la loro realizzazione non dovrà occupare ed impegnare spazi all’interno dell’atelier e che quindi sarà necessario coinvolgere i genitori oppure avviare all’interno della scuola un laboratorio parallelo in cui le maestre potranno far realizzare, ad esempio, abiti fatti con sacchi (quelli di carta per la farina che si trovano al mulino) che potranno essere decorati con pittura e collage, o ancora copricapi di carta o cartapesta (ad esempio ottenuti rivestendo la parte superiore di un palloncino per una testa a pomodoro piuttosto che di arancia; in questo caso per i costumi basterà vestire i bambini con il colore del frutto scelto.3

pesta, che avverrà sia con tempere sia con carte colorate. Le tempere saranno stese sia a pennello sia con spugne (queste ultime permettono di far risaltare al massimo le increspature della carta e le sovrapposizioni perché asportano in parte il colore dato precedentemente rivelando ciò che sta sotto). Con le carte si può procedere sia raccogliendo pezzetti di vari colori ritagliati da riviste e manifesti (con un utilizzo non distante alla maniera del mosaico) sia servendosi di carte veline che, pur macchiando parecchio le mani, offrono piacevoli effetti di trasparenza alternati a grande intensità del colore (bagnandosi la velina si sfalda e scioglie). Se con i frutti grandi realizzeremo una lussureggiante e croccante natura morta, con quelli piccoli costruiremo alcuni Arcimboldi e qualche mobile fogliuto.

In scatola meravigliosa l’atelier della cartapesta minuta

Atelier della cartapesta presso la Scuola Materna di Barbiano. Laboratorio mattutino in sezione presso la Scuola Materna con grandi e mezzani. Cinque interventi di un’ora e trenta ciascuno; da febbraio a marzo 2003. Progetto e scrittura: Lucia Baldini e Marzia Bianchi; conduzione: Marzia Bianchi. Che cos’è e come si fa la cartapesta, sia quella a strisce che quella a macero: come rompere la carta (pezzetti e strisce che strappiamo a mano oppure con le forbici), come fare la colla (dalla polverina “magica” nasce l’acqua incollante). Impariamo a “spennellare” ed attaccare le strisce, tre, quattro per volta, e poi con l’aggiunta di carta velina e l’aiuto di uno spago creiamo delle forme: animaletti, collane, superfici… (Realizziamo qualcosa, qualsiasi cosa: un gioco, un oggetto o una forma a discrezione e gusto del bambino.) Con la carta a macero (messa e tenuta a bagno precedentemente) e la colla, impastiamo la poltiglia fino ad ottenere una pasta cartapestata e cartapestoide con cui realizziamo palline e lucignoli ed anche piccoli personaggi (con cose come semi e conchiglie da inserire prima dell’essiccatura). Con la cartapesta a macero, la cartapesta a strisce, un filo di ferro cotto, stoffa a pezzetti e carta velina colorata, costruiamo ed animiamo delle forme tridimensionali più libere ed astratte, quasi delle sculturine volanti ed un poco effimere; Architettare robe, equilibrare. Forse soffiare o scuotere leggermente per far muovere queste piccole e leggere creazioni. Rivestiamo una scatola da scarpe di cartone che i bambini hanno portato e che diventerà uno scrigno pronto ad accogliere e custodire gelosamente i loro manufatti, un scatola delle meraviglie, di quelle da tenere sotto il letto e da mostrare agli altri con parsimonia; utilizziamo strisce di stoffa, cartapesta a strisce, fili di lana colorati, carta velina e altre tipologie di carte e diversi tipi di colla per attaccare tutte questi materiali. Con rametti e bastoncini di legno e cartapesta, stoffa e fili di lana colorati costruiamo dei piccoli oggetti magici ed un poco primitivi che inseriremo nella nostra scatola (ogni scatola contiene e cela dei quasi tesori, alcuni piccoli misteri e silenziosi splendori). Coloriamo con la tempera i lucignoli e le palline colorate, e tutto quello che ci pare o che rimane incolore, pezzi di scatola, eccetera eccetera. (Io faccio la mia cosa.)

Il fuoco, Scuola Materna di Barbiano, 2002, a cura di Lucia Baldini.

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• Nella Scuola Materna di Barbiano ad esempio i bambini hanno dipinto o ritagliato ed incollato dei frutti su questi sacchi di carta che sono poi diventati dei variopinti abiti da indossare in occasione della sfilata: chi era macedonia multicolore e multiforme e chi 213 invece era una ciliegia, una fragola, una carota, un patata e perciò tendeva ad un rigoroso, minimale ed elegante monocromo.


2 Del toccare e animare le cose 2.2 Tra occhio e mano 2.2.3 La frutta cartapestata

2.2.3.C La scuola, il laboratorio e il nostro quotidiano

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Viene qui ripreso un tema ovviamente ricorrente del laboratorio in rapporto alla scuola, tanto più nel caso in cui esso opera proprio all’interno di questa: quale relazione fra laboratorio e scuola? È il laboratorio che propone alla scuola possibili percorsi, anche in qualche modo “scompigliando”, in termini di arricchimento e ampliamento, le proposte della stessa che lo accoglie aprendosi alle sue perturbazioni? E la scuola si fa carico di trattare poi queste perturbazioni? O è, viceversa, il laboratorio che risponde a degli inviti e a delle proposte da parte della scuola all’interno di già precisati e specifici percorsi didattici? Il laboratorio deve e/o può lavorare su “commessa”? E infine una volta accettata o ricevuta la commessa come la deve e la può trattare? Come la deve trattare se vuole rimanere fedele alla sua scelta di un’ apertura problematizzata e coinvolgente i bambini? Come può mantenere la sua impostazione metodologica che pare essere errabonda e divagante fra tecniche e generi? Ora va detto che la scuola tende, da sempre, a colonizzare il suo intorno chiedendo non poche volte alle agenzie che la circondano di essere funzionali al suo disegno e soprattutto ai suoi modi; altre volte ancora accosta al suoi contenuti e al suo fare quello di altre agenzie facendo della specificità e della diversità di queste un’esperienza differente da quelle solite e consuete del curricolo scolastico e dando quindi ai bambini aperture su altri modi e contenuti di tipo formativi come, per esempio, quando i bambini vengono portati al teatro, ai laboratori dei musei, nei musei stessi senza che, necessariamente, l’esperienza venga poi ripresa specificatamente a scuola. Altre volte si apre a contaminazioni e sovrapposizioni e arricchimenti contenutistici e metodologici. Qui il maestro rivendica, a fronte di alcuni rischi che vedremo meglio di seguito, l’autonomia del laboratorio che pare connotarsi come luogo specifico e specialistico in termini “disciplinari”, con uno evidente tasso di caratterizzazione e definizione linguistica e quindi tecnica destinata a dare ai bambini un’esperienza “altra” rispetto alla scuola anche se ha, come questa, una sua chiara ed esplicita finalizzazione formativa al fine di permettere ai bambini di coltivare la loro costruttività e creatività.

Non credo sia tanto questione di dare più o meno tempo al bambino, non credo sia tanto questione di avere o non avere evidenti obiettivi produttivi come pare possa ridursi la questione; sia la scuola sia il laboratorio danno ai bambini dei tempi e sia l’una e sia l’altro hanno degli obiettivi. È che l’uno ha come sottofondo, ma anche come cornice e come obiettivo oltre che come modalità di conduzione, quello di una sperimentalismo ricercante intorno e con le tecniche e i linguaggi dell’arte che lo destinano, in modo specifico, alla coltivazione della capacità di trasformare i dati in possesso dei bambini; l’uno, il laboratorio, ha come cornice e sfondo il gioco fatto di un impegno costante con i diversi elementi in campo, aprendoli ad un lavorìo constante intorno al “consueto” e “quotidiano”. L’altra, la scuola, si caratterizza per una maggiore formalizzazione dei percorsi di lavoro e anche per un allontanamento dal gioco inteso come modalità, molto, molto raffinata, di lavorare intorno al sapere e al reale. Quindi il maestro riesce a mediare la richiesta della scuola: riprendendo un contenuto portante della stessa lo vira verso la richiesta stessa ma dandovi una declinazione squisitamente estetica, quasi certificata proprio dalla scelta che fa: sceglie la frutta e la verdura per i loro colori. Colori che sempre sorprendono gli occhi e poi il tatto e il gusto insieme in un richiamo sensoriale che immediatamente apre allo specifico dell’estetica che ha a che vedere con il “sentire il mondo” ancor prima di “ragionarlo”, almeno nei termini tradizionali con i quali si è concettualizzato il “ragionare”. Il lavoro sulla frutta quindi ha a che vedere con quella lievitazione estetica e culturale, anche in senso storico, del nostro quotidiano corrente; ogni giorno incontriamo il richiamo della superficie e del volume di un frutto. Il richiamo di ciò che esiste nella sua perfetta evidenza. Intanto proprio intorno a questo si annoda una questione di non poco conto; quando si vede un frutto vero di particolare “perfezione” spesso si esclama che sembra “dipinto” e viceversa, quando si vede un frutto dipinto di particolare “perfezione” diciamo che sembra “vero”.


Forse è questo l’enigma, il gioco, il doppio gioco della “natura morta” che tutto pare, spesso, meno che morta? È questo “rapimento” del vitale attraverso la sua “copia” che attua la “natura morta” nel suo splendore accecante? Tanto più se è quello splendore a cui allude , partendo da Caravaggio, il maestro? Splendore di accostamenti, riverberi e riprese. Quasi che la “natura morta” fosse una piccola sinfonia visiva. Quindi i bambini da una parte si confrontano con questo continuo problema: l’abbaglio del quotidiano e la sua ripresa per renderlo eternamente evocato, richiamato e presente e dall’altra la creazione di un altro quotidiano, parallelo a quello esperito correntemente che è quello datoci dalla frutta ri-costruita, con la cartapesta o con quanto altro abbiamo a disposizione in quel rinnovato rapporto che il maestro intesse con la tradizione anche locale. Ora la frutta non è solo oggetto e soggetto di contemplazione attiva e costruttiva a partire da sollecitazioni colte e auliche, piuttosto che esperienziali e immediate che vengono poi ricondotte a un fare “daccapo e di nuovo” parti di mondo; la frutta è anche materiale concreto, per la sua evidenza volumetrica, per le possibili composizioni che si possono creare esaltandone le forme. Evidenza volumetrica che porta a preparare canestri, piatti, vassoi solo per il puro gusto di evidenziare la plasticità richiamante e carezzosa che essi hanno; come sappiamo dalla storia del-

l’arte i frutti sono pezzi da e di costruzioni vegetali che hanno una loro rutilante evidenza scultorea e architettonica, anche. Quindi una volta che i bambini sono stati in qualche modo preservati da una produttività linearmente legata a un evento che poteva renderli troppo conformisticamente aderenti al compito, è stato data loro la possibilità, proprio a partire dal compito, di aprirsi a sguardi più incisivamente indagativi e prensili rispetto alla realtà, mettendoli nelle condizioni di portare al momento comunitario e collettivo qualcosa di originale. Forse è questo che dovremmo dare ai bambini: la possibilità di perpetuare il quotidiano, il consueto e il tradizionale portandovi qualcosa di nuovo, qualcosa che lo arricchisca con contributi “originali” (almeno per loro); contributi esiti di percorsi certamente non spontaneistici. Ricordiamoci che non c’è nulla di spontaneistico nei laboratori del maestro! Anzi. Per altro cosa di più antico, quasi mitico, di bambini che portano ai carri di una festa collettiva cesti di frutta? Il loro portare allude in qualche modo al fatto che sono proprio i nuovi nati, i giovani a dare o dover dare nuovo lustro, nuovo splendore e nuove prospettive all’antico. Torma quindi il tema del rapporto fra educazione e patrimonio culturale.

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3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine


Lettere dipinte da due bambine di prima elementare.


3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine

3.1 Cartacanta con un foglio di carta Classe 2°A e 2°B, Scuola Elementare di Cotignola. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri; insegnante accompagnatrice: Graziella Maurizi. Sei incontri di due ore ciascuno per sezione; da aprile a maggio 1999. 1 Progetto, scrittura e conduzione: Massimiliano Fabbri.

Questo laboratorio vuol far esplorare e sperimentare al bambino alcune possibilità di intervento su di un supporto che sia già, in qualche modo, segnato da una sua storia, una superficie che rechi già delle tracce, siano queste macchie, buchi, formati insoliti o altro ancora. Un semplice foglio di carta (di formato rettangolare standard) non ci da molte informazioni o stimoli particolari: la superficie bianca a volte addirittura imbarazza, inibisce e frena; in questa nostra ricerca si cercheranno perciò di sondare alcune modalità, sperimentando trucchetti che permettano al bambino di pensare e vedere il foglio di carta non come ad una cosa rigida, statica ed un po’ scontata, ma come qualcosa di facilmente modificabile in molteplici direzioni (una carta può essere bucata, graffiata, stropicciata, strappata ecc.). Riportiamo così l’attenzione sulle caratteristiche fisiche e concrete del foglio stesso, a favore di una materialità che ridiviene centrale e dalla e sulla quale parte il laboratorio stesso. In questo tentativo di facilitare e “scaldare” l’approccio alla superficie vergine cercheremo di attivare un punto di vista alternativo che passa attraverso una rielaborazione, trasformazione e ripensamento di quello che è il più comune dei supporti: com’è un foglio di carta (peso, tatto, forma, ecc.) e soprattutto cosa posso fare con esso?

Un percorso che si servirà essenzialmente di tecniche grafiche come varianti sul segno, strappi, tagli e collage, texture e frottage, oltre ad una serie di procedimenti che hanno, nell’integrazione con procedimenti casuali, un comun denominatore; si tratta di piccoli interventi sul foglio che “magicamente” mettono in moto meccanismi, associazioni ed intuizioni, in altre parole l’innescarsi di procedure creative. Far succedere qualcosa che rompa la staticità della situazione generando collegamenti o percezioni più ricche e narrative, sia questo ottenuto con un segno o scarabocchio sul foglio, da una macchia, una lettera, una parola o una scritta fino ad arrivare ad un aggressione del foglio stesso che ne modifichi la superficie e la conseguente lettura (strappi, buchi, formati strani e quant’altro).

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• Si tratta di uno dei primi laboratori della Scuola Arti e Mestieri nella Scuola Elementare e, come è per quelli con la creta av218 viati qualche anno prima presso la Scuola Materna, anche questo risente fortemente degli esempi munariani ed in particolar modo dell’esperienza di Marielle Muheim.)

Generare immagini sorprendenti, stupirsi, immergersi in un flusso di associazioni, collegamenti e piccole scoperte; questo laboratorio è del gusto e piacere che derivano dal non sapere cosa succederà, del lasciarsi trasportare e dell’approdo inaspettato ed inatteso. Cosa, succedi, mi farò portare via.

> 1 • Si partirà dal supporto più comune, ossia da un foglio di carta bianco ed integro.

Il primo intervento sarà quello di stropicciare il foglio; lo si appallottola e si ristira e ridistende nuovamente per ottenere una texture, una superficie scabrosa, mossa e variegata sulla quale possiamo passare, sfregando, un pastello a cera. L’azione successiva può essere quella di strappare parte del foglio così da modificare il formato rettangolare ac-


Cartacanta quisendo nuovi margini, più irregolari e dinamici. La sagoma asimmetrica che otterremo può avere valenza propria essendo già, in un certo senso, un intervento minimale e creativo poiché cambia le carte in tavola; questa nuova forma ci racconta qualcosa di diverso, ed in più, rispetto al foglio da cui siamo partiti e può inoltre indurci ad intravedere e scoprire un’immagine (un po’ come accade quando vediamo una nuvola che ci sembra qualcosa, una faccia, un animale e così via). Lo stesso gesto di strappare e modificare il formato di un foglio ci offre due differenti possibilità di lavoro: la prima si gioca su di un terreno astratto, lirico e delicato in cui ci sono forme e rapporti, carte e sovrapposizioni (il nuovo insolito formato e i piccoli strappi potrebbero essere incollati su di un altro foglio, magari di un altro colore), la seconda si sposta su di un versante più narrativo dove il gesto di strappare genera immagini, associazioni e racconti latenti che saranno catturati con il disegno. In un secondo momento il formato particolare ed unico del foglio potrà essere ottenuto con le forbici anche se l’intervento deve sempre avvenire in maniera abbastanza casuale (si vedranno le differenze del taglio delle forbici rispetto allo strappo). I bambini potranno fare un giochetto divertente: scambiando il proprio foglio (unico) con quello di un compagno (altrettanto unico) si troveranno a girare e rigirare la forma fatta dall’altro sino a scorgervi e scoprirvi un’immagine (che in seguito potranno colorare liberamente).

> 2 • Nel secondo incontro i bambini troveranno un grande foglio steso a terra; questo striscione non è vergine, la sua forma e superficie sono discontinue, buchi, contorni irregolari e così via. Ci si disegnerà tutti insieme, girandogli attorno e spostandosi alla ricerca di scoperte ed associazioni. Le immagini, frutto della fantasia e della casualità che scaturiranno da questi segni, tracce e forme viste, saranno poi colorate con i pastelli a cera ai quali si può aggiungere ed affiancare anche il frottage. Lo stesso lavoro potrà essere ripetuto con un’altra striscia di carta dove, al posto di tagli, strappi e buchi ci saranno segni, linee e scarabocchi casuali da continuare ed interpretare. Un fiume, una strada, un flusso ininterrotto di invenzioni, pensieri ed immagini, una quasi storia che può essere diversa ogni volta in base alla personale lettura ed interpretazione della sequenza. > 3 • Nella terza lezione avremo nuovamente un grande foglio che avrà però, al posto di buchi e strappi, delle immagini ritagliate da riviste, parentesi e frammenti casuali che si alternano a spazi vuoti e che si dovranno colmare con interventi grafici che vanno dal disegno alla pittura sino ad ulteriori collage. Dal banale quotidiano al quasi artistico.

> 4 • Nelle prime tre lezioni siamo partiti da una sorta di immagine ambigua, errata o mancante per arrivare ad un soggetto immediatamente riconoscibile; tracce che ci aiutano a liberare un atteggiamento curioso e disinibito, perennemente in caccia, vorace. Nei tre seguenti atelier proveremo a concepire l’immagine in una valenza più astratta (spetterà poi a chi guarda queste produzioni trovare o ritrovare una forma riconoscibile e figurativa, sempre che ne abbia bisogno). Si porteranno e mostreranno al bambino esempi di immagini in cui non è obbligatorio, o possibile, scovare una rappresentazione, per fargli capire che anche in questi casi non manca messaggio e non si interrompe la comunicazione (quadri astratti, decorazioni di stoffe, visioni al microscopio, ecc.). Si partirà sempre da un foglio (questa volta di carta da pacco) che sarà bucato, graffiato, inciso e segnato, con strumenti come chiodi, forbici, punteruoli, grattugie, carta vetrata. Assemblando e piegando queste carte realizzeremo poi dei piccoli libretti dove nelle pagine, al posto delle parole, ci saranno segni e tracce di vario genere, percepibili non solo visivamente ma anche tattilmente. Una sorta di alfabeto muto e primordiale è letteralmente inciso in queste carte silenziose e spaziali in cui passa l’aria attraverso e attraverso le quali si vede cosa c’è oltre.

> 5 • Su di un grande foglio comune si realizzeranno frottage con pastelli a cera di oggetti pescati in una scatola. Un altro grande foglio, questa volta ottenuto attaccando ed assemblando i singoli fogli che i bambini hanno realizzato, sempre a frottage, uscendo in cortile a caccia di tracce e superfici interessanti. L’artista come un investigatore o un archeologo…

> 6 • Nell’ultimo incontro affronteremo varie tipologie di segno con la matita. Dalla linea retta, spezzata, curva, ondulata e così via, fino ad arrivare a segni che ci inducono a pensare dialetticamente o a riconoscere coppie di contrari: lento o veloce, leggero e pesante, sino a descrivere sentimenti, umori e stati d’animo. Questa introduzione ci porterà alla realizzazione di una serie di disegni fatti ascoltando diversi tipi di musica, in un atteggiamento e prassi che potrebbe essere accostato alla scrittura automatica. Da questo laboratorio sono usciti i libri scrausi e quelli spaziali: i primi sono tutti quei quaderni costruiti assemblando disegni nati casualmente con la tecnica simil surrealista che ho descritto in precedenza (formati strani e segni che suggeriscono immagini), i secondi sono libretti astratti pieni di buchi, fori, strappi, tagli e lacerazioni, dove l’aria circola tra le pagine.

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3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine 3.1 Cartacanta

3.1.A Aprire la carta un foglio è multiplo

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La carta come si legge nel testo è oggetto, materiale ovvio, banale, corrente e largamente usato in modo inconsapevole, come molti altri materiali. È per altro materiale cardine della scuola per essere supporto alle produzioni infantili: dal disegno alla scrittura. È, nella su ovvietà di “foglio di carta”, sempre fra le nostre mani: come non sentito, inconsistente, scivoloso, persino bidimensionale, sottile... senza sapore, perché senza spessore. Ma, basta cambiare ottica, basta cambiare posizione ...forse solo spostare lo sguardo e il modo di vedere il solito “foglio di carta”, basta avvertirlo diversamente, basta prenderlo diversamente che allora si scopre che, nella sua sottigliezza, un po’ insignificante è ricco di possibilità. È ricco di possibilità perché diventano ricchi e sfumati occhi e gesti che lo trattano, è il soggetto, cioè chi ha il foglio di carta fra le mani e lo rimira, che cambia e cambiando il soggetto che osserva forse cambia, certamente cambia, ciò che è osservato; variegate le operazioni che si effettuano e che, se ci si pensa un po’, si possono effettuare con un foglio di carta. Allora è la ricchezza del soggetto che opera che fa ricco il materiale con il quale opera: il soggetto che si rapporta a qualcosa, in questo caso la carta. Il soggetto deve, come ci dice attraverso l’esperienza che il maestro racconta, ritrovare un repertorio di azioni ricco, numeroso e variegato e soprattutto tornare libero nei confronti del materiale “piegandolo” al suo desiderio e alla sua volontà trasformativa. In qualche modo il lavoro che il maestro fa è il superamento, in una direzione attiva in cui l’aggressività si fa presa rivitalizzante di una parte di mondo, dei tre stati d’animo che elenca a proposito del foglio di carta che, come egli dice: “imbarazza, inibisce e frena”. Ora tutto il percorso è la messa in moto di un soggetto che, invece di rimanere come dubbioso sul cosa, come e se fare qualcosa davanti e rispetto a qualcosa, comincia anche solo a “strappare” dei piccoli pezzi; per mangiarli? O per poter “mangiare” il foglio di carta? Comincia a intervenire sopra, intorno e dentro. Fa un gesto che lo libera e forse ferisce il foglio stesso che, ferito, viene portato in una relazione trasformativa. Ecco allora che basta stropicciare, appallottolare, stendere, stirare, striare, sfregiare, sfregare e fregiare… il foglio; e tutto questo ci apre

panorami visivi nuovi; è carta geografica di panorami inconsueti. Ma sopratutto si dispone, per minimi segni, lacerazioni, cambiamenti di formato e tracce, ad essere noi stessi luogo per depositare e immaginare, far scaturire e riportare altre forme che completano e arricchiscono quelle già presenti. Basta poco, basta non essere inibiti e imbarazzati per dare vita, continuità, organicità a frammenti che potrebbero apparire senza senso. E lacerare e fare a pezzi e in frammenti qualcosa è operazione che scioglie e apre ad un approccio, che seppur “violento”, scuote il silenzio muto; questo operare richiama, proprio per la sua stessa “violenza” , alla riparazione costruttiva facendo del lacerto un manufatto o l’inizio di un nuovo manufatto. Quindi la carta si può aprire, si può sfogliare, la si può rendere molteplice, volumetrica restituendole quello spessore che agli occhi e alle mani abitudinari non sono più visibili. È a questa scoperta dello spessore del materiale, spessore inteso come possibilità nascoste ma facilmente recuperabili guardando meglio e sentendo, ascoltando meglio la materia che è di fatto dedicata la sequenza di incontri tesi a rendere “drammatico” un liscio foglio di carta intendendo per drammatico, “mosso”, “accidentato” e soprattutto attraversabile e modificabile perché ci si vede e ci si aggiunge e/o ci si toglie qualcosa; qualcosa che cambia glia assetti pur nella semplicità dei gesti fatti o da fare. Basta quindi poco ad aprire le potenzialità nascoste nella sottigliezza del foglio e non solo. Aprire, trasformando la percezione e l’uso dei materiali, è dato da un occhio curioso e da mani giocose che sanno che basta mettersi in un’altra posizione, che sanno che basta togliere un pezzo che la configurazione che si ha di fronte “cambia”, “sembrando un’altra cosa”. È questo fare di una cosa un’altra cosa; è questo modificare anche poco per far sorgere un’altra cosa da una cosa conosciuta e statica; è questo sommuovere e attraversare per scompaginare che il maestro introduce nella mente dei bambini a partire dalla piatta tranquilla quietitudine del foglio suggerendo e invitando i bambini a non semplificare il loro modo di percepire e pensare ciò che li circonda. Li chiama al gioco che, in primis, è rimettere in moto le mani, il


corpo in gesti semplici e quotidiani che pur portano con sé possibili trasformazioni: come il lacerare che produce due pezzi fra loro distinti, in contrasto ...ma anche chiamati a dialogare, se li accostiamo, se li si confronta e li si avvicina: anch’esse, queste , operazioni semplici eppure alla base di arte e scienza. Trasformazioni date, ancora, da altre semplici e antiche operazioni quali: il mescolare, l’incollare, l’aggiungere che sono i primi movimenti dei bambini stessi e che fanno, nella meraviglia che li coglie per le trasformazioni che vedono avverarsi e accadere sotto il loro stesi occhi, già da molto piccoli; gesti che sono anche di molti artisti tornati ad esplorare le possibilità generative di questi primi gesti. Ma introduce anche la potenza creativa del “caso”: del mescolare, del fare incontrare, dell’avvicinare, dell’accostare materiali e strumenti fra loro solo apparentemente eterogenei e che, usati dai bambini liberamente pur all’interno di indicazioni che ben li avvicinano alla scoperta

del linguaggio dell’arte, li apre a sorprese, rapimenti e gioia per il sorgere di montagne, rilievi, crateri, geroglifici laddove pareva esserci solo un silenzio e un deserto. Anch’esso affascinante, ma pronto e disposto a parlare, a gridare, a urlare e a restituire emozioni, quasi espressioni affettive di qualcosa di molto vivo. E tutto questo è legato alla potenza della tensione trasformativa e generativa del nostro essere non paghi dell’apparenza. Resta per altro, ora, la possibilità, forse da esplorare, di tornare la silenzio, al deserto aprendo anche altri possibili modi di elaborare l’imbarazzo, l’inibizione e l’essere frenati stando nella piana, nel silenzio e nel deserto. Ma questo ci fa fantasticare un altro possibile laboratorio. Ma pensa cosa viene fuori da un foglio di carta e poc’altro!

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3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine Guillame Apollinaire

3.2 La fabbrica delle lettere l’alfabeto fatto ad arte Atelier di disegno e pittura con e sulle lettere dell’alfabeto. Classe 1°A, 1°B e 1°C, Scuola Elementare di Cotignola. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola; insegnante accompagnatrice Graziella Maurizi. Cinque incontri per sezione di due ore ciascuno; da ottobre a dicembre 2002 (cadenza quindicinale).1 Progetto e scrittura: Massimiliano Fabbri; conduzione: Massimiliano Fabbri e Marzia Bianchi.

Il laboratorio sulle lettere si pone l’obbiettivo di facilitare la conoscenza e l’apprendimento dell’alfabeto tramite l’utilizzo di tecniche grafico-pittoriche che stimoleranno un atteggiamento ludico e creativo; un approccio che ci permetterà di guardare le lettere da un punto di vista puramente estetico ed artistico: l’alfabeto diventa così un materiale plasmabile, adatto a continue trasformazioni ed invenzioni: un insieme di segni che saranno studiati, stravolti e modificati a fini espressivi. Il filo rosso che attraverserà tutti i momenti di questa esperienza sarà perciò costituito dall’alfabeto, alfabeto che diventerà, nelle nostre intenzioni, una miniera inesauribile di stimoli e ricca di spunti di lavoro: dalla forma grafica della lettera ad un’attenzione rivolta al suono, (per non parlare delle catene di parole che le lettere, e le immagini, portano con sé).

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• Solitamente i nostri laboratori hanno cadenza settimanale, in questo caso si è deciso di 222 allungare i tempi tra un incontro e l’altro per dar modo alle insegnanti, su loro richiesta, di affrontare e studiare in classe, nel frattempo, nuovi gruppi di lettere.

Questo percorso porterà alla costruzione di una serie di oggetti che accompagneranno la vita scolastica del bambino: il primo sarà un abbecedario un po’ stralunato che è stato realizzato dai maestri della Scuola Arti e Mestieri e che i bambini, oltre che leggere, potranno colorare e disegnare; il secondo, che sarà invece ad opera dei bambini, è di un libro-scatola, un contenitore che raccoglierà un intero alfabeto da loro realizzato. Per ultimo un grande cartellone con un alfabeto creativo, realizzato dal maestro d’arte, che sarà allestito in classe.

Ciò non significa e comporta un allontanarsi dagli obbiettivi scolastici proposti dalle maestre, al contrario questo laboratorio aiuterà e rafforzerà l’attività che si svolgerà in classe pur mantenendo la propria specifica identità. L’atelier ci permette infatti di rovesciare situazioni un po’ statiche stimolando uno sguardo che non si esaurisce nel gioco o nell’invenzione bizzarra, ma che è in grado di mettere in moto un meccanismo e processo di conoscenza, e quindi di crescita. Il laboratorio può essere inteso come una sorta di palestra in cui si affinano le sensibilità e in cui si attivano i collegamenti. Quello che riusciremo ad affrontare nel laboratorio sarà quindi una minima parte rispetto alle molteplici possibilità che possono scaturire da questo tema; ci auguriamo però, e qui risiede parte della nostra scommessa, che il laboratorio rappresenti uno stimolo tale da prolungare l’attività anche fuori dal nostro intervento. La scelta stessa dei materiali utilizzati non è ortodossa proprio perché si vogliono offrire e mostrare una serie di direzioni che saranno utili, al bambino come all’insegnante, per estendere “all’infinito” la ricerca, così da poterla intrecciare con l’abituale programmazione scolastica. L’atelier è pensato in maniera aperta ed elastica, cosa che permetterà di adattarlo, farlo crescere e svilupparsi in base alle esigenze e alle sensibilità dei bambini che vi parteciperanno.


La fabbrica delle lettere Disegni di Massimiliano Fabbri

• Le T si prestano volentieri a fare le facce. • Il signor Sergio ha un serpente sorprendente che si sveglia sempre alle sei saltellando sopra la sedia una simpatica samba. • Una M che muggisce, o da latte; la M di macchia. • Una I - gnuda. • Una R un po’ rotta: una R da rattoppare, rappezzare, riaggiustare; una R da riciclare oppure da rimediare. • La P di pesciolino. Eppur non mi so spiegare, ma il mare mi mette una certa malinconia, sì esatto, malinconia che non va più via.

Questo gioco ha potenzialità pressoché illimitate (si può giungere alla costruzione di storie); inoltre stimola uno sguardo sempre nuovo e critico che porta e conduce all’invenzione e a sorprendenti associazioni mentali e visive.

> Ipotesi di lavoro Un avvio molto semplice sarà costituito da alcune lettere già disegnate che i bambini dovranno colorare (la scelta delle lettere può avvenire casualmente oppure sarà indirizzata dall’insegnante, ad esempio le vocali o le iniziali del proprio nome). Questa partenza, che può apparire quasi banale, sarà pretesto per inserire alcune tecniche come il frottage e la tempera (con la tempera passeremo dal graffito al monotipo sino alla pittura con sabbia e vinavil). Se il primo approccio è molto libero ed istintivo il passo successivo inserisce l’associazione tra la lettera ed una parola che abbia quella lettera come iniziale: il bambino dovrà ora rappresentare qualcosa, sia questo un animale, un colore e così via (la T di tigre sarà striata, la B di blu sarà ovviamente blu, la A di aria potrà essere trasparente oppure piena di buchi). Al bambino viene offerta e messa a disposizione, in questa fase, una gamma di strumenti e tecniche molto varia che potrà cambiare ed adattarsi in relazione alla lettera ed al tipo di rappresentazione scelta. Prendiamo ad esempio la T di tigre: il bambino potrà dipingere la lettera con striature che ricordano il manto del felino (dal frottage con pastelli a cera alle chine) ma potrà anche graffiarla con un chiodo o un punteruolo perché ha pensato ai terribili artigli; da qui si può compiere un ulteriore salto “barocco” trasformando il segno grafico per rappresentare in modo più descrittivo e meno concettuale l’animale (come quando antropoformizziamo le lettere). Ma il processo può essere impostato in maniera inversa e dalla lettera, per forma intuitiva, possiamo arrivare ad un’immagine. Mobilità e slittamenti.

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La fabbrica delle lettere

> Elenco delle tecniche • Il frottage

La texture e il frottage con i pastelli a cera: i bambini pescano ed attingono da uno scatolone pieno di oggetti ruvidi come reti, cartoni, carte da parati, foglie, cortecce, ecc. Ciò permette un approccio molto semplice ed immediato che si rivela capace di stimolare immagini e generare superfici molto interessanti.

• La tempera

La tempera. Le potenzialità della pittura sono abbastanza ovvie: dal segno al colore steso per campiture fino a tecniche un po’ più particolari come la tempera mescolata a sabbia e vinavil per avere lettere tattili, tempera ed acqua per giocare su lievi imperfezioni e morbidezze oppure il monotipo (che possiamo utilizzare con lettere simmetriche come la T, I, O, H, A, V).

• La china

La china si presta ad una serie di lavori che vedono nel segno il loro comun denominatore; la china inoltre si trova perfettamente a suo agio, secondo noi, nelle tecniche miste. E poi possiamo usarla con i pennelli, ma anche con le penne o i pennini (per scrivere come si “faceva una volta”).

• Il collage 224

Il collage in tutte le sue possibili varianti, dall’uso di carte che sviluppano una ricerca ed un’attenzione sul colore fino ad un lavoro più tattile in cui entrano diversi materiali, duri, morbidi, lisci e ruvidi. Lettere con tatto.

• Chiodi e punteruoli

Una serie di oggetti foranti e graffianti per lavorare contemporaneamente sul visivo e sul tattile, sopra e all’interno della superficie della carta.

Disegni dei bambini

Tutte queste tecniche porteranno ad una forte caratterizzazione delle singole lettere: quest’aspetto si può rivelare utile nel processo di apprendimento del bambino. Prima di concludere vogliamo sottolineare come il laboratorio avviato quest’anno con le classi prime possa essere sviluppato negli anni seguenti attivando un percorso che potrebbe accompagnare i bambini per i primi due-tre anni della Scuola Elementare. Il tema, come già è stato ribadito, offre molteplici spunti e possibilità: dall’accentuazione delle caratteristiche grafico-pittoriche (aiutandosi, sbirciando e strizzando l’occhio al lavoro di alcuni artisti come Kounellis, Licini, Schnabel, Basquiat nei cui quadri la parola o la lettera è spesso presente) ad un lavoro che privilegi gli aspetti grafici e l’organizzazione visiva della pagina, come è stato per i futuristi russi ed italiani, altri movimenti di avanguardia, e tutto il versante della verbovisualità. Ma anche, e qui apriamo un’altra finestra, la bellissima scrittura dell’Islam piuttosto che gli ideogrammi cinesi… (I libri-scatola realizzati dai bambini sono stati esposti nel maggio 2003 sotto il portico della biblioteca di Cotignola.)


pagina futurista

pagina dada

Julian Schnabel Osvaldo Licini

Per quanto riguarda il laboratorio rivolto alle classi prime rimandiamo al progetto che è stato redatto per le Scuole Elementari di Cotignola; il programma delle attività e la successione degli incontri rimangono pressoché immutati, l’unica differenza sostanziale consiste nella cadenza del laboratorio che sarà quindicinale a Cotignola e settimanale a Barbiano. L’atelier delle lettere è un laboratorio essenzialmente grafico-pittorico e porterà alla costruzione di una scatola-libro in cui ciascun bambino raccoglierà il proprio alfabeto “artistico”: le lettere saranno caratterizzate ed elaborate con mezzi e tecniche diversi, dal frottage alla pittura, dal disegno al collage. L’alfabeto diventa materia e motivo su cui lavorare e, allo stesso tempo, pretesto per sperimentare, scoprire e conoscere linguaggi e tecniche espressive. Un laboratorio che è luogo di piccole invenzioni. Questa programmazione si estenderà anche alle classi seconde e terze, tenendo conto naturalmente delle differenze d’età e conseguenti conoscenze e capacità dei bambini. Questa sezione del laboratorio svilupperà maggiormente le associazioni che si creano tra le lettere, sia da un punto di vista concettuale sia da un punto di vista grafico; nel primo caso pensiamo ad un lavoro simile all’abbecedario creato da AeM, nel secondo vogliamo avvicinarci ad un lavoro che si ispira alle ricerche dei futuristi italiani e russi, come ad esempio i libri di Depero o le pagine verbovisuali di Marinetti e a tutto quel versante delle avanguardie e delle arti visive che hanno dato centralità alla parola nella sua accezione segnica, grafica e simbolica. Cavalcando questa direzione è possibile impostare un atelier in cui l’attenzione sia rivolta anche al suono della lettera (disegnare onomatopee); lavorando sul fonema una R può diventare, ad esempio, il rombo di un motore oppure la S potrà sibilare come un serpente o passare veloce nel cielo come una saetta. Costruiremo un libro con le lettere dell’alfabeto che, trasformate intelligentemente, diventano personaggi, animali, addirittura situazioni che possono anche generare delle storie (pensiamo a certi procedimenti di Rodari); oppure realizzeremo un libro futurista che non sarà solo da leggere ma anche da guardare. Oppure potremo spostarci sul segno e allora la pagina diventa un quadro, uno spazio che si apre ad una sorta di scrittura automatica, una non-scrittura anteriore al linguaggio, un alfabeto emotivo; nuovi codici. Le direzioni che si possono prendere all’interno di questo laboratorio sono molteplici e quasi infinite ed è nostra intenzione lasciarle aperte per permettere a questo progetto di crescere ed adattarsi su ed intorno a quelle che saranno le sensibilità e richieste dei bambini, delle insegnanti e di noi maestri d’arte, cercando oltremodo di collegarsi alla programmazione scolastica.

Jean Michel Basquiat

Francis Picabia

Jannis Kounellis

La fabbrica delle lettere Lo stesso laboratorio è stato anche attivato presso la Scuola Elementare di Barbiano nelle classi prime, seconde e terze. Anche qui cinque incontri per sezione di due ore ciascuno, a cadenza settimanale; da novembre a dicembre per la classe prima, da gennaio a febbraio per le classi seconde e terze. Il laboratorio si è svolto presso la Casa di Arti e Mestieri di Barbiano; conduzione: Marzia Bianchi.

Henri Michaux

Tancredi

Cy Twombly

Giuseppe Capogrossi

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L’alfabeto scherzoso dell’Arti e Mestieri di Massimiliano Fabbri


3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine 3.2 La fabbrica delle lettere

3.2.B Ogni lettera un mondo

Se la “T” sarà striata come la tigre di cui è l’iniziale, allora la “A” sarà arancio come l’arancia che si mangia e il colore che accende i giorni; oppure sarà trasparente con l’aria e piena di buchi dice il maestro e pensano, da sempre, i bambini che sanno bene che ogni lettera ha diversi caratteri, tanti quanti sono i nomi che la abitano racchiusi nelle sue diverse forme. E sanno bene che ogni “O” porta con sé il loro orsacchiotto; anzi che forse la “O” meglio dà conto della rotondità del loro orsacchiotto. Forse le lettere vanno guardate meglio, da più vicino e soprattutto vanno dispiegate, come srotolate. Un intero cosmo abita l’alfabeto; anzi l’alfabeto porta con sé il cosmo, matrice com’è di parole e quindi di “mondo”. È sul presupposto di scardinare il rischioso silenzio della lettera scritta con l’eventualità di rimanere priva di vita, di eco e di parole che la rendano vibrante, che il maestro d’arte apre i bambini ai numerosi, multipli e sopratutto narranti e narrabili alfabeti di lettere che non sono più solo segni, ma richiami, evocazioni, allusioni e inizio di catene di immagini e significati. Catene così ricche , ma anche vaganti e danzanti che vanno poi, come si fa da sempre, chiuse in scatole apposite che sono in realtà microcosmi perfetti che brulicano e tengono ferme le lettere che sono già pronte a danzare per incontrare le cose del mondo che le attendono. Una sorta di giostra surrealista da una parte e di fiaba all’Andersen dall’altra si dispiegherà quindi ridando “colore” alle lettere; dare “colore”, avere “colore” vuole anche dire avere “carattere”, essere un “carattere”! E le lettere possono essere scritte con diversi caratteri e quindi hanno anche diversi CARATTERI. O meglio sono sempre se stesse eppure diverse: una “T” porta con sé la spietata crudeltà di una tigre, dei suoi artigli e il fasto del suo manto, ma anche la rotondità fremente e pelosa di un topo che corre appunto via da una tigre. Come nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie, allora ogni lettera è in colloquio con la fantasia del bambino e con il suo vocabolario che si può in qualche modo “attaccare” ad ogni lettera letta e incontra-

ta come in un ampio lungo girotondo di parole che sono ovviamente colorate; una lunga catena di parole che, come biglie, sono marchiate dalle proprie lettere iniziali, per intanto. E ogni biglia/parola è sia un mondo a se stante variopinto e colorato, rutilante, ma anche una parte del più ampio sferico mondo. Da sempre si è giocato con le lettere e con la loro profondità e con la loro pura meravigliosa forma così carica e densa di sensi e significati; i frati amanuensi, gli stampatori fantasiosi, i poeti-pittori e i pittoripoeti hanno fatto di ogni lettera il contenitore di paesaggi, lavorando, come pare accennare il maestro, sul capriccio, il bizzarro e l’estrosità che sono pieghe che il lavoro artistico e artigianale hanno sempre coltivato a fronte della intenibilità della fantasia che vaga, da ancor prima dei nostri Medioevi, fra la natura e le visioni della mente. Capriccio, bizzarria, estrosità che hanno prodotto e lasciato andare lungo le pagine dei codici medioevali e dei libri futuristi fantasmagoriche forme che imprigionavano, ampliavano, facevano debordare la forma conchiusa della lettera che è stata, nell’arte dello scrivere, strattonata in diversi modi; come se così si potesse meglio padroneggiare la sua profondità e nello stesso tempo la sua stessa enigmatica potenza evocatrice. Il passato viene qui in qualche modo evocato quando si parla, a proposito della china, dello scrivere come una volta aprendo tutto un possibile approfondimento lungo la calligrafia e tutta l’arte della mano in relazione a penne, pennini , pennelli e inchiostri o colori più o meno liquidi che devono stare dentro la lettera, anzi la devono definire. Ma a secondo delle tecniche usate le lettere che sorgono dalle mani dei bambini hanno, come già si accennava sopra, diversi CARATTERI formali, non più esistenziali, evocando diverse catene di parole, poesie tutte da snocciolare per puro e mero divertimento dello scrivere mille calligrafie diverse per mille voci e ritmi e toni. Quindi avremo lettere più dense e pastose, lettere più asciutte e rastremate, lettere più svolazzanti, lettere più libere e trascorrenti: chissà che carattere hanno, chissà che suono hanno, chissà che parole possiamo avvicinare loro... ma ci saranno anche lettere che gridano, vicine

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come sono al graffito, al graffio della mano e del braccio di qualcuno che passa e lascia una traccia. Lettere dell’emozione libera e intrattenuta che sono diversamente apparentate con quelle delle emozioni trattenute, controllate, governate ogni giorno. Certo è che i bambini in questa manipolazione grafico-pittorica, come dice lo stesso maestro, spostano le lettere dalla sequenza di un alfabeto messo in un ordine severamente scolastico per farne pezzi di una sorta di gioco mobile disponibile in diversi modi e forme, come se le lettere fossero mattoncini per pure e aree composizioni visivamente accattivanti. Ma anche così, in questa loro materializzazione diversamente spessa e densa, restano leggibili aprendo il bambino a un rapporto con la letteratura attraverso un balletto futurista o dada composto mettendo insieme parti di sapere e di pratiche culturali fra loro anche eterogenee aprendole all’incontro e alla contaminazione. Per altro è questa sperimentazione fra suono, mano, forme codificate e segni chiusi ma apribili, fra catene di azioni, gesti, segni , forme codificate e significati, fra libere associazioni, scivolamenti che si installa la

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poesia e la pura gioia della percezione gustosa di segni e forme. Perché la poesia è incanto per una mano impegnata a completare attentamente la curva di una “O“ per esempio, affinché sia ben aperto, disteso e ampio l’ombrello che ci sta dentro e che viene fuori e appare magrittianamente nell’aria insieme allo stesso segnare, disegnare, tracciare la lettera “O”. Lettera “O” che è anche un’esclamazione di una bocca che è aperta, ma anche di un occhio chiuso o molto aperto.... Eh! Sì! Le lettere sono forme e “punti” originari e originanti sequenze; moduli da mettere dentro in una scatola in ordine per farne diverse e sempre più complesse “Torri di Babele”. Ora molto dipende anche da come si disegna la “O” e tutte le altre sue consorelle. Disegnare, scrivere e altre modalità di lasciare segni e tracce sono da sempre parenti perché intanto sono la traccia lasciata da qualcuno che è passato di lì, in quel luogo, sul quel foglio con una storia e forse delle intenzioni e forse un invito. E tutto un mondo fosse anche solo per una lettera!


3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine

3.3 Librarte Atelier di pittura e disegno finalizzato all’ideazione e costruzione di libri artigianali; quarta A e quarta B, Scuola Elementare di Cotignola. Laboratorio mattutino presso la Scuola Arti e Mestieri; insegnante accompagnatrice Lidia Sansoni. Sette incontri per sezione1 di due ore ciascuno; da febbraio ad aprile 2003. Progetto, scrittura e conduzione del laboratorio: Massimiliano Fabbri.

Siamo giunti quest’anno alla conclusione di un lungo percorso intrapreso cinque anni fa e che ha accompagnato la classe di Lidia Sansoni per tutto l’arco del ciclo scolastico elementare. Questa esperienza è da annoverarsi tra le più significative nell’ambito delle collaborazioni tra la Scuola Elementare (e non solo) e la Scuola Arti e Mestieri, prima di tutto per la continuità e la centralità riservata all’atelier d’arte; in seconda battuta per gli ottimi risultati raggiunti che vanno dalla crescita costante del singolo individuo a quella del gruppo, gruppo che ha affinato una sensibilità e curiosità comune, un sentire collettivo che si è rivelato più che interessato alle cose d’arte, quasi che queste rappresentassero una necessità o fossero frutto di un’urgenza irrinunciabile. (Ciò ci dimostra l’esattezza del nostro cammino e rappresenta motivo d’orgoglio - ogni tanto c’è bisogno di ricordarsi che si sta dalla parte giusta -). L’atelier della creta e della ceramica nei primi due anni (Un giardino incantato), i mascheroni di cartapesta ispirati al lavoro dell’artista cotignolese Luigi Varoli in terza, e ancora la cartapesta, l’anno successivo, per i burattini, più i volti disegnati in occasione 2 della Città dei Bambini, sono solo alcuni degli snodi fondamentali di questa architettura a cui si aggiungono altri momenti che non si esauriscono nell’ambito degli interventi scolastici, come ad esempio i pomeriggi di AeM. Si è trattato quindi in prevalenza di laboratori di manipolazione, ma non sarebbe del tutto corretto chiuderli ed esaurirli in una definizione che ne limita la portata e le aperture; la cartapesta, sia per i mascheroni che per i burattini, ad esempio, è stata introdotta ed anticipata da un consistente e corposo lavoro sul disegno: per le maschere abbiamo scoperto il Museo Varoli dove parole e disegno hanno permesso ai bambini un rapporto più intimo e significativo con le opere, per i burattini abbiamo disegnato e dipinto facce fino ad arrivare all’invenzione di personaggi da cui sono scaturite relazioni e reazioni che hanno portato all’ideazione di storie che sono poi state utilizzate nello spettacolo finale. Disegno e pittura che sono sempre stati presenti, non solo come e in fase progettuale, ma anche come indagine autonoma in cui sperimentare tecniche e conoscere possibilità espressive lontane da stereotipi rappresentativi (con il disegno dal vero senza gomma, con il carboncino, la china usata a pennello eccetera.) (Abbiamo fatto cose mature ed inattese e che hanno sorpreso, in primo luogo, noi stessi operatori.) Questa attitudine allo scambio tra discipline ed ambiti diversi, che possono e debbono essere attraversati da un atteggiamento artistico, è diventata quasi motivo all’interno del nostro percorso; ciò ha portato l’insegnante Lidia a suggerire ed indicare per l’anno in questione una proposta che ci è parsa da subito stimolante: essa ruota intorno al tema della narrazione e del racconto, ed in particolare si sofferma sui rapporti che si possono instaurare tra l’immagine e la parola. Il libro ci è sembrato di conseguenza un materiale (oggetto e contenuto) estremamente interessante su cui costruire il nostro laboratorio (è da qualche anno che AeM si occupa molto di libri realizzati dai bambini, libri artigianali ed artistici che sono spesso presenti nelle nostre programmazioni pomeridiane: siamo partiti inizialmente nel “lontano” 1995-96 con gli esempi fornitici da Munari e Pittarello).

> Che tipo di libro facciamo? Di solito i libri si leggono, di libri da guardare ce ne sono un po’ meno e le immagini finiscono spesso per inseguire ed accompagnare le parole, insomma le figure vengono dopo la storia; noi partiamo ribaltando questo rapporto mettendo in atto una sorta di sguardo alla rovescia dove sono le immagini a venire prima di tutto: esse influenzano ed indirizzano quella che sarà la storia e l’andamento narrativo del libro. Si tratta di una sorta di trucco o metodo fantastico non

Lettura animata nel cortile di Casa Varoli. Fotografie di Daniele Casadio.

1

• Entrambe le classi erano composte da quindici bam-

2

• Cfr. par. 2.1.1, 2.1.2, 2.1.3 e 5.1

bini.

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Librarte dissimile a certe operazioni di Rodari che si basano su associazioni casuali ed estemporanee e che portano ad un tipo di costruzione del racconto che succede in divenire (come una palla di neve che ruzzola ingrossandosi sempre più), imprevedibile, libero ed aperto, quasi surrealista.

Gianluigi Toccafondo

Ad esempio un bambino disegna un omino o una faccia e gli da un nome; quando questo si incontra con la creatura di un altro bambino abbiamo già una potenziale storia che scaturisce da questo “conflitto”. Mettendo insieme cose, persone e situazioni create individualmente dai bambini, si accendono scintille da cui può nascere un racconto, una traccia narrativa latente (in ogni disegno) che i bambini dovranno dipanare e sciogliere, questa volta, collettivamente. Noi di AeM ci occupiamo di immagini e questa sorta di metodo per inventare storie ci permette una piena libertà nella fase del disegno e pittura (non ci preoccupiamo ancora e da subito che le cose debbano stare insieme); così facendo evitiamo anche il pericolo dell’illustrazione, un ambito quest’ultimo che potrebbe risultare un po’ rigido e perfettino, forse noioso (la mia non è una presa di posizione contro l’illustrazione, ci sono autori come la Ghermandi e la Giandelli, Mattotti e Toccafondo, per citarne alcuni, che amo molto). Nel nostro caso quindi l’immagine non è una parentesi, ma lo scheletro, l’anima e il corpo stesso del libro.

Partiremo presentando alcune tecniche e possibilità, strade diverse che porteranno con sé tipi differenti di racconto; come già detto in precedenza la narrazione si plasma e si adegua al tipo di immagini che vengono prodotte. I bambini, che lavoreranno in piccoli gruppi, sceglieranno così le indicazioni poetiche, le tecniche e la direzione da seguire in base al libro che vogliono realizzare. A questo proposito verrà mostrato loro un ventaglio di possibilità concrete anche attraverso libri di autori diversi, che non rappresenteranno ovviamente un modello dogmatico, ma un insieme di punti di riferimento adatti ad essere mescolati e confusi, attraversati liberamente e messi un poco sottosopra.

Francesca Ghermandi

Il lavoro sarà collettivo ma presenterà al suo interno più di un momento squisitamente individuale; questo insieme di frammenti “singoli” saranno poi intrecciati e messi in relazione dalla storia.

> Un laboratorio di pittura. Il laboratorio sarà essenzialmente grafico-pittorico; segni e colori, immagini che costruiremo con matite morbide, tempere ed acrilici, chine e pastelli a cera, pastelli ad olio, frottage e collage, tutto all’insegna delle tecniche miste. In parte, i materiali, i mezzi e le tecniche utilizzate forniscono già un indirizzo o direzione ipotetica anche se rimarrà sempre una certa promiscuità (che è già anche nella e della convivenza di immagini e parole).

Gabriella Giandelli

> Fuori le storie. Non proprio o non solo storie, ma anche temi o motivi ricorrenti, semplici pretesti che legano e passano tra i disegni; un accumulo ed incontro che hanno già, nella loro sequenza, la particolarità e caratteristica di essere un piccolo viaggio: dal bestiario al libro di facce ed espressioni, da un libro diario di oggetti recuperati e trovati casualmente, o a cui si è legati affettivamente, ad uno di immagini astratte che i bambini realizzano sotto l’influsso del demone della pittura. Gli spunti possono essere molteplici e pressoché infiniti: un libro di buchi, graffi e carte (Tapies e Fontana), o uno con formati strani, un libro dei mostri interscambiabili, una collana di microlibri. Lucio Fontana

Lorenzo Mattotti

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Antoni Tapies


Librarte > Qualche esempio. Un libro potrà essere quello con i disegni fatti a pennello con la china nera (con la quale possiamo anche usare il foglio bagnato per ottenere segni acquatici, morbidi e pelosi); in un secondo momento sovrapponendo alla china asciutta il pastello a cera, anche con il frottage, otteniamo effetti particolari e raffinati che possono ricordare un po’ i disegni di Mattotti e Luzzati nonchè la forza ed energia della pittura espressionista. Diversi spunti possono attraversare questi disegni a livello tematico e narrativo; ne prenderemo in considerazione tre: le facce, il bestiario e i personaggi.

Con le facce ci riallacciamo ad un lavoro già incontrato lo scorso anno in cui avevamo avviato, con queste classi, un’indagine sulle espressioni; in questo caso partiremo da un cerchio sempre uguale che diventerà ogni volta un volto diverso in cui inscrivere e descrivere stati d’animo e caratteristiche fisiognomiche. Un lavoro non solo di invenzione e studio di facce, ma in cui rientra anche la sperimentazione sul segno: disegnando direttamente a pennello, senza una traccia sottostante a matita, si avrà un atteggiamento più fresco e disinibito e, allo stesso tempo, di grande attenzione e concentrazione. L’idea che invece sta alla base del bestiario è, se possibile, ancora più semplice: una galleria di animali improbabili che ci porta in un mondo fantastico e sorprendente.

Altan

(Moltissimi autori si sono confrontati con questo tema: Altan, Topor, Luzzati, Pazienza.)

Questo tipo di operazione e libro permette di passare con grande naturalezza, e senza forzature faticose, dalla singola ed individuale creazione alla stesura e realizzazione del libro collettivo. Inoltre qualsiasi tecnica può rientrare e perciò non ci si affiderebbe solamente alla china ma ad un insieme di materiali, tecniche e modalità che potranno anche essere ispirate da un autore preso in esame. Il libro dei personaggi sarebbe sempre un’altra galleria eterogenea di tipi e soggetti a cui si potrebbe aggiungere un filo rosso, tema ricorrente o tormentone che compare e attraversa tutti i disegni. Basterà così un piccolo oggetto a donare continuità, poesia e movimento a questo libro; il gioco potrebbe consistere e partire da una piccola imposizione assolutamente vincolante: ogni bambino deve far comparire nel suo disegno un palloncino, una piuma, una foglia, una mosca, un uccellino, una lucertola ecc. Oppure potrebbe esserci un tema più serrato e vincolante: il libro rosso dell’amore, quello nero della paura e così via; i personaggi dipinti saranno chiamati a muoversi e modificarsi su questi sfondi integratori (il libro dei colori, il libro delle cose gialle, il mondo è blu). Il secondo quaderno proposto è di pittura pura e porterà alla realizzazione di un libro astratto dove ogni pagina è un vero e proprio quadro. Tempere, sabbia, segatura, vinavil, chine, acqua, pennelli, spatole, rulli, bacchetti, posate, cannucce, stampi ed oggetti per impronte, frottage; ecco l’elenco parziale degli ingredienti di cui è composta questa ricetta a cui possiamo aggiungere ed intrecciare un espediente narrativo: un bambino e una bambina entrano e passano da un dipinto all’altro in una sorta di viaggio meraviglioso e surreale, quasi iniziatico (ogni immagine è una sorta di passaggio e finestra su di un altro mondo).

Emanuele Luzzati

Questi dipinti saranno veri e propri paesaggi mentali, galassie, fondi marini, corpi e cellule, dal micro al macro, un viaggio ai confini della realtà. I due protagonisti, a cui accennavo in precedenza, potrebbero modificarsi e trasformarsi a seconda dell’immagine che li accoglie, quasi come camaleonti involontari o come succede ad Alice con i funghi.

Questo espediente narrativo apre fortissimamente all’arte moderna e quindi ad un suo largo utilizzo con, per ed insieme ai bambini: come si vive o, più semplicemente, come si cammina o ci si muove dentro ad un determinato quadro? Come ci influenza un’immagine? Cosa succede al nostro corpo e al suo modo di rappresentarlo se ci troviamo dentro ad un Mirò o ad un Kandinskij o ad un Klee? (I dipinti sono finestre che permettono l’accesso ad un mondo inesplorato e stupefacente; ipotetico titolo: viaggio nella pittura, perduti nel colore.) Il terzo ed ultimo esempio si ispira ad alcune tecniche surrealiste o di cut-up; l’assemblaggio di cose incongruenti o l’incontro casuale e bizzarro di parole generano immagini e racconti scintillanti ed imprevedibili. Portiamo questa attitudine direttamente nel mondo delle immagini grazie ad una scatola che contiene foto e riproduzioni disparate e dalla quale i bambini pescano figure che vengono perciò associate in modi e maniere imprevedibili ed inattesi; le relazioni assurde e sorprendenti che si innescano tra le immagini mettono in moto una serie di meccanismi che porteranno all’invenzione

Andrea Pazienza

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Roland Topor


Librarte di storie affascinanti ed improbabili. Questo è il libro più narrativo, al suo interno possono confluire le più disparate tecniche, dal fumetto alla pittura, dall’illustrazione all’uso di fotocopie ritoccate graficamente, dal collage all’illustrazione. (Tra gli innumerevoli riferimenti citiamo i collage dada e surrealisti e il lavoro di Toccafondo.

> Conclusioni. Questi esempi non possono che essere parziali e limitati poiché partiremo seguendo quelle che sono le indicazioni dei bambini, le loro idee ed aspettative maturate nel periodo precedente e di preparazione al laboratorio (tra questi la visione in classe di alcuni libri molto importanti e belli come Piccolo giallo e piccolo blu di L. Lionni). Lo scritto riportato qui sopra anticipa il laboratorio, si tratta infatti del progetto consegnato all’insegnante all’inizio dell’anno scolastico, va da sé che alcune cose abbiano poi preso una strada leggermente diversa o una piega non del tutto prevista perciò eccovi l’elenco definitivo dei libri prodotti in questo laboratorio.

• Libridine (non studiate questi libri) > (Cartello della mostra La Scuola Degli Sguardi tenutasi a Cotignola presso Palazzo Sforza nel maggio 2004.) Libri da leggere e soprattutto da guardare, veri e propri libri d’artista realizzati dai bambini delle classi quinte della Scuola Elementare e dai bambini e ragazzi della Scuola Arti e Mestieri (anno scolastico 2002-2003 e 2003-2004). Come abbiamo cominciato? Si sono proposti ai bambini alcuni temi che potevano diventare il soggetto da seguire per l’ideazione del libro. Tra questi il bestiario, le facce e i personaggi, la pittura astratta. I bambini hanno frullato queste indicazioni prendendo e mescolando diversi ingredienti. La particolarità di questi libri è che rovesciano il consueto rapporto testo- immagine; prima di tutto vengono le figure, che non sono proprio mute, ma aspettano qualcuno che ci metta le parole. Così prima ci mettiamo le immagini, che accumuliamo senza preoccuparci della storia e le parole, che vengono dopo, sorprendono perchè non avremmo mai potuto pensarle prima (sembrano quasi più intelligenti di noi, ma ciò è forse merito delle associazioni che nascono e scaturiscono tra le immagini). Così facendo è più facile e divertente creare un racconto perchè questo esce in modo imprevedibile e stupisce anche chi lo crea; questo metodo permette inoltre di non intaccare la freschezza iniziale del disegnare e del dipingere. Perciò non studiate questi libri ma bevetevi le immagini e magari inventatevi altre storie. Questo gruppo di libri è stato esposto in due occasioni: la prima nel maggio 2003 sotto il portico della biblioteca in una specie di mostra-allestimento di libri liberati, la seconda nella sezione libresca della mostra La Scuola Degli Sguardi che si è tenuta a Palazzo Sforza nel maggio 2004; questa collana è oggi conservata nel Minimuseo di AeM.

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La mostra dei libri sotto il portico della biblioteca. Fotografie di Daniele Casadio.


Librarte

> Fuori i titoli • Topofante e il mondo delle bisce

Un libro che parte dall’arte astratta ed incrocia il bestiario: il viaggio di Topofante avviene infatti dentro alla pittura astratta; calandosi ed avventurandosi in queste immagini questo buffo animale scoprirà, grazie al suo virgilio Besciamella, il mondo delle bisce e la terribile guerra che le attende. 26 pagine con 13 dipinti astratti più copertina dipinta, cm 25x35; autrici: Chiara ed Erika.

•Topofante e i 12 portali

Arte astratta e bestiario: ogni dipinto astratto è un luogo fantastico, incredibile ed inatteso a cui Topofante accede tramite portali magici in una sorta di viaggio iniziatico. 18 pagine con 10 dipinti astratti più copertina dipinta, cm 25x35; autrici: Alessandra, Laura e Francesca.

• Avventure planetarie tra angelo e diavolo, che competizione!

Tra paradiso ed inferno, una gara tra un diavoletto ed un angelo, che si dipana attraverso l’intero sistema solare; paesaggi mozzafiato e scenari mai visti per un’avventura, è il caso di dirlo, spaziale. 24 pagine dipinte, astratte e semiastratte, più copertina dipinta, cm 25x35; autrici: Margherita, Laura, Ornela e Francesca.

•Il libro delle strade

Un libro quasi psichedelico dove ogni dipinto astratto è un viaggio, una strada multicolore da percorrere e seguire; tutto comincia con un tornado da cui si formano turbini d’aria e polvere… 24 pagine dipinte, più copertina, da Giulia, Veronica e Chiara; cm 25x35.

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Librarte • Fogh artifiziel

In questo libro i dipinti astratti diventano ricchi e suggestivi fuochi artificiali che piombano all’improvviso su di una monotona e poco fantasiosa cittadina in bianco e nero, sconvolgendola allegramente, cambiandone abitudini e percezioni. Libro bilingue: dialetto romagnolo ed italiano; 32 pagine dipinte fronte e retro con immagini astratte, ad opera di Giulia, Chiara e Veronica. Una chicca di questo libro è rappresentata dalla valorizzazione che queste bambine hanno fatto del retro del foglio dipinto che, con tutte le sue macchie, sgocciolature, ditate e strisciate casuali, diventa altrettanto interessante, pittorico e raffinato, del dipinto “buono” sull’altro lato; questa sporca superficie imbrattata è stata elaborata con tocco lieve e gentile divenendo piacevole, fresca e leggera.

• Il desiderio

In questo libro tutto blu, romantico e sognato, una bambina di nome Cloe vede una stella cometa cadere ed esprime un desiderio: si trova catapultata nei suoi sogni; la aspetta un incredibile viaggio insieme ad un simpatico delfino. Un libro poetico ed incantato ad opera di Btissam, Cristina, Laura e Martina; 18 pagine di cui 9 dipinte, cm 25x35. Da immersione

• Storia monca di tuttomonco

Una storia metropolitana che vede un tipo un po’ “sfigato” essere trattato in malo modo (e buscarle di santa ragione) da un arrogante ed insensibile buttafuori che non gli permette di entrare in un locale; il nostro eroe si rifarà alla grande battendolo clamorosamente, ed in maniera perentoria, ad un quiz televisivo. I personaggi di questo libro sono realizzati con il gioco delle facce di china (quello con il cerchio) a cui si è aggiunta una parentesi abbastanza ampia di pittura astratta; su questi fogli astratti sono stati incollati, in seguito, i personaggi ritagliati. 38 pagine, 19 personaggi di china, cm 35x25; autori: Alessandro, Alessandro, Andrea, Federico, Lorenzo, Stefano, Vittorio.

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• 46 personaggi in cerca d’autore

Una scatola A4 assemblata dall’atelierista in cui sono raccolti i quarantasei personaggi scartati o non utilizzati nella storia di Tuttomonco e che erano rimasti così, un poco all’angolo, anche se molto belli. Autori: Alessandro, Alessandro, Stefano, Vittorio, Andrea, Lorenzo, Federico.

• Tutto per una vacanza

La vacanza al mare di una quasi tranquilla famiglia, la famiglia Capello Pom, si trasformerà in un piccolo incubo visionario ed estremamente surreale, anche divertente poiché alla fine di questo racconto la famiglia “normale” si animalizzerà” finendo per ritrovarsi in spiaggia sotto il nome di Hanimal Capello Pom. Il libro è un bestiario di 22 pagine disegnate e dipinte ad opera di Giuseppe, Luca e Michael e misura 35x50 cm.

• I transfanimali verso il circo

In questo bestiario due simpatici ragazzi ed un clown si ritrovano a vivere avventure separate attraverso il bosco e la savana; dopo molte peripezie si incontreranno e riconosceranno pur se trasformati in incredibili e bizzarri animali. Il circo offrirà a questi tre “disgraziati” un’occasione di riscatto attraverso il lavoro. Samuel, Niccolò, Marco e Mattia gli autori di questo libro che misura cm 35x50 e conta 22 pagine disegnate e dipinte.


3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine 3.3 Librarte

3.3.C In principio era uno scontro… no, meglio: un incontro

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Forse come viene detto dal maestro ogni storia nasce da un conflitto, ovvero dall’incontro fra fatti, persone, situazioni, paesaggi che devono trovare una sorta di armonia, un nesso, un legame e uno sfondo accettabile per poter coesistere ed esistere insieme e forse anche dialogare. Una storia forse è il dialogo e l’interazione, il parlare fra elementi fra loro a volte, da subito e apparentemente, compatibili, altre meno e altre meno ancora o per niente: non importa! C’è sempre la possibilità di tracciare una linea, di distendere uno sfondo o di dare un orizzonte a chiunque si incontri. C’è sempre la possibilità di creare “ponti”, “connessioni” e i ponti posso o essere solo e inizialmente linguistici, o solo e inizialmente grafici, pittorici o ambedue. Se si può affermare che a volte: “basta una parola” perché siano messi insieme parti, pezzi e personaggi fra loro lontani ed estranei aprendo l’inizio di una sequenza; qui viene affermato che a volte: “basta una linea” perché avvenga lo stesso. Forse è ancora più immediato, visibile, quasi tangibile. Importante è aver chiaro che lo si può fare; ma per averlo chiaro o il gesto intuitivo del circoscrivere un orizzonte comune a diversi oggetti viene portato a consapevolezza o si comunica, si fa scoprire e si aiuta a circoscrivere un orizzonte comune fra diversi oggetti. È l’orizzonte comune circoscritto intorno a elementi fra loro anche incoerenti, che riesce a dare un ”quadro d’insieme”, “una composizione” e quindi una possibile storia e comunque un evento. L’importante è essere aiutati ad essere generativi, a non fermarsi davanti all’imprevisto degli incontri inattesi o non voluti o come dire “impossibili”; intanto si può stender un fondo, per esempio. Quindi elementi eterogenei e fra loro irrelati possono essere messi a parlare se c’è qualcuno che, assumendosi una certa dose di onnipotenza creativa, faccia emergere nuovi mondi e nuovi paesaggi e nuovi esseri animati e non: generare ha a che vedere con connettere e mettere insieme forme e personaggi trasformando ognuno dei pezzi, ognuna delle

parti presenti in “attori”. Vale a dire che, come la citazione di Leo Lionni ricorda, un pezzo piccolo di carta a forma di palla, può essere, se avvicinato a uno più grande, pensato come “gemmato” da questo e quindi può esser pensato, per esempio, come figlio di quella che è già diventata una madre. Proiettare è operazione da coltivare se si vuole che l’inventività rompa le riga mescolandole e quindi producendo altre storie su “altre” righe; a proposito di surrealismo o di grammatica della fantasia di rodariana memoria. Ma va coltivata anche molto la capacità di giocare a “sposare” e “far nascere” coppie e famiglie che prima non c’erano: giocare implica anche aver voglia, desiderio e tensione di intervenire sugli elementi del mondo per cambiarli e renderli altri, mettendoli insieme in una nuova forma. Una piuma cambia peso, significato e destino a seconda di chi - altro da lei - incontra, dove e come l’incontra. In realtà si tratta di spostare, o meglio di allargare, il gioco del “far finta di...” che i bambini cominciano dopo l’anno di vita travestendosi da altro da sé, su una pagina; si tratta di spostare questo gioco del fingere attraversando le immagini che, come dicevo poco sopra, possono avere una loro specifica potenza evocatrice, foriera di associazioni che, messe insieme, sono già storie e quindi possibili libri. Per altro già così fanno i bambini con le immagini o solo con forme o segni più o meno semplici proprio in parallelo al “gioco del far finta di...”; il loro è un lavoro intorno alla capacità di generare dell’occhio che si avvale della mano sua fedele alleata nel dar vita ai mondi che esso immagina e vede prima che la mano stessa si metta all’opera o anche mentre essa è già e trascorre all’opera con i materiali. È l’occhio che suggerisce la mano o la mano che suggerisce l’occhio? Ma ammesso che sia il colloquio non arrestabile fra l’una e l’altro a produrre flussi di associazioni che chiedono il libro come teca, come supporto e come luogo di conservazione per non evaporare, allora bisogna sedimentare in ambedue, la mano e l’occhio, un fondo a cui


appoggiarsi: immagini nell’uno e abilità tecniche, linguaggi operativi nell’altra. L’occhio quindi può allora premere sulla mano per il debordare delle sue immagini che devono e/o possono trovare un’adeguata traduzione manuale che poi diventa un’adeguata trasposizione visiva; ma anche la mano, avendo una grande libertà di incidenza sulla realtà, può produrre forme, fosse anche solo il punto di una possibile stella, in cui l’occhio può vedere immagini già ricche di storie. Allora da una parte l’occhio deve saper vedere in un “punto” una stella, ma la mano deve saper “tracciare” un punto che possa disporsi ad esser pensato come una stella. E una volta affermato che un punto è una stella ovviamente il foglio deflagra e diventa cielo, universo, cosmo e allora, ammesso che ci si fermi proprio solo alla dichiarazione di: “è una stella”, abbiamo già un inizio di storia, anzi di mille possibili storie. Abbiamo, comunque, un accadimento che mette nella “storia” il gesto fatto dalla mano e preso dall’occhio immaginante. E questo cambia qualcosa negli equilibri percettivi e cognitivi del soggetto. Quindi le storie nascono dallo sciogliere nodi, perché un punto è anche un nodo! Questo ci riconduce alle storie come esito di uno scioglimento del possibile conflitto, fraintendimento o impasse che due o più elementi possono avere nell’incontrarsi sull’orlo del litigio. Se torniamo alle storie dobbiamo anche ricordare che uno degli scrigni, una delle arche, uno dei depositi più diffusi per conservarle, è il libro di sole immagini narrabili, di sole parole immaginabili, di parole e immagini reciprocamente illuminate da una possibile relazione narrativa. Vediamo come i bambini generando storie a partire da immagini comporranno dapprima proprio delle storie di immagini che sono già lì pronte ad essere possibili narrazioni. C’è, per esempio, Topofante (uscito da un bestiario bizzarro e capriccioso) che ovviamente è esito di incroci impossibili, improbabili e vietati nella realtà, ma certamente non nella fantasia che da secoli sfida la genetica dando vita a veri e propri miti di animali mai esistiti eppure a volte ricercati; ovviamente c’è qui una delle regole della genetica rovesciata nella fantasia che è quella di fare incontrare il molto piccolo e il molto grande. Ma i bestiari - si sa - sono gli opposti e i diversi messi insieme nell’ibrido di una possibile novità. Certo è che se Topofante o chiunque altro incontra quadri (che sono già paesaggi e/o finestre e continui passaggi in mondi diversi) ci saranno una o più storie: l’una dentro l’altra o diversi episodi di una stessa storia che si incastrano come una grande storia di viaggio che è spostamento nello spazio e nel luogo portando con sé anche variazioni nella psicologia del Topofante medesimo. Per altro, ogni viaggio è una sorta di nuova tappa esistenziale nella vita di ognuno. Il tema del viaggio che nasce da incontri o dal ritrovarsi in paesaggi è tema cruciale di tutta la narrativa verbale, scritta o visuale che sia,

perché è nel viaggio che si trovano soluzioni, se si trovano, ai problemi, alle chiamate e alle suggestioni sia dell’Altro da sé incontrato andando per il mondo sia dei paesaggi scoperti. Da sempre “l’andare”, come declinazione dell’immaginazione e della fantasia in un sognare ad occhi aperti con la possibilità di raggiungere orizzonti lontani, è del bambino incuriosito dell’altrove, del lontano e del non conosciuto. Incuriosito del e dal cielo e quindi del e dal cosmo, luna, sole e pianeti compresi. Tutto questo perché il bambino, nella sua giovane e tenera età, non conosce ancora la dura e ferrea, ma necessaria, limitazione del dato di realtà ed è pervaso da desideri, è fatto di desiderio: parola che ha a che vedere con le stelle sulle quali si può andare per vedere se si è capaci di farlo, fra l’altro. Per questa effusione di desiderio che il libro blu di una bambina è romantico Cloe quindi si sprofonda nel blu: blu di mare e/o di cielo di notte perché esso, il blu, è colore del tempo del sogno!? Forse sì. In realtà i libri sembrano essere, e forse sono, i sogni sognati dei bambini a partire dal loro mondo di tutti i giorni e dalle loro esperienze, ma portate ad un altro livello; un livello di libertà di movimento intanto di forme e quindi di associazioni che ondeggiano fra loro aprendo continui mutamenti di collocazioni, disposizioni e dinamiche. Quindi i libri diventano sismografi della loro immaginazione e del loro desiderio di una vita, non poche volte, agognata come “spericolata”. È del crescere , è dell’andare verso l’ignoto, ma anche, contraddittoriamente, è dell’andare verso un maggior ordine e una maggiore regolazione l’apertura alla dimensione del desiderio che è sempre avventura: il desiderio porta sempre con sé l’avventura sapendo che, nonostante tutto, “tutto è possibile” se si vuole. Ora, se si è nati noi stessi medesimi, allora possono nascere, accadere e succedere altre nascite e altri incontri. E se c’è questo mondo, allora perché non dovrebbero essercene altri e diversi? Basta vedere cosa accade o prendendo due pezzi di carta e facendoli incontrare o anche deponendo un qualsiasi animale fantastico su una cartolina di una nostra tranquilla città. E affinché tutto ciò che può venir fuori dalle diverse connessioni e relazioni che possiamo istaurare sia variegato, diverso, fluttuante, rappreso, molto serrato oppure altalenante e diafano... è bene avere tutta una differenziata e raffinata gamma di mezzi espressivi. Mezzi espressivi che per altro sono essi stessi fonti, zampillìi, polle da dove vengono fuori possibili e specifici elementi per certe storie piuttosto che altre. E per non perderle, meglio metterle insieme in un libro, ben serrato e con le pagine che siano ben assicurate; affinché nulla cada giù e fuori e sbavi... pena perdere la storia. O per altre?

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3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine

3.4 I libri dell’Arti e Pensieri

Da qualche anno la Scuola Arti e Mestieri sta portando avanti un progetto di libri artigianali e quasi artistici realizzati dai bambini che frequentano i nostri corsi e laboratori; una collana che confidenzialmente chiamiamo I Libri dell’Arti e Pensieri. Il filo rosso che attraversa questi libri è costituito dall’immagine: si tratta infatti di quaderni più da guardare che da leggere, libri di diversi formati, libri di segni e disegni, libri dipinti o fotografici... Le pagine sono un pò quadri e un pò finestre; fogli come galassie e visioni al microscopio, buchi risucchianti (l’arte astratta, di cui ci serviamo spesso in queste pagine, ricorda in alcuni casi certe immagini scientifiche). Alcuni di questi quaderni sono interamente ad opera dei bambini, altri prevedono un nostro intervento (spesso il libro prende forma in un secondo momento, a laboratorio concluso, quando raccogliamo e assembliamo i disegni fatti dai bambini in una sorta di documentazione calda ed artistica) altri ancora sono libri fatti interamente dai maestri d’arte per la biblioteca della nostra scuola. In altri casi ancora il libro diventa il tema stesso del laboratorio.

Ecco un parziale elenco di titoli e/o contenuti della collana:

> Il libro fogliuto Questi libri nascono nei e dai laboratori grafico-pittorici rivolti (prevalentemente) alle Scuole dell’Infanzia di Cotignola e Barbiano.1 Abbiamo raccolto i disegni dei bambini in grandi quaderni: le pagine sono piene di foglie realizzate con tempere, acquerelli, chine, gessetti, pastelli a cera ed olio (dalla pittura liquida a quella grossa, dal frottage al graffito, dal disegno dal vero al collage…). Libri foresta, libri bosco, libri galleria di immagini fogliute, fogliose e fogliesche, libri con pagine che come finestre si aprono su gigantesche foglie-paesaggio; libri archivi con foglie parlanti e foglie fantastiche, cataloghi protoenciclopedici di foglie inventate e forse mai viste. Libri verdi e lussureggianti come una giungla del Doganiere Rousseau in cui stanno, non troppo nascosti, Klee e Matisse. Oltre a questi libri che raccolgono le produzioni dei bambini si aggiungono un paio di quaderni che invece sono costruiti con i disegni dei maestri (questi disegni nascono molto spesso come introduzione del e al laboratorio, servono cioè a mostrare tecniche, materiali e possibilità ai bambini). In questi libri è anche contenuta la storia Il castello delle foglie dipinte che ho ideato per il laboratorio attivato presso la Scuola Materna. L’elenco dei titoli fogliuti è corposo:

• Foglie

Un libro che assembla e riordina i dipinti e i disegni dimostrativi, in parte rielaborati, realizzati con e per i bambini grandi della Scuola Materna, la favola Il Castello Dalle Foglie Dipinte e il progetto didattico. 54 pagine, 50x35 cm, realizzato nel 2003-2004 da Massimiliano Fabbri.

•La foglia aglioffa

Questo libro, come il precedente, rimette in circolo tutti quei disegni dimostrativi che si fanno prima e nel laboratorio per mostrare trucchetti e piccole meraviglie ai bambini; questo esemplare ha 54 pagine e misura 35x25 cm; è ad opera di Lucia Baldini che l’ha assemblato insieme ai suoi appunti nel 2003-2004.

• La foglia

Una coppia di libri che raccoglie una selezione dei disegni e dipinti realizzati dai bambini grandi della Scuola Materna di Cotignola e Barbiano; insieme a queste carte, le loro verbalizzazioni, la favola ed il progetto didattico. 64 pagine, 50x35 cm per quello di Cotignola, 76 pagine, 60x50 cm quello di Barbiano; entrambi curati da Massimiliano Fabbri, che li ha ideati e costruiti nel 2003-2004.

• L’atelier delle foglie

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1

• Cfr. par. 1.2.1.

Due libri gemelli, uno tiene i disegni e dipinti dei piccoli della Materna di Cotignola, l’altro quelli dei piccoli dell’Asilo C. M. Spada; entrambi i quaderni documentano i laboratori tenuti da Lucia Baldini che li ha assemblati nel 2003-2004, 54 pagine, 35x25 cm entrambi.


I libri dell’Arti e Pensieri > L’arte ad Alfonsine è terribilmente fogliuta Presentando un’attività ai bambini del tempo integrato di Barbiano (si trattava di dipingere sopra a volti recuperati da riviste trasformandoli liberamente) è nata questa piccola storia molto surreale che è poi diventata il soggetto di un libro che ho costruito raccogliendo tre o quattro miei disegni legati ed intrecciati a questo breve racconto; mostrando questa tecnica in cui con la pittura si interviene su di un’immagine già esistente, stavo contemporaneamente improvvisando una piccola storiella, o meglio l’ipotetico imput di una storia che prendeva il via dal personaggio che stava affiorando sul foglio: Alfonsa, la regina delle foglie, che al posto dei capelli aveva foglioline ed altre piccole stranezze come ad esempio un colorito giallo intenso (nonostante questo Alfonsa è molto bella). In un bambino (mi pare si trattasse di Nicholas, anni sette) scatta il collegamento con la sua nonna che sta ad Alfonsine e da questa associazione parte la storia di Alfonsa, regina delle foglie e signora di Alfonsine… Ecco un paio di estratti:

«Ormai tutti sapete, e non è certo un segreto, che ad Alfonsine c’è la regina; Alfonsa, regina di Alfonsine e, allo stesso tempo, di tutte le foglie. Da quando regna sovrana succedono cose un po’ strane: gli abitanti sono diventati tutti un po’ più fogliuti, e per ogni foglia caduta il parroco fa un funerale e il sindaco indice una giornata di lutto cittadino. Ci sono piccoli bambini punk con i contorni seghettati, distinti signori completamente verdi e ragazzine quasi trasparenti tanto da intuire le venature; ovvio che molti abbiano foglioline al posto dei capelli. Naturalmente c’è chi si lamenta ma la stragrande maggioranza non è affatto scontenta; non si lavora, si sta al sole (quando c’è) e quando arriva un venticello o una brezza leggera portata dal mare si balla pure. Si è anche capaci di mangiare la luce e questo, perlomeno, è un gran bel risparmio.» «Proprio in queste ore (la regina è molto democratica) la giunta sta discutendo l’ipotesi di spostare la sede del municipio in un luogo più consono ovvero un boschetto ombreggiato poco distante dal centro cittadino (ecco una foto del nuovo sito pronto ad accogliere gli uffici). Assessori sugli alberi? Segretarie che archiviano e fotocopiano foglie? Per certo si sa che l’opposizione annaffierà ed anche l’erba taglierà; ma ecco subito la prima interpellanza che dice - Va bene, ma chi spolvera e lucida le foglie?»

> Il libro dell’arte astratta Il laboratorio sull’arte astratta ci ha impegnato per circa due mesi tra marzo e maggio 2003 all’interno dei corsi pomeridiani AeM con i bambini più grandi delle elementari e i ragazzi delle medie. Abbiamo dipinto con strumenti un po’ particolari realizzando dipinti materici e pesanti o altri così leggeri e slavati che un ulteriore colpo di spugna li avrebbe cancellati definitivamente. In alcuni casi abbiamo aggiunto alla tempera o agli acrilici della sabbia e vinavil per rendere la pittura più ruvida e consistente. Poi abbiamo deciso di costruire dei libretti artigianali che raccogliessero queste produzioni e così abbiamo dipinto su entrambe le facciate del foglio o cartoncino; eccovi ora questi preziosi libri non da leggere, ma da guardare e toccare, libri che non finiscono mai e che si possono aprire su qualunque pagina come fossero tanti quadri in uno. Li chiameremo libri contemplativi, perciò andate piano, si vede meglio! (A seguire il cartello-presentazione alla mostra dei libri astratti tenutasi presso la Scuola Arti e Mestieri nel maggio 2002.) Partiamo da un laboratorio che fa proprie alcune tensioni, soluzioni e tecniche dell’arte astratta ed informale;2 dipingiamo con un sacco e una sporta di strumenti: non solo pennelli, ma anche spatole, rulli, spugne, pettini, spazzole, chiodi, reti, bacchetti, cannucce e posate, pennelli e pennellesse. Spesso mescoliamo alla pittura sabbia e vinavil e poi chine, pastelli e gessetti, carte e altro ancora a sovrapporsi e stratificarsi. Ruvidità. Ci piacciono le tecniche miste se non lo si era ancora capito, e questo laboratorio si connota di una fortissima dimensione fisica e materica dove la sperimentazione sul materiale pittorico e sui suoi strumenti, sui suoi modi d’impiego, effetti e mescolanze, è centrale. Tutti questi dipinti, un po’ selvaggi e lirici, pastrocchianti ed eleganti, sorprendenti e casuali formano il nostro libro astratto: ogni pagina è un quadro, un’immagine pura dove il segno e il colore si prendono lo spazio del racconto. Puoi sfogliarlo dalla fine, da metà, da qualsiasi altro punto. In questi quaderni aggiungiamo a volte piccole storie, commenti o titoli che nascono alla fine per libere associazioni suggerite dalle immagini; che cosa vedi? Questi libri non spiccano per formati particolari o per una ricerca sulle carte, ma concentrano tutto il loro interesse dentro al foglio, che è inteso come una vera e propria finestra, campo d’azione e di battaglia, luogo di sperimentazioni, ritrovamenti e scoperte. Esiste però una variante che abbiamo praticato nei corsi pomeridiani e che permette una ricerca più ricca e varia sui formati: in questo caso abbiamo fatto dipingere ad ogni bambino un grande foglio, prima su di una facciata e, una volta asciutta, sull’altra;

2

• Gli artisti a cui abbiamo guardato e pensato sono moltissimi: Mirò, Kandinskij, Rothko, De Stael, Scully, Richter, Hartung, Pollock, De Kooning, Twombly, Congdom, Klee, Bleckner…

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I libri dell’Arti e Pensieri 3

questo foglio astratto viene poi piegato e ripiegato su se stesso in maniere diverse per ottener il formato del libro desiderato; un libro tascabile dell’arte astratta (con questo procedimento i bambini si divertivano a farne di molto piccoli). Con questo metodo l’immagine, con le sue pennellate gestuali, le sbrodolature e le macchie, viene spezzata e scomposta in tante piccole pagine casuali, particolari e porzioni di dipinto che diventano altri dipinti autonomi, più intimi e delicati, quasi segreti (si tengono e guardano nel palmo della mano). Si tratta di un libro di piccole meraviglie e stupori, di cose e passaggi delicati, di segni eleganti e “senza senso” che sorprendono per primo i loro autori: quando i bambini piegano il foglio, o io lo piego per loro, non sanno cosa uscirà e alcune volte temono anche che il loro dipinto si rovini tagliandolo (i libretti vanno rifilati perché si possa sfogliarli.

• Il biolibro dell’arte astratta è prevalentemente rosso

Il collettivo medie Cuore Peperone nell’anno 2002-2003 realizza, nei corsi pomeridiani AeM, insieme a Massimiliano Fabbri, questo sensuale e corposo libro assemblando le produzioni pittoriche rosse ed astratte (dalla china alla pittura materica). Il nostro motto: Red Soup, un artista di poco cervello dipinse tutto color ravanello. (Cm 23x31, 50 pagine.)

> Disegnamo al Museo Varoli Disegnando dal vero i mascheroni di Luigi Varoli ci avviciniamo al museo come veri e propri artisti: vediamo disegnando e disegnando capiamo e ricordiamo. Le faccione di cartapesta del Museo Varoli rivivono sotto gli sguardi di questi piccoli ed entusiasti disegnatori.4 Il libro raccoglie questi schizzi ed appunti eseguiti con matite morbide, biro, pennarelli neri, chine, gessetti e carboncini. In questo studioso-gioco di registrazione sono bandite le gomme perché i bambini non devono preoccuparsi più di tanto della finitezza perfettina del loro disegno ma piuttosto della qualità indagatrice del loro sguardo, che si potrà muovere entro un territorio vastissimo i cui limiti estremi potrebbero essere, ad esempio, il groviglio incerto ed ostinato di segni in Giacometti e la sintesi e pulizia della linea di Matisse. Catturare l’intensità di una cosa, avvicinarci alla sua comprensione, filtrarla con il nostro sguardo per captarne l’intima voce, ecco in e a cosa ci serve il disegno che è uno degli strumenti “sentimentali” più infallibili. (Lo stesso oggetto – soggetto riceve probabilmente nuovo sangue e calore da una produzione che ci parla anche del suo esecutore.) In quest’ottica si spostano ovviamente anche i canoni del disegno che finiscono con l’avvicinarsi a molti esiti dell’arte moderna; ora risulterà chiaro che il divieto di usare le gomme non è frutto di una scelta arbitraria ma permette ai bambini di esprimersi più liberamente e, di conseguenza, con maggior forza e qualità. L’occhio e la mano insieme, ricongiunti.

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• Al Museo Varoli • La pittura a metro o industriale di Pinot Gallizio.

• Questi libri, di varie fatture e dimensioni, sono stati assemblati e costruiti “organizzando” i disegni dei bambini e ragazzi delle Scuole Elementari e Medie che hanno partecipato ai laboratori della cartapesta sulle maschere o sui burattini. Cfr par. 2.1.1 e 2.1.2.

5 6

• Cfr. par. 2.1.2 p. 176.

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• Cfr. par. 3.2.

• Le lettere di ogni bambino erano contenute e raccolte in 240 una scatola di cartone bianca, tipo pizza, di formato A4.

Classe quarta elementare di Cotignola, anno 2002-2003, laboratorio mattutino dei burattini; cm 49x38, 80 pagine (libro costruito da Massimiliano Fabbri assemblando i disegni realizzati dai bambini al museo).5

> L’alfabeto fatto ad arte In questo atelier, che è rivolto al primo ciclo della scuola elementare, le lettere sono disegnate e dipinte con tecniche artistiche che ne mettono in risalto le caratteristiche grafiche e visive; il significato dei caratteri è messo momentaneamente tra parentesi, quasi si trattasse di un alfabeto sconosciuto. Le forme delle lettere sono bellissime: segni e linee sorprendenti, simboli complessi ed eleganti, decorativi e di incredibile, raffinata e levigata sintesi. I bambini costruiscono il loro abbecedario,6 un po’ didattico, un po’ fantastico, un po’ artistico, sicuramente insolito e divertente. Via alle libere associazioni tra le forme delle lettere e le cose (animali, omini e così via) e alle sperimentazioni pittoriche che sfociano spesso nella tecnica mista. Da questo laboratorio7 è nato L’alfabeto Scherzoso dell’Arti e Mestieri, 90 pagine, cm 50x35; contiene disegni dimostrativi, originali fascicolo lettere AeM, progetto didattico e alcune carte dei bambini. Di Massimiliano Fabbri.


I libri dell’Arti e Pensieri > Il mio paese è fatto così I bambini della Scuola Elementare vanno in giro per il paese con un piccolo quaderno su cui disegnano, appuntano e registrano ciò che vedono (dai monumenti agli edifici più importanti fino a tutte quelle piccole cose che li catturano): edifici, alberi, strade, pietre, pozzanghere, facce….. dal grande al piccolo e dal piccolo al grande, dal panorama alla fogliolina, dalla veduta al pezzo di corteccia, dal fiume ad una pigna, dal sassolino al muro. (Questi libretti sono realizzati dai bambini più piccoli della Scuola Elementare che in questo percorso utilizzano anche la fotografia e la creta; i quaderni sono veri e propri diari di bordo che li accompagnano in queste scorribande ed esplorazioni mattutine. La base operativa è la Scuola Arti e Mestieri: da qui si parte e qui si ritorna per sviluppare le cose viste e scoperte in giro.) Libri e laboratori a cura di Lucia Baldini.8

• Facce e facciate

Un laboratorio lungo un anno sul paese di Cotignola: disegno dal vero, pittura, argilla e ovviamente libri. Questo quaderno è stato realizzato da Lucia Baldini con i bambini delle classi seconde della Scuola Elementare di Cotignola nel 2004/2005. Le facce delle case come facce di persone o entità (con propri umori e personalità) e poi i volti di chi abita o lavora in questi luoghi.

> Voi non avete mai visto un’arti e mestieri così Disegni, appunti, schizzi e piccoli dipinti dal vero dentro e sull’Arti e Mestieri; uno sguardo che sposta il punto di vista alla ricerca di un’inquadratura incredibile, insolita e spiazzante, nuova e sorprendente. I bambini e i ragazzi si appropriano ancora di più di questo spazio capovolgendo le usuali prospettive; questo luogo è loro ed essi lo sanno: questi disegni, se ce ne fosse bisogno, lo dimostrano. Il libro Voi non avete mai visto un’Arti e Mestieri così è composto di vedute strane ed improbabili realizzate dai bambini di quinta elementare che hanno frequentato i corsi pomeridiani AeM nel 2002-2003; disegno, pittura e fotografia. Ideato e costruito da Massimiliano Fabbri.

• Il libro delle vedute

Le finestre della Scuola Arti e Mestieri viste in un giorno di pioggia; le vetrate, solcate e rigate dall’acqua che scende, diventano bellissimi, poetici e raffinati dipinti quasi astratti. Visioni sospese, delicate e romantiche ad opera di Giulia Ponseggi, che ha realizzato questo libro in quinta elementare nei corsi pomeridiani AeM. Anno 2002-2003, cm 32x44, 6 pagine + copertina dipinta.

• Vedute, facce ed arte astratta

Libro molto eterogeneo realizzato da Veronica Melandri in quinta elementare nei corsi pomeridiani AeM, anno 2002-2003; cm 22x33, 16 pagine. (È quasi un riassunto o “bignami” di un anno di Aem.)

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• Cfr. par. 0.3.


I libri dell’Arti e Pensieri > Il bestiario Animali bizzarri, frullati ed impossibili, forse mai visti. I bambini disegnano animali e mostri mescolando pezzi di specie diverse come provetti Frankestein; da questi esseri e dal loro incontro nascerà il bestiario, che è una galleria di animali impossibili.

> Il frullaomini Un libro abbastanza simile al bestiario è quello del frullaomini; qui i personaggi, disegnati molto liberamente, si mescolano tra loro grazie ad alcuni tagli che fanno sì che parti del foglio si sollevino rivelando quello che sta sotto, creando così ulteriori tipi ed esseri stravaganti. È un libro di mostri e mostriciattoli interscambiabili che si mescolano all’infinito generando molteplici e divertenti possibilità: corpi multipli.

> Il mondo in una scatola Questo libro nasce da un procedimento che potremmo definire surrealista (una sorta di cut-up fatto con le immagini); il bambino deve pescare alcune riproduzioni (tratte da riviste) da una scatola misteriosa e da questa sequenza casuale di suggerimenti visivi deve tirare le fila facendo fiorire una storia che tenga tutte le foto insieme, trasformando queste immagini e modificandole ove sia necessario ed aggiungendo disegni per le parti mancanti. Il libro che ne esce è una specie di ibrido tra fumetto e fotoromanzo; le storie sono spesso veramente assurde poiché i bambini si trovano a dover mettere insieme dalle tre alle cinque immagini che, essendo pescate ad occhi chiusi, sono molto eterogenee e all’apparenza inconciliabili tra loro.

> Le facce di pittura Un libro pieno di volti dipinti, una vera e propria galleria di sguardi. Ogni volto è realizzato con tecniche e strumenti diversi che spaziano dalla pittura liquida a quella materica, dall’acquerello alla china, dal collage al frottage, dal pastello a cera a quello ad olio, dalla campitura al puntinismo. Il volto è il contenuto centrale e, allo stesso tempo, diviene pretesto per sperimentazioni pittoriche che sono abbastanza simili a quelle utilizzate per il libro dell’arte astratta. Ogni volto dipinto prende ulteriormente vita, come se si trattasse di una vera e propria opera d’arte, perché i bambini assegnano ad esso un nome (che compare nel libro); ci piace pensare a quest’elenco di nomi e sequenza di sguardi come ad una serie di storie potenziali e latenti che il lettore (o “guardatore”) può portare avanti e sviluppare mentalmente a suo piacimento.

Il libro Le Facce Di Pittura raccoglie i dipinti dimostrativi realizzati per e nei laboratori Le Facce Di Pittura e Da 9 Bisanzio Ai Pixel, più un corpo di scritti e storielle che accompagnavano questi laboratori. 28 pagine, cm 53x40. Di Massimiliano Fabbri; 2003-2004.

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• Cfr. par. 1.1.2 e 1.1.3. • Cfr. par. 1.1.1 p. 55 e 62.

• Nella maggior parte dei casi questi libri sono costruiti da noi maestri assemblando i disegni dei bambini ma in più di un esempio e occasione sono nati libri interamente pensati, costruiti 242 e dipinti dai bambini (uno di questi è un vero e proprio racconto illustrato ideato da loro ed intitolato La storia monca di Tuttomonco, cfr. par. 3.3 p. 234).

• Da bisanzio ai pixel

I disegni e i dipinti che i bambini della classe quarta elementare di Barbiano hanno realizzato con la guida di Lucia Baldini tra il 2004 e il 2005.

> Il libro delle espressioni Quante espressioni conosci? Quante ne riesci a disegnare? Da tanti cerchi tutti uguali eccovi una divertente e spassosa serie di facce ed espressioni. Un libro pieno di facce bizzarre e stati d’animo catturati con sintesi, precisione e forza grazie all’uso della china nera e della velocità d’esecuzione.10 Anche in questo caso alle faccine viene assegnato un nome e in questo caso si può parlare quasi di personaggi. Alcuni di questi libretti sono specializzati nelle espressioni: ci sono signori allegri ed altri molto arrabbiati, tipi accaldati che sudano un po’ troppo e altri ancora che hanno mangiato eccessivamente, e poi ragazze che piangono sempre e non la smettono più, tipi spaventati e terrorizzati, innamorati, congelati, elettrizzati e via dicendo.11


I libri dell’Arti e Pensieri • Le facce di china + Le facce di china (pastellate a cera e frottagiate)

Classi quarta elementare di Cotignola, anno 2002-2003, laboratorio mattutino dei burattini; cm 50x70 ciascuno, 30 pagine il primo, 6 pagine di cui l’ultima a fisarmonica il secondo (libri costruiti da Massimiliano Fabbri assemblando i disegni dei bambini).12

> Formati strani (che cosa vedi?) Le pagine non sono solo rettangolari o quadrate ma hanno anche formati strani che lasciano intravedere ciò che c’è dopo e in cui puoi scorgere, come avviene con le nuvole, immagini insospettate e sorprendenti. Oppure buchi, graffi, fogli stropicciati e finestre. Sono libri in cui è la pagina a suggerire cosa avverrà grazie ai sui formati strani: questo stimolante trucchetto, che mette in moto la fantasia e che ci rivela immagini imprevedibili, può essere attivato in svariati modi: da un segno scarabocchiato sul foglio ad una macchia; insomma, qualsiasi piccola traccia che serva a facilitare l’approccio alla superficie bianca. Ora non potrete più dire “cosa faccio?”; se avete voglia di disegnare ed in quel momento scarseggiate di idee o non vi viene in mente niente, fate un segno a caso sul foglio (potete farlo anche ad occhi chiusi), oppure fate un buco o strappate uno o più lati per ottenere una forma irregolare e vedrete che un’immagine non tarderà ad affiorare rivelandosi con una forza ina13 spettata ed inevitabile. (Materne e primo ciclo elementari.)

> Il libro tattile Un libro non solo da guardare ma anche da toccare: pagine dure e morbide, lisce o ruvide, fredde o calde. (Assemblaggio di diversi materiali tra cui carte, lane, stoffe, plastiche.)

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• Cfr. par. 2.1.2 p. 177 e 178. • Cfr. par. 3.1

> I libri di creta Le pagine sono tavolette di argilla; graffito, impronte e tracce per inscrivere e tracciare un alfabeto primordiale.

• La sfoglia e la faccia

Da un laboratorio rivolto alle classi prime della Scuola Elementare di Cotignola un libro in cui i bambini hanno dipinto con il fango sulla carta; a cura di Lucia Baldini. (2004/2005.)

• I disegni sono al tratto, neri e con segni differenti ottenuti con diverse strumenti, tecniche e modi d’impiego; a disegno ultimato alcuni gruppi di lavoro hanno anche colorato queste immagini. (Cfr. par. 1.1.1, p. 56) (Questo laboratorio è stato presentato a quasi tutte le fasce di età, dai bambini della materna a quelli delle medie. I disegni più utilizzati per questo gioco sono di Klee, e poi Matisse, Mirò, Picasso ed anche Giacometti, Kokoscka, Kirchner.)

> Il continuarte Il volto è preso da opere grafiche di artisti diversi, fotocopiato ed incollato al centro di un foglio: ai bambini è chiesto di continuare l’immagine (facendo il corpo ed un eventuale sfondo-paesaggio) mimetizzando ed adeguando il proprio intervento allo stile dell’artista (compresa la scelta dei materiali che deve essere omogenea all’immagine da cui si è partiti). Il libro si caratterizza come una raccolta o sequenza di questi disegni; facce e volti che diventano corpi e omini, omini che diventano veri e propri personaggi a cui i bambini14 danno un nome proprio a lavoro ultimato.

• Il treno dell’arte

Ogni pagina di questo libro è una carrozza di un lungo e surreale treno in cui una sequenza di personaggi fa capolino dai finestrini; ogni personaggio è frutto di un’elaborazione di continuarte che parte da un volto preso in prestito da un artista. L’autore del libro è Fabio Gentilini; anno 2003-2004, cm 23x31, pagine 20.

• L’arte è impazzita

La famiglia Artepazza nasce sempre dal continuarte ed è ad opera di Daniel Pop e Gabriele Guerra; anno 2003-2004, cm 50x35, pagine 20.

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I libri dell’Arti e Pensieri > Il libro della fotografia Dal laboratorio di fotografia una serie di ritratti e scorci paesaggistici ed urbani scritti con la luce: dal rayogramma al foro stenopeico fino alla polaroid e alla sua elaborazione pittorica. (Elementari, medie ed adolescenti.) A cura di Lucia Baldini, fotografie di Daniele Casadio.

> Libri della segavecchia Libri che raccolgono disegni, appunti e progetti per maschere e costumi da preparare per la Segavecchia, sia ad opera dei bambini che dei maestri; alcune versioni di questi libretti raccolgono i disegni che i bambini fanno dopo la sfilata sulle maschere, pupazzi e costumi che più li hanno catturati e divertiti nel corso della parata.

> I Libri acquatici Dai laboratori di pittura presso la Scuola dell’Infanzia tenuti da Lucia Baldini e Marzia Bianchi nel 2002-2003, una serie di quaderni tematici costruiti da Lucia assemblando i dipinti dei bambini: • Il Colore Del Mare + Le Gocce Di Pioggia + Le Onde Del Mare; Asilo Carlo Maria Spada, cm 23x31, 60 pagine (ciascuno). • Il Mare + Pioggia E Pozzanghere + Le Più Belle Onde Del Mare; Scuola Materna di Cotignola, cm 23X31, 60 pagine (ciascuno).

> I libri colorati Dai laboratori attivati da AeM nelle Scuole dell’Infanzia di Cotignola e Barbiano, Asilo C. M. Spada e Asilo Nido di Cotignola nel 2004-2005, una serie di libri monocromi che raccolgono le produzioni pittoriche di questi bambini.

• Blu (laboratorio acquatico-celeste)

Scuola Materna di Barbiano, sezione grandi, a cura di Massimiliano Fabbri.

• Blu (dalle stelle alle acque selvagge)

Disegno, pittura e collage per cieli notturni e costellazioni; cosa c’è nel cielo di notte? Cosa c’è in fondo al mare? Giardini subacquei e animali marini. Lucia Baldini con i piccoli e i mezzani della Scuola Materna di Barbiano.

• Nella notte il bosco, il buio, il mistero

Laboratorio e libro di pittura e collage sulle suggestioni dei colori e dei luoghi delle fiabe conosciute; Asilo Nido, a cura di Lucia Baldini.

• Il rosso, il blu e il verde

Il blu del mare e del cielo, il verde del bosco, il rosso delle cose, omini e animali che vivono ed animano questi luoghi. Asilo C. M. Spada e Lucia Baldini.

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• Il rosso

Un libro caldo, pieno e carnoso di e con cose rosse: la frutta, il fuoco, omini e animali; Scuola Materna di Cotignola, sezione piccoli; a cura di Lucia Baldini.

• Il bianco

I bianchi diversi: dalla carte (strappate, bucate, graffiate e stropicciate) alla tempera, dai gessetti al gesso e al vinavil, e poi farina, riso, zucchero, bambagia… Sezione grandi della Scuola Materna di Cotignola, a cura di Marzia Bianchi.

• Il giallo

È primavera e ovunque spuntano mille fiorellini gialli, nei prati, nei fossi e pure nelle crepe dei marciapiedi. Il paesaggio si trasforma e diventa brulicante. Il prato fiorito nelle pagine di questo libro che è delle cose naturali come il sole che indora le cose; ma si può guardare il sole? Sezione grandi della Scuola Materna di Cotignola, a cura di Marzia Bianchi.


I libri dell’Arti e Pensieri > Uomini che sembrano alberi, figure come foreste Un libro di disegni filiformi ispirati alle sculture di Alberto Giacometti: segni come fili di ferro tesi e aggrovigliati nell’aria, matasse intricate da cui affiora e si salva una figura eretta e protesa verso il cielo; figure che stanno in piedi, che camminano e che ballano, figure che si passano accanto intrecciando traiettorie o che conquistano e difendono il loro spazio come in una piazza o in una foresta. Disegni come fossili o combustioni, tracce e fantasmi… Laboratorio e quaderno ad opera di Marzia Bianchi costruito insieme alle classi quinte della Scuola Elementare di Cotignola nel 2004-2005.

> Storie di cartapesta Una serie di quaderni che raccolgono i disegni e i progetti realizzati dai bambini delle classi quarta elementare di Cotignola nel laboratorio di cartapesta e pittura di sagome giganti (la cartapesta come teatro). Laboratori e libri a cura di Marzia Bianchi; 2003/2004/2005.

• La nascita di Roma (Romolo e Remo) + Il labirinto (il minotauro, Dedalo ed Icaro, Teseo e Arianna) + Racconti romani + Il racconto dalle molte code > Un anno di AeM Questo libro è stato ideato ed assemblato da Massimiliano Fabbri nel 2005 in occasione della mostra di AeM inserita all’interno della Città dei Bambini (Storie di carta a colori). (A seguire un estratto da questo quaderno.) Questo libro testimonia di un anno intero di Arti e Mestieri attraverso i disegni e i dipinti dei bambini di prima elementare che hanno lavorato con il maestro d’arte Massimiliano nei corsi pomeridiani AeM; ( trenta lezioni di due ore ciascuna a cadenza settimanale, da ottobre a maggio). Si tratta di una documentazione pressoché esaustiva se si escludono i laboratori di manipolazione che sono due e così suddivisi: il mese della cartapesta finalizzato alla costruzione di maschere, e il mese dell’argilla, caratterizzato da due laboratori, Le Facce di Creta e gli Animali Protostorici; (il mese della cartapesta La Casa dei Mostri Creatori, ha visto ogni bambino ideare e costruire la sua personale maschera). 15 (cm 52X48, 84 pagine.)

(A seguire un estratto da questo libro.) Questo libro è una sorta di diario di bordo o documentazione calda di un anno di AeM. I disegni che lo compongono sono infatti lavori dimostrativi che faccio per e con i bambini per introdurre e mostrare loro temi, tecniche, strumenti e trucchetti; questi disegni danno il via al laboratorio vero e proprio dove saranno i bambini a sperimentare e fare. Ho raccolto queste carte, rielaborandole, rivedendole ed imbarocchendole un po’, in un unico quaderno anche se provengono da laboratori diversi (che vanno dall’atelier blu della materna alle facce di pittura quasi artistiche fatte con le elementari nel laboratorio su Piero Dosi, e poi i disegni dal vero al Museo Varoli e in AeM del laboratorio burattini in cui abbiamo guardato maschere e pupazzi di cartapesta). Così, passando in rassegna questa sequenza eterogenea di immagini, è possibile ricostruire un percorso fatto per e dagli sguardi dei bambini nel corso di un anno intero… Immagino questo libro come un ricettario o libretto delle istruzioni che può servire per ripetere e copiare alcuni esperimenti ed atelier. (cm 50X35, 70 pagine).

> (a Massimiliano gli piace fare i) Disegni per i bambini

Questo libro è stato realizzato da Massimiliano Fabbri nel 2005 raccogliendo ed assemblando i disegni di un intero anno. Il suo debutto in società è avvenuto nella mostra allestita a fine maggio in AeM in occasione della Città dei Bambini di Cotignola: Storie di carta (a colori). 245

Scrivendo questo resoconto mi accorgo che solitamente facciamo costruire, e costruiamo noi stessi, il libro dopo che sono stati fatti i disegni e dipinti; si può certamente ribaltare questo rapporto e rendere altrettanto interessante l’operazione, ad esempio dipingendo su di un vecchio libro recuperato o su di un’agenda di banca “scaduta” (perfetti, in questo caso, la tecnica del monotipo o i disegni simmetrici, tipo macchie di Rosarch, che si ottengono mettendo il colore al centro, tra le due pagine.)

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• Per i disegni raccolti in questo libro cfr. par. 1.1.1.


3 Nell’immagine narrante o del racconto tra le pagine 3.4 I libri dell’Arti e Pensieri

3.4.C Memorie

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Se foglio in qualche modo ha un’assonanza con la parola foglia allora si può pensare che i libri possano essere fatti di e con foglie; quelle certamente ritagliate dai bambini, ma ormai “vere”, ovviamente nell’ambito del laboratorio e dei suoi percorsi che sono quelli dell’arte e che possono far spuntare foglie che davvero fanno ombra e una foresta nella Scuola Arti e Mestieri. Se arte astratta vuole dire prescindere dal racconto, dalla narrazione e da un certo verismo naturalistico, allora si può pensare che i libri sono respiri, sono soffi, richiami, tuffi, scivolamenti, avvitamenti e innalzamenti dell’immediata nostra disposizione a proiettare fantasia e immaginazione su qualsiasi macchia e screpolatura, al di là e contro ogni ordine di successione, per pura divagazione e immersione, curiosità e richiamo delle e per le “macchie”. Se i disegni sono esposti alla possibilità di perdita, di confusione nell’accatastarsi, di essere persi, allora si deve, potendo!, metterli insieme perché ci possa essere una galleria portatile di diversi formati, tagli, volumi dove stanno raccolti e insieme portati, pur nel loro esser “preparatori a...”, lungo il corso del tempo, oltre il presente. Se siamo tutti presi nel compilare album delle nostro foto lungo il corso del tempo e in diverse pose, allora si può pensare di compilare libri che conservino tutte le facce che siamo stati, che siamo, che vorremo essere e che abbiamo e possiamo inventare potendo, così, rivedere tutto con calma. Se, ancora, abbiamo album di fotografie che ritraggono le nostre abitazioni, i posti che viviamo ogni giorno e i luoghi dove ci rechiamo in gita, allora si possono compilare libri che riportino gli angoli delle nostre care stanze a noi ancora sconosciuti e nuovi, così come quelli del paese che viviamo tutti i giorni. Se già dall’antichità si scriveva su supporti di argilla e pietra, se la pagina è forma semplice e ortogonale restituibile attraverso la preziosità o la semplicità della materia che si dispone a farsi appiattire, allora possiamo avere anche libri con pagine quasi monumentali e destinati a durare nel tempo attraverso la resistenza delle materie diverse e contrarie dalla carta. Se la carta è cedevolmente trattabile e anche ovviamente strappabile, nulla vieta di avere e produrre fogli diversi con un semplice gesto o ta-

glio, allora si può pensare di avere anche libri con pagine di forme non ortodosse, certamente eccentriche. Se i fogli sono già colorati o ancor meglio dipinti in tutti i versi, con ogni possibile colore, allora nulla vieta di avere libri del colore, libri colorati come inni al monocromo o alla fantasiosa e/o intenzionalmente rigorosa alternanza di colori che fanno delle pagine stralci di una gamma vivida e parlante. Se compriamo taccuini per ricordarci persone, passaggi e momenti di vita, se riempiamo le pagine di agende e diari di memorie cartacee per non perder un giorno, allora si può certamente redigere un libro o più libri dove ogni traccia viene appuntata e tenuta in serbo. Se il tempo corre e trascorre e il maestro può dimenticare come i bambini (che per altro crescono), se il tempo macina le tracce dei disegni, se il tempo cancella un momento in cui il rosso è dilagato sul foglio trasformandolo in un travaso d’amore; se i bambini sono mobili e vanno via e cambiano risposte e comportamenti giungendo a prodotti diversi, se urge non dimenticare per rivedere, per criticare, per riprendere, per divagare, per complimentarsi e compiacersi, se urge non perdere i processi con tutti i suoi passaggi e i suoi prodotti, se urge non dimenticare che ci sono stati momenti in cui si è creato una situazione che ha rotto resistenze e titubanze lanciando i bambini in produzioni felici e feroci... se urge affermare che non vogliamo dimenticare, se urge il desiderio di darsi e dare valore e di poter dar conto, con una virata innovativa nella presentazione dei materiali che si accatastano, se urge fare ordine per recuperare sensi, significati, direzioni, derive e arrivi allora un libro, anzi fare un libro, tenere un diario è l’ideale: è necessario. I libri sono delle sintesi parlanti di tutto quello che altrimenti potrebbe giacere inerte, perso nel suo valore, messo da parte dopo essere stato prodotto; allora essi sono tracce per una possibile storia, sono già la scrittura della storia di quello che accade nella Scuola Arti e Mestieri; ne sono, ognuno, il grumo, l’agglomerazione che palpita di affetti per quello che si è vissuto e che cerca cognizione di quello che si è prodotto; insieme sono una summa di memorie, di ricordi. I libri, fatti dell’accatastamento materiale e fisico dei materiali, sono quindi una sedimentazione di senso, una sedimentazione che è sfogliabile, riguardabile. Sono la sedimentazione di immagini, fantasie e ri-


cordi che attraverso l’articolazione delle parole lungo il corso di pagine trovano una loro nuova vita disponendosi ad essere scrigni di innumerevoli letture. Ma essi sono soprattutto libri pittorici! Abbiamo quindi tutto l’alfabeto della pittura, del disegno e di qualche accenno alla plastica che stravolge il senso tradizionale della pagina; le pagine diventano quindi arene di possibilità che sbalzano fuori, quasi aggredendo chi le sfoglia che si trova rapito e preso dall’immediatezza percettiva. Eppure le deve “leggere”, oltre e la di là dell’immediatamente visibile, per recuperarne tutta la profondità perché, pur con le pagine su diversi registri sorprendenti, il libro, ancora una volta, resta e si continua a dare, come luogo della conservazione della memoria, testimonianza di storie, sempre vere

anche quando sognate, e arca di STORIA. Storia che rende conto degli avvenimenti; così in realtà e concretamente fanno anche questi libri che tolgono i bambini e il maestro del fuggir via della vita; ancora una volta trattenuta e quindi leggibile e storicizzabile. E ancora, vita richiamata e coltivata perché aprendo le pagine qualcuno sarà sempre spinto e sollecitato a dire: “Ti ricordi?” Forse nulla si ripete uguale, ma si può riprovare a vivere il momento ricordato o a inventarne di nuovi. Si può quindi grazie alla memoria trattenuta e costruita dai libri tornare a iniziare, daccapo e diversamente, altre storie.

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Galleria

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Galleria

4 Personaggi visti o passati (almeno una volta) all’Arti e Mestieri

Fotografie di Daniele Casadio

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5 La cittĂ dei bambini


Locandine della Città dei Bambini • Un amico fantastico 2002 • Le immagini sognanti 2003 • La città degli sguardi 2004 • Storie di carta (a colori) 2005


5.1 Un amico fantastico

5 La città dei bambini

Cotignola giovedì 30 maggio 2002

> Introduzione Per la Città dei Bambini 2002 si propone un tema che, attraversando gran parte delle attività che caratterizzano questa giornata, accomuni bambini e ragazzi, insegnanti, operatori e volontari in un progetto unitario e sforzo collettivo mirato. Lo spunto che sta alla base di questo proposta ci è stato offerto dalla bella mostra fotografica sull’immigrazione e il lavoro all’interno della provincia di Ravenna, che si è tenuta a Cotignola lo scorso dicembre. Considerato l’interesse dimostrato dalle scuole, e poiché è doveroso che queste occasioni non rimangano episodi isolati, ci è sembrato utile e necessario proporre un lavoro che prolunghi ed estenda questo progetto, coinvolgendo in maniera ancora più importante e significativa il mondo scolastico. Il confronto e i tentativi di comprensione del fenomeno immigrazione rappresentano un vero e proprio dovere che non possiamo ignorare, soprattutto nei confronti dei più giovani; va da sè che la riflessione su questi argomenti sia una delle sfide presenti e future della scuola e delle istituzioni che interagiscono con questa. L’idea è perciò quella di avviare una serie di attività e ricerche che siano attraversate da questo filo rosso, ossia da una tensione di avvicinamento, mentale e fisico, con il mondo (a parte?) dell’immigrazione. (Il progetto si rivolge in maniera specifica ai bambini italiani nel tentativo di sensibilizzare la loro attenzione.) L’occasione della Città dei Bambini ci offre l’opportunità di unire e convogliare molteplici energie e prospettive in un impegno comune, e di rendere visibile questo sforzo anche e soprattutto fuori dal circuito scolastico: ciò avverrà con una serie di mostre e attività che, nel corso di questa relazione, analizzeremo in maniera specifica e particolareggiata.

> Una mostra di sguardi: un amico fantastico Una mostra di sguardi, di volti e facce di tutti i popoli, ecco cosa potrà vedere chi camminerà per le vie di Cotignola da giovedì 30 maggio a domenica 2 giugno 2002. Si tratterà di una mostra un po’ atipica ed anomala poiché i disegni realizzati dai bambini non saranno esposti ed allestiti in un ambiente chiuso, ma staranno fuori occupando le porte delle case, creando un percorso che si snoderà dalla scuola alla piazza e viceversa. Ogni bambino disegnerà il ritratto di un suo amico immaginario (proveniente da un’altra regione del mondo), un compagno fantastico ma anche una sorta di autoritratto pensato e portato in un altro luogo. È un invito al viaggio (immaginario) che coinvolgerà diverse discipline: non solo 252 il laboratorio d’arte, ma anche storia e geografia, lingue e religione; così, se ogni bambino disegnerà un volto (magari ispirato ad alcune campagne di O.Toscani, ad esempio) con il supporto e sostegno di altre materie potrà sviluppare una piccola ricerca parallela sui nomi propri o sulle caratteristiche della scrittura (pensiamo a

quanto siano per noi affascinanti, anche solo da un punto di vista estetico, la scrittura dell’Islam oppure gli ideogrammi dell’Estremo Oriente). Il compagno immaginario avrà così, oltre che un volto, anche un nome. All’interno di questo progetto si potranno scegliere diverse modalità operative: le insegnanti potranno lavorare in classe (in maniera autonoma) oppure presso la Scuola Arti e Mestieri avvalendosi della collaborazione ed assistenza di un maestro d’arte; per quanto riguarda la tematica vera e propria ogni classe potrà decidere al proprio interno l’indirizzo più opportuno: ci si potrà concentrare su di un determinato popolo e area geografica (approfondendo un campo relativamente circoscritto e limitato) oppure optare di lasciare il bambino libero di fantasticare e seguire un proprio percorso. Questa seconda ipotesi può essere proposta come un vero e proprio gioco: da una mescolanza casuale di volti il bambino sceglierà il suo indirizzo per affinità e simpatia; uno sguardo, un volto o una particolare espressione, apriranno una serie di strade e possibilità (spesso ai bambini capita di giocare ad inventare vite e realtà parallele). Sulla scia di queste indicazioni ribadiamo ancora una volta l’importanza di coinvolgere diverse discipline e linguaggi per dare forma e sostanza compiute a questo progetto. La libertà che lasciamo nelle metodologie operative e negli indirizzi poetici si riflette anche sulle scelte tecniche all’interno dell’atelier (che così potranno adattarsi alle diverse sensibilità delle insegnanti e naturalmente dei bambini). Si potrà ad esempio decidere per una determinata e specifica tecnica all’interno di una classe piuttosto che offrire al bambino un ventaglio di possibilità tra cui poter scegliere… Il fatto di non essere rigidi nel determinare a priori alcune caratteristiche del lavoro non è sintomo di indecisioni o incertezze ma è frutto di una precisa volontà: lasciare piena libertà espressiva a tutte quelle bambine e bambini, insegnanti ed atelieristi che collaboreranno alla riuscita del progetto; proprio per questo non possiamo fornire altro che indicazioni pena il rischio di limitare le potenzialità ed energie di tutti coloro che saranno coinvolti. (Va da sé che questi intenti implichino un maggiore impegno creativo da parte di tutti: ciò potrà sicuramente risultare più complesso ma è indubbiamente più coinvolgente e significante e, non ultimo, più divertente.) L’unico vincolo sarà rappresentato dal formato (un foglio uguale per ogni bambino) e dal taglio dell’inquadratura (il ritratto sarà impostato tipo foto-tessera). Ci si potrà ispirare alle creazioni artistiche di un popolo o al lavoro di un determinato artista; l’arte è da sempre un buon strumento per confrontarsi e aprire un dialogo: gli artisti hanno spesso “rubato” e guardato altrove, e questa fame curiosa che li muove ha puntualmente finito per mescolare culture e punti di vista differenti. Del poter e sapere rinnovarsi e creare così nuove forme, che generano nuovi modi di vedere e pensare le cose (basta tornare e ripercorrere a quello che ha significato, per gli artisti europei del primissimo novecento, la scoperta della scultura “negra” che ha dato il via alla sintesi espressionista e al primo Picasso cubista); l’arte, in qualsiasi periodo, è luogo meticcio, ibrido e “bastardo”, fatto di mescolanze e contaminazioni, aperture che consentono un punto di vista altro, un ribaltamento e


ripensamento della realtà. È partendo da questi presupposti che noi operatori ed educatori (non solo del e nel laboratorio d’arte) possiamo mantenere uno sguardo attento e curioso, mobile, vigile ed aperto. La Scuola Arti e Mestieri fornirà così alcuni esempi, sia su di alcuni artisti che possono rappresentare un valido punto di riferimento, sia su determinate tecniche e mezzi espressivi da utilizzare all’interno del laboratorio. Nel caso che una classe prenda in esame un determinato popolo, i linguaggi e le tecniche grafico-pittoriche utilizzate nell’atelier potrebbero ispirarsi alle creazioni artistiche più rappresentative del popolo stesso: ad esempio l’acquerello e la china per riprendere la precisione e la leggerezza dell’arte dell’Estremo Oriente piuttosto che gessetti policromi ed intensi, e colori saturi e squillanti, per la sintesi e i forti contrasti grafici e cromatici dell’arte africana. Ma si può anche partire dal lavoro di singoli artisti per offrire al bambino una gamma ancora più ricca di possibilità e linguaggi diversi; ogni opera, e le sue specifiche tecniche di realizzazione, permetteranno di sceglier in base al proprio gusto estetico. (Crediamo che non ci siano metodi migliori o più giusti di altri per affrontare il lavoro nel laboratorio; l’unica controprova e riscontro possibile può avvenire sulla qualità delle produzioni e sull’esperienza che il bambino compie all’interno di questo percorso che deve essere per lui sempre affascinante, complesso e divertente). Tra la fine del mese di aprile e le prime settimane di maggio tutti i bambini della Scuola Elementare prepareranno i disegni che saranno esposti per le strade di Cotignola. Precedentemente a questo laboratorio saranno discussi in classe il progetto e il conseguente cammono che si intende seguire ed intraprendere; si cercheranno le immagini da utilizzare per i disegni e si avvierà l’invenzione e la caratterizzazione dell’amico immaginario che avrà così un nome e una nazionalità, un’identità specifica. Partendo da questi presupposti il progetto-laboratorio si concluderà pubblicamente (ed in maniera organica) con le mostre allestite in occasione della Città dei Bambini. Se questo atelier di volti e sguardi riguarda principalmente le Scuole Elementari (che realizzeranno una mostra-percorso che si snoderà per le vie di Cotignola), per la Scuola Media si è pensato ad un lavoro che porti ad un grande e coinvolgente allestimento scenografico che abbraccerà la piazza di Cotignola; questa installazione sarà composta da una ventina di tele di grandi dimensioni ispirate all’arte, la cultura e la religione dei popoli. Si tratterà sempre di volti, ma non più singoli ed individuali: una maschera africana potrà essere a fianco di una testa del buddha piuttosto che al volto decorato di un aborigeno… Queste tele (che saranno dipinte ad acrilico) occuperanno simbolicamente la piazza chiudendo il percorso della mostra in una sorta di girotondo; rubando un titolo alla Biennale di Venezia del 2001, La Platea Dell’Umanità… Questo laboratorio sarà realizzato dalla Scuola Media in maniera autonoma (la Scuola Arti e Mestieri svolgerà una funzione di supervisione); alcune di queste tele saranno dipinte anche dai ragazzi della Scuola Arti e Mestieri. Per quanto riguarda la Scuola Materna e l’Asilo Carlo Maria Spada si attiverà un laboratorio di pittura intitolato I Colori Dell’Anima o La Mia Ombra A Colori in cui i bambini dipingeranno in maniera astratta la sagoma del proprio corpo: ombre multicolori per un messaggio che supera ogni barriera razziale. Anche questo atelier porterà ad un allestimento che sarà realizzato nel Parco Bacchettoni. Questa esperienza potrebbe essere ripetuta riempiendo altre sagome con i più disparati materiali: potrà così esserci un omino di sassi, uno di cortecce e legnetti, uno di erba piuttosto che di conchiglie, di fiori e così via (vedi Tony Cragg). Per ultimo la Scuola Arti e Mestieri realizzerà una grande installazione composta da tutte le bandiere del mondo dipinte dai bambini iscritti ai corsi (vedi Marco Neri)

5 La città dei bambini Mostre (programma e percorso) • Un amico fantastico

Ogni bambino della Scuola Elementare ha disegnato un suo amico immaginario appartenente ad un altro popolo: più di cento ritratti che i bambini stessi attaccheranno su porte, muri e finestre di Corso Sforza, Via Cairoli, Via Rossini e Via Garibaldi.

• Tutte le bandiere del mondo

Una grande installazione composta da tutte le bandiere del mondo dipinte dai bambini della Scuola Arti e Mestieri (ogni bandiera è un superpaesaggiocondensato e racconta storie); muro esterno di AeM (via Roma).

• La mia ombra a colori

Nel Parco Bacchettoni un’ondata di colore, un brulichio di “omini” realizzato dai bambini della Scuola Materna e Carlo Maria Spada. Disegnare l’anima.

• Lo sguardo del mondo

Un simbolico abbraccio che vedrà il perimetro della piazza accogliere più di venti grandi tele dipinte dai ragazzi della Scuola Media ed AeM, ispirate alla cultura e all’arte dei popoli (Piazza Vittorio Emanuele II). Un girotondo…

• I mascheroni di cartapesta

Nel parco Zanzi una totemica foresta di maschere realizzate nei laboratori della cartapesta tenuti presso la Scuola Media e AeM.

• Il laboratorio della creta

Presso la Scuola Arti e Mestieri la mostra delle cose di creta prodotte dai bambini della Scuola Elementare ad AeM: dalle tecniche primitive agli edifici della città, tutto di argilla.

• Il teatro dei burattini

Presso Casa Varoli uno spettacolo di burattini (costruiti dai bambini) a cura della Scuola Elementare e Scuola Arti e Mestieri: Il bambino nel sacco, storie di streghe, fantasmi e altri misteri; Futurama e i suoi amici, storie di fantafollia.

• Il mandala

Al centro della Piazza Vittorio Emanuele II un grande disegno realizzato con segatura colorata dai bambini della Scuola Materna.

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5.1.B Altri abitanti nel paese Ci sarà un giorno, quella della festa dei Bambini, che il paese troverà sulle porte delle sue case dei ritratti di nuovi e altri abitanti; la popolazione quindi per un giorno crescerà ancor più di quanto non sia già cresciuta grazie a chi è venuto da “fuori” e sarà ancora più variegata di quanto già non lo sia. Questa scoperta, questo ritrovamento di ritratti di nuovi abitanti, forse arrivati senza accorgersene, sarà un richiamo , molto sintetico e incisivo, a “non chiudere gli occhi” davanti alle novità; senza tanti discorsi, l’arte riesce a sintetizzare e a richiamare a questioni socialmente e culturalmente rilevanti. Trovare un ritratto sulla porta stupisce, incuriosisce, turba... fa pensare. Quindi è bene che siano proprio i bambini ad appiccicarli: sia perché sono portatori di novità (e sono quelli che devono far proprie le novità della storia), sia perché con le loro domande e iniziative, da sempre, interrogano e richiamano gli adulti a dare risposte. Chissà come hanno reagito gli abitanti autoctoni e quelli non; chissà cosa hanno detto fra se stessi medesimi e con i propri vicini. Avranno dovuto pensare e ipotizzare qualcosa, però... Certamente hanno saputo che i loro bambini si stanno confrontando con questa ancora irruente “novità” e lo fanno aprendo, intanto, le vie della fantasia e dell’immaginazione che tanto aiutano ad allacciare relazioni fra elementi apparentemente lontani. È proprio con la fantasia, confortata, sostenuta e alimentata, convenientemente, da sapienze nuove o rinverdite sulle altre parti del mondo e i suoi abitanti, che i bambini sono stati chiamati a rendere visibile, a dar corpo all’Altro da Sé, dicendo, forse, di se stessi medesimi. Evocare la differenza, darle corpo è sempre un ‘operazione silenziosa di riflessione sulla propria identità; se si lavora intorno agli altri differenti da noi, si va meglio conoscendo la propria identità, anche su un registro implicito. A proposito va ricordato che è risaputo che i bambini hanno dei periodi in cui si creano dei compagni immaginari con i quali discorrono; compagni che sono il loro “doppio” differente con il quale si vanno confrontando. Quindi, da un punto di vista emotivo e affettivo, questa operazione di richiamo 254 dell’Altro, deve essere stata anche semplice da cogliere e da vivere. Il lavoro per le scuole dell’infanzia si gioca proprio sul doppio e sull’anima che pulsa come “estranea” nel proprio corpo; anima da conoscere e far propria dialogandovi e quindi abitandola. È come

se il riconoscere il proprio “doppio” e la propria “doppiezza” dovesse facilitare il riconoscere l’Altro, esterno ed estraneo. I brulicanti omini nati da sagome predisposte a poter diventare diversi personaggi di una piccola umanità raccolta sono quindi in qualche modo deposito concreto delle fantasie di chi e di come si potrebbe diventare, di chi si vorrebbe e/o potrebbe incontrare in una altalena, ancora tipica dell’età di questi bambini, fra Me e non Me. Altalena fra Me e non Me non del tutto ancora regolata su un registro di omologata conformità e quindi ancora plasticamente disponibile a un lavorìo intorno all’identità che i bambini si vanno ad avviare ad avere; identità che può quindi costituirsi forse ancora meno difesa e separata. Sappiamo anche che fin da piccoli l’idea di aver un compagno che vive in altri luoghi, su altre rive sponde affascina, richiama e predispone al viaggio, all’avventura e al nuovo. Quindi abbiamo un offerta, da parte del maestro, assolutamente prossima alle vicende evolutive di bambini e ragazzi che per altro hanno, nella loro relativa giovinezza culturale non ancora raffreddatasi in distinzioni e gerarchie, una certa facilità a mescolare e ibridare; facilità anche dovuta a questo specifico periodo storico che di fatto li espone a questi processi giorno dopo giorno. Operazioni, quelle del mescolare e dell’ibridare, sempre ricche e sfumate negli esiti, spesso di interesse, fascino e richiamo, ma non semplici, né banali... visto che chiedono un apprezzamento e una comprensione culturalmente, oltre che affettivamente, fondati delle modalità di produzione artigianale e artistica dei popoli diversi dai nostri (almeno per quelle tradizionalmente ascritte a un certo popolo e/o area geografica). Anche perché oggi recuperare tracce di eventuale “tipicità” e “specificità” legate a una storia specifica di un popolo e/o di un’area può essere arduo, molto complesso e raffinato tenuto conto delle innumerevoli stratificazioni e apporti che un’opera d’arte contemporanea, nell’era della globalizzazione, porta con sé. Forse è già questa la cifra della manifestazione che il maestro orchestra lungo tutto il paese; quella, appunto, della presa d’atto e della coltivazione della stratificazione di diversi codici e significati attraverso i gesti fattivi che richiede la preparazione di un manufatto; lavora sul registro dell’evocazione, della ripresa e dell’attingere da fonti diverse cercando di provocare emozione partecipata affinché si crei un flusso che permetta la comprensione del fatto che la presenza di altri fra noi chiede e vuole apertura festosa.

5 La città dei bambini 5.1 un amico fantastico Apertura festosa per quell’arricchimento culturale che si può avere e che riceviamo se la piazza del paese diventa anch’essa un’altra riuscendo a farsi diversa dal solito perché trasformata in decorazioni e manufatti inconsueti che danno conto dell’allargamento ospitale del paese. E l’ospitalità si sottolinea sempre con delle feste; con il far festa. Ma ancor più, la piazza, metafora dell’incontro possibile e necessario affinché ci sia una comunità, è la platea, il teatro storico e sociale dove viene affermato che essa si deve fare più larga e tollerante affinché nel suo spazio, che è spazio comunitario, trovino posti nuovi e altri afflati, visioni e scelte rispetto alla vita e al cosmo. E ad affermare questo ci sono i giovani che, consapevoli o meno, sono, in una pedagogia che si fa sociale e civile, almeno chiamati a rappresentare il possibile; non poche volte ospitato e coltivato nel mondo della produzione di tipo artistico. Per altro è come se si fosse fatta una festa con uno degli alfabeti che forse, in misura maggiore, possono aprire ad un avvicinamento fra diversi, non tanto per similitudine di storie, quanto per la condivisione dello stesso impegno: quello del produrre manufatti in ambito artistico. Con i colori, con i materiali, con gli utensili si sono confrontate tutte le culture che continuano, per altro, a farlo, con maggiori e sempre più vaste condivisioni date anche della nuove tecnologie mass mediali. Quindi è su questa sorta di facilitazione al dialogo, all’apertura che si muove la manifestazione che, per la sua specifica tipologia, lavora sul fare insieme o sul portare a un unico manufatto prodotti singoli cercando, forse anche di suggerire che il valore del proprio specifico manufatto, il valore del proprio colore, del proprio gusto e infine del proprio sguardo sul mondo ( e quindi di quello sugli altri), è dato dall’intrecciare reti di corrispondenze e rimandi; corrispondenze e rimandi che se giocati sul fare individuale e collettivo insieme ed intrecciati, modificano e plasmano, attraverso quel “rubare” di cui parla il maestro, chi sta in relazione. Corrispondenze e rimandi che possono anche condurre a produzioni fatte, da subito, a più mani dove forse si può cominciare a perdere la supremazia dell’IO individuale che firma per se stesso, differenziandosi e allontanandosi dagli altri a favore di un NOI fatto da diverse “mani” (intese come stile) che si sovrappongono, accostano e si fondono. Ognuno portando chi è e quello che rappresenta.


5.2 Le immagini sognanti

5 La città dei bambini

Cotignola e Barbiano 29–30 maggio 2003 Due giorni di giochi, eventi, mostre, spettacoli e laboratori che invaderanno e occuperanno letteralmente le strade e gli spazi del centro di Cotignola. Il sogno è il tema di questa iniziativa ed è stato proposto dai ragazzi della consulta: in qualche modo può ricollegarsi all’esperienza dello scorso anno (la diversità) poiché il sogno è, paradossalmente, un aprire gli occhi su di un altro mondo, su altri mondi. Il sogno permette a questi mondi di essere credibili, raggiungibili e veri. Essere pronti alle sorprese, capovolgere e mettere sotto sopra, guardare le cose da un altro punto di vista. Per noi di AeM l’arte e lo stupore sono da sempre vie privilegiate per accedere al sogno e così, nel corso di queste giornate, saranno allestite molte mostre che documentano il lavoro svolto dai ragazzi delle scuole insieme agli esperti d’arte della Scuola Arti e Mestieri; queste esposizioni avranno il compito di trasformare il paese e perciò non le troverete al Museo o nelle Scuole ma saranno “liberate” nelle strade, nella Piazza e nei parchi di Cotignola. Nei vostri itinerari incontrerete pupazzi e mascheroni di cartapesta, allestimenti e scenografie pittoriche, spettacoli di burattini, libri artigianali, paesi di argilla, bizzarri e bellissimi alfabeti… tutto naturalmente costruito dai bambini.

> La città di cartapesta • Il mio nome è rosso

nei laboratori di AeM. Un po’ di giungla anche • I dormienti e i danzatori per voi che troverete al Parco Bacchettoni. Grandi striscioni dipinti dalla terza media, e da ragazzi dei corsi AeM, saranno distesi a • Battito animale Pupazzi animaloidi e animalizzati realizzati terra in mezzo alle strade. Queste grandi pitdalle classi di terza media in collaborazione ture rappresentano e raffigurano due vie per con AeM; mettiamo queste “statue cantanti e accedere al sogno: i dormienti e i danzatori. Si tratta di due figure contrapposte ma che ci è suonanti” in Piazza Vittorio Emanuele II. piaciuto accomunare poiché una rappresenta • Facciamo le storie e anche le facce Nel Parco Bacchettoni e sotto il portico della il mondo interiore mentre l’altra è protesa verBiblioteca i bambini di quarta elementare pre- so l’esterno; entrambe però portano al sogno, sentano uno spettacolo di burattini (costruiti ad uno stato di ricezione particolare, aperto e dalle loro esperte mani nei laboratori della sensibile. • Dipingiamo l’acqua cartapesta). In continuità e a chiusura del laboratorio Ondeggia la pioggia sull’acqua si propone un pastrocchiante laboratorio-evento di pittura rivolto ai piccoli e ai mezzani della Scuola > Il sogno dipinto dell’Infanzia e Carlo Maria Spada; i bambini porteranno, magicamente e all’improvviso, • Librarte (non studiate questi libri) l’acqua dove non c’è, dipingendo fiumi, laghi, Libri da leggere e soprattutto da guardare pozzanghere… (Cortile Palazzo Sforza, Parco perché fatti di disegni e dipinti; quaderni che, Torre d’Acuto, parco Bacchettoni.) un po’ come delle gallerie d’arte, sono pieni • Il mio paese è fatto così di invenzioni. La particolarità di questi libri è Cotignola in miniatura disegnata e poi coche si possono sfogliare partendo dalla fine struita con l’argilla dai bambini della prima oppure da metà; contengono anche storie, elementare (portico Biblioteca e Piazzale della solo che le parole sono molto meno rispetto Pace). alle immagini. Tutti questi libri quasi artistici • Sguardi dal mondo sono stati realizzati dai bambini della quinta Le tele dipinte lo scorso anno dai ragazzi delelementare all’interno del laboratorio Arti e le medie ci sembravano troppo belle per non Mestieri denominato Librarte. Troverete anche essere riesposte (Piazza Vittorio Emanuele II). i quaderni del Museo Varoli che raccolgono i disegni che i bambini di quarta hanno fatto al > A Barbiano, in Piazza Alberico, i bambini della museo guardando i mascheroni di Luigi Varoli. Scuola dell’Infanzia allestiranno un grande serpentoPotrete vedere questi libri sotto il portico della ne multicolore realizzato interamente con cose di plastica recuperate. Salite sui tetti, arrampicatevi sugli Biblioteca.

I nostri sogni si sono materializzati in cartapesta e così abbiamo creato un percorso giocoso e sorprendente che si dipana per le strade di Cotignola: mostri, animali, strani personaggi e facce, moltissime facce che ti aspettano in uno spettacolo muto che ha bisogno dei tuoi sguardi per animarsi. Il teatro immobile di cartapesta ti aspetta in Piazza Vittorio Emanuele II, cortile di Casa Varoli, cortile di Palazzo Sforza, Parco Zanzi e Parco Bacchettoni. (La cartapesta è stata realizzata dai ragazzi che • L’alfabeto fatte ad arte Alfabeti dipinti ed un po’ bizzarri, lettere trafrequentano i pomeriggi di Aem.) sformate con fertile inventiva dai bambini di • Mi rifugio in un angolo di primitivo prima elementare nei laboratori AeM (portico Maschere tribali (argilla e cartapesta) costruiBiblioteca). te dagli sciamani delle classi terza elementare

alberi, prendete il vostro aeroplano, aprite le finestre e i balconi per godere della visione dall’alto di questa 255 brulicante scultura. (Presso la sede rinnovata di AeM, La Casa di Arti e Mestieri, mostra dei lavori realizzati dai bambini della Scuola Elementare di Barbiano: maschere tribali e libri d’arte.)


5 La città dei bambini 5.2 Le immagini sognanti

5.2.B Dislocarsi

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Il tema proposto dai bambini e dai ragazzi per la loro giornata è il sogno; pare quasi un ovvietà rispetto al luogo comune che parla dell’età evolutiva e di quella a cavallo con l’adolescenza, come età dei sogni ad occhi aperti, del sognare inteso come fuga dalla realtà che dice al soggetto che cresce continuamente dei “no”, deludendoli e quindi togliendo ogni illusione. E, per questo, spazi di “gioco”. Voglio invece, pensare, come pare abbia fatto per un certo verso il maestro, che il sogno è anche legato all’utopia, vale a dire alla ricerca, alla costruzione e all’ affermazione di un “possibile”, pensato come auspicabile per i suoi portati vivificanti il vivere sociale e la produzione culturale. Questo per altro pare suggerire la riproposizione delle tele che avevano già segnato il cielo di Cotignola l’anno precedente perché ritrovarsi nella pluralità è un sogno che pur va coltivato, attraverso la “Festa” e le feste e l’allargamento degli spazi disponibili per renderli capienti ad accogliere il nuovo che arriva. Così come è un sogno il fatto che si aprano possibili, nuovi modi di produzione culturale attraverso quella connessione e incontro di contrario e di antagonista che solo il sogno mette insieme nella notte e che l’arte, alleata del sogno, può transitare al chiaro di tutti i giorni, alla luce. Senza fargli perdere incisività e potenza, anzi! Dandogliene. Ma ancora voglio pensare che il sogno sia anche l’area destinata al soggetto per meglio apprendere e comprendere la realtà rielaborandola nel segreto della sua intimità raccolta affinché la realtà possa diventare più sostenibile, attraversabile e anche prendibile. Voglio pensare che la richiesta di lavorare sul sogno stia nell’avvertenza, da parte dei ragazzi, che il sogno sostiene la realtà e la rende vivibile e sopportabile. Quindi il sogno vorrei ricollegarlo alle dimensioni trasformative del soggetto che può, a partire dal sogno, ma non rimanendo nel sogno, avere progetti d’intervento sul reale e su stesso medesimo. Certo che per avere progetti il soggetto deve

aver “sistemato” i suoi fantasmi e le sue paure, i suoi “doppi” che lo opprimono e lo perseguitano e lo bloccano, deve avere lavorato intorno alle sue “ombre” che lo coprono. E tutto questo lo fa non solo sognandoli, ma anche portandoli fuori, trattabili e trattati, sotto forma di personaggi e manufatti che possono essere “governati” e “contenuti”: allora se è così certamente si può riconfermare che l’arte è anche il parlare e il dirsi dei nostri segreti che si fanno visibili e sopportabili. Ora tornando al sogno e al fare progetti nel reale c’è, di richiamante e di intrigante, l’accoppiata “dormienti e danzatori”, di “matissiana memoria, che sembra voler fasciare il paese di Cotignola; esito, quest’accoppiata, di un raccoglimento fiorito avvenuto nel sogno che è premessa, sul livello della veglia, a un movimento che può fare, di questo pensare fiorito nel e del sogno, azione, gesto, movimento; idea, immagine, fantasia che fattesi azione, gesto e movimento mutano lo spazio, intervenendo in esso che prende altre forme. Sfondo ad altre possibili storie. È il sogno che ha messo quindi insieme chi si muove e occupa spazio, i danzatori, e chi invece sta fermo e si ritrae dallo e nello spazio, i dormienti: ma questa accoppiata diventa, nella realtà, una danza ferma, per ora, che lastricando il paese lo muta. Sì, mutano il paese: è questo che fanno i bambini e i ragazzi ogni anno per qualche giorno dando corpo, appunto, a composizioni, itinerari, luoghi e aggregazioni che fanno del paese un’entità mobile e turbata. Così si può fare anche utilizzando l’acqua che, nella sua liquidità improvvisa e sempre sorprendente, può, proprio come in un sogno, dar conto di nuove aggregazioni: ora specchi per Narcisi presi e problematici, come paiono i bambini di questi laboratori; ora laghetti, che pur sono specchi; ora onde che vanno giù per la mano con la stessa densità dei sogni di acqua che tanto possono prenderci. Certo l’acqua, ma tutti i materiali trascorrenti e

metamorfici in tempo reale sotto gli occhi stupiti di questa metamorfosi, stanno fra sogno e realtà: stanno “fra” per quella loro ambivalenza e ambiguità di stato che li rende di “frontiera” fra l’un mondo, quello reale delle presunte certezze, e l’altro mondo, quello del sogno, dell’affascinante e terribile possibile. Per altro il sogno prende ed ha senso al risveglio, con il risveglio che ci porta a confrontarlo con i dati di realtà portandoci a comparazioni fra l’uno e l’altro stato che si sostengono a vicenda; tant’è che un sogno può sembrare vero mentre, per converso e viceversa, un dato, un’esperienza e un momento della realtà vissuta possono apparire sogno. È anche su questi possibili scivolamenti che portano con sé spazio di rielaborazione culturale che pare muoversi il lavoro del maestro con i bambini. Per esempio: quando trasforma la piazza di Barbiano che credo sia l’intervento più immediatamente leggibile rispetto al sogno come tensione utopica. Dove giace il silenzio di un’urbanistica senza alcuna fantasia, dove si registra la neutralizzazione funzionalistica dell’abitare contemporaneo, dove forse lo spazio è pensato più come posteggio che come ritrovo del piccolo paesino, nella piazza bella linda e squadrata che piazza non è, almeno stando alla nostra gloriosa tradizione di piazze, può essere pensata, può essere allucinata un’apparizione che rompe tutto quello che di refrattario alla fantasia, alla mobilità dell’immaginazione e al gioco corporeo questo spazio porta con sé. Nella piazza si snoda un serpente di cose di plastica colorate che fa palpitare lo sguardo e che ci richiama ad affacciarsi per vedere giù “nella piazza” che cosa c’è. Quindi la piazza diventa, per gioco e sogno di possibili trasformazioni, un luogo finalmente segnato, graffiato, ingombrato di strutture e materiali che richiamano a passeggiarlo, anche solo per il gusto di dissentire sull’opera presente che comunque smuove e rinnova lo spazio che desolato e silenzioso non è più.


5.3 La città degli sguardi

5 La città dei bambini

Cotignola giovedì 27 maggio 2004 Laboratori, mostre, allestimenti, letture, danze, musica, teatro, film, giochi, e una valanga di bambini, un’orda impazzita che metterà a ferro e fuoco la città. Chiudetevi in casa ed accendete la televisione! Ovviamente stiamo scherzando perché sarà una festa incredibile con le strade del centro chiuse al traffico e con sorprese nei parchi… dal mattino alla sera.

> Lo sguardo necessario Per un giorno Cotignola sarà la Città degli Sguardi. Lo sguardo è fatto dall’occhio dei bambini, che è occhio indiscreto e capace di fare le cose, e nominarle anche, a volte con parole e nomi nuovi. È per urgenza di bellezza che dobbiamo ripartire da questo guardare sensibile, da questo sguardo che è agile, curioso ed inquieto come quello dell’artista. Ecco il sentimento che muove la nostra città dei bambini, che è un’invasione ludica e creativa; il paese deve offrirsi incondizionatamente, adattandosi e modificandosi, accogliendo ed abbracciando. Anche lo sguardo è una sorta di abbraccio perchè scalda e ci fa sentire vivi. E allora fuori le facce, che annusano e toccano, che parlano, che ascoltano e guardano. E come se questi volti ti prendessero per mano sussurrandoti: “Guarda, seguimi, ti mostro come si fa…”. I volti sono naturalmente quelli dei bambini che si moltiplicano e specchiano in un immenso e brulicante caleidoscopio composto da tutte le facce che hanno realizzato nei laboratori di AeM. Ogni faccia è uno sguardo e ogni sguardo racconta e tiene una storia. (Vedere con gli occhi dell’arte per fare esperienza del mondo: è per questo che abbiamo chiamato la mostra dell’Arti e Mestieri La Scuola Degli Sguardi poiché la visione è stupore e una vita senza stupore non ci piace e cerchiamo di combatterla.) Se la libertà è dello sguardo, l’occhio può ancora essere capace di piccole rivoluzioni. Un nuovo modo di vedere le cose ci modifica e modifica il mondo; spostare, cambiare, capovolgere il punto di vista… e chiudere gli occhi quando serve. I bambini vi aspettano: prendetevi un giorno di ferie e portate in piazza, per le strade e nei parchi la vostra faccia, che lo sguardo ha bisogno di essere doppio, rimandato e contraccambiato. Anche i dipinti, i disegni e la cartapesta ti guardano e ogni sguardo è un filo teso, fragile e prezioso: tanti sguardi fanno una ragnatela e il paese diventa una piacevole trappola in cui cadere;

ogni volta che guardiamo l’occhio traccia una traiettoria, un percorso che lascia dietro di sé una scia, e tutte queste orbite fanno una specie di giostra colorata e luminosa sulla quale puoi saltare anche se sei grande.

> La scuola degli sguardi (a Paul Klee) Una grande mostra a Palazzo Sforza che raccoglie le opere realizzate dai bambini nei laboratori di Arti e Mestieri. Il percorso si snoda sugli ultimi due anni di attività con particolare attenzione alle produzioni di quest’anno che hanno avuto come tema e filo conduttore la visione e rappresentazione del volto; è come se avessimo smontato le facce e le avessimo ricostruite e fatte nuove con tutte le tecniche e i materiali possibili. Mille e più volti per un risultato sorprendente: questi bambini hanno giocato a fare gli artisti e ci sono riusciti davvero bene. La mostra presenta altre due corpose sezioni: una documenta i laboratori attivati nelle scuole dell’infanzia, l’altra è composta di libri; la prima è una mostra fogliuta ed acquatica, è l’atelier di pittura della Scuola dell’Infanzia che ha prodotto dipinti eleganti e raffinati, leggeri e poetici, e che ci restituiscono una visione sospesa e fantastica delle cose, mentre, l’ultima parte dell’esposizione, mette in mostra i libri dell’Arti e Mestieri (oramai una vera e propria collana famosa in tutto il mondo). È una nuova concezione del libro, non più da leggere, ma da guardare come una sorprendente galleria che ricambia il tuo sguardo perché piena di facce. Ogni libro è una mostra condensata...

ne dei datteri, veneri e vittorie alate, fabi pignatta, dee guerriere, mostriciattoli punk, tutto insieme come in un sogno impossibile, bellissimo e un pò stralunato. E poi le incredibili maschere dei bambini di AeM ad infittire questa dolce foresta bianca. Forse è una riunione segreta e le maschere sono uscite da sole… un po’ lo sospettavamo, sono vive. (Rumore Bianco è stata definita dalla stampa internazionale “la mostra più romantica dell’anno”.)

• I mascheroni alla Varoli

Al Parco Zanzi i volti giganti realizzati dai ragazzi della Scuola Media nei laboratori della cartapesta di AeM; si tratta di grandi maschere un po’ totem e un po’ caricature di personaggi cotignolesi; facce imponenti…

• I mitici burattini e i leggendari pupazzi

Dai laboratori di cartapesta di AeM uno spettacolo di burattini giganti ispirato al mito greco (Teseo e Arianna e Dedalo e Icaro). I bambini e le insegnanti delle classi quarte elementare presentano un evento unico ed irripetibile a cui potrete assistere presso il Parco Bacchettoni: mostra e teatro insieme, cosa volete di più? (Spettacolo teatrale con la cartapesta che diventa mobile: attori di cartone e scenografie mutevoli, e poi il coro greco… mettetevi comodi, orecchie ed occhi aperti, bocche chiuse.)

> Oh quanto è bella, oh quanto è artistica Cotignola! Inauguriamo quest’anno, con due importanti inter-

Se proprio non potete fare a meno di leggere la sezione di- venti, un progetto di arredo urbano con mostre permadattica fa per voi: insieme ai libri dei bambini presentiamo per nenti che occupano spazi e muri del paese. la prima volta i libri realizzati dagli insegnanti dell’Arti e Me- • Le facce di creta stieri e tutti i progetti dei nostri laboratori. Imperdibile.

Sulla facciata della Scuola Arti e Mestieri un’istallazione permanente, una mostra all’aperto di maschere > La città di cartapesta in ceramica realizzate dai bambini delle classi terza elementare presso e con AeM. Ci piace pensare che que• Rumore bianco ste faccine un po’ tribali e un po’ primitive siano anche L’occhio nuovo fa le cose bianche e il bianco è della un omaggio e un’occhiata di intesa alla casa e alla mesorpresa, di cosa mai vista, di un tempo sospeso in cui moria dell’amico Arialdo Magnani. 257 la visione può tornare ad essere pura. Il bianco è fragi(Per la prima mostra permanente di Cotignola interverranle e potente allo stesso tempo; docile e ribelle riparte no le massime autorità e il Presidente della Repubblica Ciamda zero per rifare il mondo. Al Parco Bacchettoni i pu- pi invierà, in videoconferenza, il suo saluto all’iniziativa e a pazzi che abbiamo costruito nelle serate di AeM: co- tutti i bambini. Un piacere per gli occhi che potrete ritrovare, nigli, clown, fenici, pupazzi di neve, cow-boy, balleri- d’ora in poi, ogni volta che vorrete. Evviva.)


5.3.C Spegnete la televisione e guardatevi intorno

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Quello che va sempre più caratterizzando la nostra vita sociale che si è fatta “urbana e metropolitana” anche nei paesi più piccoli è la presenza di occhiali scuri da sole anche quando è buio e quando si è al chiuso e in stretto rapporto con gli altri ; vengono occultati agli altri lo sguardo e gli sguardi, ci si sottrae al dialogo visivo che è vicinanza, apertura e possibile confidenza e soprattutto rispecchiamento reciproco. In realtà si rivendica, si afferma e si coltiva una sorta di individualità “difesa”, “separata” e “distante”; pare esserci un IO così fragile che non può incrociare lo sguardo altrui, un IO pensato unico e prezioso che non può mescolarsi con gli altri, un IO spaventato e forse spaventoso nella sua necessità di solitudine e di lontananza proprio quando, negli incontri sociali, non sarebbe prevista da nessun codice di vita in comune. Capita, molto più spesso e stabilmente, nelle grandi città, che ci si specializzi a non guardare, a non vedere, mentre nei paesi accade, forse meno; ma forse capita per motivi opposti. Per separarsi e rivendicare individualità. Può capitare anche che, per guardare la televisione, non si scambino sguardi neanche se si è a tavola in famiglia. E ancora e infine non ci si guarda neanche un po’ perché, anche nei paesi, tutti hanno fretta; non ci si guarda al punto di accorgersi che qualcuno è cambiato intorno a noi e non ce ne siamo accorti. Quindi rilanciare una politica e una poetica degli sguardi ha, per le stesse parole usate poc’anzi, un valore politico, civile, sociale, culturale e affettivo di non poco conto. Gli sguardi, come il saluto, sono inizi, ma anche collanti del vivere con...; sono pratiche del legame. E ben lo sapevano e lo sanno questi sindaci che hanno sostenuto il giorno del saluto in paesi dove salutarsi non era più abitudine a conferma del legame sociale. Ma il guardare, il “buttare lo sguardo” sulle cose, sul mondo, su noi stessi, come dice il maestro, ha anche a che vedere con prendere una posizione rispetto al mondo; per questo è politico, lo sguardo. Politico nella sua accezione più ampia; vale a dire di modo , appunto, di guardare e concettualizzare il mondo. E di apprenderlo, dapprima con gli occhi che è appunto il nostro più abituale modo di agganciare il mondo; quindi il modo che ognuno ha di guardare è espressione e dichiarazione e testimonianza del bagaglio culturale di ognuno. Per questo per guardare più profondamente, più incisivamente, più ampiamente è necessario dare ai bambini un bagaglio fatto anche di specifici percorsi che li richiamino intanto a guardare e poi guardare meglio con la maggiore e più persistente possibile disposizione indaga-

5 La città dei bambini 5.3 la città degli sguardi

tiva superando l’immediato, iniziale smarrimento per lo stupore e per la meraviglia davanti a quanto il mondo ci offre tutti i giorni, a partire dai volti dei nostri cari e vicini, all’indagine. Allora tutto il lavoro fatto è un prolungamento, per tutto il tempo utile, necessario e disponibile, al fine di andare oltre il primo momento di presa d’atto, anche rapita, del mondo per poter arrivare a prodotti che sono il tentativo di fermare tutto quello che ogni minimo sguardo porta con sé al nostro interno. Ma tutto il lavoro fatto è anche la diffusione sul territorio di questo prolungato impegno per stare in relazione con gli oggetti, i materiali, i compagni, il maestro e il lavoro da farsi (e per stare in relazione bisogna ben guardare, continuare ad aggiustare lo sguardo, mettere a fuoco, avvicinare e allontanare gli oggetti/soggetti del nostro guardare). Tutti i laboratori sono ovviamente dei laboratori sul e del guardare e ognuno di essi è come un ulteriore potenziamento della capacità di farlo; è come se ogni volta il maestro aggiungesse nuove lenti ai bambini per dar forma, anche nella deformazione, a manufatti che sono sempre la precipitazione di quanto è stato richiamato, smosso e reso emozionato, al proprio interno, dal guardare fuori. Il guardare nella sua estroversione è sempre e anche un’operazione che parte e arriva dall’interno; dal nocciolo più denso del soggetto che guardando meglio e attentamente il mondo si nutre e non si atrofizza. Per questo è bene chiudere la televisione ; perché può distoglierci dal guardare. Dal guardare inteso come movimento comprensivo del mondo da parte del soggetto che forse è meglio che guardi, forse con più cura, la sua casa, i suoi prossimi e le strade e il paese e la curva che fa ogni mattina, per coglierne la luce diversa. E per rompere la velatura di occhi acquietati qualche segno che faccia un po’ sobbalzare ci vuole: per questo è importante che ci siamo già manufatti/segni stratificati e fermati nel corpo urbano che testimonino di questo tentativo dei bambini di guardare bene fuori e dentro di sé. Forse così si coltiva, si preserva, si tramanda l’infanzia e la sua caratteristica di essere l’età in cui veniamo colti e presi da piccole cose; quasi di nuovo, nuove. Come può accadere per un muro con inserti di faccine nel muro. Alzatevi e andate a guardarle bene, da vicino. E dite qualcosa, dopo averle guardare e tastate. Fate solo un piccolo esercizio per avere un occhio che fa piccoli balzi, meglio apprendendo il mondo.


5.4 Storie di carta (a colori)

5 La città dei bambini

Cotignola e Barbiano 25–28 maggio 2005

I bambini si raccontano con le loro facce, i loro corpi e le loro produzioni, occupando la città con un’invasione giocosa ed artistica; per un giorno ne ridisegnano le traiettorie e ne spostano i confini riappropriandosi di ciò che gli appartiene, offrendo e mostrandoci un altro punto di vista. L’arte può essere una buona strategia per vedere meglio, uno sguardo nuovo sulle cose che è vicino al sentire del bambino; molte mostre e laboratori perché qui sono catturati i loro sguardi, pensieri ed umori. Tutto è ad opera dei bambini, tutto parla di loro ed è frutto del loro lavoro; storie che accompagnano e attraversano un anno intero e che si concentrano tutte in un giorno, un giorno alternativo e rigenerante. Complesse costruzioni, fragili e bellissime architetture, delicati meccanismi che creano una forma vitale che abbraccia tutto il paese in un vortice rinfrescante e colorato. Le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi sono usciti fuori per dirci, con il loro impegno, che il nostro riscatto di adulti non può che passare attraverso la fantasia. Partecipate a questo capogiro, vi mostreranno come si può mettere sottosopra la realtà inventandosene delle altre. (Ogni mostra, spettacolo, proiezione, festa e tutto quanto è in programma, è rigorosamente gratuito e non solo è aperto a tutti, ma non esisterebbe senza la vostra partecipazione, perciò fatevi vedere e tenete occhi ed orecchi all’erta, i bambini vi aspettano. Uscite alla mattina, al pomeriggio e alla sera insieme ai vostri figli poiché, per un giorno, la città è la loro.)

Cotignola: le mostre > 1 • I laboratori pomeridiani della scuola Arti e Mestieri • Un anno di facce

Una galleria-rassegna di occhi, nasi, bocche

ed anche capelli, a volte orecchie, tutto mescartapesta. Una mostra di sculturine un po’ so dentro ad una faccia; facce fatte ad arte arcaiche e pupazzetti misteriosi (da dove vene con l’arte dai bambini della Scuola Arti e gono?). Mestieri. Facce come non le avete mai viste • Sagome di cartapesta / classi quarte e sulle quali i bambini hanno sperimentato Un atelier della cartapesta che ci porterà a tecniche e nuovi modi di vedere. Occhi che ci due grandi spettacoli con sagome, pupazzi e guardano, bocche che ci parlano, nasi che ci scenografie. In mostra, i disegni, i progetti e annusano, volti che ci raccontano un sacco di i libretti che hanno anticipato ed accompacose sui loro piccoli autori; ogni volto è una gnato la lavorazione della cartapesta e della storia ed un anno di laboratori è un intreccio pittura. ricco e prezioso di narrazioni. • I burattini / classi terze • Il nero Ogni alunno ha realizzato il suo burattino di Visioni notturne, buie e misteriose per un cartapesta con i quali si presenteranno ben laboratorio leggermente pauroso che ci ha sei spettacoli diversi; in mostra esponiamo i portato alla cartapesta nera realizzata per disegni fatti al Museo Varoli e all’Arti e Mela Segavecchia. Disegni come apparizioni in stieri in cui i bambini hanno copiato dal vero cui la luce si fa magica e rivela le cose, piti mascheroni e i pupazzi di cartapesta, e poi ture profonde ed oscure, maschere un poco quelli realizzati a china come progetto del inquietanti ed elegantissime. I bambini, come burattino. artisti coraggiosi, si inoltrano e sfidano le te- • Il mio paese è fatto così / classi nebre. (È una produzione Arti e Misteri.)

• Cotignola a foro stenopeico + piccolo reportage a rayogrammi

In queste sezione le produzioni del laboratorio di fotografia che abbiamo attivato nei pomeriggi di AeM con i bambini e i ragazzi delle elementari e medie.

> 2 • I laboratori d’arte nella Scuola Elementare di Cotignola • Omini che stanno in piedi come alberi (e che forse camminano o ballano) / classi quinte

Si tratta di un atelier ispirato al lavoro dell’artista Alberto Giacometti, in particolare alle sue sculture esili e filiformi; figure e figurine fatte dai bambini con il disegno, la creta e la

seconde

Una ricognizione sul e nel paese che ha visto impegnati questi piccoli esploratori che sono andati in giro per Cotignola armati di quaderni su cui hanno disegnato ciò che vedevano; schizzi ed appunti che registrano monumenti e chiese, scuole e palazzi, piazze e strade, il fiume, la ferrovia, e altre cose più “insignificanti” come la pioggia, le nuvole e le pozzanghere, alberi, fiori, pigne e foglioline, muri e sassi e così via, fino ad arrivare alle facce delle persone incontrate. Tornati all’Arti e Mestieri questi disegni venivano tradotti e rielaborati con l’argilla.

• Le facce di creta / classi prime

Sfoglia, graffito, tracce ed impronte, texture, palline e lucignoli e un sacco di altre invenzioni, tutto frullato e messo dentro alle faccine di creta.

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5 La città dei bambini > 3 • La pittura alla Scuola dell’infanzia di Cotignola e Asilo C. M. Spada • Dipingiamo il colore (piccole storie in blu, rosso, giallo, bianco e verde)

mattino.

• Da Bisanzio ai pixel

Classe quarta elementare della Scuola Ele- > Il mio paese è fatto così mentare di Barbiano; dalla pittura divisioniSotto il portico in Piazza Alberico Il mio paesta e a puntini al collage, dall’assemblaggio se è fatto così, una sorta di plastico artistico al mosaico vero e proprio. in cartapesta di Barbiano, a cura delle classi • Il mio paese è fatto così prime e seconde della Scuola Elementare di Un plastico del paese in cartapesta a cura Barbiano delle classi prime e seconde della Scuola Elementare di Barbiano.

Ogni sezione di questi piccoli ed un po’ inconsapevoli artisti ha lavorato nel laboratorio di Arti e Mestieri su di un colore specifico: il blu è diventato del mare e dell’acqua, del cielo e della notte e così è avvenuto per gli altri colori, ognuno con caratteristiche, poetiche e Cotignola: gli allestimenti materiali diversi.

• Nella notte il bosco, il buio, il mistero

> 1 • Il teatro immobile, muto Laboratorio di pittura, con libro artigianale, e cartapestato dell’Arti e Misteri all’Asilo Nido di Cotignola. La mostra di Arti e Mestieri è tutto questo ed altro ancora: per l’occasione sarà anche aperto il Minimuseo dell’Arti e Mestieri, una sorta di stanza delle meraviglie che è situata al primo piano e che raccoglie la collana di libri artigianali e quasi artistici dell’Arti e Pensieri, le maschere di cartapesta e molte altre cose. Una sezione della mostra di Arti e Mestieri sarà allestita con i lavori delle classi prime e seconde (tempo pieno) elementari dentro all’atelier della Scuola Elementare stessa.

Barbiano: le mostre • Piero Dosi e i trenta superprotopittori delle facce

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Le classi terze e quinte della Scuola Elementare di Barbiano hanno disegnato e dipinto nei laboratori di Arti e Mestieri delle facce incredibili, raffinate e potenti, che sono ispirate al lavoro dell’artista lughese Piero Dosi. (Per realizzare questa serie di volti siamo passati dal disegno a lume di candela all’autoritratto specchiato nell’acqua, dalla pittura liquida e a macchie a quella materica stesa con le spatole, dalla pittura e disegno su foto al monotipo.) Questo corpo di disegni è allestito nelle sale della Casa Comunale di Barbiano ossia nel luogo dove hanno lavorato i bambini al

Barbiano: gli allestimenti

Eventi ed azioni Mercoledì 25 maggio, Barbiano.

• PAVIMENTALES Le scuole di Barbiano invadono festosamente la piazza e la colorano con i gessetti e per una giornata la piazza sarà bellissima. le Scuole Elementari prenderanno spunto dal laboratorio Piero Dosi e i Trenta Superprotopittori delle Facce ingrandendo alcuni disegni e dipinti realizzati dai bambini di terza e quinta mentre la Scuola Materna lavorerà sul tema del mare portando in piazza La Balena Arcobalena.

Un allestimento pazzesco e spassoso in cui la cartapesta si anima per occupare pacificamente, per due giorni, i parchi di fronte alla scuola AeM (Bacchettoni e Zanzi); una mostra gigante di pupazzi e maschere all’aperto che vivrà giorno e notte aspettando i vostri sguardi. Un vero e proprio dispiegamento di forze in cui si fronteggiano, in una battaglia surGiovedì 26 maggio, Cotignola. reale e pacifica, due schieramenti composti • SAGOME E BURATTINI da personaggi bizzarri ed eccentrici: Rumore Spettacolo di burattini e sagome in cartapeBianco e La Casa Dei Mostri Creatori. sta realizzate dai bambini di terza e quarta elementare nei laboratori di AeM. Piazza Vit> 2 • Che cosa succede là dentro? torio Emanuele II. • IL SERPENTE ARCOBALENO I muri esterni della Scuola Arti e Mestieri Tutti i bambini della Scuola dell’Infanzia di diventano ogni anno più belli con gli allestiCotignola e Asilo C. M. Spada saranno impementi permanenti della creta che caratterizgnati nella colorazione a gessetti di un enorzano sempre di più questo edificio come una me serpentone multicolore che si stenderà, struttura particolare e un po’ magica, fuori adagiandosi sinuoso, per un tratto di Corso dall’ordinario. Quest’anno raddoppiamo l’inSforza. tervento inserendo due gruppi di lavori rea• La classe 1°A della Scuola Elementare di lizzati nei corsi mattutini e pomeridiani di Arti Cotignola disegnerà e colorerà, con i gessete Mestieri: il primo corpo di produzioni è una ti, la storia di Pollicino su di un tratto di via serie di facce di creta ad opera dei bambini e Garibaldi (seguite sassi e bricioline e state ragazzi che frequentano i corsi pomeridiani, attenti nel vostro cammino a non perdervi nel il secondo è un lavoro su Cotignola (Il mio bosco). paese è fatto così) delle classi seconde della Scuola Elementare di Cotignola.


5.4.D Portar fuori La festa della Città delle Bambine e dei Bambini è occasione, abbiamo visto, per portar fuori un intero anno di lavoro; è la festa del raccolto, di quello che è maturato, di quello che è venuto fuori lungo il corso dell’anno trascorso a cimentarsi con artisti, tecniche e temi. È di questa pienezza che viene invaso e investito il paese in cui dilagano, occupandolo, i bambini con i loro lavori, rompendo la sua quiete e forse facendolo vibrare. Allora una funzione della Scuola Arti e Mestieri è anche di portare le provocazioni del maestro, oltre i bambini: ai loro genitori e a tutti i cittadini che così sanno, sulla propria pelle e per aver visto con i loro stessi occhi, che c’è una “banda di anticonformisti” che cerca posto per le sue opere e soprattutto chiede sguardi e quindi accettazione o almeno attenzione da parte loro. Sì, una delle cifre del lavoro del maestro è proprio questa coltivazione di anticonformismo inteso come posizione interrogante la realtà e soprattutto non accontentata del primo livello attraverso il quale si dà o può essere percepito dal soggetto che si affaccia al mondo. È questo scavo, è questo ritorno sopra e attraverso le opere, le tecniche, i temi e gli stessi manufatti dei bambini che mette in moto il maestro cercando un approfondimento che è dato più spesso dal mettere su, dall’accumulare, dall’aggiungere elementi, dal tornare a nutrire i bambini come se il molto e il troppo, a volte, di inviti, di attività, di suggestioni, di richiami e di contributi potessero in qualche modo far traboccare, far uscire , far defluire dai bambini la voglia di fare, l’impegno, la concentrazione e soprattutto un’inesauribile disposizione a produrre; non c’è pigrizia; il maestro prende e richiama e quindi trasporta il bambino al di là di ogni sua resistenza. Ora con storie inventate da lui, ora con animazioni, ora con disegni, pitture e manufatti prodotti ancora da lui, ora con immersioni sensoriali e meditative, ora con scorribande fra artisti offerti in forma mediata e immediata nella loro irruenza, incisività e seduttività il maestro sollecita, muove e interessa i bambini. Interessa e coinvolge mutando continuamente la declinazione del suo ruolo: ora animatore, ora esempio fattivo, ora collaboratore vicino, ora portatore di conoscenze, ora assistente dei bambini. Bambini che hanno diversi repertori “espressivi” a loro disposizione anche all’interno di uno specifico, monotematico laboratorio che, in realtà, è sempre declinato in momenti che prevedono intrecci, rimandi, riprese e utilizzo di diverse tecniche e autori. Quindi questa ricerca di “anticonformismo” del maestro non è mai mero puerocentrismo; anzi non lo è affatto, anche se parla di libertà dei bambini spessissimo. Intanto perché ai bambini vengono fornite occasioni per trasformare il dipingere, il disegnare e il manipolare in avventure dell’occhio, della mano, della mente e del cuore a volte separatamente, altre fra

5 La città dei bambini 5.4 Storie di carta (a colori)

loro intrecciate. E poi vengono dotati, vengono arricchiti di scoperte e conoscenze che rendono il loro lavorare più mirato, preciso, sapiente e anche capace di render conto del loro modo di vedere e concepire la realtà. E infine la libertà, intesa come capacità di scegliere, come capacità di valutare come e perché fare in un modo piuttosto che in un altro, è conquistata attraverso continue prove, continui confronti, continue revisioni. Per questo le produzioni sono certamente pensate e riflettute, anche se pare ci sia una prevalenza del registro emozionale; pensate e riflettute perché finite sempre dopo percorsi molto stratificati e sempre con una loro memoria come ci dicono i libri prodotti e il portar fuori, anche su un altro livello, vale a dire “in piazza”, i loro lavori che possono così essere ripresi in mano e risignificati. Quindi il portar fuori, “in piazza” è una sorta di riflessione e di condivisione allargata socialmente che, nel segnare la chiusura dell’anno, permette anche di fare il punto su quello che c’era nel grande “deposito” della Scuola. L’esporre, invadendo il paese, ripropone anche ai cittadini il valore perturbante della coltivazione dell’arte attraverso la produzione di manufatti che le sono in qualche modo vicino; valore perturbante perché attraverso la meraviglia, lo stupore, la curiosità, l’immaginazione e la fantasia dei bambini diventate manufatti, i cittadini sono chiamati anch’essi a meravigliarsi, a stupirsi, a incuriosirsi, a immaginare e a fantasticare a partire da quello che vedono. È questo, se si vuole, anche il significato del: “mondo salvato dai ragazzini”. In un mondo che si assonna, che si appisola e si conforma mediando continuamente e smussando continuamente anche le emozioni più semplici che ci colgono al solo passare dall’ombra alla luce, bisogna che qualcuno coltivi, conservi e tenga viva sia la nostalgia sia la voglia di fare di questo passaggio poesia, quadro, performance... in genere questo qualcuno è un maestro, vale a dire un adulto. Quindi, non contraddittoriamente, “il mondo è salvato dai ragazzini “ per conto degli adulti, per richiesta degli adulti, per mandato degli adulti che sostengono l’operato di qualcuno, un maestro, appunto. Affinché egli, mentre essi non guardano più al rosso del cuore che dilaga nell’emozionarsi per qualcosa, faccia stupire, sostenga il loro stupore a questo dilagare, forse attraverso i “ragazzini”. E ne renda poi conto, anche e meglio e soprattutto con una festa perché gli adulti possano accertarsi che “salvata un’altra generazione” dall’indifferenza al mondo, anch’essi sono salvi. Salvi, finché ci sono bambini con maestri. È questa faccenda che interessa l’educazione e la sua parte riflessiva, la pedagogia.

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6 ...quasi scienza guardare e restituire mondi

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Nel testo fin qui letto si sono ritrovate le parole “scrutare”, “cercare” e “trovare”; parole molto “scientifiche”, se ci si pensa un po’. Nel linguaggio corrente sembrano più utilizzate per attività di indagine e ricerca legate al fare “scienza”; o al “ragionare” intorno a e di qualcosa; non è così corrente legarle al fare arte. Eppure sono parole e attività cardini per un artista visivo. Cosa fa un artista se non scrutare il mondo? Non potrebbe essere un artista senza farlo continuamente e forse ossessivamente; forse è condannato a scrutare il mondo vedendone dimensioni non sempre facilmente reperibili da subito e da tutti. Vediamone perciò i significati. Scrutare:1 “Esaminare, indagare con attenzione per vedere, trovare, capire”, pare derivare da rovistare legato agli stracci. Ecco cosa fa un artista: rovista fra, mette le mani nel mucchio dell’esistente. Quindi passa, uno per uno, sotto le mani e gli occhi, gli elementi delle realtà ed esamina le variabili di cui sono composti questi elementi; forse la sua attività è puramente e meramente attività esaminatrice vista la varietà infinita del mondo; forse non vuole ancora nulla dalla realtà, forse vuole solo apprenderla... forse è innamorato della stessa e forse è sempre più ammaliato da essa, man mano che rovista. Ma ha urgenza di dirlo, forse dapprima a se stesso. Ma come? Forse attraverso un quadro o la ricostruzione del grande mucchio di stracci colorati nel quale ha messo le mani... Ora, rovistare implica la capacità di distinguere, comparare e infine scegliere; perché ci sarà pur qualcosa che cerca l’artista! Forse ha un progetto, forse ha un fine, forse ha una sua pista... Forse il suo rovistare è interessato; anzi è testimonianza del suo interesse per quel cumulo di stracci che ha davanti. Forse è il cumulo di stracci stesso ad interessarlo nella sua complessa e intricata massa che in realtà è tutto un vocabolario visivo da sfogliare. Quindi l’artista sta cercando, interessato, qualcosa; forse vuole trovare qualcosa… Come pare essere uno scienziato! Vediamo quindi “cercare”. Cercare: “adoperarsi, darsi da fare per trovare una persona o una cosa perduta” ; “studiarsi di ottenere, di conseguire qualcosa”, pare derivare da “fare il giro di, andare intorno a” come di caccia. Allora l’artista è a caccia di qualcosa, qualcosa di perduto e che va riportato al presente: che l’artista abbia a che fare con la nostalgia, con quello che è passato? Forse l’artista ha che vedere con quello

che si vorrebbe e non si ha più o non si è mai avuto? Forse l’artista ha anche vedere con il non perdere e il riportare a vita il perso? Quindi l’artista ricostruisce, ripara, inventa daccapo, restaura, colma, perfeziona e completa ciò che pare rotto, disperso, frammentato, incompleto e impreciso. L’artista mette ordine e ricompone strutture e organismi, fa rivivere corpi. Come è costruttivo e attivo un artista! Riattualizza ciò che non c’è mai stato, non c’è più o che potrebbe non esserci mai. Come è capace di illudersi un artista! Restituisce vita e presenza: come è potente un artista! Forse è questo che vorrebbe trovare: la capacità di dare vita, di comporre, di strutturare. Trovare: “Riuscire a incontrare, vedere, conoscere, cogliere, scoprire... la persona o la cosa che si cercava” e pare avere riferimento al comparare e confrontare. Quindi l’artista vuole e deve riuscire nella sua impresa di portare fuori ciò che “mancava”, deve far emergere l’ “assente”; vuole condurre a buon fine la sua ricerca che prevede un rovistare fra... proprio per vedere se viene fuori ciò di cui sente la perdita. È destinato a un incontro, l’artista. Quindi c’è sempre un altro da sé che lo sta aspettando. Allora l’artista è colui che va oltre, oltre se stesso, intanto. Quindi deve impegnarsi, deve concentrarsi, deve fare attenzione e stare all’erta per non perdere l’appuntamento. Ai bambini nei laboratori viene proprio chiesto questo mettersi alla cerca, a caccia... per poter restituire ciò che avvertono come mancante, come a rischio di perdersi, come da non perdere: che sia il volto che cambia, che sia la frutta che può marcire, che sia il blu di una notte che può sbiadire, che sia un sogno che si dimentica, che sia un’emozione che passa, che sia uno stato d’animo che si dilegua, che sia una percezione che sfuma... i bambini sono chiamati a trovare, rovistando, a non perdere, a tenere fra le mani, a conservare quello che vivono. Sono chiamati intanto a una ricerca per conservare e restituire i propri vissuti ed esperienze visive e corporee; ma sono chiamati anche ad una ricerca di nuovi vissuti ed esperienze visive e corporee che lascino emergere sensazioni, emozioni e affetti tali che chiedono di esser fermati; infine sono chiamati ad una ricerca di comprensione e scavo negli stessi


propri vissuti ed esperienze visive e corporee per poterle comprendere meglio. E per comprenderle forse c’è necessità di renderle, di restituirle in qualche altro modo; c’è bisogno di oggettivizzarle, come per rifletterci sopra. Poi. Tutto questo, nel caso del visivo, significa produrre manufatti che a loro volta portano, quando esistono ben compiuti, possibili altre esperienze e altri vissuti. I bambini sono chiamati quindi, sostanzialmente, a trovarsi, o meglio a ritrovarsi e a ricollocarsi rispetto a sé, agli altri e al mondo attraverso la cifra della visione e della riflessione che si fa poi manipolazione e trattazione manuale di materiali attraverso specifiche tecniche; materiali e tecniche che dovrebbero permettere ai bambini di “trovare” la “forma” adeguata a quanto provato e sperimentato durante il loro stesso scrutare e cercare. Quindi i laboratori sono itinerari di ricerca intorno agli esiti dello scrutare legato a un voler cercare necessario al trovare, fosse anche una sfumatura di una foglia che mancava, che era assente nel repertorio dell’occhio e che, per la sua richiamante problematicità, è come se chiamasse a farla propria. Trovare che è anche uno scoprire; togliere il velo, alzare il velo su ciò che prima, non cercato, era coperto. In quanto itinerari di ricerca i laboratori implicano, attivano e mettono in moto e in campo tutta una serie di operazioni. Operazioni, come abbiamo visto sopra, di tipo cognitivo, rompendo lo stereotipo della contrapposizione fra ambiti disciplinari; quindi avvicinare i bambini all’arte è allargare il loro sapere sul mondo facendo leva soprattutto e anzitutto sul loro vedere che è poi il sentire del cuore, del corpo e della testa fusi insieme. Quindi fare arte è in qualche modo strutturare una “scienza del mondo, se stessi compresi, all’insegna della profondità delle percezioni e delle sensazioni: è questa profondità della immediatezza, apparente, del vedere che è tematizzata nei laboratori che evidenziano quanta “scienza” prima e quanta “scienza” poi sia richiamata e sia necessaria per “vedere bene”, “per guardare” e infine per elaborare questa visione in manufatto. Si diceva che i laboratori sono percorso di ricerca intorno alla “visione”, meglio anche intorno alla sviluppo di una certa “visionarietà”

intesa come capacità di vedere quello che non c’è: di illudersi che ci sia qualcosa là dove c’è e c’era vuoto. E di colmare, poi fattivamente, questo vuoto con il corpo di un disegno, di un dipinto e/o di un volume. Per fare questo, perché emerga questa illusionarietà fattiva e concreta è necessario lasciarsi andare, lasciarsi prendere dal gioco: è questo che accade nei laboratori. I bambini sono chiamati a immergersi nell’errare della ricerca; errare che il maestro rende, per certi aspetti, labirintico, sia per tenere dentro alla ricerca i bambini che vanno appassionandosi dei “colpi di scena” a cui assistono e che scoprono, sia per esplorare ben bene le pieghe di ogni incontro che essi fanno. Alcuni laboratori sono sia molto stratificati sia molto articolati: alcuni vanno in profondità chiedendo ai bambini come uno sfogliare continuo di diversi piani e livelli, altri si allargano chiedendo ai bambini come un continuo allargarsi in altri ambiti e regioni. La ricerca quindi è alla luce del principio della complessità che chiede continue aperture, ritorni di verifica, rimesse a punto; la ricerca è fatta anche di vere e proprie “messe alla prova”, di “sperimentazioni” che evidenziano come il fare arte sia un’attività di ricca elaborazione e sistemazione del sapere sensitivo e corporeo del soggetto che afferma punti di vista e accampa ipotesi di lettura del reale a partire da quel che vede, sente e avverte. Ora la proposta di una ricerca complessa, ramificata e labirintica è di fatto una proposta ai bambini da parte del maestro, di diventare appassionati; di sviluppare una radicata e concreta passione di comprendere, di approfondire e di apprendere il reale. Allora il fare arte o meglio l’avvicinare i bambini all’arte è un’altra delle vie possibili, forse per alcuni aspetti più agevoli vista la loro radice nella pelle del soggetto, per fare appassionare i bambini alle sfumature delle ali delle farfalle o al diverso brillìo delle stelle nel fondo del cielo. A proposito di stelle: forse tutto il fare dei laboratori non è altro che una coltivazione molto, molto mirata del desiderio di ampliare l’ascolto delle forme con cui il mondo si dà e di sostenere la tensione a ricreare mondi oltre il nostro. E quindi del desiderio, di ognuno di noi, di dire qualcosa che non tradisca il nostri sogni. Anzi, che ne sia l’evidenza. Forse per questo i bambini hanno proposto una giornata sul sogno.

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1 • Questa come altre voci sono estratte da M. Cortelazzo; P. Zolli , Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1988 (ristampa 1991).


7 I questionari: la percezione della comunità Il questionario è uno strumento di indagine, un prospetto di domande, su un dato argomento, formulato con precisi criteri che viene sottoposto a più persone allo scopo di raccogliere opinioni, di effettuare una ricognizione. Nel nostro caso si è realizzata una ricerca sulla e con la popolazione cotignolese per avvicinarci a comprendere come la Scuola Arti e Mestieri sia sentita, vissuta, percepita dalla comunità. In questo caso sono gli occhi del paese che guardano la scuola, la raccontano, la ri-costruiscono, la definiscono. Sguardi di cittadini, insegnanti, bambini e ragazzi che l’hanno conosciuta, frequentata, partecipata, nel passato e nel presente e che attraverso le risposte ai questionari la tratteggiano ritraendola: sembrano farlo con l’autoscatto perché lì è come se nel ritratto vi fossero un po’ anche loro. Sono stati predisposti e distribuiti ai vari interlocutori quattro modelli di questionario. I tempi di compilazione si sono pressochè concentrati nei mesi di aprile – maggio. Il riscontro è stato molto positivo, non solo per la quantità dei testi ritornati, ma per la cura e l’attenzione che le persone hanno profuso nella scrittura. Un ringraziamento particolare va agli insegnanti per la collaborazione prestata a questa fase del lavoro, sia per la compilazione del questionario a loro destinato, sia per la disponibilità dimostrata nella distribuzione dello strumento rivolto agli alunni, cosa che ha reso possibile, in tempi brevi, la consultazione di tutta la popolazione scolastica di Cotignola. I fac simili dei questionari che seguono sono stati sottoposti a: • cittadini, • insegnanti, • bambini e ragazzi frequentanti la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di 1° grado, • allievi frequentanti i corsi pomeridiani.

LE TUE IMPRESSIONI SULL’ARTI E MESTIERI Nome ……………………… cognome ………………………… età …… classe ……… scuola ……………………………… 1. A quale o a quali laboratori della Scuola Arti e Mestieri hai partecipato con la tua classe? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 2. Quale laboratorio ti è piaciuto di più? E perchè? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 3. Vuoi fare un commento, una riflessione o comunicare un pensiero sull’attività che hai svolto? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 4. Il laboratorio o i laboratori che hai frequentato a casa ti è servito o ti sono serviti? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 5. Ti piace il fatto che ci sia per i bambini/ragazzi la possibilità di frequentare un laboratorio? E perché? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… Comune di Cotignola

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Questionario 1, per ragazzi A.S. 2004/2005 da consegnare all’Ufficio Pubblica Istruzione del Comune di Cotignola entro il 09/04/2005


LE TUE IMPRESSIONI SULL’ARTI E MESTIERI

LA SCUOLA ARTI e MESTIERI

Nome ……………………… cognome ………………………… età …… classe ……… scuola ………………………………

Nome ………………………cognome ……………………età ……

1. Per quale o per quali attività hai frequentato la Scuola Arti e Mestieri? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 2. Quale di queste attività ti è piaciuta di più? E perchè? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 3. Andare/Venire alla Scuola Arti e Mestieri quanto ti è piaciuto? E perchè? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 4. Vuoi fare un commento, una riflessione o comunicare un pensiero sull’attività che hai svolto? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 5. Il laboratorio o i laboratori che hai frequentato a casa ti è servito o ti sono serviti? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 6. Ti piace il fatto che ci sia per i bambini/ragazzi la possibilità di frequentare un laboratorio? E perché? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ………………………………………………………………………

[ ] si [ ]no 2. Sapete cosa vi si svolge e cosa si offre? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 3. Avete avuto modo di frequentarla? In quale occasione? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 4. Il Vostro i Vostri figli l’ha/l’hanno frequentata? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 5. Per quale motivo i Vostri figli hanno frequentato l’Arti e Mestieri? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 6. Vi è parsa utile la frequenza dei Vostri figli all’Arti e Mestieri? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 7. Se la frequenza è stata utile specificare per cosa: ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 8. Vi pare che la Scuola Arti e Mestieri sia un’istituzione che arricchisce il paese? Perché? ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 9. Ha ricordi, aneddoti e o commenti da riportare sull’Arti e Mestieri ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 10. Altro: ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ………………………………………………………………………

Comune di Cotignola Questionario 2 per i ragazzi che hanno frequentato i corsi pomeridiani A.S. 02/03, 03/04 e 04/05 da consegnare all’Ufficio Pubblica Istruzione del Comune di Cotignola entro il 09/04/2005

1. Sapete dell’esistenza della Scuola Arti e Mestieri?

Comune di Cotignola Questionario 3 per i cittadini da consegnare all’Ufficio Pubblica Istruzione del Comune di Cotignola entro il 09/04/2005

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QUESTIONARIO per INSEGNANTI di SCUOLA dell’INFANZIA, SCUOLA PRIMARIA e SECONDARIA di PRIMO GRADO

Questionari e cittadini

1. I suoi allievi hanno mai partecipato ai laboratori della Scuola Arti e Mestieri? SI [ ], NO [ ] (mettere una crocetta sulla risposta scelta). Perché ……………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… 2. Se ha risposto SI alla prima domanda potrebbe dire a quali specificando il perché della scelta? ………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… 3. Qual è stato il suo ruolo durante lo svolgimento del/dei laboratorio/i………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… 4. Secondo Lei la frequenza di uno o più laboratori è stata utile ai suoi allievi? SI [ ], NO [ ] (mettere una crocetta sulla risposta scelta) Perché ?……………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… 5. La frequenza di uno o più laboratori è stata utile all’arricchimento della Sua professionalità ? SI [ ], NO [ ] (mettere una crocetta sulla risposta scelta). Perché ?……………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………… 6. Ha ripreso, riportato, ampliato e/o approfondito in classe quanto emerso durante la frequenza dei laboratori? SI [ ], NO [ ] (mettere una crocetta sulla risposta scelta). Perché ?………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ……………………………………………………………… 7. Se ha riposto SI alla domanda n° 6 potrebbe illustrare, brevemente, come ha ripreso, riportato, ampliato e/o approfondito in classe quanto emerso durante la frequenza dei laboratori? ……………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………

I commenti dei cittadini, per lo più genitori, che hanno risposto al questionario sulla Scuola Arti e Mestieri sono tutti straordinariamente positivi: • quelli di chi non la conosce direttamente, ma attraverso i laboratori realizzati nella scuola frequentata dal loro figlio; • quelli di chi coglie le ricorrenti iniziative che nel paese le danno visibilità: più volte le persone citano la “Segavecchia”, “La città dei bambini”, “gli spettacoli dei burattini”; • quelli di chi, a loro volta nel passato, l’hanno frequentata e la ritrovano vivendola attraverso la frequenza dei figli: «…La ricordo, tanti anni fa, quando andavo a scuola…», «…Sì, l’ho frequentata da piccolo, come mio figlio…». Nelle testimonianze di questi ultimi i toni si fanno più accesi, arrivando ad asserire che la scuola andrebbe ulteriormente sviluppata, che il Comune non può permettersi di pensare alla chiusura, fino ad assumere il sapore del rimpianto: «…Purtroppo l’ho frequentata solo in occasione della festa della “Segavecchia”…». La scuola è sentita come una cosa importante, la comunità cotignolese le è molto affezionata, vi si riconosce, la sente propria, tant’è che anche chi dichiara di non conoscerla direttamente o tramite i figli, si dice sicuro del fatto che la scuola rappresenta una ricchezza per il paese. La lettura dei questionari, nei quali i nomi dei maestri Guerrini e soprattutto Varoli ricorrono con orgoglio, fa intendere che la Scuola Arti e Mestieri è diventata, come la Torre di Acuto, un simbolo del paese, un bene che è nell’aria: «…È stata per i miei figli una esperienza bellissima dal punto di vista formativo ed umano … altre persone, non di Cotignola, che lavorano in campo artistico, hanno espresso grande ammirazione, ma c’è un po’ di invidia…»; «…Ho scarsa manualità, ma sono sicura che se mi iscrivessi alla scuola, anch’io mi sentirei un po’ artista…». Tutti poi le riconoscono lo status di “scuola” perché insegna: «…Ricordi piacevoli di un quattordicenne. Tanti insegnamenti avuti…»; «…Luoghi capaci di proporre formazione per i più giovani…». Negli ottanta questionari ritornati sono espressi, in modo forse un po’ ingenuo, ma netto e chiaro, concetti e parole fondamentali per chi si occupa del governo della cosa pubblica oggi. La scuola è sentita come un patrimonio perché facendo iniziative rivolte ai bambini essi sviluppano poi affetto verso il loro paese; è lodata in quanto: «…È una istituzione sana, creativa e unisce bambini e genitori a lavorare insieme…»; «…È un fiore all’occhiello per un paese così piccolo…»; «…È una fortuna averla e farla frequentare ai nostri figli…» Si può pensare che questi commenti provengano da “fans”, da persone particolarmente vicine alla Scuola Arti e Mestieri ed ai suoi operatori, anche per i quali del resto i commenti sono ottimi.

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Questionario 4 per insegnanti A.S. 02/03 03/04 04/05 da consegnare all’Ufficio Pubblica Istruzione del Comune di Cotignola il 09/04/2005


Sono comunque brevi testi pieni di entusiasmo e soddisfazione, profondamente sentiti: in ogni caso è possibile cogliere anche il loro messaggio politico, che tocca un nodo comunitario e indirettamente suggerisce all’amministratore alcune cose importanti per un gruppo sociale: • pensare e fare iniziative non fatue, ma di spessore, per bambini e giovani; • legare le generazioni nel fare insieme alcune cose di interesse comune; • alimentare un sano orgoglio di senso di appartenza alla comunità, che non trascuri le dimensioni della piacevolezza: «…Le sue iniziative in giro nel paese mettono una nota di allegria, odore, fantasia, mistero…» Ma se le parole dei cittadini contengono importante sostanza politica, vengono incontro anche alla pedagogia ricordando altrettante cose essenziali. La Scuola Arti e Mestieri è apprezzata per la possibilità di «…Svago intelligente che stimola la fantasia, porta a migliorare i rapporti con gli altri attraverso un confronto sano e produttivo…»; «…Teresa ancora oggi trova diletto nel creare con le perline, carta e altri materiali…»; «…Si fanno “piccoli capolavori” con cose di uso comune come la carta di giornale…»; «…Cosa fanno esattamente non lo so, però so che si divertono tantissimo e si sporcano altrettanto…». Diletto, piccoli capolavori, creazioni, cose di uso comune, divertirsi, sporcarsi: queste parole si ritrovano facilmente in un testo di buona pedagogia, sembrano le finalità e gli obiettivi di una moderna e saggia istituzione educativa. Creare – divertirsi – sporcarsi: la loro ricorsività contiene la sostanza della crescita e dell’apprendimento: non si creda che il divertirsi e lo sporcarsi siano faccende lontane dal nobile creare, non comportino fatica, anche della mente o che abbiano a che fare solo col gioco, banalmente inteso. Sono processi e sentimenti vitali, indispensabili per la scoperta e la conoscenza, atti senza i quali non si costruisce e non si crea qualcosa che prima non c’era o non si impara qualcosa che prima non si sapeva. Ricorrono ancora nei questionari parole chiave come fantasia, cultura, trasmissione di tradizione artistica, manualità, momento di aggregazione, contatto con altre persone: che bella musica per un pedagogista! Le persone hanno capito il valore della scuola, il significato dell’educazione, le cose importanti per la formazione dell’individuo: peccato solo che nello scompenso dei tempi queste idee non riescano a vincere contrastando una realtà nella quale potere mass mediologico e cultura consumistica dominano in maniera eccessiva. Va notato che il punto di vista di alcuni compilatori ha evidenziato all’interno delle competenze e della disponibilità riconosciute agli operatori due opzioni importantissime in pedagogia: • la libertà di creazione • l’assenza di pregiudizi.

Si dirà che sono cose ovvie in campo artistico, ma ciò che preme sottolineare è che l’una e l’altra sono ingredienti basilari per una buona pratica educativa ed essenziali per una buona ricerca pedagogica, ma sono anche elementi fondanti per la cultura di un consorzio civile. Si può concludere prendendo da un babbo una testimonianza che sembra un simpatico aneddoto dal sapore allusivo e metaforico: «…Mia figlia fece una maschera di cartapesta da indossare alla sfilata, era talmente grande e pesante che erano in due a portarla in testa…».

Questionari e insegnanti Anche gli insegnanti valutano molto positivamente il lavoro della Scuola Arti e Mestieri che è «…una risorsa locale ben sviluppata ed organizzata…», consente agli alunni «…un percorso valido ed interessante anche grazie all’alta competenza degli operatori…». La frequentazione dei laboratori arricchisce la formazione dei ragazzi intervenendo su aspetti di manualità e creatività, avvicinandoli ai beni artistici del territorio e curando l’educazione all’immagine. Gli insegnanti evidenziano come i laboratori siano «…sempre ricchi di idee e spunti nuovi…», apprezzati per la loro fantasia, originalità e «…modalità di esecuzione creativa…». Risultano utili anche in quanto preparatori a visite a luoghi artistici e mostre di artisti. Alla domanda più precisa, se si ritiene che la partecipazione ai laboratori sia utile agli allievi, le risposte si fanno più articolate: • sostengono la manualità e la creatività; • migliorano le abilità pratico operative; • sono adatti alle età dei bambini e rispettosi del loro bisogno di manipolare e sperimentare; • in taluni casi sono di grande aiuto a bambini con disagio o difficoltà; • aiutano i progetti di integrazione di alunni immigrati (perché «… consentono di esprimersi con linguaggi altri, che risultano talvolta più significativi dei linguaggi tradizionali…»); • permettono l’apprendimento di tecniche grafico – pittoriche che stimolano atteggiamenti ludico – creativi e consentono ai bambini di esprimersi maggiormente; • migliorano il linguaggio espressivo; • sostengono lo sviluppo di progetti e lavori comuni realizzati a più mani: «…Hanno portato a termine un loro progetto partendo dall’idea fino alla realizzazione concreta…». A queste che, per gli insegnanti, sono le ragioni che aiutano gli 267 alunni a maturare, fanno da specchio le risposte che poi essi danno circa la possibilità che l’attività di laboratorio sia stata per loro stessi occasione di arricchimento della professionalità.


Durante gli incontri gli insegnanti mantengono prevalentemente un ruolo di collaborazione al lavoro degli esperti, affiancando e fornendo «…assistenza e controllo…». Evidentemente possono anche assumere un atteggiamento osservativo, che di per sé è formativo, e permette di notare con relativo distacco le modalità, i comportamenti, le processualità degli alunni. Particolarmente interessanti sono le motivazioni di chi scrive di aver potuto «…capire meglio le abilità dei bambini…» e di averli potuto vedere “globalmente”; qualche insegnante riconosce che in questo contesto formativo i bambini emergono anche diversi da come sono a scuola. Questo contenuto segnala una scuola non autosufficiente, attenta a vedere e cercare dimensioni altre del ragazzo, senza la presunzione che si sviluppino solo nell’ambiente scolastico e a riconoscere, consapevolmente o no, la pluralità delle intelligenze che è tempo ormai venga affermata con più forza ed entri maggiormente nella cultura scolastica e sociale. Naturalmente gli insegnanti ribadiscono di avere appreso nuove tecniche, soprattutto nell’ambito grafico – pittorico, utilizzate poi nel quotidiano. In classe il lavoro dei laboratori è stato ripreso ed ampliato perché «…volevo fosse un’attività interdisciplinare…»; «…i laboratori sono parte di un’attività curricolare…» ed «…il tema è integrato alla unità di apprendimento…». Nel parlare di come hanno ripreso il lavoro in classe sfiorano parti delle loro programmazioni e raccontano di sagome di cartapesta per le rappresentazioni, di studi dal territorio, di manufatti utilizzati, di approfondimenti storici…. Sono le insegnanti della scuola dell’infanzia, con le loro risposte tra il didattico e il naïf, che mi offrono lo spunto per tentare di comprendere meglio il punto di incontro tra la scuola e la Scuola Arti e Mestieri. Le maestre della scuola dell’infanzia, lavorando con un’età fresca e turbolenta, nella quale l’invenzione e la creazione accadono per gioco, lavorando slegata da vincoli di apprendimento “obbligato”, si trovano in una posizione privilegiata per entrare in quella particolare dimensione di libertà di ricerca che connota i luoghi artistici. Grazie alle loro osservazioni è possibile fare questa considerazione: nei vari ordini di scuola, per fasce d’età e nel rispetto delle tappe evolutive e degli stili personali, i bambini hanno manipolato, scoperto, trafficato, sperimentato con il piglio dell’inventore – artista che non ha pace finché non crea, ma che si può anche permettere di rimandare la creazione, o di smontarla e modificarla in un’atmosfera di godimento, fatica e libertà che va al di là del risultato finale, appagato come è dalla soddisfazione intrinseca al percorso. In ogni caso da tutti i questionari degli insegnanti traspare chia268 ro l’apprezzamento sull’operato della Scuola Arti e Mestieri come luogo formativo ed il riconoscimento della buona qualità del suo intervento. Interessa riprendere anche il tema della integrazione tra i laboratori

ed i percorsi scolastici. Per favorire l’apprendimento è assolutamente strategica la ricerca di ricomposizione delle cose. Il processo di frammentazione del sapere, conseguente alla pur necessaria esigenza di specializzazione dei tempi moderni, rischia di lasciare incompleta la formazione dei giovani e di implodere tanta parte della loro intelligenza; si potrebbero configurare personalità disarmoniche, un po’ sbilanciate, nelle quali a grandi pieni di conoscenza corrispondono grandi vuoti, con qualche risvolto anche sul piano della salute globale della persona. Il compito primario dei luoghi formativi allora diventa quello di ricomporre, cercare i significati, trovare i nessi per spiegare le cose, ricostruire l’opera a tutto tondo, lavorare per il ragazzo “intero”. Dichiarare l’unicità del sapere non contraddice la complessità e la pluralità delle conoscenze e le opportune specializzazioni: semplicemente sostiene un’idea forte di integrazione e coesione, sia del sapere che della persona, sia sul piano cognitivo che sul piano affettivo, ammesso che mai sia stata lecita questa distinzione. Fa bene dunque la scuola di Cotignola a ricercare tutte le integrazioni possibili.

Questionari e bambini 3 – 10 anni Le interviste individuali che le insegnanti delle scuole dell’infanzia hanno condotto catturano ricordi e pensieri dei bimbi più giovani che hanno partecipato ai laboratori del blu, del sole, delle onde, regalandoci testi che evocano la dimensione della piacevolezza, a ricordi di cose gradevoli e lievi: «…Mi piaceva dipingere il cielo…»; «… le cannucce che soffiavano nell’acqua…»; «…mi sono piaciuti i colori dentro le bottiglie con l’acqua…»; consegnandoci testi che indicano la dimensione del lavoro, dell’impegno a produrre qualcosa, del corrispondere ad un’attesa: «… Lo specchio era bello, lo mettevo nell’acqua, mi dovevo vedere la faccia, dovevo disegnare…»; «… ho imparato a fare pastrocchi, solo lì si possono fare…»; e testi che rimandano alla affettuosa fiducia che il piccolo comincia a riporre nell’adulto: «…Max mi aspettava lì dove ci sono i disegni della scuola elementare…»; «…Max ti fa fare delle cose per terra…»; «… Dico a Max che mi piace lavorare con lui perché ci fa fare delle cose belle…». I bambini delle prime e seconde classi elementari che hanno partecipato ai laboratori parlano di animali di creta, di case costruite a Barbiano, di disegni di edifici realizzati per le strade a Cotignola… Esprimono i loro gradimenti sulle attività e sui materiali, alcuni li motivano; a volte gli appartenenti alla stessa classe si condizionano a vicenda forse per avere conversato insieme sulle domande del questionario.


Così nello stesso gruppo c’è chi preferisce «…la cartapesta perché è più creativa e divertente…» chi la creta «…perchè si può modellare…» e «…se sbagli la puoi rifare…». La varietà delle condizioni e situazioni operative dei laboratori fa emergere anche la diversità delle percezioni personali: mentre tutti affermano di avere gradito l’andare in giro per il paese, una bambina sostiene: «…Non mi è piaciuto tanto disegnare per strada perché stavo scomoda, non sapevo dove appoggiarmi e avevamo i minuti contati…». Poi i commenti «…Lucia è molto brava…»; «… Ho pensato che Lucia ha avuto un’idea fantastica, ci ha fatto lavorare con la creta…» mi fanno ripensare a quanto è importante che l’infanzia incontri persone capaci di far bene il proprio mestiere: queste, suscitando ammirazione e stima, sono di stimolo ai bambini a diventare grandi desiderando di essere competenti, abili, padroni delle cose. Il loro esempio resta nella mente del ragazzo come modello in un gioco di sana emulazione. Le attività espressive, come le manuali, data la loro visibilità, si prestano bene in età evolutiva a favorire “affascinazioni” e la concretezza della materia fa sentire il ragazzo protagonista – costruttore: «…mi faceva sentire che costruivo io con le mie mani…». «…Mi sono piaciuti tutti i laboratori perché ho imparato come trasformare un disegno in statuina…»: è un bambino di otto anni che si dimostra soddisfatto e consapevole di aver acquisito la conoscenza del passaggio dal bidimensionale al tridimensionale riuscendo a dare spessore e volume alle cose; in molti testi ancora è evidente il gusto e la soddisfazione per aver appreso a fare delle cose da sé. Da ultimo va notato che ricorrono spesso nei questionari dei bambini più piccoli i termini bello – bellissimo – divertente e le frasi «…si impara, ci si diverte, stando insieme…». La scuola Arti e Mestieri è definita «…un posto dove i bambini stanno insieme a colorare…»: l’infanzia è assolutamente sensibile alla dimensione del bello e ricerca scambi e condivisioni. Le classi terze differenziano e motivano maggiormente le loro preferenze rispetto ai vari laboratori. Sottolineano ripetutamente di avere imparato cose nuove e portano in primo piano il tema della socialità: «…Mi sentivo come in una seconda famiglia nel fare le cose con le maestre, gli amici, gli operatori…»; «… Prima non conoscevo le tecniche, ora le ho imparate, è come se avessi scoperto un amico, cioè un tesoro…»; «…L’attività non mi è piaciuta molto, però un po’ si perché lì ci aiutiamo l’uno con l’altro…»; «…Mi sono divertita, ho imparato molte cose, ho lavorato insieme agli amici e il nostro maestro era gentile e simpatico…»; «…Si perché almeno non si sta sempre attaccati alla TV…». Sembra una scuola dove spirito e corpo uniti sono coltivati nella loro interezza, dove l’affettivo va d’accordo con il cognitivo, dove con altri si impara e ci si diverte: «…Noi ridiamo e scherziamo, ma nello stesso tempo facciamo una cosa molto importante…» asserisce una bambina di nove anni. «…Spero di diventare un grande artista…» : nelle classi quarte

si sono messi in testa di diventare tutti artisti! Sicuramente i testi dei bambini risentono dei commenti sviluppati in classe, a casa, nei laboratori, dei discorsi fatti fra loro; ma non è singolare che tanti abbiano una tematica comune di pensiero? «…Io dico solo che l’arte è molto bella, però può diventare anche un lavoro come un fumettista, un pittore…»; «…Bisogna apprezzare le opere d’arte e gli artisti, soprattutto del luogo dove si vive…»; «… A casa mi piace disegnare seguendo i consigli dell’esperto, ho fatto migliaia di volti…». Con Queste affermazioni i bambini non nascondono forse, oltre ad identificazione affettiva col mondo della Scuola Arti e Mestieri, l’inevitabilità di fare i conti con la crescita? Essi prendono in considerazione, nella dimensione idealizzante e conformista dell’età, la possibilità da grandi di lavorare in campo artistico; il rapporto con la Scuola Arti e Mestieri fa lievitare fantasie e progetti evidenziando quel simpatico perbenismo della fanciullezza che è lo scotto per entrare nelle regole del mondo adulto. «…Importante che i ragazzi sappiano conoscere gli artisti e le loro opere. Seguendo il loro esempio anche noi possiamo realizzare opere artistiche, divertendoci insieme…» Che ansia di futuro! Sempre divertente però! In attesa di vedere come si sistemano le cose in seguito, c’è chi mette a frutto subito l’esperienza maturata: «…I laboratori mi sono serviti a casa per aiutare mio babbo ad attaccare i pezzi di legno e costruire casette per i miei colombi…». I ragazzi delle classi quinte, forse più saggi per l’anno in più, rientrano un po’ dalla proizione di spinta alla crescita cui la scuola Arti e Mestieri ha fornito contenitore e personaggi e tornano, meno centrati sul futuro, a considerazioni più realistiche: «…I laboratori mi piacciono perché mi sono rilassato…»; «… Mi piace lavorare con le mani…»; «… Mi è piaciuto perché ho imparato a costruire con la creta delle statuine molto simili a quelle che faceva A. Giacometti…»; «…Questo laboratorio mi è piaciuto, però non al cento per cento, mi sono comunque divertito…». Tra i tanti commenti si è scelto di riportarne qui solo alcuni, sia per dare credito ai ragazzi, sia per avere spunti sui quali costruire delle riflessioni, anche validate dalle loro parole. Naturalmente i testi ripresi si caratterizzano per definizione e convinzione esemplificando bene nello stesso tempo impressioni e valutazioni dell’insieme dei ragazzi. Alcuni commenti poi, particolarmente singolari e significativi, aiutano a meglio comprendere certe processualità che accadono nella scuola, non per tutti gli utenti allo stesso modo o non avvertite così urgenti come da questo ragazzo che ci fa sentire, “quasi fremendo” il suo momento creativo «…Mentre lavoravo la mia mente era concentrata sull’argilla e su quello che stavo costruendo…», riuscendo a cogliere e a trasmetterci con le parole l’attimo in cui, catturato e rapito dalla materia, si è fuso con questa e mani e testa insieme all’unisono hanno lavorato. 269 Esperienze come questa, consentendo la ricomposizione psicomotoria della persona, sono molto formative e salutari. Ma va notato anche l’aspetto della concentrazione: requisito fondamentale per l’apprendimento, spesso segnalata carente dagli insegnanti, che


oggi si accompagna a calo di facoltà attentive, moderne malattie causate dall’accelerazione del tempo e dalla sovraesposizione telematica.

11 – 14 anni Sarebbe un errore valutare la qualità di un servizio solo in base alla percezione positiva degli utenti frequentanti, la scuola Arti e Mestieri non troverebbe rivali e non avrebbe concorrenti. Dai questionari delle scuole medie emerge meglio che l’esperienza dei laboratori non è significativa e pregnante per tutti allo stesso modo, ma per tutti è positiva. Anche coloro per i quali la Scuola Arti e Mestieri non rappresenta un’occasione forte riconoscono ad essa valore e positività: «… A me sicuramente non piacciono i laboratori, anche se è una bella iniziativa…». Alla quinta domanda “Ti piace il fatto che ci sia per i bambini/ragazzi la possibilità di frequentare un laboratorio? E perché?” risponde sì con convinzione anche chi afferma di non averlo mai frequentato; lo stesso fa chi dichiara che i laboratori non gli sono serviti a casa o chi evita commenti o pensieri alla domanda specifica. E la motivazione è sempre la stessa: la scuola è un ritrovo è “un modo” per stare insieme e imparare divertendosi. I temi della socialità, dell’apprendimento e del divertimento, anche per i ragazzi della scuola media rappresentano il filo rosso per spiegare il successo dell’Arti e Mestieri. Naturalmente le tre dimensioni sono legate tra loro: nei testi dei ragazzi sono più o meno sottolineate le une e le altre a seconda dei significati attribuiti dai singoli. Le esperienze alla Scuola Arti e Mestieri diventano allora un antidoto alla noia che potrebbe portare il tempo libero, un modo per rilassarsi e stare meglio anche con sé stessi: «…I laboratori mi sono serviti per non avere paura di quello che faccio…» o per riscattarsi da insuccesi riportati in altri ambiti. Alcune testimonianze rivelano una corrente affettuosa intercorsa tra i ragazzi e i loro maestri, tra i ragazzi e i loro prodotti; altre accentuano l’aspetto di una grande fatica seguita da grandissima soddisfazione. «…Ti aiuta a scoprire cose che non avevi mai pensato esistessero…»: la spinta alla ricerca e alla curiosità è facilitata dall’impianto stesso del laboratorio che include l’errore come tappa di una scoperta, elemento inatteso da cui può nascere una creazione. Molti ragazzi dimostrano di averlo compreso ed apprezzato: «…Potevo rifarle le maschere, delle nuove e sempre meglio…». Il sostegno al fare e all’apprendimento sicuramente viene anche 270 dalla concretezza insita nel lavoro manuale: «…Mi piace realizzare con le mani perché alla fine qualcosa si vede…». Alcuni ragazzi dicono che anche a casa è servita l’attività dei laboratori messa a frutto per insegnare ad altri, saper disegnare meglio,

scaricare energie. Infine, talune espressioni relative alla dimensione del divertimento sono perfino esilaranti «…I laboratori hanno la capacità di trovare le cose divertenti della vita: spero tantissimo che questo corso duri fino al punto di morire…». È sempre un divertimento legato al piacere di fare, di scoprire, di acquisire fiducia in sé stessi, un divertimento che nasce e si coniuga al fatto di trovare le cose interessanti e di avvertire utili i suggerimenti dei maestri per realizzare i “Tocchi d’arte”, così come li definisce una ragazzina.

Questionari e ragazzi Arti e Mestieri Com’era prevedibile tutti i ragazzi frequentanti i corsi pomeridiani della Scuola Arti e Mestieri danno nel questionario resoconti puntuali, elencano le tante attività descrivendole con molte informazioni, riempiono quasi sempre tutto la spazio a disposizione nel foglio. Anche se la decisione della iscrizione viene ovviamente sostenuta e presa in famiglia («…A mio padre non piaceva come disegnavo…» dice chiaramente un bambino) dai loro testi traspare più convinzione e determinazione rispetto ai frequentanti in tempo scolastico. A chi legge le loro risposte arriva l’idea che sono e si sentono Allievi della scuola. Non dicono cose sostenzialmente diverse dai loro compagni frequentanti i laboratori scolastici ma si differenziano fortemente sulla domanda relativa a “quali attività sono piaciute di più”. Gli allievi pomeridiani, in genere, non fanno graduatoria di gradimento, i laboratori piacciono tutti perché da tutti si impara in un clima descritto come ideale. «…Si può lavorare liberamente ascoltando le cose che ti consigliano i maestri…». Anche l’utilizzo delle esperienze e delle tecniche apprese è più forte: tutti riportano le attività realizzate a casa, le ripetono da soli o con parenti di varia età (fratelli, zie…). In sostanza gli Allievi confermano le impressioni e le opinioni contenute nei questionari scolastici documentando e dimostrando però più esperienza e conoscenza grazie anche al maggior tempo di frequenza trascorso alla scuola. Qualcuno vorrebbe più ore settimanali e l’attività aperta anche nel periodo estivo; qualcuno ci terrebbe proprio tanto a riavere «…il cinema col pop-corn…», ma all’unisono ripetono tutti la gioia di imparare cose nuove e divertenti con gli altri. E ancora, nonostante facciano davvero tante cose, non smettono di stupirsi e sorprendersi. «…Non pensavo si potesse creare una macchina fotografica con una scatola di cartone…»


8 Una volta finito di leggere pedagogia della ragione e delle emozioni La percezione emessa dalla ricognizione dei questionari identifica una scuola che nel paese gode di ampio consenso e di grande legittimazione. Un filo rosso attraversa gli scritti delle persone ed è quello del radicamento sul territorio. Questo appare declinato su una triplice dimensione, affettiva, culturale e sociale che corrisponde al leit – motive sostenuto dai ragazzi e dagli adulti: stare insieme, imparare e divertirsi. Gli utenti, diretti e indiretti, passati e presenti, siano essi genitori, studenti, allievi o insegnanti, con modulazioni personali, esprimono sulla scuola impressioni e valutazioni univoche. I tre interlocutori, parlando ognuno dal proprio ruolo e dal proprio punto di vista, ci danno informazioni che si completano, si validano e si confermano. “L’operazione – questionario” potrebbe essere vista anche come test di veridicità sui compilatori i quali, triangolando tra loro, ricompongono il profilo di una scuola percepita ed esperita come una cosa viva e vera, importante e nutriente, colta e popolare ad un tempo. Il libro la restituisce dal punto di vista di chi vi lavora animandola quotidianamente, di chi è esperto di pedagogia e di pedagogia dell’arte, di chi ne ha la responsabilità politica – amministrativa. La ricostruzione recupera la storia della scuola fin dal suo nascere: si è voluto legare il presente con il passato lontano e con quello più prossimo. Quando si ricostruisce si corre il rischio di incorrere in qualche tono commemorativo che non mi pare di avvertire: in tutti coloro che hanno scritto il passato è tenuto presente come continuità di una storia necessariamente proiettata in avanti. Rendicontando i progetti, il libro assolve il suo compito “confezionando” la vita e l’attività della scuola per restituirla al paese e ad un pubblico più vasto, in forma organizzata e riflettuta. Da un lato è come se il committente del libro fosse la comunità stessa, comunità con la quale la scuola è molto interattiva e che le fornisce il mandato e la base sociale che le consente di riconoscersi. Dall’altro il libro, strumento astratto per eccellenza, partendo da Cotignola è destinato ad uscire dai confini del piccolo paesino: vuole misurarsi con altri mondi. Tante parole sono state scritte, frutto di competenza e sapere sull’arte e sul “fare arte”. Non mi soffermo perciò su tali argomentazioni, perché il mio compito e il mio ruolo mi riportano a quanto di più semplice ma vivo e spontaneo è alla base di tanto pensiero ed impegno. I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che hanno l’opportunità di entrare in contatto con la scuola, entrano in un posto particolare che odori, colori suggestioni e risonanze trasformano

in “luogo”. Un “luogo” un po’ magico che lascerà tracce profonde nella memoria di tante menti curiose e plastiche, perché capace di passare prima di tutto attraverso i canali dei sensi, attraverso il sogno, il fantastico, il desiderio libero, l’espressione pura. Un “luogo” dove ancora ci si può stupire, dove regnano la sorpresa, la scoperta, l’inusitato. Solitamente l’arte è vista come un’area per addetti ai lavori, per qualcuno dotato di particolare predisposizione, di creatività, di attitudini fuori dal comune. Avvicinare i bambini all’arte significa accompagnarli in un viaggio che è quanto vi sia di più congeniale al loro mondo: il mondo della fascinazione, il mondo del meraviglioso. H. Matisse: «…La pittura non è forse un’incessante esplorazione e nel medesimo tempo la più sconvolgente avventura?…». E J. Mirò: «…Mi ci vuole un punto di partenza, magari niente di più che un granello di polvere o di un lampo di luce. Questa forma genera una serie di cose, una cosa ne fa nascere un’altra, così da un pezzetto di filo può sprigionarsi un mondo….». Ecco …un mondo: il mondo dei colori ad esempio … : quasi non li notiamo più, abbacinati come siamo da una realtà sempre più fluorescente perdiamo la consapevolezza del fatto che i colori dominano i nostri sensi e sono strettamente legati alle nostre emozioni. Il colore non è solo un fenomeno ottico, ma una dimensione entro la quale ci si può esprimere come si vuole abbandonandosi ad esso o concentrandosi su di esso, sui contrasti, sulle sfumature, sul segno o sul gesto. Bruno Munari afferma: «…un bambino che impara che il cielo non è solo blù, è un bambino che probabilmente in futuro saprà trovare soluzioni creative a un problema, che sarà più pronto a discutere che a subire…». Ma avrà anche più possibili chiavi di lettura della realtà: B. Ferrero da “L’importante è la rosa”: «…Un pellegrino camminava sul sentiero di campagna, quando sul margine di esso, tra l’erba, scorse qualcosa, forse un sasso dalla forma strana. “È un serpente” pensò. Il serpente si srotolò, scattò e lo morse a morte. Un altro pellegrino camminava per quel sentiero, anche lui scorse il sasso dalla forma strana. “È un uccello”, pensò. In un frullo d’ali, l’uccello volò via…» 271 Infinite possibilità quindi e infiniti mondi, come il mondo degli odori in una realtà troppo profumata per lasciare spazio all’esercizio dell’olfatto e il mondo del fare, del fare con le mani, lentamente senza fretta, un fare genuino e sano, alternativo al fare frenetico di tutti i


giorni a volte fine a sé stesso, centrato sulla velocità, su tempi e ritmi spesso decisi da altri o irrimediabilmente condizionato dall’attesa di un giudizio finale. Il contatto diretto sulla pelle dell’argilla o della cartapesta, per plasmare qualcosa che resta o che può essere rifatto, magari anche distrutto, perché la valutazione è sospesa e un possibile errore può essere l’inizio di un nuovo percorso, inatteso, arricchente e affascinante, un nuovo viaggio di scoperta. E il lavorare in gruppo dove il gruppo fa da sostegno emotivo in atmosfere cariche di colore ed affettività, all’interno di una fucina di magiche alchimie e di significati condivisi che non possono che diventare altamente strutturanti, dove ognuno è sé stesso con la propria ed irripetibile carica di energia vitale. Dove anche l’adulto è ancora capace di sorprendersi, figura di riferimento un po’ artista, un po’ mago, modello che sa decentrarsi, che non giudica, che non valuta ma ascolta con tatto e discrezione, attenzione e sensibilità, che indirizza, coglie e raccoglie bisogni e

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paure, valorizzando la libera espressione di ognuno e facendo in modo che i bambini non si limitino a fare le cose ma provino il piacere di farle. Un adulto che li aiuti ad essere protagonisti delle proprie emozioni e dei propri sogni e fornisca loro, grazie alle sue competenze, come affermava Don Milani, «…Gli strumenti per comprenderli e per esprimerli agli altri.» Soprattutto ora, in una società che non fa che indurre bisogni e desideri che non ci appartengono e non fa che spingere a consumare esigenze altrui. M. Dallari: «… Il bambino che avrà familiarizzato sin dai primi anni della sua vita con l’arte, da adulto sarà in grado di aprezzare e capire quella che è la sua essenza più profonda e cioè che l’arte è soprattutto gioco ed ha dunque in sé la capacità di suggerire non solo come si può conoscere ed interpretare il rapporto tra sé e la realtà in modo meraviglioso, ma anche come il giocare non debba necessariamente cessare con l’infanzia e come la conoscenza non debba costituire la morte dell’invenzione…»



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